VIAGGIO NELL’ITALIA DEI PARCHI ARCHEOLOGICI
N. 7 Giugno 2015 Rivista Bimestrale
My Way Media Srl - Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c.1, LO/MI.
DAARC 101 NO HE PAR N OLO CH PE G I RD IC ER I E
ARCHEO MONOGRAFIE
MONOGRAFIE
Viaggio nell’Italia dei PARCHI
ARCHEOLOGICI
ALLA SCOPERTA DELLA GRANDE BELLEZZA
€ 7,90
Viaggio nell’Italia dei PARCHI
ARCHEOLOGICI ALLA SCOPERTA DELLA GRANDE BELLEZZA di Carlo Casi, con il contributo di Luciano Frazzoni e Manuela Paganelli
Presentazione 7. NORD 10. CENTRO 44. SUD 84. ISOLE 108.
Un tratto del fiume Fiora, il cui corso attraversa l’intera area del Parco Naturalistico Archeologico di Vulci (vedi alle pp. 62-65), tra pareti di roccia vulcanica.
NORD
Valle d’Aosta 12.
1. Saint-Martin-de-Corléans
Piemonte 14.
2. La Chiusa e la Sacra di San Michele 3. Bene Vagienna
Lombardia 18.
4. Castelseprio 5. Le incisioni rupestri di Naquane 6. Cividate Camuno 7. I Piani di Barra 8. Spina Verde 9. Le incisioni rupestri di Grosio
Trentino-Alto Adige 26. 10. Paneveggio 11. Lago di Ledro
Friuli-Venezia Giulia 28. 12. Aquileia 13. Muggia Vecchia 14. Castelraimondo 15. La terra dei castelli
Veneto 32.
16. Il Livelet 17. Noal di Sedico 18. L’Alto Adriatico
Liguria 34.
19. La via Iulia Augusta 20. Orco Feglino 21. Albintimilium 22. Luna 23. Le grotte dei Balzi Rossi
Emilia-Romagna 38. 24. La terramara di Montale 25. Marzabotto 26. Classe
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CENTRO Toscana 46.
27. Città del Tufo 28. Cosa 29. Parco Archeologico di Baratti e Populonia 30. San Silvestro 31. Poggibonsi 32. Belverde 33. Roselle 34. Pitigliano
Marche 55.
35. Sentinum 36. Urbs Salvia 37. Septempeda
Umbria 58. 38. L’Orvietano 39. Carsulae
Lazio 62.
40. Vulci 41. Antica Castro 42. Selva del Lamone 43. Grotte di Castro 44. Tarquinia-Cerveteri 45. Veio 46. Villa Adriana 47. Tuscolo 48. Sperlonga 49. Ostia Antica 50. Roma
Abruzzo 78. 51. 52. 53. 54. 55.
Parco della Majella La Civitella di Chieti Alba Fucens La necropoli di Fossa Iuvanum
SUD
Molise 86.
56. San Vincenzo al Volturno 57. Sepino 58. Pietrabbondante
Campania 90.
59. Campi Flegrei 60. Velia 61. Circuito Vesuviano 62. L’antica Picentia 63. Aeclanum 64. Conza 65. Paestum
Puglia 96.
66. Canne della Battaglia 67. Saturo 68. Egnazia 69. Siponto
Basilicata 100.
70. Le chiese rupestri del Materano 71. Metaponto
Calabria 104.
72. Parco Archeologico di Scolacium 73. Locri Epizefiri 74. Sibari 75. Capo Colonna
ISOLE Sicilia 110.
76. La villa romana del Casale 77. Occhiolà 78. Mozia 79. Pantalica 80. Halaesa 81. Capo Gallo 82. La Villa del Tellaro 83. Eraclea Minoa 84. Himera 85. Le Isole Eolie 86. Taormina 87. Morgantina 88. Palazzolo Acreide 89. Selinunte 90. Segesta 91. Siracusa 92. Solunto 93. La Valle dei Templi
Sardegna 124.
94. Santa Cristina di Paulilatino 95. Barumini 96. Nora 97. Tharros 98. Complesso nuragico «Genna Maria» 99. Monte Sirai 100. Turris Libisonis 101. Su Romanzesu
ALLA
SCOPERTA DELLA GRANDE BELLEZZA P
iccoli o grandi, visitati da milioni di turisti o sconosciuti ai piú, riccamente allestiti o appena segnalati, i Parchi Archeologici sono l’ultimo baluardo a difesa della bellezza. Spesso ignota e a volte nemmeno voluta, la bellezza dei luoghi incontaminati, di paesaggi immoti da centinaia d’anni e ricchi di antiche vestigia, si diffonde come un candido aroma da Nord a Sud, da Est a Ovest, in tutta la Penisola. Un’essenza nascosta, che chiede soltanto di essere svelata, raccontata e, soprattutto, percepita. Messe al bando le definizioni giuridiche e amministrative, emerge maestosa, quanto a volte inaspettata, la storia millenaria di una terra, l’Italia, che ha avuto un ruolo speciale nella diffusione dell’arte e della bellezza. E poco importa se questa è difesa ai sensi di una legge regionale o di un accordo tra lo Stato e gli Enti Locali. Il suo valore, storico e archeologico, è intrinseco e nessun orpello tipologicostilistico-lessicale potrà mai modificarlo. Ogni visita in un’area archeologica è una scoperta: dalle ben ricostruite capanne preistoriche sulle rive di antichi laghi alle rupi isolate dominate dai ruderi di vetuste architetture, dalle necropoli etrusche disseminate lungo le gole tufacee ai templi magno-greci. Tracce che la storia ha disseminato in maniera encomiabile e capillare sul territorio nazionale, senza soluzioni di continuità, quasi a voler comporre un unico e coerente insieme: il patrimonio. Che sia artistico, archeologico o paesaggistico, rappresenta sempre e comunque le diverse facce dello stesso soggetto, identità e attrazione di un’Italia fragile ma preziosa. Un quanto mai avveduto statuto urbano di Siena, risalente al 1309, inizia cosí: «Primo dovere di chi governa la città è la bellezza, perché la bellezza della città dà orgoglio ai senesi e allegrezza ai
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forestieri». Dobbiamo quindi tutelare il patrimonio culturale e il paesaggio del nostro Bel Paese, perché sono la nostra anima. E, tutelandoli, sviluppiamo anche il turismo di quei «forestieri» che vogliono condividere le ragioni della nostra identità. Se Benedetto Croce, in qualità di ministro, nel 1920 non avesse varato una fondamentale legge sul tema, oggi, probabilmente, non avremmo piú il privilegio di poter godere (tutti) delle bellezze di Ravenna, che per prima ne beneficiò (la pineta della città era minacciata da improbabili insediamenti industriali), evidenziando ancora una volta l’indissolubile legame tra storia, ambiente e paesaggio. E se, infine, avesse ragione il principe Myskin dell’Idiota di Fëdor Dostoevskij che ripete «la bellezza salverà il mondo»? I Parchi Archeologici contribuiscono alla salvaguardia del patrimonio, impedendo speculazioni edilizie e cementificazioni. Ogni muro consolidato, ogni parete restaurata e ogni reperto ritrovato, sono altrettante vittorie sull’ignoranza e il degrado, non solo fisico, e rappresentano ostacoli insormontabili per chiunque anteponga i propri interessi ai valori espressi dal paesaggio storico e culturale. Il pubblico interesse o, come dicevano gli antichi la publica utilitas, il bonum
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Villa Adriana, Tivoli (Roma). La piscina del Pecile, un vasto quadriportico che Adriano fece realizzare nella sua lussuosa residenza tiburtina come verosimile richiamo alla Stoà Poikile di Atene.
commune, sovraordinato al profitto privato: sempre e comunque! Un’austera necessità di far prevalere i diritti della comunità, del demos, sui diritti del singolo, in funzione e nel rispetto delle generazioni future. Già nel 1790, lo statista, filosofo e scrittore inglese Edmund Burke affermava che: «Gli uomini che non guardano mai indietro non saranno mai capaci di guardare avanti verso i posteri». Non possiamo negare ai nostri figli quello che noi abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri e non dimentichiamo che la Costituzione Italiana, a questo proposito, cosí recita all’art. 9: «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della nazione». In questa Monografia abbiamo scelto 101 dei circa 300 Parchi Archeologici o a valenza archeologica presenti in Italia – alcuni dei quali già comparsi sulle pagine di «Archeo» –, spesso ponendo l’accento sui meno noti, per metterne in evidenza le variegate e nascoste peculiarità. Una selezione che, comunque, lascia emergere un quadro caratterizzato da un comune denominatore: il fascino della scoperta. Storie «segrete» che proponiamo come stimolo per i nostri lettori a continuare la propria personale ricerca qui solamente iniziata. Carlo Casi
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PARCHI ARCHEOLOGICI
NORD
Bormio
Grosio
Bellinzona
Locarno
Domodossola
Gravedona
Donnas
Borgomanero
Biella
Lovere
Milano
Trezzo sull’Adda
Brescia Chiari
Treviglio Crema Lodi
Pavia
Codogno
Ghedi Manerbio
Cremona
Piacenza
Moncalieri
Asti
Tortona
Racconigi Bra
Castel San Giovanni
Voghera
Alessandria
Carmagnola
Varzi
Novi Ligure Alba
Saluzzo
Fiorenzuola d’Arda Fidenza
Parma
Salsomaggiore Terme Fornovo di Taro
Acqui Terme Ovada
Fossano
Bene Vagienna
Cuneo
Monza
Vigevano
Valenza
Chieri
Dronero
Magenta
Casale Monferrato
Torino
Piani di Barra Bergamo
Lumezzane
Busto Arsizio Novara
Cividate Camuno
Cantù
Castelseprio
Vercelli
Busca
Como
Spina Verde
Arona
Clusone
Lecco
Varese
Ivrea
San Michele della Chiusa
Naquane Darfo Boario Terme
Luino
Varallo
Saint-Martin-de-Corléans (Aosta)
Morbegno
Lugano Verbania
Tirano
Sondrio
Mondovì
Arenzano
Savona
Borgo San Dalmazzo
Langhirano Borgo Val di Taro
Genova Rapallo Chiavari
Orco Feglino
Aulla Levanto
La Spezia
Albintimilium
Fivizzano
Luni Massa
Imperia Sanremo
Balzi Rossi
Mar Tirreno
Camaiore
Viareggio
Brunico Merano
Bressanone Cortina d’Ampezzo
Bolzano
Tolmezzo
Castelraimondo Gemona Paneveggio Trento
Ledro
Livelet
Bassano del Grappa
Montebelluna
Schio Valdagno
Thiene
Vicenza Verona
Pordenone
Conegliano
Asiago
Rovereto
Attimis Udine
Spilimbergo
Feltre Riva del Garda
Maniago
Belluno
Sedico
Treviso
Latisana
Aquileia
Marzabotto
Lido di Jesolo
Faenza
Russi
Forlì
Cervia Cesenatico
Rimini Pistoia
Prato
Firenze
Muggia
Piove di Sacco
Cesena Borgo San Lorenzo
Trieste
Lignano Sabbiadoro
Dolmen preistorici, itinerari montani alla Este Chioggia Legnago scoperta di millenari segni Mantova incisi sulle rocce, villaggi Ostiglia Rovigo Adria palafitticoli, ma anche Suzzara Porto Viro Poggio Rusco antiche città romane e Porto Tolle bizantine, pievi e Mirandola Copparo Guastalla Ferrara monasteri: i Parchi Carpi Codigoro Archeologici del Nord Italia Correggio Comacchio abbracciano – e Modena San Giovanni Reggio Argenta in Persiceto documentano – un ambito Emilia Montale cronologico Bologna Sassuolo Medicina straordinariamente vasto Ravenna Lugo Pavullo e variegato Imola nel Frignano Classe Abano Terme
Villafranca di Verona
Monfalcone
Grado
Caorle
Venezia
Padova
Azzano Decimo Oderzo
Gorizia
Palmanova
San Donà di Piave
Castelfranco Veneto
Arzignano
Codroipo
San Piero in Bagni
Mare Adriatico Pesaro
N NO
NE
O
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SO
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S
VALLE D’AOSTA
SAINT-MARTIN-DE-CORLÉANS (Aosta)
Info www.regione.vda.it
N
el giugno del 1969, alla periferia di Aosta, nei pressi della chiesa di Saint-Martin-de-Corléans, fu casualmente rinvenuto uno dei piú importanti siti megalitici europei a oggi noti, esteso su un’area di circa 1 ettaro. L’importanza del ritrovamento, la cui presenza prova che la prima frequentazione della conca occupata dalla città moderna risale all’età preistorica, ha portato alla
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In questa pagina una veduta del massiccio del Monte Bianco. Nella pagina accanto, in basso stele antropomorfa, dall’area megalitica di Saint-Martin-deCorléans. 2750-2400 a.C. Aosta, Soprintendenza per i Beni Culturali.
progettazione, da parte della Regione Valle d’Aosta, di un Parco Archeologico, di prossima apertura. I successivi scavi hanno restituito testimonianze databili fra il 3000 e il 1900 a.C., cioè tra l’inizio dell’età del Rame e l’inizio dell’età del Bronzo. L’analisi della stratigrafia, delle strutture e dei materiali recuperati ha permesso di stabilire una successione di cinque fasi principali, contraddistinte da altrettanti significativi interventi, che documentano attività cultuali e funerarie. La fase piú antica risale al 3000-2750 a.C.; in questo periodo viene realizzato un allineamento di 22 pali, di cui
In alto rendering della struttura progettata per la musealizzazione del sito di Saint-Martin-de-Corléans. A sinistra l’area megalitica in corso di scavo.
rimangono i fori di alloggiamento, innalzati secondo ben precisi riti di fondazione, come testimonia la presenza di ossa di ariete combuste in alcuni dei fori. Successivamente, tra il 2800 e il 2300 a.C., un esteso spazio rettangolare viene consacrato, praticandovi un’aratura rituale e gettando nei solchi denti umani, come rito propiziatorio della fertilità della terra. All’interno di quest’area sacra vengono innalzate stele antropomorfe in pietra, interpretabili come divinità, personaggi importanti divinizzati o eroi, da mettere in relazione con il mondo dell’agricoltura, della caccia e della metallurgia. La creazione di pozzi, nei quali vengono deposti macine e semi di frumento, è un chiaro riferimento a culti agricoli legati alla produzione di cereali. Tutti questi simboli sacri sono l’espressione della società del tempo, formata da allevatori, agricoltori e metallurghi (sullle stele, infatti, compaiono per esempio immagini di pugnali). Tra il 2300 e il 1900 a.C., l’area sacra, come già detto, diventa anche funeraria, e fra le strutture tombali spiccano un grande dolmen su piattaforma a pianta triangolare, e la Tomba IV, una sorta di bassa torre cilindrica con una sepoltura centrale individuale, destinata a un importante personaggio.
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PIEMONTE
LA CHIUSA E LA SACRA DI SAN MICHELE (Torino) Info www.vallesusa-tesori.it
U
na delle grandi imprese della nostra storia è lo sbarramento delle valli alpine realizzato dall’impero romano, tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C., con la costruzione delle «chiuse», fortificazioni innalzate nei punti di passaggio obbligato da e per i valichi delle Alpi. La validità del sistema delle «chiuse» è testimoniata dall’attenzione che vi posero i
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Goti, i Bizantini e soprattutto i Longobardi, per i quali una in particolare poteva costituire il primo baluardo verso il regno dei Franchi: quella della Val di Susa. Nell’odierno abitato di Chiusa San Michele si conserva un ampio tratto di muro tradizionalmente identificato con ciò che resta dello sbarramento presso il quale il re longobardo Desiderio fu sconfitto da Carlo Magno, nel tentativo ultimo di difendere il suo regno (773). Su tutto, arroccato sulla cima del Monte Pirchiriano (962 m), domina uno degli edifici religiosi piú suggestivi del Piemonte, la Sacra di San Michele. Il suo profilo è visibile
A destra veduta della Sacra di San Michele, arroccata sul Monte Pirchiriano. Sulle due pagine i resti del Monastero Nuovo, edificato tra il XII e il XIV sec. in coincidenza on il momento di massima espansione della comunitĂ monastica.
In basso et utem net laut facient et quam fugiae officae ruptatemqui conseque vite es sae quis deris rehenis aspiciur sincte seque con nusam fugit et qui bernate laborest, ut ut aliquam rentus magnim ullorepra serro dolum quis et volenimenis dolorib ercillit fuga. Accationes reperiam res sa conemolorum nis aliaepu danditatur sequae volore.
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PIEMONTE
sin da Torino: a 54 km di distanza, sembra voler sfidare la ben piú recente basilica di Superga. Il monumentale complesso monastico sorse tra il 983 e il 987 lungo una delle vie di pellegrinaggio che collegavano Santiago de Compostela a Roma, la via Francigena, ma la dedica a san Michele suggerisce un altro collegamento, quello con Mont-Saint-Michel, in Normandia e con il santuario di S. Michele nel Gargano, luoghi di culto dedicati all’Arcangelo guerriero difensore del popolo cristiano, uniti in un unico itinerario di fede che proprio nella Sacra piemontese aveva un importante
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A sinistra la Val di Susa vista dalla Sacra di San Michele. A destra uno scorcio dello Scalone dei Morti, forse realizzato alla metà del XII sec.
intermezzo. La visita della Sacra è un crescendo di emozioni: la passeggiata nel bosco, la salita alla base delle mura; l’ingresso severo e lo Scalone dei Morti, che sembra intagliato nella roccia; il passaggio sotto il Portale dello Zodiaco, dalle raffinate immagini dei segni zodiacali e delle costellazioni scolpite con sapienza dal Maestro Nicolao (1128-1130). E poi la chiesa, il monastero con le sue sorprese: la ghiacciaia, l’officina, le stanze regie, gli scavi archeologici in corso. E infine il panorama che scopre l’intera Val di Susa, luoghi da custodire gelosamente.
BENE VAGIENNA (Cuneo)
Info tel. 0174 390194; http://riservabenevagienna.parcomarguareis.it/
I
n una fertile e ampia area pianeggiante, delimitata a sud-est dalla valle del torrente Mondalavia, affluente del fiume Tanaro, e, a nord-ovest, dalle colline che la separano dalla valle della Stura di Demonte, l’imperatore Augusto fondò, probabilmente verso la fine del I secolo a.C., la città di Augusta Bagiennorum. L’area archeologica rientra attualmente nella Riserva speciale di Benevagienna. Questo territorio era di importanza strategica per il controllo del transito tra la Pianura Padana, le valli degli affluenti del Po, tra cui il Tanaro, i valichi alpini e la costa ligure. La fondazione del municipio, probabilmente abitato da veterani di Ottaviano Augusto su un’area già occupata dalla tribú dei Ligures Bagienni, segnò, insieme a quelle di Augusta Taurinorum (Torino) e Augusta Praetoria
I resti del tempio, forse dedicato a Bacco, che fu innalzato a ridosso del teatro di Benevagienna e, tra il V e l’VIII sec., venne trasformato in basilica cristiana.
(Aosta), la definitiva romanizzazione del territorio occidentale della Cispadana. L’insediamento fu oggetto di scavi condotti tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento da Giuseppe Assandria e Giovanni Vacchetta. Dell’antico impianto urbanistico sono oggi visibili alcuni edifici pubblici, tra cui il teatro, il tempio del Foro – sulle cui fondazioni, tra il V e l’VIII secolo, venne edificata una basilica cristiana –, un settore dell’anfiteatro; nei terreni adiacenti l’area archeologica si conservano inoltre alcune strutture pertinenti a un quartiere residenziale e artigianale. Complementare alla visita dell’area archeologica è quella al Museo Civico Archeologico, che ha sede nel settecentesco Palazzo Lucerna di Rorà della vicina Bene Vagienna. Qui sono esposti i materiali provenienti sia dalle prime indagini che da piú recenti scavi condotti dalla Soprintendenza.
LOMBARDIA
CASTELSEPRIO (Varese)
Info www.longobardinitalia.it; www.antiquarium.castelseprio.beniculturali.it; www.fondoambiente.it
N
on c’è bisogno di recarsi a Sherwood per avere la sensazione d’essere tornati al tempo di Robin Hood: basta andare a Castelseprio, Comune a meno di 50 km da Milano, il cui parco archeologico di 25 ettari custodisce, immersi in un bosco di querce, robinie e castagni, i resti di un castrum,
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TORBA CASAFORTE MONASTERO DI S. GIOVANNI
CASTRUM
S.PAOLO
BASILICA DI S. GIOVANNI
Dal castrum al Parco BORGO Ingresso del Parco
BORGO BORGO
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S. MARIA FORIS PORTAS
Il disegno ricostruttivo (sulle due pagine) mostra il borgo di Castelseprio, cosí come doveva presentarsi prima d’essere distrutto per ordine dell’arcivescovo Ottone Visconti nel 1287: 1. Torba; 2. monastero di S. Giovanni; 3. basilica di S. Giovanni; 4. chiesa di S. Paolo; 5. Casaforte; 6. S. Maria foris portas; 7. area coincidente con l’odierno ingresso del Parco archeologico.
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collocato su un pianalto difeso naturalmente da due profondi valloni laterali. Tra il IV e il V secolo d.C. la zona, situata in posizione ideale per il controllo delle vie di comunicazioni terrestri e fluviali tra Ticino e Adda, fu parte integrante del limes militare a difesa di Milano, capitale imperiale: potrebbero appartenere a questo periodo le strutture di accesso, delle quali
restano i piloni del ponte e la base del torrione che lo controllava, e altri torrioni interni al circuito difensivo del castrum vero e proprio, che si sviluppò in età gota, tra il V e il VI secolo. La sapienza tecnica con cui furono edificate le mura urbane, dotate di contrafforti e arcate sulle quali si impostava il camminamento di ronda, testimonia la committenza ufficiale
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LOMBARDIA
Tra chiese e conventi S. Paolo La cosiddetta chiesa di S. Paolo, eretta probabilmente tra l’XI e il XII sec., forse su una struttura di età tardo-romana.
S. Giovanni I resti della basilica di S. Giovanni, edificata tra il V-VI sec. e l’età carolingia ; si noti l’abside centrale con doppio ordine di finestre monofore.
Torba La torre del complesso di Torba (V-VI sec.) poi trasformata in convento benedettino femminile. S. Maria foris portas Due vedute della chiesetta di S. Maria foris portas: sono tuttora discusse l’epoca di costruzione e quella della realizzazione degli affreschi.
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La pittura raffigurante l’Adorazione dei Magi, rappresentati in coloratissime e ricche vesti di foggia orientale mentre offrono i doni su vassoi d’argento. Maria porge ai tre uomini adoranti il Bambino, indicato da un Angelo in volo. Piú in basso, sulla destra, Giuseppe osserva la scena, leggermente discosto.
proveniente dal potere centrale. All’interno delle mura del castrum, sin dal V-VI secolo, si sviluppò un vivace abitato, provvisto di un centro religioso costituito da un ampio edificio basilicale dedicato a san Giovanni Evangelista (utilizzato anche come luogo di sepolture privilegiate), dal battistero di S. Giovanni Battista e da una vicina cisterna. Gli scavi archeologici condotti sull’intero terrazzo hanno riportato alla luce anche strade acciottolate, canalette e tubature, muri di recinzione e abitazioni che, seppure riedificate a causa di frequenti incendi, testimoniano la lunga vita dell’insediamento dall’epoca altomedievale a quella moderna. Nel 1944 lo storico e archeologo Gian Piero Bognetti (1902-1963) si interessò anche agli edifici del borgo fortificato che si estendeva all’esterno delle mura occidentali del castrum. Nella chiesa di S. Maria foris portas, che svolgeva in antico la funzione di oratorio nobiliare, su indicazione dell’ispettore Morassi – che qualche anno prima vi aveva individuato, al di sotto dell’intonaco, alcune figure sacre –, Bognetti scoprí uno dei piú interessanti cicli pittorici dell’Alto Medioevo italiano, dedicato all’Infanzia di Cristo. Le immagini, tratte dai Vangeli apocrifi di tradizione orientale, si svolgono come in un rotolo continuo aprendosi con l’Annunciazione e terminando con la Presentazione al Tempio. Sono composizioni raffinate, eleganti, drammatiche. Difficile è la collocazione temporale e culturale del maestro al quale si deve questo capolavoro: come per la datazione dell’edificio stesso, oscillante tra il V e il IX secolo, anche per gli affreschi gli esperti si dividono tra quanti ritengono plausibile una loro esecuzione intorno al V-VI secolo e quanti, invece, le collocano in epoca longobarda o comunque entro il IX secolo.
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LOMBARDIA
LE INCISIONI RUPESTRI DI NAQUANE (Brescia) Info www.parcoincisioni. capodiponte.beniculturali.it
Ponte di Legno
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Capo di Ponte, in un ambiente boschivo che si estende per oltre 14 ettari, si trova uno dei piú importanti siti di arte rupestre della Valcamonica riconosciuti dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità nel
Vezza d’Oglio
Temú
Incudine Monno
Edolo Corteno Golgi
Qui accanto cartina della Valcamonica e del territorio di Capo di Ponte. A destra uno scorcio della roccia 35 nel Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane. Nella pagina accanto, in basso, a sinistra l’immagine di un cavaliere itifallico equilibrista su cavallo sul Dos Sulif, a Paspardo. Età del Ferro.
Vione
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io Sonico
Malonno
Berzo Demo Paisco Loveno
Cevo
Saviore dell’Adamello
Cedegolo Sellero
Naquane (Capo di Ponte) Ono San Pietro Cerveno Lozio
Losine
Ossimo
Malegno
Braone
Breno
Cividate Camuno Piancogno Bienno
o gli
Angolo Terme
O
Darfo Boario Terme Gianico Rogno Artogne Pian Camuno
Costa Volpino Lovere Pisogne
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Cimbergo
Ceto
Niardo Borno
Paspardo
Esine Prestine Berzo Inferiore
1979, il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane. Qui, attraverso 5 percorsi di visita, si possono leggere le storie delle antiche genti camune incise sulla roccia, storie che vanno dal Neolitico (V-IV millennio a.C.) all’età del Ferro (I millennio a.C.). Su ampie superfici di arenaria di colore grigio-violaceo, levigate dall’azione dei ghiacciai, gli antichi abitanti della Valle realizzarono immagini picchiettando con un percussore litico – generalmente frammenti di quarzo, quarzite o altri materiali piú duri del supporto – oppure incidendo con uno strumento a punta. Come su un libro di pietra, si vedono uomini, guerrieri, cavalieri, divinità, animali, scene di caccia, ma anche edifici e oggetti di uso quotidiano. La figura umana compare spesso nella posizione dell’orante, con le braccia rivolte verso l’alto, il corpo lineare e le gambe
CIVIDATE CAMUNO (Brescia) Info tel. 0364 344301; www.parcoarcheologicocividate. valcamonicaromana.beniculturali.it
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l Parco Archeologico del Teatro e dell’Anfiteatro si estende per circa 20 000 mq e insiste sull’area della antica città romana di Civitas Camunnorum. Spiccano i resti di un anfiteatro, riportato alla luce nelle strutture perimetrali, e di un teatro, oggi visibile per un terzo del totale. Completano il complesso strutture e ambienti di servizio, tra i quali un sacello e delle piccole terme.
contrapposte, secondo un’iconografia che si ripete con poche varianti. Tra le figure di valenza religiosa, sono da notare il cosiddetto sacerdote che corre, e quella interpretata come il dio Cernunnos, dalle grandi corna di cervo.
In alto veduta dell’anfiteatro romano, edificato agli inizi del II sec. d.C. A destra statua di Minerva, dal santuario di Spinera di Breno. Copia romana di un originale greco del V sec. a.C. Cividate Camuno, Museo Archeologico Nazionale.
LOMBARDIA
PIANI DI BARRA (Lecco)
Info www.parcobarro.lombardia.it
N
ell’Area archeologica dei Piani di Barra si conservano i resti di dodici edifici appartenenti a un importante abitato fortificato di età gota (V-VI secolo d.C.), sviluppatosi su un insediamento romano di epoca tardo-imperiale, compreso nel sistema difensivo dell’area prealpina. Fu poi utilizzato dagli Ostrogoti e dagli stessi incendiato e abbandonato verso il 540 d.C. Il vicino Antiquarium espone i reperti rinvenuti durante gli scavi. In alto disegno ricostruttivo del grande edificio che occupava una delle terrazze pianeggianti dei Piani di Barra. Esteso su una superficie complessiva di circa 1700 mq, era formato da tre ali disposte attorno a un cortile, chiuso sul rimanente lato da un muro. A destra resti di alcuni dei 12 edifici dell’abitato fortificato di età gota, insediatosi su un precedente sito tardo-imperiale romano.
