Paolo Tomio
IL PESO DEL
MERCATO ARTE ARTISTI OPERE D’ARTE PREZZI icsART
Volume secondo Annate 4.2016 - 3.2018
Copyright icsART Tutti i diritti sono riservati - Curatore e responsabile Paolo Tomio L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare
Paolo Tomio
IL PESO DEL
MERCATO ARTE ARTISTI OPERE D’ARTE PREZZI icsART
Volume secondo Annate 4.2016 - 3.2018
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IL PESO DEL MERCATO - icsART Volume Secondo
In questo Secondo Volume, sono riportati tutti gli articoli riguardanti il rapporto tra gli artisti contemporanei e il mercato dell’arte, pubblicati sulla rivista digitale icsART (ex FIDAart) a partire dall’aprile 2016 fino al marzo 2018. Gli articoli pubblicati su FIDAart fanno parte del Volume Primo. Il tema centrale di questa rassegna di articoli è la descrizione e il tentativo di comprendere il fenomeno delle vendite a livello internazionale, in particolare riferito alle grandi case d’asta, e la logica che intercorre tra le caratteristiche dell’opera e le oscillazioni del suo prezzo sul libero mercato. E’ indubbio che nel corso degli ultimi decenni il mercato dell’arte abbia compiuto un salto di qualità che ne ha modificato radicalmente la struttura economico-commerciale ma, soprattutto, ed è quello che si intendeva approfondire, l’essenza stessa del fare arte. Quando il dipinto di un artista vivente, magari di qualità tecnica modesta, è battuto a prezzi molto superiori a quelli di importanti pittori scomparsi appartenenti alle grandi correnti storiche, dovrebbe essere evidente che le logiche che regolano il cosiddetto “mercato”, hanno poco a che fare con il valore artistico e seguono percorsi più legati a meccanismi speculativi finalizzati al profitto che alla qualità culturale reale. L’artista è sempre stato storicamente oltre che un “creatore” anche un “venditore”, nel senso che, per poter vivere, tutti, chi più chi meno, hanno venduto le proprie opere ai prezzi che amatori, collezionisti o semplici affaristi hanno loro offerto. I meccanismi del mercato hanno sempre funzionato fin dai tempi più antichi e il prezzo delle opere dell’artista cresceva di pari passo con l’aumentare della fama dell’autore (e viceversa). Artista, qualità, opera e prezzo erano indissolubilmente legati tra di loro in un rapporto socialmente riconosciuto. La realtà era connotata da pochi artisti selezionati in base alle loro capacità oggettive, da poche opere di qualità condizionate dal tempo necessario alla loro esecuzione e da prezzi strettamente legati alla richiesta di una minoranza che poteva permettersele. Con l’avvento della borghesia ricca, il bacino è andato ampliandosi e la quantità delle opere da immettere sul mercato dell’arte è andata progressivamente crescendo. Le nuove tecniche, i materiali e i linguaggi moderni, meno vincolati alle forme della tradizione, hanno dato un impulso straordinario allo sviluppo di tutti i tipi di arte rendendola un’attività culturale importante e una realtà commerciale sempre più diffusa. Con la nascita delle gallerie d’arte, dei mercanti d’arte e delle case d’aste, l’arte moderna veniva coinvolgendo sempre più figure professionali interessate al suo sviluppo e, soprattutto, alla sua valorizzazione. Con la rivoluzione dell’arte moderna, prima invisa e poi guardata con sospetto da amatori e collezionisti, assumeva sempre maggiore importanza il ruolo del critico, l’”esperto” il quale, certificava la qualità dell’artista e, di conseguenza, il valore economico delle sue opere. L’artista, all’interno di questi meccanismi era normalmente poco interessato a capirli e seguirli ma, essendo tali da permettergli di trarre un guadagno e una sicurezza economica continuativa o crescente, li accettava perché gli davano modo di lavorare con tranquillità godendo di un ruolo e un riconoscimento culturale e sociale. Di contro, man mano che cresceva il peso delle componenti organizzative e commerciali del mercato dell’arte, l’artista diventava solo uno degli elementi della 5
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struttura e, non sempre il più importante. I nuovi linguaggi dell’arte moderna e contemporanea hanno permesso di superare il concetto storico di “qualità artistica” fondato sulle prerogative peculiari, uniche e non sostituibili dell’artista, a favore di una più ampia inventiva comunicativa legata alla novità dell’opera, al suo essere un “brand” (un marchio) riconoscibile e ricercato. Non dovendo più dimostrare capacità tecniche, estetiche e formali particolari, anzi, spesso rifiutando e contestando queste categorie “accademiche”, gli artisti moderni hanno inseguito tutte le strada della provocazione nei confronti della società che, alla fine, si è rivoltata contro di loro dando luogo a un fenomeno degenerativo alla portata di chiunque. Se l’orinatoio “Fontana” di Duchamp è stato definito l’opera d’arte più importante del ‘900, dopo di allora ogni giovane dotato di un minimo di fantasia si è sentito autorizzato a proporre qualsiasi idea cervellotica, convintissimo di essere un vero artista. Se tutto è arte, allora tutti sono artisti e, quindi, la selezione nelle arti visive non è più di competenza del mondo della cultura storica e disciplinare ma può essere normalmente gestita dal mondo del denaro, vale a dire dal Mercato, il quale dispone indubbiamente di parametri più scientifici perché quantitativi: l’opera più pagata è l’opera con il maggior valore artistico. Concetto semplice e accessibile a tutti. Un po’ come a una gara di macchine o una partita di basket: chi arriva primo, vince. E chi vince è - per definizione - il Migliore. Ma quale è, o dovrebbe essere, il valore di un’opera d’arte ritenuta di qualità dal mercato? Non si sa, e non è facile capirlo perché è il mercato stesso che stabilisce i prezzi in base all’unico sistema oggi accettato, quello della domanda e dell’offerta. La “qualità” è solo uno dei tanti parametri - e nemmeno il più importante - che entrano in gioco nella compravendita di quegli oggetti a contenuto estetico (o antiestetico) che sono definiti opere d’arte. Allora cos’è questo mercato che - oggettivamente - riesce a individuare tra milioni e milioni di opere d’arte offerte, quelle che sono giudicate unanimemente le migliori? In realtà, il cosiddetto libero mercato non esiste perché la merce - l’opera d’arte è una merce, esattamente come qualsiasi altra prodotto messo in vendita - è soggetta a una selezione preventiva da parte del “sistema dell’arte”(galleristi, critici, curatori, fiere) il quale, dopo una scrematura, individua gli artisti suscettibili di essere portati a livelli più alti (musei, case d’aste). I collezionisti, privati e istituzionali, sono il punto d’arrivo di tutto il percorso svolto dall’artista in quanto dotati della necessaria disponibilità economica e perché interessati all’arte come investimento culturale e/o finanziario. L’arte, infatti, è un investimento che promette di rendere in modo assolutamente non proporzionale rispetto alla spesa iniziale: in fondo, la speranza di questi collezionisti amanti delle opere d’arte, è sempre quella di acquisire un pezzo desiderato spendendo il meno possibile per ritrovarsi - in tempi brevi - restituito il capitale rivalutato, senza aver fatto nulla perché ciò accadesse. Le opere di un gruppo limitato e selezionato di artisti sono sono dei brand assoggettati alle leggi del marketing: scambiate, comprate, vendute e rivendute a livello mondiale secondo criteri e prezzi apparentemente irrazionali o, peggio, demenziali, ma che, in quanto stabiliti dalla legge della domanda e dell’offerta, cioè dal mercato, sono quanto di meglio si possa auspicare per l’Arte. Quando si spostano decine o centinaia di milioni di dollari il gioco si fa duro. «E, quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare». (Bluto, in “Animal House”). Paolo Tomio Marzo 2018
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INDICE
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2016 Aprile
Anno 5 - N.4
AMEDEO MODIGLIANI
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2016 Maggio
Anno 5 - N.5
DONALD JUDD
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2016 Giugno
Anno 5 - N.6
MARK GROTJAHN
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2016 Luglio
Anno 5 - N.7
PETER DOIG
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2016 Agosto
Anno 5 - N.8
MARTIN KIPPENBERGER
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2016 Settembre
Anno 5 - N.9
TAKASHI MURAKAMI
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2016 Ottobre
Anno 5 - N.10 ANDREW WYETH
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2016 Novembre
Anno 5 - N.11 ALBERTO GIACOMETTI
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2016 Dicembre
Anno 5 - N.12 RICHARD PRINCE
28
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2017 Gennaio
Anno 6 - N.1
FERNANDO BOTERO
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2017 Febbraio
Anno 6 - N.2
CONSTANTIN BRANCUSI
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2017 Marzo
Anno 6 - N.3
ALEX KATZ
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2017 Aprile
Anno 6 - N.4
ENRICO CASTELLANI
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2017 Maggio
Anno 6 - N.5
ROBERT RYMAN
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2017 Giugno
Anno 6 - N.6
JEAN DUBUFFET
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2017 Luglio
Anno 6 - N.7
JOSEF ALBERS
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2017 Agosto
Anno 6 - N.8
TAMARA DE LEMPICKA
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2017 Settembre
Anno 6 - N.9
ROBERT RAISCHEMBERG
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2017 Ottobre
Anno 6 - N.10 GEORG BASELITZ
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2017 Novembre
Anno 6 - N.11 HELEN FRANKENTHALER
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2017 Dicembre
Anno 6 - N.12 EDVARD MUNCH
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2018 Gennaio
Anno 7 - N.1
YAYOI KUSAMA
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2018 Febbraio
Anno 7 - N.2
FERNAND LÉGER
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2018 Marzo
Anno 7 - N.3
PIERRE SOULAGES
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Aprile 2016, Anno 5 - N.4
MERCATO DELL’ARTE ? incompreso, colto e sensibile, bello ed elegante nonostante gli abiti modesti che indossava con aristocratica naturalezza, morto tragicamente in miseria a soli 35 anni. La sua è stata un'esistenza breve ma intensa, sfortunata e difficile economicamente eppure ricca di passioni, cultura, poesia, amici e tante donne. Una vita di stenti che unita alla salute precaria e al suo stile bohémien, l'abuso di vino, assenzio e anche di hashish, lo ha ucciso lentamente contribuendo a creare la sua leggenda di maudit artiste (artista maledetto). Nato a Livorno, quarto figlio di una famiglia ebraica sefardita, padre romano, imprenditore con grossi problemi economici, madre francese, di famiglia colta e intellettuale, fin da giovanissimo Amedeo mostra una predisposizione per l'arte che si trasforma in una profonda passione. Dopo aver studiato nudo a Firenze e frequentato la Scuola d'arte a Venezia, a soli 22 anni, si trasferisce a Parigi nel quartiere degli
AMEDEO MODIGLIANI (1884-1920), Nu couché, 1917-1918, olio su tela, 60x92 cm, Christie’s New York 2015, venduto a $ 170.405.000 (€ 149.666.000) Vedi a pag. 30. Il prezzo battuto certifica come Modigliani sia ormai considerato uno dei più grandi artisti del XX secolo portandolo ai livelli del suo amico-nemico Picasso. I nudi sono i soggetti più rari, più ambiti e i più costosi di tutta la sua produzione pittorica forse perché esprimono bene quel che disse Modì: "Quando una donna posa per un pittore, si dà a lui". Negli ultimi 12 anni, solo due nudi sono apparsi in asta: nel 2003, Nu couché (sur le côté gauche) e, nel 2010, Nu assis sur un divano (vedi a pag.21). Nu couché, uno dei suoi nudi più famosi, è il ritratto di una modella dalle forme scultoree, la pelle tonalità albicocca e di una bellezza assolutamente moderna, distesa in un atteggiamento sensuale privo di inibizioni: una fusione perfetta di idealismo classico, realismo erotico e invenzione modernista. Amedeo Modigliani è il pittore entrato nell'immaginario collettivo come archetipo del genio AMEDEO MODIGLIANI, Portrait du sculpteur Oscar Miestchaninoff, 1916, olio su tela, 81x65 cm, Christie's New York 2007, venduto a $ 30.841.000
