Archeo Monografie n. 53, Febbraio/Marzo 2023

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IL VERSO IL FUTURO

La storia, i tesori e l’attualità del Museo Archeologico Nazionale di Napoli

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MANN

IL VERSO IL FUTURO

La storia, i tesori e l’attualità del Museo Archeologico Nazionale di Napoli testi di Paolo Giulierini, Antonella Carlo e Caterina Serena Martucci

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Il museo che verrà 14

Il MANN e la città 24

Un artista nell’arte Fotografie di Luigi Spina

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Tre secoli di storia 46. La sezione egizia 54. Le gemme Farnese 61. La sezione antichità orientali 62. La sezione numismatica 66. Il restauro del mosaico di Alessandro 68 Il Gabinetto Segreto 74 Il Tempio di Iside 77. La Magna Grecia 78. La Villa dei Papiri 90. La sezione storica

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I grandi capolavori 112

Antichità e innovazione 124

Un museo proiettato sul mondo


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l Museo Archeologico Nazionale di Napoli, oggi noto con l’acronimo MANN, è una delle piú importanti istituzioni del genere a livello internazionale. Il grande edificio settecentesco costudisce piú di 250 000 reperti relativi, in massima parte, al periodo romano, ma anche greco, egizio, vicino-orientale, pre e protostorico. Un tesoro immenso di cui è esposta soltanto una minima parte, circa il 10%, distribuita su una superficie di quasi 13 000 metri quadrati. Non esiste pubblicazione scientifica o divulgativa sulla pittura e la scultura romana che ometta di citare opere di fama mondiale conservate nel MANN: il Toro Farnese, i bronzi di Ercolano, la grande pittura di Pompei, il Mosaico di Alessandro… Oltre a presentarsi come una vera e propria «enciclopedia dell’arte antica», il Museo è sede di una importante biblioteca, di archivi storici e fotografici, di una preziosa collezione di pitture e acquerelli. Un insieme che racconta la storia antica, ma anche quella di Napoli, dell’Italia e dell’Europa. Il MANN è un luogo della cultura universale. Un luogo al quale dedichiamo questa Monografia non solo per ricordare ai nostri lettori uno scrigno di conoscenza e bellezza la cui esistenza, come quella di tanti altri suoi simili, siamo tentati, spesso, a dare per scontata. Ma, soprattutto, per segnalare che il MANN è un organismo vivo, in continua evoluzione e «ricreato» quotidianamente da chi vi lavora con competenza e passione. Proprio quest’anno il Museo riaprirà una parte fondamentale della sua collezione, quella dedicata alla Campania Romana (non era visibile al pubblico da mezzo secolo); verrà inoltre inaugurata la Sezione Tecnologica, mentre nuovi spazi saranno destinati a reperti mai prima esposti provenienti da Pompei, da Cuma e dalla stessa Napoli antica… Passiamo la parola, dunque, alle donne e agli uomini protagonisti di questa magnifica impresa, a partire da quella del direttore del MANN, Paolo Giulierini, e anche alle donne e agli uomini che, dipinti o scolpiti, abitano da secoli quel venerando edificio regalandoci racconti indimenticabili. Andreas M. Steiner

Uno scorcio dell’atrio del Museo, in una foto di Luigi Spina.

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IL MUSEO CHE VERRÀ

A

ccessibile, interculturale, connesso alla città, disseminato nel mondo, piazza aperta di conoscenza reciproca e libero pensiero, laboratorio di costruzione di coscienze critiche, luogo green, ecologico e hi-tech: queste e molte altre le caratteristiche del MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) che, dopo una spesa di oltre 100 milioni di euro di investimento, avrà un settore sotterraneo per mostre e servizi direttamente collegato alla nuova linea metro che parte dall’aeroporto di Capodichino; potrà godere, all’esterno, di un punto di sosta e ricarica elettrica per il mondo del biking, di una fontanella di acqua potabile e di comode e ombreggiate panchine; sarà diffuso in città nelle principali infrastrutture (aeroporto, stazione marittima, metropolitane) e in sedi storiche di pregio (Galleria Principe e Palazzo Fuga). Il Museo del futuro offrirà giardini al pubblico, bar e ristoranti a filiera corta, un’unica passeggiata priva di traffico dall’ex convento Istituto Colosimo al MANN fino alla Galleria Principe, l’Accademia e S. Pietro a Maiella, diventando cardine di un fenomeno di rigenerazione urbana, cui concorrono l’Università «Federico II» di Napoli e 40 siti ExtraMANN, teso a creare un Quartiere della Cultura, per salvaguardare l’identità

dei luoghi attraverso librerie storiche e negozi di artigianato, e a incentivare decoro e sicurezza. Nel MANN del futuro (ma già ora), si accederà con una card annuale di abbonamento dal costo simbolico; ci saranno percorsi e occasioni di coinvolgimento per i diversi tipi di pubblico: non solo quelli tradizionali, quali cittadini, turisti, studenti, studiosi, ma anche i cosiddetti pubblici speciali, le comunità di stranieri residenti a Napoli, da quella greca a quella cinese, da quella ebraica a quella cingalese, i bimbi di quartieri complessi, come Sanità e Forcella. Per tutti ci saranno mostre ed eventi, che partono dal concetto che il mondo antico aveva comunità miste e vi erano tanti mondi, anche lontani, interconnessi.

L’altro volto della storia Per tutti sarà possibile ricordare, tramite il percorso «Le voci dei vinti», che esiste una propaganda dei vincitori che annulla o deforma la storia dei subalterni, che noi oggi dobbiamo portare alla luce. Un museo come il MANN, scrigno di tanta bellezza, ha l’obbligo morale di raccontare l’altro volto di quella celebrazione artistica, che nasce spesso dalla supremazia e dal potere: questo per dire che il passato non è necessariamente migliore del presente e anche noi

Paolo Giulierini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli dal 1° ottobre 2015.

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abbiamo la possibilità di cambiare in meglio le cose. E poi c’è un museo che educa al risparmio energetico e al recupero ambientale, perché non c’è bellezza senza rispetto; e, infine, un museo che mira al recupero degli ultimi in quanto senza equità sociale la bellezza non salva nulla anzi, diventa urticante.

Sulle due pagine screenshots tratti dal videogioco Father and son, un modo nuovo di raccontare il Museo, la sua storia e le sue collezioni, nel quale le scelte del giocatore influenzano l’esito finale del videogioco. Tradotto nelle principali lingue europee, in cinese e in napoletano, consente di esplorare diverse collezioni museali e di sbloccare, grazie alla geolocalizzazione, contenuti inediti se si visita il MANN.

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contiene piú solo il Mediterraneo ma si estende dagli attuali Giappone al Portogallo: è un segnale importante per uscire da una visione eurocentrica. Infine la tecnologia non come fine, ma come strumento per comunicare i contenuti storico-critici a un pubblico fisico e digitale: dai social ai videogames, dal metaverso alle ricostruzioni digitali per arrivare anche alla progettazione di nuovo merchandising, agli open data dei nostri immensi depositi.

Ricostruire la storia

Sulle due pagine il MANN in pianta in due visioni renderizzate della città di Napoli. Fra i prossimi obiettivi dell’istituto c’è quello di rafforzare significativamente il legame con il contesto urbano, sociale e culturale nel quale il Museo è inserito.

Il MANN del futuro, come quello del presente, realizza mostre tematiche in tutto il mondo su Roma e l’Italia antica, sulla Grecia e il Mediterraneo, ma accoglie anche le civiltà antiche orientali, africane, mesoamericane: per essere un luogo di confronto e non di antitesi, proprio per non ritenere Roma e la Grecia necessariamente il baricentro del mondo antico. La nostra rappresentazione geografica del mondo antico non

Un istituto che voglia parlare alle nuove generazioni deve avere occhi e orecchie del ventunesimo secolo, adottandone gli strumenti comunicativi. Non deve imporre un’educazione, ma ricostruire la storia, perché una volta compreso di chi siamo figli possiamo anche giudicare le colpe dei padri; oppure abbracciarli, ringraziandoli per quello che ci hanno trasmesso. Il compito di educazione che spetta ai musei non è il trasferimento di nozioni cristallizzate da assumere in forma acritica. I musei del futuro dovranno contribuire infatti a creare coscienze critiche, che apprendano senza schierarsi aprioristicamente. E che, soprattutto, sappiano apprezzare e valutare non solo le vette della produzione artistica, ma anche il lento processo di acquisizione dei diritti umani. Daremo cosí ai musei un’altra chance di confrontarsi con il futuro e sopravvivergli, evitando di considerarli scrigni di tesori: questi ultimi si aprono solo con una chiave, noi vogliamo usare il cuore come passepartout. Paolo Giulierini

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Il MANN e la città ALL’INDOMANI DELLA SUA ISTITUZIONE, PER I NAPOLETANI DIVENNE ‘O MUSEO, IL MUSEO PER ANTONOMASIA. SE LO SPOSTAMENTO DELLA QUADRERIA A CAPODIMONTE HA AFFIEVOLITO QUEL LEGAME, I PROGETTI IN CORSO DI REALIZZAZIONE MIRANO INVECE A RINSALDARLO di Paolo Giulierini e Antonella Carlo

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Il Palazzo degli Studi, sede storica del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

I

l museo è una cattedrale nel deserto? Come interagisce con il territorio? Quali simmetrie impostare per creare un dialogo virtuoso con la città? Da tempo il Museo Archeologico Nazionale di Napoli sta lavorando con un impegno strenuo nella costruzione di relazioni proficue con le realtà operanti nel cosiddetto Quartiere della cultura, che corrisponde in linea di massima al centro storico partenopeo, insignito del riconoscimento UNESCO quale Patrimonio dell’Umanità. Tale attività si concretizza lungo diverse direttrici, sintetizzabili nei seguenti asset operativi: a. la costruzione di una rete di siti culturali ExtraMANN, che adottano una

politica di bigliettazione integrata e comunicazione congiunta; b. la promozione di relazioni con la rete commerciale e associazionistica operante nel territorio; c. la calendarizzazione di attività laboratoriali e didattiche pensate per comunità a rischio di marginalità sociale; d. la realizzazione di lavori che non insistono solo sull’edificio museale, ma comportano un beneficio per tutta la città; e. la valorizzazione della Galleria Principe di Napoli che, in sinergia con istituzioni comunali, ospiterà anche spazi mostre, un Museo dedicato alle Quattro Giornate di Napoli con focus sulla mostra «Hercules alla guerra» promossa dal MANN,

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IL MANN E LA CITTÀ

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Quei dotti litigiosi, come animali in gabbia C’è un’immagine felice di Timone di Fliunte, un poeta contemporaneo al Museion di Alessandria di Egitto, ritenuto, insieme alla Biblioteca, l’istituzione apicale della cultura del mondo antico, che ci ricorda come «esso era avvelenato dalle continue rivalità che si scatenavano fra gli studiosi che, desiderosi di fare buona impressione sul sovrano, non esitavano a mettersi reciprocamente in cattiva luce, litigando continuamente fra loro». Egli paragonò i dotti del Museo ad animali rari chiusi in gabbia, che trascorrevano tutto il tempo a litigare. Tuttavia, se talora il litigio poteva essere anche giustificato da un sano confronto sulle idee, il fatto forse piú grave era che gli uomini piú intelligenti e istruiti di quell’epoca vivevano in completo isolamento, separati dai comuni cittadini ed esclusi da ogni forma di partecipazione alla vita pubblica.

Via De Mura

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alcune vetrine consacrate ad artisti e artigiani locali; questo percorso è raccontato anche nella pubblicazione «Quaderni del MANN» che descrive, anche tramite tavole, i progetti architettonici e urbanistici dedicati alla Galleria; e. la presenza dell’Archeologico a Palazzo Fuga (ex Albergo dei Poveri) con opere provenienti dalle proprie collezioni e, in particolare, dai depositi; f. il progetto di disseminazione dell’immagine del MANN, con riproduzioni dei propri manufatti nell’aeroporto internazionale di Capodichino, nella Stazione Marittima, negli istituti penitenziari della Campania, nelle stazioni della metropolitana Museo e Municipio; g. infine, un particolare riguardo ai giardini comunali che si trovano sulla direttrice per Palazzo Fuga. Queste aree verdi potranno ospitare, come il parco dell’Istituto Colosimo, copie di manufatti del MANN. La premessa ideologica e culturale per queste attività è che, per quanto cantata o invocata da poeti e pensatori, non esiste, si sa – né mai è esistita o esisterà – un’età dell’oro per il genere umano. Anche in materia di musei si può concludere, a ragione, la stessa cosa.

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Ecco, crediamo che il punto stia tutto qui, in questo fenomeno dissociativo tra mondo culturale e società che, come un virus, appare a intervalli regolari nella storia. Le restanti vicende dei musei occidentali sono molto note, essendo i musei diventati con l’illuminismo, per poco tempo, luoghi di

Via de

Pianta della città di Napoli con i monumenti piú importanti e i principali luoghi di interesse.

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Villa Comunale

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Osservatorio Astronomico

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Orto Botanico

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Via Sanità

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Palazzo Fuga

Golfo o o di Napoli Napo

pubblica utilità per l’istruzione di tutti, poi simbolo dei nascenti imperi e talora, nel caso degli Stati Uniti, strumento di ascesa sociale per le ricche élites che li finanziarono. In Italia, che è un museo a cielo aperto, la questione è ancora piú complessa, ed esula dai limiti di questo testo. Se li volessimo

categorizzare in base all’origine, molti grandi musei nazionali sono figli dei musei degli Stati pre-unitari, un grande gruppo di musei afferiscono alla tradizione civica antica e recente e, infine, ci sono quelli di natura ecclesiastica e privata. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli è

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IL MANN E LA CITTÀ

figlio del Real Museo Borbonico e vittima di quella sottrazione che vide emigrare, nel 1956, la quadreria alla Reggia di Capodimonte: non a caso, ancora oggi, nella percezione dei cittadini, vi è un’unica dizione per indicare il Museo (‘o Museo), perché di uno si è sempre trattato fino ai tempi recenti. La nascita delle «iperspecializzazioni» post belliche, che hanno distrutto l’idea fondante della composizione di collezioni eterogenee, ma sempre inquadrabili all’interno della cornice di pensiero di una dinastia, ha causato questa inestimabile perdita di visione, che si fondava, ovviamente, anche su una scelta di centralità dell’edificio rispetto al quartiere storico di Napoli. Dall’Unità d’Italia sino al 2014, l’idea di Museo Nazionale, idea che è passata attraverso le leggi Bottai e il Codice del 2004, è sempre stata piú o meno la stessa.

Il rapporto con il territorio dei vivi Basta concentrarsi sulla definizione dell’Istituto, fornita dall’art. 110, ancora presentato come luogo di conservazione, ma

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privo dei sostantivi «ricerca» e «diletto» che appaiono, invece, nella piú strutturata definizione dell’ICOM (International Council of Museums), che, tra l’altro, sarà presto rinnovata. La riforma del 2014 ha sicuramente fornito di nuovi strumenti e forza i musei autonomi, mettendoli in grado di programmare una strategia di lungo corso. La vicenda, è cosa nota, ha suscitato molte polemiche. La riconduzione degli Istituti nella cerchia degli autonomi o delle direzioni regionali dei musei – prima Poli – ha sganciato, secondo una parte di pensiero, i musei dal territorio (questo era il modello precedente in cui alle Soprintendenze spettava anche la conduzione specifica dei musei). Credo che su questo ci sia un equivoco di fondo, visto che si è sempre inteso come territorio solo quello dal quale derivano gli oggetti di scavo: un territorio, a tutti gli effetti, dei morti, non delle comunità vive. Oggi l’attenzione si sta spostando invece sul rapporto tra museo e territorio dei vivi, beninteso senza ignorare, sul piano scientifico, la differenza tra oggetti frutto di scavo, legati al collezionismo o provenienti da altri istituti. Semplicemente è ben chiaro ora che, anche alla luce di importanti documenti come la Convenzione di Faro o l’agenda UNESCO 2030, i musei considerano prioritaria, insieme alle quotidiane attività di tutela, restauro, conservazione, ricerca, produzione culturale, anche e soprattutto gli utenti finali e la comunità dei cittadini. E, dati i tempi, non possiamo nemmeno fare a meno di ricordare l’importanza delle comunità digitali e, perché no, di quelli che, in crescita esponenziale, sono secondo molti una iattura: i turisti. Torniamo dunque al punto di partenza delle lamentele di Timone di Fliunte, che vale anche per chi opera nei musei di oggi: attenti a non diventare animali rari litigiosi tra di loro e scollati dalla realtà. Questo mi pare sia stato un problema tutto italiano degli ultimi tempi. Questo è stato il motivo che ci ha portato, senza affrancarsi dalle normali attività istituzionali, a scegliere anche la via

Il poeta e filosofo Timone di Fliunte (320 circa-230 a.C. circa) in una incisione realizzata per la Storia della filosofia di Thomas Stanley. 1655 circa. Nella pagina accanto tavola che sintetizza i rapporti architettonicofunzionali che si verranno a creare tra il MANN e la città di Napoli grazie ai progetti di recente elaborati.


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IL MANN E LA CITTÀ

dell’impegno sociale e del ruolo attivo da parte del museo nella società civile. E, dunque, questo è il motivo per cui oggi possiamo parlare di una proposta di rigenerazione urbana all’interno del quartiere in cui insiste il MANN. Una proposta che, vale la pena dirlo, non sarebbe potuta essere presa seriamente in considerazione se il nostro istituto non avesse speso, tra il 2015 e il 2022, almeno 30 milioni di euro tra investimenti per il recupero del Palazzo; l’aggiunta di un’ala nuova con auditorium, ristorante, sala didattica, sala tecnologica, centro di restauro; la creazione di un bar, la riapertura al pubblico di tre giardini e di tutte le collezioni, con un’estensione superiore a quella del Museo alla metà del Novecento. All’orizzonte si profila una nuova stagione di investimenti, con una capacità di spesa di altri 12 milioni di euro per ricavare gli ambienti sotterranei e, di nuovo, molte altre risorse che deriveranno dai fondi PNRR destinate a cementare il legame del Museo, luogo di inclusione, con il quartiere e la città in termini di erogazione di servizi. Il MANN continuerà il progetto di disseminazione della propria presenza all’interno di strutture e istituzioni strategiche del centro storico, promuovendo una rete di sostegno alle strutture economiche che lavorano nel comparto dei beni culturali, in linea con i Piani Strategici 2016-2019 e 2020-2023, con i principi dello Statuto divenuti particolarmente impellenti anche a seguito dello shock pandemico che, tra l’altro, ha impoverito la possibilità di fruizione culturale sia sotto l’aspetto logistico che degli strumenti economici. Il MANN del futuro è anche al lavoro sugli spazi invisibili o poco noti al pubblico del Museo: il piano interrato, i depositi, l’area del giardino delle Cavaiole e la palazzina demaniale di Santa Teresa. Su queste aree si svilupperà il progetto di riqualificazione, per cui sono stati aggiudicati i lavori, 11 275 000 € di risorse del Fondo Sviluppo e Coesione 2014/2020. Un progetto nato da una rete interistituzionale, che amplierà le potenzialità espositive del

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Museo, migliorerà i servizi al pubblico e valorizzerà il legame tra l’Istituto e la città. Il progetto è elaborato da un raggruppamento temporaneo di professionisti (RPA srl, Studio Associato Guicciardini e Magni Architetti, ingegner Giovanni Cangi, architetto Fabrizio Natalini e architetto Pietro Petullà), anche sulla scorta degli studi condotti dal MANN e dai Dipartimenti di Architettura delle Università «Federico II» di Napoli e Roma Tre.

I cardini del progetto Tre i punti focali del progetto: in primis la realizzazione, nell’area posta al di sotto dell’Atrio, di un grande spazio destinato alle esposizioni temporanee, raggiungibile da un nuovo scalone (in sostituzione di quello che adesso collega il piano terra del Museo con la sezione Egizia e l’Epigrafica) e da un ascensore. L’area sarà anche prospiciente la Stazione Neapolis, che ospiterà la sezione sull’archeologia del Mediterraneo. Ancora, si lavorerà sui depositi delle Cavaiole, che custodiscono i materiali lapidei; qui saranno rinnovati gli impianti, con particolare riferimento alla sicurezza e alle condizioni microclimatiche: per rendere fruibile l’area anche ai visitatori, naturalmente in gruppi contingentati. È prevista anche l’implementazione dei servizi igienici nell’area sottostante il terrapieno di ingresso al MANN e a nord-ovest del Museo. Infine, focus sugli spazi a diretto contatto con la città: il cosiddetto giardino delle Cavaiole, interfaccia tra il Museo e piazza Cavour, sarà liberato dall’attuale cancellata di chiusura per assumere la funzione di piazza pubblica, ripristinando il rapporto diretto edificio-città, visibile in molte vedute storiche. I vani posti al piano terra su questo fronte, attualmente utilizzati come depositi e locali tecnici, saranno bonificati e destinati ad attività di valorizzazione della vita del quartiere. Spostandosi su via Santa Teresa degli Scalzi, la palazzina demaniale sarà oggetto di lavori di manutenzione straordinaria per realizzare una foresteria, dotata di quattro alloggi per studiosi.


Un momento delle attività svolte dai laboratori didattici del MANN.

Un Museo che si fa soggetto attivo nella società civile e non si limita a erogare servizi culturali, ma anche di natura sociale, per cercare di attenuare i divari ben presenti in una città come Napoli e, soprattutto, nei quartieri adiacenti l’istituto, come la Sanità e Forcella, rappresenta dunque un imperativo da cui ripartire. Diventava naturalmente fondamentale analizzare la parte di città a ridosso del MANN, sia in termini urbanistici, che economici e demografici, tenuto conto che in questi pochi chilometri quadrati si confrontano con il brand UNESCO, giustificato da moltissimi aspetti identitari di marca antropologica e culturale (culto di san Gennaro, street food, via dei Presepi di San Gregorio Armeno), oltre 200 chiese, una stratificazione impressionante di monumenti che va dalla dimensione sotterranea alla composizione verticale basata su bruschi salti di quota e una miriade di microcomunità che, nel tempo, si sono stanziate e integrate non sempre in maniera indolore con quella locale. Tra le più numerose ricordiamo la comunità cinese, quelle di Bangladesh, Sri Lanka, Pakistan, India, Marocco, Nigeria, Algeria,

Tunisia, Albania, Ucraina, Romania, ma anche l’attiva comunità greca. E qui sta il secondo punto chiave. Il MANN, cosciente di questa complessità che gravita all’esterno del proprio perimetro, in armonia con la creazione di un piano di fruizione generale del Museo elaborato con l’architetto Andrea Mandara, per governare e ottimizzare tutti i finanziamenti europei, quando si è trattato di destinare i finanziamenti FSC 20142021 (che miravano a potenziare l’aspetto di connessione del Museo alla città e in origine incardinati nelle spese generali europee per il sostegno al turismo), ha commissionato ai Dipartimenti di Architettura dell’Università «Federico II» di Napoli e di Roma Tre – rispettivamente coordinati dai professori Architetti Carlo Gasparrini e Giovanni Longobardi – uno studio di fattibilità di taglio storico-urbanistico/architettonico. L’intento era quello di riflettere sull’idea delle connessioni, in un asse virtuoso, del MANN con l’Istituto Colosimo, la Galleria Principe di Napoli (futura sede di spazi culturali e identitari della città, alcuni dei quali di diretta gestione del Museo), l’Accademia, il

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IL MANN E LA CITTÀ

Conservatorio di San Pietro a Majella, in un comprensorio progressivamente liberato dal traffico, ma anche in rapporto con le metropolitane. La risposta è stata di largo respiro, come solo l’Università può fare, libera da vincoli teorici e politici, piena di visione, ma al contempo perfettamente calata nella realtà dei luoghi. Di qui, a partire da un ridisegno dei rapporti architettonico-funzionali tra museo e città, la suggestione di una serie di percorsi che attraversano le sezioni dedicate ad attraversare il MANN (l’analisi del passaggio dalla Galleria Principe all’atrio del MANN, che sarà aperto al pubblico insieme ai giardini come una grande hall, fino ad arrivare al Colosimo), una piazza per il MANN (piazza Cavour), un giardino per il MANN (i giardini municipali), una galleria per il MANN (la galleria Principe), una terrazza per il MANN (vedi tavola a p. 19).