SPINA VERDE (Como)
Info tel.031 211131 - www.spinaverde.it
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l Parco di Spina Verde di Como, istituito con legge regionale nel 1993, si estende per quasi 1200 ettari e custodisce le testimonianze dell’abitato di Pianvalle, la cui frequentazione si colloca tra la fine dell’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro. Lungo un percorso di circa 3 km, si raggiungono le fondamenta di abitazioni parzialmente scavate nella roccia, i solchi lasciati dai carri, numerose pietre incise con decorazioni semplici e una roccia-altare di particolare interesse. Interessanti sono anche i resti medievali e i sentieri della Storia delle Tattiche Militari, che comprendono un itinerario lungo la Linea Cadorna, voluta appunto dal generale Luigi Cadorna per contrastare una possibile invasione tedesca dalla Svizzera, neutrale nel corso della prima guerra mondiale.
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A destra un tratto della carrareccia, strada campestre che consente il passaggio di un carro, realizzata tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917 nell’ambito delle opere della Linea Cadorna.
Uno scorcio della Rupe Magna di Grosio, scoperta nel 1966. Vi sono incise oltre 5000 raffigurazioni, tra cui numerose immagini di oranti, come quella riprodotta nel riquadro in basso.
GROSIO (Sondrio)
Info http://parcoincisionigrosio.org/castelli/
D
ominato dalla mole dei resti del castello di San Faustino e del Castello Nuovo (entrambi d’epoca medievale), il Parco delle Incisioni Rupestri di Grosio offre ai visitatori l’emozionante veduta della Rupe Magna, la piú estesa roccia alpina incisa dall’uomo, sulla quale si contano oltre 5000 incisioni realizzate in un periodo compreso tra la fine del Neolitico (IV millennio a.C.) e l’età del Ferro (I millennio a.C.). Nell’Antiquarium della Ca’ del Cap sono illustrati gli scavi archeologici condotti sul Dosso dei Castelli e sul Dosso Giroldo, dove si estendevano due insediamenti protostorici (XVI-II/I secolo a.C.).
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TRENTINO-ALTO ADIGE
PANEVEGGIO (Trento) Info www.parcopan.org
N
on sempre serve un atto amministrativo per sancire l’istituzione di un parco archeologico e decretare l’importanza di un luogo e la sua appartenenza al nostro sentimento della storia. Questa tappa «ribelle» del viaggio in Italia alla ricerca dell’archeologia messaggera di bellezza, nasce dal sentimento di stupore, riconoscenza e appartenenza a un unico fluire della storia dell’uomo, che a volte ci coglie mentre si ammira la natura piú maestosa, o si scala una montagna o semplicemente ci si svaga in buona compagnia. Dunque in questo itinerario non troviamo un parco archeologico, né aree recintata o reperti in vetrina. Siamo nel Parco Naturale di Paneveggio, in Trentino, dove troviamo, in compenso, la luce delle Dolomiti, l’aria frizzante (siamo a 1900 m), il profumo del bosco e il respiro magari un po’ affannato dalla breve salita. Poi, finalmente, il blu di due piccoli bacini di origine glaciale, i laghetti di Colbricon, circondati da bassi cespugli di pino mugo, di ginepro e dal colorato rododendro alpino. E serve un po’ di immaginazione per «ricollocare» ai bordi dei due specchi d’acqua la scena di cacciatori preistorici intenti a preparare gli strumenti in selce con i quali colpiranno le prede, seduti intorno al fuoco, per riscaldarsi e lavorare meglio la pietra, attenti a cogliere i rumori delle prede e avvistarle al loro primo apparire tra la fitta vegetazione. In una mappa in mostra al vicino rifugio, sono localizzati gli scavi archeologici condotti negli anni Una lama in selce, ritoccata, rinvenuta a Colbricon. È uno degli strumenti tipici dei cacciatori mesolitici che frequentarono il sito.
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In alto i laghetti di Colbricon. Nel corso del Mesolitico, le sponde dei due bacini furono scelte da gruppi di cacciatori per i loro insediamenti stagionali.
Ottanta, che hanno permesso di individuare intorno ai due laghetti almeno 9 siti, suddivisi tra postazioni di avvistamento-caccia (quelli collocati in posizione dominante, a una quota leggermente piú alta) e postazioni «di sussistenza», bivacchi che i cacciatori del Mesolitico utilizzarono già 9000 anni fa per i loro campi di caccia stagionali. La storia qui si affianca alla natura, che a Colbricon è particolarmente generosa e regala momenti di stupore e conoscenza. Tutt’intorno, però, si conserva il ricordo di
LAGO DI LEDRO (Trento)
Info tel. 0464 508182; - www.palafitteledro.it
S
un’altra storia, questa volta drammatica e terribile. Dobbiamo cercarla nelle valli vicine, nei passi, nelle cime che circondano i laghetti di Colbricon: soldati austriaci contro militari italiani, a pochi metri di distanza gli uni dagli altri. La neve, il freddo, il gelo, la paura. Boati, assalti, urla. Un giovane fante italiano offre l’ultima sigaretta al nemico ferito a morte, abbandonato dai suoi compagni in ritirata; poi lo abbraccia e gli resta accanto per non lasciarlo solo al momento del grande passo. Le trincee sono ancora qui e tutto sembra tornare. Filo spinato, tavolati di legno, frammenti di metallo. Eppure la luce del sole che illumina potentemente le montagne quasi sorprende, ci risveglia e rasserena l’inquietudine. Balena allora nella mente un lampo poetico, scritto una mattina di gennaio del 1917 dal soldato Giuseppe Ungaretti: «Mattina. M’Illumino d’Immenso».
ulle sponde del lago di Ledro, nel 1929, a causa dell’abbassamento del livello delle acque per la realizzazione della centrale idroelettrica di Riva del Garda, fu scoperto uno dei piú importanti villaggi palafitticoli dell’età del Bronzo dell’arco alpino italiano, costituito da una distesa di oltre 10 000 pali lignei. Dopo varie campagne di scavo, nei pressi dell’area archeologica fu allestito, nel 1972, il Museo delle Palafitte, sezione tematica dell’allora Museo Tridentino di Scienze Naturali (oggi Museo delle Scienze), operando una ricca selezione dei reperti rinvenuti nel villaggio. Tra questi, spiccano oggetti riservati all’élite guerriera, come i pugnali riccamente decorati e i diademi in bronzo, una canoa ricavata da un unico tronco di abete, e, soprattutto, l’ingente quantità di manufatti in legno, la cui conservazione è stata favorita dalle particolari condizioni che si creano nell’ambiente acquatico. Soprattutto negli ultimi anni, il museo ha dedicato molte risorse ed energie alla divulgazione e all’archeologia sperimentale. E, sfruttando gli spazi esterni alla struttura espositiva, ha affidato una parte significativa del suo messaggio didattico alle ricostruzioni in scala reale di alcune palafitte, basata sui dati archeologici forniti dagli scavi di Ledro e del vicino sito, anch’esso palafitticolo, di Fiavè.
Una veduta dei pali ancora oggi visibili sul lago di Ledro: la loro scoperta, nel 1929, provò l’esistenza di un grande villaggio palafitticolo, occupato in un periodo compreso fra il 1800 e il 1500 a.C.
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FRIULI-VENEZIA GIULIA
AQUILEIA (Udine)
Info www.museoarcheologicoaquileia. beniculturali.it; www.basilicadiaquileia.it
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l sito web istituzionale del Comune avverte: «Il patrimonio archeologico di Aquileia oggi visibile è solo una minima parte di quello ancora da mettere alla luce e valorizzare (…). Si tratta di scavi ubicati a macchia di leopardo nel tessuto sociale e urbano aquileiese, non uniti da un percorso archeologico-turistico, in parte incompleti e poco valorizzati, ma che comunque dimostrano la grande potenzialità storico-culturale che possiede Aquileia». È vero, occorre compiere un certo sforzo per apprezzare l’unità topografica dell’antica
A destra uno scorcio del Foro di Aquileia, pavimentato con lastre in calcare di Aurisina e circondato da portici. Nella pagina accanto, in basso il pianterreno del Museo Paleocristiano, con le strutture superstiti dell’antica basilica su cui sorge.
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Basilica romana
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Mura e porte della cinta tardo-antica
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Mura del porto Porto fluviale
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Aquileia
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Mura e torre Porta
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Portico
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Piccole Terme
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200 mt
colonia romana, divenuta in epoca imperiale un importante porto dell’alto Adriatico e poi messa a ferro e fuoco piú volte da gruppi germanici (Marcomanni e Quadi, 170), imperatori romani (Massimino il Trace, 238; Giuliano 361) e re barbari (Alarico, 401; Attila, 452). Fu quindi sede di diocesi, poi di un vastissimo patriarcato (ne fa fede la basilica consacrata dal patriarca Poppone nel 1031). Contesa tra l’Austria (dal 1521) e la Francia di Napoleone (che nel 1797, a Campoformio, la cedette nuovamente a Francesco II) Aquileia fu la prima città conquistata dagli Italiani, il 24 maggio 1915, e venne definitivamente annessa al regno d’Italia nel 1918.
Fu l’inizio del viaggio verso l’eterna riconoscenza da parte degli Italiani liberi e uniti intrapreso dal Milite Ignoto, scelto il 28 ottobre 1921 nella basilica di Aquileia tra 11 soldati senza piú nome, dalla madre di un sottotenente mai tornato dal fronte. Una storia ricca, densa e forte, quella di Aquileia, che merita il peregrinare tra le vie moderne alla ricerca delle testimonianze del passato. Tagliati dalla Strada Statale 352 «di Grado», i resti del Foro lasciano appena immaginare la frenetica vita che si affacciava sulla piazza, lastricata in bianco calcare, porticata su tre lati e chiusa a sud dalla Basilica civile e a nord dal Comizio, cuore pulsante
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FRIULI-VENEZIA GIULIA
dell’amministrazione della giustizia e della partecipazione alla vita cittadina. Per apprezzare meglio la vivacità della città in epoca romana, si possono raggiungere i resti di quello che fu uno degli scali piú importanti dell’impero romano. Lungo le acque del Natissa, nel quale in epoca romana confluivano il Natisone e il Torre, fu costruito un porto fluviale forte di un bacino ampio oltre 48 m. Sono ancora visibili i resti delle due banchine che servivano la sponda occidentale (utilizzate per la bassa e l’alta portata del fiume) risalenti al I secolo d.C.. Le banchine sono ancora complete di blocchi con fori per l’ormeggio delle imbarcazioni e per l’installazione di macchinari utilizzati per il sollevamento dei carichi trasportati lungo il fiume. Alle loro spalle si trovano depositi e altri edifici portuali, spesso con pavimenti inclinati utili allo scarico e al carico delle merci. Mentre sulla sponda occidentale tre stradine collegavano il porto alla città, su quella orientale sorgeva un quartiere popolato da quanti avevano nel porto la loro principale occupazione, tra i quali possiamo immaginare anche i marinai che incisero sulle lastre delle banchine alcuni schemi di giochi da utilizzare come passatempo (tabulae lusoriae). Sparsi nel tessuto cittadino moderno, si possono trovare i resti di importanti abitazioni elegantemente decorate da bei pavimenti musivi (Fondo Cal e Fondo Cossar), di magazzini e di aree adibite a mercati (Fondo Pasqualis), una piccolissima porzione dell’anfiteatro costruito nel I secolo d.C., e tratti delle mura difensive che, a piú riprese, furono innalzate e potenziate per difendere la città. Nel settore piú periferico dell’abitato, cinque recinti funerari testimoniano la presenza di una vasta necropoli extraurbana.
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Particolare del mosaico pavimentale dell’aula sud, di epoca teodoriana, conservato nella navata centrale dell’attuale basilica aquileiese: un ariete con iscrizione Cyriace vibas.
Infine, le testimonianze dell’Aquileia cristiana, che meritano una lunga e appagante sosta. Poco a Nord dell’area del porto fluviale, il Museo Nazionale Paleocristiano ha sede in un edificio che è esso stesso storia: l’area su cui sorge, infatti, fu occupata inizialmente da una basilica paleocristiana della fine del IV secolo; poi vi si installò un cenobio femminile benedettino del IX secolo, e la chiesa del monastero fu arricchita da donazioni nell’XI secolo. Il complesso divenne quindi un palazzo nobiliare dal Settecento e, almeno dal XIX secolo, la chiesa del monastero fu utilizzata come «folador», cioè ambiente per la vinificazione. Poco piú a sud, si trova il magnifico complesso basilicale. Fondato dal vescovo Teodoro nei primissimi anni che seguirono l’Editto di tolleranza del 313, si articolava in piú ambienti, la cui destinazione d’uso è ancora discussa. L’aula Sud, corrispondente all’attuale chiesa, fu ampliata già nel V secolo e completata nel IX secolo, sotto il patriarca Massenzio, con la costruzione del portico, del transetto e dell’abside. Nel 1031, il patriarca Poppone diede vita a una ristrutturazione importante del complesso ecclesiastico: la basilica ricevette una nuova facciata, una nuova abside decorata da un importante ciclo di affreschi e nuovi capitelli per i colonnati interni. Fu inoltre costruito l’alto campanile, che svetta per ben 73 m a sinistra della basilica. L’eleganza dell’architettura è però in parte offuscata dalla magnificenza del mosaico pavimentale della basilica, il piú esteso dell’Occidente romano, risalente alla fondazione del vescovo Teodoro, che volle lasciare testimonianza del percorso ideale verso la Salvezza Eterna, espresso con raffinate allegorie e raffigurazioni.
MUGGIA VECCHIA (Trieste) Info www.benvenutiamuggia.eu
L’
antico borgo di Muggia Vecchia, che occupava la sommità del colle a controllo del mare e delle vie di comunicazione con l’entroterra, venne definitivamente abbandonato alla fine del XV secolo, quando la popolazione si spostò in basso dando origine all’abitato moderno. In età protostorica l’altura ospitò sicuramente un castelliere e la ricerca archeologica ha individuato la cava dalla quale, intorno all’VIII secolo a.C., si estrasse l’arenaria utilizzata per le mura di difesa e i terrazzamenti, mentre i reperti rinvenuti sono stati esposti nel Civico Museo Archeologico di Muggia. Si conservano inoltre tratti delle mura di cinta, le porte di accesso all’abitato e un breve tratto della strada medievale, sulla quale si affacciano i resti di alcune abitazioni. Una lapide sepolcrale e un sarcofago
riutilizzati nella basilica di S. Maria Assunta sono le sole testimonianze riferibili alla frequentazione del colle in epoca romana. L’edificio di culto ebbe origine da un nucleo antico, probabilmente risalente al IV-V secolo, e fu sottoposto a ricostruzioni e restauri che comunque non hanno cancellato l’impronta preromanica che caratterizza l’aula a tre navate e alcuni arredi.
CASTELRAIMONDO (Udine)
In alto Muggia Vecchia. La basilica di S. Maria Assunta. A sinistra i resti del Castello Superiore di Attimis.
Info tel. 0427808042; www.archeocartafvg.it/ portfolio/forgaria-nel-friuli-ud-parcoarcheologico-di-castelraimondo/
I
l sito di Castelraimondo è un insediamento fortificato abitato dal IV secolo a.C. al X secolo d.C. Dopo sporadiche frequentazioni in epoca preistorica, sorge un vero e proprio insediamento, sotto forma di villaggio circoscritto da mura. Tra il II e il I secolo a.C. vengono costruiti il «murus Gallicus», fortificazione di tipo celtico, e il fossato artificiale che lo protegge. In epoca romana la fortezza viene potenziata, ma, intorno al 430, viene distrutta in seguito a un evento non meglio precisato. La sommità del colle è comunque ancora frequentata fino al X secolo. In epoca bassomedievale viene innalzato ex novo un castello sul costone occidentale, distrutto a sua volta nel 1348. I numerosi reperti sono esposti nel Palazzo del Comune di Forgaria nel Friuli.
LA TERRA DEI CASTELLI (Udine)
Info www.prolocofaedis.it/parco_ archeologico_della_terra_dei_castelli. html
Q
uesto «Parco Archeologico» è, in realtà, un itinerario di 25 km che, da Cividale del Friuli, giunge a Tarcento, toccando numerosi castelli, ruderi e borghi e il Museo Archeologico Medievale di Attimis.
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IL LIVELET (Treviso)
Info tel. 0438 21230; www.parcolivelet.it
A
meno di 10 km dal borgo di Vittorio Veneto, sulle rive del lago di Lago (che fino al XIV secolo era un unico bacino con il vicino lago di Santa Maria), il Parco Archeologico Didattico del Livelet è un esempio di come la ricerca archeologica possa comunicare, divertire e intrattenere quanti sentano il desiderio di trasformarsi, almeno per un giorno, in uomini della preistoria. Sull’istmo che separa i due laghi si localizza il sito di Colmaggiore, un importante abitato preistorico di tipo umido. L’insediamento fu indagato negli anni Novanta: vennero allora alla luce i resti di un villaggio preistorico, abitato sin dal Neolitico (4500 a.C. circa), occupato nuovamente nell’età del Rame fino all’inizio dell’età del Bronzo (2300 a.C.) e,
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infine, frequentato sporadicamente ancora nel Bronzo Medio e Recente. Emersero cosí resti di palafitte e tracce della bonifica dei terreni di sponda: palificazioni verticali, legni combusti, tavolati e massicciate in pietra; ma anche gli oggetti d’uso quotidiano: fusaiole, pesi da telaio, contenitori in argilla e manufatti in selce. Le indagini archeologiche hanno inoltre
In alto e in basso due immagini delle palafitte ricostruite nel Parco Archeologico Didattico del Livelet.
NOAL DI SEDICO (Belluno)
Info http://castellierenoal.comune.sedico.bl.it
L’
istituzione del parco archeologico è stata ufficializzata nel 2011 dal Comune di Sedico, con l’obiettivo di valorizzare i resti archeologici di un castelliere situato sulla sommità del colle detto «dei Mirabèi». Di esso si conservano poderose strutture murarie riferibili alla prima frequentazione (1200 Landris a.C. circa) da parte di una popolazione di cultura subappenninica, forse proveniente dall’Italia Noal centrale. Dopo una rioccupazione del Il Castelliere colle nel X secolo a.C., il sito Sedico risulta frequentato nuovamente nel IV-III secolo Gresal a.C., quando ai piedi del castelliere vennero deposte alcune sepolture che hanno restituito, tra gli altri, un elemento tipico del corredo dei Veneti antichi, cioè una fibula a navicella in bronzo. Nel Medioevo, tra l’VIII e il XII secolo, sulla sommità del colle si imposta una struttura a carattere difensivo, di cui gli scavi hanno portato alla luce la base di una torre a pianta quadrangolare. SS 203
SS 50
permesso di raccogliere dati sulle abitudini alimentari di quanti risiedevano sulle rive del lago: lame di falcetto in selce e frammenti di macine testimoniano la pratica della coltivazione e del consumo di cereali, mentre i numerosi frammenti di ossa animali restituiscono il quadro di un consumo di carne di allevamento, integrato dalla pesca e dalla raccolta di cibo selvatico. La ricostruzione di tre palafitte, operata secondo le forme e le tecniche in uso dal Neolitico alla prima età del Bronzo, consente ai visitatori di apprezzare gli spazi, i materiali, gli oggetti e i modi di vita degli uomini ai quali dobbiamo l’antico insediamento palafitticolo. La scoperta archeologica si materializza cosí nell’esperienza diretta della didattica: curiosare, toccare, sperimentare… un percorso graduale che rende l’archeologia una scienza coinvolgente per i visitatori di ogni età.
L’ALTO ADRIATICO (Treviso) Info parsjad.regione.veneto.it
I
l progetto Parco Archeologico dell’Alto Adriatico è un «parco virtuale», con il quale la Regione Veneto e altri 8 partner di Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Slovenia, intendono valorizzare il patrimonio dell’area costiera dell’Alto Adriatico, dal litorale emiliano a quello sloveno, incrementando la realizzazione – e la comunicazione – di itinerari culturali transfrontalieri.
In alto una veduta del colle «dei Mirabèi», sulla cui sommità sono stati localizzati i resti di un castelliere frequentato a partire dal 1200 a.C. circa.
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LIGURIA
LA VIA IULIA AUGUSTA
Info www.archeoliguria.beniculturali.it
L
a lunga Passeggiata Archeologica che a mezza costa esce da Albenga e si dirige in direzione di Alassio (ci troviamo sulla Riviera di Ponente, in provincia di Savona), tra olivi, cipressi, terrazzamenti e villette moderne, scopre alcuni resti importanti e suggestivi dell’antica Albingaunum. Resti che devono talvolta essere «decifrati», poiché sono stati riportati alla luce solo parzialmente, come l’anfiteatro, che risale probabilmente al II secolo d.C.; o perché inglobati in strutture
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moderne, come nel caso dell’abbazia di S. Martino; o, ancora, perché visitabili solamente su prenotazione, come il complesso di S. Calocero, esempio di come la comunità cristiana – che qui ha voluto onorare la sepoltura dell’omonimo martire, un soldato romano vittima della persecuzione dioclezianea (inizi del IV secolo) – ha saputo modellare il pendio, disponendo le strutture della chiesa (fine del V-inizi del VI secolo) e del monastero benedettino altomedievale su tre livelli: il superiore, aperto e utilizzato per gli orti e cortili; quello intermedio destinato alla chiesa e a un antistante spazio acciottolato; quello inferiore con la cripta e gli ambienti di servizio.
Tutti gli edifici si disposero nel corso dei secoli lungo la via Iulia Augusta: costruita nel 13-12 a.C. dall’imperatore Augusto come prosecuzione della via Aemilia Scauri, la strada seguiva l’arco della costa ligure e, con la stessa Aemilia Scauri e l’Aurelia, formava la grande via di comunicazione tra Roma e le province transalpine occidentali. Di questo tracciato, si possono ancora ammirare tratti della pavimentazione originaria, percorrendo un itinerario che solletica i nostri sensi: sicuramente la vista, con i meravigliosi panorami sul mare, e l’olfatto, stimolato dai profumi della macchia mediterranea. Ma, certamente, troveremo il modo di
Sulle due pagine Albenga. I resti delle terme pubbliche della Albingaunum romana, situate nella sponda destra del fiume Centa. In alto un tratto del basolato originario della via Iulia Augusta.
soddisfare anche il gusto, se apprezziamo la cucina ligure, e di riposare l’udito, percorrendo viottoli lontani dalle strade affollate. Proprio inoltrandosi lungo il Percorso archeologico, si ammirano numerosi monumenti funerari extraurbani, innalzati in epoca romana ai lati della strada: dal cosiddetto «Pilone», risalente al II secolo d.C., ai recinti funerari della prima età imperiale (monumenti B, D, H, L, E), alcuni dei quali conservano resti dei pinnacoli che un tempo svettavano sui muri. Tra i recinti si erge anche una tomba «a colombario» (monumento C) che, a differenza dei primi, è munita di copertura con un tetto a spioventi e presenta le pareti rivestite di intonaco di polvere di marmo e articolate con numerose nicchie che ospitavano le urne funerarie. Ultimo verso Alassio, il recinto A costituisce l’estrema propaggine della necropoli meridionale di Albingaunum e si distingue dagli altri per lo spessore delle mura e per la presenza di un basamento a gradoni che si affacciava sulla strada antica. Poco oltre, si incontra un tratto dell’originale lastricato in pietra, con i caratteristici margines laterali e i tagli obliqui utili al deflusso delle acque. In poco piú di due ore si raggiunge infine Alassio: il percorso termina in corrispondenza della chiesetta di S. Croce, piccolo edificio di culto già citato nel 1169 come proprietà del monastero benedettino dell’Isola Gallinaria. Da qui la vista si apre sul mare: se la giornata è limpida si possono intuire i profili della Corsica e i rilievi della Toscana.
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LIGURIA
ORCO FEGLINO (Savona)
Info www.comune.orcofeglino.sv.it
I
l Parco Archeologico di San Lorenzino a Orco Feglino conserva le vestigia di un castrum, noto dalle fonti scritte sin dal XII secolo. Qui Enrico I del Carretto, fedele alleato di Federico I, il Barbarossa, aveva alcune delle sue proprietà: «il Guercio» (dal tedesco Werth,«degno»), cosí è ricordato il primo Marchese del Finale, possedeva un complesso fortificato edificato in una posizione inattaccabile dai nemici. All’interno del parco sono visibili i resti dell’oratorio (XVI secolo), la chiesa castrense di S. Lorenzino, a pianta rettangolare con abside poliforme (XV secolo), e il vicino campanile; tra la vegetazione si riconoscono poi i resti di abitazioni e, sulla sommità del colle, quelli della solida torre a base quadrata, fulcro difensivo del castrum, accanto alla quale era collocata una cisterna per la raccolta dell’acqua.
ALBINTIMILIUM (Imperia)
Info tel. 0184 252320; www.archeoliguria.beniculturali.it
L’
area archeologica si colloca a levante dell’odierna città di Ventimiglia, in località Nervia. Sono attualmente visibili al pubblico l’area delle terme pubbliche (con ambienti identificati come praefurnia e calidaria), il settore delle mura occidentali con necropoli, e il teatro. L’Antiquarium ospita anche una sezione dedicata ai commerci marittimi.
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In alto il campanile della chiesa di S. Lorenzino, a Orco Feglino. A sinistra Ventimiglia. I resti del teatro dell’antica Albintimilium. A destra l’anfiteatro della città romana di Luna, fondata nel 177 a.C.
LE GROTTE DEI BALZI ROSSI (Imperia)
Info tel. 0184 38113; www.archeoge.liguria.beniculturali.it
A destra l’ingresso al complesso delle grotte preistoriche dei Balzi Rossi.
A
i piedi di una parete a strapiombo sul mare, le Grotte dei Balzi Rossi furono frequentate sin dal Paleolitico Inferiore. Nel 1874, nella Grotta dei Fanciulli, furono scoperti gli scheletri di un uomo di alta statura e di due ragazze, probabilmente sorelle, deposte con oggetti di vestiario fabbricati con conchiglie, vissuti circa 25 000 anni fa. Il percorso si snoda tra gli edifici museali e alcune delle grotte abitate in tempi preistorici. L’area archeologica è collegata al Museo Preistorico dei Balzi Rossi.
LUNA (La Spezia)
Info tel. 0187 66811; www.archeoge.beniculturali.it
P
rincipale area archeologica del Levante ligure, conserva i monumentali resti della città romana di Luna, fondata nel 177 a.C. Centro importante ancora in età imperiale, vi sono state identificate testimonianze anche dell’epoca altomedievale. Il Museo Archeologico Nazionale si apre con la statuaria e la ritrattistica; seguono le sezioni dedicate alla ceramica e alla numismatica.
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EMILIA-ROMAGNA
TRACCE DELLA CINT AM
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FORTIFICAZIONI E PORTA DEL VILLAGGIO
RICOSTRUZIONE DEL FOSSATO
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PONTE DI ACCESSO AL VILLAGGIO
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RICOSTRUZIONI DI ABITAZIONI DELL’ETÀ DEL BRONZO MUSEO ALL’APERTO
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AREA DELLE COLTIVAZIONI SPERIMENTALI
PERCORSO DI VISITA
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LA TERRAMARA DI MONTALE (Modena)
Info tel. 059 2033126; www.parcomontale.it
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urante l’età del Bronzo Medio (metà del II millennio a.C.) sorsero in Emilia e nella zona centrale della Pianura Padana insediamenti fortificati, circondati da un fossato con terrapieno e difesi da palizzate lignee; questi villaggi erano formati all’interno da capanne di grandi dimensioni, spesso costruite su piattaforme sopraelevate sorrette da palificazioni, come le palafitte, a differenza delle quali, però, non sorgevano in aree lacustri o fluviali, ma su terreni asciutti. Questi abitati vennero chiamati «terramare», termine che in dialetto emiliano significa «terra grassa». All’inizio dell’Ottocento il paesaggio emiliano e della Pianura Padana era caratterizzato dalla presenza di basse collinette artificiali, create
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INGRESSO
dallo stratificarsi dei villaggi dell’età del Bronzo; poiché il terreno che le formava era anche molto fertile, oltre che ricco di reperti archeologici, queste collinette vennero usate come cave di terriccio per concimare i campi. Ciò comportò la distruzione di molti degli insediamenti dell’età del Bronzo. Solo dopo il 1860, quando si intensificarono in Italia gli scavi di preistoria, ci si rese conto che la vera origine di queste collinette era attribuibile a villaggi protostorici e, da allora, il termine terramara fu utilizzato dagli archeologi per indicare questi abitati, databili fra l’età del Bronzo Medio e Recente (1650-1170 a.C. circa). Il Parco Srcheologico e Museo all’aperto della Terramara di Montale, vicino Modena, è nato in corrispondenza di una delle principali terramare della pianura emiliana, i cui scavi, iniziati nella seconda metà dell’Ottocento e proseguiti dal 1996 fino al 2001, hanno permesso di realizzare un suggestivo spazio
Sulle due pagine pianta del Parco Archeologico e Museo all’aperto della Terramara di Montale, presso Modena.