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AMEDEO MODIGLIANI artisti di Montmartre; qui, anche se non aderisce ad alcuna corrente, conosce e frequenta Picasso, Soutine, Derain, Brancusi, Picabia, Gris, Apollinaire, Utrillo, Max Jacob. Quando scopre "l'Arte negra" di Brancusi si dedica quasi completamente alla scultura producendo una serie di significative opere caratterizzate da una stilizzazione geometrica, fisionomie semplificate e ieratiche come nella "Tête" del 1911-12 (vedi a pag.28), una "maschera" con la fissità da idolo pagano e il sorriso enigmatico da cui promana un'aria di mistero e spiritualità. Nel 1914 deve abbandonare la scultura perché gli sforzi per lavorare il materiale e il contatto con la polvere peggiorano la tubercolosi che lo affligge fin dall'infanzia. Ritorna alla pittura lavorando solitario e individualista, tentando di vendere qualche tela: nel corso dei pochi anni che gli rimangono produce un'enorme quantità di ritratti, figure e nudi in cui, anche se sembra seguire la nuova pittura, si riconoscono le radici dell’arte del Trecento toscano e del classicismo rinascimentale, reinterpretate dalla sua capacità di rappresentare ciò che vede e che sente in un modo del tutto intimista. In tutti i dipinti è riconoscibile quello che sarà definito lo "stile Modigliani": volti allungati e stilizzati, linee tonde, occhi a mandorla spesso vuoti, bocche piccole e colli lunghi. Alla sua prima mostra personale tenuta nel 1917 alla Galerie Berthe Weill a Parigi, non vende nulla perché viene chiusa dalla polizia dopo poche ore a causa delle reazioni del pubblico scandalizzato di fronte all'immoralità dei nudi esposti. Arte, amore, dramma e tragedia sono sempre indissolubilmente intrecciati nella vita di Amedeo: l'amicizia fraterna con Anna Achmatova, la poetessa ventenne russa in viaggio di nozze a Parigi; i due anni di relazione passionale
AMEDEO MODIGLIANI, Nu assis sur un divano (La Belle Romaine), 1917, olio su tela, 100x65 cm, Sotheby's New York 2010 venduto a $ 68.962.000 e intellettuale con la scrittrice inglese Beatrice Hastings; il rifiuto di riconoscere il figlio avuto dall'ex-amante Simone Thiroux; la morte della compagna la timida Jeanne Hébuterne, di famiglia cattolica, la quale gli aveva già dato la figlia Jeanne e che, il giorno dopo la morte del pittore ricoverato delirante all'ospedale, si getta dalla finestra, incinta di nove mesi. 13
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Maggio 2016, Anno 5 - N.5
MERCATO DELL’ARTE ? tare ogni pur minimo coinvolgimento emotivo del pittore per liberare l'arte dall'enfasi autoreferenziale degli espressionisti astratti. Dal 1959 al 1965 lavora come critico per note riviste d'arte e ciò contribuisce a privilegiare un approccio più teorico in ossequio alla sua idea del primato del concetto sulla pratica artistica. A partire dal 1960, dopo aver riconosciuto che "lo spazio reale è intrinsecamente più potente e specifico del colore su una superficie", abbandona la pittura per dedicarsi alla scultura, o meglio alla costruzione di 'forme tridimensionali' in cui è centrale la nozione di 'materialità'. Tutti i suoi pezzi sono realizzati in officina secondo le specifiche tecniche dell'autore, convinto che uno degli obbiettivi fondamentali sia il superamento dell'esecuzione manuale dell'opera da parte dell'artista al fine arrivare a oggetti privi di connotazioni personali. Sviluppa anche un particolare interesse per l'architettura che lo porta a progettare le sue 'sculture' in rapporto agli spazi che devono contenerli. Nel 1963 presenta la sua seconda mostra personale alla Green Gallery di New York esponendo le sculture direttamente a terra piuttosto che sul classico basamento per sottolinearne l'autonomia e cancellare la distanza, sia fisica che psicologica, tra opera d'arte e fruitore. Tra il 1964 e il 1966 Judd perfeziona un proprio vocabolario formale che sarà definito Minimalismo dai critici, ed espone le sue teorie nell'articolo-manifesto 'Oggetti specifici' del 1965 in cui sostiene un'arte basata su materiali tangibili, opere semplici, rigorose, fredde e fondate su un’essenzialità geometrica che non alluda a niente oltre la propria presenza fisica. I suoi "oggetti specifici" sono caratterizzati da un'esecuzione e finiture perfette che li rendono simili a dei prodotti di raffinato design in cui sia as-
DONALD JUDD (1928-1994), Untitled (DSS 42), 1963, ferro zincato e alluminio, olio rosso cadmio e olio nero su legno, 193x244x30 cm, stimato $ 10-15 milioni, venduto da Christie's New York, 2013 a $ 14.165.000 (€ 10.531.600). Questo strana scultura che potrebbe sembrare un prodotto industriale, è in realtà un "oggetto industriale" di Donald Judd il quale è considerato una figura centrale della Minimal Art benché lui abbia sempre rifiutato l’appellativo di minimalista. infatti, Judd si è cimentato come pittore, critico d'arte, scultore, teorico e saggista, architetto e designer, perseguendo un proprio linguaggio rigoroso ed essenziale e anche, diversamente dagli altri artisti di questa corrente, un forte interesse per il colore e grande attenzione alle qualità estetiche dell'opera. Nel 1949 Judd si trasferisce dal Missouri a New York dove si laurea prima in filosofia e poi in storia dell’arte. Inizia a praticare una pittura figurativa per poi passare progressivamente ad un'astrazione in cui punta all'equilibrio delle forme e alla semplificazione della composizione nella logica dei 'color field paintings' di artisti come Barnett Newman. Il suo obiettivo è evi-
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DONALD JUDD sente, però, qualsiasi funzione. L'artista stesso spiega che i suoi oggetti non sono "né pittura, né scultura". Nel 1966, la Leo Castelli Gallery, uno delle più importanti di New York, organizza la sua terza mostra personale (prima di una lunga serie) che, a 38 anni, ne decreta il successo. La forma preferita di Judd è la 'scatola', sia chiusa, semi-vuota o trasparente e assolutamente neutrale, in modo da confutare qualsiasi connotazione simbolica; in molti lavori propone dei sistemi seriali, sia come semplice progressione matematica sia come ripetizione di unità standard: gli scatolati sono assemblati in file orizzontali in cui si alternano pieni e vuoti o in pile verticali aggettanti dal muro (vedi in basso), di uguali dimensioni, materiale e colore, posti a distanze regolari tra di loro. I materiali 'costruttivi' più utilizzati sono l'acciaio, zincato, inox o verniciato e l'alluminio anodizzato, spesso in combinazione con altri materiali industriali, in particolare plexiglass colorato; in seguito userà anche legno laminato, corten e calcestruzzo. I suoi lavori rifuggono dal tocco personale dell’artista e sono improntati ad una perfezione geometrica e una rigorosa essenzialità che privilegia la chiarezza ed esalta la bellezza formale e l’ordine. Come scrive l’artista "L'ordine sottende, sovrasta, è dentro, sopra, sotto, oltre ogni cosa”. Nei primi anni 1970, Judd inizia a lavorare a pezzi di grandi dimensioni e sempre più complessi che si inseriscono nello spazio e nella luce col rigore geometrico delle loro forme e a installazioni appositamente studiate per determinare il rapporto tra questi oggetti e l'ambiente occupato. Negli anni ottanta Judd inizia ad applicare le sue teorie minimaliste anche a mobili in legno o in metallo prodotti in piccola serie numerata, una sorta di multipli che si situano in una via di mezzo tra l'arredo e la scultura.
DONALD JUDD, Untitled (88-28 A-B Menziken) 1988, in alluminio spazzolato con plexiglas blu 2 unità, ogni unità 50x100x50 cm DONALD JUDD, Untitled, 1977, plexiglass acciaio inox in 10 parti, 305x80x68 cm, venduto da Sotheby's New York, 2007 a $ 7.433.000 (5.066.802 €)
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Giugno 2016, Anno 5 - N.6
MERCATO DELL’ARTE ? mata da Sotheby dai 2 ai 3milioni di dollari, per di più di un autore vivente appena approdato a un nuovo stile pittorico dopo aver cambiato più volte quelli precedenti, è difficile da comprendere almeno che non sia estraneo il fatto che la sua galleria sia Gagosian. A tutt'oggi le opere del pittore possono essere suddivise in almeno tre stili completamente diversi tra di loro: i dipinti mimetici e materici "dei segni e disegni" (vedi a sinistra), le opere astratte delle 'Butterflies' impostate sul rigore geometrico della prospettiva (vedi a destra e a pag.30), e infine, il figurativo e quasi gestuale di volti elementari simili a maschere (vedi a pag.29). Perciò non è semplice parlare di un autore così disinvoltamente polivalente. A partire dal 1997 Grotjahn ha proposto per molti anni il suo 'trademark form' (marchio) semplice e immediatamente riconoscibile che egli identificava come 'Butterfly' (farfalle), forme regolari a stesure piatte del colore composte da linee radianti convergenti su uno o più punti di fuga, esattamente come le linee di costruzione utilizzate nelle prospettive centrali per creare l'illusione di oggetti nello spazio. L'artista ha esplorato tutte le combinazioni offerte dalle
MARK GROTJAHN (1968), Untitled (Into and behind the green eyes of the Tiger Monkey face 43.18), 2011, olio e cartone montato su tela, 122x 94 cm, Sotheby’s New York 2015, venduto a $ $ 6.522.000 (€ 5.812.834) Vedi a pag. 28. Mark Grotjahn è un giovane pittore e scultore americano (di origine tedesca) che vive a Los Angeles, poco conosciuto al di fuori degli Stati Uniti ma arrivato inspiegabilmente a quotazioni elevatissime nelle aste di questi ultimi anni. Pagare sei milioni e mezzo di dollari per una tela di dimensioni piuttosto limitate del 2011, stiUntitled (Red Butterfly II Giallo MARK Grotjahn P-08 752), 2008, olio su tela, 185x138 cm, Christie's New York 2012, venduto a $ 4.170.500 (€ 3.273.500)
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MARK GROTJAHN 'Butterflies' passando sia per delle sperimentazioni praticamente monocromatiche (vedi in basso) sia, all'opposto, per le 'Three-Tiered Perspective', prospettive a più livelli (vedi a destra), composizioni cromaticamente molto ricche, di intricati angoli radianti che alludono a molteplici immagini apparse nella storia della pittura moderna, come quelle del Costruttivismo storico e l'Optical Art degli anni '60. Nel 2008, in seguito a un incidente alla spalla, Grotjahn si è orientato verso delle modalità espressive radicalmente diverse con il ciclo di Facce abbastanza inguardabili: il pittore spiega che, mentre le dipingeva, pensava a babbuini o scimmie, riconoscendo di essere stato influenzato inconsapevolmente dall'arte africana o da artisti come Picasso che, a loro volta, ne erano stati influenzati. Con le ultime opere denominate con suggestivi e interminabili titoli che hanno avuto inizio a partire dal 2011, è avvenuto il passaggio ai cartoni materici prodotti con una tecnica che spezza a tratti il segno eseguita quasi esclusivamente a spatola. Nei nuovi dipinti corrono fasci di righe come corde che si intrecciano e si sovrappongono l'un l'altra creando dei fiumi
Untitled (Three-Tiered Perspective), 1999, olio su tela su pannello, 152x122 cm, Christie's New York 2013, venduto a $ 1.445.000 (€ 1.072.600)
di impasti colorati simili a una foresta lussureggiante in cui sembra di intuire presenze inquietanti. Il processo della pittura rende la superficie stratificata complessa, densa, tattile e cangiante a seconda della distanza dal dipinto. Non sono chiare le motivazioni di questi repentini cambiamenti tecnici e linguistici che hanno poco o nulla in comune tra di loro, comunque, il mercato li ha premiati e ora non rimane che attendere ulteriori future evoluzioni. Untitled (Butterfly Giallo II 782), 2008, olio su tela, 122x96 cm, Sotheby's New York 2013, venduto a $ 2.105.000 (€ 1.628.880)
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Luglio 2016, Anno 5 - N.7
MERCATO DELL’ARTE ? dove studia arte alla Wimbledon School, alla S.Martin School e, infine si laurea alla Chelsea School. Nel 1991, subito dopo la laurea, vince il prestigioso Premio Artista Whitechapel e una mostra personale presso la Whitechapel Gallery Art nel corso della quale presenta per la prima volta una serie di tele di grande formato (tra cui, appunto, "Swamped") fondamentali per il suo futuro lavoro. Nel 2002, raggiunta una buona fama, decide di lasciare Londra per ritornare a Trinidad dove tuttora vive e lavora. Doig dipinge paesaggi, ma non avrebbe senso definirlo un 'paesaggista' perché egli crea luoghi immaginari, luoghi lontani, luoghi della memoria, abitati per di più da bizzarri personaggi. Paesaggi riccamente stratificati, sia formalmente e concettualmente in cui si riconosce un'ampia varietà di riferimenti storico-artistici: quasi dipinti onirici che combinano una tavolozza allucinatoria con una pennellata espressiva fortemente influenzata da artisti come Munch, Monet, Kirchner, Friedrich, Klimt e Hopper ma anche con tali influenze dell'arte moderna che, secondo qualcuno, lui non è un pittore di immagini ma un pittore concettuale. Dopo un'ascesa lenta e progressiva, Doig diventa una star internazionale nel 2007 quando un suo olio del 1990-1991, "White Canoe" (vedi a destra), stimato da Sotheby's di Londra 800mila-1.200.000 £, è battuto a 5,7 milioni di sterline (11,3 milioni di $), allora il prezzo più alto mai pagato per l'opera di un artista europeo vivente. Dopo questa asta le quotazioni dell'artista continuano a salire fino a raggiungere l'anno scorso con "Swamped" la cifra sbalorditiva di quasi 26 milioni di dollari. Oggi le sue opere, osannate dalla critica e ricercate da collezionisti e musei, segnalano un'inversione in atto dei gusti a favore di un ritorno alle forme