Il costante dialogo con il territorio Il passo successivo di questo progetto, come previsto dalle linee guida del Piano Strategico 2021-23 sarà definire l’istituto quale epicentro di un quartiere della Cultura, in cui sono connessi siti minori della rete ExtraMANN (derivati dal progetto OBVIA realizzato dall’Università «Federico II», in collaborazione con il MANN); i negozi amici; lo sportello INVITALIA di supporto alle imprese culturali che operano per il rilancio dei siti minori, ma non meno importanti del quartiere; la promozione di una riconversione green del Museo, anche con la progettazione di una serie di itinerari bike che innervano la città e il territorio e permettono di creare una rete continua di rimandi. Sono seguiti, in questo senso, anche studi di natura economica e sull’impatto economico e sociale del Museo nel quartiere, al fine di raccogliere utili dati per le nuove strategie, a cura della stessa Università «Federico II» in collaborazione con il MANN, e la progettazione di una piattaforma digitale di quartiere per monitorare e sostenere tutta la rete dei partners; il Museo ha anche sostenuto la

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realizzazione della app dei siti ExtraMANN, per consentire a cittadini e turisti di pianificare il proprio percorso alla scoperta della città.

Nel segno dell’inclusione Questo processo non si costruisce naturalmente solo a tavolino, ma si porta avanti tessendo una sottile trama di relazioni con le comunità sopra richiamate e, inoltre, con l’associazionismo, il mondo del volontariato, le grandi figure dei sacerdoti combattenti attive da sempre, perché si possa lavorare per abbattere il pauroso grado di descolarizzazione, rafforzare il senso di inclusione (il Museo aprirà l’atrio e le aree verdi a tutti senza bisogno di biglietto e proporrà abbonamenti annuali a prezzi simbolici, laboratori didattici, momenti di incontro interculturale, servizi alla cittadinanza di varia natura, a partire da asili per il quartiere), affiancando le istituzioni che quotidianamente, ciascuna per la propria parte, si occupano di assistenza sociale, educazione e sicurezza. La lotta contro la marginalità e la povertà sarà preponderante, in sede strategica, rispetto alla

Un’insolita veduta del Giardino delle Fontane, imbiancato dall’eccezionale nevicata caduta su Napoli nel 2018.


valorizzazione turistica, che comunque proseguirà con azioni dedicate. Anche in linea con esperienze di istituti e imprese del terzo settore a Berlino e Londra e i principi dell’ICOM, i musei devono diventare oggi luoghi di apprendimento non formale e di scambio socioculturale, con percorsi flessibili e individuali, capaci di sviluppare senso di appartenenza e cittadinanza attiva per TUTTA la comunità, soprattutto per quei pubblici a rischio di esclusione culturale ed educativa quali, per esempio, immigrati, nuovi cittadini e comunità straniera. D’altra parte, ancora l’ICOM punta il dito sulla necessità dell’abbattimento degli stereotipi e dei pregiudizi nella rappresentazione e nell’interpretazione della nostra storia, sulla necessità di prestare particolare attenzione alle differenti appartenenze linguistico-culturali, a chi è portatore di disagi socio-economico-ambientali o di povertà educativa, alla diversità di genere e di orientamento sessuale, all’esclusione sociale legata a situazioni detentive. I messaggi che deriveranno dalle azioni del

MANN saranno naturalmente coerenti, anche in chiave di costruzione di un palinsesto culturale con quanto in premessa: ricerca delle identità non solo locali; tracciamento di itinerari interculturali a partire dal mondo antico; insistenza sui temi del meticciato, delle voci dei vinti, da intendersi come ricchezza e non minaccia; formazione alla reciproca tolleranza e contributo alla nascita di un pensiero critico a partire dai fatti del mondo antico, senza la retorica e il filtro tradizionale; attenzione, anche in armonia con la nuova agenda UNESCO e la Convenzione di Faro, ai temi della sostenibilità energetica e ambientale.

Un quartiere della cultura In ultimo, vista la veloce evoluzione delle tecnologie che sono venute anche in soccorso nel periodo pandemico, sarà rivolta una particolare attenzione anche alle nascenti comunità digitali, che ormai costituiscono la parte preponderante dei classici «visitatori». L’obiettivo finale è dunque la creazione di un quartiere della cultura, all’interno del quale il grande attrattore funga da punto di riferimento per tutti gli abitanti, luogo dell’incontro e del confronto, capace di diventare «la casa di tutti» con servizi «alla portata di tutti». Se un museo si pone al servizio del proprio quartiere e della propria comunità, salvaguardando tutte le identità e promuovendone il dialogo, disseminando bellezza in ogni luogo si pongono le premesse per un recupero urbanistico, sociale e culturale della città. Ma, per tornare ai tempi del Museion e della Biblioteca di Alessandria, città tra l’altro eterogenea nei popoli e nelle culture almeno quanto Napoli, occorre un governo (all’epoca la dinastia macedone dei Tolomei) perché tale sperimentazione, che prevede un grande attrattore al centro di ogni distretto culturale cittadino (preferiamo questa dizione al termine stretto di Municipalità) possa essere incoraggiata e, eventualmente, replicata. Una città il cui nome è Neapolis è chiamata, se non altro per la radice stessa dell’etimo, ad adottarlo.

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Un artista nell’arte DA MOLTI ANNI IL TALENTO FOTOGRAFICO DI LUIGI SPINA SI È SOFFERMATO SULLE RACCOLTE DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI NAPOLI. IL SUO OCCHIO HA LETTO E RILETTO OPERE FAMOSE E MENO NOTE. UNA RIFLESSIONE CONTINUA, RIVELATRICE, CONFLUITA IN MOSTRE E PUBBLICAZIONI, E DI CUI, NELLE PAGINE CHE SEGUONO, OFFRIAMO ALCUNI MOMENTI ESCLUSIVI Sulle due pagine vedute della statua di Aristogitone, facente parte del gruppo dei Tirannicidi (per la descrizione dettagliata, vedi a p. 102).

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In alto un particolare della possente muscolatura dell’Ercole Farnese (per la descrizione dettagliata, vedi a p. 101). Nella pagina accanto particolari di due statue della dea Venere (in secondo piano, una replica del tipo noto come Venere Capitolina).

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Ancora due immagini di una Venere Capitolina. Si tratta della copia romana (II sec. d.C.) di un originale greco eseguito nel III-II sec. a.C. L’opera fa parte del ricco corpus di sculture della Collezione Farnese.

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In basso et utem net laut facient et quam fugiae officae ruptatemqui conseque vite es sae quis deris rehenis aspiciur sincte seque con nusam fugit et qui bernate laborest, ut ut aliquam rentus magnim ullorepra serro dolum

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I volti di due delle Danaidi (o Danzatrici), gruppo di cinque sculture in bronzo rinvenute nel peristilio rettangolare della Villa dei Papiri di Ercolano.

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In alto il volto di una statua in bronzo raffigurante il dio Apollo saettante, dal tempio di Apollo a Pompei. A sinistra particolare dell’Antinoo Farnese, scultura rinvenuta a Roma nel Cinquecento.

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Sulle due pagine reperti attualmente conservati nel deposito del Museo noto come «Sing Sing», al quale Luigi Spina ha dedicato uno dei suoi progetti piú recenti.

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Ritratto del re Carlo III di Spagna con la divisa dell’Ordine da lui stesso creato, olio su tela di Mariano Salvador Maella. 1783-1784. Madrid, Palazzo Reale.

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Tre secoli di storia

GIÀ PROMOTORE DEI PRIMI SCAVI A POMPEI ED ERCOLANO, CARLO III DI BORBONE TIENE A BATTESIMO IL PRIMO MUSEO ARCHEOLOGICO. UNA RACCOLTA FIN DA SUBITO DI RILEVANZA «UNIVERSALE» GRAZIE AI CAPOLAVORI DELLA COLLEZIONE FARNESE, CUI VANNO AD AGGIUNGERSI, SEMPRE PIÚ NUMEROSI, I MATERIALI PROVENIENTI DALL’AREA VESUVIANA di Paolo Giulierini e Caterina Serena Martucci

I

l Museo Archeologico Nazionale di Napoli ha radici antiche e la ricchezza e peculiarità delle sue collezioni lo hanno reso un elemento fondamentale nella formazione della cultura occidentale e non solo. La sua origine è legata alla figura di Carlo di Borbone, che salí nel 1734 sul trono del Regno di Napoli, e rese quest’ultimo indipendente dall’impero austriaco. Il Museo rappresenta un tassello della complessa e articolata politica

A sinistra Elisabetta Farnese, olio su tela di Jean Ranc. 1723. Madrid, Museo del Prado. A destra ritratto di Ferdinando IV, olio su tela di Anton Raphael Mengs. 1772-1773. Aranjuez, Palazzo Reale.

culturale del sovrano. Si deve infatti a Carlo l’inizio degli scavi nelle città vesuviane sepolte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. (nel 1738 comincia lo scavo di Ercolano, nel 1748 di Pompei). Il re, inoltre, intendeva creare a Napoli un Museo Farnesiano, nel quale trasferire parte della ricca collezione di arte e antichità ereditata dalla madre, Elisabetta Farnese, divisa tra le residenze di famiglia a Roma, (segue a p. 42)

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STORIA E ALLESTIMENTO

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Sulle due pagine l’atrio (in basso) del MANN e lo scalone monumentale che conduce al primo piano, dominato dalla statua di Ferdinando IV di Borbone realizzata da Antonio Canova.

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Villa dei Papiri

Ampliamento sezione pompeiana Plastico di Pompei

Napoli antica €

biglietteria

area didattica

caffetteria

fasciatoio e baby pit stop

informazioni

percorso disabili

bookshop Magna Grecia

toilette

ascensore

Oggetti scale della vita quotidiana Salone della Meridiana

Italia meridionale

Culti orientali

Pompei, Ercolano e le città Vesuviane

Tempio di Iside

Cuma

Tre piani di meraviglie

Auditorium

Piana campana

Affreschi

Preistoria e Giardino della Vanella Isola d'Ischia Protostoria

Collezione Egizia

147 146

145 Preistoria e Protostoria livello superiore 1

Giardino delle camelie

Giardino delle fontane

atrio

148

149

Preistoria e Protostoria livello superiore 2

Gemme Farnese

Piano terra

Campania Romana

ingresso

Sculture Farnese

Gabinetto segreto

Mosaici e Casa del Fauno

Numismatica

Collezione Egizia

Collezione Epigrafica

Sotterraneo €

biglietteria

area didattica

caffetteria

fasciatoio e baby pit stop

ascensore

informazioni

percorso disabili

bookshop

toilette

scale

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Auditorium


Villa dei Papiri

Ampliamento sezione pompeiana

Villa dei Papiri

Ampliamento sezione pompeiana

Villa dei dei Papiri Papiri Villa

Ampliamento Ampliamento sezione sezione pompeiana pompeiana

Napoli antica

Plastico di Pompei

Napoli antica Napoli antica antica Napoli

Magna Grecia

Italia meridionale meridionale Italia

Cuma Piana Cuma Cuma campana

Plastico di di Pompei Pompei Plastico Culti orientali

Oggetti della vita quotidiana

Magna Italia meridionale Grecia Magna Magna Grecia Grecia Italia meridionale

Cuma

Piana campana Piana Piana campana campana

Plastico di Pompei

Pompei, Ercolano e Salone Oggetti della città Vesuviane della Meridiana vitalequotidiana Oggetti della della Oggetti vita quotidiana quotidiana vita Pompei, Ercolano e Salone le città Vesuviane della Meridiana Pompei, Ercolano e e Pompei, Ercolano Salone Salone le città città Vesuviane Vesuviane della Meridiana Meridiana le della

Preistoria e Isola d'Ischia Protostoria

Affreschi

Preistoria e Isola d'Ischia Protostoria Preistoria e Preistoria e 147 146 Protostoria 145 Isola Isola d'Ischia d'Ischia Protostoria

Affreschi

Tempio di Iside Culti orientali Culti Culti orientali orientali Tempio di Iside Tempio Tempio di di Iside Iside

Affreschi Affreschi Preistoria e Protostoria livello superiore 1

147 146 147 146 147 146

145 145 145

Preistoria e Protostoria livello superiore 1 Preistoria e e Protostoria Protostoria livello livello superiore superiore 1 1 Preistoria

148

149

148

149

148 148

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Preistoria e Protostoria livello superiore 2

Preistoria e Protostoria livello superiore 2 Preistoria e e Protostoria Protostoria livello livello superiore superiore 2 2 Preistoria

Secondo piano Gabinetto segreto

Gabinetto segreto Gabinetto segreto segreto Gabinetto Mosaici e Casa del Fauno Mosaici e Casa del Fauno Mosaici Mosaici e e Casa Casa del del Fauno Fauno

Numismatica

Numismatica Numismatica Numismatica

Primo piano €

biglietteria

area didattica

caffetteria

fasciatoio e baby pit stop

ascensore

biglietteria informazioni

area didattica percorso disabili

caffetteria bookshop

fasciatoio e baby pit stop toilette

ascensore scale

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STORIA E ALLESTIMENTO

Parma e Piacenza. Fu tuttavia suo figlio, Ferdinando IV, che nel 1777 decise di riunire nell’attuale edificio (allora conosciuto come Palazzo dei Vecchi Studi) la Collezione Farnese e la raccolta di reperti vesuviani già ospitati nel Museo Ercolanese, ubicato nel Palazzo Caramanico, all’interno della Reggia di Portici. Si dovrà però attendere il decennio francese (1806-1815) per il primo allestimento delle collezioni del Museo che nel 1816, dopo il ritorno dei Borbone sul trono di Napoli, assunse il nome di Real Museo Borbonico. Si trattava di un’istituzione culturale concepita come Museo universale e ospitava, al suo interno, istituti e laboratori, quali la Real Biblioteca, l’Accademia del Disegno, l’Officina dei Papiri, poi trasferiti in altre sedi.

Scavi e acquisizioni Nel 1860, con l’annessione allo Stato italiano, il Museo divenne Nazionale. Le sue raccolte, nel corso della sua lunga storia, sono state incrementate sia dai reperti provenienti dagli scavi nelle province del Regno (basso Lazio, Campania Abruzzo, Molise, Calabrie, Puglie, Sicilie), sia dall’acquisizione di collezioni private. L’attuale fisionomia e denominazione di Museo Archeologico sono state determinate dal trasferimento della Pinacoteca a Capodimonte nel 1957. Le vicende dell’istituto si intrecciano con la storia e la politica culturale nel nostro Paese, con direttori di alto profilo che hanno impresso il segno nella formazione e allestimento delle collezioni: da Michele Arditi (il primo direttore) ad Alexandre Dumas padre (nominato da Garibaldi), da Paolo Orsi a Ettore Pais ad Amedeo Maiuri. Sebbene privato della quadreria, il Museo mantiene le caratteristiche di un istituto culturale centrale: oltre alle collezioni, infatti, comprende importanti depositi (celeberrimi ormai, tra gli altri, quelli ribattezzati Sing Sing e le Cavaiole), un medagliere, una biblioteca storica, un deposito dei rami della stamperia borbonica, un archivio fotografico, un gabinetto di stampe e disegni, punti di riferimento a livello internazionale. Il Museo ha una storia anche letteraria, nelle

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pagine di tanti uomini di cultura e viaggiatori famosi, tra cui ricordiamo, per fare qualche esempio, Andersen (che gli dedica diverse pagine dei suo diari), Goethe e lo stesso Dumas. Notevole è la sua influenza in campo


artistico: maestri del calibro di Canova, Thorvaldsen, Renoir, Picasso hanno tratto ispirazione dalle opere custodite nel Museo, che ha contribuito, dalla sua istituzione, alla formazione del gusto europeo. Le collezioni

Il Palazzo Reale di Portici alle falde del Vesuvio, acquerello di Giovanni Battista Lusieri. 1784. Collezione privata. Del complesso faceva parte il Museo Ercolanese, ubicato nel Palazzo Caramanico, i cui reperti furono trasferiti a Napoli per volere di Ferdinando IV.

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STORIA E ALLESTIMENTO

vesuviane, del resto, divennero una tappa obbligata del Grand Tour e il gusto europeo per le antichità pompeiane riverberò sugli stili architettonici, le arti visive (si pensi ai preraffaelliti o ai quadri di ispirazione neoclassica) e le cosiddette arti minori (mobili, ceramiche, abbigliamento, gioielleria, acconciature). Le tecniche di riproduzione fotografica, di recente invenzione, furono precocemente utilizzate in archeologia per la documentazione degli allestimenti; mentre la tecnologia di riproduzione in scala reale degli oggetti antichi, applicata ai manufatti custoditi nel Museo, condusse alla realizzazione di copie di alta qualità in bronzo da parte delle fonderie Chiurazzi e Sommer. Il Museo è stato definito come la piú grande pinacoteca del mondo antico, riferendosi all’immenso patrimonio di affreschi dalle città vesuviane, che rappresenta, in maniera indiretta, la piú ampia testimonianza della pittura greca, raramente sopravvissuta allo scorrere dei secoli. Le classifiche e i primati sono

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transeunti come la gloria umana, tuttavia la varietà e importanza delle collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (si pensi solo alla Farnese) ne fanno forse il piú importante museo di archeologia classica al mondo.

Una lunga gestazione La costruzione della sede napoletana, che originariamente doveva ospitare una cavallerizza, ovvero una caserma di cavalleria, risale alla fine del Cinquecento. Abortito tale progetto, promosso dal viceré spagnolo don Pedro Giron, dal 1616 al 1777 fu sede dell’università, per impulso del viceré don Pedro Fernandez de Castro, con il nome di Palazzo degli Studi. A partire dal 1777, individuata la sede del nuovo museo, l’edificio subí una lunga fase di ristrutturazione e ampliamento, a opera degli architetti Ferdinando Fuga e Pompeo Schiantarelli. Attualmente i cinque livelli dell’edificio (dal piano seminterrato al secondo) sono collegati dalle scale antiche e da moderni ascensori.

Il trasporto delle antichità di Ercolano dal Museo di Portici al Palazzo dei Vecchi Studi di Napoli, in un’incisione del XVIII sec.


In alto un’altra immagine dello scalone monumentale del Museo. A destra il Giardino delle Camelie.

Il Palazzo che ospita il Museo si estende, complessivamente, per circa 18 500 mq, di cui circa 8550 sono attualmente adibiti ad aree espositive: al piano interrato si trovano le sezioni Egizia (vedi box alle pp. 46-47) ed Epigrafica; al piano terra la Collezione Farnese, il Giardino delle Camelie, il Giardino delle Fontane e il Giardino della Vanella; al piano ammezzato Mosaici, Gabinetto Segreto (vedi box alle pp. 68-73), Numismatica (vedi box alle pp. 62-63); al primo piano Gran Salone della Meridiana, Oggetti della vita quotidiana dalle città vesuviane, Plastico di Pompei, Culti

orientali, Tempio di Iside di Pompei (vedi box alle pp. 74-75), Affreschi dalle città vesuviane, Preistoria e Protostoria, Isola d’Ischia, Piana Campana, Villa dei Papiri (vedi box alle pp. 78-83), Magna Grecia (vedi box a p. 77); al secondo piano il Medagliere, sottoposto ad accesso riservato. I depositi coprono una superficie di circa 6000 mq, mentre gli uffici amministrativi, la Biblioteca storica, gli Archivi, il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe occupano circa 3400 mq.

L’atrio Nella configurazione attuale l’atrio del Museo (vedi foto a p. 39) ospita la biglietteria e il bookshop a sinistra, il guardaroba a destra. Lo spazio centrale è scandito da pilastri rivestiti da stendardi che illustrano, in forma sintetica e accattivante, le diverse sezioni, come una sorta di indice del Museo. L’atrio, in effetti, è concepito proprio come uno spazio di introduzione e smistamento dei flussi. In occasione delle grandi mostre, inoltre, gli

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STORIA E ALLESTIMENTO

Il Gran Salone della Meridiana con le opere selezionate per la mostra «Canova e l’Antico» (28 marzo-30 giugno 2019).

La sezione egizia

L

a sezione egizia è collocata al piano interrato, sul lato orientale dell’edificio. La sala XVII, contigua alla Collezione Farnese, propone un’introduzione storica – che narra il fenomeno del «collezionismo delle antichità egiziane» e la storia dei primi allestimenti del Settecento e dell’Ottocento della raccolta napoletana – completata da una selezione di calchi ottocenteschi in gesso di monumenti egiziani ricevuti in dono dal Museo al tempo di Giuseppe Fiorelli. Da qui una comoda scala conduce al livello inferiore, dove il cosiddetto Naoforo Farnese (una statua di sacerdote di epoca tarda) introduce alla sezione vera e propria, raggiungibile anche tramite ascensore. Seconda per importanza in Italia solo alle raccolte del Museo Egizio di Torino, il nucleo originario della sezione risale al periodo compreso tra il 1817 e il 1821. Gli oggetti che la compongono sono frutto sia dell’acquisizione di celebri collezioni private (Borgia, Drosso-Picchianti, Hogg e Schnars) sia degli scavi borbonici in area vesuviana e flegrea. Fa eccezione il già ricordato Naoforo Farnese, ritratto di un sacerdote inginocchiato che regge tra le mani un tempietto (naòs) con la statua del dio Osiride. Il recente allestimento (2016) è distribuito in sette sale (XVII-XXIII) che illustrano, per temi, le caratteristiche principali della civiltà egiziana: la sfera del potere, il mondo dei morti, i culti e la magia,

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l’organizzazione socio-economica. Dopo l’introduzione sulle collezioni che formano la sezione, esemplificata da una selezione dei reperti piú significativi, l’allestimento si apre, nella sala XIX, con il tema «Il faraone e gli uomini»: qui sono esposte quasi tutte le sculture della collezione raffiguranti faraoni, funzionari civili e militari, scribi e sacerdoti (tra cui la «Dama di Napoli» dell’Antico Regno; la statua del maggiordomo Nakt del Medio Regno; il monumento di Amenemone del Nuovo Regno, le «statue ritratto» di epoca tarda), mettendo in evidenza l’evoluzione delle forme del potere politico e della società nelle diverse epoche della storia egiziana. Nelle due sezioni successive – «La tomba e il corredo


In basso, sulle due pagine particolari dell’allestimento della sezione egizia del Museo, situata al piano interrato.

elementi iconici dell’esposizione sono collocati proprio qui, quasi come in una vetrina. I giardini storici, delle Camelie e delle Fontane, si aprono rispettivamente a sinistra e a destra, mentre in fondo, sullo scalone monumentale neoclassico, realizzato all’inizio dell’Ottocento, in una nicchia si può ammirare la statua di Ferdinando I di Borbone, opera di Antonio Canova, che lo rappresentò nelle vesti di Atena, protettrice delle arti.