RESIDUO DELLA TERRAMARA NON SCAVATA
LABORATORIO DIDATTITCO
AREA DI SOSTA ATTREZZATA A destra l’interno di una delle capanne ricostruite nel parco di Montale, con la replica di un telaio. In basso replica sperimentale di un’ascia dell’età del Bronzo.
museale, nel quale si rivive l’esperienza degli antichi abitanti del villaggio. Sotto la collinetta dove sorge attualmente la chiesa di Montale, è stata ricostruita con calchi in resina la stratigrafia originale (non esposta per motivi di conservazione); di fronte all’area dello scavo, è presente il museo all’aperto, formato dalle ricostruzioni in scala reale di una parte dell’abitato: si possono vedere le repliche di un fossato, un terrapieno difensivo, un accesso fortificato e di due grandi capanne, con tetto di canne a doppio spiovente. Sulla base dei ritrovamenti archeologici, gli interni di queste abitazioni sono stati ricostruiti con arredi e oggetti che riproducono fedelmente quelli di 3500 anni fa, distinti secondo i diversi ruoli sociali. Una capanna rappresenta infatti la casa di un signore appartenente all’élite guerriera, dove davanti al focolare riceveva gli ospiti, circondato dal suo corredo di armi in bronzo;
l’altra è invece la dimora di un contadino. In uno spazio all’aperto del villaggio, sono state ricostruite due fornaci per la cottura di ceramiche, mentre in un altro settore sono state impiantate alcune colture sperimentali con le specie documentate dagli scavi archeologici, costituite da cereali (segale e miglio), legumi (favino, lenticchia, cicerchia, piselli) e lino, che contribuiscono non solo a ricostruire l’aspetto del territorio di Montale nei secoli a cavallo del II millennio a.C., ma anche a comprendere le abitudini alimentari dei suoi antichi abitanti. Il parco offre ai visitatori e alle scuole attività di archeologia sperimentale e simulazioni di scavo.
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EMILIA-ROMAGNA
MARZABOTTO (Bologna)
Info tel. 051 932353; www.archeobo.arti.beniculturali.it; www.marzabottoetrusca.it
L’
area archeologica e il Museo Nazionale Etrusco «Pompeo Aria» di Marzabotto raccontano la storia della città etrusca di Kainua («città nuova»), importante centro posto sul fiume Reno, fiorente tra il VI e il IV secolo a.C., soprattutto come punto di smistamento delle merci provenienti dall’Etruria tirrenica e dirette verso l’area padana. Qui arrivavano, tra l’altro, i metalli (soprattutto bronzo e ferro) dalla Toscana, che venivano lavorati nelle officine locali; altra importante produzione della città era quella della ceramica, favorita dall’ottima argilla e dall’abbondante presenza di acqua. Fondata verso la fine del VI secolo a.C. in seguito a una riorganizzazione della Valle del Reno – probabilmente come una sorta di colonia del centro etrusco padano di Felsina (l’odierna Bologna) –, la città presenta un impianto urbano ortogonale. La parte piú settentrionale, dove si trova una piccola acropoli, comprende tre edifici templari e due altari, connotandosi dunque come area sacra. All’incrocio tra l’asse viario principale su cui affacciano le abitazioni piú prestigiose e le botteghe e la strada che conduceva all’acropoli, si trova il tempio dedicato a Tinia (lo Zeus etrusco); per le sue caratteristiche architettoniche «alla greca», l’edificio trova i suoi paralleli piú vicini nelle principali città dell’Etruria meridionale. La planimetria di Marzabotto è un esempio di fondazione etrusco ritu, cioè di città delimitata e disegnata come proiezione terrena del templum celeste. La prosperità di Kainua fu interrotta alla metà del IV secolo a.C. dall’invasione celtica; l’occupazione gallica della regione comportò la forte contrazione dell’insediamento, mentre, con la successiva romanizzazione, la città venne abbandonata. Proprio la mancanza di continuità di vita ha permesso la perfetta conservazione delle strutture dell’insediamento, consentendo ancora oggi ai visitatori di percorrere le antiche strade lungo le quali si snodano case, aree artigianali ed edifici sacri. Al di fuori dell’abitato, nei lati est e nord, si estendono le necropoli, caratterizzate da tombe a cassa lapidea sormontate dai caratteristici segnacoli a uovo. A sinistra resti di edifici compresi in uno dei quartieri della città, il cui impianto regolare rispetta l’ortogonalità delle strade. Le prime scoperte di strutture riferibili all’antica Kainua risalgono al 1839. A destra un settore della necropoli situata all’esterno dell’area abitata.
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EMILIA-ROMAGNA
CLASSE (Ravenna)
Info www.ravennantica.it
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avenna non ha bisogno di presentazioni e il suo patrimonio è stato recentemente arricchito dalla riapertura dell’area archeologica dell’Antico Porto di Classe, situato all’imboccatura del porto-canale antico, che comprende parte dell’isola e il quartiere commerciale affacciato sulla sponda sud del canale, uno scalo e un vivacissimo centro economico ancora nel V-VI secolo d.C. L’area ha ampliato i diversi «segmenti» del circuito di RavennAntica, Fondazione nata per realizzare d’intesa e in stretto rapporto di collaborazione con le Soprintendenze e
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l’Università di Bologna, un Parco Archeologico attorno alla grande basilica di S. Apollinare in Classe. Oltre all’Antico Porto, il parco comprenderà il Museo di Classe e la basilica di S. Severo – oggetto di campagne di scavo e della quale restano le fondamenta e le pavimentazioni musive –, «gemella» di S. Apollinare in Classe. Quest’ultima, consacrata dall’arcivescovo Massimiano il 9 maggio 549, comunica ancora oggi l’importanza del centro di Classe e del suo territorio all’alba del Medioevo: lo dimostrano le ampie dimensioni, la ricchezza dei materiali utilizzati (nonostante la spoliazione dei marmi interni, riutilizzati nel Quattrocento per la decorazione del Tempio Malatestiano di Rimini), la raffinatezza e complessità dei mosaici.
In alto S. Apollinare in Classe. Il mosaico del catino absidale. VI sec. La scena si svolge tra il cielo e un paesaggio paradisiaco ricco di rocce, alberi, fiori e uccelli. Al centro, in atteggiamento orante, si staglia il santo Apollinare con la tunica bianca e la casula punteggiata da api d’oro, simbolo d’eloquenza, a testimoniare la glorificazione della Chiesa di Ravenna.
A sinistra l’immagine del Buon Pastore in uno dei mosaici della Domus dei Tappeti di Pietra. Il soggetto compare in una iconografia inconsueta e il giovane potrebbe forse essere identificato con il Dominus della casa: rappresentato nei suoi possedimenti di campagna, vuole esaltare la propria immagine di uomo ricco e potente, ma anche colto e dedito al piacere intellettuale.
A destra l’interno della Cripta Rasponi. La costruzione è, in realtà, una piccola cappella gentilizia, mai destinata ai defunti della famiglia omonima, il cui pavimento è il frutto dell’assemblaggio di mosaici probabilmente provenienti da Classe, forse dalla chiesa di S. Severo.
Oltre al Parco Archeologico di Classe, fanno parte del circuito di RavennAntica anche la Domus dei Tappeti di Pietra, riportata alla luce tra il 1993 e il 1994 nel centro storico di Ravenna. In quegli anni il Comune di Ravenna e la Soprintendenza Archeologica scoprirono un complesso di strutture edilizie risalenti a un ampio arco cronologico, dall’epoca repubblicana a quella bizantina. Tra gli edifici, uno in particolare destò l’emozione degli archeologi: un grande palazzo di epoca bizantina (V-VI secolo), formato da tre cortili intorno ai quali si disponevano ben quattordici ambienti tutti pavimentati con splendidi mosaici, i «Tappeti di Pietra», appunto. Dopo il restauro, i pavimenti sono stati ricollocati nel luogo della scoperta, circa 3 m sotto il livello stradale, e resi visibili al
pubblico, che ora può ammirare i quasi 700 mq di composizioni in cui elementi geometrici, vegetali e figurati, con la gioiosa immagine della Danza dei Geni delle Stagioni, concorrono a definire un raffinato esempio dell’arte musiva civile ravennate. Completano il circuito di RavennAntica la Cripta Rasponi, cappella del palazzo nobiliare del XVIII secolo, il cui pavimento è formato da un assemblaggio di frammenti provenienti da edifici di Classe, probabilmente dalla chiesa di S. Severo (VI secolo), e dotata di un giardino pensile affacciato su piazza San Francesco; e TAMO-Tutta l’Avventura del Mosaico, un museo allestito nella trecentesca chiesa di S. Nicolò, che propone un percorso alla scoperta del patrimonio musivo di Ravenna e del suo territorio.
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Savona
Genova
Lucca
Viareggio
Pisa
Livorno
PARCHI ARCHEOLOGICI
CENTRO I popoli italici sono i grandi protagonisti dei Parchi Archeologici dell’Italia centrale. Primi fra tutti, gli Etruschi: dalla costa tirrenica alle misteriose necropoli scavate nel tufo dell’entroterra maremmano e umbro, le vestigia di questa straordinaria civiltà si fondono in un tutt’uno con il paesaggio. Nelle colline marchigiane e nei monti dell’Abruzzo si nascondono, poi, strade e anfiteatri delle città romane e, procedendo verso sud, gli splendori delle grandi residenze imperiali...
Rosignano Cecina
Baratti Piombino Follonica Portoferraio
Medicina
Bologna
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Ravenna
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Russi
Imola Faenza
Forlì
Cesenatico
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San Piero in Bagno
Pontassieve
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Figline Valdarno
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Arezzo Città di Castello
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Osimo Recanati
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Sansepolcro
Montevarchi
Poggibonsi
Mare Adriatico
Fano
Firenze Empoli
Fabriano
Gualdo Tadino
Urbs Salvia
Corridonia Fermo
San Benedetto del Tronto
Sentinum
Ribolla
Roselle
Foligno
Marsciano
Cetona
Ascoli Piceno Todi
Grosseto
Grotte di Castro Selva del Lamone Antica Castro Orbetello
Cosa Montalto di Castro
Narni
Viterbo
Vulci
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Teramo
Carsulae Terni
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Pineto Montesilvano Penne
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L’Aquila
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Alba Fucens
Veio
Fiumicino
Ostia
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Castel di Sangro
Palestrina Anagni
Velletri
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Iuvanum
Avezzano
Villa Adriana
Tuscolo
Parco della Majella Sulmona
Guidonia
Roma
Ladispoli
Mar Tirreno
Martinsicuro Giulianova
Spoleto
Orvieto
Città del Tufo
Civitanova Marche
Macerata
Perugia
Montepulciano
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Cesena Borgo San Lorenzo
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Isola del Liri Cassino
Venafro
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TOSCANA
CITTÁ DEL TUFO (Grosseto) Info tel. 0564 614074; www.leviecave.it
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naugurato nel 1998 su iniziativa del Comune di Sorano, in collaborazione con la Regione Toscana e la Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana, il Parco Archeologico «Città del Tufo» occupa un’area estesa, caratterizzata dall’azione erosiva dei torrenti e quindi da un paesaggio singolare e suggestivo, ricco di profondi canyon. Il parco propone un percorso che realizza in pieno la sintesi tra natura, paesaggio e monumenti della civiltà etrusca e medievale: al suo interno, infatti, ricade Sovana, con i suoi monumenti piú significativi, le vie cave e le necropoli che si sviluppano intorno a esse, con le celebri tombe Ildebranda, della Sirena, Pola, Pisa e del Sileno. Nella cittadina è visitabile anche il Museo di San Mamiliano. Nelle immediate vicinanze di Sorano, in posizione panoramica
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sopra il fiume Lente, è inoltre situato l’insediamento rupestre di San Rocco, con le sue testimonianze storiche di età medievale. Da qui si può raggiungere Sorano e visitare la Fortezza Orsini, che ospita il Museo del Medioevo e del Rinascimento. La visita al parco si completa con il villaggio rupestre di Vitozza, posto nelle immediate vicinanze della frazione di San Quirico di Sorano, con le sue duecento grotte.
In alto Sovana. La tomba Pola. III sec. a.C. In basso Sovana. Veduta della tomba Ildebranda, la piú monumentale del comprensorio. Prima metà del III sec. a.C.
COSA (Grosseto)
Info tel. 0564 881421; www.archeotoscana.beniculturali.it
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osa è una colonia romana dedotta nel 273 a.C. su un promontorio roccioso a 114 m di quota sul mare, nei pressi dell’odierna Orbetello. Strutturata come una fortezza, la città era difesa da una possente cinta muraria, recentemente restaurata, che si sviluppa per circa 1,5 km di lunghezza ed è fornita di almeno diciotto torri quadrate e una rotonda. Nelle mura si aprono tre porte con vano interno e chiusura a saracinesca. L’impianto urbano ortogonale è definito da una griglia di vie basolate: all’interno della città, oltre alle
abitazioni private, sono ben riconoscibili l’area del Foro, a cui si accedeva da un arco a tre fornici del quale si conservano i resti crollati, e sul quale si affacciavano la basilica, il tempio della Concordia e il complesso della curiacomizio; e l’acropoli, protetta da una sua propria cinta muraria, che ospitava il principale luogo di culto della città, il Capitolium e un tempio minore forse dedicato a Mater Matuta. Sia pure in modo intermittente, Cosa è stata occupata fino al XIV secolo. Il Museo si trova all’interno dell’area archeologica.
I resti del Capitolium di Cosa. Secondo quarto del II sec. a.C.
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TOSCANA
BARATTI E POPULONIA (Livorno) Info tel. 0565 226445; www.parchivaldicornia.it
Marina di Castagneto Donoratico
Castagneto Carducci
Rocca di San Silvestro San Vincenzo
San Carlo Parco Archeominerario di San Silvestro
Populonia, necropoli di San Cerbone. Una delle tombe a edicola del sepolcreto. VII-VI a.C.
Campiglia Marittima
Lumiere Parco Costiero di Rimigliano
Venturina
Mar Tirreno Populonia Poggio del Telegrafo
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Banditelle Poggio del Molino
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Parco Archeologico di Baratti e Populonia
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Museo Archeologico del Territorio di Populonia
Nella pagina accanto, in alto disegno ricostruttivo dell’imponente cinta muraria che racchiudeva la città etrusca di Populonia nel IV-III sec. a.C.
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Sassetta Parco Forestale di Poggio Neri
Archeologia e ambiente Del sistema dei Parchi della Val di Cornia fanno parte due Parchi Archeologici, quattro Parchi Naturali, tre Musei e un Centro di Documentazione, compresi nell’area di cinque Comuni, all’estremo sud della provincia di Livorno, di fronte all’isola d’Elba. Grazie alla sua articolazione, questa rete racconta una storia millenaria, che ha inizio con la presenza degli Etruschi e si snoda nei secoli, mantenendo come filo conduttore le attività di estrazione e lavorazione dei metalli. Il tutto, in un contesto ambientale di grandissimo pregio.
Suvereto
Forni S. Lorenzo
Cafaggio Casalappi
Montioni Parco Naturale di Montioni
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Riotorto
Parco Costiero della Sterpaia Firenze
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Follonica
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l territorio compreso tra le pendici del promontorio di Piombino e il Golfo di Baratti era un tempo occupato dalla città etrusca e romana di Populonia, la cui principale ricchezza derivava dall’intensa attività metallurgica legata alla produzione del ferro. Gli impianti legati alla
Mar Tirreno
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TOSCANA
Da non perdere
Acropoli Un tratto della strada selciata di età repubblicana che collegava l’area dei templi a quella dell’edificio denominato Le Logge.
San Cerbone Una tomba a tumulo della necropoli di San Cerbone. L’area del sepolcreto, nel tempo, fu ricoperta dalle scorie dell’antica attività metallurgica. Le Grotte Veduta della necropoli in località Le Grotte, le cui tombe ellenistiche (IV-II sec. a.C.) furono ricavate dalle antiche cave.
Sulle due pagine un’altra veduta della necropoli delle Grotte.
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prima lavorazione dei metalli sono ora ricompresi nel Parco Archeologico di Baratti e Populonia, inserito nel sistema dei Parchi della Val di Cornia. Il parco, tuttavia, deve la sua notorietà soprattutto alle tombe monumentali: la piú maestosa è quella dei Carri, ma da non perdere sono anche i tumuli dei Letti Funebri, delle Pissidi Cilindriche, dei Flabelli e delle
SAN SILVESTRO (Livorno)
Info tel. 0565 226445; www.parchivaldicornia.it
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Oreficerie. Di particolare suggestione è anche la necropoli in località Le Grotte. Nel Museo Archeologico del territorio di Populonia, si può ammirare l’anfora in argento rinvenuta nelle acque del Golfo di Baratti: la sua struttura è frutto dell’assemblaggio di ben 132 medaglioni raffiguranti danze di bambini e giovani, divinità, satiri e menadi.
In alto, a destra ricostruzione del castello di San Silvestro durante il periodo dei Della Rocca (XII sec.), quando l’insediamento venne diviso in una zona destinata alle attività metallurgiche, e un’altra riservata alle abitazioni.
lle spalle di Campiglia Marittima e del promontorio di Piombino, su un’area di circa 450 ettari, il Parco Archeominerario di San Silvestro (facente parte anch’esso del sistema dei Parchi della Val di Cornia) comprende nel percorso di visita musei, gallerie minerarie, un borgo medievale di minatori e fonditori, e sentieri di interesse storico, archeologico, geologico e naturalistico. La visita inizia dal Museo dell’Archeologia e dei Minerali e prosegue nella Miniera del Temperino, dove il visitatore può comprendere l’evoluzione delle tecniche di ricerca ed estrazione dei minerali e godere della bellezza e fascino del mondo sotterraneo. Sullo sfondo di Valle Lanzi, spiccano i resti della medievale Rocca San Silvestro, cuore del parco, costruita a servizio dei minatori e fonditori che lavoravano per i conti della Gherardesca.
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TOSCANA
BELVERDE (Siena)
Info tel. 0578 239219; http://preistoriacetona.it
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ndissolubilmente legato al Museo Civico per la Preistoria del Monte Cetona, il Parco Archeologico Naturalistico di Belverde racconta la storia dell’insediamento umano del monte nel corso della preistoria. Alcune delle cavità che si aprono nel travertino sono visitabili, quali la grotta di San Francesco, gli antri della Noce e del Poggetto, frequentate dall’uomo per scopi funerari o di culto. L’Archeodromo di Belverde è invece un percorso didattico creato per completare e integrare la visita al parco e al museo.
POGGIBONSI (Siena) Info tel. 0577 935113; www.parco-poggibonsi.it
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ulla collina di Poggio Imperiale, nel Comune di Poggibonsi, all’interno di una monumentale cortina muraria medicea, si estende il Parco Archeologico di Poggibonsi. L’area archeologica è collegata al Cassero della fortezza medicea (sede di un Centro di Documentazione) grazie a vari percorsi: archeologico, che si snoda nell’area dello scavo; storico-architettonico, che si articola dalla Fonte di Vallepiatta fiancheggiandone la cortina muraria; panoramico-monumentale, che illustra la storia e la morfologia del territorio di Poggibonsi; naturalistico-ambientale, che offre informazioni sulle specie arboree della collina di Poggio Imperiale; geologicomorfologico, che spiega la geologia della collina attraverso la riproposizione di alcune stratigrafie del sito. Recentemente è stato inaugurato un archeodromo, che introduce il visitatore in quella che doveva essere la vita al tempo di Carlo Magno, anche con personale in costume e puntuali ricostruzioni architettoniche.
In alto un momento delle attività di rievocazione storica organizzate all’interno dell’archeodromo del Parco Archeologico di Poggibonsi.
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Le ambientazioni, le strutture e i manufatti riprodotti si ispirano alle due fasi della preistoria meglio documentate in questo territorio: sono stati ricostruiti una parte di un villaggio dell’età del Bronzo, con capanne a grandezza naturale e aree per le attività artigianali, e un abitato in grotta del Paleolitico Medio. I due settori sono collegati da un itinerario nel bosco e lungo la balza rocciosa sovrastante le cavità di Belverde, da cui si gode un ampio panorama sulla Valdichiana. Vi è anche una zona allestita per la simulazione degli scavi archeologici. Inoltre nei vari settori dell’Archeodromo vengono effettuate visite guidate, laboratori tematici, attività di sperimentazione, simulazione e animazione con operatori specializzati A destra Cetona. Scorcio dell’interno della grotta di San Francesco.
ROSELLE (Grosseto)
Info tel. 0564 402403; www.archeotoscana.beniculturali.it
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d appena 8 km da Grosseto è possibile ammirare i resti dell’antico centro etrusco di Roselle, abitato a partire dalla prima metà del VII secolo a.C., collocato in una posizione ideale al controllo del lago Prile, che un tempo era un’ampia laguna comunicante con il mare. Alla fase etrusca appartengono i resti della cinta muraria in opera poligonale, alcuni edifici pubblici e privati, e strutture di tipo artigianale. Nel 294 a.C. la città fu conquistata da Roma: si assiste allora a un’intensa attività edilizia monumentale, che caratterizza in particolare l’epoca imperiale, con la costruzione dell’anfiteatro, del Foro con gli edifici annessi, terme pubbliche e raffinate domus private. L’epoca medievale segna l’inizio del declino della città, che fu comunque sede di diocesi e vide la costruzione dell’edificio di culto sulle strutture delle antiche terme romane. Presso il Museo Archeologico e d’Arte della Maremma di Grosseto è allestita una sezione dedicata alla storia della città e degli scavi.
A sinistra un settore dell’area archeologica di Roselle, con resti delle strutture di abitato. VII-IV sec. a.C.
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PITIGLIANO (Grosseto) Info tel. 0564 614067; www.comune.pitigliano.gr.it
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a città dei vivi e la città dei morti: un affascinante e insolito viaggio tra archeologia e natura nel museo all’aperto di Pitigliano», cosí recita la pubblicità del Museo Archeologico all’aperto «Alberto Manzi» di Pitigliano, uno dei borghi piú belli d’Italia. Si parte visitando la «città dei vivi», dove fa bella mostra di sé un modello didattico di capanna circolare, realizzato in dimensioni quasi al vero, mentre le case della città etrusca sono riprodotte con plastici corredati da piante e sezioni. Da qui, grazie a una suggestiva via cava intagliata nella roccia tufacea si arriva alla sottostante «città dei morti». La necropoli etrusca del Gradone, con tombe a una, due e tre camere, risalente al VII-VI secolo a.C., è stata in passato devastata dagli scavatori clandestini. Rende bene l’idea di ciò che è andato disperso la ricostruzione della tomba di Velthur e Larthia che fa rivivere la sacralità e le emozioni di una cerimonia funebre etrusca, comprensiva di tutti gli arredi e dei corredi. La visita del Museo, situato nelle sale della fortezza Orsini, completa questo particolare viaggio nella terra degli Etruschi.
Una suggestiva veduta dall’alto della via cava di Fratenuti.
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MARCHE
SENTINUM (Ancona)
Info tel. 0732 956218; www.sassoferratocultura.it
Uno scorcio dell’area archeologica al cui interno si conservano i resti dell’antica Sentinum.
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l Parco Archeologico di Sentinum, istituito nel 1994, custodisce i resti dell’omonima città antica, che sorse a sud dell’odierna Sassoferrato, in località Santa Lucia, su un terrazzo alluvionale presso la confluenza dei torrenti Marena e Sanguerone nel fiume Sentino, a controllo della via che collegava l’Appennino con la costa, giungendo a Sena Gallica (Senigallia). Nei pressi di questo centro, nel 295 a.C., si combatté uno degli episodi piú importanti della terza guerra sannitica, la battaglia detta «delle Nazioni»: lo scontro vide la vittoria dei Romani alleati dei Piceni, contro la coalizione italica formata da Galli Senoni, Sanniti ed Etruschi, e permise a Roma di acquisire il controllo dei territori del Medio Adriatico. Fondata come municipio agli inizi del I secolo a.C., durante la guerra di Perugia tra Ottaviano e Lucio Antonio, Sentinum fu distrutta nel 41 a.C. da un incendio causato dal luogotenente di Ottaviano, Salvidieno Rufo. Poco dopo, lo stesso Ottaviano Augusto la fece ricostruire con monumenti sontuosi. Dell’antico centro sono attualmente visibili, oltre i resti della cinta muraria, le due principali strade ortogonali, il cardine e il decumano massimi, e alcune delle strade secondarie a essi parallele; un impianto termale dotato di grande piscina rettangolare, circondata da peristilio, e di tepidarium, frigidarium e calidarium; un tempio di epoca augustea, un complesso di ambienti facenti parte di un’insula, un’abitazione con pavimenti a mosaico e colonne pertinenti a un atrio. Non lontano dalla chiesetta di epoca medievale di S. Lucia, lungo l’asse del cardo maximus che usciva dalla città in direzione sud, si trovano i resti di una grande villa databile all’età imperiale (I-II secolo d.C.), di cui sono ancora visibili un atrium, un grande peristilio, ambienti termali e stanze con pavimentazioni in mosaico o in opus sectile; fuori della città si trovavano inoltre grandi terme pubbliche extraurbane, con ambienti pavimentati a mosaico e in marmo.
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TOSCANA
URBS SALVIA (Macerata) Info tel. 0733 202942 www.cultura.marche.it
I
l Parco Archeologico di Urbs Salvia occupa l’area dell’omonima colonia romana. Si sviluppa per circa 40 ettari ed è il piú importante delle Marche, permettendo, attraverso il suo percorso di visita, di comprendere la struttura urbanistica di una tipica città romana. Posta all’incrocio delle due strade che collegavano Firmum (Fermo) a Septempeda (San Severino Marche), e Ricina (Macerata) ad Asculum (Ascoli Piceno), nella V regione augustea (Picenum), la città ebbe il titolo di municipio in epoca repubblicana, e divenne colonia sotto Augusto. All’età del primo imperatore si devono l’impianto urbanistico principale e gli edifici pubblici
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ancora oggi visibili. Dopo aver conosciuto un periodo di splendore e aver dato i natali a uomini illustri, tra cui il generale di Tito, Flavio Silva Nonio Basso – protagonista della conquista di Masada, ultima roccaforte giudaica in Palestina – al quale si deve, alla fine del I secolo d.C., la costruzione dell’anfiteatro posto al di fuori della cinta muraria, nella prima metà del V secolo Urbs Salvia viene distrutta dai Visigoti e abbandonata, mentre la popolazione si sposta alle pendici della collina, in un luogo meglio difendibile. Della definitiva decadenza della città parla anche Dante nel XVI canto del Paradiso. Dopo aver iniziato la visita dal Museo Archeologico, che espone un plastico ricostruttivo e reperti provenienti dai monumenti cittadini – tra cui affreschi, statue e iscrizioni –, si prosegue con la cisterna, posta nel punto piú alto della città; piú in basso è il
In alto veduta dei resti dell’anfiteatro di Urbs Salvia. I sec. d.C. Nella pagina accanto, in alto un tratto delle mura romane di Septempeda, intervallato da un torrione a pianta circolare. II-I sec. a.C. Nella pagina accanto, al centro mosaico policromo da Septempeda. San Severino Marche, Museo Civico Archeologico «G. Moretti».