PETER DOIG (1959), Swamped (Sommerso), 1990, olio su tela, 180x230,5 cm, venduto da Christie's New York 2015 a $ 25.925.000 (€ 23.389.600) (vedi a pag. 23). Questo lavoro del 1990 che ha stabilito il nuovo record di prezzo per questo autore, è uno dei suoi primi dipinti di canoe e considerato un esempio di quello che si potrebbe definire lo "stile Doig". Nato a Edimburgo nel 1959, si trasferisce a Trinidad quando è bambino e subito dopo in Canada dove trascorre la maggior parte della sua giovinezza; nel 1979 si trasferisce a Londra PETER DOIG, Country-rock (Wing-mirror), 1999 olio su tela, 195x270 cm, venduto da Sotheby's Londra 2014 a $ 14.513,560 (€ 10.600.000)
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PETER DOIG e ai contenuti della grande tradizione pittorica. Caratteristica fondamentale di ogni dipinto di Doig è la sorpresa delle sue atmosfere, la capacità di disorientare ed emozionare allo stesso tempo l'osservatore il quale fatica a trovare il filo conduttore e le ragioni che legano quadri tanto diversi tra di loro che appaiono (almeno inizialmente) talmente onirici da risultare inspiegabili. E' la creazione ambigua di luoghi e situazioni tipica di Doig che rende la sua arte così affascinante e stuzzicante: dipinge giungle e montagne innevate, isole paradisiache e rifugi, leoni, piscine e campi da gioco, architetture moderne e mari esotici popolati da personaggi normalissimi eppure inquietanti. Il tutto rappresentato con una ricchezza esasperata e coinvolgente di forme e colori. La biografia di questo pittore-viaggiatore permette di comprendere la coesistenza di mondi lontani e improbabili (Canada, Londra, Trinidad) mentre la conoscenza del processo creativo offre una chiave di lettura dando un senso alla sua produzione non immensa (l'artista realizza solo sette-otto dipinti l'anno) e agli strani soggetti che vi si ritrovano. E' con il 1991 che Doig inizia a dare forma ai suoi dipinti prendendo lo spunto dalle immagini più diverse che lo colpiscono: fotografie personali o trovate su riviste, cartoline, film ecc., e che lui reinventa utilizzandole liberamente all'interno di altri contesti estranei o incongrui. E' il caso, ad esempio, di "White Canoe", la canoa bianca derivata dall'immagine della scena finale del film horror del 1980 "Venerdì 13" che tanto lo aveva colpito da giovane, oppure "Gasthof " (vedi a pag. 29) in cui i due bizzarri personaggi in primo piano che si stagliano su un paesaggio surreale, derivano da una vecchia foto in bianco e nero in cui il pittore e un suo amico sono travestiti con dei costumi
PETER DOIG, White Canoe,1990-91, olio su tela, 201x241 cm, Sotheby's Londra 2007 a $ 11.300.000 (5.700.000 £)
teatrali. Ogni opera di Doig sembra prendere le mosse da episodi e fatti normali o accidentali ma tali da far scattare nell'artista un interesse, un ricordo, un'associazione d'idee e innescare una loro rappresentazione con nuove immagini pittoriche reinterpretate in modo assolutamente imprevedibile. PETER DOIG, The Architect’s Home in the Ravine 1991, olio su tela, 200x250 cm, venduto a Christie Londra 2013 a $ 11.898.600 (8.846.542 €)
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Agosto 2016, Anno 5 - N.8
MERCATO DELL’ARTE ? lingua fuori e gli occhi obliqui, mentre regge in una mano un boccale di birra e nell’altra un uovo, esposta al Museion di Bolzano. Una parte del pubblico altoatesino si è offesa per l'uso del crocefisso ritenuto oltraggioso in quanto simbolo religioso cristiano (anche se, storicamente, strumento di tortura e di morte per migliaia di uomini). L’autore, in realtà, considerava la rana, "Fred the Frog" (fatta scolpire in Tirolo da un intagliatore tradizionale di effigi religiose) il suo alter ego, una raffigurazione drammaticamente autoironica della propria dipendenza dall'alcol. Ma queste polemiche non hanno interessato il pubblico di Christie's a New York visto che quest'anno una delle sue rane crocifisse, questa volta verniciata di viola automobilistico (vedi in basso), è stata battuta a 1.325.000 dollari. La biografia di questo artista anomalo, pittore, attore, scrittore, musicista, ballerino, esibizionista, "venditore" come lui stesso si è definito, (ma anche fotografo, curatore, grafico e, so-
MARTIN KIPPENBERGER (1953-1997), Untitled, 1988, olio su tela, 242x202 cm, stimato 15-20 milioni $, venduto da Christie's New York 2014 a $ 22.565.000 (€ 20.486.000). Questo quadro appartiene alle serie 'autoritratti con mutande' (vedi alle pagg. 28 e 30) dipinti in Spagna nell'estate del 1988, lavori che segnano un approccio nuovo a quel tipo di pittura. Dopo la morte prematura dell'artista nel 1997 all'età di 43 anni per la cirrosi causata dall'abuso di alcol, la sua reputazione è cresciuta immensamente così che oggi è considerato uno dei più influenti artisti tedeschi del dopoguerra e la sua sconcertante produzione artistica sempre più richiesta dal mercato. Kippenberger è anche noto per la rovente polemica e la reprimenda del vescovo provocate nel 2008 da una sua scultura kitsch: la rana crocifissa, colorata di verde lucido, la MARTIN KIPPENBERGER, Zuerst Die Füße, 1990, legno laccato, 131x105x22 cm, venduto da Christie's New York 2016 a $ 1.325.000 (€ 1.203.700)
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MARTIN KIPPENBERGER prattutto, instancabile promotor di sè stesso) fornisce una chiave di lettura della sua multiforme produzione associata ai "Neuen Wilden". Kippenberger è un personaggio complesso e contradditorio: iperattivo e dal carattere esuberante, eccessivo e autodistruttivo, grande bevitore e spiritoso in compagnia, anti-eroe istrionico, conduce un'esistenza da nomade in cui è impossibile distinguere la sua auto-promozione dal suo modo di vivere. Nelle sue sfide al perbenismo tedesco del dopoguerra e nella ribellione alla cultura ufficiale si propone come un provocatore irriverente contro ogni tipo di autorità, contro l'establishment' culturale e politico, contro il mercato e la concezione elitaria dell'artista, facendo dello scetticismo un'arma di distruzione estetica, e per questo, spesso più apprezzato all'estero che in patria. Nato in Germania a Dortmund in una famiglia agiata poi trasferita a Essen, il piccolo Martin dal 1956 al 1961 frequenta una scuola evangelica definita molto 'rigorosa'. All'età di 15 anni, dopo aver dato il suo esame del quarto anno per tre volte decide di lasciare la scuola per lavorare come tirocinante in un negozio, quindi inizia un corso da vetrinista ma è licenziato per l'uso di droghe ed entra in terapia. Dimesso dal centro nel 1972 si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Amburgo da cui esce dopo sedici semestri. Eredita 700.000 marchi dalla madre morta a causa di un carico caduto da un camion che gli permetteranno una maggior libertà di azione. All'inizio della sua carriera, nel 1976, si stabilisce a Firenze dove cerca di diventare un attore mantre dipinge la serie di tele "Uno di voi, un tedesco a Firenze", 100 opere in bianco e nero di piccolo formato, basate su cartoline o fotografie personali. Al periodo trascorso a Berlino (1978-1980), si devono la maggior parte dei
MARTIN KIPPENBERGER, Untitled, I dipinti che Pablo non poteva dipingere più, 1996, olio su tela 240x200 cm, Christie's New York 2015 venduto a $ 12.485.000 (€ 11.342.000)
temi elaborati durante la sua attività: qui fonda il "Kippenberger Büro", un centro polivalente aperto alle varie forme della cultura punk e new wave, pubblica libri, riviste, suona in gruppi musicali. Diventa anche co-proprietario del celebre club punk "SO 36", uno spazio che organizza festival e concerti e fonda la band punk Grugas con cui incide 'Luxus', il suo primo singolo (a cui ne seguiranno altri tre). Nel 1980 si trasferisce a Parigi dove lavora a un romanzo mai concluso e crea dipinti vicini all'iperrealismo (vedi a pagg. 29 e 31). Nel 1988 si sposta in Spagna, poi l'anno seguente, negli Stati Uniti a Los Angeles dove crea le sue prime immagini ricoperte di lattice e acquista le quote di proprietà di un ristorante italiano. Nel 1990 vive tra Colona e Francoforte dove dipinge, crea sculture e installazioni, insegna in diverse università, continua a viaggiare ed espone con sempre maggior successo. Muore il 7 marzo a Vienna. 21
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Settembre 2016, Anno 5 - N.9
MERCATO DELL’ARTE ? Il "Cowboy Solitario", infatti, riproduce un caratteristico giovane protagonista dei "manga" (fumetti) e delle "anime" (animazioni) giapponesi, il quale esprime un vitalismo esuberante e gioioso in armonia con sè stesso e il mondo creando un ardito e dinamico movimento del "lazo" arrestato nello spazio. Il ragazzo è la realizzazione in forma tridimensionale di quei personaggi "manga" dai comportamenti spesso sessualmente molto disinvolti ed espliciti che si rivolgono alle nuove generazioni di adolescenti, trasgressivi e ribelli nei confronti delle vecchie e rigide regole sociali. Anche se l'eccezionale exploit economico del 2008 di "My Lonesome Cowboy" non si è più ripetuto, è prevedibile che questo tipo di sculture apriranno la strada a tutto un filone di opere di grandi dimensioni realizzabili in serie con tecnologie informatiche e materiali sintetici moderni. Pur essendo anche lui un seguace entusiasta di anime e manga, Takashi Murakami, dopo aver studiato animazione alla Tokyo University of the Arts, si laurea in "Nihonga", la pittura tradizionale giapponese. Dopo i primi lavori molto critici verso l'arte del suo Paese accusata di eccessiva acquiescenza alle tendenze occidentali, nel 1994, grazie a una borsa di studio si trasferisce per un anno a New York dove è influenzato dai lavori di Jeff Koons e Andy Warhol. Si rende conto che nel suo Paese manca un mercato interessato al quel tipo di arte contemporanea e che per trovare un riscontro in patria bisogna prima essere riconosciuti negli Stati Uniti. I suoi lavori iniziali sono caratterizzati dall'incorporazione di motivi della cultura giapponese tradizionale, l'uso di colori e superfici piani e lucidi, mentre i contenuti rientrano in quelli che sono definiti con il termine "kawaii" (carino), come i motivi ricorrenti dei fiori che sorridono,
TAKASHI MURAKAMI (Giappone, 1962), My Lonesome Cowboy, 1998, fibra di vetro, ferro, olio, acrilico, H 254,00x117,00x 91,00 cm, Lavoro da un'edizione di 3 più 2 prove d'artista, stimato $ 3-4 milioni, venduto da Sotheby's New York 2008 a 15.161.000 $ (€ 13.804.700). Oltre quindici milioni di dollari per una copia in vetroresina di un ragazzo nudo a grandezza naturale che potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno ma che, evidentemente, in asta è stato apprezzato al punto di pagarlo il quintuplo della cifra stimata da Sotheby's. Una presunta 'oscenità' dell'opera valutata secondo i parametri occidentali, che non ha alcun senso in Giappone dove da secoli è diffusa una mentalità che non ha mai avuto niente contro il nudo e contro il corpo, e il sesso è goduto da uomini e donne senza alcun freno di tipo moralistico.
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TAKASHI MURAKAMI animaletti, personaggi iconici come funghi, teschi ecc. che tanto piacciono ai Giapponesi di tutte le età. Senza rinnegare l'influenza di artisti americani, Murakami chiarisce sempre che i suoi riferimenti estetici sono essenzialmente legati alla cultura pop giapponese e al fenomeno "Otaku", un'area giovanile underground di appassionati di cartoni animati e fumetti. Molte sue opere, infatti, potrebbero apparire eccessivamente Kitsch per il gusto europeo poco incline ad apprezzare pupazzi tipo Luna Park o fumetti e cartoons di serie B, eppure nel 2008, l'artista è individuato dalla rivista Time come il più influente rappresentante della cultura giapponese contemporanea. Nel 2000 dà vita anche a un nuovo movimento artistico chiamato "Superflat" (Superpiatto) poiché si riferisce sia ai canoni figurativi bidimensionali della cultura tradizionale giapponese, sia all'immaginario della cultura "Otaku" influenzata appunto da un'estetica piatta. Sicuramente l'artista ha ben imparato la lezione della "Factory" di Warhol e compreso i meccanismi del mercato in una società post industriale e consumistica come dimostra la sua capacità imprenditoriale nel fondare nel 2001 "Kaikai Kiki", una corporation che conta un centinaio di dipendenti con sedi in Giappone, New York e Los Angeles, finalizzata a collaborare con l'industria (Vuitton, Casio), operare nell'animazione, promuovere artisti giapponesi, organizzare la fiera biennale d'arte GEISAI, gestire due gallerie d'arte. Oltre a ciò, produce e commercializza gadget con i personaggi di Murakami: libri, magliette, tavole da skateboard, peluche, poster, scarpe da tennis, orologi, cuscini, tappeti. Una vera e propria "industria della creatività" che esporta sia arte 'alta' che 'bassa' sul mercato globale.
TAKASHI MURAKAMI, Vapor trail, 2004 acrilico su tela su tavola, 100x100x5 cm, venduto da da Sotheby's New York 2008 a $ 2.393.000 $ (€ 1.634.600) TAKASHI MURAKAMI, Kaikai Kiki, 2005, fibra di vetro, ferro, resine, olio, acrilico, H 212x102x50 cm numerato 5 di 5, venduto da Christie's Londra, 2010 a $ 3.113.500 (2.212.000 €)
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Ottobre 2016, Anno 5 - N.10
MERCATO DELL’ARTE ?