La sezione epigrafica Al piano interrato, contigua alla sezione egizia, è allestita la sezione epigrafica, formata, a partire dal XVIII secolo, in parte da reperti acquistati sul mercato antiquario, e in parte

funerario» e «La mummificazione» – protagonista è la sfera funeraria, che nella civiltà egiziana assume evidenza e forme assai peculiari. Nella sala XX, oltre all’illustrazione delle modalità di sepoltura e del «Libro dei Morti», sono presentate stele (come quelle di Hat e di Amenhotep), rilievi dipinti e iscritti, i tipici ushebty (statuine di servitori nelle varie mansioni quotidiane, che accompagnavano il defunto nelle tombe piú eminenti), contenitori e ornamenti presenti nei corredi funerari. La sala XXI, che suscita il maggiore interesse del pubblico, ospita diverse mummie umane (in sarcofagi lignei e non, ricostruite con i loro cartonnage e amuleti), sigilli scaraboidi e i tipici vasi canopi, destinati a contenere gli organi del

frutto di ricerche archeologiche. L’allestimento offre un quadro delle principali lingue in uso nell’Italia centro-meridionale lungo un arco cronologico che va dal VI secolo a.C. al II secolo d.C. La maggior parte dei documenti – 2000 circa – è in latino, mentre 200 sono i testi in greco e un centinaio nelle lingue italiche. Il nucleo iniziale della raccolta è parte della Collezione Farnese, formata su impulso di papa Paolo III alla metà del XVI secolo, che comprende circa 200 iscrizioni di provenienza romana e laziale, esposte presso le residenze di famiglia per il loro valore monumentale e in riferimento a un passato esemplare. Al nucleo farnesiano si aggiunsero altre collezioni, acquistate dal Museo nella prima metà

defunto. La tematica affrontata nella sala XXII è relativa a «Religione e magia», esemplificata attraverso le immagini delle principali divinità del pantheon egiziano – statuette in pietra e bronzo, amuleti ed elementi decorativi, tre mummie del dio coccodrillo Sobek – e con riferimenti ai templi monumentali, alla mitologia, al sincretismo religioso e alle credenze magiche. Conclude l’esposizione la sala XXIII, dedicata a «Scrittura, arti e mestieri», che illustra la lingua e la scrittura geroglifica, la cultura, l’organizzazione del lavoro e i mestieri – come lo scriba e lo scultore –, mettendo in evidenza la fitta rete di contatti mediterranei tra l’VIII secolo a.C. e l’età romana.

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STORIA E ALLESTIMENTO

dell’Ottocento: la raccolta dell’erudito settecentesco Francesco Daniele – acquistata nel 1812 –, quella del cardinale Stefano Borgia – che include circa 260 iscrizioni di area umbra e laziale, entrate nel patrimonio museale nel 1817 -, e la raccolta di epigrafi flegree costituita da Carlo Maria Rosini – vescovo di Pozzuoli e antiquario – entrata a far parte del patrimonio museale nel 1856. A parte gli acquisti, un contributo rilevante alla formazione della raccolta è costituito dai reperti frutto di scavi o recuperi occasionali in Campania e nelle altre province meridionali, effettuati, senza soluzione

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di continuità, dal periodo borbonico fino alla piú recente attività di tutela delle Soprintendenze. L’allestimento segue un criterio topografico, mettendo in evidenza i singoli centri e i contatti tra i diversi gruppi linguistici. Il percorso si apre con le colonie della Magna Grecia, responsabili della diffusione dell’alfabeto greco in Occidente dall’VIII secolo a.C., e dedica una particolare attenzione a Neapolis, città che si esprime in lingua greca nei testi ufficiali fino al III secolo d.C. e oltre, come testimoniato da epigrafi funerarie di età bizantina. Il racconto prosegue con le attestazioni in osco dai centri

Un particolare dell’allestimento della sezione epigrafica, i cui materiali offrono un quadro delle principali lingue in uso nell’Italia centro-meridionale dal VI sec. a.C. al II sec. d.C.


culti e attività produttive, per esempio di laterizi o di vino, testimoniati dai bolli impressi sull’argilla ancora cruda. Il corpus epigrafico di Pompei, infine, comprende anche testimonianze piú estemporanee, che permettono di calarsi nella realtà quotidiana di una città antica, come i graffiti o le scritte dipinte sui muri, spesso legate alle competizioni elettorali o ai giochi gladiatori.

La Collezione Farnese

campani di Capua, Nola, Pompei e Cuma, che documentano culti, istituzioni politiche e religiose. Sono particolarmente importanti il frammento della Tabula Osca Bantina – il documento piú lungo noto in lingua osca insieme al Cippo Abellano – cui si affiancano documenti dall’area irpina e testimonianze relative al santuario sannitico di Pietrabbondante. La parte preponderante dell’allestimento illustra il processo di romanizzazione e la vita pubblica di centri come Pompei, Ercolano e Pozzuoli: le iscrizioni nominano magistrati, opere edilizie,

Il pianterreno dell’ala orientale del Museo ospita la Collezione Farnese, forse la piú celebre raccolta di antichità romane, che affonda le radici della sua formazione nel Rinascimento. La sua costituzione è legata a una tenace politica di acquisizioni da parte della piú potente famiglia romana dell’epoca, i Farnese appunto, cui apparteneva il cardinale Alessandro, iniziatore della collezione, asceso al soglio pontificio come Paolo III nel 1534, seguito dai suoi nipoti, i cardinali Alessandro (conosciuto come il «grande cardinale») e Odoardo, che incamerarono cospicui lasciti. Le dimore di famiglia furono impreziosite dai capolavori dell’arte antica, soprattutto marmi e statue, frutto di acquisti sul mercato antiquario, requisizioni e scavi archeologici. Nel 1541, infatti, Paolo III aveva emanato un editto in forza del quale la sua famiglia aveva il diritto esclusivo di eseguire scavi per ricavare marmi antichi, pietre e sculture da utilizzare per la costruzione di edifici. In seguito a questi scavi, per esempio, il palazzo di famiglia in Campo de’ Fiori, a Roma (oggi sede dell’Ambasciata di Francia) fu decorato con le colossali sculture provenienti dal complesso delle Terme di Caracalla, secondo scenografie progettate da Michelangelo. Le opere ritenute di minore valore andavano nelle altre residenze di famiglia, come la villa della Farnesina (attualmente sede del Ministero italiano degli Esteri) e i cosiddetti Horti Farnesiani sul Palatino, giardini sistemati artisticamente con marmi antichi a opera dell’architetto Vignola. Tra i lasciti famosi, che andarono ad arricchire la collezione, ricordiamo la celebrata Tazza

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STORIA E ALLESTIMENTO

Farnese, un eccezionale cammeo in agata sardonica, in origine parte del tesoro di Cleopatra VII ad Alessandria (vedi box alle pp. 54-55), giunta in possesso di Margherita d’Austria, soprannominata «la Madama», figlia naturale dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, che aveva sposato in prime nozze Alessandro de’ Medici, del quale aveva ereditato la collezione, e poi Ottavio Farnese, duca di Parma. Attraverso Margherita d’Austria la Collezione Farnese si arricchí anche della raccolta di Fulvio Orsini, numismatico e antiquario, già bibliotecario di Lorenzo de’Medici, a sua volta un appassionato collezionista di gemme, busti, monete e libri antichi. Con il trasferimento a Parma della dinastia cominciò il declino delle collezioni romane e lo spostamento di una serie di opere nella nuova sede nel corso del Seicento. Furono ancora una volta vicende dinastiche ed ereditarie che mossero la collezione, portandola a Napoli con Carlo III di Borbone, che aveva conquistato e fondato il regno nel 1734, ereditando nel 1731 la raccolta farnesiana dalla madre Elisabetta, figlia di Odoardo II Farnese, principessa di Parma e Piacenza, ultima discendente del suo casato e regina consorte di Filippo V di Spagna. Nel 1770 il successore di Carlo, suo figlio

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Sulle due pagine immagini delle sale nelle quali sono esposte le grandi sculture della Collezione Farnese. Si riconoscono, fra gli altri, l’Ercole (in alto) e il Toro (a sinistra, sullo sfondo).

Ferdinando IV, chiese al Papa di trasferire a Napoli anche le collezioni romane, nonostante le reazioni diplomatiche pontificie, le proteste degli antiquari e l’esplicita proibizione del testamento del cardinale Alessandro, che aveva vincolato la collezione alla città di Roma. Le opere arrivarono a Napoli a partire dal 1787. Nell’attuale ordinamento espositivo del MANN i marmi e le sculture della Collezione Farnese sono disposti in modo da evidenziare la storia collezionistica e l’importanza di tali opere nel programma di autocelebrazione del casato e nella formazione della cultura antiquaria rinascimentale. Considerate le modalità di scavo dell’epoca, poco attente al contesto di rinvenimento, si è scelto di ricostruire, ove possibile sulla base della documentazione di archivio, la disposizione nelle residenze di

famiglia: dall’omonimo palazzo in Campo de’ Fiori, con le sue gallerie di ritratti imperiali e la galleria affrescata dai Carracci, alle ville, tra cui la cosiddetta Farnesina, villa Madama, gli Horti Farnesiani sul Palatino. Singole sezioni sono dedicate a temi specifici, come i ritratti dei filosofi e degli imperatori, oppure le gemme, organizzate sulla base dei nuclei collezionistici di provenienza. Laddove possibile, si è proceduto alla ricomposizione dei contesti di scavo, come nel caso dei frammenti architettonici dall’Aula Regia della domus Flavia (costruita da Domiziano sul Palatino); dei rilievi dell’Hadrianeum (il tempio dedicato da Antonino Pio in memoria di Adriano nel 145 d.C. in Campo Marzio); le Terme di Caracalla, scavate dai Farnese tra il 1545 e il 1546 sull’Aventino, da cui provengono opere

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STORIA E ALLESTIMENTO

L’Ercole Farnese, copia di età severiana da un originale in bronzo del IV sec. a.C. attribuito a Lisippo o alla sua scuola (per la descrizione dettagliata, vedi a p. 101). Nella pagina accanto un particolare dell’allestimento della sezione dedicata alla Campania romana.

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eccezionali, considerate ormai iconiche del Museo, come il Toro e l’Ercole.

Campania Romana L’ala occidentale del pianterreno è destinata a ospitare la nuova sezione dedicata alle sculture romane della Campania. Non solo i siti vesuviani – come Pompei ed Ercolano – ma anche flegrei – come Cuma, Baia, Pozzuoli – e dell’entroterra – come l’antica Capua (corrispondente all’attuale Santa Maria Capua Vetere, Caserta) – saranno idealmente evocati attraverso il panorama di statue, iscrizioni, pitture che ornavano gli edifici monumentali. Nelle sale, infatti, sono ricostruiti una serie di

contesti della prima età imperiale, superando il criterio della divisione per classi di materiali, che caratterizzava gli allestimenti storici. Gli elementi decorativi recuperano la loro associazione originaria, in modo da offrire al visitatore un’idea dei grandi edifici nei quali si svolgeva la vita pubblica – civile e religiosa –, dei committenti e dei loro ideali di autorappresentazione. Il percorso comincia nel portico, a sinistra dell’atrio (sala XXX), con una selezione di materiali da Pozzuoli e dalla necropoli di Pompei, tra i quali spicca il rilievo funerario con scene di giochi gladiatori (vedi foto alle (segue a p. 56)

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LE GEMME FARNESE U

na porta alle spalle dell’Ercole Farnese introduce alla sezione delle gemme farnesiane. Questa raccolta, formata a Parma alla metà del XVII secolo, comprendeva incisioni e cammei provenienti da altre importanti collezioni private risalenti al XV secolo, come quelle appartenute al pontefice veneziano Paolo II Barbo, a Lorenzo il Magnifico e al suo bibliotecario Fulvio Orsini, ai cardinali Ranuccio e Alessandro Farnese. Ereditata da Carlo III di Borbone, la raccolta venne

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Sulle due pagine il cammeo in agata sardonica noto come Tazza Farnese. Prodotto ad Alessandria d’Egitto, è databile tra il II e il I sec. a.C. Presenta sul fondo esterno un’egida su cui si inserisce al centro un grande gorgoneion: la testa di Medusa.

portata a Napoli nel 1736 e, intorno alla metà del secolo, fu trasferita a Capodimonte, dove il re voleva far costruire un Museum Farnesianum. Nel 1806, scacciato dai Francesi di Gioacchino Murat, Ferdinando IV di Borbone fuggí a Palermo, portando con sé, insieme ad altre opere, la raccolta di gemme, che solo nel 1817 tornò a Napoli, insieme al re, che la destinò al Real Museo Borbonico. Le gemme, antiche e moderne, sono oggi esposte in due sale al pianterreno del Museo in una selezione di esemplari significativi. Organizzata per criteri iconografici, la sala IX è dedicata al nucleo collezionistico raccolto da Ranuccio e Alessandro Farnese; mentre la sala X ospita le gemme Barbo, del tesoro di Lorenzo de’ Medici e di Fulvio Orsini, divise per maestri ed epoche, ma anche per temi iconografici, secondo gli interessi dell’antiquario dei Farnese. L’oggetto piú notevole è la Tazza Farnese, il piú celebre e grande cammeo dell’antichità, in agata sardonica incisa ad Alessandria d’Egitto e databile tra la fine del II e il I secolo a.C.

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STORIA E ALLESTIMENTO

Il cosiddetto Doriforo, copia romana da un originale greco di Policleto, dalla Palestra Sannitica di Pompei. In basso sarcofago raffigurante il mito di Prometeo. III sec. d.C.

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pp. 60/61, in alto). La visita prosegue (sala XXXII) con i centri flegrei di Cuma e Baia: tra i capolavori si segnala la famosa statua colossale di Giove dal Capitolium di Cuma, soprannominata storicamente «Gigante di Palazzo» perché si trovava nella piazza accanto al Palazzo Reale di Napoli. Un cospicuo numero di sale è dedicato a Pompei: il Foro Triangolare e l’insula dei Teatri (sala XXXIII); il tempio di Apollo e il tempio di Venere, dai quali provengono, rispettivamente, la statua in bronzo del dio saettante e una lucerna d’oro dedicata probabilmente dall’imperatore Nerone, in visita con Poppea (sala XXXIV); il Foro, il tempio di Giove, la Basilica e l’Edificio di Eumachia – con la sua statua onoraria in marmo (sala XXXVIII); il Foro e gli edifici di culto imperiale (sala XXXIX). La visita prosegue con le sale dedicate a Ercolano: i grandi gruppi statuari dal Foro, tra cui le celebri statue equestri dei Noni Balbi (sala XXXV) e la famosa quadriga in bronzo, restaurata e ricostruita (sala XL); il Teatro, da cui proviene una serie di statue in bronzo legate alla dinastia giulio-claudia (sala XLI); e l’Augusteum, con le statue imperiali colossali di Augusto e Claudio e gli affreschi celeberrimi


con Eracle e Onfale, Chirone e Achille. La sala XLV ospita una selezione di sarcofagi e urne, a testimonianza dei rituali funerari; la XLIV è dedicata a Formia; la sala XLVIII al confine tra Lazio e Campania (Minturnae, Gaeta, Fondi, Sinuessa); la XLIX, infine, a Capua, con le eleganti sculture che decoravano la summa cavea dell’Anfiteatro Campano.

Diomede, copia romana di un originale greco di Cresila, da Cuma.

La sezione del Mediterraneo Al piano interrato del Museo, in contiguità con la fermata «Museo» della linea 1 della metropolitana, la futura sezione accoglierà una selezione dei reperti dai recenti scavi per la metropolitana a Napoli per raccontare, insieme alla sezione dedicata a Napoli antica, il legame millenario tra Neapolis e il Mediterraneo, con il mito di fondazione legato alla sirena Parthenope, il primo nucleo abitativo di coloni greci da Rodi e la vera e propria fondazione da parte dei Greci provenienti dalla vicina Cuma. La sezione narra le vicende legate al mare della città, dal periodo greco a quello romano, attraverso numerosi reperti provenienti dai fortunati scavi del porto, ma approfondisce anche temi di portata piú generale legati al

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Mare Nostrum, da sempre crocevia di culture, lingue, popoli. L’allestimento ruota attorno a diversi nuclei tematici: il primo è «il Mediterraneo che fu», incentrato su una mappa interattiva, nella quale si esplicita la nascita e la formazione del Mediterraneo, il suo paesaggio sommerso fatto di rotte e giacimenti archeologici, il suo ecosistema, la biologia marina. Segue «la mitologia e il mare», rassegna di vasi figurati sui quali sono narrati racconti legati al mare. Nell’immaginario greco il mare è il luogo del mito, di Poseidone, dei Tritoni, di mostri come il kétos o di uccelli alati che lo sorvolano come le arpie o le sirene. Il mare è limite tra il mondo dei vivi e quello dei morti (pensiamo al tuffo nell’aldilà rappresentato sulla celebre

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Nella pagina accanto il Cavallo Mazzocchi, un pastiche settecentesco realizzato con frammenti di sculture bronzee dell’inizio del I sec. d.C., da Ercolano. In basso reperti dagli scavi eseguiti in occasione dei lavori della metropolitana a Napoli.

Tomba del Tuffatore di Paestum); è la distesa «color del vino» (come lo descrive Omero), che accoglie le avventure di Ulisse e dei profughi greci e troiani (si pensi all’Enea virgiliano); una rassegna di vasi figurati illustra tali racconti legati al mare, tra mostri marini e divinità. Si continua con «Bellezza ed Otium», soffermandosi sull’antico paesaggio costiero mediterraneo, luogo di elezione, a partire dall’età repubblicana, per la costruzione di architetture che sfruttano scenari mozzafiato: le ville marittime e i loro apparati decorativi, le argenterie, vasi, arredi. Il percorso si chiude infine con «L’archeologia subacquea e la Campania», descrivendo la scoperta di Baia durante una ricognizione aerea. La sezione illustra il patrimonio sommerso campano, le

prime scoperte lungo la costa, i protagonisti e i pionieri della disciplina, le grandi scoperte, come le anfore da carico e le lucerne dal porto Giulio, le testimonianze delle comunità straniere insediatesi nel porto di Pozzuoli come i Nabatei, che dedicarono altari al loro dio Dusares. Partendo dalla Campania, l’allestimento offre un itinerario culturale del Patrimonio Subacqueo del Mediterraneo con uno sguardo alla contemporaneità, all’ecologia, al quadro dei commerci e delle migrazioni. Non mancano, infine, le suggestioni dell’arte e della letteratura contemporanea.

I mosaici Sulla verticale opposta rispetto alla Numismatica, al piano ammezzato dello scalone

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STORIA E ALLESTIMENTO

L’emblema a mosaico noto come memento mori, da una casa-bottega di Pompei. I sec. a.C. Nella pagina accanto, in alto mosaico policromo in pasta vitrea raffigurante alcune anatre, dalla Casa del Cinghiale di Pompei. Nella pagina accanto, in basso calco in gesso di un rilievo neoassiro appartenente alla decorazione della sala G del palazzo di Nord-Ovest a Nimrud (l’antica Kalkhu), databile al regno di Assurnasirpal II (883-859 a.C.).

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monumentale, si trova la sezione dedicata ai Mosaici, provenienti principalmente dalle città vesuviane, ma anche da altri siti di quello che era il Regno delle due Sicilie e da Roma. Grazie alla varietà delle tecniche, dei soggetti e della cronologia, la raccolta del MANN documenta in maniera esaustiva le caratteristiche di quest’arte dal II secolo a.C. al I secolo d.C. Fatta eccezione per i mosaici in pasta vitrea – che decoravano con i loro sgargianti e luminosi colori le superfici parietali di colonne, nicchie e ninfei, spesso all’aperto, riflettendo sulla loro superficie lucida la luce del sole – i mosaici avevano la funzione di rivestimenti pavimentali, spesso con scene figurate complesse e di grandi dimensioni. Nella sezione, tuttavia, tutti i mosaici sono esposti a parete (vedi foto alle pp. 64-65), perché nel corso dei primi scavi borbonici essi furono letteralmente tagliati dai pavimenti di provenienza, inseriti all’interno di casseformi di legno e trasportati al Museo, soprattutto nel caso degli emblemata – elementi figurativi complessi inseriti all’interno di superfici

La sezione antichità orientali

A

l pianterreno, le sale XVII e XXIV, in contiguità con la prima parte della collezione egiziana, narreranno la storia dei reperti «orientali» del MANN e il significato di tali acquisizioni nel quadro della visione ottocentesca di museo universale. L’elemento piú appariscente della sezione sono 15 calchi in gesso di rilievi neoassiri, provenienti da Nimrud e Ninive, i cui originali fanno parte delle collezioni del British Museum di Londra, frutto delle campagne di scavo di Layard e Loftus. Si tratta di una scena di corte dalla sala G del palazzo di Nord-Ovest a Nimrud (l’antica Kalkhu), databile al regno di Assurnasirpal II (883859 a.C.); del noto rilievo detto «della

Pergola» dalla sala S del Palazzo Nord a Ninive, databile al regno di Assurbanipal (668-630 a.C.) e di molti altri rilievi con urmahlullu (leone-uomo), scene di caccia, leonessa morente. Oltre ai calchi, è notevole la presenza di due sculture da Palmira: una testa maschile e un rilievo funerario femminile in calcare, con iscrizione in aramaico palmireno, databile tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C. La nota città carovaniera siriana – in aramaico Tadmor (palma) – conosciuta anche con il nome di «Sposa del Deserto», affrontò nel III secolo d.C. anche l’impero romano, proclamando la propria indipendenza durante il breve regno della regina Zenobia.