SEPTEMPEDA (Macerata)
Info tel. 0733 638414; www.cultura.marche.it
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teatro, uno dei piú grandi d’Italia e l’unico che conservi consistenti tracce di intonaco dipinto (inizio I secolo d.C), e il cosiddetto edificio a nicchioni, una sostruzione imponente, che fungeva da scenografico raccordo tra i vari livelli su cui si impianta la città. Oltrepassata la moderna strada che ripercorre l’antico decumanus, si raggiunge il tempio di età augustea dedicato alla Salus Augusta, con due colonne sul lato breve del pronao. L’edificio si erge sopra un podio monumentale, circondato su tre lati da un criptoportico decorato da affreschi con iconografie legate alla propaganda augustea e riquadri con scene di animali intervallate da maschere lunari. Oltrepassata la cinta muraria, munita di torri circolari e ottagonali, ancora ben conservata, si giunge infine all’anfiteatro, realizzato nel 71 d.C.: qui, nella stagione estiva, vengono oggi messi in scena spettacoli teatrali.
n una vasta area interessata fin dall’età del Ferro da tracciati viari che collegavano la costa adriatica con l’Etruria interna e tirrenica, tramite i valichi appenninici e le vallate fluviali della regione medio-adriatica, nel territorio di San Severino Marche, sono visibili i resti della città romana di Septempeda, sorta probabilmente nel III secolo a.C. Il Parco Archeologico della città sorge lungo la strada statale che ricalca il tracciato di un diverticolo della via Flaminia, la via Flaminia Prolaquense, che collegava Nuceria Camellaria ad Ancona, seguendo per un tratto la vallata del Potenza. Questa strada costituiva il decumano massimo della città, che entrava nel tessuto urbano attraverso la Porta Orientale, costituita da due torrioni circolari, impostati sulla cinta muraria in opera quadrata realizzata con grandi blocchi tagliati nella pietra arenaria locale probabilmente nel II-I secolo a.C. Gli scavi all’interno della città hanno messo in luce un impianto termale di notevoli dimensioni, i cui ambienti si sviluppano attorno a un vasto cortile pavimentato in opus spicatum. Si tratta, verosimilmente, della palestra, circondata su tre lati da un portico a pilastri, con piscina e ambienti riscaldati a ipocausto e pavimentati a mosaico. L’area del Foro va probabilmente individuata nei pressi della chiesa di S. Maria della Pieve. Nell’area a ovest sono invece visibili i resti di un quartiere artigianale, con fornaci per la fabbricazione di ceramica. Al di fuori delle mura è stata inoltre individuata una necropoli databile al II secolo d.C. La città viene abbandonata in età tardo-antica, e, nel Medioevo, il nuovo centro abitato di San Severino si sviluppa 2 km circa piú a ovest.
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UMBRIA
L’ORVIETANO
Info tel. 0763 306747 - www.paao.it
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ell’area che gravita intorno alla città di Orvieto – caratterizzata dal punto di vista ambientale dal comparto d’origine vulcanica di cui la rupe su cui sorge la città rappresenta la massima espressione –, fino alle alture del massiccio del Monte Peglia, i Comuni di Allerona, Castel Giorgio, Castel Viscardo, Montegabbione, Orvieto, Parrano, Porano, San Venanzo, insieme alla Soprintendenza Archeologia dell’Umbria, alla Regione Umbria e alla Provincia di Terni, hanno dato vita al PAAO (Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano), per tutelare, valorizzare e gestire il patrimonio storico-archeologico e paesaggistico-ambientale del comprensorio. Attraverso tre diversi itinerari, quello lungo l’anello della rupe di Orvieto, la Selciata dei Cappuccini, antico percorso stradale che prende il nome dal complesso monastico che domina la stretta valle a sud di Orvieto, e il Sentiero del Sasso tagliato, si possono percorrere e scoprire le bellezze di questo territorio. In particolare, si segnalano i principali siti archeologici, relativi all’antico centro etrusco di VelznaVolsinii. Al di sotto della rupe, nel settore nord, uscendo da Porta Vivaria, si incontra la necropoli di Crocifisso del Tufo; l’area sepolcrale, utilizzata tra la metà del VI e la metà del V secolo a.C., prende appunto nome da un crocifisso scolpito nel tufo di una cappella rupestre, risalente al XVI secolo; è formata da tombe a dado, allineate lungo le vie sepolcrali disposte su assi ortogonali regolari, secondo un impianto urbanistico ben preciso, che ricorda quello delle città etrusche «dei vivi». Caratteristica è la presenza di iscrizioni poste sull’architrave di accesso delle tombe, che riportano il nome e il gentilizio del defunto, costituendo cosí una delle piú importanti testimonianze epigrafiche etrusche riferite alla comunità dell’antica Velzna.
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Nella pagina accanto un settore della necropoli di Crocifisso del Tufo. In basso la Venere di Cannicella, statua in marmo greco raffigurante una divinità nuda, forse Cerere, rinvenuta presso un altare nell’omonima necropoli a Orvieto. Fine del VI sec.a.C. Orvieto, Museo «Claudio Faina».
Sul versante meridionale della rupe, uscendo da Porta Santa Maria, si incontrano la necropoli e il santuario di Cannicella, cosí denominati per la presenza di canneti nell’area. La necropoli è disposta su terrazzamenti paralleli alla rupe tufacea, e anche qui presenta le tombe in gruppi di isolati su assi ortogonali tra loro. Il lungo periodo di frequentazione del sepolcreto, dal VII al IV-III secolo a.C., è probabilmente da mettere in relazione con il santuario, inserito nel tessuto della necropoli, e da cui provengono la statua marmorea nota come Venere di Cannicella, ora al Museo «Claudio Faina» di Orvieto, e un’iscrizione che menziona la dea Vei (la greca Demetra). L’abbandono del santuario e della necropoli, attorno alla metà del III secolo a.C., va messo in relazione con la conquista romana di Volsinii. Ma uno dei piú importanti ritrovamenti dell’area orvietana è senz’altro quello di Campo della Fiera, nella zona ovest della rupe, in un’area dove si sono svolte per molti secoli fiere e mercati. Il sito ha avuto una frequentazione che si protrasse dal VI secolo a.C. fino alla peste del 1348; scavi recenti hanno portato alla scoperta di tre templi etruschi (forse di un quarto, al di sotto della chiesa medievale), di una via sacra e della strada etrusca che collegava Orvieto a Bolsena, di una domus e un impianto termale di epoca romana, e della chiesa medievale di S. Pietro in Vetere. L’area sacra è ormai unanimemente riconosciuta come il santuario federale del Fanum Voltumnae, nel quale si riunivano periodicamente i rappresentanti delle principali dodici città d’Etruria, dedicato alla massima divinità, Vertumnus, probabilmente un aspetto di Tinia (lo Zeus degli Etruschi). Ancora piú a sud, nel Comune di Porano, in località Settecamini si trovano le tombe monumentali che dal nome del loro scopritore, l’archeologo Domenico Golini, sono state battezzate Golini I e II; precedute da lunghi corridoi d’accesso, presentano al loro interno affreschi con la raffigurazione del banchetto e dei giochi funebri in onore del defunto.
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UMBRIA
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CARSULAE (Terni) Info tel. 0744 334133 www.carsulae.it
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L’arco di San Damiano, sotto il quale corre il basolato della via Flaminia, in larga parte ancora conservato.
u un pianoro ai piedi dei Monti Martani, attraversata in senso nord-sud dall’antico tracciato – tuttora ben conservato – della via Flaminia, si incontra, nei pressi della moderna San Gemini, l’antica Carsulae, uno dei siti archeologici piú belli dell’Umbria. L’insediamento è posto sotto la tutela della Soprintendenza Archeologia dell’Umbria ed è un parco archeologico aperto al pubblico. Fondata intorno al 220-219 a.C. proprio in funzione della Flaminia, che ne costituisce il cardo maximus, era un fondamentale punto di riferimento per i traffici tra Roma e l’Adriatico e l’Italia settentrionale; in età augustea diviene municipio e vede sorgere molti monumenti pubblici. La decadenza e l’abbandono della città, a partire dal IV secolo d.C., furono determinati dallo spostamento del tracciato principale della Flaminia verso la pianura spoletina, da un violento terremoto, che distrusse molti dei suoi edifici, nonché dalla scomparsa in profondità delle falde idriche. Il fatto che questo centro non abbia avuto continuità di vita – salvo la chiesa medievale di S. Damiano con un piccolo convento annesso, costruito sopra un edificio romano – ne ha permesso la conservazione pressoché totale. Realizzata con un impianto urbanistico di forma esagonale, oltrepassato l’arco di San Damiano, accesso monumentale alla città, si possono ammirare i resti del Foro con la basilica, due templi gemelli forse dedicati ai Dioscuri, con le tabernae sulla fronte, le terme con pavimenti a mosaico, le cisterne, il teatro e l’anfiteatro, entrambi ben conservati. È interessante infine notare che Carsulae era un rinomato centro termale, nel quale le legioni potevano fermarsi a trascorrere una sorta di quarantena, prima di rientrare a Roma dopo le campagne condotte nel Nord Europa.
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LAZIO
VULCI (Viterbo) Info tel.0766 89298 www.vulci.it
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el cuore della Maremma tosco-laziale, a guardia di un ponte che sembra sospeso su di un orrido di pietre scure e circondato da uliveti argentati e da ondulati campi di grano, sorge il grigio Castello della Badia. Dal 1975, il fortilizio è la suggestiva sede del Museo Nazionale Archeologico di Vulci, uno dei molti «piccoli gioielli italiani»: non solo per le sue fattezze, e per quelle dell’antico Ponte
In alto il tumulo della Cuccumella, databile alla fine del VII sec. a.C. (ma oggi integralmente restaurato). Con i suoi 75 m di diametro, è il piú grande dell’Etruria meridionale. Nella pagina accanto la statua di sfinge trovata nell’omonima tomba della necropoli dell’Osteria.
La tomba François (che prende nome dal suo scopritore, l’archeologo fiorentino Alessandro François), databile al 340-330 a.C., apparteneva alla famiglia vulcente dei Saties. Le pareti erano affrescate con scene di lotta tra eroi etruschi (ne è un esempio quella riprodotta in alto) ed episodi e personaggi tratti dal ciclo troiano. A destra sezione orizzontale della tomba. L’impianto principale dell’ipogeo si articola in sette camere funerarie disposte intorno all’atrio e al tablino, sulle cui pareti era disposto il grande ciclo pittorico.
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della Badia – le cui origini risalgono all’epoca etrusca e che «come una bolla nera si alza nell’aria» (come scrisse David H. Lawrence in Etruscan Places, Luoghi Etruschi, cronaca di viaggi pubblicata postuma nel 1932) –, ma anche per l’eleganza dei reperti esposti, tangibili testimonianze del gusto e della raffinatezza dell’aristocrazia etrusca vulcente. Gli scavi che negli ultimi anni la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale (ora Soprintendenza Archeologia del Lazio e dell’Etruria meridionale) ha coordinato nella necropoli dell’Osteria, in prossimità dell’ingresso al Parco Naturalistico Archeologico, hanno portato alla luce importanti monumenti funerari della nobiltà etrusca. Si tratta, in particolare, della Tomba della Sfinge, che deve il nome a una raffinata scultura in nenfro rinvenuta durante lo scavo
del vestibolo; e della vicina Tomba delle Mani d’argento, il cui ricco corredo, se pure in parte depredato, ha restituito una coppia di mani in lamina d’argento con decorazioni in oro: è quanto resta di uno sphyrelaton, un particolare tipo di statua realizzata in materiali di diversa natura, alla quale era affidato il compito di compensare simbolicamente la perdita della corporeità del defunto, secondo un rituale proprio della città. Questo settore della necropoli sarà presto aperto al pubblico che già oggi, nel corso di visite guidate organizzate dal parco, può ammirare alcuni dei piú interessanti monumenti funerari della necropoli Orientale, situata sulla sponda sinistra del Fiora: il Tumulo della Cuccumella, la Tomba delle Iscrizioni e la Tomba François. La Cuccumella è il piú grande tumulo dell’Etruria meridionale: la maestosa costruzione risale al VII secolo a.C. e presenta due sepolcri principali, uno dei quali è preceduto da un ampio atrio munito di gradinate, dalle quali i familiari assistevano ai riti e ai giochi funebri organizzati in onore del defunto. Eppure, la parte piú suggestiva della visita alla Cuccumella è quella del cosiddetto «labirinto», una fitta rete di cunicoli scavati a fine Ottocento da quanti speravano di raggiungere introvabili tesori nascosti da secoli: ben presto l’immaginario collettivo ha trasformato i cunicoli in un misterioso percorso etrusco... La visita della necropoli Orientale prosegue con la Tomba delle Iscrizioni, che deve il nome al cospicuo apparato di iscrizioni incise sulle pareti dell’atrio, e termina con la celebre Tomba François. Quest’ultima, seppure priva, ormai, del raffinato apparato decorativo pittorico che
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LAZIO Castello e Ponte della Badia
Doganella
S. Paolo la cosiddetta chiesa di S. Paolo, eretta probabilmente tra l’XI e il XII sec., forse su una struttura di età tardo-romana.
Acquedotto lungo la strada bianca
I tesori di un parco Sfinge Scolpita nel nenfro, questa immagine di una sfinge ha dato nome a una ricca tomba etrusca scoperta nella necropoli dell’Osteria e databile al 560-550 a.C.
Casaletto Mengarelli (punto di ristoro) Ingresso al Parco e centro visite
Giocaparco
Fiora Una suggestiva veduta del corso del Fiora, che attraversa l’intera area del Parco di Vulci, tra pareti di roccia vulcanica.
Domus del Criptoportico Tempio Grande Cardine orientale Decumano massimo Mitreo
La città romana Disegno ricostruttivo dell’arco di Publius Sulpicius Mundus, innalzato lungo il decumano massimo, presso il Foro; era largo 7,40 m e alto circa 9.
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Sulle due pagine pianta a volo d’uccello del Parco di Vulci, con l’indicazione dei monumenti piú importanti.
Arco onorario
raffigura miti greci ed eroi della storia etrusca (gli affreschi fanno parte della Collezione Torlonia di Villa Albani, in Roma), mantiene intatto il suo fascino grazie alla sua complessa struttura architettonica, imponente fin
luogo: qui i resti di Porta Ovest, con il suo avancorpo triangolare che punta dritto verso il visitatore, sembrano voler ancora imporre un severo rispetto per l’antico centro e per i suoi abitanti, che furono principi e nobili, magistrati e sacerdoti, commercianti, navigatori e artisti. Ci si inoltra nella città antica camminando sul decumano massimo, costruito dopo la conquista da parte di Roma, avvenuta nel febbraio del 280 a.C. La città è in gran parte ancora da scoprire e lungo la strada basolata che incide i prati verdeggianti si susseguono edifici risalenti a epoche diverse: il Tempio Grande, imponente santuario etrusco, di cui resta un basamento in blocchi di tufo rosso, solo in parte ancora foderato da un rivestimento in grigio nenfro; due edifici di epoca imperiale affacciati su una vasta area che forse cela l’antico Foro romano; la Domus del criptoportico, i cui ambienti sotterranei sembrano ancora oggi animarsi con il vocio della frenetica vita dei servi addetti alle cucine – che qui scendevano a rifornirsi – e con i piú sommessi «intrighi di palazzo», che forse hanno avuto origine nel piccolo e curato vano che conclude la sequenza di ambienti di questo settore della casa. Oltre il mitreo, forse collegato direttamente alla vicina domus con atrio, la visita prosegue scendendo nella vallata lambita dal Fiora, dove sono visibili i resti di strutture murarie poste un tempo ad arginare le sponde del fiume e a difesa della città. I diversi itinerari che attraversano il pianoro urbano conducono al laghetto del Pelicone, un luogo incantevole, capace di tante prospettive: il piccolissimo lembo di una fresca spiaggetta dove riposare al termine della passeggiata archeologica; il fragore del letto del fiume attraversato a piedi partecipando Tumulo della Cuccumella all’avventuroso archeotrekking; la vertigine delle alte pareti a strapiombo osservate dal basso, pagaiando in kayak: colori, profumi, suoni e sensazioni diverse, in ogni stagione.
dall’ingresso: il dromos, scavato in uno spesso banco di travertino, è lungo 31 m e profondo ben 15. Il silenzioso abitato si lascia scoprire lentamente, poi entra nel cuore. La salita alla sommità del pianoro sul quale esso si estendeva, scopre mano a mano il panorama circostante e lascia intuire l’importanza del
Tomba François
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ANTICA CASTRO (Viterbo)
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Info tel. 0761 425400 www.simulabo.it
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riste destino quello della città oggi abbandonata di Castro, già splendore dei Farnese, che fu distrutta nel 1649. La sua storia, in verità, comincia molto prima e il suo isolato pianoro tufaceo, nonostante non siano ancora state trovate prove certe, è stato abitato almeno sin dall’epoca etrusca. A questo momento risalgono infatti le prime testimonianze materiali, recuperate nelle tombe che si dispongono principalmente a oriente della città, a partire almeno dal VII secolo a.C. Erroneamente identificata in passato con Statonia, Castro esprime comunque tutta l’antica importanza grazie ai ricchi corredi e alle elaborate architetture di alcune tombe, segni tangibili di una potente aristocrazia che controllava la direttrice di penetrazione interna che partendo da Vulci risaliva il corso del Fiora in direzione di Poggio Buco, Pitigliano e Sovana. Con Vulci condivide il periodo di massimo splendore tra il VII e il VI secolo a.C., la decadenza del V e la ripresa del IV, sino alla conquista di Roma agli inizi del III secolo a.C. Le prime ricerche furono effettuate da Ferrante Rittatore, a cui fecero seguito gli scavi di una missione belga che, tra il 1964 e il 1967, indagarono una porzione della necropoli. Altre ricerche interessarono l’area funeraria nel corso degli anni Settanta condotte direttamente dall’allora Soprintendenza per i
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In alto planimetria del sito di Castro: 1. Piazza Maggiore; 2. Hostaria; 3. Zecca; 4. Palazzo di Giacomo Garonio; 5. Palazzo del Podestà; 6. Cattedrale di S. Savino; 7. Piazza del Vescovado; 8. Porta Lamberta; 9. Porta Murata; 10. Chiesa di S. Maria; 11. Convento di S. Francesco; 12. Chiesa del SS. Crocefisso; 13. Tomba a Dado o «a Casa»; 14. Tomba della Biga; 15. Tomba del Principe Massimo; 16. Colombaio; 17. Resti del ponte medievale; 18. Chiesa di S. Maria delle Grazie; 19. Cava; 20. Iscrizioni rupestri etrusche; 21. Forte A; 22. Forte B.
21 Ischia di Castro Canino Montalto
Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale, portando al ritrovamento di numerose tombe che, seppur già depredate, confermarono una variegata presenza di strutture funerarie, a volte monumentali, segni tangibili della ricchezza raggiunta dall’oligarchia castrense. Tra queste si segnala la Tomba della Biga, nella quale è stato ritrovato il currus (un carro a due ruote, che veniva usato in guerra e nelle sfilate), che le ha dato nome. Dopo la conquista di Roma, Castro subisce un ridimensionamento e, probabilmente in età repubblicana, diventa un vicus, dipendente dal centro egemone di Maternum, situato nella zona dei monti di Canino, in località Centocamere, sino all’abbandono, in epoca flavia. Nel Medioevo, la piú antica testimonianza risale al 768-772, anni nei quali, nel Liber Pontificalis, viene nominato Lautfredus episcopus civitate Castro, certificando cosí l’esistenza di una comunità cristiana già importante e che, in precedenza, doveva aver rioccupato l’antica area urbana.
Successivamente, sul pianoro affacciato sull’Olpeta, si sviluppa un fiorente centro, dapprima feudo degli Aldobrandini e poi, dal 1298, sotto il Patrimonio di San Pietro. In questo periodo cominciano ad affacciarsi sulla città gli interessi di una famiglia locale, quella
dei Farnese, che condizionarono sino alla fine le sorti di Castro. Nel 1537, a circa 10 anni dal saccheggio effettuato da Galeazzo Farnese, papa Paolo III (Alessandro Farnese) nominò suo figlio Pier Luigi duca di Castro e Ronciglione. Da questo momento, la città fu oggetto di importanti lavori, molti dei quali furono progettati dall’architetto Antonio da Sangallo il Giovane (1484-1546), come la monumentale porta Lamberta, la piazza Maggiore, il palazzo Ducale-Osteria, la Zecca e il convento di S. Francesco. Ma la rivalità con i Barberini e il conseguente allontanamento dalla corte romana, oltre al grave indebitamento contratto dalla famiglia, determinarono la prima guerra di Castro (1641-1644), che venne bombardata e occupata dalle truppe di Urbano VIII. Restituita poi nuovamente ai Farnese, nel 1649, a seguito dell’uccisione del vescovo neoletto, monsignor Cristoforo Giarda, scoppiò la seconda e ultima guerra di Castro, che si concluse con l’impietosa e completa distruzione della città.
SELVA DEL LAMONE (Viterbo) Info tel. 0761 458861 www.selvalamone.it
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a Selva del Lamone si sviluppa nella media valle del Fiora, tra i Comuni di Ischia di Castro e Farnese, per circa 2500 ettari. Qui si presenta un paesaggio straordinario, dovuto a un’eruzione vulcanica che ha originato il plateau della Selva, costituito da una massa enorme di pietre laviche grigie che accumulandosi in maniera variegata hanno dato origine a piccole alture caratteristiche, note localmente con il nome di «murce». Queste ultime, a loro volta, si innalzano su avvallamenti bui, ricchi di anfratti, inghiottitoi e crateri che assumono a volte la conformazione di veri e propri anfiteatri di lava. Anche la vegetazione si è sviluppata in maniera consequenziale: le rocce accatastate permettono uno scarso accumulo di suolo fertile sulla superficie, dove spesso si forma un intrico di specie spinose, arbustive e lianose. Singolare è la descrizione lasciataci da Annibal Caro (1507-1566), il traduttore dell’Eneide di
A sinistra Castro. La tomba a Dado, detta anche «a Casa», per la proposta di ricostruzione che vede l’architettura tombale ispirarsi fortemente a quella domestica e nella quale erano presenti alcuni esempi di scultura funeraria di tipologia vulcente risalenti alla prima metà del VI sec. a.C. In basso colatoio in terracotta, da Sorgenti della Nova. Età del Bronzo Finale. Farnese, Museo Civico «F. Rittatore Vonwiller».
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Sulle due pagine un tratto del fosso della Nova, in prossimità dell’insediamento protostorico di Sorgenti della Nova. Nella pagina accanto il settore IX dell’abitato di Sorgenti della Nova. In primo piano, le canalette e i buchi di palo delle capanne 4 e 5.
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Virgilio, nel 1537: «Entrammo poi in una foresta tale, che ci smarrimmo; tempo fu ch’io credetti di non aver mai piú a capire in paese abitato, trovandone rinchiusi e aggirati per lochi dove l’astrolabio e ‘l quadrante vostro non avrebbono calcolato il sito de’ burroni e gli abissi de’ catrafossi in che ci eravamo ridotti». Luogo quindi scomodo e inospitale per antonomasia, la Selva del Lamone, sembrerebbe destinata a occupare una posizione marginale per ciò che concerne le scelte abitative. E invece le recenti ricerche archeologiche hanno dimostrato quanto il Lamone fosse intensamente frequentato, con un numero considerevole di villaggi e un brulicare di genti che qui vivevano, lavoravano, si spostavano e venivano seppellite. Le caratteristiche ambientali hanno comunque influenzato il sistema insediativo che si sviluppa principalmente sui margini dell’eruzione vulcanica recente, dove sono presenti i complessi abitativi, mentre le necropoli sono scavate nel piú morbido bancone tufaceo. Solo per la fase pre-protostorica sono stati rilevati dati tali che consentono di ipotizzare l’esistenza di villaggi distanziati tra loro di soli 500 m (circa) in linea d’aria e disposti a corona intorno alla Selva del Lamone, insieme ad alcune necropoli monumentali come le tombe a camera dell’età del Bronzo Medio di Prato di Frabulino e Roccoia o le tombe dolmeniche del Bronzo Finale di Crostoletto di Lamone. Il parco ospita al suo interno anche l’abitato protostorico di Sorgenti della Nova. Anche in età etrusca il medio corso del fiume
Olpeta è intensamente frequentato, riflesso di un sistema di insediamenti produttivi facenti verosimilmente capo al piccolo abitato fortificato di Rofalco, caposaldo militare a controllo della valle castrense, in cui si raccoglievano le riserve alimentari prodotte nel territorio. Posto su un’altura lungo il corso del fiume Olpeta, questo abitato fortificato fu attivo tra la metà del IV e i primi decenni del III secolo a.C. per il controllo militare del territorio dipendente politicamente da Vulci. Rofalco si presenta circondato da un’imponente cinta muraria semicircolare, dotata di torri quadrate, completamente realizzata in blocchi di pietra lavica del Lamone. La zona interna, a cui si accedeva per una doppia porta protetta da un imponente bastione, è organizzata secondo uno schema urbanistico regolare, con una strada principale che lo attraversa in senso longitudinale, e assi stradali minori perpendicolari a essa. I quartieri erano occupati da edifici di carattere pubblico, probabilmente magazzini per lo stoccaggio di derrate alimentari, e da abitazioni private. Durante le ricerche, sono state recuperate ceramiche da mensa e da cucina, grandi dolii per la conservazione delle risorse alimentari, pesi da telaio e rocchetti relativi ad attività tessili, macinelli e macine per la lavorazione di granaglie. Tracce di incendio, punte di lance e numerose ghiande-missili usate per le baliste, testimoniano la fine violenta di questo presidio militare etrusco, da collocare intorno al 280 a.C., in seguito alla conquista da parte delle truppe di Roma del territorio vulcente, a opera del console Tiberio Coruncanio.
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GROTTE DI CASTRO (Viterbo) Info tel. 0763 796983 www.simulabo.it
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n uno scenario ricco di paesaggi variegati, creati dall’azione del sistema vulcanico vulsino – dalle spiagge del lago di Bolsena alle colline coperte di aceri, querce e castagni, fino alle rupi tufacee che sovrastano l’ampia valle –, il borgo di Grotte di Castro (in provincia di Viterbo) si estende su un pianoro allungato dalle ripide pareti, che per secoli lo hanno difeso. Le sue origini risalgono con certezza agli inizi dell’epoca etrusca quando, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. fu fondato, sull’altura a sud-est del borgo medievale denominata «Civita», un abitato di cui non si conosce il nome antico, ma che è stato il centro piú rilevante nel territorio compreso tra il lago di Bolsena e la media valle del Fiora tra il VII e la metà del VI secolo a.C. Attraverso il controllo dell’antico percorso che collegava la costa tirrenica – dominata dalla metropoli di Vulci – al fiume Tevere e all’Etruria mineraria, la classe aristocratica poté acquisire oggetti preziosi ed esotici, di cui manifestava orgogliosamente il possesso, offrendoli ai propri defunti nelle monumentali tombe rupestri. Tenui sono le tracce della città etrusca, mentre numerose sono le monumentali strutture funerarie intagliate nel tufo, che hanno restituito ricchi corredi, ora esposti nel Museo Civita. Tra queste, la necropoli etrusca di Pianezze, situata circa 3 km a sud di Grotte di Castro, lungo la Strada Provinciale Gradolana, è uno dei principali nuclei cimiteriali riferibile all’abitato che sorgeva presso il colle della Civita. In uso tra il VII e il VI secolo a.C., il sepolcreto è caratterizzato da tombe a camera scavate nel versante occidentale del costone tufaceo della collina e disposte su almeno quattro ordini. La necropoli di Centocamere (Casale Centocamere) deve la sua suggestiva denominazione alla presenza di numerose
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tombe collegate tra di loro da un intricato sistema di fori e di cunicoli aperti nelle pareti delle camere funerarie dagli scavatori abusivi, per passare piú agevolmente dall’una all’altra. L’intera collina di Centocamere è interessata dalla presenza di strutture funerarie scavate nella roccia tufacea, che appaiono disposte almeno su tre ordini, per un totale di oltre cinquanta tombe con deposizioni plurime. In età medievale alcune tombe etrusche furono riutilizzate per ricavarne ambienti adibiti all’allevamento di volatili: i cosiddetti «colombai». Nella necropoli di Vigna la Piazza, invece, è stato riconosciuto un rituale funerario particolare: le tombe a circolo. A oggi sono state messe in luce una cinquantina di sepolture, la cui struttura piú antica – assai semplice e databile nel corso della seconda metà dell’VIII secolo a.C. – è costituita da una fossa scavata nel terreno e contornata da un cumulo di scaglie di pietre che, superiormente, formava una copertura a volta. Il defunto, che indossava gli oggetti d’ornamento personale, con ricche parure di fibule e collane con pendenti d’ambra e pasta vitrea per le donne, era deposto in sarcofagi lignei, dei quali si sono conservati resti piú o meno consistenti. Il corredo era prevalentemente collocato all’altezza della testa e presso i piedi; nelle sepolture maschili, le armi si trovavano lungo i fianchi del defunto. Nel volgere di poche generazioni, alla metà del VII secolo a.C., l’architettura funeraria e l’organizzazione della struttura sociale di Civita di Grotte di Castro mutano profondamente: le sepolture, sempre a inumazione, avvengono ora in tombe scavate nel tufo e articolate in piú camere funerarie per accogliere i diversi componenti del nucleo familiare, come attestano le centinaia di tombe realizzate nei costoni tufacei che circondano la città antica. Un gruppo di tombe rupestri facenti parte della necropoli etrusca scoperta in località Pianezze, uno dei nuclei sepolcrali piú importanti tra quelli riferibili all’abitato che sorgeva presso il colle della Civita.