ANDREW WYETH (1917-2009), Ericksons, 1973, tempera su tavola, 107x96 cm, venduto da Christie's New York 2007 a $ 9.200.000 (€ 6.850.000) (vedi a pag. 28). Wyeth è poco conosciuto al di fuori degli Stati Uniti perché il suo stile di pittura, noto come
"Realismo magico" a causa delle scene di vita quotidiana impregnate di mistero poetico, è stato a lungo considerato troppo legato alla tradizione del Regionalismo americano. Nel dopoguerra stavano crescendo gli Espressionisti astratti e la politica del governo puntava su di loro per vincere la sfida culturale contro l'ideologia anticapitalista dell'Unione Sovietica. L'arte di Wyeth, pur piacendo (e piace tuttora) alla maggioranza degli americani, non poteva essere esportata nel mondo per rappresentare le idee di libertà, ottimismo e democrazia di una nazione all'avanguardia. La pittura figurativa realista di Whieth comunica la solitudine dell'uomo che vive in un ambiente non molto diverso da quello di duecento anni fa, parla della provincia e di un mondo rurale marginale che sta scomparendo: è un'America minore che non può e non vuole competere con New York perché non si riconosce nell'ottimismo della metropoli ma in altri valori che vengono dal passato. Nel dipinto creato nel 1948, a 31 anni, "Christina's World" (Il mondo di Cristina), (vedi a pag. 31), Christina è la sua vicina paralizzata dalla poliomielite, a Cushing nel Maine, che lui vede dalla finestra di casa sua mentre striscia attra-
ANDREW WYETH
ANDREW WYETH, Golena, 1986, tempera su tavola, 62x122 cm, venduto da Sotheby's New York 2015 a $ 5.178.000 (4.841.500 €)
verso l'erba bruciata della campagna. Il pittore rappresenta la scena prestando attenzione al minimo dettaglio che permetta di rendere un'atmosfera straniante: il paesaggio arido, le case rurali, i fili d'erba e le ciocche di capelli e le sfumature chiaroscurali. Dopo essere stato acquistato dal Museum of Modern Art a New York, la sua popolarità cresce lentamente arrivando ad essere considerato nel corso degli anni uno dei più noti dipinti americani della metà del 20° secolo. Anche la casa in tavole di legno raffigurata nel dipinto, la Olson House, è diventata un museo e un monumento storico nazionale. I quadri di Wyeth possiedono un sottile fascino che coinvolge per la capacità di creare delle atmosfere che ammaliano; non parlano solo di un luogo ma parlano degli uomini e del loro stare qui e ora. I paesaggi dove la stagione sembra sia quasi sempre autunnale o invernale, desolati, spazzati dal vento e dalla neve, sono reali ma, allo stesso tempo metafisici, specchio
dell'anima dell'artista. La gamma dei colori è limitata a tonalità fredde e smorzate, le atmosfere rarefatte, il tempo sospeso in un'attesa più esistenziale che reale. E' forse questo il messaggio di Wyeth, la solitudine dell'uomo che deve saper ritrovare un rapporto diretto e personale con la natura con cui bisogna imparare a convivere. In fondo, l'artista è sempre stato un nostalgico legato all'unico vero mito americano, quello della frontiera, degli uomini solitari che devono trovare in sé stessi lo spirito vero per lottare individualmente contro le difficoltà della vita. I rapporti con l'ambiente sono duri e faticosi ma lo sono anche quelli tra le persone, quasi sempre sole, taciturne, immerse nei loro pensieri, intente a osservare fuori, a scrutare il cielo e l'orizzonte. I quadri a tempera su tavola, piuttosto piccoli, dai colori sobri e intimi, sono pervasi da una quiete e un silenzio in cui la dimensione del tempo e della vita degli uomini e della natura, è rallentata come se tutto seguisse un proprio corso già stabilito.
ANDREW WYETH , Off Shore, 1967, tempera su masonite, 54x131 cm, venduto da Christie's New York, 2010 a $ 6.354.500 (5.143.600 €)
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Novembre 2016, Anno 5 - N.11
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ALBERTO GIACOMETTI (1901-1966), L’HOMME AU DOIGT (L’uomo che indica), 1947, bronzo con patina dipinto dall’artista, H 178x95x52 cm, ediz. 6/6, venduto da Christie‘s New York 2015 a $ 141.285.000 (€ 125.900.000). L’Importanza da sempre riconosciuta a Giacometti nella storia dell’arte, si riflette oggi sul mercato dell’arte: la sua opera (un’edizione di sei esemplari), “L’Homme au doigt”, è diventata la scultura più cara mai venduta all’asta con i 141,3 milioni di dollari battuti l’anno scorso. Di questa figura a dimensione naturale, lo stesso Giacometti ricordava di «aver fatto quel pezzo in una notte tra mezzanotte e le nove del mattino successivo».
Nato nel 1901 nel villaggio di Borgonovo nei pressi di Stampa, in Svizzera, quest’anno si celebrano i 115 anni dalla sua nascita e anche i 50 dalla sua scomparsa avvenuta a Coira all’età di 64 anni. Giacometti è considerato uno dei più importanti scultori del Novecento; figlio di un pittore post-impressionista, Alberto dimostra presto il suo talento: studia pittura presso l’Ecole des Beaux-Arts a Ginevra, si reca in Italia e, nel 1922 si stabilisce a Parigi, dove studia nell’atelier di Archipenko e poi, per cinque anni, presso l’Académie de la Grande Chaumière. Si interessa al Cubismo e al Primitivismo sperimentando in moltissime direzioni; dal 1931 al 35 aderisce al gruppo dei surrealisti e nei suoi importanti lavori ricorrono temi visionari, oggetti metaforici e assemblaggi, le sue sculture richiamano dei giochi e dei modelli architettonici. In quegli anni fa ricorso al motivo della gabbia, che gli permette di delimitare lo spazio della rappresentazione realizzando anche oggetti di arredamenti e lampade. Alla fine degli anni 30, Giacometti decide di abbandonare il Surrealismo e l’astrazione per tornare alla rappresentazione della figura umana nello spazio, della testa e in particolare degli occhi, temi che rimarranno centrali nella sua opera per tutta la vita. Durante la Guerra Mondiale l’artista, trasferitosi in Svizzera, abbandona la visionarietà e la giocosità del Surrealismo e attraversa un lungo periodo di solitaria e tormentata ricerca scultorea che si conclude solo dopo il ’45, quando concepisce l’idea delle figure alte ed esili che riflettono la condizione di ansia e alienazione, la sofferenza e il trauma della guerra. Il suo stile caratteristico è presentato in pubblico per la prima volta nel 1948 alla Pierre Matisse Gallery accompagnato da un saggio dell’ami-
ALBERTO GIACOMETTI co Jean Paul Sartre, “La ricerca dell’assoluto”, che fa dell’opera di Giacometti l’espressione artistica più genuina dell’esistenzialismo. Partendo dall’intenzione di rappresentare l’illusione dello spazio e lo straniamento del soggetto rappresentato, Giacometti trova la soluzione nelle proporzioni allungate delle figure. La sua rappresentazione dell’Uomo solo nell’universo e della sua impossibilità di comunicare, diventano il punto di riferimento artistico per le correnti filosofiche dell’esistenzialismo e della fenomenologia. Nel corso degli anni seguenti, le donne e gli uomini immobili e senza meta diventano i principali personaggi delle sue sculture in bronzo che poi dipingeva meticolosamente per migliorare la qualità strutturale, aggiungendo dettagli precisi su viso, labbra e corpo. Alberto Giacometti è anche personalissimo pittore, soprattutto di ritratti, ossessivamente monocromatici e “costruiti” con una ragnatela di segni nel tentativo di cogliere la psicologia del soggetto. (vedi a pag. 29) Indicativa della particolare umanità e sensibilità di Giacometti una sua dichiarazione che dovrebbe far pensare molti artisti troppo legati alle regole del mercato: «In un incendio, tra un Rembrandt e un gatto, io salverei il gatto.»
GRANDE TÊTE MINCE, 1954, bronzo, H 65 cm, ediz. 3/6, venduto da Christie ‘s New York 2010 a $ 53.282.500 (€ 40.356.300) LA MAIN, 1947, bronzo con patina marrone e verde, 71 cm, venduto da Christie‘s New York 2010 a $ 25.842.500 (€ 19.573.200)
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Dicembre 2016, Anno 5 - N.12
MERCATO DELL’ARTE ? fia non è di Prince, o meglio, il quadro battuto da Christie's nel 2005 per 1,248 mila dollari è suo (una di tre copie, tra l'altro), ma l'immagine originale era stata scattata da Sam Abell per la pubblicità delle sigarette Marlboro. Prince, che a quel tempo lavorava al Times ritagliando gli annunci pubblicitari dalla rivista, ha avuto la luminosa idea di "rifotografare" la fotografia, di stamparla e di ripresentarla - tale e quale - però firmata con il proprio nome. Le ragioni artistiche con cui Prince motivava questa ‘rephotography’, un'azione normalmente definita plagio, era basata sul concetto di "appropriazione": il recupero di immagini dai mass media per contestarne successivamente il loro significato originale, problematizzando il rapporto tra copia e originale o tra copia ed emulazione. Anche se, in realtà, l'immagine del RICHARD PRINCE, Nurse Elsa, 2002, stampa a getto d'inchiostro e acrilico su tela, 236x142 cm, venduto Christie New York 2016 a $ 5.847.500
RICHARD PRINCE (1949), RUNAWAY NURSE, 2005, stampa a getto d'inchiostro e acrilico su tela, 280x168 cm, venduto da Christie's New York, 2016 a $ 9.685.000 (€ 8.674.800) (vedi a pag. 28). La storia dell'americano Richard Prince, fotografo che non è capace di fotografare e pittore che non è capace di dipingere, è piuttosto simpatica e merita di essere raccontata. Una delle sue prime opere, oggi famosa, è "Cowboy" del 1989 (vedi a pag. 21), un'affascinante fotocolor di grandi dimensioni in cui si vede un cowboy con il lazo in mano sul suo happaloosa bianco e nero al galoppo nel deserto, mentre si staglia contro un cielo blu gonfio di nuvole: l'immagine avvincente e patinata dell'uomo forte che ama la libertà e l'avventura. Purtroppo, la fotogra-
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RICHARD PRINCE "Cowboy", a parte l'eliminazione del testo relativo al prodotto, è esattamente uguale a quella originale e, non a caso, Prince ha subìto (e vinto) diverse cause per le sue immagini disinvoltamente "rubate". Immaginiamo come potrebbe diventare il concetto di "Appropriation Art" se applicato ad altre attività creative come la musica, l'arte, la narrativa, la saggistica, il design, la moda, il cinema, la pubblicità ecc.: la pirateria generalizzato a costo zero del lavoro, delle idee, della creatività altrui, non in nome di una socializzazione dell'arte, ma solo dell'arricchimento personale alle spalle dei veri autori, senza più il bisogno di inventare nulla ma limitandosi a rifare tutto (quasi) uguale. Un altro filone che ha dato grandi soddisfazioni (economiche) a Richard Prince è quello delle barzellette disegnate (vedi a pag. 30) e delle battute di spirito: anche in questo caso Prince compie la sua solita operazione "concettuale" riciclando le vignette di altri disegnatori. Qualcuno avrà difficoltà a credere che il suo "joke", un calembour non molto comprensibile basato sul dialogo tra due leoni, scritto in mezzo a una grande tela monocromatica, sia stato battuto
nel 2014 da Christie's a 17milioni di dollari (vedi a pag. 29). Il compratore deve essere probabilmente un miliardario molto spiritoso il quale, ogni volta che legge la storiella appesa in soggiorno, se la ride soddisfatto dei soldi ben spesi. Un altro ciclo, iniziato nel 2003, che sta gratificando l'artista in tutte le ultime aste, è quello delle "Nurses" (infermiere), una serie di dipinti in cui sono raffigurate belle e intriganti infermiere con il viso sempre coperto dalla mascherina medica. Anche in questo caso le immagini sono il risultato di semplici ingrandimenti di copertine di romanzetti rosa-pulp, stampate su tela e modificate con pittura acrilica in modo che solo i titoli originali e l'infermiera del libro rimangano visibili. Recentemente Prince si è aggiornato e la sua "appropriazione" si è spostata su Internet in Instagram, l'archivio con milioni di immagini digitali postate dagli utenti, tra cui ha pescato a piene mani per poi rivendersele uguali a caro prezzo, sollevando così l'ennesimo polverone e altre cause in tribunale. RICHARD PRINCE, Untitled (Cowboy), 1989 stampa Ektacolor, 127x178 cm, venduto da Christie's New York 2005 a $ 1.248.000
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Gennaio 2017, Anno 6 - N.1
MERCATO DELL’ARTE ? principalmente un autodidatta, le scuole di Madrid e di Firenze contribuiscono a dargli quella formazione classica che si vedrà poi riflessa in tutta la sua opera successiva. L'artista gira un po' il mondo e si stabilisce a New York nel 1960 dove inizia a definire quello che sarà il suo stile pittorico personale; un figurativismo retrò che si scontra con la corrente imperanti dell'Espressionismo astratto cosicché la sua prima mostra riceve recensioni assai negative. Anche le delicate variazioni dei marroni, verde, blu e rosso dei suoi dipinti non sono in sintonia con il tempo: «L'utilizzo di un minor numero di colori rende un quadro più chiaro, più leggibile.» Oggi Botero è amato dal pubblico in tutto il mondo per il suo singolare stile che trasforma persone, animali, figure e oggetti, in simpatici "ciccioni" con un tocco di umorismo e sentimento: un mondo florido e opulento che rispecchia in maniera metaforica e grottesca certe caratteristiche della società. Manipolando lo spazio e la prospettiva e, collocandole in spazi che sembrano troppo piccoli per contenerlie egli richiama l'attenzione sulla monumentalità delle figure. Anche se Botero è fermamente convinto di non dipingere le persone grasse, ma spiega che ciò che vuole rappresentare è il volume e la sensualità della forma: «credo che il volume sia una forma per esprimere la sensualità.» I personaggi di Botero sono immobili e inespressivi, non provano gioia né dolore, hanno lo sguardo perso nel vuoto come delle statue e, infatti, intorno ai primi anni '70 inizia a realizzare le sue prime sculture, punto di arrivo coerente della sua concezione artistica in cui l'accento è posto sullo studio delle masse. Sia pittura, disegno o la scultura di figure umane o animali, di paesaggi o nature morte, egli gioca con le proporzioni e la prospettiva, dilatando le sue for-
FERNANDO BOTERO (1933), Adamo ed Eva, 1990, scultura in bronzo con patina marrone, 358x170x96 e 350x142x117 cm, edizione uno di tre, venduto da Christie's New York nel 2014 a $ 2.573.000 (€ 1.886.500) (vedi a pag. 28). Il pittore e scultore ottantaquattrenne Fernando Botero, l'artista vivente più noto del Sud America e anche il più riconoscibile, nasce nel 1932 a Medellin, in Colombia. Quando Fernando ha quattro anni, il padre muore all'età di 40 anni lasciando in povertà la moglie con tre figli. Comincia a disegnare e dipingere acquerelli fin da bambino e già a 16 anni pubblica le sue prime illustrazioni su un quotidiano locale, a diciannove inaugura la sua prima personale a Bogotà. Nel 1952 lascia la Colombia e si iscrive alla Scuola di Belle Arti di Madrid; qui per un anno si dedica allo studio degli antichi maestri del Prado, poi si trasferisce a Parigi e, infine, all'Accademia di Firenze dove si innamora del Quattrocento italiano. Anche se lui si considera
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FERNANDO BOTERO me a dimensioni intenzionalmente improbabili ma accattivanti. A partire dagli anni 1976-77 si dedica quasi esclusivamente alle sculture molte delle quali monumentali in bronzo o marmo, inserite negli spazi pubblici delle città di tutto il mondo. Il suo lavoro copre soggetti diversissimi sempre, però, strettamente legati alle sue esperienze personali, in relazione a temi come l'amore, la musica, la danza, la vita quotidiana, soffusi di una sottile e bonaria satira, ma anche famiglie con bimbi e animali, nature morte, nudi, ritratti di personaggi politici, suore e cardinali, generali e banditi e prostitute nei bordelli. «Devi sempre dipingere ciò che si conosce meglio» spiega l'artista, e chiarisce «il mondo con cui lavoro è quello che conoscevo a Medellín, e non ho mai dipinto altro che quello.» Nel corso della sua carriera ha anche reinterpretato con il proprio stile innumerevoli opere dei maestri dell'arte occidentale trasformando il passato in una visione decisamente moderna, convinto che «la vera originalità consiste, nel prendere qualcosa che è già stato fatto da qualcuno e farlo in modo diverso.» Da più di sei decenni, l'artista si dedica allo studio dei volumi e della forma, e questa continua ricerca ha portato a un corpo unitario di lavori che è ormai talmente riconoscibile che si può parlare a buon diritto di "boterismo". Infine, va ricordato che Botero, nonostante abbia dichiarato «ho sempre considerato che la grande arte trasmette tranquillità» e le sue opere siano così piacevoli e solari, è l'unico tra tutti gli artisti famosi che ha avuto il coraggio di creare nel 2004-05 un ciclo composto da un´ottantina di olii e disegni di grandi dimensio-
In alto: Una famiglia, 1972, olio su tela 187x187 cm, venduto da Sotheby's New York 2011 a $ 1.398.500 (€ 986.700)
ni che denunciano le torture inflitte dai militari americani ai prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib (vedi in basso) che l'artista ha deciso di non mettere in vendita ma donare a istituzioni museali.