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STORIA E ALLESTIMENTO La sezione numismatica

L

a sezione numismatica comprende materiali che coprono un ampio arco cronologico: dai pezzi di bronzo a peso dell’Italia preromana alle emissioni del Regno delle Due Sicilie. L’allestimento propone un duplice percorso: da un lato la storia e la consistenza delle collezioni che compongono la sezione – come la Farnese, la Borgia e la Santangelo – dall’altro il raggruppamento delle monete e degli altri materiali esposti per zecca di emissione o provenienza. Trattandosi di reperti da collezione, infatti, è quasi sempre impossibile determinare la provenienza delle monete che, emesse dalla zecca di una entità statale, sono per loro natura destinate a circolare. La sezione si trova al piano ammezzato, dal lato opposto rispetto ai mosaici, ed è organizzata in sei sale: la prima (sala LI), il cui allestimento vuole richiamare la suggestione dei gabinetti di antichità settecenteschi e ottocenteschi, ripercorre la storia degli studi numismatici, dal collezionismo di monete alla moderna concezione di disciplina storica. Le sale successive (LII-LVI) propongono una narrazione cronologica e topografica, che esemplifica la storia economica, politica e sociale del Mezzogiorno d’Italia e della Sicilia, mettendo in evidenza la funzione e la caratterizzazione tipologica delle monete all’interno delle entità politiche che le hanno emesse. Oltre alle monete, l’esposizione comprende oggetti di natura diversa: mobili, gioielli, rilievi, affreschi, tavolette cerate, riproduzioni di antiche pubblicazioni numismatiche, che contribuiscono a chiarire singoli aspetti tematici. Il fenomeno del collezionismo antiquario, per esempio, si materializza attraverso gli armadi e gli scrigni nei quali i reperti numismatici venivano conservati; mentre l’esibizione di gioielli rinvenuti a Pompei, per fare solo un altro esempio, permette di

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immaginare la disperazione dei fuggiaschi, che cercavano di portare con sé nella fuga i propri averi. L’allestimento dedica un segmento significativo ai reperti da Pompei, tra i pochi contesti di scavo conosciuti per questa classe di materiali. Le monete, in questo caso, permettono di ricavare informazioni sul numerario in circolazione quotidianamente e sulle attività produttive della città, testimoniate, per esempio, nelle tavolette cerate del banchiere Lucio Cecilio Giocondo. Da Pompei, inoltre, provengono: la moneta piú famosa della collezione, un medaglione in oro di Augusto (sala LIII), un unicum; un rilievo con la rappresentazione della bottega di un calderaio; un pilastro affrescato con scene di fullonica; l’incasso di un thermopolium; una cassaforte dalla Casa del Menandro, parte delle oreficerie e un gruzzolo di monete appartenenti all’amministratore della stessa domus, in fase di ristrutturazione al tempo dell’eruzione. Il percorso museale non si arresta alla prima età imperiale, ma prosegue con la monetazione della media e tarda antichità, fino alle invasioni barbariche, il regno di Federico II, il Medioevo e l’età moderna, soffermandosi su Napoli, città che fu sede di diverse zecche monetali. Nell’ultima sala, infine, è allestita una serie di medaglioni, che non avevano corso legale – e che quindi, tecnicamente, non sono monete – e venivano emessi per celebrare un personaggio o un avvenimento storico. Nella stessa sala, con richiamo circolare alla prima, sono esposte anche le matrici – testimonianza del processo materiale di produzione di tali oggetti – e antichi medaglieri, mobili dotati di piccoli cassetti concepiti specificamente per custodire ed esibire le collezioni di monete. Il futuro aggiornamento della sezione comprenderà una significativa selezione di oreficerie di età romana e tardo-antica.


pavimentali piú ampie – trattati come quadri. Tra i numerosi esempi ricordiamo un grande tondo con leone e amorini, il cosiddetto memento mori oppure il bacino con colombe. Uno degli elementi di spicco dell’allestimento è costituito dalla ricostruzione del contesto della Casa del Fauno di Pompei, compresa la statuetta in bronzo di fauno danzante da cui la dimora prende il nome, scavata tra il 1830 e il 1832. Si tratta di una delle abitazioni piú grandi e lussuose della città – occupava un intero isolato – da cui proviene un prezioso ciclo di mosaici figurati, forse eseguiti da maestranze greche alessandrine. Il culmine del percorso è costituito dal celebre mosaico con il trionfo di Alessandro il Grande su Dario III di Persia, forse il piú grande dell’antichità, proveniente da un’esedra – sala di rappresentanza – che collegava i due peristili – giardini porticati – della domus. Il soggetto rappresentato si ispirava, probabilmente, a un modello pittorico ellenistico – forse un famoso quadro di Filosseno di Eretria, eseguito per il re Cassandro di Macedonia nel IV-III secolo a.C. –, riprodotto o rielaborato alla fine del II secolo a.C. nella tecnica dell’opus vermiculatum, caratterizzata dall’impiego di migliaia di tessere (in questo caso circa un milione!) di forma non esclusivamente quadrata, ma anche, se necessario, allungata, come piccoli vermi (in latino vermiculi), che permettevano di ottenere sfumature paragonabili all’effetto di pennellate di colore. L’allestimento della sezione (sala LVII) comprende anche esempi di opus sectile, realizzata con sectilia, ovvero elementi marmorei o comunque in pietra tagliati e commessi insieme in modo da formare motivi decorativi geometrici o figurativi.

Nella pagina accanto aureo di Augusto. 9-8 a.C. Al dritto, il profilo dell’imperatore; al rovescio, la dea Diana cacciatrice. In basso gli affreschi staccati da una fullonica di Pompei ed esposti nella sezione numismatica.

essersi incontrati, scontrati, mescolati e trasformati. Ciascun autore, naturalmente, scriveva sulla base delle informazioni a disposizione e della possibilità di essere compreso e apprezzato dai contemporanei. Storici e archeologi, analizzando le fonti testuali e quelle materiali, i reperti, cercano di dipanare il filo di tali racconti, di individuare le caratteristiche della civiltà dei diversi popoli, cercando di tradurre in fatti i relitti conservati, talvolta, nei miti. In questa prospettiva interpretativa un modo di seppellire i morti, la forma o le caratteristiche di un manufatto si

La Piana Campana La Piana Campana è terra di miti e di storie. Tanti, spesso discordanti, i racconti relativi ai diversi popoli che l’hanno abitata. Gli autori dell’antichità classica, poeti e storici, hanno raccontato in tante forme la storia di questa terra magmatica, nella quale tutto sembra essere avvenuto e tutti i popoli sembrano

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STORIA E ALLESTIMENTO

possono associare a una determinata comunità, che esce dalla bruma del mito e si illumina della luce della storia. Nella Piana Campana le popolazioni indigene avevano strutturato insediamenti fiorenti già nel Neolitico, in contatto con gli altri centri/popoli della penisola e del Mediterraneo. La complessità dei fenomeni osservati ha determinato la scelta di proporre un allestimento che, programmaticamente, non vuole configurarsi come un punto di arrivo, cristallizzazione di nozioni consolidate (perché tali non possono essere), quanto piuttosto un punto di partenza, uno spunto di riflessione, un momento di osservazione del fenomeno, un work in progress. La ricchezza dei dati provenienti dalla recente ricerca archeologica da un lato, dal riesame dei materiali delle collezioni storiche dall’altro, mettono infatti continuamente in discussione le categorie interpretative e

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generano nuove domande. L’allestimento di questa sezione, pertanto, mira a instaurare un dialogo tra i reperti del Museo provenienti dagli scavi condotti tra il XVIII e il XIX secolo (finalizzati al reperimento di oggetti per il mercato antiquario) con gli straordinari rinvenimenti frutto delle estese campagne di scavo stratigrafico condotte dalla Soprintendenza di Napoli e Caserta dalla metà degli anni Novanta ai primi anni 2000. In quella fortunata stagione, infatti, la necessità di operare su una vastissima area interessata dalla realizzazione di importanti infrastrutture ha determinato il passaggio da una «archeologia di recupero» a una «archeologia preventiva», nella quale le indagini sono progettate preliminarmente alla realizzazione delle opere pubbliche e sono proporzionate alla estensione complessiva delle stesse, alle risorse economiche e professionali disponibili e ai tempi di realizzazione.

Antefissa a maschera in terracotta policroma, dal santuario di Fondo Patturelli, a Capua (Santa Maria Capua Vetere). 600-580 a.C.


L’esterno di una coppa attica in ceramica a vernice nera su cui è inciso un alfabetario, da Nola. 500-450 a.C.

Nel Casertano, a Gricignano di Aversa e Carinaro, sono stati eseguiti scavi in estensione dalla metà degli anni Novanta – preventivi alla costruzione della Base militare US Navy e della linea ferroviaria Alta Velocità Roma-Napoli – che hanno portato alla luce le tracce di un’intensa frequentazione dell’area dal Neolitico finale (fine V-inizi IV millennio a.C.) all’età romana. Nel nostro allestimento è esposta qui, per la prima volta, una selezione di contesti dal Bronzo Antico all’età alto arcaica, a confronto con i reperti dagli scavi otto e novecenteschi nelle collezioni del Museo, nel tentativo di tracciare una nuova strada di conoscenza di quello che si rivela sempre piú essere un crocevia cruciale della civiltà antica.

Gli affreschi La sezione affreschi offre un vero e proprio compendio per lo studio della pittura romana in area vesuviana tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. L’allestimento mette in evidenza stili, tecniche e temi cercando di ricostruire i contesti originari. Tale operazione non è sempre possibile o agevole, in quanto nel corso dei primi scavi borbonici le pitture

parietali furono letteralmente tagliate dalle pareti e inserite all’interno di casseforme di legno come quadri incorniciati. Questo rende difficile la visione d’insieme e la valutazione dei sistemi decorativi nella loro interezza. Nella prima sala, a cui si accede dal Salone della Meridiana, sono esposti affreschi e strumenti che testimoniano la tecnica della pittura antica, compresi gli attrezzi adoperati per il disegno – come squadre, compassi, fili a piombo –, i pigmenti conservati nelle loro ciotoline di terracotta e le sinopie, i disegni preparatori. Il percorso prosegue con il racconto della scoperta delle prime pitture nel Settecento e l’impatto che tale patrimonio figurativo produsse nella cultura europea dell’epoca, influenzando il gusto e la produzione artistica contemporanei, anche nelle cosiddette arti minori. Le sale successive offrono una panoramica dello sviluppo della pittura parietale, dalle grandiose scenografie del I secolo a.C. – esemplificate dalle megalografie della villa di Publius Fannius Synistor a Boscoreale –, ai cicli decorativi di età augustea e flavia – come quelli della villa di Agrippa Postumo a

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Boscotrecase, delle Case di Meleagro e dei Dioscuri a Pompei –, per finire con il complesso della Villa di Arianna a Stabiae. Il percorso si snoda sul piano crono-tipologico, ma anche tematico, evidenziando i mutamenti di preferenze e immaginario dei committenti: mitologia, racconto omerico, tragedia greca, soggetti di gusto piú popolare, come i ritratti di privati cittadini o le pitture dei larari.

Vivere alle falde del Vesuvio Prima degli scavi borbonici di Ercolano e Pompei nel Settecento l’antichità classica era

Il restauro del mosaico di Alessandro

I

l mosaico di Alessandro (vedi alle pp. 106-107) fu trasferito da Pompei al Museo nel 1843, dove fu allestito a pavimento al piano terra dell’ala occidentale, mentre nel 1916 fu trasportato nella sala attuale, al piano ammezzato esposto a parte, come un quadro. Le indagini diagnostiche eseguite stimano che il numero di tessere sia compreso tra 1 616 000 e 1 890 000; il materiale impiegato ha natura prevalentemente carbonatica e magmatica (marmo e pietra lavica), con una minima percentuale di tessere di natura vitrea. La superficie musiva si presentava ampiamente lacunosa già al tempo del rinvenimento (1831), si ritiene pertanto che le lacune non siano conseguenti al seppellimento della città nel corso dell’eruzione. Le tessere sono allettate in parte nel supporto originario, che descriviamo in ordine inverso, ovvero partendo dalla superficie a vista e procedendo in profondità nel pavimento: uno strato di calce molto sottile (0,02 cm circa), uno strato di calce e polvere di marmo con piccoli inclusi calcarei (3,5 cm circa) e il nucleus, uno strato grigiastro compatto composto di sabbia vulcanica, calce e numerosi inclusi di colore scuro. Il mosaico è attualmente inserito in una struttura di legno, costituita da una cornice di travi nella quale sono interposti,

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trasversalmente, travetti in legno di dimensioni minori, elementi di rinforzo e giunzione in metallo (angolari e staffe). Tale apparecchiatura fu realizzata nel 1916, per trasportare l’oggetto all’ammezzato e collocarlo nella sala LXI, su un basamento in laterizi rivestito di lastre di marmo verde, assicurato alla parete superiormente e lateralmente con delle staffe metalliche. La diagnostica preliminare ha evidenziato criticità consistenti: distacchi di tessere, lesioni superficiali, rigonfiamenti e depressioni delle superfici. Il progetto di restauro è finalizzato alla conservazione dell’integrità materiale del manufatto, salvaguardandone l’estetica, ma anche la consistenza materiale. Sono previsti interventi puntuali di consolidamento, propedeutici alla pulitura, allo scopo di mettere in sicurezza la superficie musiva, garantendo la coesione tra le tessere e lo strato nel quale sono inserite, come pure tra la malta di allettamento e il nucleo, ripristinando la continuità in presenza di fessurazioni. Il restauro è eseguito di concerto con l’Istituto Superiore per il Restauro del MIC, mentre diverse università hanno fornito la loro consulenza diagnostica grazie al contributo finanziario di The Asahi Shimbun, prima rete tv giapponese.


Nella pagina accanto, in alto affresco raffigurante la zuffa nell’anfiteatro tra Pompeiani e Nocerini, dal peristilio della Casa della Rissa nell’Anfiteatro a Pompei.

conosciuta solo nel suo aspetto aulico, fatto di testi letterari e storici, edifici monumentali e statue. La scoperta delle città vesuviane ha introdotto la vita quotidiana dei Romani. Gli scavi, infatti, portavano alla luce da un lato lo scheletro della città antica, i suoi templi, edifici pubblici, case private, strade, dall’altro tutti quegli utensili, arredi e oggetti della piú varia natura, che evocavano la vita interrotta all’improvviso dal cataclisma del 79 d.C. Gli abitanti di Pompei ed Ercolano sembravano essere appena usciti di casa, lasciando dietro di sé tutto intatto. Come nel caso delle pitture, il

gusto e la produzione dell’epoca furono fortemente influenzati dalla scoperta degli oggetti della vita quotidiana. Nella prima fase degli scavi gli oggetti erano conservati presso il Museum Herculanense, nella reggia di Portici, per essere poi trasferiti a Napoli, nella sede attuale, nei primi decenni dell’Ottocento. La museologia in voga tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ispirata a una tassonomia per classi di materiali, funzioni, forme e tipologie di oggetti, ha determinato la separazione dei manufatti dai (segue a p. 74)

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IL GABINETTO SEGRETO In alto e a sinistra due immagini del Gabinetto Segreto. In basso e sulle due pagine veduta d’insieme e un particolare del gruppo scultoreo raffigurante Pan che si congiunge con una capra, dalla Villa dei Papiri di Ercolano.

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A

lla fine della sezione dedicata ai Mosaici si trova il Gabinetto Segreto, nel quale sono esposti circa 250 reperti a soggetto erotico (o ritenuto tale), provenienti prevalentemente dalle città vesuviane.

Già nel Museum Herculanense di Portici dal 1794 esisteva una sala dedicata alle antichità «oscene». Nei primi anni di apertura del Real Museo Borbonico di Napoli la collezione di «oscenità» era esposta



senza restrizioni. Nel febbraio del 1819, tuttavia, il principe ereditario Francesco I, visitando il Museo con la moglie e la figlia, fu particolarmente turbato dalla vista del celebre gruppo scultoreo di Pan e la capra da Villa dei Papiri, e ordinò di chiudere tutti gli oggetti ritenuti «pornografici» in un «gabinetto degli oggetti riservati», visitabile solo da uomini adulti e di provata moralità, muniti di regolare permesso. Questa collezione, pertanto, era stata concepita, tecnicamente, come un «non-museo», un luogo da non mostrare, sottratto alla vista e alla visita. Dopo l’Unità d’Italia la collezione è stata aperta, ma piú spesso chiusa, con alterne vicende, fino alla definitiva apertura nel 2000, in seguito a un decisivo riallestimento, basato su criteri museologici moderni, mettendo in evidenza i diversi aspetti della sessualità nel mondo antico, da un lato, il senso di immagini che la sensibilità moderna associa all’erotismo, a differenza degli antichi (si pensi, giusto per fare un esempio, agli ex voto in forma di peni e uteri). L’approccio antico all’erotismo è analizzato per Pittura pompeiana raffigurante Priapo, divinità simbolo dell’istinto sessuale e della forza generativa maschile, e quindi anche della fecondità della natura, qui ritratta anche con gli attributi di Mercurio, ovvero con le ali ai piedi e il caduceo.

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La decorazione interna di una kylix (coppa a due manici) attica raffigurante una scena erotica. V sec. a.C. Nella pagina accanto pittura pompeiana raffigurante una scena erotica di cui sono protagonisti un Satiro e una Menade.

nuclei tematici: gli affreschi a soggetto mitologico, inseriti come quadri nelle pareti di Terzo e Quarto Stile delle abitazioni private pompeiane; gli elementi decorativi da giardino; le pitture piú rozze ed esplicite da lupanare; gli arredi delle sale da banchetto (lucerne e tintinnabula); amuleti e altri

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oggetti a soggetto fallico visibili nelle strade pompeiane. Chiude il percorso una vetrina che ospita una selezione di oggetti appartenenti alla collezione Borgia, alcuni dei quali di autenticità sospetta, testimonianza del fenomeno del collezionismo curioso dell’età moderna.


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STORIA E ALLESTIMENTO

Il Tempio di Iside

L’

allestimento del Tempio di Iside di Pompei rappresenta uno di quei casi fortunati che esemplificano la ricchezza di Pompei: nelle sale sono esposti i materiali provenienti da un unico contesto archeologico (pitture, sculture, arredi sacri), ma si cerca di evocare per il visitatore la percezione del monumento al momento della scoperta, a partire dal 1764. Si tratta del primo edificio di culto scavato a Pompei, oggetto di una sistematica documentazione grafica, la piú completa possibile per l’epoca, e suggestione immediata per la riscoperta dell’antico nel Settecento. Nella sala LXXIX sono esposti non solo un plastico ricostruttivo moderno – che permette

loro contesti di provenienza, peraltro non sempre annotati negli elenchi di immissione al Museo, fatto che rende in molti casi problematica, o comunque poco agevole, anche la loro ricomposizione virtuale. Attraverso gli oggetti è possibile ricostruire tutti gli aspetti della vita quotidiana, da quelli piú prosaici e materiali, come l’alimentazione, a quelli che hanno a che fare con la sfera dello spirito, come gli strumenti musicali o le statuette votive, per fare un esempio. La cultura materiale, inoltre, consente di apprezzare le relazioni commerciali di Roma con le altre province dell’impero. L’allestimento è articolato in cinque sale: la prima (LXXXIX) è dedicata a strumenti musicali, religione domestica, elementi di

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di contestualizzare le pitture ammirate nelle sale precedenti rispetto al complesso dell’edificio –, ma anche i disegni, i rami e le stampe da essi tratte, che documentarono con grande precisione le strutture e le decorazioni rimesse in luce. Pur essendo state tagliate dalle pareti e incorniciate, le pitture del Tempio di Iside sono state sistemate all’interno delle sale in modo da suggerire al visitatore l’articolazione del sistema decorativo, posizionando i frammenti di decorazione all’altezza relativa che avrebbero avuto all’interno dell’edificio. In due sale è ricostruito il portico del monumento, da cui proviene la maggior parte dei frammenti: lo

arredo, illuminazione, serrature e medicina. La successiva (sala LXXXVIII) presenta da un lato una selezione di terrecotte invetriate, vasellame, lucerne, ornamenti per fontane e giardini; dall’altro oggetti vari in osso e avorio, compresi dadi, astragali e tessere per l’accesso al teatro. L’invetriata, che affonda le sue radici in Oriente, è una produzione piuttosto rara che vuole imitare, attraverso il colore e la luminescenza del rivestimento vetroso, forme e splendori del vasellame in metallo, piú o meno prezioso. Nella sala LXXVII è raccolto lo strumentario in metallo per la tavola e il banchetto: vasellame in bronzo da cucina, da mensa e da dispensa. Il percorso espositivo si conclude con due sale (LXXXVI e LXXXV) di vetri, nelle quali sono esemplificate

In alto e nella pagina accanto due immagini della sala che riunisce gli affreschi provenienti dal Tempio di Iside a Pompei. In basso una coppetta in vetro «millefiori» esposta nella sezione dedicata alla vita quotidiana.


zoccolo, i pannelli del registro mediano con scorci architettonici, il fregio a girali su fondo nero e una decorazione con soggetti vari su fondo bianco in alto. Nella sala LXXXII è inoltre esposta l’iscrizione marmorea che si trovava sulla porta del muro esterno del santuario, dedicata a Numerius Popidius Celsinus, figlio di un liberto, che aveva fatto restaurare il

tempio dopo il terremoto del 62 d.C. La decorazione dell’ekklesiasterion è centrata tematicamente sul culto isiaco, sia nei grandi quadri figurati che negli elementi decorativi di zoccoli e architetture dipinte. L’ultima sala è dedicata alle pitture del sacrarium, una sorta di breviario figurato nel quale sono esposti gli elementi fondamentali della religione di Iside.

le diverse tecniche di lavorazione e le varie funzioni cui i recipienti potevano assolvere: contenitori da toletta e per uso medico, vasellame da tavola, urne funerarie, pedine da gioco, elementi decorativi. L’ampliamento della sezione, che in questa fase si articola nei progressivi allestimenti denominati con l’etichetta «L’altroMANN», prevede un settore dedicato ai gladiatori – con elmi, armi e panoplie provenienti dal Portico dei Teatri di Pompei – una selezione di reperti paleobotanici e di reperti tessili.

Preistoria e Protostoria La formazione della sezione, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, è legata alle diverse vicende di scavo che interessarono il Regno delle due Sicilie, prima, il neonato Regno d’Italia poi: acquisizioni frutto

di scavi regolari e scavi d’emergenza, ricerche clandestine, acquisti, doni. Stiamo parlando dei reperti dell’età del Bronzo rinvenuti nelle Grotte di Pertosa e dello Zachito nei monti Alburni (provincia di Salerno) e a Murgia Timone (Matera). Per l’età del Ferro, con la cultura delle tombe a fossa, il Museo vanta i corredi provenienti dalle necropoli di Cuma preellenica e della valle del Sarno. La sezione pre-protostorica si arricchisce negli anni Venti del secolo scorso, grazie agli scavi e recuperi effettuati a Capri (Grotta delle Felci) e nell’Avellinese (località la Starza di Ariano Irpino e necropoli di Madonna delle Grazie a Mirabella Eclano). Durante l’ultimo conflitto mondiale e nel primo dopoguerra si aggiungono i ritrovamenti eneolitici in località Gaudo a Paestum (Salerno) e nel rione Materdei a Napoli. In quegli stessi anni

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STORIA E ALLESTIMENTO

vengono eseguite ricerche archeologiche a Camposauro, nel Beneventano, e il MANN riceve in dono circa 7000 reperti appartenenti alla collezione del barone Marcello Spinelli, che li aveva riportati alla luce nel corso di scavi all’interno delle sue proprietà ad Acerra, in provincia di Napoli, dove si trovava la necropoli preromana dell’antica Suessula. Dagli anni Sessanta le collezioni si sono arricchite grazie a una intensa stagione di scavi nei piú importanti centri della Campania antica: nel Casertano Santa Maria Capua Vetere (l’antica Capua, di fondazione etrusca), Maddaloni (l’antica Calatia) e, piú recentemente, nel Golfo di Napoli l’isolotto di Vivara (accanto a Procida, sede del piú antico approdo dei Micenei in Campania), Piano di Sorrento (sede di una ricca necropoli della facies del Gaudo), Licola, Monte Sant’Angelo e Montagna Spaccata presso Pozzuoli. Il percorso espositivo ha inizio nella sala CXXVIII, che ospita un’introduzione storica alla formazione della sezione, e si sviluppa in verticale su tre livelli, a partire dall’alto, in senso cronologico. Le sale successive, invece, sono allestite in senso topografico, in modo da offrire una panoramica della protostoria nella regione. Al terzo livello, pertanto, troviamo le attestazioni della piú antica presenza umana in Campania, testimoniata dai reperti paleolitici rinvenuti a Capri e nel salernitano (grotte di Castelcivita e Marina di Camerota). Il Neolitico vede l’umanità compiere un’evoluzione fondamentale: il passaggio dalla condizione nomade a quella sedentaria, che comporta lo sfruttamento delle risorse per la creazione di un’economia produttiva. Tale periodo è illustrato dalle evidenze dalla Grotta delle Felci a Capri e da Ariano Irpino. L’allestimento prosegue arrivando alle soglie dell’età dei metalli, l’Eneolitico, periodo in cui si datano i materiali dalle necropoli del Gaudo (Paestum) e Mirabella Eclano. Una suggestiva ricostruzione di una tipica sepoltura a pozzo eneolitica, completa di corredo funerario, è esposta nella sala CXLIX.