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CERVETERI (Roma) e TARQUINIA (Viterbo) Info www.etruriameridionale.beniculturali.it
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a necropoli etrusca della Banditaccia di Cerveteri, utilizzata sin dal VII secolo a.C., si estende per quasi 10 ettari ed è nota per gli imponenti tumuli circolari, per le tombe «a dado» e per i grandi ipogei gentilizi, tra i quali figurano capolavori dell’architettura funeraria etrusca, come la Tomba dei Rilievi o la Tomba delle Cinque Sedie. È recente la realizzazione di percorsi didattici multimediali che interessano alcune tombe e alcune vetrine del Museo Nazionale Archeologico di Cerveteri. A Tarquinia la necropoli dei Monterozzi, anch’essa utilizzata a partire dal VII secolo a.C., è una delle piú ricche testimonianze della pittura funeraria etrusca. Le tombe dipinte sono databili in un ampio periodo cronologico compreso tra il VI e il II-I secolo a.C.: le scene di banchetto, di vita quotidiana o le rappresentazioni dell’oltretomba offrono importanti riferimenti per indagare la cultura etrusca. Nel centro storico di Tarquinia, lo storico Palazzo Vitelleschi ospita il Museo Archeologico Nazionale Tarquiniense, dove è possibile ammirare una ricca collezione di sarcofagi, vasi e altri reperti, alcuni provenienti dagli scavi della Civita, tra i quali anche i Cavalli Alati, capolavoro della coroplastica etrusca.
In alto Cerveteri. L’interno della Tomba dei Rilievi, spettacolare esempio di monumento funebre, decorato con stucchi policromi che riproducono gli arredi e gli attrezzi utilizzati nella vita quotidiana. Seconda metà del IV sec. a.C. A destra tumuli monumentali nella necropoli della Banditaccia di Cerveteri.
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VEIO (Roma)
Info tel. 06 9042774 www.parcodiveio.it
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rima città etrusca a cadere in mano di Roma, Veii-Veio è, per i visitatori, l’area archeologica nella quale si possono ammirare, tra gli altri, i resti di un grande santuario scoperto in località Portonaccio. Dedicato a Menrva (Minerva) il tempio fu scoperto nel 1916 e ha restituito alcuni dei migliori esempi della coroplastica etrusca, che ne decoravano il tetto: fra tutti, spicca l’Apollo (ora nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma), una delle massime espressioni dell’arte del popolo preromano. In località Campetti si possono poi visitare le strutture superstiti di una grande villa romana (I secolo a.C.-I secolo d.C.), che si caratterizza per un ninfeo decorato con lastre marmoree e per avere restituito mosaici in bianco e nero di fattura pregevole.
Qui sopra un tratto del fosso Valchetta, uno dei corsi d’acqua che attraversano il territorio del Parco di Veio.
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VILLA ADRIANA (Roma)
Info tel. 0774 530203; www.villaadriana.beniculturali.it
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ivenuto imperatore da appena un anno, Publio Elio Adriano decise, nel 118 d.C., di edificare una grandiosa residenza ad appena 28 km da Roma, nei pressi di Tivoli. La nuova villa andò a occupare un’area di almeno 120 ettari, solo un terzo dei quali è oggi visitabile. Villa Adriana è considerata una sorta di summa dell’architettura romana: in essa si susseguono infatti realizzazioni di altissimo livello qualitativo, che testimoniano della versatilità e della raffinatezza tecnica e stilistica alle quali erano pervenuti sia gli architetti che le maestranze dell’epoca. L’itinerario di visita ideale ha un andamento grosso modo anulare e può iniziare attraversando il quadriportico del Pecile, al di là del quale sorge il Ninfeo. È dunque la volta delle Piccole e delle Grandi Terme, oltrepassate le quali si arriva alla valletta artificiale del Canopo, il canale sulle cui sponde si stagliano statue e decorazioni architettoniche e alla cui estremità meridionale si trova il Serapeo. Quest’ultima struttura, oltre a coronare l’assetto scenografico dell’intera
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TUSCOLO (Roma)
Info tel. 06 9470820; www.tuscoloparcoarcheologicoculturale.it Nella pagina accanto un settore delle gradinate del teatro romano di Tuscolo. In basso una delle statue che ornavano l’area circostante il Canopo, a Villa Adriana, la lussuosa residenza voluta dall’omonimo imperatore nei pressi di Tivoli.
U
no dei luoghi piú suggestivi dei Castelli Romani, meta nei secoli passati di artisti e scrittori del Grand Tour (il luogo primitivo dell’anima di Fosco Maraini), è certamente l’area archeologica della città di Tusculum, una delle piú importanti della Lega Latina. Posta sulla sommità di un’altura tra le antiche via Latina e via Labicana, sul ciglio della grande caldera del vulcano laziale, dalla sua posizione si domina con lo sguardo il Monte Albano, luogo sacro dei popoli Latini, e la Valle Latina che degrada dolcemente verso la costa tirrenica. Occupata già nell’età del Bronzo, la città di Tusculum venne fondata, secondo
area, veniva verosimilmente utilizzata anche per banchetti all’aperto. Tornando sui propri passi e dopo aver riattraversato il Ninfeo, si raggiunge la zona del Palazzo Imperiale, che si articola su oltre 5 ettari di terreno e comprende sia le strutture residenziali che quelle di rappresentanza. Gli elementi piú interessanti sono la Piazza d’Oro, il cortile delle Biblioteche e la terrazza di Tempe. Quest’ultima è uno dei luoghi piú belli di tutta la villa: si tratta infatti di un ampio belvedere, immerso nel verde, dal quale si domina la vallata che Adriano avrebbe ribattezzato col nome dell’omonima valle della Tessaglia. Al di là dell’area del palazzo, si raggiungono infine il tempietto di Venere e il teatro greco. Nel 1999 Villa Adriana è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.
alcune fonti antiche, da Telegono, figlio di Ulisse e della maga Circe, o, secondo un’altra tradizione, da Silvio, discendente di Enea e re di Albalonga. Divenuta alleata di Roma dopo la battaglia del Lago Regillo, che vide la sconfitta della Lega Latina (496 a.C.), l’area di Tuscolo fu scelta come residenza estiva da imperatori, senatori e aristocratici, come Cicerone, Lucullo, Tiberio. In epoca medievale fu di proprietà dei conti di Tuscolo, fino alla sua distruzione da parte del Comune di Roma nel 1191. Gli scavi, condotti a partire dal tempo di Luciano Bonaparte fino alle recenti campagne della Scuola Spagnola, hanno permesso di mettere in luce i resti della città antica e medievale e i suoi monumenti piú importanti, tra cui il teatro e l’anfiteatro, dove ancora oggi si svolgono suggestivi spettacoli nelle sere d’estate.
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LAZIO
SPERLONGA (Latina)
Info tel. 0771 548028; www.archeolz.arti.beniculturali.it
U
na delle piú vive e preziose testimonianze per la conoscenza del mito di Ulisse, una vera e propria Odissea scolpita nel marmo – probabilmente opera dei tre artisti rodii Atenodoro, Agesandro, e Polidoro cui si deve anche il celebre Laocoonte del Vaticano –, è costituito dai gruppi scultorei che raffigurano l’assalto di Scilla alla nave di Ulisse, l’accecamento del ciclope Polifemo, il ratto del Palladio e Ulisse che solleva il cadavere di Achille, ora custoditi nel Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga e un tempo facenti parte dell’apparato ornamentale della villa dell’imperatore Tiberio. Il complesso residenziale si inserisce in uno dei punti piú suggestivi della costa tirrenica, dove le ripide scogliere delle ultime propaggini dei monti
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Aurunci si fondono con un lieve declivio verso il mare alla spiaggia di Sperlonga. L’unicità di questo paesaggio marino è data dall’immenso antro naturale, frequentato fin dal Paleolitico e trasformato in epoca romana in una lussuosa sala per banchetti estiva, nella quale si trovavano gli splendidi gruppi scultorei ispirati ai poemi omerici. Proprio nella grande caverna l’imperatore Tiberio rischiò di morire nel 26 d.C., a causa di un distacco delle rocce, che travolsero alcuni dei suoi ospiti. Lo scenografico complesso della villa imperiale comprendeva anche piscine utilizzate per l’allevamento del pesce, un vasto cortile rettangolare con ambienti di servizio, un edificio termale, un ninfeo, un portico e altri ambienti, solo in parte scavati. Oltre alla residenza imperiale, il paesaggio costiero di Sperlonga è caratterizzato dalla presenza di numerose torri di avvistamento cinquecentesche, realizzate per difendersi dagli attacchi saraceni dal mare.
In alto resti delle strutture riferibili alla lussuosa residenza extraurbana di Tiberio nei pressi dell’odierna Sperlonga. Sullo sfondo, si riconosce l’imbocco dell’antro naturale che l’imperatore trasformò in una lussuosa sala per banchetti e che fu ornata con splendidi gruppi scultorei raffiguranti episodi dell’Odissea.
OSTIA ANTICA (Roma)
Info tel. 06 56350215; www.ostiaantica.beniculturali.it
F
ondata da Anco Marzio, quarto re di Roma, la città posta sull’imboccatura (ostium) del Tevere, Ostia, svolse il ruolo importantissimo di porto dell’Urbe. Dapprima probabilmente per lo sfruttamento delle saline alla foce del grande fiume e poi sotto il profilo strategicomilitare ed economico. Dopo il II secolo a.C., (quando Roma aveva ormai il predominio su tutto il Mediterraneo), cominciò a venir meno la funzione militare della città, destinata a diventare in poco tempo il principale emporio commerciale della capitale.
ROMA
Info www.archeoroma.beniculturali.it
L
a vastità e l’importanza dei monumenti gestiti dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma è tale che in questa sede possiamo solamente segnalare l’imprescindibile visita al circuito romano (Colosseo, Palatino, Foro Romano, Domus Aurea, ecc.). La tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico di Roma si estende anche al suo suburbio, con il Parco Regionale dell’Appia Antica, il Parco archeologico delle Tombe di Via Latina, e altre aree archeologiche oramai interamente inserite nel tessuto urbano moderno. Si rimanda al sito web della soprintendenza per ottenere tutte le informazioni utili.
A sinistra i resti delle terme di Nettuno, a Ostia. L’impianto, decorato da splendidi mosaici, fu realizzato nell’ambito degli interventi di trasformazione e arricchimento dell’assetto urbanistico della città avviati dalla fine del I sec. d.C.
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ABRUZZO
PARCO DELLA MAJELLA Info tel. 0864 41304; www.parcomajella.it
I
n un territorio ricco di storia come quello del Parco della Majella si incrociano destini di soldati e mercanti, eremiti e papi, pastori e briganti… Aggrappati al versante occidentale del Monte Morrone, radicati alla roccia come le radici piú tenaci, il santuario di Ercole Curino e il soprastante eremo di S. Onofrio rappresentano due esiti diversi della stessa forza: la devozione. La vastità della valle che si apre ai piedi del santuario italico suggerisce che lí, in quelle terrazze ancorate al pendio verdeggiante, lí dove si raccordavano i tratturi percorsi dai pastori e le strade segnate dai mercanti, proprio lí genti diverse si incontravano per onorare Ercole protettore di sorgenti e delle acque salutari, che sgorgavano infatti numerose ai piedi del Monte Morrone. La presenza dell’acqua lungo la viabilità in una terra bella ma severa, dove gli uomini sono abituati a spostarsi, viaggiare e migrare nel corso delle stagioni, motiva la frequenza di numerosi luoghi di culto in Abruzzo; ed ecco l’essenza del santuario di Ercole Curino, il cui nome, derivato da co-viria (luogo di assemblea), ribadisce la centralità e il ruolo politico svolto dal centro religioso sin dal IV secolo a.C. Qui il percorso di visita riecheggia l’antico rituale di offerta e purificazione. La salita al sacello avviene superando la prima terrazza, sostenuta da un imponente muro rivestito in opera incerta e reticolata, testimonianza della progressiva romanizzazione alla quale anche i Peligni si piegarono con maggiore intensità a partire dal II secolo a.C. Due rampe laterali portano alla seconda terrazza, dove sono ancora visibili tracce dei piú antichi muri in opera poligonale e dove sorgeva un tempo un portico colonnato che veniva attraversato per raggiungere l’ultima parte della salita al tempio, collocato sulla terrazza superiore. Una scalinata monumentale
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isolava gli spazi piú sacri del santuario: alla sua base un donario in pietra raccoglieva le offerte a Ercole; mentre in cima, una fontana raccoglieva le acque di una sorgente e le riversava per i riti di purificazione. Quello che oggi appare il sacello doveva essere in realtà l’anticamera della cella del tempio: forse utilizzato come thesauros, l’ambiente presenta un raffinato pavimento a mosaico e pareti decorate con riquadri che richiamano il primo stile pompeiano. L’aspetto del sacello dunque rimanda a un rifacimento che avvenne presumibilmente nel corso del I secolo a.C. All’interno del piccolo ambiente, gli archeologi che negli anni Cinquanta scavarono il sito rinvennero pochi ex voto, alcuni dei quali sono oggi esposti nel Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo di Chieti: il piccolo bronzo raffigurante Ercole in riposo, dal volto pensieroso, occhi profondi e bocca carnosa e semiaperta, è presumibilmente una «copia d’autore» di un bronzo di Lisippo (il grande scultore greco vissuto nel III secolo a.C.), e venne dedicato al santuario da Peticius Marsus, esponente di un’importante famiglia che in epoca augustea era dedita al commercio, e soprattutto era devota al potente dio, Hercules Curinus. Diversa, profondamente diversa, è l’espressione di devozione che portò Pietro da Morrone, poi eletto pontefice con il nome di Celestino V, a vivere in un eremo arroccato sulla parete della montagna, sopra il santuario di Ercole Curino. A 620 m slm, l’eremo di S. Onofrio al Morrone fu probabilmente il luogo dove fra’ Pietro si raccolse nel giugno del 1293 e in
NelIa pagina accanto i resti del santuario di Ercole Curino scoperti sul versante occidentale del Monte Morrone e oggi compresi nel territorio del Parco della Majella. In basso statuetta in bronzo raffigurante Ercole in riposo, rinvenuta nel thesauros del santuario di Ercole Curino. Chieti, Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo.
cui, nel luglio dell’anno successivo, ricevette la notizia della sua elezione al soglio pontificio. Oggi un ampio e comodo terrazzo consente l’accesso alla chiesa, affrescata nel Quattrocento, collegata a un oratorio e a due piccoli ambienti nei quali vengono identificate le celle dove vissero la loro esperienza eremitica Pietro da Morrone e Roberto da Salle. Nell’impronta sul fondo della Grotta di Pietro, scavata sotto la chiesa, la devozione popolare riconosce il povero giaciglio del futuro Celestino V. Da non perdere, infine, è la Tavola dei Briganti, una serie di incisioni scalfite sulle
rocce calcaree della Majella, da briganti e pastori che hanno faticosamente e pericolosamente vissuto questi luoghi, soprattutto nel periodo dell’unificazione d’Italia. Tra il 1861 e il 1867, la Majella divenne il rifugio di bande che si rivoltavano alla miseria e alle prospettive di unificazione, o, forse piú crudemente, di bande armate prive di motivazioni sociali o politiche. «Eserciti» comunque pericolosi, che furono in grado di tenere in scacco la popolazione locale, tanto da imporre la costruzione di un avamposto militare, il Blockhaus, oggi punto di partenza per questo itinerario.
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ABRUZZO
LA CIVITELLA DI CHIETI
Info tel. 0871 63137 www.archeoabruzzo.beniculturali.it
N
ella parte piú alta dell’odierna città di Chieti, in antico occupata dall’acropoli di Teate Marrucinorum, sorge il complesso archeologico della Civitella, formato dall’anfiteatro romano e dal Museo della Città. Realizzato nel 2000 nell’area che sino a vent’anni fa ospitava lo stadio comunale, il parco e il moderno anfiteatro (che ricalca l’antico), costituiscono un complesso unico, in cui si uniscono storia e innovazione, in un progetto architettonico moderno. Il complesso museale comprende un auditorium, laboratori didattici di archeologia, aree ludiche, aree multimediali e uno spazio espositivo per mostre temporanee. Postazioni multimediali, pannelli didattici, ricostruzioni e allestimenti di moderna concezione raccontano la storia dell’antica Teate, centro dei Marrucini divenuto poi municipio romano, ma anche del territorio circostante. Da segnalare la ricostruzione dei frontoni di tre edifici templari del II secolo a.C. che sorgevano sull’acropoli della città, distrutti già in antico; il materiale decorativo, formato da lastre e statue in terracotta policroma, venne rinvenuto nel 1967 all’interno di fosse votive (favisse), e costituisce un mirabile esempio di arte coroplastica di epoca repubblicana.
In basso l’anfiteatro realizzato all’interno del Parco Archeologico della Civitella di Chieti: l’edificio ripropone nelle forme l’originaria struttura per spettacoli di epoca romana, in parte ancora visibile.
ALBA FUCENS (L’Aquila) Info tel. 0862 9166 www.parcosirentevelino.it
S
u un ampio e fertile altopiano nel cuore dell’Abruzzo, incassato tra le vette piú alte dell’Appennino Centrale (Velino, Gran Sasso e Majella), in posizione strategica per il controllo del territorio e della viabilità, sorse l’antica città di Alba Fucens, posta in un’ampia valle, il Piano di Civita, circondata da tre colli che
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costituiscono una sorta di barriera naturale: in quello piú alto si trovano le rovine del borgo medievale di Albe e del castello Orsini; a sud, il colle di S. Pietro, in antico occupato dal tempio di Apollo; a Est, il Pettorino, sul quale sorge il teatro. Dalla sua collina si possono ammirare i Piani Palentini, il fiume Imele-Salto, l’imbocco della Valle Roveto, il passo di Fonte Capo La Maina che conduce nella piana delle Rocche e il passo di Forca Caruso, mentre il versante Sud è rivolto verso la piana del Fucino, un tempo occupato dall’omonimo lago, prima del
L’anfiteatro di Alba Fucens, costruito alle pendici della collina di San Pietro.
suo prosciugamento a opera dei Torlonia. Abitata dagli Equi, la città fu conquistata dai Romani intorno al 303 a.C. e trasformata in una delle piú importanti colonie latine, avamposto per la conquista dell’Italia centrale e meridionale. Circondata da un’imponente cinta muraria in opera poligonale, l’area archeologica comprende tra i monumenti piú importanti il Foro, il mercato, e l’anfiteatro; sulla collina di San Pietro, sulle strutture del tempio di Apollo sorge l’omonima chiesa, uno dei piú begli esempi di romanico abruzzese.
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ABRUZZO
LA NECROPOLI DI FOSSA (L’Aquila) Info tel. 0862 751120; www.comunedifossa.it
S
in dal IX secolo a.C., un’area situata lungo la riva settentrionale del fiume Aterno fu sfruttata come necropoli: un sepolcreto di cui sono state riportate alla luce circa 500 tombe.
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In basso alcune tombe della necropoli di Fossa: si riconoscono resti dei circoli di pietra e, sulla destra, un allineamento di menhir. Il sepolcreto fu in uso dal IX al I sec. a.C.
I tumuli piú monumentali sono delimitati da circoli di pietre e risultano essere i piú antichi (IX-VIII secolo a.C.); fra questi, quelli contenenti le deposizioni maschili hanno restituito rasoi e armi e sono completati all’esterno da allineamenti regolari di piccoli menhir. In età arcaica (VI secolo a.C.) le sepolture sono semplici fosse scavate nel terreno. Tra il II e il I secolo a.C. si torna a sepolture piú complesse, con l’adozione delle tombe a camera.
In alto veduta panoramica del Parco Archeologico di Iuvanum, nel quale sono compresi i resti del municipio fondato da Roma all’indomani della guerra sociale, sul finire del I sec. a.C. A destra un tratto del basolato della via Orientale, l’asse principale dell’antica città.
IUVANUM (Chieti) Info tel. 0872960109 www.juvanum.it
I
l municipium romano di Iuvanum fu fondato al termine della guerra sociale (dopo l’87 a.C.) sull’altopiano dove già i Carricini, antico popolo sannita, avevano edificato un proprio santuario. La città ebbe un fiorente sviluppo fino ai primi secoli dell’impero: sono visibili i resti del Foro, con la vicina basilica e tabernae; i templi; le domus e il teatro. Seguí poi un lento declino, fino al violento terremoto del 346 d.C. Dopo secoli d’abbandono, nel XII secolo, i monaci cistercensi edificarono, sul santuario dell’acropoli, la chiesa e il convento di S. Maria di Palazzo. Una struttura moderna costruita in prossimità dell’Acropoli accoglie dal 2006 il Museo Archeologico e il Museo sulla Storia e Trasformazione del Territorio.
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Velletri
Ostia
Castel di Sangro
Palestrina Anagni
Roma
Isernia
Campobasso
Cassino
Latina Anzio
Pietrabbondante
Vincenzo Frosinone San al Volturno
Aprilia
Trivento
Terracina Sabaudia
Riccia
Venafro
Priverno
Sepino
Formia Gaeta
Caserta Castel Volturno
Aversa
Campi Flegrei Ischia
Benevento Aeclanum
Napoli
Avellino Conza
Circuito vesuviano Sorrento
Mar Tirreno
Ariano Irpino
Salerno Picentia Paestum Agropoli Castellabate
PARCHI ARCHEOLOGICI
SUD
Una grande cittĂ greca in terra italica con tre templi maestosi e le mura urbane ancora perfettamente conservate, un magnifico complesso monastico voluto dallo stesso Carlo Magno, chiese rupestri che racchiudono pitture sacre dai colori vivaci... Sono solo alcune delle numerose tappe del percorso attraverso i Parchi Archeologici del nostro Meridione
Trapani
Palermo Alcamo
Bagheria
Vieste Apricena San Severo
Manfredonia
Siponto
Foggia
Canne della Battaglia
Troia Ascoli Satriano
Barletta
Andria Melfi
Mare Adriatico
Molfetta
Lavello
Bari
Bitonto Acquaviva delle Fonti
Rionero in Volture Gravina in Puglia
Muro Lucano
Potenza
Altamura
Laterza
Auletta
Fasano
Putignano
Matera
Graviano
Ginosa Sala Consilina
Egnazia
Ostuni Massafra
Mesagne
Taranto
Bernalda
Stigliano
Velia
Copertino
Lauria
Gallipoli
Maratea
Trebisacce
Otranto
Casarano Ugento
Castrovillari
Scalea
Martano
Nardò
Policoro Sapri
Lecce
Manduria
Metaponto
Moliterno
Brindisi
Gagliano del Capo
Cassano allo Ionio
Belvedere Marittimo
Sibari Bisignano
Cetraro
Paola
Acri
Cosenza
Cirò Marina
San Giovanni in Fiore
Soveria Mannelli Lamezia Terme
Catanzaro Sibari
Vibo Valentia
Mar Ionio
Rossano Stazione
Crotone Cutro
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Capo Colonna
Isola di Capo Rizzuto
NO
NE
O
E
SO
SE
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Soverato
Rosarno Gioia Tauro Palmi
Messina
Reggio Calabria
Polistena
Locri Epizefiri Bovalino
Melito di Porto Salvo
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MOLISE
SAN VINCENZO AL VOLTURNO (Isernia)
Info www.sanvincenzoalvolturno.it
I
l paesaggio è quello boscoso del Molise piú interno, dove stradine di campagna portano a scoprire, tra rilievi verdeggianti, le cristalline sorgenti del Volturno e, poco piú in là, la solenne facciata dell’abbazia di S.Vincenzo Nuovo. Consacrata da Pasquale II nel 1115, poi minacciata dai Normanni, cadde progressivamente in abbandono; nel dopoguerra, essendo stata pesantemente danneggiata dai bombardamenti, venne finalmente ricostruita. Gli scavi nel sito, intrapresi già negli anni Ottanta, hanno riportato alla luce numerose strutture del complesso monastico che, secondo la tradizione riportata da Giovanni nel suo Chronicon, venne fondato da tre nobili beneventani di origine longobarda desiderosi di redenzione: Paldo, Taso e Tato. In una terra già
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Qui sopra ricostruzione grafica del complesso monastico alla metà del IX sec. (disegno S. Carracillo).
occupata dai Sanniti, e sulle rovine di un villa tardo-romana sulle quali già nel VI secolo si era inserita una piccola chiesa con annesso cimitero, i tre uomini fondarono un cenobio che ben presto, trovandosi in una zona di confine tra le terre controllate dai Franchi e quelle longobarde, ricadde sotto la munifica
A sinistra la basilica di S. Vincenzo Nuovo. Inizi del XII sec.
Qui sopra planimetria dell’area archeologica di San Vincenzo al Volturno.
protezione carolingia. Carlo Magno nel 787 accordò tali privilegi al monastero che questo divenne, in breve tempo, una vera e propria città monastica, capace di ospitare contemporaneamente piú di 300 monaci. Con il terremoto dell’848 si apre la serie di eventi tragici che portarono alla progressiva
Qui sopra ricostruzione grafica del complesso monastico alla metà dell’XI sec. (disegno S. Carracillo).
crisi del centro monastico. Nell’860 la minaccia dell’emiro di Bari, Sawdan, fu scampata solamente grazie al pagamento di un tributo di ben 3000 monete d’oro. Nell’881, i Saraceni a servizio del duca-vescovo di Napoli, Atanasio II, attaccarono il monastero, uccisero numerosi monaci, incendiarono e distrussero gli edifici: i superstiti trovarono rifugio a Capua e vi restarono per oltre trent’anni. Una nuova vitale stagione si ebbe nel X secolo, e fu resa possibile grazie al sostegno economico e politico degli imperatori del Sacro Romano Impero germanico, Ottone II e Ottone III di Sassonia. In questo periodo la chiesa maggiore venne ampiamente restaurata e al suo esterno fu costruito il paradisus, l’ampio atrio porticato che finí per ospitare anche alcune sepolture di monaci. Di queste, alcune si presentano dipinte all’interno con semplici croci, in una sola invece un cespuglio fiorisce a immagine dei Campi Elisi, a simboleggiare l’agognata resurrezione. Tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, sotto la pressione dei Normanni, la comunità monastica si sposta definitivamente sulla riva destra del fiume, ritenuta piú sicura. Dagli edifici piú antichi furono in parte recuperati materiali edilizi, utilizzati per costruire il complesso di S. Vincenzo Nuovo, che assunse le fattezze di un piccolo centro fortificato, racchiuso da un poderoso e rassicurante muro di cinta.
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MOLISE
SEPINO (Campobasso)
Info tel. 0874 790207 www.archeologicamolise.beniculturali.it
A
ll’incrocio di due antichi tratturi (i percorsi battuti dai pastori in occasione della transumanza), quello Pescasseroli-Candela e quello trasversale che scende dal Matese e prosegue verso le colline della piana del Tammaro, si sviluppa, intorno al II secolo a.C., la città romana di Sepinum, preceduta da un abitato fortificato di epoca sannitica che sorge sulla montagna retrostante, detta di «Terravecchia», espugnato dai Romani nel 293
a.C., durante la terza guerra sannitica. Circondata da una cinta muraria di forma quadrangolare, con quattro porte di ingresso monumentali ad arco e una serie di torri, la città conosce il suo massimo splendore in epoca augustea, quando vengono costruiti molti dei suoi monumenti; tra questi il Foro, la basilica, il mercato (macellum), le terme, mentre della metà del I secolo d.C. è il teatro, del quale sono ancora visibili i primi due settori delle gradinate e l’orchestra. Dopo aver subito alcuni terremoti e le devastazioni della guerra greco-gotica, nel 667
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Qui sopra veduta dei resti dell’antica città romana di Sepinum (II sec.d.C.) e, in alto, la Porta Boiano, uno dei quattro ingressi monumentali che si aprono lungo la cinta muraria dell’abitato.
d.C. i duchi longobardi di Benevento cedono tutta la piana in cui sorge la città a una colonia di Bulgari, mentre a monaci benedettini del monastero di S. Sofia di Benevento si deve la ripresa dell’agricoltura. A seguito delle incursioni dei Saraceni nel IX secolo, la popolazione si sposta sulle cime che circondano la piana, dando cosí origine al Castellum Sepini, l’attuale Sepino. In epoca normanna (prima metà dell’XI secolo) il territorio di Sepino, insieme a quello di Campobasso, diviene una delle baronie della Contea di Molise.