Abu Ghraib 59, 2005, olio su tela, 133x150 cm 31
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Febbraio 2017, Anno 6 - N.2
MERCATO DELL’ARTE ?
CONSTANTIN BRÂNCUSI (1876-1957), Portrait de Mme LR, 1914-1917, legno di quercia, altezza 117 cm, venduto da Christie's Parigi, 2009 a € 29.185.000 ($ 37.623.104) (vedi a pag. 28). Il prezzo battuto per questo piccolo "totem" in quercia che testimonia l'interesse di Brancusi per l'arte primitiva e per la tradizione popolare rumena di intaglio del legno, è il più alto mai raggiunto per una sua opera, anche perché la gran parte delle sue sculture sono conservate in importanti collezioni istituzionali per cui è molto difficile poter acquistare un pezzo stoLa Muse endormie I, 1912, versione in gesso lunghezza 27,8 cm, venduto da Christie New York 2015 a $ 9.125.000 (€ 840.000)
rico sul mercato. "Portrait de Mme LR" è il ritratto della signora Léonie Ricou collezionista di diverse sculture dell'artista tra cui anche dell'"Oiseau dans l'espace" in marmo, scomparso e poi ritrovato casualmente nella soffitta di un palazzo del Nord Europa e venduto da Christie's nel 2005 (vedi a pag.30). Brancusi, nato in un villaggio in Romania, dopo gli studi artistici arriva a piedi a Parigi nel 1904 dove lavora fino alla morte, il 16 Marzo 1957. Qui frequenta le grandi personalità del tempo, Modigliani, Picasso, Rousseau, Duchamp, ma non aderisce a nessuna delle correnti emergenti. Di temperamento mistico, egli rimane profondamente legato alle tradizioni arcaiche della sua terra; dopo gli inizi influenzati dal suo mentore Rodin improntati a un naturalismo descrittivo, l'artista diventerà in pochi anni lo scultore più rivoluzionario del XX secolo per lo stile radicalmente innovativo legato proprio alla sua capacità di coniugare con la massima libertà passato e presente. Brancusi è affascinato dal tema del sonno, a partire dal 1906 scolpisce numerose teste di donne e bambini in cui cattura l'espressione di serenità che si ha nel sonno; "La Muse endormie" (vedi in basso), è
COSTANTIN BRANCUSI il primo di una lunga serie di teste ovoidali raffinate nella loro purezza formale, che lo fanno definire scultore d'avanguardia e poeta del trascendente. La perfezione formale ed espressiva del ritratto idealizzato, "La Muse endormie", segna un cambiamento radicale nel lavoro dall'artista che inizia nel 1907 un processo di drastica semplificazione delle sue figure: "La semplicità è la complessità risolta". La maggior parte delle sue successive opere consisterà in continue variazioni su un numero limitato di temi: la ritrattistica, gli uccelli, i pesci, semplificati al limite dell'astrazione, continuamente approfonditi e rielaborati nel corso degli anni utilizzando materiali diversi come il marmo, il bronzo, il legno. Se in "Prométhée" del 1911 (vedi a lato) l'accento è posto sulla forma perfettamente astratta della testa ovoidale lucidata a specchio e con appena accennata la linea del naso, "Danaide" (vedi a lato in basso), rappresenta uno dei temi centrali della sua prima scultura: la ritrattistica. Il piccolo bronzo, una delle opere più delicate dell'artista, caratterizzato da bocca e naso altamente stilizzati e gli occhi definiti solo dalle curve delle palpebre, è il ritratto di Margit Pogany già rappresentata in marmo bianco nella celebre "Mademoiselle Pogany" del 1912. Ma è nella serie dedicata agli uccelli iniziata nel 1910 con "Maiastra" e proseguita con gli studi degli "Oiseau dans l'espace", che si riflette la ricerca dell'artista per catturare l'essenza della forma e si rivela l'aspirazione spirituale a liberarsi della pesantezza terrena attraverso creazioni dagli equilibri spaziali sempre più arditi. Brancusi ha concentrato in sé le qualità dell'artista puro e dell'artigiano di massimo livello e ciò rende particolarmente attuale il suo monito: "Le teorie sono modelli senza valore. Solo l'opera conta".
Prométhée, 1911, edizione di 4, bronzo dorato lunghezza 17,7 cm, venduto da Christie's New York 2012 a $ 12.682.500 (€ 9.612.000) Danaide, 1913, bronzo, foglia d'oro e patina scura, 27,6x17,8x21 cm (senza base) venduto da Christie's New York 2002 a $ 18.159.500 (€ 15.676.000)
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Marzo 2017, Anno 6 - N.3
MERCATO DELL’ARTE ?
ALEX KATZ (1927), Bleu Umbrella # 2, 1972, 244x366 cm, venduto da Christie's New York 2001 a $ 666.000 (€ 470.000) (vedi a pag. 28). Katz, pittore americano figlio di ebrei russi emigrati, quest'anno compie 90 anni ma continua a lavorare normalmente. Laureato nel 1949 alla prestigiosa Cooper Union Art School, segue con coerenza una propria visione artistica che si è imposta alla metà degli anni '50 opponendosi all’Espressionismo Astratto allora dominante e anticipando alcuni esiti della Pop Art. Ha contribuito a mantenerlo meno condizionato dal mercato la vita serena con Ada Del Moro, moglie e musa di origini italiane sposata nel 58, di cui esistono più di 250 ritratti (vedi in alto e a pag. 21) che non rappresentano solo lei e il lato più intimo dell'artista, ma sono diventati anche Gray Day, 1990, 102x330 cm, venduto da Christie's New York 2016 a $ 538.000 (€ 508.800)
l'idea e l'incarnazione di una bellezza femminile senza tempo. Katz, contrariamente alla moda imperante negli USA, non è mai stato interessato all'astratto perché ha sempre dipinto "direttamente dalla vita": la pittura dal vero e en plein air sono stati fondamentali nel suo sviluppo come pittore e rimangono un punto fermo anche delle sue pratiche di oggi. Alla fine del 1950, si muove verso un maggiore realismo nei suoi dipinti e diventa sempre più interessato alla ritrattistica, dipinge spesso la moglie Ada e i suoi amici; negli anni '80 e '90, concentra gran parte della sua attenzione su ampi dipinti di paesaggio, che si caratterizzano come "pittura ambientale", poi all'inizio del nuovo millennio, ritorna a dipingere tele coperte dai grandi fiori iniziati già negli anni sessanta. (vedi a destra) L'artista dichiara sempre di non essere interessato al significato dei suoi quadri ma solo all'apparenza: i suoi soggetti sono "pura apparenza". "Lo stile e l'aspetto sono le cose di cui sono più preoccupato di quello che significano. Mi piacerebbe che lo stile prendesse il posto del contenuto, oppure che lo stile fosse il contenuto". Anche il tipo di pittura adottata nei suoi dipinti che lui definisce "automatica" in ossequio ai surrealisti, è singolare: "lo preferisco essere svuotato di senso, svuotato di contenuti". L'artista cerca di dipingere prima che la mente possa formulare un concetto su quello che sta facen-
ALEX KATZ
Red Tulips, 1967, olio su tela, 91x182 cm, venduto da Sotheby New York 2007 a $ 690.600 (€ 469.000)
do, una specie di approccio inconscio che non lo coinvolga e gli permetta di perdersi completamente in quel che fa, mentre lo fa, come l'action painting di Pollock, ma però figurativo. In questo modo la sua tecnica ad olio risulta molto pulita e non mostra quasi nessuna traccia del processo del lavoro. Ispirato dalle campiture piatte della grafica pubblicitaria e delle illustrazioni, il pittore dipinge su scala monumentale e impagina meticolosamente ritratti che evocano i primi piani cinematografici o i cartelloni pubblicitari stradali. Per questa sua adesione alla semplicità senza vincoli e l'uso audace del colore, Katz è spesso definito un precursore della Pop art anche se lui non apprezza questa contiguità a un movimento che considera troppo legato all'idea di un'arte priva di un passato che non sia quello prossimo; ispirandosi a culture diverse, i maestri antichi come il cinema o i cartelloni pubblicitari egli, infatti, ritiene di accogliere culture diverse come avveniva nella pittura classica. L'artista è riuscito a trovare la propria dimensione particolarmente nell’interpretazione della figura umana; la sua pittura, bidimensionale e controllata, tende a rendere autonoma la figura dal fondo determinando una logica an-
tinarrativa apparentemente d'immediata comprensione. Le scene ricordano i volti sorridenti e i personaggi della pubblicità, ma alcune caratteristiche giocano un ruolo chiave: il posizionamento e il linguaggio del corpo, gli occhi che mantengono o meno il contatto visivo, i gesti e le mani, raccontano un'altra storia ponendo il problema di quanto il ritratto riveli veramente di un soggetto rispetto a quanto nasconda. Alex Katz, però, continua a ribadire che l'argomento del soggetto è secondario rispetto allo stile: "Lo stile interferisce con la pittura; la pittura senza stile è solo mestiere". Black Ada, 2000, olio su tela, 152x198 cm, venduto da Christie's New York 2016 a $ 425.000 (€ 402.000)
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Aprile 2017, Anno 6 - N.4
MERCATO DELL’ARTE ? scelte...Casomai è il mercato che è cambiato. Ma in senso peggiorativo». Nato nel 1930 a Castelmassa (in provincia di Rovigo), Castellani si diploma nel 1952 all'Accademia di Belle Arti di Brera e si trasferisce a Bruxelles dove frequenta i corsi di pittura e scultura all'Academie Royale des Beaux-Arts e, nel 56, si diploma in architettura presso l’École Nationale Supérieure de la Cambre. Rientrato a Milano, dopo una breve esperienza pittorica tradizionale prende le distanze da questo tipo di espressività e, nel 1959, realizza la sua prima superficie a rilievo. Nello stesso anno, con Piero Manzoni fonda la rivista “Azimuth” (uscita in soli due numeri) e apre la Galleria Azimut dove, nel 1960, presenta alcuni lavori in rilievo monocromi nell'ambito della sua prima esposizione personale, “La nuova concezione artistica”. Castellani prosegue la sua originale ricerca che si avvale delle proprietà fisiche della tela, sottoponendola alle pressioni esercitate mediante griglie regolari di chiodi alternati con cui crea delle variazioni in positivo e negativo che chiama estroflessioni e introflessioni, così da ottenere composizioni geometriche caratterizzate da rilievi e avvallamenti con giochi di luci e ombre sempre cangianti. Questa invenzione gli permette di "ricavare" da tele piane, quasi sempre monocromatiche, immagini tridimensionali anche molto complesse simili a membrane organiche, dagli effetti morbidamente plastici resi dinamici dal continuo variare delle ombre portate. La tecnica costruttiva dei suoi quadri, anche se laboriosa e impegnativa per la precisione richiesta, si basa su un sistema concet-
ENRICO CASTELLANI (1930), Superficie bianca, 1967, acrilico su tela sagomata, 235x280 cm, venduto da Sotheby's Londra 2014 a GBP 3.778.500 ($ 4.683.000). In questi ultimi anni si è assistito a una forte rivalutazione di questo artista italiano vivente, definito da Donald Judd "padre del minimalismo". I risultati d'asta delle sue opere, molto ricercate dai collezionisti, superano ormai stabilmente il milione di dollari, con delle punte a cifre eccezionali come nel caso sopra. Questo, nonostante il giudizio di Castellani sul mercato dell'arte: «Il mercato? Non ha mai condizionato in nessun modo le mie
Untitled (Superficie bianca e rosa), 1962, acrilico su tela sagomata, 130x160 cm, venduto da Christie's Londra 2016 a GBP 1.415.000 ($ 1.797.050)
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ENRICO CASTELLANI tualmente semplice ma "aperto" che dà luogo a un processo creativo libero, potenzialmente infinito, poiché gli consente di operare, di volta in volta, su una o più delle variabili a disposizione: forma, superficie, volume, ritmo, colore. La modulazione sensibile di entità elementari, la superficie distinta in concavo e convesso, il ritmo per mezzo di intervalli regolari o in progressione, fissi o a quote variabili ripetibili per un tempo indeterminato, generano spazi indifferenziato senza inizio e fine. Egli compone le sue estroflessioni realizzando dei modelli planoaltimetrici leggerissimi ritmati da un sapiente gioco di vuoti e di pieni, delle vere e proprie tensostrutture le quali, situandosi in uno stadio intermedio tra l'opera pittorica e quella plastica, rivelano una nuova dimensione che va al di là delle categorie tradizionali. Dalle prime prove del 1959, Castellani prosegue fino ad oggi in una sperimentazione ininterrotta alla ricerca di un'arte elementare basata sulla riduzione e la ripetizione seriale perseguendo coerentemente un proprio linguaggio artistico essenziale, razionale e minimalista e una poetica assolutamente riconoscibile: «il possesso di un'entità elementare, linea, ritmo indefinitamente ripetibile e superficie monocroma è necessario al fine di dare alle opere concretezza di infinito e la possibilità di subire la coniugazione del tempo.» Nelle opere di questo artista, accanto alla forte tensione concettuale, è sempre presente insieme a un'indubbia attenzione nei confronti di un piacere sia tattile che decorativo, anche un assoluto rigore geometrico e formale che pro-
Superficie Circolare Bianca, 1968, Cirè, diam. 200 cm, venduto da Sotheby's Londra 2015 a GBP 893.000 ($ 1.106.900)
viene direttamente dall'architettura e dall'arte classica italiana. Non a caso, nel 2010, Castellani è il primo artista italiano a ricevere il "Praemium Imperiale" per la pittura della Japan Art Association, il più alto riconoscimento artistico a livello internazionale.