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Il secondo livello, quello intermedio, è dedicato all’età del Bronzo, documentata dai manufatti provenienti da siti dell’entroterra come Palma Campania, Camposauro e Ariano Irpino (Bronzo antico), mentre il Bronzo medio è presentato attraverso i reperti da Ariano Irpino, Murgia Timone e Vivara. La narrazione dell’età del Bronzo si conclude al primo livello, con i materiali dalle Grotte di Pertosa, dello Zachito e di Polla. Il racconto prosegue con l’età del Ferro, rappresentata attraverso i corredi funerari dalle necropoli che circondavano i primi centri urbani della piana campana, Capua e Cuma, e le località minori che gravitavano attorno alle loro sfere di influenza, Calatia, Suessula e gli abitati della valle del Sarno. La floridezza di tali centri, testimoniata dalla ricchezza degli oggetti esibiti (segue a p. 84)

Nella pagina accanto, in alto la sala della sezione Magna Grecia. In basso affresco raffigurante Flora, dal cubicolo W26 di Villa Arianna a Stabiae.


La Magna Grecia

L

a collezione Magna Grecia del MANN raccoglie reperti di origine e provenienza diverse rinvenuti, a partire dalla metà del Settecento, nelle regioni meridionali del Regno di Napoli dove, dalla fine dell’VIII secolo a.C., i Greci, entrati in contatto con le popolazioni indigene, danno luogo a quel complesso fenomeno storico e culturale definito appunto con il nome di Magna Grecia. Agli inizi dell’Ottocento le prime e piú importanti scoperte nei siti dell’Italia meridionale (Paestum, Locri, Metaponto, Taranto, Ruvo, Canosa), grazie al tempestivo intervento del governo centrale, cominciano a incrementare il patrimonio del Museo del Regno, cui si aggiunge presto l’acquisizione di grandi nuclei collezionistici privati, che contribuiscono a rendere la raccolta numericamente considerevole e certamente unica nel suo genere, ricca di migliaia di vasi e di terrecotte figurate. Tra i capolavori riuniti nelle sale ricordiamo i grandi crateri a volute dall’ipogeo del cosiddetto Vaso di Dario di Canosa (vedi box a p. 103), le lastre funerarie dipinte dalla Tomba delle Danzatrici di Ruvo (vedi box alle pp. 108-109), le splendide e preziose oreficerie prodotte a Cuma e a Taranto. Il progetto allestitivo ha realizzato un innovativo percorso narrativo, in linea con gli orientamenti attuali in termini di comunicazione museale. L’obiettivo perseguito è garantire una chiara e corretta trasmissione dei contenuti scientifici, non disgiunta, tuttavia, da un piacevole e attraente percorso di visita. I materiali disposti all’interno delle vetrine ricostruiscono la storia delle culture che hanno popolato il Meridione d’Italia tra la fine dell’VIII secolo a.C., con la colonizzazione greca, e il III secolo a.C., epoca in cui le regioni meridionali vengono conquistate da Roma. Un nodo importante di questa narrazione di una civiltà attraverso gli oggetti che ha prodotto è costituito dal momento del bere e del gioco, esemplificato dai vasi potori. Nel mondo greco il vino, dono di Dioniso, aveva un ruolo sociale essenziale: nel simposio

ciascuno beveva nella sua coppa il vino mescolato con acqua all’interno del cratere, secondo le regole dettate dal simposiarca, che decideva le quantità, la proporzione di vino e acqua e i giochi che si sarebbero svolti. Il piú famoso, il gioco del kottabos, di probabile origine sicula, consisteva nel colpire un bersaglio con le ultime gocce di vino rimaste sul fondo della coppa. Gli stessi vasi di terracotta sono sotto la protezione di Dioniso: ad Atene, infatti, il quartiere dei vasai, il Ceramico, era dedicato a Keramos, figlio di Dioniso e Arianna. In vetrina i vasi a figure nere e a figure rosse forniscono un campionario completo dello strumentario del simposio e, allo stesso tempo, la prova della ricezione di materiali e costumi greci nel mondo coloniale. Un pannello esplicativo tattile permette una esplorazione della tipologia vascolare anche ai non vedenti. I manufatti piú significativi sono stati scelti per ripercorrere l’evoluzione di alcuni dei piú importanti centri urbani della Magna Grecia (Paestum, Metaponto, Locri, Taranto), privilegiando soprattutto il racconto dei processi di contatto e i fenomeni di interazione culturale tra i coloni arrivati dalla Grecia e le diverse popolazioni stanziate in Italia meridionale. Incontri, scontri e trasformazioni che hanno contribuito a plasmare la fisionomia e l’identità della Magna Grecia. Il commento didascalico alle opere, affidato ai pannelli didattici, si accompagna alla promozione della storia costitutiva della collezione e del suo ruolo nel panorama culturale tra Ottocento e Novecento, attraverso brevi excursus sui protagonisti della ricerca archeologica in Italia meridionale. Il processo di riflessione e ricerca del Museo su se stesso e la sua storia si è tradotto nella scelta di riportare alla luce i pavimenti a mosaico di età romana (tessellatum e opus sectile), rinvenuti nel corso dei primi scavi borbonici sia nelle città vesuviane che in altri siti dell’Italia meridionale e sistemati nelle sale CXXVIII-CXLIV (128-144) durante il decennio francese.

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LA VILLA DEI PAPIRI L

a Villa dei Papiri fu scoperta nell’area suburbana di Ercolano alla metà del Settecento. Si tratta di una villa d’otium dell’aristocrazia romana, costruita sul modello delle residenze dei dinasti greci ellenistici. Il nome deriva dallo straordinario ritrovamento di piú di mille rotoli di papiro carbonizzati, soprattutto testi in greco di filosofia epicurea. Altrettanto notevole è il ricco apparato decorativo – quasi cento sculture, la maggior parte delle quali in bronzo – che popolava le stanze, i peristili e i giardini della villa. Fino ad allora (ma anche attualmente) nelle collezioni di antichità erano rare le statue antiche in bronzo, che difficilmente

Due immagini dell’allestimento della sezione che ospita i materiali provenienti dalla Villa dei Papiri di Ercolano, una delle piú ricche domus mai rinvenute nell’area vesuviana. Del suo arredo faceva parte una magnifica collezione di bronzi, fra cui i ritratti riprodotti nella foto qui accanto.

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avevano superato i secoli, spesso rifuse e riutilizzate per l’approvvigionamento di metalli. Pertanto le sculture della Villa dei Papiri, insieme alle pitture e ai mosaici, sono tra le opere che maggiormente hanno contribuito a creare la fama del Museo in tutta Europa. Le statue e l’apparato decorativo della villa sono esposti al secondo piano del Museo, organizzati sulla base del contesto di provenienza: la documentazione di scavo settecentesca, infatti, eseguita dall’ingegnere svizzero Karl Weber, ha permesso di ricostruire, con una precisione inedita per l’epoca, l’ambiente di provenienza di ciascun oggetto. Oltre alle statue, ai busti e alle erme l’allestimento comprende una selezione degli affreschi recuperati nel corso dello scavo, come pure due riproduzioni della macchina inventata dal padre scolopio Antonio Piaggio, alla fine del Settecento, per lo svolgimento dei papiri. Il programma decorativo si caratterizza per la presenza di alcuni nuclei omogenei per iconografia e contenuto semantico,

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La statua di Atena, divinità che presiedeva alla sapienza, alle arti e alla guerra, rinvenuta nel tablino della Villa dei Papiri. La dea è rappresentata mentre incede, con il piede sinistro avanzato rispetto al destro. Il braccio destro presenta l’avambraccio sollevato nell’atto di impugnare una lancia (probabilmente in bronzo e oggi perduta), mentre il sinistro è teso in avanti e ricoperto dall’egida, l’indistruttibile mantello protettivo, simile a un’armatura, che le era stato donato da Zeus.


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Sulle due pagine statue in bronzo rinvenute nel peristilio rettangolare della Villa dei Papiri. A sinistra, il gruppo scultoreo in bronzo raffigurante due giovani efebi nudi a grandezza naturale, probabilmente due atleti colti nel momento della partenza in una gara di corsa, perciò detti Corridori. A destra, statua raffigurante Hermes a riposo, seduto su una roccia (il marmo è frutto di una ricostruzione eseguita in epoca moderna). In basso, una delle cosiddette Danaidi (o Danzatrici).

sulla base dei quali sono state avanzate ipotesi sulla datazione dell’edificio e l’identità del suo proprietario. Il rimando alle corti ellenistiche – che risulta evidente, considerata la presenza dei ritratti di vari sovrani, filosofi, poeti, oratori greci e la riproduzione di modelli scultorei relativi a quell’orizzonte culturale – fa ritenere che il committente di tale complesso programma

decorativo sia da individuare tra gli esponenti dell’aristocrazia romana della tarda repubblica. L’analisi stilistica delle sculture evidenzia un gruppo di opere appartenenti a una fase successiva, corrispondente al classicismo della prima età imperiale, epoca in cui si guardava come modello alle creazioni attiche della seconda metà del V secolo a.C.

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STORIA E ALLESTIMENTO

nelle tombe, dipendeva in egual misura dalla fertilità della piana campana e dalla posizione strategica sulla principale via di comunicazione tra il Lazio e la Campania. L’abbondante surplus agricolo, infatti, costituiva merce di scambio sia verso nord, con il Lazio etrusco, sia verso sud e la costa, con il mondo greco. Traccia della ricchezza e degli scambi commerciali è la presenza di ceramiche importate corinzie e attiche – presto imitate anche nel repertorio locale – e vasi in bronzo, provenienti dalla Grecia e dall’Oriente, ma anche prodotti da botteghe locali specializzate, come quelle che realizzavano i famosi deinoi (grandi vasi sferici privi di base di appoggio) provvisti di coperchi decorati da figurine a rilievo. Il percorso espositivo della Preistoria e Protostoria si conclude con la sala CXXVI, ma prosegue con le sale dedicate all’insediamento di Pithecusae (Ischia), raccordo con la futura Sezione Topografica, dedicata ai centri della Campania in età storica. Sull’isola di Ischia, infatti, si colloca il primo emporio di coloni greci nell’VIII secolo a.C.

terrecotte votive, l’alfabeto, la lingua e la scrittura, gli agoni, la guerra. In contiguità con la sezione Magna Grecia, che ne rappresenta il prologo o la continuazione (a seconda se si affronti il percorso partendo dalla Preistoria, nel Salone della Meridiana, oppure dalla Magna Grecia, appunto), nella sezione dedicata a Cuma si snoda la narrazione della storia della ricerca archeologica, attraverso la biografia degli studiosi che la avviarono. I temi affrontati saranno: la fondazione, a opera degli ecisti Ippocle da Cuma Eolica e Megastene da Calcide (seconda metà VIII-VII secolo a.C.); la città dei Greci; l’età di Aristodemo, caratterizzata dai sovvertimenti sociali dovuti alle lotte tra aristocratici e demos (VI-V secolo a.C.); la città dei Sanniti; le dame e i guerrieri campani (IV-III secolo a.C.); la città dei Romani. Per ogni fase cronologica è stato selezionato un contesto significativo: per la fondazione la tomba 104 del fondo Artiaco; per il periodo arcaico e classico due tombe a dado con incinerazione; per il periodo campano la lastra dipinta della «signora» di Cuma; per il periodo romano la maschera di cera dal mausoleo omonimo.

Cuma La storia di Cuma, la prima colonia in Magna Grecia, sarà raccontata nella sala CXXI attraverso i reperti della raccolta cumana (formata con criteri antiquari dal Conte di Siracusa) e della collezione Stevens (frutto di scavi archeologici) che fornisce una documentazione piú ampia e completa. Le classi di materiali esposte, infatti, comprendono anche ceramiche di uso comune e oggetti frammentari. La provenienza da scavo, inoltre, permette di ricostruire i contesti di provenienza e ricomporre i corredi funerari delle singole tombe. L’allestimento si articolerà attorno a due percorsi narrativi: il primo dedicato alla storia della città, dalla fondazione nell’VIII secolo a.C. all’età romana; il secondo, trasversale rispetto alla cronologia, vuole offrire al visitatore un quadro sintetico della fisionomia della città, raggruppando i reperti intorno a una serie di nuclei tematici, quali l’architettura templare e le

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Neapolis La sezione illustrerà la storia della Napoli greca e romana attraverso i reperti provenienti dagli scavi eseguiti tra l’Ottocento e il Novecento. Nelle vetrine si tornerà ad ammirare i manufatti pertinenti al primo insediamento di Parthenope, della fine dell’VIII secolo a.C., che successivamente prenderà il nome di Palaepolis, la «città vecchia», in contrapposizione a Neapolis, la «città nuova», rifondata nel V secolo a.C., proseguendo con la ricca documentazione delle necropoli, in particolare gli ipogei di età ellenistica, e le testimonianze sia epigrafiche che scultoree degli edifici privati e pubblici di età romana. L’allestimento storico della sezione si arricchisce di un plastico della città, nel quale sono evidenziate non solo le fasi antiche della città greca e romana – con il percorso delle mura, le aree e gli edifici pubblici e di culto, il porto e le necropoli – ma anche le fasi tardo-

Una vetrina della sezione dedicata alla preistoria e alla protostoria.


antiche, con le aree di sepoltura paleocristiane – catacombe di S. Gaudioso e di S. Gennaro. Il percorso espositivo si completa, idealmente, con i reperti provenienti dai recenti scavi stratigrafici eseguiti in occasione della realizzazione della linea 1 della metropolitana, che saranno

esposti nel corridoio di collegamento con la stazione Museo, inserito all’interno della sezione dedicata al Mediterraneo.

Il Salone della Meridiana Il nome del Gran Salone è dovuto alla presenza di una meridiana solare, inserita nel pavimento

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Il Gran Salone della Meridiana, cosí chiamato per la presenza di una meridiana solare, inserita nel pavimento nel 1793 (vedi foto qui accanto). La volta è ornata dagli affreschi realizzati nel 1781 da Pietro Bardellino con l’allegoria della Virtú che incorona Ferdinando IV e Maria Carolina protettori delle arti. Alle pareti sono esposte tele ottocentesche a soggetto storico-mitologico realizzate da artisti di scuola napoletana.

nel 1793, unico elemento realizzato del progetto di osservatorio astronomico, che l’astronomo di corte avrebbe voluto all’interno del nuovo museo realizzato dai Borbone come istituzione culturale a 360 gradi. Si tratta di un’aula coperta tra le piú grandi in Europa (55 x 20 m, per un’altezza di 27). La volta fu affrescata nel 1781 dal pittore di corte Pietro Bardellino con l’allegoria della Virtú che incorona Ferdinando IV e Maria Carolina protettori delle arti. I cartigli «Regis virtutibus fundata felicitas» e «Iaceant nisi pateant» celebrano la politica culturale della dinastia regnante. Alle pareti, nel registro inferiore, si ammirano una serie di tele ottocentesche a soggetto storico-mitologico: si tratta di opere di scuola

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napoletana di artisti come Giuseppe Mancinelli, Vincenzo de Angelis, Michele de Napoli attivi presso l’Accademia Borbonica di Belle Arti, ospitata all’interno del Museo. Nella registro superiore, invece, sono esposte 18 tele del pittore genovese Giovanni Evangelista Draghi e altri artisti della sua cerchia, raffiguranti i Fasti Farnesiani e collocate, in origine, nel palazzo ducale di Piacenza, trasferite prima a Parma e poi a Napoli da Carlo di Borbone.

Il Plastico di Pompei Una delle sezioni piú interessanti del Museo è costituita, si fa per dire, da un unico oggetto: il Plastico di Pompei, completato nel 1879,


modello in scala di quanto era stato rinvenuto fino ad allora nel corso degli scavi. L’opera fu commissionata a Felice Padiglione da Giuseppe Fiorelli, Direttore degli scavi di Pompei dal 1861 e del Museo dal 1863 al 1875. Padiglione apparteneva a una famiglia che coltivava l’arte della modellazione in scala: suo padre Domenico, infatti, aveva realizzato tra il 1820 e il 1822 diversi modelli in sughero di edifici antichi, tra i quali la cosiddetta Basilica di Paestum, attualmente esposta nella sezione Magna Grecia. Dal punto di vista tecnico, si tratta di un prodotto eccezionale, che riproduce con precisione millimetrica in scala 1:100, utilizzando legno, sughero e carta, la pianta urbana di Pompei e i singoli edifici, con la ricostruzione di apparati decorativi e arredi. La base è costituita da una tavola di compensato di legno, mentre il sughero è utilizzato per le strutture, curvato e lavorato per rendere gli effetti delle diverse tecniche murarie. La carta, infine, costituisce la base per i piani pavimentali a mosaico e per le decorazioni pittoriche parietali: in entrambi i casi le decorazioni sono eseguite a tempera su uno strato di calce oppure, in una seconda fase di lavorazione, con colori piú diluiti o ad acquerello. Le partizioni della parete sono riprodotte alla perfezione, cosí come stili architettonici e soggetti rappresentati, riconoscibili anche a una scala cosí ridotta. Gli arredi in marmo, come fontane o tavolini, sono resi in stucco e in gesso. Osservando questo piccolo capolavoro di scienza e tecnica, il visitatore può avere una visione sintetica, a volo d’uccello, della città antica e comprendere l’articolazione dello spazio urbano, senza perdere, allo stesso tempo, il dettaglio dei singoli edifici pubblici e privati. Il plastico, infine, è un documento d’archivio insostituibile per ricostruire la storia degli scavi di Pompei. In alcuni casi rappresenta l’unica testimonianza di ciò che il tempo o l’incuria degli uomini hanno lasciato perire (si pensi, giusto per fare un esempio, ai settori della città bombardati durante l’ultima guerra).

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STORIA E ALLESTIMENTO

Un particolare dello spettacolare plastico che, con precisione millimetrica, riproduce, in scala 1:100, la pianta urbana di Pompei e i singoli edifici, con la ricostruzione di apparati decorativi e arredi. L’opera fu realizzata da Felice Padiglione, utilizzando legno, sughero e carta. 1879.

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In basso et utem net laut facient et quam fugiae officae ruptatemqui conseque vite es sae quis deris rehenis aspiciur sincte seque con nusam fugit et qui bernate laborest, ut ut aliquam rentus magnim ullorepra serro dolum

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STORIA E ALLESTIMENTO

La sezione storica L

a Sezione Storica del Museo sarà allestita al terzo piano dell’edificio, nelle sale che un tempo ospitavano la collezione dei vasi. L’arco cronologico abbracciato si estende dal 1777 al 1957 (data del trasferimento della pinacoteca a Capodimonte), tuttavia le fasi maggiormente documentate riguardano il Settecento e l’Ottocento. In questa sezione si andrà in primo luogo a evocare il sostrato storico nel quale affonda le sue radici il Museo di Napoli prima del 1777, ovvero il Museo Farnesiano di Roma, il Museo Ercolanese di Portici, il Museo Farnesiano di Capodimonte e il Palazzo degli Studi. Quella data rappresenta uno spartiacque, il momento in cui prende corpo il progetto del «Nuovo museo dei Vecchi Studi», di cui si raccontano gli obiettivi collezionistici, coincidenti con un preciso programma politico, che aveva individuato il valore di prestigio identitario costituito dalla cultura. Una fase cruciale per la formazione del Museo è costituita dai decenni che vanno dal piano presentato da Hackert nel 1785 fino al Regolamento del 1828, che codifica l’organizzazione in 15 raccolte. Architettura organizzativa che caratterizzerà sostanzialmente il Museo fino al 1957, anno in cui si procedette allo spostamento della quadreria a Capodimonte. In questa sezione saranno presentate le diverse collezioni, evidenziando le politiche di acquisizione degli oggetti (acquisti, doni, ecc.), tentando di materializzare per i visitatori il disegno complessivo, di carattere universalistico, che caratterizzava il Museo di Napoli almeno fino ai primi decenni del Novecento (ma anche oltre). In queste sale saranno anche documentati la presenza e il ruolo della Real Biblioteca, delle Officine di Restauro e dell’Accademia di Belle Arti, testimonianza della natura educativa dell’istituzione, soprattutto nel suo primo secolo di vita. Il Museo, inoltre, dal 1785 fino al 2014 (anno in cui è diventato un istituto autonomo) è stato il perno di un sistema di

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tutela del territorio, considerato variamente come oggetto di cura e controllo (tutela appunto) oppure come riserva di approvvigionamento di manufatti. In questa sezione Pompei rappresenta un caso cosí peculiare da fare quasi storia a sé e, allo stesso tempo, inscindibile da quella del Museo. È un elemento imprescindibile della storia del Museo, uno dei suoi elementi fondativi, fonte di migliaia di pezzi che danno sostanza alle sue collezioni, cosí ricca e multiforme da rischiare di schiacciare la prospettiva del Museo sulla dimensione pompeiana. La sezione storica del MANN documenta, attraverso esempi pregnanti, la storia di quella che si può considerare, probabilmente, la piú affascinante avventura di scavo dell’Occidente, mettendo in evidenza i metodi e gli obiettivi che l’hanno caratterizzata.