PIETRABBONDANTE (Isernia) Info tel. 0865 76129; www.archeologicamolise.beniculturali.it
L
’area archeologica si trova 1 km a sud del paese attuale, in località Calcatello. È posta sul versante orientale del monte Caraceno, a quasi 1000 m slm, in un luogo di grande suggestione paesaggistica. Vi si conservano i resti di un importante santuario che estendeva la sua influenza su tutti i Pentri, una delle «tribú» da cui erano composti i Sanniti. Il luogo di culto testimonia una sistemazione monumentale nel III secolo a.C., con la costruzione del cosiddetto tempio ionico e una seconda sistemazione all’inizio del secolo successivo, in seguito alla distruzione di Annibale del 217 a.C., con la costruzione del tempio A. Solo in un periodo compreso tra la
In alto veduta dei resti del teatro romano di Pietrabbondante. In basso ricostruzione grafica ipotetica del santuario sannita nel I sec. a.C.
fine del II e gli inizi del I secolo a.C. viene realizzato il complesso teatro-tempio (B), che segue uno schema tipico dell’età ellenistica mediato dall’ambiente campano e latino. Scavi recenti hanno portato alla luce i resti della domus publica, forse sede temporanea del meddís túvtíks, il sommo magistrato dello Stato sannitico.
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Capo di Posillipo
Ercolan
Torr del Gr
Marechiaro la Gaiola
CAMPANIA
Lacco Ameno Chiaia Forio Martofa
Casamicciola Terme
Isola d’Ischia
Pomicione
Barano d’Ischia
CAMPI FLEGREI
Info www.incampania.com
L
a regione vulcanica che si estende a ovest di Napoli fino a Cuma e Capo Miseno, comprendendo anche le isole di Ischia, Procida e Vivara, è oggi compresa nel Parco Regionale dei Campi Flegrei e rappresenta un contesto unico per le sue bellezze paesaggistiche e le presenze storico-archeologiche. Caratterizzata da un unico sistema vulcanico ancora attivo, l’Archiflegreo, l’area denota, già nel nome, l’origine greca (flegraios= ardente) delle piú antiche attestazioni archeologiche; proprio qui, nell’VIII secolo a.C., coloni greci provenienti dall’Eubea fondarono a Ischia (Pithekoussai) e Cuma i primi insediamenti in Italia. Nel 531 a.C. viene fondata, da Greci di Samo, Dicearchia, la Puteoli romana, che dal II secolo a.C. divenne il porto di Roma e il piú importante del Mediterraneo occidentale, prima della realizzazione di quello di Porto a opera di Claudio e Traiano. Oggi Pozzuoli conserva ancora importanti tracce del suo passato, tra
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Golfo di Napoli Ischia Sant’Antuono Piano Liguori Monteruscello Cuma
M a r Ti r r e n o
Lago d’Averno
Pisciarelli Lucrino Lago del Fusaro
Baia Tempio di Venere
Torregaveta
Monte di Procida
S
Pozzuoli
Massa Lubrense Punta Legno Term Marciano
Baia Castello Aragonese
Bacoli Lago Miseno
Anacapri Miseno
In alto cartina del golfo di Napoli con i principali siti di interesse archeologico. A destra uno scorcio dell’interno dell’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli. Seconda metà del I sec. d.C. In basso particolare di una statua di Dioniso. I sec. a.C. Baia, Museo Archeologico dei Campi Flegrei.
cui l’Anfiteatro Flavio e il cosiddetto Serapeo, in realtà un mercato (macellum), grandioso edificio realizzato tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C., a pianta quadrata con cortile centrale circondato da portici con colonne in granito; immancabile poi la visita al Rione Terra, l’acropoli dell’antica città, con i suoi stretti vicoli e gli itinerari sotterranei. Nei pressi di Pozzuoli, è possibile visitare una delle attrattive naturalistiche maggiori dei Campi Flegrei, la Solfatara, un cratere di lava ribollente da cui si sprigionano vapori e fanghi fumanti, che creano un paesaggio unico, tanto da diventare a partire dal Settecento, una meta obbligata per gli intellettuali e gli artisti che effettuavano in Italia il Grand Tour. Presso Baia, fin dall’epoca tardo-repubblicana sorsero impianti termali e sontuose ville di importanti personaggi, tra cui Licinio Crasso, Caio Mario, Cesare, Pompeo, Varrone, Cicerone e Ortensio, passate sotto Augusto al demanio imperiale. Molte delle strutture antiche, a causa del diffuso bradisismo del territorio, vennero sommerse dal mare, e fanno ora parte del Parco Sommerso di Baia. Il castello aragonese di Baia (XI secolo) è ora la
Capri Isola di Capri
Punta Campanella
sede del Museo Archeologico dei Campi Flegrei, che custodisce, tra gli altri, i «Gessi di Baia», uno straordinario insieme di frammenti di calchi in gesso, utilizzati come modelli da scultori locali specializzati nella realizzazione di copie in marmo delle opere greche, destinate ad abbellire le ville dei Campi Flegrei. La presenza di fenomeni vulcanici e dei due laghi d’Averno e Lucrino, indussero gli antichi a ritenere che qui si trovasse la bocca del modo dei morti; sulle rive dell’Averno Virgilio colloca infatti l’ingresso agli Inferi (Eneide, VI). Il bacino era un tempo molto piú ampio, prima che l’improvvisa eruzione vulcanica nel 1538, che ha portato alla formazione del Monte Nuovo, ne seppellisse la parte orientale. Nel I secolo d.C. Augusto decise di realizzare in questa zona una base navale, il Portus Iulius, collegando i due laghi con il mare per mezzo di canali. Il rapido insabbiamento del nuovo scalo, portò al trasferimento della classis praetoria Misenatis, la piú imponente flotta militare romana, a Miseno, dotato anch’esso di un doppio bacino piú profondo, privo dunque di problemi di insabbiamento. Tagliato l’istmo tra i due bacini, vi furono impiantati gli arsenali e le banchine, mentre sul promontorio fu fondata la colonia di Misenum. A Bacoli è possibile visitare la cosiddetta Piscina Mirabilis, la piú grande cisterna conservata dell’antichità classica, sorretta da 48 pilastri disposti a formare 5 navate sul lato minore e 13 su quello maggiore. La visita ai Campi Flegrei non può inoltre prescindere dall’antro della Sibilla Cumana, lunga galleria scavata nel tufo coperta a volta, che sfocia in un ambiente rettangolare con tre grandi nicchie, identificato da Amedeo Maiuri con quello descritto da Virgilio nell’Eneide. Sebbene non vi siano prove archeologiche per la sua identificazione, il luogo, riutilizzato come cisterna già nel I secolo d.C. e in epoca cristiana come area cimiteriale, mantiene ancora oggi tutto il suo misterioso fascino legato alle profezie emesse dalla Sibilla invasata dal Nume.
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CAMPANIA
VELIA (Salerno)
Info tel. 0974 972396; www.archeosa.beniculturali.it
I
mmersi in una vasta area coperta da macchia mediterranea e uliveti, si conservano i resti dell’antica città di Elea, fondata intorno al 540 a.C. da un gruppo di esuli focesi. Qui, nel V secolo a.C., Parmenide e Zenone fondarono la scuola filosofica eleatica; la città raggiunse il massimo splendore in età ellenistica e in gran parte dell’età romana (fine del IV secolo a.C.-V secolo d.C.), quando viene ribattezzata Velia. In epoca medievale il centro antico viene abbandonato, per concentrarsi nella parte alta dell’acropoli, dove sorge un castello. All’interno della cinta muraria protetta da torri della città bassa, si possono ammirare i resti di edifici pubblici, templi e case databili dall’età ellenistica a quella romanoimperiale; tra questi le terme adrianee (II secolo d.C.), un criptoportico e la cosiddetta agorà, interpretabile forse come santuario di Asclepio. Sull’acropoli, dove si sviluppò la parte piú antica della città, si conservano resti del teatro romano, di un tempio e di un edificio con fronte porticato, in gran parte danneggiati dall’impianto medievale. Di quest’ultima fase restano tratti delle mura del castello e la Torre Angioina, e due chiese, la cappella Palatina e la chiesa di S. Maria.
La Porta Rosa e, in primo piano, i resti della Porta Arcaica dell’antica città di Elea-Velia.
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CAMPANIA
CIRCUITO VESUVIANO
AECLANUM (Avellino)
N
I
Info tel. 081 8575111 www.pompeiisites.org
el Circuito Vesuviano sono ricomprese alcune importanti aree archeologiche gestite dalla Soprintendenza Speciale per Pompei Ercolano e Stabia: Ercolano, Oplonti, Boscoreale, Pompei e Stabia. Una visita sui luoghi della disastrosa eruzione del 79 d.C., per chi non l’abbia fatta, non è semplicemente consigliata, ma deve ritenersi obbligatoria.
L’ANTICA PICENTIA (Salerno) Info www.archeosa.beniculturali.it
I
l Parco Archeologico dell’antica Picentia si sviluppa attualmente per 10 ettari nell’area dove sorgeva la città fondata dai Romani nel 268 a.C., deportando nel sito un nucleo di Piceni dalla costa adriatica. L’area era già stata occupata sin dall’età del Ferro (fine del X-inizi del IX secolo a.C.) da genti etrusche che si dovettero poi integrare con le coeve comunità campane e sannitiche. Fedele ad Annibale, Picentia subí ritorsioni da parte di Roma che portarono a un rapido declino della città. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce strutture dell’abitato preromano e strade e abitazioni della città romana.
CONZA (Avellino)
Info www.archeosa.beniculturali.it
I
resti della città romana di Compsa sono tragicamente riemersi dopo il terremoto che nel 1980 ha distrutto il paese moderno di Conza. Gli scavi archeologici hanno poi riportato alla luce la storia dell’abitato sin dal V secolo a.C. Oggi è possibile ammirare le tombe della necropoli di Fonnone (V secolo a.C.), i resti del centro romano, chiese ed edifici di epoca longobarda, medievale e rinascimentale.
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Info tel. 0825 449175 www.incampania.com
l Parco Archeologico di Aeclanum conserva i resti dell’antico centro sannita fondato alla fine del III sec a.C. Attraversata dalla via Appia, la città fu saccheggiata da Silla nell’89 a.C.; divenne poi municipium e, nel 120 d.C., colonia assumendo il nome di Aelia Augusta Aeclanum. Della città romana restano notevoli tratti delle mura di difesa, le terme pubbliche, la piazza del mercato coperto (macellum), alcune abitazioni e botteghe e la basilica paleocristiana, con battistero esterno.
In alto Paestum. veduta del Tempio detto di Nettuno. V sec. a.C. Nella pagina accanto Mirabella Eclano. Una veduta del Parco Archeologico di Aeclanum, con resti dell’antica Aelia Augusta Aeclanum, colonia romana dal 120 d.C.
PAESTUM (Salerno)
Info tel. 0828 811023; www.museopaestum.beniculturali.it
A
gli inizi del VI secolo a.C. un gruppo di Achei di Sibari fondò la città di Poseidonia. Dopo essere stata conquistata dai Lucani (400 a.C.), fu colonizzata dai Romani (273 a.C.), che la ribattezzarono Paestum. Nel settore centrale della città si trovavano l’agorà (sulla quale si impostò in seguito il Foro
romano) e un piccolo edificio interpretato come Heroon (tomba vuota dedicata al culto dell’eroe fondatore della città). Si ammirano il cosiddetto Tempio di Cerere, dedicato in realtà ad Atena; quello detto di Nettuno, dedicato ad Apollo o a Zeus, e la «Basilica», risalente al 530 a.C. e dedicata a Hera. Presso la foce del Sele si trovano i resti del santuario di Hera Argiva. Nel Museo Archeologico Nazionale di Paestum sono raccolte le importanti testimonianze artistiche della città antica.
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PUGLIA
CANNE DELLA BATTAGLIA (Barletta-Andria-Trani) Info tel. 0883 510993; www.puglia.beniculturali.it
A
metà strada tra le città di Barletta e Canosa, su una collina nella valle del Basso Ofanto, si svolse nel 216 a.C., durante la seconda guerra punica, la battaglia di Canne, che vide la vittoria di Annibale sui Romani. Oggi il sito che fu teatro dello scontro costituisce il Parco Archeologico di Canne della Battaglia, comprendente una imponente cinta muraria, la Cittadella in cui si trovano strutture di epoca romana, paleocristiana e medievale, l’antico villaggio daunio con sepolcreto in località Fontanella, la Basilica Minore e quella Maggiore, poste nel punto piú alto della collina. Ai resti archeologici fa da corollario l’Antiquarium, che custodisce reperti databili dall’età neolitica al Medioevo, tra cui ornamenti in bronzo e ambre, ceramiche, iscrizioni, monete, e, in particolare, vasi dipinti a disegni geometrici dauno-peuceti (IV-III secolo a.C.) provenienti dai sepolcreti.
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Sulle due pagine Saturo. I resti della villa romana nel Parco Archeologico. A sinistra Canne della Battaglia. La collina che fu teatro del celebre scontro e che è oggi compresa nel Parco Archeologico.
SATURO (Taranto) Info tel. 340 9247013 www.parcosaturo.it
E
steso sul promontorio costiero situato tra la baia di Porto Saturo e Porto Perone, pochi chilometri a sud-est di Taranto, il Parco Archeologico di Saturo conserva testimonianze che provano l’occupazione dell’area tra l’età del Bronzo Medio e il Rinascimento, epoca, quest’ultima, in cui viene innalzata una torre aragonese di avvistamento. Per la sua naturale conformazione, che offriva un ottimo riparo dalle correnti marine, oltre alla presenza di alcune sorgenti d’acqua dolce, l’insenatura di Saturo ha costituito per secoli un approdo ideale, dove, fin dalla protostoria, si sono svolti intensi traffici marittimi e relazioni commerciali tra la Grecia continentale e le coste dell’Italia meridionale, come dimostrano i ritrovamenti di ceramiche di importazione
dall’area micenea. Tra l’età del Bronzo e l’età del Ferro si sviluppò un villaggio di capanne, con varie fasi costruttive, che vedono anche la realizzazione di una cinta muraria a secco e di muri di terrazzamento; poi, alla fine dell’VIII secolo a.C., l’area viene livellata per dare spazio a due santuari e a un abitato. Nello stesso periodo giungono su questo tratto di costa i primi coloni greci di Sparta, che fondano anche la colonia di Taranto. Secondo la leggenda, Saturo sarebbe stata fondata da Falanto, uno Spartano condannato all’esilio in quanto capo di una rivolta di schiavi e di cittadini spartani «illegittimi». All’indomani del fallimento della sommossa, e dopo aver consultato l’oracolo di Delfi, Falanto giunse sulle coste tarantine e, convinto che la profezia si fosse avverata, fondò le città di Saturo e di Taranto. Con la conquista romana di Taranto (III secolo a.C.) il Santuario della Sorgente viene
Qui sopra foto aerea del promontorio di Saturo. Il locale Parco Archeologico raccoglie testimonianze di occupazione dell’area dall’età del Bronzo Medio fino al Rinascimento.
abbandonato, mentre il porto di Saturo continua a rivestire importanza per i traffici commerciali (come dimostrano anche due relitti del II secolo a.C. ritrovati nelle sue acque); in epoca imperiale sulla parte sud-orientale del promontorio costiero, circa 250 m a SO della collina, si impianta un vasto complesso di edifici pubblici – comprendenti terme, palestre e ambienti di servizio – e privati, con cucine, cisterne e terme a uso privato, collegate al lungo acquedotto costruito probabilmente nel I secolo a.C. per portare l’acqua all’abitato e alle strutture rurali del territorio. Un ninfeo posto sulla riva della baia di Saturo, è stato in parte occupato durante la seconda guerra mondiale da un deposito militare, oggi adibito a Punto Ristoro del Parco. All’Alto Medioevo risale un impianto rurale con la relativa necropoli, situato sul pianoro occupato in età arcaicorepubblicana dal Santuario della Sorgente.
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PUGLIA
EGNAZIA (Brindisi) Info tel. 080 4829056 www.egnaziaonline.it
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ella V Satira, il poeta latino Orazio (65-8 a.C.) descrive il viaggio da Roma a Brindisi effettuato nel 38 a.C. insieme a Virgilio e Mecenate e cita la città messapica di Gnathia, posta a metà strada tra Bari e Brindisi, in uno dei luoghi piú suggestivi della costa adriatica. Il primo insediamento, costituito da un villaggio di capanne, risale all’età del Bronzo (XV secolo a.C.); la successiva età del Ferro (IX secolo a.C.) vede l’invasione di popolazioni balcaniche, gli Iapigi, che precedono la fase messapica (VIII secolo a.C.), che caratterizzò l’intero Salento fino alla conquista romana (III a.C.). La presenza messapica a Gnathia è testimoniata dall’imponente cinta muraria (IV secolo a.C.), lunga 2 km e alta fino a 7 m, che delimita e difende la città dalla parte di terra, per un’estensione di circa 40 ettari, mentre una sua estensione lungo la costa pare che sia stata realizzata solo a nord dell’acropoli. Posto in una favorevole posizione tra due
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insenature naturali, questo settore dell’abitato offriva una difesa naturale e riparo alle imbarcazioni; nell’insenatura a nord, in epoca romana, fu creato un porto artificiale. Sul pianoro dell’acropoli sono visibili le fondazioni di un tempio ellenistico, mentre sul lato verso terra si trova una fortificazione a pianta quadrata di epoca tardo-antica, difesa da un recinto con bastioni. Alla fase messapica appartengono inoltre le necropoli all’esterno delle mura, costituite da tombe a fossa, a semicamera e da monumentali tombe a camera decorate con raffinati affreschi. L’impianto urbanistico romano è attraversato dalla via Traiana, lastricata nel 109 d.C., che ricalca probabilmente il tracciato della piú antica via Minucia. Tra i monumenti pubblici della città romana si possono visitare le terme, la basilica civile, l’area dedicata alle divinità orientali, una grande piazza porticata con accanto il quartiere dei ceramisti, il cosiddetto anfiteatro (piú probabilmente un’area pubblica adibita a mercato), mentre i quartieri di abitazione, con strutture produttive con una fornace, si sviluppano dall’altra parte della via Traiana.
In alto un settore dell’area archeologica al cui interno si conservano i resti dell’antica Gnathia.
SIPONTO (Foggia)
Info tel. 0884 587838; www.archeopuglia.beniculturali.it
C
Tra i monumenti meglio conservati si segnala, inoltre, il grande criptoportico quadrato, interamente percorribile, dotato di piccole finestre a bocca di lupo sui lati interni e utilizzato come granaio. Sul lato opposto della Traiana, si trovano anche due basiliche paleocristiane; sulle strutture di una fullonica (lavanderia) romana, si installò la basilica episcopale a tre navate con una sola abside in quella centrale, e con portico a tre ingressi. Il pavimento era a mosaico a grandi tessere con decorazione a riquadri, una parte del quale è ora conservato nel museo. Simile, ma di dimensioni minori, è la basilica meridionale, sorta su un precedente edificio di culto pavimentato con mosaico a decorazione geometrica policroma. Dopo aver conosciuto per secoli una notevole prosperità, grazie al suo porto e ai rapporti commerciali e culturali con l’intero bacino mediterraneo, Gnathia subisce il definitivo abbandono intorno al XIII secolo, avendo come ultimo baluardo la fortezza eretta sull’acropoli. Il percorso di visita al parco archeologico non può che concludersi con la visita al Museo, posto al di fuori della cinta muraria antica.
In basso Siponto (Manfredonia, Foggia). Il portale nord della chiesa abbaziale di S. Leonardo. XI-XIII sec.
olonia romana fondata nel 194 a.C., presenta importanti vestigia che abbracciano un lunghissimo arco cronologico, sino al momento del suo abbandono avvenuto nel corso del XIII secolo. Nell’area archeologica, fra gli altri, si conservano i resti di una basilica paleocristiana articolata in tre navate, che fu una delle piú importanti della zona e i cui resti sono in parte visibili nell’adiacente chiesa di S. Maria Maggiore. Quest’ultima, sorta nell’XI secolo e rimaneggiata nel XIII, è una delle piú felici espressioni del romanico pugliese. A poca distanza, si può ammirare la chiesa abbaziale di S. Leonardo (XI-XIII secolo), in origine facente parte di un monastero. È anch’essa un esempio mirabile dell’arte romanica e conserva un grandioso portale ricco di sculture e incorniciato da un baldacchino sorretto da colonne poggianti su leoni.
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TOSCANA
LE CHIESE RUPESTRI DEL MATERANO Info tel. 0835 336166 www.parcomurgia.it
L
e chiese rupestri del Materano sono testimonianza di un fervore religioso che ha saputo stringere un’alleanza inscindibile tra uomo e terra sin dai primi secoli del Medioevo. Qui monaci bizantini e seguaci di Benedetto, nobili longobardi e signori feudali, comunità di Armeni e di Ebrei, di pastori e di agricoltori ancorati a questa rude terra, si diedero a intagliare la roccia. Ne ricavarono prima piccole celle per vivere in meditazione e ascesi, talvolta raggruppate intorno a un ambiente per la preghiera comune (le laure). Piú tardi realizzarono veri e propri cenobi, complessi architettonici articolati; sorsero anche chiese isolate, presto divenute mete di pellegrinaggi, nonché luoghi di culto in prossimità di casali e villaggi, a servizio della popolazione sparsa sul territorio. Si tratta in ogni caso di rifugi dell’anima, che solo dall’XI secolo assunsero la piú solenne forma basilicale.
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Tra il XII e il XIV secolo, furono realizzate forme architettoniche meno impegnative, poi, nonostante un ultimo alito di interesse sotto l’influsso francescano, a partire dal XVII secolo molte chiese rupestri vennero sconsacrate e utilizzate come ricoveri per il bestiame. Oggi, dopo anni di incuria, saccheggi e distruzioni, è possibile ammirare alcuni degli oltre 150 siti che fanno della Murgia materana un significativo segmento dello straordinario fenomeno dei luoghi di culto rupestri del Mediterraneo. Prospiciente ai Sassi, sul versante opposto della Gravina di Matera, il Parco Regionale Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano (piú semplicemente detto Parco Regionale della Murgia Materana), istituito nel 1990, conserva nei suoi confini testimonianze della presenza umana, a partire da quella piú remota: insediamenti neolitici fortificati già nel V millennio a.C.; sepolture dell’età dei metalli; casali e villaggi medievali scavati nelle pareti delle gravine, dove, accanto alle strutture per l’allevamento e la produzione agricola (stalle, fienili, abbeveratoi, apiari, cisterne, pozzi e canali), trovavano posto
L’interno della Cripta del Peccato Originale. L’impressionante ciclo di affreschi (VIII-IX sec.), realizzato dal Pittore dei Fiori di Matera, le è valso l’appellativo di «Cappella Sistina della pittura rupestre».
spazi dedicati alla cura delle anime, le chiese rupestri, talvolta corredate di battistero e cimitero. Alcuni di questi luoghi di culto sono raggiungibili a piedi lungo sentieri che partono dal centro visite del parco Jazzo Gattini, ricavato all’interno di un vecchio ovile ottocentesco (jazzo). Una delle piú antiche chiese rupestri del materano è S. Falcione (anche nota come S. Canione): protetta da un recinto ottocentesco costruito quando l’edificio fu utilizzato come ovile, essa conserva pochi lacerti degli affreschi che un tempo ornavano le pareti e che raffiguravano, tra le altre, anche la scena della Presentazione di Gesú al Tempio; il carteggio in lingua greca che corona il dipinto è prova della committenza monastica italo-greca. Tutto intorno alla chiesa sono visibili grotte con nicchie utilizzate per riporre al riparo dal freddo invernale e dal caldo estivo le arnie (sono le cosiddette pecchiare, apiari utilizzati ancora nel XIX secolo). Tale circostanza rende suggestiva l’ipotesi che qui avesse particolare risonanza la festa della Candelora, durante la quale i fedeli offrivano candele in ricordo della presentazione al tempio del Bambino Gesú.
Richiami bizantini tornano nella chiesa della Madonna delle Croci, a navata unica suddivisa in due ambienti da un arcone trasversale, che ospita nell’abside una Kyriotissa (Madonna Regina) con Bambino benedicente, del XIII secolo. Alcuni di questi luoghi sembrano quasi volersi celare alla vista dei turisti: la chiesa di S. Vito, accanto alla quale si trova la cisterna utilizzata da Pier Paolo Pasolini come sepolcro di Gesú nel Vangelo secondo Matteo; le due chiese che servivano la comunità dell’antico villaggio saraceno, S. Luca alla Selva e la Cripta del Vitisciulo, con annesso fonte battesimale; la cripta di S. Agnese e la vicina Madonna delle Tre Porte, i cui mirabili affreschi, eseguiti a partire dal XIII secolo, furono trafugati negli anni Sessanta da un professore di storia dell’arte tedesco, e poi caparbiamente ritrovati. Anche raggiungere la Cripta del Peccato Originale non è agevole, ma, una volta entrati, i raffinati affreschi attribuiti a un artista noto come Pittore dei Fiori di Matera (VIII-IX secolo) avvolgono lo spettatore e lo proiettano tra la Luce e le Tenebre della Creazione, oppure nell’Eden dove Eva assaggia il frutto proibito.
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BASILICATA
METAPONTO (Matera)
Info tel. 0835 745327; www.archeobasilicata.beniculturali.it
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l Parco Archeologico di Metaponto è il piú importante della Basilicata, attualmente ricadente nel Comune di Bernalda. La colonia greca fu fondata nel fertile territorio compreso tra i fiumi Bradano e Basento, intorno al VII secolo a.C.; il grano qui prodotto veniva esportato, rendendo la città un importante centro commerciale, tanto che la spiga divenne il suo simbolo, raffigurato sulle monete. Dopo varie vicende storiche, tra cui quelle legate alle guerre di Roma contro Pirro e
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Annibale, e il saccheggio da parte dei ribelli capeggiati da Spartaco, Metaponto, in epoca imperiale, vive una una rapida decadenza e poi, divenuto il territorio malsano, il quasi totale abbandono, tanto che, già nel Medioevo, se ne era persa memoria. Solo a partire dal XVIII secolo e nell’Ottocento gli scavi ne hanno riportato alla luce i resti. Tra questi, spiccano due templi in stile dorico, dedicati ad Atena e Apollo, e un tempio ionico edificato nella prima metà del V secolo a.C., dedicato ad Artemide, in parte ricostruito. L’agorà, dedicata a Zeus, presenta poco distante il teatro, sede di spettacoli e dell’assemblea cittadina, di cui è stato ricostruito il fregio dorico. Interessante è il quartiere artigianale
Le cosiddette Tavole Palatine, denominazione che indica i resti di un tempio in stile dorico arcaico dedicato a Hera. VI sec. a.C. L’edificio è realizzato in marmo locale (mázzaro) e sulle colonne sono ancora visibili tracce del rivestimento in stucco originario.
del kerameikos, con le botteghe dei ceramisti. Nella parte opposta si trova il cosiddetto Castro Romano, con una continuità di vita che va dal periodo arcaico al V-VI secolo d.C.; qui corre un grande porticato con colonne e fregio dorico (stoà), che chiudeva uno dei lati dell’agorà, e che in epoca paleocristiana viene occupato da un edificio di culto con annesso battistero. In epoca tardo-imperiale, l’abitato si
contrae all’interno del castro, mentre l’area sacra e gli edifici pubblici vengono utilizzati come luoghi di sepoltura. Al di fuori del centro urbano si trova il tempio di Hera, in stile dorico-arcaico, costruito in calcare locale (il màzzaro), meglio conosciuto come Tavole Palatine; originariamente composto da 32 colonne, ne conserva ora 15, con tracce del rivestimento originario in stucco.