Superficie Bianca, 1962, acrilico su tela sagomata, 152x198 cm, venduto da Christie's Londra 2015 a GBP 1.538.500 ($.2.380.000)
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Maggio 2017, Anno 6 - N.5
MERCATO DELL’ARTE ? cemente incantevole, i tratti pittorici bianchi catturano delicatamente la luce, creando una luminescenza planare che rapisce l'occhio. Una raffica di colore intorno al bordo - un "confine" come tale - emerge da un supporto di fondo, la sua ricca colorazione crea un contrasto ottico caldo, mentre le cerniere a vista su cui è montato il dipinto annunciano la sua presenza come oggetto e processo di meditazione». Nel 1952 Ryman si trasferisce a New York per tentare la carriera di sassofonista jazz e trova lavoro come guardia presso il MoMa, il Museo d'arte Moderna, dove diventa amico degli artisti Sol LeWitt, Dan Flavin e Roy Lichtenstein. Affascinato dall'arte moderna, in particolare l'Espressionismo Astratto, continua a lavorare nel museo fino al 1960, iniziando nel frattempo a imparare a dipingere in un negozio di arte locale. Egli ricorda i suoi inizi da autodidatta: «Non avevo davvero nulla in mente da dipingere, stavo solo scoprendo come funzionava la pittura, i colori, i pennelli, spessi e sottili, le superfici». UNTITLED (Orange Painting), eseguito tra il 1955 e 1959 (vedi in basso) è considerato da Ryman il suo primo lavoro "professionale". A partire dagli anni sessanta la sua pittura diventa totalmente bianca e tale rimane fino ad oggi. Nel 1967, all'età di 36 anni inaugura la sua prima mostra personale in una galleria di New York, e solo cinque anni dopo, grazie a una carriera fulminea quanto inspiegabile, si celebra la sua mostra personale al Guggenheim Museum. L'artista non sceglie il bianco per ragioni simboliche ma per la sua idoneità nel rivelare le proprietà intrinseche del materiale: colore, consistenza, densità, luminosità e riflettanza; il suo
ROBERT RYMAN (1930), BRIDGE, 1980, olio su tela con quattro fissaggi in metallo e bulloni quadrati verniciati con vernice antiruggine, 192x183 cm, venduto da Christie's New York 2015 a $ 20.605.000 (€ 18.641.000) (vedi a pag. 28). Sotheby presenta così il monocromo: «Dol-
UNTITLED (Orange Painting), 1955-1959, olio su tela, 71,4x71,4 cm, Collezione MOMA New York
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ROBERT RYMAN interesse si estende solo alla pennellata in sé poiché la sua arte è totalmente autoreferenziale, cioè non si riferisce a nulla oltre la sua presenza letterale: «Non c'è mai nessuna domanda di 'cosa' dipingere, solo 'come' dipingere». Questa suaossessione per il bianco poi, si combina con la propensione di Ryman verso il supporto quadrato, rigorosamente senza cornice, visto come lo spazio perfetto entro cui agire. Anche se preferisce definirsi "realista" - perché non interessato a creare illusioni - l'ottantaseienne artista americano è considerato uno dei pionieri del Minimalismo: i colori e i materiali utilizzati non sono lavorati per suggerire qualcosa di diverso da quello che sono poiché l'arte minimalista non ha la pretesa di essere qualcosa di diverso da quello che è. Per questa ragione i dipinti di Ryman sono spesso lasciati con i bordi "non finiti", con i segni del nastro adesivo sulla tela oppure con i ganci metallici per fissarli alla parete ben in vista perché l'artista si è a lungo interessato al rapporto dei suoi monocromi con il muro retrostante. Il fatto che suoi quadri siano molto simili ai campioni realizzati in cantiere dai pittori è una scelta voluta dell'artista. Ovviamente, i monocromi bianchi realizzati in questi sei decenni, non sono tutti uguali ma si differenziano per delle piccole variazioni compositive o tecniche: anche se la sua la pittura primaria rimane l'olio, l'artista ha sperimentato materiali come tempera, caseina, smalti e supporti in tela, alluminio, vinile, fibra di vetro, carta da giornale, plexiglas, acciaio, carta da parati ecc.. Un'altra caratteristica di Ryman è che molte opere, o sono senza titolo oppure sono dotate di 'nomi' di fantasia che servono a identificare il dipinto e non hanno nulla a che fare con la pittura in sé ma sono solo un altro mezzo per destabilizzarne il significato.
UNTITLED, 1980, olio su tela, 123,7x123,7 cm venduto da Christie's New York 2014 a $ 15.005.000 (€ 12.399.800) UNTITLED, 1962-63, olio su tela di lino tirata su telaio, 60x60 cm, venduto da Christie's New York 2011 a $ 3.442.500 (€ 2.387.700)
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Giugno 2017, Anno 6 - N.6
MERCATO DELL’ARTE ?
JEAN DUBUFFET (1901-1985), PARIS POLKA, 1961, olio su tela, 192x183 cm, venduto da Christie's New York 2015 a $ 20.605.000 (€ 18.641.000). I due prezzi più alti all’asta di Dubuffet sono stati pagati per "Paris Polka" (vedi a pag. 28) e "Les Grandes Artéres" (vedi a pag. 31), entrambi del 1961, carichi di un'esuberan-
za violenta in cui l'artista vuole rappresentare gli elementi della città «uniti in una danza folle», hanno contribuito a portare l'inventore e teorico dell’Art Brut a livelli economici più conformi ai suoi meriti artistici e culturali. Dubuffet nasce nel 1901 in una famiglia borghese di commercianti di Le Havre, studia alla scuola d'arte e nel 1918 si reca a Parigi per frequentare l'Académie Julian, che lascia dopo sei mesi. In questo periodo incontra Raoul Dufy, Fernand Léger e Max Jacob, e rimane affascinato dal libro di Hans Prinzhorn sull'arte degli alienati. Nel '24, disilluso dalla pittura, ritorna a Le Havre all'attività di famiglia; riprende per poco la pittura a metà degli anni ‘30 per abbandonarla nuovamente e, solo nel 1942 decide di dedicarsi esclusivamente alla pittura. Dubuffet adotta un linguaggio innovativo personale con cui affronta gli argomenti di tutti i giorni: la sua serie "Metro" del 1943 esemplifica il suo interesse per la vita quotidiana che lo porta a rappresentare la gente nella metropolitana di Parigi con colori vivaci e pennellate grezze; lo stile del disegno è volutamente primitivo, influenzato dai disegni dei bambini e dai graffiti stradali. Nel 1944, la sua prima mostra personale a Parigi che lo porta ad allontanarsi dai filoni dell'arte ufficiale, scandalizza la critica ma il suo interesse è particolarmente focalizzato su un tipo di arte più spontanea, quella degli artisti emarginati e autodidatti. Una frase spiega bene il suo punto di vista: «Per me, la pazzia è super sanità mentale. Il normale è psicotico. Normale significa mancanza di fantasia, mancanza di creatività». La sua ricerca di una creatività "diA sinistra: LE PIRATE, 1980, resina poliestere e vernice poliuretanica, 109x95x61 cm, venduto da Sotheby's New York 2015 a $ 1.090.000 (€ 1.003.800)
JEAN DUBUFFET versa" lo porta a scoprire i lavori di tanti artisti malati di mente o con disabilità a cui dà il nome "Art Brut" (arte grezza) che definisce così: «L’Art Brut designa lavori effettuati da persone indenni da cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a ciò che avviene negli intellettuali, abbia poca o niente parte, in modo che i loro autori traggano tutto (argomenti, scelta dei materiali, messa in opera, mezzi di trasposizione, ritmo, modi di scritture, ecc.) dal loro profondo e non da stereotipi dell’arte classica o dell’arte di moda». Dubuffet raccoglie negli anni una straordinaria collezione di Art Brut composta da oltre 5.000 opere di 133 artisti che dona nel 1971 alla città di Losanna e che oggi costituisce la base di un museo unico al mondo, la "Collection de l'Art Brut Lausanne". Un'altra caratteristica importante di questo artista è di essere uno sperimentatore capace di sviluppare nuove tecniche mirate al suo linguaggio in cui ricerca l'indeterminatezza e la casualità. Nel 1945, emulando Jean Fautrier, inizia ad utilizzare quelle che lui chiama le "Pâtes
hautes" (paste alte), un impasto di catrame, asfalto, polvere di carbone, ciottoli, vetro e materiali vari. Il suo uso di materiali grezzi e l'ironia che caratterizza molte delle sue opere ottiene pesanti reazioni dalla critica che lo accusa di anarchia. Susccessivamente, adotta una tecnica tradizionale usata dagli stuccatori nelle "Texturologies", quadri materici monocromatici simili al suolo in cui copre la tela in strati di minuscole goccioline di colore combinati con materiali duri ed eterogenei. Infine, il ciclo degli "Hourloupes", iniziati in modo quasi casuale come scarabocchi fatti con la penna a sfera mentre è al telefono: un groviglio di linee fluide nere che formano una trama di cellule riempite con i colori primari a cui lavora per il resto della sua vita e che utilizza sia nelle sue prime sculture policrome dalle forme organiche (vedi a pag.20) che nelle monumentali installazioni e architetture abitabili. In basso: CITÉ FANTOCHE, 1963, olio su tela 165x219 cm, venduto da Christie's New York 2014 a $ 7.445.000 (€ 6.152.400)
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Luglio 2017, Anno 6 - N.7
MERCATO DELL’ARTE ? sperienza fondamentale nella storia dell'arte moderna. Ottenuto il diploma, Albers inizia a lavorare come operaio nel laboratorio vetro, nel 23 gli viene affidato un corso di disegno di base e due anni dopo diventa professore a fianco di artisti come Klee, Kandinsky, Itten, Schlemmer. Nel 1933, quando il regime nazista impone la chiusura della Bauhaus, con la moglie Anni, artista di origini ebraiche, si trasferisce negli Stati Uniti dove continua la sua attività didattica in diverse prestigiose università e, dal 1950 al 58, presso la Yale University. Albers dirà di quegli anni: «Invece di arte ho insegnato filosofia. Insegnare la tecnica per me è una parola grossa, non ho mai insegnato come dipingere. Tutto quello che facevo era far vedere le persone». Un'importante carriera la sua, soprattutto come insegnante poiché, tramite la sua vasta opera teorica egli incide sullo sviluppo dell'arte negli Stati Uniti per cui è spesso citato tra i progenitori dell'arte minimalista e della Op art. Il suo libro "L'interazione del colore" pubblicato nel 1963 che fornisce una delle analisi più complete sulla funzione e sulla percezione del colore influenza profondamente sia l'educazione che la pratica artistica di quel periodo. Coerente sostenitore del metodo acquisito e sviluppato nei suoi corsi alla Bauhaus, Albers concentra la sua ricerca artistica sul colore piuttosto che sulla forma, come mezzo primario del linguaggio pittorico impiegando composizioni geometriche elementari al fine di analizzare gli effetti ottici delle diverse gamme di colori. ll suo approccio di base è finalizzato a esplora-
JOSEF ALBERS tedesco-americano (1888-1976), HOMAGE TO THE SQUARE: WHITE NIMBUS, 1964, olio su masonite, 122x122 cm, venduto da Christie's New York 2012 a $ 2.210.500 (€ 1.674.500) (vedi a pag. 28). Nato nel 1888 a Bottrop (Germania), dopo aver prima intrapreso la carriera di maestro elementare e poi studiato arte a Berlino, nel 1920, all'età di 32 anni, Josef Albers si iscrive alla Staatliches Bauhaus, la scuola superiore di architettura, arte e design appena fondata a Weimar da Walter Gropius che diventerà un'e-
AFTER NIGHFALL, 1948-53, olio su masonite 45,4x68,3 cm, venduto da Phillips New York 2016 a $ 526.000 (€ 450.000)
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JOSEF ALBERS re la mutevolezza della percezione umana e il ventaglio di effetti ottici e psicologici che i colori sono in grado di produrre a seconda della loro posizione e vicinanza ad altri colori, generando l'illusione di attrazione, resistenza, peso e movimento. Solo recentemente i dipinti di Albers hanno visto le loro quotazioni salire a livelli ragguardevoli nelle aste, in particolare è molto apprezzato il ciclo di opere "Omaggio al Quadrato", per cui è maggiormente riconosciuto, composte sempre da tre oppure quattro quadrati di misura decrescente inscritti l’uno nell’altro, che inizia nel 1950 quando ha sessantadue anni e prosegue - sostanzialmente invariato - nel corso dei successivi ventisei anni fino alla sua morte. Albers sceglie un’unica, ripetuta figura perfetta come il quadrato, a suo avviso, immediatamente comprensibile e non coinvolgente emotivamente, ritenuta quella che gli permette una sperimentazione sistematica "oggettiva". Unico accorgimento ottico adottato: i quadrati sono allineati come in una prospettiva centrale con il fuoco ribassato cosicché, secondo Albers, «sembrano muoversi avanti e indietro, avanzare e recedere, crescere e rimpicciolirsi». L'artista-professore-scienziato lavora metodicamente (e abbastanza ossessivamente) per 26 anni con questo sistema codificato che gli permette di riprodurre una serie praticamente infinita di combinazioni, arrivando a realizzare oltre mille "Omaggi al quadrato". Tutti i dipinti sono realizzati su supporti quadrati in masonite di poche misure predefinite e le forme geometriche sono costruite usando solo colori puri ad
HOMAGE TO THE SQUARE: JOY, 1964, olio su masonite, 122x122 cm, venduto da Sotheby's New York 2007 a $ 1.497.000 (€ 112.500)
olio, distribuiti direttamente dal tubetto e distesi con la spatola: ogni quadrato è definito da un solo colore che si caratterizza anche dalla stretta relazione con gli altri vicini rivelando così il senso e il fine compositivo dell'artista secondo il quale «il colore segue proprio come l’essere umano, due diversi modi di comportamento: prima realizza sé stesso e poi instaura rapporti con gli altri».