Per il «decoro della Nazione» Il punto di vista della narrazione resta centrato sul Museo di Napoli, tuttavia, seppure per episodi, il visitatore può farsi un’idea di come si svolgessero gli scavi, come si rapportava con essi il Museo, come sono stati gestiti i rinvenimenti e le immissioni, prima al Museum Herculanense di Portici, poi a Napoli. Bisogna ricordare, infatti, che dalla metà del Settecento e per tutto l’Ottocento gli scavi di antichità erano sottoposti alle leggi di tutela, ma altrettanto a quelle del mercato, forse anche piú cogenti. Il Museo (e la Soprintendenza) controllavano per legge gli scavi, chiedendo, in teoria, di avere liste dei rinvenimenti, tuttavia erano molto pochi gli scavi condotti a conto regio (Locri, Paestum, Ruvo, Pietrabbondante) e pochi i siti archeologici curati dall’amministrazione (Pozzuoli, Baia, Anfiteatro Campano, Paestum) a parte, naturalmente, Pompei, Ercolano e Stabia. I pezzi piú importanti, piú belli, piú interessanti erano in genere frutto di scavi privati, la cui esportazione il governo cercava di limitare, in forza del «decoro della Nazione». Una scelta dei casi piú

La Biblioteca Storica del Museo.


rappresentativi documenta l’ampiezza geografica del Regno e le differenti declinazioni della politica di tutela messa in campo dal Museo. L’esposizione si fonda sull’associazione dei reperti archeologici con manoscritti e disegni coevi allo scavo. Il racconto della politica di tutela comprende un altro dei compiti assolti dal Museo per

tutto l’Ottocento: il controllo delle esportazioni e del mercato di arte e antichità nel Regno di Napoli e nelle province meridionali. Dal 1808 al 1860, infatti, la Commissione di Antichità e Belle Arti si riuniva al Museo e aveva come presidente di diritto il Direttore del Museo. Piú tardi ebbe a lungo sede nel Museo l’Ufficio Esportazioni. L’argomento è rappresentato

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STORIA E ALLESTIMENTO

attraverso una scelta di oggetti che hanno una storia peculiare. Anche la storia degli allestimenti è un argomento pregnante della sezione. C’è una differenza sostanziale tra un deposito e un museo, e sta nel fatto che in quest’ultimo le opere sono organizzate e presentate in funzione del pubblico dei visitatori. L’allestimento è quindi un aspetto qualificante, costitutivo, del Museo. Questo settore è gioco forza destinato a dare solo una pallida idea della fortuna che tanti dei nostri pezzi hanno avuto nel tempo, dell’influenza che hanno esercitato sulla produzione artistica europea tra Settecento e Novecento, e sul processo creativo di tanti artisti nazionali e stranieri. Eppure è giusto provare anche solo a suggerirla questa storia, a darne un’idea. Molto del «classico» sparso per il mondo ha un’origine nelle raccolte del Museo di Napoli. Al tema della fortuna potrebbe essere affiancato anche quello del racconto che il Museo ha fatto nel tempo di se stesso, del rapporto cercato e raggiunto coi visitatori e quello dello sguardo che questi ultimi hanno avuto sul Museo.

La Biblioteca La Biblioteca Storica del Museo, costituita agli inizi del Novecento, si è accresciuta e continua ad accrescersi attraverso acquisti, scambi e donazioni – in tempi piú o meno recenti ricordiamo i fondi appartenuti a Olga Elia, Paola Zancani Montuoro, Werner Johannowsky. Il suo patrimonio librario, centrato sull’archeologia classica e sulle altre discipline legate alle attività di tutela, valorizzazione, ricerca e museologia, consta di circa 60 000 volumi e oltre 900 testate periodiche, di cui 74 correnti. Per queste ragioni la Biblioteca Storica dell’istituto è un punto di riferimento per gli studi di archeologia, soprattutto legati al territorio un tempo di competenza della Soprintendenza, e centro vivo di documentazione e informazione. Le nuove accessioni sono sistematicamente informatizzate nel Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), per un totale di circa 40 000

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schede bibliografiche, mentre l’immissione prosegue, a beneficio degli utenti, per il patrimonio pregresso, ivi compreso il Fondo antico. Per quest’ultimo, costituito da oltre 7500 volumi distinti in edizioni rare e pregiate – distribuite in un arco cronologico che va dagli incunaboli del Quattrocento ai volumi fino al 1830 –, è prevista la digitalizzazione, ai fini della tutela e conservazione del patrimonio bibliografico piú delicato, ma anche del miglioramento dell’accessibilità per l’utenza.

L’Archivio Storico L’Archivio Storico custodisce i documenti che riguardano la vita e il funzionamento del «Real Museo Borbonico e Soprintendenza agli Scavi del Regno». Si tratta di carte che coprono un arco cronologico compreso tra la metà del Settecento e il 1920 circa e sono relative a due principali sfere di attività: il Museo e la Pinacoteca da una lato – trasferita al Museo di Capodimonte nel 1957 – gli scavi dall’altro – a cominciare da quelli condotti nell’area vesuviana dal governo –, fino agli innumerevoli interventi effettuati, anche su impulso di privati, nelle altre località del Regno, esteso dal Lazio meridionale (ai confini con lo Stato della Chiesa) alla Sicilia. Il patrimonio dell’Archivio consta di circa 12 000 fascicoli, 300 disegni e 180 volumi manoscritti, contenenti gli inventari antichi del Museo. Si tratta di una documentazione informatizzata in una banca dati interna, all’interno della quale i singoli documenti sono classificati per categorie tematiche e/o topografiche, rispettando l’antica classificazione che è stata ricostituita nel corso del riordino completato negli ultimi anni. I documenti successivi al 1920 sono conservati, salvo cari specifici, presso l’Archivio di deposito (già Archivio corrente della Soprintendenza), in quanto sede centrale dell’Istituto soppresso. I dati relativi a tale documentazione sono inseriti all’interno di una banca dati obsoleta di oltre 46 000 records, per i quali sono necessari la verifica, il riordino e il trasferimento nella banca dati dell’archivio. In questo modo sarà possibile rendere pubblici e


L’Archivio Storico del Museo.

consultabili questi fascicoli, soprattutto da parte degli altri Istituti del Ministero della Cultura. La sezione degli Affari riguardanti il Museo fino agli anni Novanta, tuttavia, è stata di recente riversata nell’Archivio Storico, pertanto dovrà essere catalogata all’interno della banca dati, cosí come l’omologa sezione relativa agli scavi – eseguiti nel territorio di competenza della Soprintendenza cui apparteneva il Museo – che sarà ugualmente versata all’Archivio Storico nel prossimo futuro. Un processo di digitalizzazione ad alta definizione riguarderà anche i volumi degli inventari borbonici, che dovranno essere provvisti di un adeguato corredo di metadati, da un lato per garantire la conservazione dei manoscritti, dall’altro per agevolare la ricostruzione della biografia e storia museografica di ciascun oggetto del Museo. I dati relativi ai fascicoli catalogati e gli inventari antichi digitalizzati confluiranno, progressivamente, nella piattaforma informatica unitaria SIPA MANN, che ha l’obiettivo di consentire una

consultazione condivisa e integrata dei fondi archivistici e inventariali.

L’Archivio Fotografico L’Archivio Fotografico del MANN custodisce un patrimonio ricchissimo di immagini, in analogico e in digitale, che hanno come soggetto sia i reperti del Museo, sia le aree archeologiche della Campania e dell’Italia meridionale. Il Museo, infatti, è un istituto autonomo solo da pochi anni, ma nella sua secolare storia costituiva una delle articolazioni di una piú vasta istituzione destinata alla tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico (la Soprintendenza, con denominazioni diverse nel corso dei secoli, si sono succedute). L’archivio di immagini costituisce una preziosa testimonianza sugli scavi eseguiti e rappresenta una fonte insostituibile per tutte le attività di ricerca sull’antico. Il fondo analogico consta di negativi e positivi che coprono un arco cronologico che si estende dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi. Il nucleo piú antico, risalente appunto alla metà del XIX secolo, si compone di 100 lastre, 80 stereoscopie al collodio, 200 lastre alla gelatina bromuro d’argento e 200 diapositive su lastre di vetro. Si datano allo stesso periodo circa 1300 positivi – stampe all’albumina e su carta baritata alla gelatina di bromuro d’argento – eseguite da autori tra i quali si segnalano gli Alinari, Anderson, Brogi, Sommer, Maiuri e Lembo. Dai primi del Novecento e fino agli anni Settanta si datano le lastre alla gelatina di bromuro d’argento – in vari formati (A, B, C) – e i negativi su pellicola – in uso dagli anni Settanta al 2006 – , per una consistenza complessiva di circa 15 000 esemplari. L’Archivio conserva inoltre una grande quantità di positivi in bianco e nero – circa 300 000 – i piú antichi dei quali risalgono al 1903 e circa 60 000 diapositive a colori. Le immagini realizzate negli ultimi anni – oltre 180 000 – sono state eseguite in digitale. La delicatezza delle lastre fotografiche pone una serie di problemi per garantire la loro conservazione nel tempo, la pulizia e la messa in sicurezza dei supporti.

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STORIA E ALLESTIMENTO

La digitalizzazione delle immagini e la loro catalogazione all’interno del sistema informativo ministeriale SIGECWEB rappresentano una misura di tutela, consentendo la consultazione dei fondi fotografici antichi preservando la materialità del supporto.

Uno dei rami incisi realizzati per l’opera Antichità di Ercolano esposte.

Il deposito rami Tra i depositi del Museo ha un posto di rilievo, per la sua unicità, quello dei circa 6000 rami incisi, in gran parte inediti, fatti realizzare su impulso iniziale di Carlo di Borbone nella prima stagione di scavi vesuviani e finalizzati alla documentazione a stampa delle Antichità di Ercolano esposte, impresa editoriale titanica di documentazione degli oggetti ritrovati negli scavi, di cui furono realizzati otto volumi, tra il 1757 e il 1792.

L’Archivio stampe e disegni L’Archivio stampe e disegni consta di 1372 stampe e 1300 dipinti e acquerelli. Si tratta di materiale illustrativo delle edizioni a stampa borboniche e rappresentazioni di contesti archeologici, soprattutto di area vesuviana.

L’Archivio Catalogo L’Archivio Catalogo è l’articolazione del Museo che ha il compito – fondamentale ai fini sia della tutela che della valorizzazione – di inventariare e catalogare secondo gli standard ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione) il patrimonio custodito dall’Istituto. Il Catalogo consta di un archivio di circa 50 000 schede cartacee di vario tipo – RA, SI, CA-MA, TMA – compilate dagli anni Settanta del secolo scorso e relative sia al patrimonio di oggetti, sia ai siti e complessi archeologici. Come per la documentazione dell’Archivio di deposito, infatti, il Museo custodisce, materialmente, la documentazione che riguarda il territorio un tempo di pertinenza della Soprintendenza di cui l’Istituto faceva parte. Ciascun tipo di scheda riguarda i singoli oggetti (RA), oppure classi specifiche di materiali (come quella relativa ai beni numismatici), complessi di oggetti (TMA) o i siti (SI) e complessi archeologici (CA).

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Nella seconda metà degli anni Ottanta si è avviato il processo di digitalizzazione del patrimonio archeologico, che è consistito nella produzione di schede di catalogo informatizzate, utilizzando applicazioni stand alone agli standard ICCD. Il patrimonio catalografico attuale consta di oltre 55 000 schede, relative a beni mobili, monete, gemme, epigrafi, matrici incise del Settecento e dell’Ottocento, stampe, disegni e fotografie d’epoca – realizzate in collaborazione tra il Ministero e la Regione Campania dal 2005 – inserite nel Sistema Informativo di Catalogo Regionale (CRBC), che coprono circa un quarto del patrimonio posseduto dal MANN. Questo patrimonio di schede è stato parzialmente riversato nella banca dati nazionale SIGECWEB – oltre 8500, mentre circa 4500 schede relative a reperti archeologici (RA) e fotografie (F) sono in corso di validazione. I due sistemi (CRBC e SIGECWEB), nati in epoche diverse, sono omologhi e interoperabili tra loro, mediante procedure di riversaggio reciproco delle schede catalografiche da completare nei prossimi anni, di pari passo con le campagne di catalogazione,


Il Foro di Pompei in un acquerello di Luigi Bazzani conservato nell’Archivio Stampe e Disegni del Museo.

in modo da rendere i due sistemi speculari e accessibili via web agli utenti interessati, in un’ottica di open data. Oltre alle schede, il MANN sta curando da anni l’informatizzazione dei 36 registri inventariali patrimoniali, inseriti in una banca dati relazionale – per il momento a solo accesso interno – che di recente è stata implementata nel Sistema Informativo per il Patrimonio Archeologico del MANN (SIPA). Si tratta di una piattaforma complessa e multifunzionale, a tecnologia web multiutente, con interfacce alfanumeriche e cartografiche «a cannocchiale» multi-livello per l’inserimento dati e la ricerca: piano, sezione o deposito museale, sala o ambiente, vetrina e scaffale. Il sistema informativo mette in relazione i diversi archivi di dati – Inventari, Archivio Multimediale, Archivio Storico, Archivio Fotografico, Archivio Disegni, Restauro, Movimentazione – ciascuno dei quali è autonomo in sé, ma coopera ed è collegato con gli altri. Nel SIPA sono stati importati i dati inventariali dei beni posseduti, tratti sia dai registri cartacei sia dalle schede catalografiche.

L’architettura relazionale del sistema consente la gestione integrata dei beni archeologici e documentari posseduti dal Museo, ai fini della conoscenza, tutela, conservazione e valorizzazione degli stessi. La gestione delle informazioni, non da ultimo, risulta particolarmente utile per scopi patrimoniali, in quanto permette di tenere agevolmente sotto controllo la movimentazione interna ed esterna di opere e documenti. Nel futuro prossimo il SIPA del MANN – con le dovute procedure di sicurezza rispetto alle informazioni riservate di carattere patrimoniale – diventerà una banca dati di pubblica consultazione, nella quale saranno visibili i dati di interesse pubblico sui beni posseduti.

Depositi: Sing Sing e gli altri «Sing-Sing» è lo scherzoso soprannome con il quale è conosciuto il deposito piú noto del MANN. Il nome è suggerito dagli imponenti cancelli e dalle grate di sicurezza che chiudono una serie di ambienti posti nei sottotetti dell’edificio nei quali sono custodite decine di

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Alcuni degli oltre 30 000 reperti attualmente custoditi nel deposito ribattezzato «Sing Sing» in una foto di Luigi Spina. In basso il Giardino delle Fontane.

migliaia di oggetti, soprattutto da Pompei ed Ercolano, molti dei quali relativi alla vita quotidiana. Sono circa 30 700 manufatti in bronzo, ferro, ceramica, vetro portati alla luce nel corso degli scavi del Settecento e dell’Ottocento. Oltre al ricchissimo campione vesuviano, le «celle» ospitano parte della storica collezione vascolare e i 1350 vasi della collezione di Nicola Santangelo – potente Ministro degli Interni sotto il regno di Ferdinando II di Borbone – acquistata dal Comune di Napoli e affidata, in comodato d’uso perpetuo, al Museo grazie al geniale intervento di Giuseppe Fiorelli. Una successiva articolazione del deposito, denominata «Sing-Sing nuovo», detiene 6250 oggetti della collezione del marchese Marcello Spinelli donata al Museo – ceramiche e bronzi – e reperti dal territorio, provenienti dagli scavi eseguiti nelle Province di Napoli e Caserta fino agli anni Sessanta del secolo scorso, tra i quali, per esempio, oltre 6100 manufatti da Santa Maria Capua Vetere, l’antica Capua. Un altro settore, la «Passerella», conserva oltre 10 000 reperti rinvenuti nel santuario di Persefone a Locri Epizefiri, in località Parapezza, scavato da Paolo Orsi tra il 1908 e il 1911. Il box 26, invece, contiene circa 2500 lucerne fittili da Pompei ed Ercolano. Al terzo piano dell’ala occidentale si trova il

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deposito affreschi, nel quale sono conservati i circa 1200 intonaci dipinti non esposti. Sullo stesso livello sono posizionati i depositi relativi a materiali pre-protostorici, reperti cumani degli scavi eseguiti da Emilio Stevens tra il 1878 e il 1896, terrecotte magno-greche, pompeiane e campane. Al terzo piano è ubicato anche il medagliere, ricco di circa 150 000 monete, gemme e oreficerie, custodite all’interno di armadi. I sotterranei sono destinati ai materiali piú pesanti. Il deposito piú noto è quello delle «Cavaiole», che conserva le sculture provenienti dallo scavo di siti archeologici – principalmente Pozzuoli e Pompei –, ma anche recuperate, in tempi relativamente recenti, durante i lavori del Risanamento del centro storico di Napoli, un grande intervento urbanistico eseguito alla fine dell’Ottocento. Nei sotterranei, per ovvie ragioni di statica, si colloca anche il deposito epigrafico.

I giardini del MANN L’edificio museale comprende anche tre giardini storici, restaurati e valorizzati nel corso degli ultimi anni, a partire dai primi mesi del 2016, con interventi di pulizia e risistemazione, che ne hanno consentito la riapertura al pubblico. L’idea che ha guidato la politica degli interventi è che gli spazi aperti, giardini e cortili,


sono un elemento vitale delle città, un vuoto che va a interrompere il pieno del costruito e garantisce uno spazio di aggregazione. I cortili dei palazzi storici e dei complessi religiosi sono, al tempo stesso, luoghi privati e di vita comune. I giardini impreziosiscono il Museo grazie alla luce che donano alle sale che vi si affacciano, alle prospettive inedite di visuale, alla dimensione rilassante che inducono. I primi due, il Giardino delle Fontane e quello delle Camelie – rispettivamente nell’ala orientale e occidentale – si sviluppano nei cortili ai lati dell’ingresso principale. Entrambi sono articolati in due grandi parterre, divisi in quattro aiuole e definiti da vialetti ortogonali pavimentati in laterizio a spina di pesce. Gli angoli delle aiuole rivolti verso il centro del cortile sono a semiarco, cosí che si viene a creare uno spazio circolare centrale, che ospita un rialzo quadrangolare in pietra di pochi centimetri di altezza. Il cortile occidentale, denominato dopo il restauro Giardino delle Camelie, faceva parte già dell’edificio seicentesco e fu riutilizzato dal 1807, durante il decennio francese, per volere del re Giuseppe Bonaparte, che intendeva aprire al pubblico il Museo Reale di Napoli. Secondo un criterio comune all’epoca, in questo cortile fu allestito il «Museo delle Statue», nel quale gli elementi lapidei si inframmezzavano scenograficamente alla vegetazione. Per la disposizione delle sculture

nel giardino, l’allora direttore del Museo, Michele Arditi, scelse il progetto proposto dall’architetto Francesco Maresca, che disegnava uno spazio quadripartito con fontane, evocando l’atrio della casa romana, con l’impluvium al centro, ma al tempo stesso dando un carattere piú meditativo agli spazi, con aiuole prive di bordure. Quelle attuali, infatti, sono frutto di aggiunte successive. Un restauro architettonico di forte impatto visivo è stato realizzato tra il 1976 e il 1986, quando furono stompagnati gli archi del porticato e riportati alla vista i pilastri in mattoni e le cornici in piperno. Nel corso dello stesso intervento la pavimentazione in basoli fu sostituita dal pavimento in cotto e l’impluvium fu spostato, insieme a molte delle epigrafi esposte. Il Giardino delle Fontane, di cui si ha traccia documentale dal 1824, deve il suo nome alla presenza di una serie di elementi scultorei di fontana. Lo spazio, simmetrico rispetto al Giardino delle Camelie, presenta la stessa struttura compositiva, con un impluvium realizzato con marmi di provenienza pompeiana al centro, nello spazio circolare inquadrato dalle aiuole, nelle quali svettano le longilinee palme washingtonia (Washingtonia filifera), piantumate tra l’Ottocento e i primi del Novecento. Purtroppo nella documentazione di archivio non sono state trovate informazioni sulle essenze utilizzate per le aiuole, mentre sappiamo della presenza di bossi, camelie (a fioritura sia estiva che invernale), agrumi, pungitopo maggiore (Ruscus hypoglossum) e bulbose. Al centro del cortile si può oggi ammirare una fontana in porfido rosso, proveniente dalle Terme di Caracalla a Roma, denominata nei documenti dell’Ottocento «Gran Tazza in porfido Farnesiana» o «Gran Cratere». Al centro delle aiuole vi sono tre piccole fontane, composte di elementi antichi. Il terzo giardino, denominato tradizionalmente «Vanella», si trova sul lato posteriore dell’edificio museale ed è stato di recente recuperato alla fruizione, rimettendo in luce anche la riproduzione in scala di una peschiera romana, fatta realizzare negli anni Trenta da

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Amedeo Maiuri sul modello di quella rinvenuta in una villa di Formia. La progettazione del giardino, contemporaneo a quello delle fontane, si deve a Michele Arditi, che procede alla sistemazione dello spazio compreso tra il Museo e il giardino del convento di S. Teresa degli Scalzi, nel quale, anni addietro, era stata scavata una necropoli greca. Il progetto, curato dall’architetto Pietro Bianchi, comincia a prendere forma nel 1831, che procede a spianare l’area e realizza un parterre a quattro aiuole e vialetti pavimentati, analogamente agli altri due giardini. In questo caso, tuttavia, la configurazione longitudinale dello spazio suggerisce la creazione di un lungo viale centrale. Alla fine degli anni Venti del Novecento la fabbrica museale si arricchí di un altro corpo di fabbrica, il cosiddetto Braccio Nuovo, che doveva ospitare, tra le altre cose, la sezione tecnologica. Il giardino, diventato area di cantiere, venne smantellato e poche testimonianze, anche fotografiche, ne testimoniano l’esistenza. Al termine dei lavori, su impulso di Maiuri, lo spazio venne ripristinato a verde, con un giardino dalle linee geometriche classiche, nel quale i marmi antichi fossero accostati alla vegetazione. Al centro la riproduzione in scala della peschiera di Formia. La recente riapertura del giardino della Vanella evidenzia una chiave di lettura dello spazio che vuole proporsi come ippodameo, suggerendo un legame ideale con l’impianto urbano della greca Neapolis. Il viale centrale, infatti, è attraversato ortogonalmente dai vialetti secondari, che vanno a individuare una serie di aree verdi, con superfici a prato, alberi, arbusti e piante erbacee. Dal punto di vista architettonico, inoltre, nel futuro prossimo sarà completato il riallestimento della peschiera, con la posa in opera dei marmi di rivestimento, e si procederà al restauro della struttura dell’ipogeo di Caivano, rinvenuto nell’hinterland napoletano nel 1923 e trasportato e ricostruito nel cortile del Museo. La risistemazione attuale dei

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giardini ha curato anche l’arredo – per il quale sono state scelte panche in legno dalla linea molto semplice – e l’illuminazione – inserimento di pochi punti di luce calda e soffusa, che esalta il carattere romantico del giardino. Completato nel 2022, il recupero degli spazi verdi dà concretezza a una visione di museo green, attento alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale inteso nella sua interezza. Se il paesaggio è frutto dell’interazione tra essere umano e ambiente naturale, il recupero dei giardini, al di là dell’aspetto storico-architettonico, si configura come tutela e valorizzazione del bene comune per eccellenza, il nostro pianeta.

Il Braccio Nuovo L’edificio denominato Braccio Nuovo, una sorta di parallelepipedo dalla forma allungata addossato alla collina di Santa Teresa, dominato dall’alto dall’Istituto Colosimo, fu costruito sul finire degli anni Venti del Novecento per ospitare la sezione tecnologica del Museo. Cadde poi in disuso, con l’eccezione del braccio laterale che lo congiunge all’edificio museale e che ospita la storica porzione del laboratorio di restauro. Alla fine degli anni Ottanta si è aperto il cantiere per il recupero completo dell’edificio che, grazie a finanziamenti di natura europea transitati per la Regione Campania prima e per il Ministero poi, hanno permesso il pieno recupero dello stesso con un innovativo progetto allestitivo e nuove destinazioni d’uso degli spazi. La progettazione, a cura di Gnosis, ha previsto una importante articolazione di spazi che, complessivamente, ammontano a 4400 mq: un auditorium per circa 300 posti a sedere; un ristorante d’eccellenza; la sezione didattica; la nuova sezione tecnologica romana; spazi flessibili da destinarsi ad attività varie, come l’allestimento di mostre tematiche, attività didattiche e attrezzature di ausilio e preparazione alle visite; un’ampia zona di depositi, anche climatizzati (vi è previsto l’ingresso di materiale di archivio, reperti paleobotanici, fondi stampe e disegni); un


Ricostruzione di una macina realizzata per la Sezione Tecnologica Romana creata da Amedeo Maiuri negli anni Trenta del Novecento.

ampliamento consistente della sezione del restauro. Le scelte progettuali sono state effettuate nell’ottica della massima qualità del dettaglio e di soluzioni studiate ad hoc per gli spazi in oggetto. Tutti i materiali e finiture sono coerenti con il concetto architettonico costruttivo di questo complesso e la sua storia progettuale: le scelte supportano infatti la percezione di una struttura tecnica funzionale, moderna e contemporanea, a servizio del piú importante Museo napoletano, nella quale si privilegiano anche cristallo e acciaio.