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CALABRIA
PARCO ARCHEOLOGICO DI SCOLACIUM (Catanzaro) Info tel. 0961 391356 www.scolacium.it
S
ituato su una vasta area demaniale di 35 ettari, in gran parte occupati da un uliveto plurisecolare, il Parco Archeologico di Scolacium, oltre alle valenze naturalistiche, conserva testimonianze di una frequentazione che va dalla preistoria – Paleolitico e Neolitico, ma soprattutto età del Bronzo – all’epoca moderna; per la sua posizione privilegiata tra Ionio e Tirreno, importante per il controllo dei traffici marittimi, l’area fu infatti occupata dai coloni greci – guidati secondo la tradizione
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dall’eroe ateniese Menesteo o, secondo quanto afferma Cassiodoro, da Ulisse che tornava dalla guerra di Troia –, che vi impiantarono la città di Skylletion. Benché della città greca non siano ben chiari i caratteri urbanistici, in quanto obliterati dalle strutture della colonia romana, le fonti scritte e soprattutto quelle archeologiche rimandano a un periodo tra l’VIII e il III secolo a.C. Dopo la fine della seconda guerra punica e un periodo di decadenza, nel 123-122 a.C. fu dedotta dai romani, per volere di Caio Gracco la Colonia Minervia Scolacium, con conseguente riordinamento urbano e del territorio circostante, interessato dalla centuriazione, tracce della quale sono state individuate nella piana del fiume Corace. Con Augusto e gli
A sinistra i resti del teatro romano di Scolacium. I sec. a.C. In basso i resti dell’abside della chiesa di S. Maria della Roccella (XII-XVIII sec.), per la cui costruzione, mai ultimata, furono utilizzati materiali recuperati da strutture romane preesistenti.
costruzione non fu mai portata a termina; nei secoli successivi, la chiesa fu sfruttata come edificio fortificato e torre di avvistamento. Il fascino della struttura incompiuta ha interessato fin dal XVI secolo viaggiatori, eruditi e artisti, che ne hanno lasciato descrizioni piene di ammirazione e venerazione. Passata nei secoli attraverso vari proprietari, tra cui i Savoia, l’intera area venne espropriata dallo Stato ai baroni Mazza, e dal 1982 fu creato il parco archeologico. Parte integrante del percorso è il Museo Archeologico Nazionale, inaugurato nel 2005, che raccoglie le testimonianze rinvenute nel corso delle ricerche condotte a partire dal XVIII secolo. Di particolare importanza i reperti marmorei che costituivano i ricchi apparati decorativi dei principali monumenti, tra cui statue, ritratti, elementi architettonici, che fanno del museo di Scolacium una delle piú importanti raccolte sulla romanizzazione dell’Italia Meridionale.
imperatori della dinastia giulio-claudia, la città viene riqualificata con la costruzione di edifici pubblici, tra cui il Foro, le terme, il teatro, mentre sotto Nerva viene ricolonizzata, prendendo il nome di Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium. In questo periodo e fino al tempo di Antonino Pio, vengono ristrutturati o costruiti molti edifici; tra questi l’anfiteatro, l’unico esempio attualmente conosciuto in Calabria. Con la guerra greco-gotica (535-552 d.C.) la città viene abbandonata, e la sua popolazione si rifugia in luoghi piú facilmente difendibili, trasferendo anche la sede vescovile e dando origine al castrum Scillacium (Squillace). In epoca normanna, sul luogo dell’antica città venne edificata una grandiosa abbazia, S. Maria della Roccella, la cui
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CALABRIA
LOCRI EPIZEFIRI (Reggio Calabria)
Info tel. 0964 390023; www.archeocalabria.beniculturali.it
I
stituito nel 2006, il Parco Archeologico di Locri Epizefiri, pochi chilometri a sud dalla moderna città di Locri, permette di ricostruire le vicende storiche di una delle piú importanti colonie della Magna Grecia, dagli insediamenti A sinistra statua nota come «Togato di Petrara», da un edificio pubblico in località Petrara. I sec. d.C., Locri, Casino Macrí. In basso i resti del tempio ionico di Marasà.
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dell’età del Bronzo che precedono la colonizzazione greca, al periodo tardo-antico. La vasta area urbana, articolata in un’ampia area pianeggiante e un settore collinare caratterizzato da alture e stretti valloni ricchi di vegetazione, copre oltre 300 ettari, in parte racchiusi dal perimetro delle mura greche, oggetto di scavi sistematici condotti già dalla fine dell’Ottocento da Paolo Orsi, e continuati fino a tempi recenti. Tali ricerche hanno evidenziato i primi insediamenti dell’età del Bronzo e del Ferro e il tessuto della città greca, costituito da isolati regolari divisi da strade ortogonali. Tra i monumenti piú importanti che testimoniano la fase coloniale di Locri Epizefiri vi sono il tempio ionico di Marasà, l’area di Centocamere, un quartiere commerciale, i resti del santuario dedicato a Demetra Thesmophoros (portatrice delle leggi), l’edificio arcaico detto Stoà a U, mentre presso il Casino Macrí, ai resti dell’abitato greco si sovrappongono le strutture di un edificio termale romano. Al di fuori dell’area del parco, nella parte alta della città, si trovano il teatro greco, risalente al IV secolo a.C. con rifacimenti in età romana, e altri edifici sacri; al di là della cinta muraria si trovano inoltre le necropoli, i cui corredi sono esposti nel Museo locale, indispensabile punto di partenza per la visita al parco.
La colonna del tempio di Hera Lacinia (fine del VI sec. a.C.) che dà nome al Capo presso Crotone. In basso un tratto del basolato romano all’interno del Parco Archeologico di Sibari.
SIBARI (Cosenza)
Info tel. 0981 79391; www.archeocalabria.beniculturali.it
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isitare Sibari significa ripercorrere a ritroso nel tempo secoli di storia, dal periodo tardo-antico fino all’VIII secolo a.C., con la fondazione della colonia greca di Sybaris, e ancora piú indietro all’età del Ferro, quando la zona vide fiorire la civiltà degli Enotri, spazzata via dai nuovi conquistatori greci giunti dall’Acaia nel 730-720 a.C. circa. Dopo aver ridotto le popolazioni locali in schiavitú, i Greci fondarono la colonia di Sibari, che raggiunse grande splendore grazie al transito delle merci provenienti dall’Asia Minore, soprattutto da Mileto. La ricchezza della città divenne proverbiale, ma portò anche alla sua rovina; le contese commerciali con Crotone, videro infatti la sconfitta e la distruzione nel 510 a.C. di Sibari da parte dei Crotoniati. Nel 444-443 a.C. Sibari venne ri-fondata con un impianto urbanistico regolare, prendendo il nome di Thurii; in epoca romana viene dedotta sul sito la colonia latina di Copia (193 a.C.), trasformata nell’84 a.C. in municipio. La vita della città continuò fino al V-VI secolo d.C., quando comincia la sua decadenza, in parte dovuta all’impaludamento della zona, fino all’abbandono definitivo nel secolo successivo. L’area del Parco Archeologico è divisa in settori, identificati con il nome del cantiere di scavo: Parco del Cavallo, Prolungamento Strada, Casa Bianca, Stombi. Dalla Porta Nord, area di accesso della città di Copia, si percorre la grande arteria stradale basolata, (plateia A) che si incrocia in località Parco del Cavallo con l’altra arteria principale (plateia B), dove c’è la massima concentrazione di strutture monumentali di epoca romana, tra cui una grande domus, il teatro, l’area del Foro con due grandi fontane circolari e un impianto termale, oltre alle botteghe affacciate sulla strada. I reperti degli scavi sono conservati nel Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide.
CAPO COLONNA (Crotone) Info tel. 0962 934814; www.archeocalabria.beniculturali.it
S
ul promontorio di Capo Colonna (a 10 km da Crotone) si intrecciano i ricordi di miti, di figure di eroi e guerrieri, di viaggiatori e studiosi. Il parco archeologico conserva i resti del ricco santuario di Hera Lacinia (tempio dorico, edifici sacri) e del castrum che i Romani vi edificarono a partire dal primo quarto del II secolo a.C. (domus, terme, fornace).
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N NO
NE
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La Maddalena
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SO
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Olbia Turris Libisonis
Tempio Pausania
Sassari Siniscola
Alghero Ozieri
Su Romanzesu Nuoro
Macomer
Paulilatino
Mar Tirreno
Oristano Tharros Genna Maria
Barumini
Guspini Villacidro
Iglesias
Cagliari
Monte Sirai Carbonia Nora
Vere e proprie «regine» del Mediterraneo, la Sicilia e la Sardegna sono state abitate fin da tempi remoti, poiché l’uomo non tardò a intuirne le potenzialità. Entrambe le isole, quindi, vantano una storia plurimillenaria, testimoniata da un patrimonio eccezionalmente ricco e variegato. Vestigia che, dagli insediamenti preistorici liparesi alle colonie fenicie della Sardegna, dai nuraghe alle tombe rupestri di Pantalica, sono lo specchio fedele di una vivacità culturale straordinaria
PARCHI ARCHEOLOGICI
ISOLE
Mar Tirreno
Isole Eolie
Capo Gallo
Messina
Palermo Trapani Mozia
Solunto Segesta
Barcellona Pozzo di Gotto
Halaesa
Taormina
Himera
Giarre
Marsala Mazara del Vallo
Selinunte Sciacca
Eraclea Minoa
Caltanissetta Piazza Armerina Valle dei Templi
Mar Ionio
Morgantina
Agrigento
OcchiolĂ Licata
Catania
Gela
Palazzolo Acreide Vittoria
Pantalica Siracusa Avola
Ragusa Pozzallo
Tellaro Pachino
SICILIA
LA VILLA ROMANA DEL CASALE (Enna) Info tel. 0935 687667, www.villaromanadelcasale.it
6
I
l Parco Archeologico della Villa Romana del Casale, comprende la città di Piazza Armerina e le aree archeologiche circostanti, tra cui, a nord, l’insediamento pre-greco e romano situato sul rilievo di Montagna di Marzo e, a sud, la statio (luogo di sosta) di epoca romana in contrada Sofiana. Questo paesaggio ricco di testimonianze storico-archeologiche e naturalistiche ha affascinato i viaggiatori che, tra il XVIII e il XIX secolo, giunsero nel cuore della Sicilia e ne descrissero i luoghi nei loro diari e negli itinerari di viaggio, fermando sulla carta il proprio stupore. Il centro del Parco archeologico è la Villa Romana del Casale, lussuosa residenza posta al centro di un vasto latifondo, che costituisce uno degli esempi piú importanti dell’arte tardo antica di tutto il Mediterraneo e, dal 1997, è tutelata dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità. Sorta sui resti di una villa rustica
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1 Terme
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Pars publica Pars privata Pars servilis Hospitalia
Terme Pars publica Pars privata Pars servilis Hospitalia
In alto planimetria della Villa del Casale con l’indicazione degli ambienti piú significativi: 1. ingresso monumentale; 2. corte porticata; 3. peristilio; 4. corridoio della Grande Caccia; 5. basilica; 6. sala della Piccola Caccia; 7. portico ovoidale; 8. «ragazze in bikini»; 9. mosaico di Orfeo. In basso uno scorcio del corridoio della Grande Caccia.
databile al II-III secolo d.C., la Villa del Casale, realizzata nel IV secolo su committenza di un personaggio di altissimo rango imperiale (forse un praefectus Urbi di Roma) o, secondo alcuni studiosi, dello stesso imperatore, costituisce una specie di città in miniatura, con spazi pubblici, privati e di servizio, e in cui il dominus, nelle molte sale di ricevimento e di rappresentanza, poteva svolgere le sue attività amministrative. La villa si adagia sulle pendici del monte Mangone e si articola su tre grandi livelli, che ricalcano la natura del terreno. È interessante però notare che tutti gli ambienti, anziché aprirsi alla vista verso il paesaggio circostante, sono rivolti verso
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In alto il mosaico con le «ragazze in bikini», nel quale si vedono giovani donne impegnate in gare atletiche. IV sec. d.C.
In alto il celebre mosaico delle «ragazze in bikini».
l’interno della struttura. Come ha sottolineato l’archeologo Salvatore Settis, nella villa si possono riconoscere quattro nuclei distinti: l’ingresso monumentale; il peristilio quadrangolare, con gli ambienti che si raccolgono attorno a esso e che, attraversato il lungo corridoio «della Grande Caccia», portano alla basilica, adibita a sala delle udienze; le terme; e, infine, il nucleo formato dal peristilio ovoidale e dalla sala triabsidata, questi ultimi probabilmente destinati a ospiti di riguardo e a particolari eventi di carattere privato. La ricchezza della villa è costituita, oltre che dalla sua struttura architettonica, dallo straordinario apparato decorativo dei vari ambienti, formato da pavimenti e pareti in opus sectile con preziosi marmi colorati provenienti da ogni parte dell’impero, ma soprattutto dai mosaici che adornano ancora quasi tutte le sale, e che rappresentano un eccezionale repertorio dei motivi iconografici
tipici della fine del III e della prima metà del IV secolo d.C., opera di maestranze nordafricane. Una scena famosa è quella ambientata in una palestra femminile, dove alcune giovani atlete indossano una sorta di bikini. Tra il V e il VI secolo d.C., la villa viene riadattata, assumendo l’aspetto di una struttura fortificata, che nel Medioevo, come riporta il geografo arabo Idrisi nel XII secolo, prende il nome di Platia. Tale abitato sorto sulla villa tardo-antica, uno dei piú estesi della Sicilia, viene distrutto nel 1160-61 sotto Guglielmo I; due anni dopo, poco vicino, sorge un nuovo centro fortificato, presso l’attuale Piazza Armerina. Un gruppo di case del XV secolo, che prende il nome di Casale, costituisce una delle ulteriori fasi di occupazione della villa; recenti scavi nel settore sud hanno inoltre messo in luce strutture abitative e produttive che vanno dal X al XIII secolo, con il riutilizzo di alcuni ambienti come forni per il pane.
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SICILIA
OCCHIOLÀ (Catania)
Info http://fondazioneterravecchia.it
I
l terremoto che nel 1693 devastò la Sicilia orientale costrinse gli abitanti sopravvissuti di Occhiolà a spostarsi e fondare un nuovo abitato poco piú a sud: nacque cosí Grammichele, nel cui territorio è oggi allestito il Parco Archeologico Comunale di Occhiolà, istituito nel 1997: una stratificazione che va dall’età preistorica al XVII secolo. Il parco custodisce testimonianze pregevoli, riferibili a un importante centro abitato originariamente indigeno, poi fortemente ellenizzato, sviluppatosi tra il VI e il III secolo a.C., da molti identificato con l’antica città di Echetla. Qui il paesaggio è comunque segnato dai resti del castello, arroccato a dominare la valle sottostante: di esso si hanno poche notizie storiche e risale alla fine del XIII secolo il piú antico documento in cui ricorre per la prima volta il nome di «Alchila», inviato da re Pietro d’Aragona al Giustiziere del Val di Noto (1282). Il fortilizio è circondato da quanto rimane delle chiese, case e cisterne dell’abitato di Occhiolà. Solo a partire dal 1408 gli archivi restituiscono documenti sul castello: nel 1591 passa dalla
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In alto il borgo di Occhiolà visto dall’altura su cui si conservano i resti del castello. Sulla destra, il crinale settentrionale di Poggio del Rullo. Qui sopra resti di uno degli edifici riportati alla luce durante gli scavi condotti a Occhiolà.
famiglia Santapau ai Branciforti e nel 1693, al momento del terremoto, il borgo apparteneva a Carlo Maria Carafa Branciforti, principe di Butera e Roccella e barone dell’oppidum di Ocula. Il parco propone vari percorsi e dispone di un centro servizi realizzato grazie al restauro di alcuni casolari rurali.
MOZIA (Trapani)
Strada sommersa
Info tel. 091 6820522 www.fondazionewhitaker.it/
L
Birgi Necropoli
Porta Ovest
Fortezza Occidentale
S. Maria
a città fenicia di Mozia, fondata intorno agli Isola ultimi decenni dell’VIII secolo a.C., è Grande situata nella Riserva Naturale Regionale delle Isole dello Stagnone di Marsala, di fronte La all’Isola Grande e alle saline, in uno dei Scuola paesaggi naturalistici piú suggestivi della Sicilia, sull’isola di San Pantaleo. Collegata in origine alla costa nella località di Birgi da una strada basolata lunga circa 1,8 km (attualmente sommersa), che esce dalla Porta Nord della cinta muraria, la città occupa l’intera area
Tophet
Necropoli Antico quartiere industriale
Porta Nord Santuario del «Cappiddazzu» Mura urbiche
Resti dell’antico abitato Strada sommersa
A destra cartina dell’isola di Mozia. S. Pantaleo con indicazione (Mozia) dei principali monumenti. In basso veduta aerea dell’isola di Mozia; sullo sfondo, in alto e a sinistra, l’isola di Favignana.
MOZIA
Mura urbiche
Casa delle anfore Casa del sacello domestico Casa del corno di conchiglia Casa dei mosaici Kothon
Museo
Tempio del Kothon Porta Sud
200 mt
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SICILIA
dell’isola. Grazie alla favorevole posizione al centro del Mediterraneo, divenne una delle piú floride colonie fenicie d’Occidente. Dopo essere stata contesa dai Cartaginesi e dai Greci, fu conquistata da Dionigi di Siracusa nel 397 a.C., il quale costrinse i suoi abitanti a fuggire e a ripiegare nella vicina Lylibeo, l’odierna Marsala. Il Museo intitolato a Giuseppe (Joseph) Whitaker, l’ornitologo e archeologo inglese che condusse le prime esplorazioni agli inizi del Novecento, conserva i principali reperti rinvenuti negli scavi, tra cui l’Efebo di Mozia, statua in marmo del V secolo a.C. che raffigura un auriga. Con un piccolo battello che parte dalla zona delle saline e approda nei pressi della Porta Est, si sbarca sull’isola. Oltrepassando la cinta muraria del IV secolo a.C., che circonda l’intera isola e che in origine era dotata di quattro porte (ora se ne conservano tre: Ovest, Sud e Nord), si entra all’interno della città, dove si possono visitare le case di abitazione (delle Anfore, dei Mosaici, del Corno di conchiglia), e gli edifici pubblici. Una particolare struttura, posta nell’estremità sud, è il Kothon, un bacino artificiale a pianta quadrangolare con un unico accesso dal mare, interpretato come una piscina sacra
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A sinistra la statua nota come Efebo di Mozia e raffigurante un auriga. Viene attribuita a un maestro greco, attivo poco prima della metà del V sec. a.C. Mozia, Museo G. Whitaker. In basso la zona del tophet, il santuario fenicio legato al sacrificio e alla sepoltura degli infanti.
connessa con il tempio adiacente scoperto e scavato recentemente, dedicato al dio Baal ‘Addir. Sul lato nord-ovest dell’isola, si trova il tophet, l’area di culto legata al sacrificio e alla sepoltura degli infanti, costituita da piú di 1000 deposizioni e circa 200 tra stele e cippi, oltre a una serie di altre installazioni di culto; da qui proviene tra l’altro, la famosa maschera ghignante in terracotta. Piú in là si incontra il quartiere industriale (area K), destinato alla produzione di ceramica; proseguendo si raggiungono la necropoli, una delle meglio conservate della Sicilia fenicio-punica, datata all’ VIII secolo a.C. e disseminata di urne in terracotta e pietre tombali in arenaria, e il santuario di Cappiddazzu. Quest’area sacra ha conosciuto varie fasi di utilizzo, dal VII al IV secolo a.C. A quest’ultimo periodo appartiene un grande edificio a pianta tripartita, inserito in un recinto, mentre i resti di una piccola basilica di epoca bizantina furono distrutti nel corso degli scavi eseguiti agli inizi del Novecento.
PANTALICA (Siracusa) Info www.siracusaturismo.net
S
ituata su un altopiano circondato da canyon formati nel corso dei millenni dai fiumi Anapo e Calcinara, in un’area di circa 80 ettari dal 2005 riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, Pantalica costituisce un perfetto connubio tra natura e archeologia. Accessibile da vari sentieri, sia dal lato del Comune di Sortino che da quello di Ferla, comprende i resti dell’abitato riferibile al mitico regno di Hyblon; ma ciò che maggiormente caratterizza il sito sono le cinque necropoli, costituite da tombe a grotticella scavate nella roccia, uno dei piú antichi esempi di architettura funeraria rupestre. Tra di esse spiccano la necropoli di Filiporto, composta da un migliaio di tombe distribuite sulle pendici e nella conca dell’Anapo e che sono riferibili all’ultima fase di vita della città (IX-VIII secolo a.C.); la necropoli detta di Nord-Ovest, una delle piú antiche della zona (XII-XI secolo a.C.); la necropoli della Cavetta del IX-VIII secolo a.C., nella cui area si conservano anche resti di abitazioni bizantine; la necropoli Nord, che è la piú vasta e fitta e risale al XII-XI secolo a.C.
Una suggestiva veduta d’insieme della necropoli rupestre di Pantalica.
Nulla rimane, invece, dell’antico abitato, probabilmente costituito da capanne in legno e pietrame; l’unica costruzione non rupestre di Pantalica è il cosiddetto Anaktoron, un edificio risalente al XII-XI secolo a.C. e identificato come il Palazzo del principe; secondo l’archeologo Paolo Orsi, sarebbe stato costruito in opera megalitica da maestranze micenee. Si compone di una serie di ambienti, adibiti a depositi; in uno di questi furono rinvenuti i resti di una fonderia per la lavorazione del bronzo. Il recente ritrovamento di tre cinte murarie nei pressi dell’Anaktoron, oltre ai resti di un santuario dedicato a Demetra e Kore, fanno pensare a un impianto dell’abitato con una necropoli fortificata, di cui il palazzo principesco costituiva il nucleo principale. Dopo molti secoli di silenzio e abbandono, Pantalica fu nuovamente abitata dai Bizantini tra l’VIII e il IX secolo, che qui si rifugiarono per difendersi dall’invasione araba della Sicilia. Sfruttando e ampliando le grotte preistoriche, vi costruirono abitazioni e luoghi di culto rupestri, dando luogo ad almeno tre distinti villaggi con gli oratori della Grotta del Crocifisso, di S. Nicolicchio e di S. Micidiario. Quest’ultimo presenta un affresco raffigurante il Cristo Pantocratore.
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SICILIA
HALAESA (Messina)
Info tel. 0921 334531 www.regione.sicilia.it/beniculturali/
S
ituato nel territorio del Comune di Tusa in provincia di Messina, sulla costa settentrionale della Sicilia, il Parco comprende l’area dell’antica città di Halaesa Arconidea, delimitato a est dal torrente Tusa e a ovest dal fiume Pollina. Fondata alla fine del V secolo a.C. da Arconide, era munita di mura con torri già
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In alto veduta dei resti dell’antica città di Halaesa Arconidea. V sec. a.C. In basso una sala dell’Antiquarium di Halaesa. Si distingue, sulla sinistra, una statua di Cerere (II sec. a.C.).
nel IV secolo. Ma il periodo di maggiore floridezza fu in epoca romana, tanto che molti autori antichi, tra cui Cicerone, la definiscono una delle città piú ricche della Sicilia, grazie alle attività commerciali che si svolgevano nel suo porto. In epoca repubblicana e nella prima età imperiale Halaesa godè di uno status giuridico privilegiato, essendo inserita tra le città «liberae atque immunes», che la esonerava dal pagamento dei tributi verso Roma, consentendole di mantenere i suoi ordinamenti con il Senato e propri magistrati, mentre sotto Augusto fu municipio. Altro segno di ricchezza è la facoltà di battere moneta, caso unico per l’intera Sicilia. Di tutto questo sono segni tangibili i resti monumentali ancor oggi visibili nel Parco: oltre alla cinta muraria e al tessuto viario urbano, l’area dell’agorà, i basamenti dei templi, le insulae, e la necropoli posta ai margini dell’abitato di Castel di Tusa. Questo importante centro siciliano decadde nell’Alto Medioevo probabilmente a causa di catastrofi naturali, come un’invasione di cavallette (842), il terremoto (846) e la carestia dell’847, oltre alle scorrerie dei barbari.
CAPO GALLO (Palermo) Info tel. 091 7906801; www.regione.sicilia.it
I
stituita nel giugno del 2011, la Riserva naturale orientata Capo Gallo comprende il promontorio costellato da numerose grotte costiere, frequentato dall’uomo dal Paleolitico fino all’epoca storica. Il santuario punico ipogeo della Grotta Regina, dedicato a Melqart,
Veduta del promontorio di Capo Gallo. Territorio frequentato dall’uomo fin dal Paleolitico, è stato dichiarato Riserva naturale nel 2011.
divinità tutelare di Tiro, a Iside, protettrice dei naviganti e della fertilità, a Osiride e a Shadrapa, presenta le pareti ricoperte da iscrizioni con preghiere, suppliche e firme fenicio-puniche, e da disegni che raffigurano persone (anche un guerriero punico), animali e imbarcazioni (interessante la nave da guerra cartaginese).
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SICILIA
LA VILLA DEL TELLARO (Siracusa)
HIMERA (Palermo)
A
l Parco Archeologico di Himera conserva i resti della colonia fondata nel 648 a.C. dai Greci di origine calcidese e dorica, della quale è facilmente apprezzabile l’impianto urbanistico risalente alla prima metà del VI secolo a.C. I santuari maggiori erano dedicati ad Atena, nella città alta, e alla Vittoria: quest’ultimo tempio fu edificato dopo lo scontro che nel 480 a.C. oppose una coalizione di Greci di Sicilia ai Cartaginesi proprio sotto le mura della città. Nel 409 a.C. i Cartaginesi distrussero la città, ancora frequentata in epoca romana e medievale. Nel vicino Antiquarium sono esposti reperti provenienti sia dalla città che da altre località del territorio.
Info tel. 0931 573883 www.villaromanadeltellaro.com
Eloro, nei pressi dell’area archeologica, si conservano i resti di una delle piú raffinate abitazioni dell’aristocrazia siciliana del IV secolo d.C.: la Villa del Tellaro, che mostra lo sfarzo di una famiglia di latifondisti della tarda antichità, e la maestria degli artisti che realizzarono splendidi mosaici pavimentali. Per i temi, i colori, la resa dei volumi e dei movimenti e persino della psicologia dei personaggi che animano le scene di danza, di caccia o mitologiche, questi mosaici rappresentano uno dei momenti piú alti dell’arte musiva tardo-antica.
Info tel. 091 8140128; www.regione.sicilia.it
I
TAORMINA (Messina) Info tel. 0942 23220 www.regione.sicilia.it
U
ERACLEA MINOA (Agrigento) Info tel. 0922 846005; www.regione.sicilia.it
A
ridosso della spiaggia di Capo Bianco si trovano i resti di Eraclea Minoa, fondata da coloni greci di Selinunte nel VI secolo a.C. La tradizione la vuole legata alla morte del re cretese Minosse, ucciso qui dal sicano Caos. Dal III secolo a.C. la città è sotto il controllo di Roma, ma, già nel I secolo d.C., risulta abbandonata. In età paleocristiana e bizantina l’area extraurbana ospita una basilica. Tra le strutture riportate alla luce anche il suggestivo teatro. L’Antiquarium espone reperti provenienti perlopiú dalla necropoli.
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In alto uno dei mosaici pavimentali nella Villa romana del Tellaro. Tarda età imperiale, IV sec. a.C. Nella pagina accanto Filicudi (Isole Eolie), le capanne del villaggio dell’età del Bronzo scoperto sulla Montagnola di Capo Graziano.
n luogo magico, soprattutto se visitato la sera, se si odono le voci e i ritmi dei drammi greci e se da lontano l’Etna regala lo spettacolo delle sue eruzioni: il Teatro Greco Romano di Taormina. Fu edificato entro la prima metà del II secolo a.C., ma venne ristrutturato e ampliato nell’età augustea, arrivando cosí ad accogliere fino a 10 000 spettatori. Un ulteriore rifacimento si ebbe in età imperiale, intorno al II secolo d.C., con l’adattamento ai giochi gladiatori. Intorno al monumento si conservano i resti dell’antica Tauromenion, oggi inglobati nel tessuto urbano moderno. Fondata nel 358 a.C. dagli abitanti di Naxos, la città si sottomise a Roma nel 212 a.C. I resti del ginnasio con la biblioteca annessa, delle terme pubbliche del Foro, del piccolo odeon e di abitazioni private, alcune arricchite da mosaici, testimoniano l’importanza avuta anche in epoca imperiale.