RED WALL, 1947-1956, olio su masonite 60x88 cm, venduto da Sotheby's New York 2017 a $ 804.500 (€ 708.000)
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Agosto 2017, Anno 6 - N.8
MERCATO DELL’ARTE ? in Svizzera e quando i genitori si separano nel 1912, va a vivere con una ricca zia a San Pietroburgo. Qui, all'età di 18 anni, si sposa con Tadeusz Lempicki ricco scapolo russo e, lo stesso anno, nasce la figlia Kizette. Nel 1917 quando scoppia la rivoluzione russa, il marito è arrestato dai bolscevichi e solo dopo numerose peripezie Tamara riesce a farlo rilasciare e a riparare insieme a Parigi dove riesce a mantenersi con la vendita dei suoi gioielli. Si cambia il cognome in un più aristocratico de Lempicka e decide di coltivare il proprio talento naturale iscrivendosi ai corsi gratuiti all'Académie sotto la guida di Maurice Denis e del pittore André Lhote, l’unico che riconoscerà come suo maestro, dal quale apprende un tipo di astrazione post-cubista più vicina allo stile freddo ma sensuale della nascente Art Deco. Innamorata della pittura rinascimentale italiana, la pittrice ricerca una tecnica classica, pulita e precisa attraverso cui esprimere una propria visione artistica più personale e intima, come in seguito scriverà: "Il mio obiettivo non è mai stato quello di copiare, ma di creare un nuovo stile, di colori chiari e luminosi e di sentire l'eleganza nei miei modelli". Durante quelli che saranno chiamati i "ruggenti anni venti", l'affascinante Tamara frequenta artisti d'avanguardia e intellettuali bohemien e la mondanità ricca e cosmopolita di Parigi, conducendo una vita pubblicamente e scandalosamente bisessuale che si ritrova documentata nei suoi dipinti. Trova nello stile Art Deco, formalmente meno complesso rispetto alla Art Nouveau d'inizio secolo, la pittura ideale che
TAMARA de LEMPICKA, (1898-1980), Le Rêve (Rafaela sur fond vert), 1927, olio su tela, 81,3x58,5 cm, venduto da Sotheby's New York 2011 a $ 8.482.500 (€ 6.361.500) (vedi a pag. 28). Il dipinto che ha raggiunto nel 2011 la massima quotazione fa parte delle sei opere dedicate dalla de Lempicka a Rafaela, una diciassettenne italo-americana sua amante per un mese. La storia di questa pittrice protagonista e simbolo di un’epoca, è piena, intensa ed eccessiva come la trama di un romanzo d'avventure. Nata nel 1888 a Varsavia, Tamara è figlia di un ricco avvocato ebreo russo e di una signora polacca dell'alta società; studia in un collegio
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TAMARA de LEMPICKA le permette di catturare lo spirito del tempo ed esprimere pienamente i suoi ideali estetici e sociali. Con la sua prima personale avvenuta a Milano nel 1925, arriva il successo così che molte personalità e celebrità le commissionano i propri ritratti. Entra in contatto anche con il mondo della moda sia come illustratrice per riviste prestigiose, sia svolgendo l’attività di indossatrice. E' solo qualche anno dopo (1929) che la de Lempicka dipinge per la copertina della rivista di moda tedesca Die Dame un piccolo olio su tavola, "Autoritratto, Tamara nella Bugatti verde" (vedi a pag.31). Lei è alla guida della lussuosa cabriolet, mito futurista della velocità, una "Femme fatale" dalla bellezza raffinata e algida che diventa l'icona della donna nuova, libera, indipendente e inaccessibile. Il suo stile pittorico è inconfondibile, incorpora le forme geometriche e spezzate del cubismo ma reintepretate attraverso una modellazione morbida dei modelli rigidamente messi in posa, simili a forme scultoree o sofi-
sticati oggetti d'arte. L'attenzione dell'artista è posta, oltre che sulla sensualità trasgressiva dei corpi (spesso nudi femminili) definiti con calde tinte color carne, in particolare sugli sguardi dei suoi soggetti nei quali si coglie sempre una carica seduttiva e sottilmente perversa. Il suo stile di vita trasgressivo, la disinvoltura con cui esibisce le molte amanti, ne fanno un'anticipatrice che sovverte i ruoli sociali tradizionali messi in crisi anche dai rivolgimenti politici: «Io vivo la vita ai margini della società, e le regole della società normale non si applicano a coloro i quali vivono sul confine». Nel 1927 il marito che non tollera più le sue relazioni, l’uso di droghe e la vita frenetica abbandona l'artista ormai incontrollabile. Vince numerosi premi nazionali e internazionali con i ritratti della figlia Kizette che però vede raramente. A partire dagli anni '30 la sua stella artistica comincia a declinare: prima la Grande Depressione del '29 e poi la Guerra Mondiale segnano la fine del suo mondo. Tamara de Lempicka non è più di moda.
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Settembre 2017, Anno 6 - N.9
MERCATO DELL’ARTE ? il giovane Robert (il cui vero nome è Milton Ernest) si iscrive nel 1943 a farmacologia all'Università del Texas ma abbandona a causa della dislessia non diagnosticata: «Sono stato considerato lento; mentre i miei compagni di classe stavano leggendo i loro libri di testo, ero attirato dal margine». Rauschenberg deve unire sempre lo studio teorico con l'apprendimento dal mondo e dalle persone attorno a lui, cercando di imparare da tutto e da qualsiasi cosa: «Non riuscivo a capire le istruzioni di ciò che stavo facendo in classe così sono uscito per le strade...». Dopo aver studiato all'istituto d'arte del Kansas e all'Académie Julian a Parigi, nel 1948 si iscrive ai corsi dell'ex docente del Bauhaus, Josef Albers, tenuti al prestigioso Black Mountain College nel North Carolina; qui diventa amico del compositore John Cage, del ballerino-coreografo Merce Cunningham, di Cy Twombly e Jasper Johns; alcuni di loro, insegnanti all’istituto, saranno amici, amanti, collaboratori con cui progetta negli anni scenografie, costumi e coreografie per spettacoli teatrali. Si trasferisce a New York e sposa nel 1950 l'artista Susan Weil con cui realizza cianografie su carta sensibile del corpo umano, ma si separa dopo due anni partendo per un lungo viaggio con l'artista Cy Twombly. Impegnato a mettere in discussione la definizione di opera d'arte e il ruolo dell'artista, nel 1951 crea White Painting, un ciclo di monocromi bianchi il cui scopo è ridurre la pittura alla sua natura essenziale, a questi seguirà dal 1953 al 1954 la serie Black Painting e Red Painting. E' a partire dal 1954 che ha inizio la fase fondamentale della sua carriera, quella dei "Combine" (combina, unisce) che durerà fino al 1962, un assemblaggio-collage dadaista che associa la pittura con una vasta gamma di oggetti pre-
ROBERT RAUSCHENBERG, (1925-2008), Johanson's Painting, 1961, olio, metallo, tessuto, legno, carta, spago, cornice, spazzola da barba e lattina su masonite, 142x122,5x17,5 cm, venduto da Christie's New York 2015 a $ 18.645.000 (€ 16.868.000) (vedi a pag. 28). Innovativo iconoclasta considerato uno dei principali artisti del movimento Neo Dada e figura cruciale nella transizione dall'Espressionismo astratto ai movimenti successivi, Rauschenberg è rimasto creativo e sperimentale per oltre sessant'anni dimostrando la sua intensa e costantemente rinnovata curiosità sia nella ricerca di strade nuove e imprevedibili che nell'uso di una immensa varietà di media, dalla pittura ad olio alla fotografia, alla scultura, al collage, al ready made, all'object trouvé fino alla performance. Di origini ebraico-tedesche e sangue cherokee,
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ROBERT RAUSCHENBERG si dalla vita quotidiana vestiti, giornali, fumetti, trapunte, fotografie, detriti urbani, animali impagliati. Né dipinti né sculture, ma entrambi contemporaneamente. Uno dei "Combine" più discussi e famosi rimane "Bed" del 1955 in cui Rauschenberg usa il letto e il cuscino come superfici su cui incollare i propri oggetti quotidiani e stendere colori gocciolanti con una tecnica gestuale (vedi a pag. 31). Nello stesso anno, notando la recessione del mercato petrolifero texano a causa di un surplus di produzione, inventa la serie "Gluts" (Surplus) trasformando in sculture pezzi di metallo, parti di automobili, rottami industriali, segnali stradali e distributori di carburante. Nel 1971-72 crea "Cardboards" (Cartoni), sculture a parete realizzate con il cartone di scatole recuperate per strada, tagliate, incollate e piegate dall'artista conservando la loro storia con scritte, etichette e macchie originali. Rauschenberg è anche un pioniere della serigrafia, una tecnica che sperimenta a fondo trattando l'intera storia della cultura visiva come un immensa banca dati da manipolare e utilizzare a piacimento, anticipando le tante opere con-
Combine, 1954, collage olio, giornale, tela, tessuti, lampadine, due radiometri, 64x39x9,5 cm, venduto Sotheby New York 2014 a $ 5.765.000 (€4.225.000)
temporanee in cui vengono usate immagini per creare immagini nuove. Di questo artista vanno ricordati anche il forte impegno pacifista, ed ecologico sociale finalizzato ala difesa dell'ambiente e a promuovere lo scambio tra culture diverse nel mondo. Rauschenberg è stato uno spirito libero e aperto che trovava il proprio piacere personale nel rompere le regole e usare tutto quello che lo ispirava e, nel caso non esistesse, inventarlo. Scriveva nel 2001: «So che l'arte ha l'energia per cambiare menti e cuori. L'arte è una potente fonte di fatti e di gioia». Bait, 1963, olio e inchiostro su serigrafia 152,4x152,4 cm, venduto da Sotheby's New York 2015 a $ 6.746.000 (€ 6.103.000)
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Ottobre 2017, Anno 6 - N.10
MERCATO DELL’ARTE ? '57 a Berlino Ovest (non c'era ancora il muro) dove entra in contatto per la prima volta con l'arte occidentale e completa gli studi artistici nel 1962. Il giovane Baselitz, che non si riconosce nelle correnti di importazione americana, scopre l'esistenzialismo, il surrealismo, l'informale francese di Fautrier e Dubuffet, si avvicina all'arte di malati mentali e primitiva. Si pone in contrapposizione polemica con l'astrattismo internazionale in nome di un’identità artistica nazionale individuando nell'Espressionismo le radici culturali della pittura tedesca. Recupera la pittura tradizionale e porta l'attenzione verso una figurazione violenta e tragica unita a un linguaggio di dissenso espresso con cromatismi accesi e corposi. Si fa conoscere creando uno scandalo nel 1963 quando due suoi dipinti, "Die grosse Nacht im Eimer"(La grande notte in bianco), un monumentale nudo maschile colto nell'atto della masturbazione e "Uomo nudo", esposti alla prima mostra personale in una galleria di Berlino, GEORG BASELIZ, (1938), Mit roter fahne, 1965, olio su tela, 162x131 cm, venduto da Christie's Londra 2017 a 7.471.250 GBP (€ 8.651.300) (vedi a pag. 28). Hans-Georg Rem nato a Deutschbaselitz (da cui trae nel 1961 lo pseudonimo "Baselitz"), è un pittore e scultore da sempre ribelle e provocatore verso l'establishment che ha costruito la sua fama internazionale soprattutto con i suoi "dipinti capovolti". Fino all'età di otto anni vive sotto il Terzo Reich e poi nel regime comunista della Repubblica Democratica Tedesca, a 18 anni si iscrive all'Accademia delle Belle Arti di Berlino Est dove l'unico stile ammesso è il Realismo socialista ma dopo due semestri è espulso per "immaturità sociopolitica"; si trasferisce nel
Orangenesser VII, 1981, olio su tela, 146x114 cm venduto da Christie's New York 2016 a $ 2.767.500 (€ 2.324.000)
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GEORG BASELITZ sono sequestrati per "violazione della pubblica morale. Nel ciclo di grandi dipinti figurativi degli "Eroi" e dei "Nuovi tipi" prodotti tra il 1965 e il 1966 quando aveva solo 27 anni, l'artista racconta per la prima volta dei soldati tornati a casa dalla guerra, simili a ingombranti giganti, seminudi e vestiti di stracci, le teste rimpicciolite e i corpi gonfi e sanguinanti. Baselitz rappresenta con le sue immagini esperienze ed emozioni profonde che molti tedeschi non riuscivano a esprimere: immagini scioccanti che affrontano il profondo disagio per l'Olocausto e la guerra mondiale ancora vivo in una Germania postbellica che aveva rimosso il suo passato. "Der Wald auf dem Kopf" (Il legno sulla sua testa) del 1969 è il primo dei dipinti "capovolti", lavori in cui i soggetti sono rappresentati al contrario, testa all'ingiù e piedi per aria, ostacolando la capacità di interpretare l'immagine resa incomprensibile come una simbolica visione di mondi ribaltati. Nel 1970, Baselitz entra a
far parte dei "Neuen Wilden" (Nuovi Selvaggi), un gruppo di artisti tedeschi interessati a una pittura neoespressionista gestuale e deformata dai toni violenti e dissonanti. Nel 1980 presenta alla Biennale di Venezia "Modell fur eine Skulptur", la sua prima scultura, una figura umana di legno eseguita brutalmente con ascia e motosega, caratterizzata da forme elementari e la superficie grezza parzialmente pitturata: «Non volevo fare una scultura piacevole. Così ho fatto sculture spiacevoli - e ora non sono più spiacevoli. È così che va». Nella maturità il suo approccio materico-gestuale si esprime in modo ancora più libero in opere di formato monumentale nelle quali abbandona gli aspetti politici e impegnati precedenti e invece giocano un ruolo primario ricordi autobiografici, memorie storiche o riferimenti culturali. Der Brückechor, 1983, olio, su tela, 279,5x450 cmvenduto da Christie's New York 2014 a $ 7.445.000 (€ 6.247.928)
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Novembre 2017, Anno 6 - N.11
MERCATO DELL’ARTE ?