La Sezione Tecnologica Romana Amedeo Maiuri aveva avuto una grande intuizione: aveva concepito una sezione di tecnologia e meccanica antica, ospitata nel cosiddetto Braccio Nuovo del Museo. La nuova Sezione Tecnologica – con circa 100 reperti e ricostruzioni moderne di macchinari romani –, mostrerà ai visitatori come attraverso la strategia e la progettazione i Romani avevano affrontato e risolto le grandi sfide tecnologiche. Il taglio dell’allestimento sarà decisamente didattico e prevede approfondimenti pensati non solo per gli esperti, ma anche per un pubblico piú generale di giovani e scuole. La narrazione si incentra sui quattro elementi – aria, acqua, terra e fuoco –, e sulle attività umane a essi legate.

La volta celeste è la chiave suggestiva attraverso la quale raccontare l’astronomia e la misura del tempo; mentre la riproduzione di macchinari antichi permette di dare concretezza alla produzione di olio, pane e vino. Accanto alle macine, pertanto, nella sezione saranno esposti tutti gli strumenti utilizzati per coltivare e misurare la terra, pesare e conservare le derrate, progettare e costruire: la famosa groma dalla bottega di Verus – per misurare gli appezzamenti di terreno –, rastrelli, zappe, vanghe, forche, squadre, compassi, fili a piombo, calibri, martelli, scalpelli. L’allestimento approfondisce anche le tecnologie idrauliche, legate all’irreggimentazione delle acque cittadine e al rifornimento idrico delle singole abitazioni. Stiamo parlando delle grandi valvole idrauliche trovate a Pompei, le fistulee (tubature) in piombo, le chiavi d’arresto, i rubinetti, le bocche di fontana, le vasche da bagno in bronzo. Lenti, prismi, globi ustori sono esempi dell’applicazione tecnologica del vetro rispetto alla luce e al fuoco. Il percorso espositivo prevede diversi livelli di comunicazione, con i reperti romani (per la maggior parte di area vesuviana, provenienti dai depositi del MANN) messi a confronto con la ricostruzione moderna dei macchinari antichi: meridiane, pesi, bilance, misure campione. L’allestimento comprende anche un apparato multimediale che illustra il funzionamento della tecnologia romana. Tra i macchinari ricostruiti, i piú notevoli sono la gru calcatoria, la vite di Archimede e la ruota idraulica. In quest’ultimo caso al modello ricostruito si affianca un oggetto eccezionale: il calco della ruota idraulica rinvenuta all’inizio del Novecento nell’alveo del fiume Triverno, nei pressi di Venafro. La Sezione Tecnologica Romana sarà preceduta, suggestivamente, da una sorta di «anteprima espositiva» nel Giardino della Vanella, dove sarà completato il riallestimento della peschiera voluta da Amedeo Maiuri negli anni Trenta del secolo scorso, riproducendo in scala ridotta una fontana rivestita in marmo rinvenuta in una villa romana a Formia.

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I GRANDI CAPOLAVORI Toro Farnese (sala 16) Gruppo scultoreo rinvenuto nel 1545 nella palestra delle Terme di Caracalla, fatte costruire dall’imperatore sull’Aventino tra il 212 e il 216 d.C. Rappresenta il mito del supplizio della regina Dirce, legata dai gemelli Anfione e Zeto alle zampe di un toro infuriato per vendicare i torti subiti dalla madre, Antiope, nipote della regina. La scultura è probabilmente la piú grande pervenuta dall’antichità ed è conosciuta anche come la «montagna di marmo». Si tratta probabilmente di una copia di età severiana dell’originale della fine del II secolo a.C., opera degli scultori rodii Apollonio e Taurisco di Tralles, portata a Roma da Asinio Pollione. Il gruppo statuario fu restaurato a piú riprese, a partire dal Cinquecento. Incaricato della sistemazione delle residenze farnesiane, Michelangelo aveva progettato di utilizzarlo come fontana al centro di un giardino tra Palazzo Farnese e la villa della Farnesina. Quando l’opera fu trasportata a Napoli venne collocata, in un primo momento, nel Real Passeggio di Chiaia (attualmente Villa Comunale) al centro di quella che oggi è conosciuta come «fontana delle paparelle». In seguito alle proteste del mondo della cultura, fu trasferita al Museo nel 1826.

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Ercole Farnese (sala 11) Rinvenuto a Roma nel 1546 nelle Terme di Caracalla. Firma di Glykon. Copia di età severiana da un originale in bronzo del IV secolo a.C., attribuito a Lisippo o alla sua scuola, fu restaurato da Guglielmo della Porta, allievo di Michelangelo. Mentre in età arcaica e classica l’eroe è rappresentato attivo, nel pieno della forza e trionfante, in età ellenistica si affaccia una

nuova immagine, pensosa e malinconica. Nel tepidarium delle terme c’era un’altra replica dello stesso soggetto, l’Ercole Latino, restaurato da Ulisse Aldovrandi. Entrambe le sculture andarono a decorare il cortile di Palazzo Farnese a Roma. Con i Borbone l’Ercole di Glykon venne a Napoli, mentre l’Ercole Latino fu inviato nel 1788 alla Reggia di Caserta.

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Gruppo dei Tirannicidi (sala 4) Già appartenente alla collezione di Margherita d’Austria, il gruppo era esposto a Palazzo Farnese, nella Sala Grande, insieme ad altre statue di tipo eroico (nude oppure semipanneggiate) denominate e interpretate negli antichi inventari come «gladiatori». Le sculture antiche erano associate a statue moderne che evocavano le virtú e i trionfi militari del casato, allo scopo di celebrare la gloria della famiglia. L’allestimento di gruppi statuari di combattenti era frequente nelle raccolte rinascimentali, sulla scorta del fascino evocato dalla storia dello scontro tra i fratelli Orazi e i fratelli Curiazi, raccontato da Tito Livio. Il gruppo statuario farnesiano raffigura due giovani ateniesi, Armodio e Aristogitone, che nel 514 a.C., durante la processione panatenaica, uccisero Ipparco, il figlio minore del tiranno Pisistrato, nell’ambito di una congiura scoperta all’ultimo momento. I due giovani amanti furono condannati a morte, ma qualche anno dopo, nel 510 a.C., Ippia, l’altro figlio di Pisistrato, fu cacciato e la tirannide rovesciata. A questo punto la propaganda del partito democratico riprese l’episodio, trasformando i due ragazzi in martiri della libertà celebrati dallo scultore Antenore con un gruppo in bronzo. Le sculture furono trasportate dai Persiani di Serse a Susa nel 480 a.C. come bottino di guerra e riportate ad Atene piú di cento anni dopo da uno dei successori di Alessandro Magno, che aveva sconfitto i Persiani nel 333 a.C. Nel frattempo, tuttavia, gli Ateniesi avevano

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commissionato un nuovo gruppo statuario in bronzo agli scultori Kritios e Nesiotes, allievi di Antenore, eretto nell’Agorà come simbolo della ritrovata libertà dopo la vittoria nelle guerre persiane (477 a.C.), della democrazia ateniese e del culto delle antiche virtú attiche. I due gruppi, pertanto, dovevano essere esposti entrambi nell’Agorà. Le statue napoletane sono una copia romana databile al II secolo d.C. (età adrianeo-antonina) in marmo italico bianco a grana fine con venature grigiastre, la superficie è ricoperta di una patina marrone. Si tratta dell’unica attestazione completa del soggetto, che permette la ricostruzione piú fedele, per quanto possibile, dello schema iconografico originale. Dal punto di vista compositivo si tratta di un esempio tipico dello stile severo, da notare la simmetria dei movimenti tra le due parti del corpo: al braccio sinistro proteso in avanti di Aristogitone (il piú anziano dei due) corrisponde la gamba destra avanzata, mentre al braccio destro teso all’indietro corrisponde la gamba destra arretrata; nel caso di Armodio (il giovane imberbe) al braccio destro alzato corrisponde la gamba destra avanzata, mentre braccio e gamba sinistri sono arretrati. La testa di Aristogitone è un calco in gesso della statua dei Musei Vaticani dello stesso soggetto. Nel Cinquecento lo scultore Giovanni Battista de Bianchi aveva adattato alla scultura una testa antica tipo Meleagro, esposta in sala alle spalle del gruppo statuario.


Vaso di Dario (sala 136) È un cratere apulo a figure rosse, decorato da mascheroni femminili, rinvenuto a Canosa di Puglia nel 1851 nell’ipogeo che da esso prende nome, da cui provengono un altro monumentale cratere a volute (il cosiddetto vaso di Patroclo), altri vasi di produzione magno-greca e indigena, due corazze in bronzo, un giavellotto e un morso equino. È conosciuto anche come «vaso dei Persiani» perché sul lato principale è raffigurato il re Dario tra i suoi dignitari che riceve un messaggero, alla presenza di personificazioni divine e omaggiato dai suoi sudditi. In gergo tecnico si dice che si tratta del vaso eponimo del pittore di Dario, cioè quello sul quale è stata riconosciuta la mano del ceramografo che lo ha decorato, nella seconda metà del IV secolo a.C.

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Atlante Farnese (Collezione Farnese) Stauta in marmo bianco asiatico a grana fine. Già parte della collezione del Bufalo, acquisita dal cardinale Alessandro Farnese nel 1562, è la piú completa rappresentazione dello Zodiaco dell’antichità. Il titano è rappresentato piegato sulle ginocchia mentre regge sulle spalle il peso della volta celeste. Il soggetto è noto in bronzetti e rilievi, tuttavia non ci sono altre repliche in marmo, pertanto l’Atlante Farnese è praticamente un unicum. La scultura si data al II secolo d.C. e proveniva forse dalla biblioteca del Foro di Traiano. La posizione delle costellazioni e dei punti equinoziali, infatti, è compatibile con la geografia astronomica divulgata nel trattato di Claudio Tolomeo (precessione degli equinozi). Si riconoscono infatti l’equatore, l’eclittica (cioè il moto apparente del Sole intorno alla Terra nel corso dell’anno), i circoli polari. Nella parte sommitale della sfera c’è una cavità, probabilmente destinata a ospitare un’asta metallica (gnomone), segno che la scultura era utilizzata come meridiana, cioè come orologio solare.

Tazza Farnese (sala 10) Partita dal tesoro di Cleopatra e giunta fino a Napoli, nelle collezioni di Carlo III di Borbone, passando per Costantinopoli, Samarcanda, Firenze. Si tratta del piú grande cammeo del mondo antico (vedi anche alle pp. 54-55): una phiale (sorta di piatto rituale) per libagioni in agata sardonica creata ad Alessandria d’Egitto nel I secolo a.C.. Negli strati colorati della pietra un ignoto artista ha raffigurato una complessa allegoria, che celebra la fertilità del paese del Nilo e il potere dei faraoni.

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Venere Callipigia (sala 24) Testa e spalle della statua sono integrazioni dello scultore romano Carlo Albacini. L’opera è una creazione romana del II secolo d.C. che rielabora originali greci del II secolo a.C., dal gusto che si potrebbe definire rococò, con terminologia da storia dell’arte moderna. Il soggetto è un tema idillico da fontana: la dea sta per entrare in acqua per fare il bagno e si denuda contemplandosi in uno specchio d’acqua. Il nome attribuito tradizionalmente all’opera, dal greco kallipygos (dal bel sedere) è quello della famosa statua di culto del tempio di Afrodite a Siracusa, concepita per essere osservata da tutti i lati.

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Mosaico di Alessandro (sala 61) La sezione mosaici del MANN fa girare la testa con lo spettacolo dei suoi colori. Il piú importante, il piú grande dell’antichità, si trova alla fine e proviene dalla Casa del Fauno a Pompei, grande quanto un intero isolato della città antica, praticamente un

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palazzo da re ellenistico. Il salone di rappresentanza piú elegante della casa ospitava sul pavimento il gran musaico (l’opera misura oltre 5 x 3 m), migliaia di minuscole tessere di pietra colorata che vibrano sotto la luce, come pennellate di un quadro.


Ed è proprio a un dipinto su tavola, molto piú antico, che si è ispirato il mosaicista. Chi sono i due condottieri che si scontrano in quel mare di lance e cavalli? A sinistra Alessandro Magno, re di Macedonia, a destra Dario III Codomanno, il re di

Persia. Il primo lo riconosciamo in groppa al suo cavallo, Bucefalo, il secondo, con la tiara gialla, è sul carro e sta ordinando ai suoi la ritirata, ma è accerchiato dalle lunghe lance dei soldati macedoni, le famose sarisse.

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Danzatrici di Ruvo (sala 139) Una danza di donne, guidate da tre fanciulli, è dipinta sulle lastre di una tomba da Ruvo di Puglia datata tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C.

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È l’unica raffigurazione conosciuta di danza funebre con le mani intrecciate, resa ipnotica e suggestiva dalla ripetizione cadenzata di linee e gesti.


Qualcuno l’ha messa in relazione con il geranos, la danza delle gru, eseguita da Teseo e dai giovani ateniesi da lui liberati all’uscita del labirinto

cretese. Secondo questa interpretazione anche la danza di Ruvo avrebbe un significato salvifico ed escatologico.

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Affresco di Saffo (sala 78) Tra gli sguardi piú belli del Museo Archeologico Nazionale di Napoli c’è quello della ragazza con lo stilo, tradizionalmente (ed erroneamente) identificata con la poetessa greca Saffo. La fanciulla

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rappresentata in questo bellissimo quadretto pompeiano regge una tavoletta e appoggia lo stilo sulle labbra. Porta i capelli acconciati alla moda del tempo ed è agghindata con preziosi

monili. Lo stilo e la tavoletta indicano che la donna era la domina, la padrona di casa, responsabile dei conti della famiglia, capace di leggere, scrivere e fare di conto.


Corridori della Villa dei Papiri (sala 116) Corridori o lottatori, lo sguardo magnetico dei loro occhi intarsiati nel bronzo cattura dal 1754, anno della loro scoperta, l’occhio anche del visitatore piú

distratto e prosaico. Decoravano il peristilio della villa, imitazione romana di modelli ellenistici del IV-III secolo a.C.

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Antichità e innovazione È ANNOVERATO TRA LE PIÚ IMPORTANTI RACCOLTE ARCHEOLOGICHE AL MONDO, MA È ANCHE UN MUSEO DALLA FORTE IMPRONTA TECNOLOGICA. UNA CARATTERISTICA CHE IL MANN HA POTENZIATO PROPRIO NEGLI ULTIMI ANNI, CON INIZIATIVE VOLTE AD AMPLIARE LA FRUIZIONE DEL SUO PATRIMONIO ATTRAVERSO MOLTEPLICI CANALI DI COMUNICAZIONE, IN RETE MA NON SOLO… di Paolo Giulierini e Antonella Carlo

S Un momento delle operazioni di digitalizzazione dei reperti della Collezione Farnese custoditi nei depositi del Museo.

ono ben noti i processi che hanno portato, nel tempo, alla progressiva suddivisione fra musei d’arte antica e musei tecnologici, quasi a marcare il fatto che i due mondi, separati con approccio positivistico a partire dall’Ottocento, lo fossero anche ab origine. È quasi banale, invece, ricordare come ben poco delle conquiste dell’arte del mondo antico sarebbe stato possibile senza una corretta padronanza delle tecnologie (basti pensare, a solo titolo di esempio, al processo di costruzione di un tempio, a partire dall’operazione di cavatura delle pietre fino a quella dell’innalzamento delle colonne). Le straordinarie scoperte di Pompei hanno accelerato sempre di piú tale processo di ricongiungimento delle due

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dimensioni, perché, caso unico insieme al mondo egizio, hanno riportato alla luce tutti gli oggetti della vita quotidiana che di solito il mondo antico non ci ha restituito oppure ha occultato, spesso in oscuri depositi, rispetto ai piú empatici e comunicativi oggetti d’arte. Ne è conseguita spesso un’idea falsata della società antica. In realtà già Amedeo Maiuri, intorno agli anni Trenta del Novecento, ebbe la felice intuizione di dar vita a una Sezione Tecnologica nel Braccio Nuovo del Museo, poi dismessa, nella quale si contemplavano tanti settori delle scienze e delle discipline applicate (dall’idraulica, all’agricoltura, all’astronomia). Oggi il MANN, cosciente del fatto che la società antica non può essere raccontata senza ristabilire tale connubio – che la rende, tra l’altro, molto piú vicina a quella attuale – ha avviato, da una parte, il progetto di rinnovo, riallestimento e ammodernamento di quella che fu la dismessa sezione tecnologica, affidandosi a una collaborazione con il Museo Galileo Galilei, che già lavorò alla mostra «Homo Faber. Natura, scienza e tecnica a Pompei» (1999); dall’altra ha intrapreso un percorso di narrazione tramite le tecnologie di tutti i contenuti museali, per conseguire gli obiettivi previsti dai due Piani strategici e in linea con la Convenzione di Faro e i 17 obiettivi dell’agenda Unesco 2030. Ma per comprendere a pieno tale processo occorre andare per gradi.

Prima del Covid: il patrimonio digitale Durante il primo lockdown, nel marzo e nel settembre 2020, il MANN è stato riconosciuto dal Politecnico di Milano come il museo piú attivo d’Italia su Facebook. Nulla però nasce a caso. Il patrimonio di contenuti che è stato diffuso «nell’ora piú buia» non era che il risultato di quattro anni di lavoro incessante in linea con la mission del primo Piano strategico del Museo. Si è trattato di rispondere alla prima chiusura con una chiamata alle armi, ribaltando sul web molto di quello che era stato realizzato fisicamente. Per farlo occorreva però un Istituto fornito di adeguati sistemi comunicativi, tecnologie, servizi, a partire dal wi-fi, per

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esempio, che era stato installato nel 2018 e oggi copre tutto l’istituto, anche il cosiddetto Braccio Nuovo e l’Auditorium. Il Museo aveva a disposizione i contenuti del progetto OBVIA (con inserzioni sulla letteratura, cartoon, cinema), quelli della MANN TV, la prima TV digitale di un museo italiano con il compito di creare una selezione di canali con le produzioni video dall’Istituto, il videogame Father and Son e molti altri prodotti derivanti dal PON Accessibilità, afferente alla stagione di finanziamento FESR 2014-2021: in particolare cinque «corti» di Lucio Fiorentino dedicati a stati emozionali del pubblico che visita il Museo; la serie Un Lupo al Museo: candid camera legate a temi di forte impatto sociale, come il razzismo e le diverse sensibilità; racconti di gialli al museo nella serie I Gialli Mondadori; il corto del gruppo comico The Jackal, tanto amato dai giovani; o le grandi lezioni di maestri come Luciano Canfora, nell’ambito del tradizionale Festival Fuoriclassico, che si pone come obiettivo quello di affrontare temi trasversali tra antico e presente. Insomma tutti questi contenuti, riversati nel digitale, hanno creato un enorme palinsesto, che spesso era stato fruito solo al momento della produzione fisica. Questo patrimonio è stato diffuso con una capacità di fuoco straordinaria, che ha permesso di entrare in relazione con quella fascia di giovani che, di norma, raggiunge il museo solo dietro «costrizione fisica» durante le gite scolastiche e con gli universitari. Analizziamo adesso in dettaglio i principali prodotti audiovideo del MANN. Antico Presente I cortometraggi Antico Presente del regista Lucio Fiorentino descrivono storie e sentimenti universali legati alle opere del MANN. Desiderio, ispirazione, paura, scoperta e perdita, declinati in cinque brevi video il cui sviluppo è seguito in lingue diverse (inglese, francese, tedesco, spagnolo, italiano). I cortometraggi hanno anche una versione sottotitolata in cinese, con la finalità di promuovere, oltre i confini europei, la variegata

Un particolare dell’allestimento della Sezione Tecnologica romana, cosí come era stata ideata da Amedeo Maiuri negli anni Trenta del Novecento.


attività culturale del MANN (il progetto scientifico di Antico Presente è a cura del professor Ludovico Solima dell’Università della Campania «Luigi Vanvitelli», le musiche originali sono di Antonio Fresa).

disseminazione «Obvia-Out of Boundaries Viral Art dissemination». Ognuno dei video è dedicato a una delle opere esposte al MANN: la narrazione, non casualmente, è affidata a chi lavora e vive tutti giorni il Museo.

MANN Stories MANN Stories è una serie di mini documentari realizzati dal regista Mauro Fermariello nell’ambito del progetto di

Il videogioco Father and son è una forma di storytelling, un modo nuovo di raccontare il Museo, la sua storia e le sue collezioni, nel

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quale le scelte del giocatore influenzano l’esito finale del videogioco. Ha una dimensione narrativa molto coinvolgente e una grafica particolarmente curata ed elegante. Scaricato da oltre cinque milioni di utenti in tutto il mondo e tradotto nelle principali lingue europee, in cinese e in napoletano, il videogame consente di esplorare diverse collezioni museali e di sbloccare, grazie alla geolocalizzazione, contenuti inediti se si visita il MANN.

giocatore incontra dieci diversi personaggi e si imbatte in storie che non solo attraversano le epoche, ma presentano costanti riferimenti alla vita attuale. Il gioco si snoda attraverso diversi livelli temporali: si viene catapultati nel 79 d.C. a Pompei nelle ventiquattro ore che precedettero la devastante eruzione del Vesuvio, per poi tornare nel presente presso le rovine della città romana, nella veste di turista che scatta una foto.