LE ISOLE EOLIE (Messina)
Info tel. 090 9880174; www.regione.sicilia.it/beniculturali/museolipari
G
li antichi credevano che le isole distribuite a nord della costa settentrionale della Sicilia fossero abitate da Eolo, il dio dei venti: decisero perciò di chiamarle Eolie. Composto da Lipari, Vulcano, Stromboli, Salina, Filicudi, Alicudi e Panarea (a cui si aggiungono altre terre emerse minori), l’arcipelago è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2000. La sua frequentazione, e quella di Lipari in particolare, ebbe inizio nel IV millennio a.C., in epoca neolitica, da parte di gruppi interessati allo sfruttamento dell’ossidiana (il nero vetro vulcanico di cui fu qui scoperto uno dei giacimenti piú ricchi del Mediterraneo e che veniva utilizzato per fabbricare utensili di varia foggia). La lunga storia delle Eolie è documentata nel Museo Archeologico Regionale Eoliano «Luigi Bernabò Brea» di Lipari, le cui sale sono dislocate in vari edifici nella zona del Castello. Con questo nome si identifica il promontorio che domina l’abitato moderno e che, dall’età greca fino al Settecento, fu scelto come area di insediamento. Una frequentazione di cui si può avere un’idea visitando la zona archeologica, dove, in un contesto di eccezionale ricchezza e consistenza (la stratigrafia ha uno spessore compreso tra i 4 e i 9 m), sono conservati i resti di capanne dell’età del Bronzo e del Ferro, il pozzo rituale (bothros) di Eolo scavato in epoca greca e strutture relative alle insulae ellenistico-romane. Servendosi di traghetti o aliscafi si possono quindi raggiungere le altre isole dell’arcipelago. In particolare, sono mete obbligate Filicudi e Panarea. Entrambe furono frequentate da genti dell’età del Bronzo che vi fondarono villaggi i cui resti sono fra i siti preistorici piú spettacolari dell’intero bacino mediterraneo. L’abitato di Filicudi si trova in località Capo Graziano, mentre quello di Panarea occupa il promontorio del Milazzese.
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SICILIA
SELINUNTE (Trapani) Info tel. 0924 46540; www.selinunte.net
S
elinunte, la città del prezzemolo selvatico (selinon), fu fondata dai Megaresi di Sicilia nella seconda metà del VII secolo a.C. I templi che la caratterizzano sono testimonianza monumentale della religiosità dei suoi abitanti, ben descritta nella Grande Tavola selinuntina, un vero e proprio catalogo dei culti cittadini, rinvenuta nel tempio G. Il Parco Archeologico di Selinunte è molto esteso, e la visita si concentra su tre zone diverse, facilmente raggiungibili a piedi: la collina orientale con i tre templi E, F, G; l’acropoli, l’area sacra e le mura di fortificazione; i santuari di Demetra Malophoros e di Zeus Meilichios in contrada Gaggera. Per chi lo desideri, esiste la possibilità di effettuare la visita con veicoli elettrici.
Sulle due pagine disegno ricostruttivo ipotetico dell’aspetto della città di Selinunte prima del 250 a.C. anno della sua distruzione da parte dei Cartaginesi.
MORGANTINA (Enna)
Info tel. 0935 87955; www.regione.sicilia.it/beniculturali/
I
l Parco Archeologico di Morgantina e delle aree archeologiche di Aidone e dei Comuni limitrofi, comprende un vasto territorio frequentato sin dal XIX secolo a.C. Nell’XI secolo a.C. la collina della Cittadella ospita un insediamento di Siculi Morgeti. Tra il VII e il VI secolo a.C. i Greci fondano una piccola città, alla quale appartengono i resti dell’agorà, di un tempio e una necropoli. Distrutta nel 459 a.C., essa fu ricostruita sul pianoro antistante e raggiunse tra il IV e il III secolo a.C. il periodo di massimo splendore, testimoniato da architetture quali la magnifica
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scalinata trapezoidale, utilizzata come Ekklesiasterion, e il teatro. Il Museo Archeologico di Morgantina-Aidone ospita pregevoli reperti, alcuni restituiti da musei americani dove erano giunti a seguito di scavi clandestini, come la famosa Venere.
Qui sopra il teatro di Morgantina. III sec. a.C. Nella pagina accanto Palazzolo Acreide, le latomie.
PALAZZOLO ACREIDE (Siracusa) Info tel. 0931 876602; www.regione.sicilia.it/beniculturali/
N
el 664-663 a.C. i Corinzi siracusani fondarono Akrai sulla sommità di un colle inaccessibile, posto in posizione utile alle manovre di espansione e controllo del territorio da parte della colonia madre, Siracusa. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce l’assetto urbano riferibile ad almeno tre fasi (arcaica, ellenistica e romana): le strade, il teatro, il bouleuterion, un tempio databile al VI secolo a.C., e le latomie (cave di pietra) dell’Intagliata e dell’Intagliatella, utilizzate poi in epoca bizantina come sepolcreti e abitazioni. La cittadella fu definitivamente distrutta dagli Arabi nell’827 d.C.
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SICILIA
SEGESTA (Trapani) Info tel. 0924 952356; www.regione.sicilia.it
M
iticamente fondata da Enea prima di giungere a Roma, Segesta è la piú importante città degli Elimi, genti che arrivarono a controllare la maggior parte della Sicilia Occidentale tra il IX e il VI secolo a.C. Tra i resti ancora visibili spiccano il monumentale tempio dorico, l’ultimo grande periptero costruito in Sicilia in epoca greca,
LA VALLE DEI TEMPLI (Agrigento) Info tel. 0922 621611; www.parcovalledeitempli.it/
L’
integrazione tra monumenti e ambiente risalta fortemente quando, lasciata l’urbanistica movimentata della città di Agrigento, ci si avvia lungo il comodo e pianeggiante percorso di visita del parco. Qui, sfiorando i maestosi ed eponimi templi, attraversiamo la città antica, immersi tra i
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In alto il tempio dorico di Segesta. V sec. a.C. Nella pagina accanto, in alto, l’area archeologica di Solunto. Nella pagina accanto, in basso i resti dell’Ara di Ierone nel Parco Archeologico della Neapolis.
Sulle due pagine veduta panoramica della Valle dei Templi. Sullo sfondo, a destra, i resti del tempio dedicato a Hera (Giunone Lacinia). IV sec. a.C.
iniziato intorno al 420 a.C. e sicuramente abbandonato prima del suo compimento. Dell’edificio rimangono oggi in piedi l’intero colonnato di 6 x 14 colonne con la trabeazione, l’architrave, il fregio dorico e i due timpani sui lati corti. Molti blocchi presentano ancora le bozze per facilitare la messa in opera, che venivano tagliate solo in fase di rifinitura. Sul versante nord dell’acropoli venne costruito, con blocchi di calcare locale, un teatro con la cavea delimitata da possenti mura di sostegno. Lo splendido edificio viene tutt’oggi utilizzato per affascinanti rappresentazioni estive.
mandorli e gli olivi secolari. Nulla sembra cosí lontano come le vicine e frequentate spiagge di San Leone; l’oasi del parco è protetta da mura invisibili che sovrastano nettamente quelle greche che difendevano la città verso sud e nemmeno il caotico traffico della sottostante strada litoranea riesce a scalfire la magica atmosfera controllata dai distesi telamoni. Zeus, Giunone, Ercole, Vulcano, i Dioscuri e la Concordia, dall’interno dei colonnati, fanno altresí buona guardia. Akragas è ancora lí, a disposizione di chiunque voglia approfittarne.
SIRACUSA
Info tel. 0931 66206; www.siracusaturismo.net
L
a grande area dell’antica città di Archimede costituisce il nucleo fondamentale del Parco Archeologico della Neapolis. Spiccano alcuni monumenti pubblici, tra i quali il teatro, la soprastante area del ninfeo, con la via dei Sepolcri, l’area del santuario di Apollo, l’ara di Ierone, l’anfiteatro romano, un’ampia area di cave di pietra (latomie), una vasta necropoli (detta Grotticelli) e la chiesetta normanno-sveva di S. Nicolò. Il teatro, che viene ancora oggi utilizzato per suggestive rappresentazioni, risale al III secolo a.C., mentre a est si possono visitare le impressionanti latomie con il caravaggesco Orecchio di Dioniso.
SOLUNTO (Palermo)
Info www.comune.santaflavia.pa.it
P
osta sul bellissimo promontorio sul mare del Monte Catalfano, l’antica Solunto presenta oggi le strutture di età ellenistico-romana, le piú antiche risalenti alla fine del IV secolo a.C., allorquando il tiranno siracusano Dionisio debellò le ultime resistenze delle città puniche d’Occidente (compresa la stessa Solunto). L’architettura domestica è caratterizzata da case su piú piani e da ambienti distribuiti attorno a peristili: tra tutte ricordiamo la cosiddetta Casa di Leda (II secolo a.C.-I secolo d.C.), cosí denominata dalla raffigurazione di Leda e il cigno su una parete del triclinio.
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SARDEGNA
SANTA CRISTINA DI PAULILATINO (Oristano) Info tel. 0785 55438; sardegnacultura.it
S
iamo in quella parte di Sardegna dove il paesaggio delle colline nuoresi degrada verso le lagune di Cabras e Oristano; dove s’interrompe quella che potremmo definire la «Barbagia culturale», in prossimità di Sedilo, e dove l’artificiale lago Omodeo fa bella mostra di sé. Sfiorata Ghilarza, raggiungiamo l’odierna Paulilatino e la superiamo, percorrendo la statale 131. A 4 km, ben segnalata e visibile, si estende l’area archeologica, coronata da casupole in pietra lavica locale, i muristenes, tra le quali emerge la chiesa di S. Cristina. Il pozzo omonimo, realizzato per raggiungere la vena d’acqua sottostante, è uno degli edifici piú rappresentativi dell’architettura sacra nuragica.
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Il pozzo sacro di Santa Cristina è composto da due elementi, uno ipogeo (la tholos; una falsa cupola formata da anelli aggettanti di blocchi di pietra), l’altro epigeo (l’atrio rettangolare e lo spazio circolare soprastante la tholos sotterranea), collegati tra loro da una scala, anch’essa ipogea. Centro dell’edificio è la vena d’acqua che viene raccolta entro una vasca circolare scavata nella roccia basaltica, profonda 0,50 m che costituisce il pavimento stesso dell’ambiente sotterraneo voltato a tholos. Il vano ipogeo è circolare (diametro 2,54 m) e la sua copertura, costituita da blocchi perfettamente squadrati disposti in filari aggettanti, si eleva per quasi 7 m; il culmine della tholos è privo ora della pietra di chiusura che doveva esservi in origine. Alla vena sorgiva si accede attraverso una scala composta da 25 gradini, scavata nel sottosuolo, con copertura anch’essa gradonata, realizzata – come tutto il resto della struttura ipogea – con blocchi di pietra
L’imboccatura del pozzo sacro di Santa Cristina, con l’atrio rettangolare e la scala ipogea che conduce alla tholos sottostante. Nella pagina accanto veduta del villaggio nuragico Su Nuraxi di Barumini.
isodomi (di uguale altezza e spessore). L’atrio si configura come una sorta di vestibolo che doveva introdurre nel penetrale del tempio (la parte piú interna del luogo di culto), nelle profondità della terra, a contatto con l’acqua, probabilmente inaccessibile ai piú. Alla base delle pareti dell’atrio rettangolare e dell’adiacente vano circolare si sviluppa un basso sedile-bancone, che contribuisce a identificare questi spazi come quelli riservati ai riti comunitari. L’andamento verticale, e non aggettante, dei brevi tratti murari di alzato che si sono conservati suggerisce che la copertura di questi due vani fosse lignea e straminea, a doppio spiovente in coincidenza dell’atrio di forma quadrangolare, e di forma conica, invece, in corrispondenza del tamburo circolare del pozzo. A breve distanza dal pozzo, a est, si nota una grande struttura circolare (diametro 10 m) con acciottolato pavimentale e un basso sedile lungo il perimetro interno, interpretabile come una «capanna delle riunioni» per i rappresentanti delle comunità del territorio che dovevano convenire al santuario in occasione delle periodiche cerimonie religiose. A ridosso della capanna si trovano un vano piú piccolo, a essa addossato, e un grande recinto; data l’assenza di rinvenimenti significativi al loro interno, di entrambi non è possibile specificare le funzioni. A nord-ovest di queste strutture sono stati messi in luce i filari di base di diversi ambienti a pianta quadrangolare, alcuni dei quali a vano unico, altri divisi in due spazi coassiali. Nella zona a nord del pozzo si sviluppa una sequenza di ambienti affiancati, aperti sulla fronte e realizzati disponendo tramezzi paralleli su un unico paramento murario ad andamento rettilineo, che costituisce la parete di fondo. La presenza di strutture analoghe presso altri complessi cultuali (per esempio Santa Vittoria di Serri) permette di ricondurre questo modulo architettonico ad attività particolari – di mercato o di sosta dei pellegrini –connesse alle cerimonie cultuali.
BARUMINI SU NURAXI (Medio Campidano) Info tel. 070 9361039 www.fondazionebarumini.it/
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i piedi dell’altopiano basaltico della Giara di Gesturi, vicino al paese di Barumini, si trova il piú importante sito archeologico della Sardegna, dichiarato nel 1997 dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità: si tratta del villaggio nuragico Su Nuraxi, scavato da Giovanni Lilliu tra il 1950 e il 1955, la piú significativa testimonianza della civiltà nuragica. La complessità del sito e il suo ottimo stato di conservazione, fanno del parco archeologico un’esperienza unica per ripercorrere le vicende della Sardegna preistorica. Al centro dell’insediamento è la fortezza principale, costituita da un bastione di quattro torri angolari piú una centrale, risalente all’età del Bronzo Medio (XV secolo a.C.). Un muro, databile al Bronzo Recente (inizi del XIII-fine del XII secolo a.C.), circonda e rinforza il bastione. Per entrarvi, si deve attraversare, oggi come un tempo, una porticina sopraelevata posta a 7 m circa di altezza, che rendeva la torre una fortezza inespugnabile. Attorno al torrione quadrilobato si estende un villaggio costituito da una cinquantina di capanne circolari realizzate con massi a secco, tra cui si possono riconoscere quelle destinate al capo del villaggio e alle assemblee degli abitanti. L’abitato conobbe una frequentazione anche nelle epoche successive, dalla fase di occupazione da parte delle popolazioni puniche fino all’Alto Medioevo (V-VIII secolo d.C.).
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SARDEGNA
NORA (Cagliari)
Info tel. 070 921470; www.sardegnacultura.it; www.nora.it
P
ochi chilometri a ovest di Cagliari, sul promontorio di capo di Pula, separato dalla terraferma da un istmo che si estende in due punte (a ovest Sa Punta ‘e Su Coloru, a est la Punta del Coltellazzo, dominata dalla omonima torre spagnola), si trova la città fenicio-punica di Nora, capitale del popolo dei Noritani. Pausania ne attribuisce la fondazione all’ibero Norace, e la definisce la prima città della Sardegna. In effetti da qui provengono le piú antiche testimonianze epigrafiche fenicie, risalenti all’VIII secolo a.C. Il sito era frequentato già nell’età del Bronzo, come provano alcune tracce della presenza nuragica. Dopo la fase fenicia, Nora diviene, tra il V e il III secolo a.C., un importante centro amministrativo, religioso e commerciale sotto il controllo punico, fino al 238 a.C., quando con la conquista romana dell’isola, diviene prima sede del governatore e poi municipio. La fase romana, soprattutto tra il II e il III secolo d.C., ha ridefinito in gran parte l’impianto urbanistico, con imponenti edifici pubblici, tra cui il pregevole e ben conservato teatro, capace di contenere circa 1200 spettatori, dove
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tuttora si svolgono spettacoli e concerti; tra gli altri monumenti, sono da annoverare la piazza del Foro, il tempio con la cella pavimentata a mosaico, posto sulla strada che collega il Foro al teatro, ben quattro edifici termali, la basilica, e tra gli edifici di culto il santuario di Esculapio, corrispondente al punico Eshmun. Qui gli scavi hanno portato al ritrovamento di statuette di dormienti, riferibili al rito dell’incubazione; una di queste è inoltre raffigurata avvolta nelle spire del serpente, animale sacro al dio. Dell’importanza e della prosperità di Nora come centro dove arrivavano merci da tutto il Mediterraneo, superiore anche a Cagliari, sono prova le numerose testimonianze archeologiche ed epigrafiche, che ci danno un vivo spaccato della vita dei suoi abitanti. Il declino della città inizia nel V secolo d.C., con l’occupazione vandala (456-466 d.C.), per arrivare al definitivo abbandono intorno all’VIII secolo d.C. a causa delle incursioni saracene, che costrinsero gli abitanti delle coste sarde a ritirarsi nell’entroterra. Benchè abbandonata, la zona ha costituito in epoca medievale un importante polo di coesione di piccole comunità cristiane, legate al culto del martirio di sant’Efisio, rimasto vivissimo sino ai giorni d’oggi e testimoniato dalla chiesetta sull’istmo, edificata dopo il 1089 dai frati Vittorini di Marsiglia.
Veduta dell’area archeologica di Nora; sullo sfondo, il promontorio di Punta del Coltellazzo, con l’imponente torre spagnola.
THARROS (Oristano)
Info tel. 0783 370019; www.sardegnacultura.it; www.tharros.info/
L’
insediamento di Tharros sorge all’estremità sud della penisola del Sinis. Si dispiega nel golfo di Oristano su una sorta di anfiteatro naturale delimitato a nord dalla collina di Su Murru Mannu (grande muso), a ovest da quella della torre di San Giovanni e a sud dall’istmo che collega quest’ultima al promontorio di Capo San Marco. La città venne fondata dai Fenici verso la fine dell’VIII secolo,
su un precedente insediamento nuragico; resti di un altro nuraghe posto a controllo della collina di San Giovanni si trovano al di sotto della cinquecentesca torre spagnola; un altro piccolo nuraghe sorge sul Capo San Marco. Questo dimostra l’importanza strategica per il controllo del territorio e della costa dell’insediamento fin dai tempi piú antichi. Proprio per questo, nella seconda metà del VI secolo a.C. rientra nelle mire espansionistiche di Cartagine; alla fase punica, compresa tra il VI secolo e la conquista romana del 238 a.C., si devono molti degli edifici monumentali e di culto della città, tra cui il cosiddetto tempio
Veduta degli scavi archeologici di Tharros. Fondata dai Fenici nell’VIII sec. a.C., la città passò poi sotto il controllo dei Cartaginesi (VI sec. a.C.) e dei Romani (III a.C.).
monumentale o «tempio delle semicolonne doriche». In epoca romana il sito subisce importanti cambiamenti urbanistici, soprattutto a partire dall’età imperiale, che interessano il sistema viario e i quartieri di abitazione, soprattutto sul colle di Murru Mannu. Nel II secolo d.C. viene realizzata la pavimentazione in basalto delle strade, con un complesso sistema fognario al di sotto di esse, tuttora ben visibile, che assicurava lo smaltimento delle acque; allo stesso periodo risale l’acquedotto, i cui resti sono ancora in parte visibili sulla strada che conduce al sito. Le necropoli puniche all’esterno dell’abitato,
vengono ancora frequentate e ampliate in epoca romana, invadendo tutto l’istmo fino al colle di S. Giovanni, e verso l’interno, soprattutto nell’area in cui in età bizantina sorse la chiesa di S. Giovanni Battista. La vita della città continua anche in epoca paleocristiana e altomedievale; dopo essere divenuta sede episcopale, molti edifici romani vengono riutilizzati e modificati, come gli impianti termali trasformati in chiese basilicali. Le incursioni saracene provocarono poi un lento spopolamento, finché nel 1071, con il trasferimento della sede episcopale a Oristano, l’antico centro viene abbandonato.
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SARDEGNA
MONTE SIRAI (Carbonia-Iglesias)
COMPLESSO NURAGICO «GENNA MARIA» (Medio Campidano)
I
A
Info tel. 0781 62665; www.sardegnacultura.it
l Parco archeologico conserva le testimonianze di una frequentazione avvenuta sin dal IV millennio a.C. (tombe a domus de janas e resti di un villaggio eneolitico). I Fenici fondarono la loro colonia alla metà dell’VIII secolo a.C., integrandosi con le genti nuragiche. Nel 520 a.C. i Cartaginesi incendiarono la città antica per riedificarne una nuova, ampliata intorno al 250 a.C. La presenza dei Romani sull’isola (a partire dal 238 a.C.) decretò la crisi della città, abbandonata intorno al 110 a.C. forse in seguito a una deportazione della popolazione.
Info tel. 070 9300050; www.sardegnacultura.it; www.gennamaria.it
ll’interno di un parco alberato sulla sommità di una collina a circa 1 km dal paese di Villanovaforru, si trova il Complesso Nuragico di «Genna Maria». La sua posizione dominante permette di controllare tutto il territorio compreso tra il golfo di Cagliari e quello di Oristano. Il sito è costituito da un nuraghe trilobato circondato da un antemurale turrito, risalente a un periodo compreso tra l’età del Bronzo Medio e il Bronzo Finale (XV-XI secolo a.C.). Il complesso fortificato subisce un notevole ridimensionamento nel X secolo, a causa di un episodio distruttivo. Nel secolo successivo, sulle antiche strutture si impianta un villaggio di capanne, completamente distrutto da un incendio alla fine del IX secolo a.C., che ha causato il definitivo abbandono del sito. Chi voglia comprendere la vita quotidiana di questa piccola comunità agricola dell’età del Ferro, con le attività legate all’agricoltura, all’allevamento e alla caccia, non può infine fare a meno di visitare il vicino Museo Archeologico di Genna Maria a Villanovaforru, dove sono esposti i materiali rinvenuti negli scavi, oltre a reperti provenienti dai siti del territorio della Marmilla compresi in un arco di tempo che va dal Neolitico all’età bizantina.
SU ROMANZESU (Nuoro) Info tel. 078 4415124; www.sardegnacultura.it
S
ette ettari, cento capanne, un edificio cultuale a pozzo e quattro a «megaron», un ampio spazio cerimoniale all’interno di un vasto recinto: questi i numeri di uno dei siti piú suggestivi della Sardegna nuragica, Su Romanzesu di Bitti, immerso in un caratteristico bosco di sughere.
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A destra statua della dea fenicia Astarte proveniente da Monte Sirai. In basso i resti dell’anfiteatro di Su Romanzesu. Nella pagina accanto, in alto i resti del Complesso Nuragico «Genna Maria». Nella pagina accanto, in basso, Turris Libisonis, mosaico pavimentale proveniente dalla «Domus di Orfeo» (II-III sec. d.C.).
TURRIS LIBISONIS (Sassari)
Info tel. 079 500800; www.sardegnacultura.it; www.museosannasassari.beniculturali.it
L
a fondazione della colonia romana di Turris Libisonis viene tradizionalmente attribuita a Giulio Cesare (che soggiornò in Sardegna nel 46 a.C.) o a Ottaviano (intorno al 42 a.C.). L’abitato moderno si sovrappone all’insediamento romano. Nell’area archeologica (aperta al pubblico a orari prestabiliti) si conservano testimonianze dei quartieri urbani di epoca imperiale. Lungo il Rio Mannu è possibile ammirare il ponte costruito agli inizi del I secolo d.C., notevole opera dell’ingegneria antica.
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MONOGRAFIE
n. 7 (giugno 2015) Registrazione al Tribunale di Milano n. 467 del 06/09/2007 Direttore responsabile: Pietro Boroli Direttore editoriale: Andreas M. Steiner a.m.steiner@mywaymedia.it Redazione: Stefano Mammini stefano.mammini@mywaymedia.it Redazione: Piazza Sallustio, 24 - 00187 Roma tel. 02 00696.352 Collaboratori della redazione: Ricerca iconografica: Lorella Cecilia lorella.cecilia@mywaymedia.it Impaginazione: Davide Tesei, Alessia Pozzato Gli autori: Carlo Casi è archeologo e direttore di Mastarna s.r.l., ente gestore del Parco Naturalistico Archeologico di Vulci. Luciano Frazzoni è direttore del Museo Civico «F. Rittatore Vonwiller» di Farnese. Manuela Paganelli è archeologa presso Mastarna s.r.l. Illustrazioni e immagini: Shutterstock: copertina e pp. 6/7, 8/9, 12, 14-15, 26/27 (e part. a p. 6, sinistra), 28/29, 42, 72 (riquadro), 72/73 (e part. a p. 6, centro), 74, 76-77, 80/81, 90/91, 95, 98-99, 102/103, 110 (basso), 120, 121, 122, 122/123, 123 (alto) – Doc. red.: pp. 7, 13 (basso), 16 (destra), 26, 31-33, 35, 38-39, 43, 46, 48, 50, 50/51, 5253, 57-71, 82-83, 86-87, 88 (basso), 89 (alto), 96, 96/97 (e part. p. 6, destra), 97, 106, 107 (sinistra), 111-117, 123 (centro), 124, 128 (destra), 129 (basso) – Su concessione della Regione Autonoma Valle d’Aosta-Assessorato Istruzione e Cultura-Dipartimento Soprintendenza per i beni e le attività culturali-Struttura Restauro e valorizzazione-Archivi Ufficio beni archeologici: p. 13 (alto; rendering Viola-Tresca), 13 (centro; foto F. Mezzena) – Stefano Mammini: pp. 16 (sinistra), 29, 30, 37 (alto), 119 – Su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo/Soprintendenza Archeologia della Lombardia: pp. 20-21, 23, 24 – DeA Picture Library: p. 128 (sinistra); A. De Gregorio: p. 17; M. Borchi: pp. 47, 88 (alto); S. Vannini: p. 90 – Francesco Corni: disegni alle pp. 18/19, 89, 120/121 – Marka: Matz Sjöberg: pp. 22/23 (su concessione MiBACT); Danilo Donadoni: pp. 25 (su concessione MiBACT), 36 (alto), 40-41, 55, 94, 104/105; Christian Handl/Image Broker: p. 27; Olaf Protze: pp. 34/35; Giovanni Mereghetti: p. 36 (basso); Giorgio Allegretti: pp. 36/37; Marco Scataglini: pp. 54, 73; Claudio Ciabochi: pp. 56/57; Ezio Bocci: p. 75; Judy Edelhoff: pp. 79, 80; Ulysses: pp. 100/101; Sonnia Menke: p. 105; Jiri Hubatka/Image Broker: p. 107 (destra); Christophe Boisvieux: p. 118; Giuseppe Reani: p. 125; Dirk Renckhoff/Image Broker: p. 126; Peter Giovannini/Image Broker: p. 127 – Studio Inklink, Firenze: p. 49 (alto), 51 – Corbis Images: Leemage: p. 78; Araldo de Luca: pp. 92/93 – Getty Images: EyeOn: p. 129 (alto) – Cippigraphix: cartine e rielaborazioni grafiche alle pp. 10/11, 18, 22, 28, 33, 44/45, 48/49, 84/85, 90, 108/109, 113. Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze. Presidente: Federico Curti Amministratore delegato: Stefano Bisatti Coordinatore editoriale: Alessandra Villa Segreteria marketing e pubblicità: segreteriacommerciale@mywaymedia.it tel. 02 00696.346 Direzione, sede legale e operativa: via Roberto Lepetit 8/10 - 20124 Milano tel. 02 00696.352 Distribuzione in Italia m-dis Distribuzione Media S.p.A. via Cazzaniga, 19 - 20132 Milano Tel 02 2582.1 Stampa NIIAG Spa Via Zanica, 92 - 24126 Bergamo Arretrati Per richiedere i numeri arretrati contattare: E-mail: abbonamenti@directchannel.it Fax: 02 252007333 Posta: Direct Channel Srl Via Pindaro, 17 20128 Milano Informativa ai sensi dell’art. 13, D. lgs. 196/2003. I suoi dati saranno trattati, manualmente ed elettronicamente da My Way Media Srl – titolare del trattamento – al fine di gestire il Suo rapporto di abbonamento. Inoltre, solo se ha espresso il suo consenso all’atto della sottoscrizione dell’abbonamento, My Way Media Srl potrà utilizzare i suoi dati per finalità di marketing, attività promozionali, offerte commerciali, analisi statistiche e ricerche di mercato. Responsabile del trattamento è: My Way Media Srl, via Roberto Lepetit 8/10 - 20124 Milano – la quale, appositamente autorizzata, si avvale di Direct Channel Srl, Via Pindaro 17, 20144 Milano. Le categorie di soggetti incaricati del trattamento dei dati per le finalità suddette sono gli addetti all’elaborazione dati, al confezionamento e spedizione del materiale editoriale e promozionale, al servizio di call center, alla gestione amministrativa degli abbonamenti ed alle transazioni e pagamenti connessi. Ai sensi dell’art. 7 d. lgs, 196/2003 potrà esercitare i relativi diritti, fra cui consultare, modificare, cancellare i suoi dati od opporsi al loro utilizzo per fini di comunicazione commerciale interattiva, rivolgendosi a My Way Media Srl. Al titolare potrà rivolgersi per ottenere l’elenco completo ed aggiornato dei responsabili.