Durante l’esperienza, il protagonista attraversa epoche storiche diverse – dall’antica Roma all’Egitto, passando per l’età borbonica fino alla Napoli odierna – scelte in modo da far acquisire all’utente la consapevolezza dell’esistenza dei tre principali nuclei tematici delle collezioni permanenti del MANN: quella pompeiana, quella Farnese e quella egizia. L’avventura inizia come l’esperienza personale di un ragazzo alla ricerca di tracce della vita di un padre ormai scomparso, ma diventa una storia universale e senza tempo, dove il presente e il passato si alternano in una serie di scelte significative per il giocatore. Sono riprodotte, con cura calligrafica e grandi suggestioni, alcune strade della città di Napoli e le piú importanti sale del Museo. Il

La seconda puntata, Father and son 2 Già selezionato dal Segretariato Generale del Ministero della Cultura tra i progetti innovativi per promuovere le attività di valorizzazione digitale degli istituti italiani, Father and son 2 è scaricabile su Google Play e App Store: dopo il successo della prima puntata (cinque milioni di download in tutto il mondo, traduzioni nelle principali lingue europee, in arabo e in cinese, una versione in napoletano), c’è attesa per la continuazione del gioco dedicato al MANN e pensato non solo per i piú giovani. Father and son 2 ha come protagonista una giovane donna, Sofia, impiegata al MANN e vicina alla laurea in archeologia. Sofia è la compagna di Michael, il ragazzo che, nella prima puntata del videogioco, andava alla ricerca del padre scomparso, un tempo archeologo proprio

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Sulle due pagine fotogrammi tratti dai cortometraggi della serie Antico Presente.


al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il game ha come filo conduttore il tema dell’amore, declinato secondo diverse sfaccettature: punti nodali della storia sono l’incontro con un antico etrusco a Capua nel 475 a.C. e le vicende di Cleopatra e Marco Antonio in navigazione nel Mediterraneo. Il gioco prevede anche incursioni nella storia piú recente: dal viaggio di Charles Dickens a Napoli nel 1844 sino a giungere, circa cento anni dopo,

rivelano come materia viva, in un luogo nel quale l’umanità che ha creato un patrimonio inestimabile incontra l’umanità impegnata giorno per giorno a preservarlo. Prodotto da Antonella Di Nocera (Parallelo 41 Produzioni) e Lorenzo Cioffi (Ladoc) con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli diretto da Paolo Giulierini, produzione esecutiva di Lorenzo Cioffi e Armando Andria, con il contributo di Regione Campania e la collaborazione di Film

ai momenti piú tragici ed emozionanti delle Quattro Giornate che sconvolsero Napoli nel 1943, durante la seconda guerra mondiale. In cantiere, per restare ancora nell’universo delle soluzioni game based, anche l’approdo del MANN nell’universo Minecraft.

Commission Regione Campania, sviluppato in FilmaP-Atelier di cinema del reale, Agalma è un documentario unico nato dalla creatività di un gruppo di giovani e appassionati talenti campani. In squadra con la regista, i fonici Filippo Puglia e Rosalia Cecere, il compositore Adriano Tenore, gli aiuti regia Marie Audiffren ed Ennio Donato e al montaggio il lavoro di Enrica Gatto e della colorist Simona Infante.

Il docufilm Agalma Selezionato alla 17esima edizione delle Giornate degli Autori in occasione della 77a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2-12 settembre 2020), Agalma, vita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è un film documentario scritto e diretto da Doriana Monaco con le voci di Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni, sulla quotidianità e le attività all’interno di uno dei musei archeologici piú importanti del mondo. Un racconto intimo in cui le opere d’arte si

Il portale Slidedoor Slidedoor è uno strumento di sofisticata tecnologia, ideato dalla Factory Slide World: il progetto consiste nella realizzazione di portali a grandezza naturale, attraverso cui è possibile guardare ed essere visti, vivendo l’esperienza di avere di fronte a sé persone e luoghi in realtà molto distanti. La tecnologia è cosí al servizio di una

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raffinata filosofia progettuale: dal lato opposto della porta c’è un’altra persona che osserva e, al tempo stesso, è osservata. La Slidedoor ha collegato il MANN a Palazzo Merulana e al Colosseo a Roma; dal progetto è nata l’idea di realizzare un dizionario metamuseale dei gesti di prossima pubblicazione, con un’analisi del significato della mimica in alcuni capolavori del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

della ricerca, che avrà lo scopo non solo di digitalizzare, ma soprattutto di rendere immediatamente fruibili a studiosi e pubblico manufatti lontani dalle luci delle sale espositive. La realizzazione del MetaMuseo seguirà passaggi ben definiti nel progetto di studio: Cristiana Barandoni (Principal Investigator per il MANN e ideatrice del MetaMuseo), in collaborazione con Floriana Miele (Funzionario archeologo e responsabile

Gli scacchi del MANN Il gioco riproduce i principali capolavori del Museo, prestati al ruolo delle figure degli scacchi. La riproduzione delle singole pedine nasce dalla fedele replica in 3D dei reperti, per renderne, con efficacia, i dettagli.

dell’Ufficio catalogo del MANN), selezionerà nei depositi i quattrocento reperti da digitalizzare, differenti per tipologia di materiali e contesti di rinvenimento. A seguire, il complesso iter della riproduzione in 3D, coordinata dai professori Bernard Frischer e Gabriele Guidi, entrambi condirettori del Virtual World Heritage Laboratory. Si partirà dall’acquisizione immagini di ogni opera, per generare il set piú completo possibile di punti di vista della loro superficie. Da qui, la generazione di nuvole di punti tridimensionali, che rappresenteranno un campionamento della superficie del reperto. Le nuvole di punti saranno la premessa per la produzione di un modello superficie (modello mesh): in sintesi, un insieme di poligoni che, nel complesso, presenteranno la forma

Il Metaverso del MANN Una dimensione digitale interconnessa: è facile passare dal Metaverso al MetaMuseo se, nella rete globale, entrano 400 reperti, che oggi affollano i depositi del MANN e domani incontreranno gli studiosi in un ambiente smart e 3D. È ai nastri di partenza il progetto che, sino al 2027, unirà il Museo Archeologico Nazionale di Napoli alla Luddy School of Informatics dell’Università dell’Indiana: proprio l’istituzione americana sosterrà la parte preponderante dell’impegno finanziario

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Sulle due pagine ancora una sequenza di fotogrammi tratti dai cortometraggi della serie Antico Presente.


dell’oggetto. Decisivo, per garantire la fruibilità al pubblico, il passaggio alla mesh texturizzata, che restituirà l’aspetto visuale del manufatto, custodito in un repository digitale. La Collezione Farnese digitale Migliaia di fotografie per ciascuna delle sessantadue sculture selezionate tra i capolavori della Collezione Farnese del MANN; per l’Ercole, gli scatti sono stati 3000; per il Toro, circa 15 000,

ricostruzione di manufatti. L’ISMed (Istituto di studi sul Mediterraneo del CNR) ha effettuato un importante percorso diagnostico volto al nuovo allestimento della celebre quadriga di Ercolano, mentre Altair Multimedia ha realizzato sia un percorso multimediale attraverso le antiche vie della città vesuviana partendo dal Plastico di Pompei, sia un video ricostruttivo delle pitture perdute dell’anfiteatro.

suddividendo il gruppo in 29 milioni di punti e in una maglia di 14 milioni e mezzo di triangoli: nei primi mesi del 2021, ha preso avvio cosí il lungo e paziente processo di digitalizzazione in 3D dei marmi piú celebri del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il progetto, che ha intrecciato la ricerca sull’antica cromia dei marmi promossa da MANN in Colours e le tecnologie messe a disposizione dalla società statunitense Flyover Zone, ha dato origine a un grande database digitale, disponibile sul sito: https://sketchfab.com/FlyoverZone/collections/ farnese-collection.

Live guided tour alla scoperta del MANN Grazie all’impegno dei Servizi educativi, il Museo sta realizzando una piattaforma di navigazione virtuale dell’Istituto. Il percorso ha previsto la realizzazione di riprese stereoscopiche a 360° degli ambienti e l’individuazione di oltre 100 opere del Museo, per le quali saranno disponibili didascalie, video di approfondimento, scansioni in 3D, file audio. La piattaforma avrà un accesso gratuito per i tour di carattere generalista, mentre potranno esserci itinerari ad hoc affidati a guide turistiche abilitate.

Il digitale per le ricostruzioni di opere e ambienti Il Museo archeologico Nazionale di Napoli applica le piú moderne tecnologie alla riproposizione di ambientazioni e alla

L’app del MANN realizzata da Artware Nata per profilare il pubblico, la app del MANN ha contenuti audio con introduzioni generali alle collezioni del Museo. La app prevede

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videoguide LIS e IS realizzate nell’ambito del progetto E.Lis.a. (Enjoy Lis art).

Dopo il lockdown L’esperienza straordinaria dei primi quattro anni di autonomia non si è fermata con il Covid. Il virus che ha messo in ginocchio la sicurezza e l’economia degli Stati è stato deflagrante anche per il comparto museale. Ma la capacità di rispondere ai momenti di crisi ha preso forza da due punti fermi: in primis dalla volontà di non isolarsi e dunque di co-progettare nuovi strumenti in un rapporto fecondo con università e centri di ricerca, per sopravvivere pur non venendo frequentati fisicamente; inoltre dall’idea che le tecnologie continueranno a veicolare contenuti sempre nuovi e mai speculari a quelli del Museo, cosí da determinare differenti punti di vista e occasioni di riflessione. Nel secondo Piano

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Strategico 2019-2023 si è tentato di potenziare ulteriormente l’ambito digitale, puntando ancora di piú sull’accessibilità e comprensibilità, sul sistema degli Open Data (a partire dai depositi), sulla crossmedialità, cioè la possibilità di fruire i contenuti con dispositivi differenti, fissi (Pc, Tv, consolle, ecc.) e mobili (smartphone, tablet e wearable), in modo indipendente dalla piattaforma che li veicola (social, sito, app), potendo transitare liberamente da una piattaforma all’altra, nel rispetto delle relative caratteristiche, nello spirito di creare un infinito numero di connessioni e di facilitare la ricerca. Nella produzione e nella diffusione dei contenuti digitali si sono tenute ben presenti le caratteristiche e le aspettative delle diverse tipologie di utenti digitali, verso i quali il Museo intende rivolgersi: altri musei e luoghi della cultura, pubblici e privati; docenti

Sulle due pagine alcune fasi delle operazioni di digitalizzazione delle opere facenti parte della Collezione Farnese.


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e studenti, di scuola e universitari; scienziati, ricercatori e accademici; millennials, appartenenti alla «generazione Z» e giovani adulti; nuclei familiari, gruppi sociali e comunità di pratica; residenti e turisti; imprese culturali e industrie creative; operatori della filiera turistica e di quella tecnologica; centri di ricerca e sviluppo; enti e associazioni; finanziatori, donatori, sponsor e partner. Il MANN si impegna cosí a favorire la creazione di comunità di utenti con interessi comuni, in primo luogo attraverso i blog e le esistenti piattaforme di socializzazione, con gusti particolari (per esempio quella creatasi attorno al gioco) che possono essere ambienti collaborativi e, addirittura, di sostegno economico.

Storie e percorsi di visita Nel corso del 2019 il MANN – insieme ad altri musei napoletani – è entrato a far parte della piattaforma messa a disposizione da Google Arts&Culture, con oltre 700 immagini ad alta risoluzione rese disponibili al pubblico. Sono presenti anche 10 «storie», cioè percorsi tematici che consentono originali narrazioni di

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Sulle due pagine elaborazione delle immagini digitali dell’Ercole Farnese ottenute grazie al rilievo 3D dell’opera.

parti delle collezioni permanenti, nonché 7 percorsi di visita che consentono l’esplorazione virtuale di altrettanti ambienti del Museo, utilizzando la stessa tecnologia del progetto Street View. Gli ambiti tecnologici con i quali il MANN inizia a misurarsi sono molteplici; tra questi sembra possibile considerare la possibilità di promuovere la realizzazione di progetti che considerino, anche in combinazione tra loro, tre differenti ambiti: quello della cosiddetta Internet of Things, quello legato alla produzione e all’utilizzo dei Big Data; quello connesso al dominio dell’Intelligenza Artificiale (quest’ultimo, in particolare, rispetto all’analisi dei flussi e alle telecamere intelligenti per la sorveglianza, ma anche per il restauro digitale). Non si escludono importanti ricadute anche in termini economici-finanziari, come la creazione

di una sezione di e-commerce dell’attuale sito, valorizzati dall’utilizzo del design e delle tecnologie (stampa 3D) con marchio MANN, in grado di valorizzare il rapporto del Museo con il proprio territorio di appartenenza. Ulteriori entrate potranno derivare dal pagamento di un prezzo per il download del secondo episodio del videogioco o di parti di esso, qualora si decida di orientarsi verso una soluzione freemium, che preveda cioè la possibilità di scaricare il gioco gratuitamente, ma di rendere disponibili contenuti addizionali a pagamento. Infine, andrà valutata la possibilità di rendere acquistabili on line, attraverso un catalogo digitale accessibile via internet, le ricostruzioni digitali, le scansioni 3D, i filmati e le immagini ad alta risoluzione di proprietà del Museo, da utilizzare per finalità commerciali, come la possibilità di rendere a pagamento visite virtuali da parte del nostro personale specializzato sulla piattaforma sperimentale di visita museale. Anche le sezioni museali saranno integrate, nel percorso di visita, grazie alle nuove tecnologie: realtà aumentata, modelli 3D, proiezioni olografiche, ricostruzioni virtuali e una nuova app che rivolge particolare attenzione ai diversamente abili (non udenti, non vedenti). Per quanto attiene al mondo extramuseale, è già disponibile l’app per la visita ai siti ExtraMANN, mentre si sta lavorando a un’app digitale per accompagnare chi ama la bike in percorsi territoriali connessi con le opere del Museo. Per restare nell’ambito della ricerca, sono in corso progetti speciali, come Mann in Colours, che permetteranno al pubblico di percepire i colori originari delle statue. Un museo accessibile alla comunità non è completo se non lo è anche sotto il profilo della catalogazione e digitalizzazione dei reperti, sia esposti che in deposito, nell’ottica di un istituto Open Access, in linea con il valore dell’accessibilità, uno dei principi fondanti della filosofia del Museo: in questo senso si rivela strategico il rapporto con l’Istituto Centrale del Catalogo del MIC e con l’ecosistema digitale della Regione Campania.

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UN MUSEO PROIETTATO SUL MONDO I

l Museo Archeologico Nazionale di Napoli presta oltre duemila reperti all’anno, principalmente destinati alle mostre realizzate in Italia e all’estero, in questo caso con particolare frequenza in Asia, America del Nord e in Europa. Il MANN si configura come il principale prestatore italiano di opere d’arte antica all’estero. Di seguito, alcuni asset strategici di sviluppo delle relazioni internazionali dell’Istituto.

Il MANN e la Cina L’attività internazionale del Museo Archeologico Nazionale

Un particolare dell’allestimento della mostra «Mortali-Immortali» (2018/2019).

non soltanto è rivolta alle grandi realtà culturali europee, ma punta a stabilire proficue e sinergiche relazioni con nuove frontiere della conoscenza: tra queste,

assume un ruolo di primaria importanza la Cina. Un dossier, intitolato significativamente «Il MANN e la Cina», sintetizza la proiezione CHENGDU (CINA)

CHENGDU (CINA)

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CINA

dell’Archeologico verso il Paese del dragone: il successo della mostra itinerante «Pompeii. The infinite life», realizzata con reperti del Museo e visitata, in Cina, da circa due milioni di turisti in un semestre, la programmazione, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dell’esposizione «Mortaliimmortali. I tesori dell’antico Sichuan», la traduzione in cinese del videogioco «Father and son», sono soltanto alcuni degli step in cui si declina il dialogo osmotico con il mondo culturale orientale. L’intervento del direttore Paolo Giulierini al Tahie Forum 2018 di Pechino ha ripercorso, con il pubblico e le istituzioni cinesi, i punti salienti di uno straordinario viaggio culturale, volto a instaurare nuove simmetrie fra tradizioni solo apparentemente lontane. Nella missione in Cina è importante ricordare anche la partecipazione con il MIC all’incontro «Tutela del patrimonio culturale e costruzione e gestione dei Musei» (Chengdu) e la firma di un protocollo d’intesa per la cooperazione sulla Conservazione e Valorizzazione del Parco

KYOTO (GIAPPONE) CHENGDU (CINA)

Archeologico urbano Donghuamen. Di recente, l’inaugurazione della mostra «A world of beauty. Masterpieces from the National Archaelogical Museum of Naples», organizzata dal Museum of art Pudong con importanti reperti del MANN, fra cui la Venere Callipige, sancisce ancora

una volta la sinergia con le principali istituzioni internazionali.

Il MANN e l’Ermitage di San Pietroburgo Il legame tra il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e l’Ermitage di San Pietroburgo si è estrinsecato nella firma di un

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Il cosiddetto Piccolo Donario pergameno esposto a San Pietroburgo per il «compleanno» dell’Ermitage.

protocollo d’intesa che ha previsto la realizzazione di due grandi mostre: l’esposizione su Canova all’Archeologico, allestimento che ha avuto come «star» le Tre Grazie prestate dall’Istituto russo; la mostra su Pompei all’Ermitage, KYUSHU (GIAPPONE)

promossa con importanti reperti del MANN. La sinergia fra i due istituti, sviluppata sotto il segno del maestro di Possagno e della ricchezza culturale delle città vesuviane, è stata anche confermata in diverse occasioni:

nell’ambito della manifestazione legata al «compleanno dell’Ermitage», il Museo ha prestato il piccolo donario pergameno; ancora, durante la pandemia, è stato dedicato all’istituto russo un video tutorial per scoprire le collezioni dell’Archeologico.

Il MANN in Giappone Con il Giappone abbiamo intrapreso un importante viaggio culturale, iniziato ormai due anni fa; l’arte crea ponti tra i popoli e gli esiti finali di questa operazione, che ritengo possa forse essere la piú importante nei rapporti tra Giappone e Italia, sono costituiti da due obiettivi: il restauro del Mosaico di Alessandro e la realizzazione di una grande mostra su Pompei. È partita dal Tokyo National Museum la mostra itinerante «Pompeii», che ha presentato esclusivamente reperti del MANN. Questa mostra porta in Giappone reperti provenienti da contesti noti e

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intende approfondire settori fondamentali della vita della celebre città vesuviana: passando dalla scoperta, che è stata la fortuna dell’archeologia occidentale, si giunge all’analisi della dimensione quotidiana, che avvicina le sensibilità di popoli, lontani nel tempo e nello spazio, ma pur sempre legati dalla necessità di fronteggiare le avversità della natura. L’evento ha coinvolto, sino a dicembre 2022, le prefetture di Kyoto, Miyagi e Fukuoka: le tappe successive dell’esposizione hanno incluso il Kyoto City KYOCERA Museum of Art e il Kyushu National Museum. L’allestimento «Pompeii» è stato inaugurato nella capitale nipponica in una data simbolica: nel 2022, infatti, è ricorso il centocinquantesimo anno dalla fondazione del Tokyo National Museum, che è il piú antico e importante museo del Paese, specializzato nella tutela e

SENDAI (GIAPPONE)

valorizzazione di antichità giapponesi e, piú in generale, asiatiche. «Pompeii», dunque, non soltanto rappresenta una mostra che intende raccontare i legami tra le radici storiche dell’Occidente e dell’Oriente, in un certo senso «infrangendo» la specializzazione tematica e geografica dell’Istituto, ma è anche il primo grande percorso espositivo internazionale lanciato nell’era post-Covid. Articolato il framework di sinergie istituzionali che hanno dato vita al progetto: nel 2019, infatti, il MANN ha siglato una Convenzione Quadro con il Tokyo National Museum, proprio per valorizzare, con una

grande mostra nel Paese del Sol Levante, la conoscenza della cultura delle antiche città vesuviane. Seguendo la politica di promozione delle relazioni internazionali messa in atto dal Ministero della Cultura-MIC, si è sviluppato il progetto scientifico della mostra che ha previsto, tra l’altro, la cooperazione del Ministero della Cultura Giapponese, dei Musei di Tokyo, Fukuoka e Kyoto, dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo e della Fondazione Italia Giappone. L’esposizione è organizzata dal famoso quotidiano The Asahi Shimbun e dalla NHK, NHK Promotions Inc (Nippon Hoso Kyokai-Japan Broadcasting

Il Gran Salone della Meridiana durante la mostra «Canova e l’Antico» (2019).

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Corporation). L’allestimento ha previsto la collaborazione del Parco Archeologico di Pompei. È sempre The Asahi Shimbun tra i finanziatori del restauro del Mosaico di Alessandro, attività che si avvale della collaborazione anche dell’Istituto Superiore per il Restauro del MIC: alla prima fase di messa in sicurezza dell’opera, seguirà la movimentazione del manufatto, per analizzare direttamente lo stato di conservazione del supporto originario e definire compiutamente gli interventi da eseguire. Nella mostra «Pompeii» 160 reperti sono stati presentati in un

percorso articolato in cinque sezioni: 1. Introduzione-L’eruzione del Vesuvio e il seppellimento di Pompei; 2. La città di Pompei: architettura pubblica e religione; 3. La società pompeiana; 4. La prosperità di Pompei; 5. Storia degli scavi, oggi e nel passato (Ercolano, Pompei, Stabiae e Somma Vesuviana). Filo conduttore dell’allestimento, curato, tra gli altri, dal direttore del MANN, Paolo Giulierini, e dal noto accademico Masanori Aoyagi, Commissario per le attività culturali in Giappone, è il legame tra le città (Pompei, Ercolano, Tokyo, Kagoshima) e i vulcani. Una sorta di itinerario alla

TOKYO (GIAPPONE)

TOKYO (GIAPPONE)

scoperta della vita (e di quella che, con un fortunato termine contemporaneo, è stata chiamata «resilienza»), capace di affrontare le calamità naturali, tra eruzioni e terremoti: il percorso espositivo prende le mosse dal 79 d.C. e dal seppellimento di Pompei, per ripercorrere, quasi a ritroso, quei cicli di distruzioni e successive ricostruzioni che le comunità civili hanno messo in atto sin dall’antichità. In mostra, sono stati visibili al Tokyo National Museum i contesti archeologici dalle Case del Fauno, del Citarista e del Poeta Tragico; anche grazie al lavoro di scavo nei depositi,

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TOKYO (GIAPPONE)

svelando suppellettili (bronzi e vetri), sculture e affreschi che decoravano domus ed edifici pubblici romani, si dà testimonianza della cultura materiale che caratterizzava l’area vesuviana nel suo complesso. Realizzata ad hoc per la mostra, l’esclusiva ricostruzione delle pareti della Villa di Cicerone a Pompei, grazie alla combinazione di frammenti di decorazioni parietali, come i famosi satiri funamboli: il progetto è stato firmato dall’archeologa Rosaria Ciardiello e dai fotografi Luciano e Marco Pedicini.

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MONOGRAFIE

n. 53 febbraio/marzo 2023 Registrazione al Tribunale di Milano n. 467 del 06/09/2007 Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Angelo Poliziano, 76 – 00184 Roma tel. 06 86932068 – e-mail: info@timelinepublishing.it Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it Lorella Cecilia (ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it Impaginazione Davide Tesei Amministrazione amministrazione@timelinepublishing.it Gli autori Paolo Giulierini è direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Antonella Carlo è responsabile dell’Ufficio Comunicazione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Caterina Serena Martucci fa parte dell’Ufficio Comunicazione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Illustrazioni e immagini Luigi Spina: copertina e pp. 6, 24-35, 54-55, 96 – Archivio Fotografico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli: pp. 8-13; Salvatore Granata: pp. 14/15, 19, 21-23, 45, 46-53, 56-61, 63, 64-65, 66 (alto), 68 (centro), 71, 74-87, 90-95, 96/97, 99, 100-121, 124 (alto), 125 (alto), 126-129; Davide Angheleddu: pp. 122-123 – Doc. red.: pp. 18, 36/37, 42/43, 44 – Shutterstock: pp. 38-39, 68 (basso), 68/69, 88/89 – Mondadori Portfolio: Archivio dell’Arte Luciano Pedicini/Luciano Pedicini: pp. 62; AKG Images: pp. 68 (alto), 70/71, 72-73; SIPA USA: pp. 66/67 – Jinsha Site Museum: pp. 124 (centro e basso), 125 (basso) – Cippigraphix: cartina alle pp. 16/17. Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze. In copertina: un particolare dell’allestimento del Museo Archeologico Nazionale di Napoli in una foto di Luigi Spina.

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