HELEN FRANKENTHALER, 1928-2011, Saturn revisited, 1964, acrilico su tela, 213x135 cm, venduto da Sotheby's New York 2015 a $ 2.830.000 (â‚Ź 2.540.000) (vedi a pag. 28).
Nasce a New York in una famiglia ebraica, agiata, colta e progressista che la incoraggia a seguire la strada dell'arte, prima diplomandosi nel 1945 alla Dalton School dove studia con il pittore muralista Rufino Tamayo, e poi laureandosi nel '49 al Bennington College dove segue i corsi di cubismo tenuti da Paul Feeley. Inizia a dipingere a tempo pieno mentre frequenta i corsi di laurea di storia dell'arte con Meyer Schapiro ala Columbia University. Nel 1950, mentre partecipa a una mostra degli studenti conosce Clement Greenberg, uno dei principali critici d'arte e teorico dell'Espressionismo astratto; la Frankenthaler, che ha 22 anni, inizia un rapporto con Greenberg durato fino al 1955 grazie al quale incontra artisti come de Kooning, Gottlieb, Franz Kline, Barnett Newman, Jackson Pollock, Lee Krasner. Nell'autunno del 1951 si svolge la prima mostra personale di Helen presso l'importante galleria Tibor de Nagy, New York. Influenzata dai lavori gestuali di Pollock, anche la giovanissima artista dipinge con le tele sul pavimento producendo una serie di dipinti audaci, tra cui "Mountains and Sea" del 1952, un quadro di grandi dimen-
HELEN FRANKENTHALER sioni in cui la libera disposizione dei colori e delle forme evoca appunto l'ambiente naturale. Ispirandosi al "dripping" (gocciolatura) di Pollock, la Frankenthaler comincia a sperimentare una "soak-stain technique" (macchia bagnata), una sua tecnica personale di colorazione pigmentata tramite imbibizione, un processo in cui il colore, molto diluito nella trementina per portarlo alla consistenza dell'acquerello, è versato direttamente sulla tela grezza tenuta in piano in modo da impregnarla e creare delle macchie di colore sottile e fluido simili a campiture che sembrano galleggiare nello spazio piatto del tessuto. Artista colta ed elegante, nel '58 si sposa con Robert Motherwell, uno dei celebri "pittori irascibili" della Scuola di New York e anche ricco e raffinato esponente dell'alta borghesia newyorchese. Il mondo dell'arte di New York degli anni '50 e '60 era un mondo dominato dagli uomini dove la regola era data dal critico Harold Rosenberg, il quale promuoveva una pittura gestuale caratterizzata da un rapporto fisico dell'artista con il medium, mentre a partire dagli anni Sessanta, Greenberg aveva teorizzato
un'astrazione lirica priva dell'illusione di profondità, più formale e contemplativa. Le immagini della Frankenthaler, fresche, luminose, "femminili", avevano il merito di reagire alle tele vaghe e ansiogene degli espressionisti astratti; con la sua pittura che esplorava gli aspetti tattili e ottici di grandi campiture vivaci di puro colore, ha influenzato inizialmente Gene Davis, Louis Morris, Kenneth Noland contribuendo al successo a metà del 20° secolo del movimento artistico "Color field painting" (pittura a campi di colore). «L'unica regola è che non ci sono regole. Tutto è possibile ... Si tratta di rischi, di rischi deliberati». Scompare a 83 anni ma ha continuato a lavorare fino all'ultimo godendo sempre di un grande apprezzamento che oggi sta conoscendo una nuova stagione e che sta riportando alla ribalta le sue opere; la costante elevata qualità creativa durata per cinque decenni, pone Helen Frankenthaler tra gli artisti più importanti della pittura americana del dopoguerra. Under April Mood, 1974, acrilico su tela 104x446 cm, Sotheby's New York 2016 a $ 2.532.000 (€ 2.425.700)
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Dicembre 2017, Anno 6 - N.12
MERCATO DELL’ARTE ? se Petter Olsen, il cui padre era amico e patrono di Munch, è la terza versione: la più colorata e vibrante delle quattro, l'unica in cui una delle due figure sullo sfondo è piegata sul parapetto e nella sua cornice originale finita con una targhetta che riporta una poesia composta dall'artista sullo stato d'animo che ha ispirato il lavoro. Infine, l'ultima versione che risale al 1910, sempre del Museo Munch, eseguita a olio e tempera su cartone di 83x66 cm, non finita ma grazie ai colori ad olio più vivace e luminosa fra tutte. Inoltre, l'artista ha creato nel 1895 anche una litografia che ha contribuito alla grande diffusione di questa immagine. La genesi di ciò che sta alla base di quasi tutta l'arte del pittore è la rappresentazione autobiografica della sua angoscia esistenziale: «Per tutto il tempo che posso ricordare ho sofferto di un profondo sentimento di ansia, che ho cercato di esprimere nella mia arte: senza ansia e malattia, avrei dovuto essere come una nave senza timone». Con "L'urlo" Munch ottiene subito uno straordinario successo di pubblico dando l'avvio a quella "poetica dell'angoscia" strettamente legata alle vicende dolorose della sua infanzia: la malattia e le morti premature per tubercolosi della madre e, successivamente, dell'amata sorella, spiegate dal padre, medico e fondamentalista cristiano, come un atto di punizione divina, fatti questi che gli instilleranno una incessante sensazione di ansia insieme a un fascino morboso per la morte. Moltissimi gli studi pubblicati su questa opera ma, forse, le note scritte dall'artista nel suo diario forniscono la spiegazione più autentica: «Una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la città e sotto di me il fiordo... Mi fermai e guardai al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso
EDVARD MUNCH (1863-1944), L'URLO (The Scream), 1895, pastello su cartone in cornice originale, 79x59 cm, venduto da Sotheby's New York, 2012 per $ 119.922.500 (€ 91.033.800) (vedi a pag. 28). Questa versione de "L'urlo" del celebere pittore e incisore norvegese ha segnato nel 2012 il record per l'opera d'arte venduta in asta più costosa al mondo. Va chiarito, infatti, che de "L'urlo", una delle opere moderne più famose e studiate, esistono in realtà quattro versioni e ciò può ingenerare qualche confusione. La prima versione, uno studio preliminare del 1893 schizzato a pastello su un cartone 74×56 cm, si trova al Museo Munch di Oslo; la versione 'definitiva', eseguita nel 1893 a tempera e pastello su cartone, 91×73,5 cm, è esposta alla National Gallery (Norway) (vedi a pag.29). Il pastello del 1895 venduto da Sotheby's, di proprietà del norvege-
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EDVARD MUNCH sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando. Questo è diventato L'urlo». Nel quadro In primo piano una strana figura, l'artista stesso, con la testa calva come un teschio tenuta tra le mani, il viso appena abbozzato, gli occhi-orbite dallo sguardo allucinato e terrorizzato, la bocca, vero centro compositivo del dipinto, spalancata in un grido muto, dalla quale sembrano dipartire le onde sonore che attraverso il segno sinuoso del colore, si diffondono su tutta la superficie con un andamento simile a cerchi nell'acqua che pervadono la natura, il paesaggio e il cielo circostanti. Distanti, alla fine di un sentiero con parapetto che taglia diagonalmente la composizione, si vedono due persone, ignare o indifferenti al dramma che lui sta vivendo (i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura...). Un'immagine di orrore e pathos che continua ad affascinare per la sua capacità di interpretazione psicologica della «solitudine individuale dilatata fino a compenetrarla nel dramma collettivo dell'umanità e cosmico della natura». Sebbene la natura sia molto presente nelle opere di Munch, non è benigna e serena bensì, attingendo alla tradizione "pittura dello stato d'animo" caratteristica dell'arte nordica, intrisa di presenze inquietanti e simboli oscuri: «L'arte è l'opposto della natura. Non dipingo la natura - io prendo da essa - o mi aiuto dal suo piatto generoso. Non dipingo quello che vedo, ma quello che ho visto». Al contrario della contemporanea corrente impressionista, l'interesse dell'artista, appunto, non si rivolge all'esterno, verso la natura, ma si proietta verso l'interno, sull'inconscio, di cui affronta tutta la carica emotiva con l'evidente scopo di alleviare le
Girls on the bridge, 1902, olio su tela, 101x102,5 cm, venduto da Sotheby's New York 2008 a $ 30.841.000 ((€ 19.825.000) vedi a pag.31
proprie sofferenze psicologiche. Per questa sua capacità d'introspezione Munch è riconosciuto come il precursore del gruppo di artisti tedeschi del "Die Bucke" e il pioniere fondamentale di tutte le correnti di ispirazione espressionista che seguiranno. La maggior parte delle opere più importanti di Edvard Munch sono possedute da istituzioni pubbliche per cui i suoi dipinti messi sul mercato sono rarissimi: gli ultimi due, battuti in asta da Sotheby's nel 2008, sono stati "Vampire", (vedi a pag. 30) raffigurante una donna-vampiro che avvolge l'oggetto del suo desiderio in una fusione di sesso, morte e abbandono, e "Girls on the bridge", uno dei dodici dipinti simili realizzati dal pittore. (vedi sopra e a pag. 31). 53
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Gennaio 2018, Anno 7 - N.1
MERCATO DELL’ARTE ? fine a "pois" come una Alice nel Paese delle Meraviglie (vedi in basso), è l'ottantottenne giapponese Yayoi Kusama, un'artista che a partire dagli anni '60 ad oggi, ha prodotto una mole sorprendente di dipinti, sculture, happenings, installazioni, film, collezioni di abbigliamento e accessori, romanzi, illustrazioni, poesie ecc. La sua storia personale è particolarmente dolorosa e interessante perché strettamente intrecciata alla sua arte: "Il mio lavoro è un'espressione della mia vita, in particolare della mia malattia mentale." Fin dall'età di dieci anni, soffre di disturbi della personalità, allucinazioni visive e uditive che ha imparato a controllare disegnandole su carta. Responsabile della sue ansie ossessive anche una situazione familiare in cui è tormentata fisicamente ed emotivamente dalla madre che la obbliga a spiare le avventure sessuali del padre donnaiolo, esperienze che le creano un'avversione permanente verso il sesso e il corpo maschile. A 13 anni è mandata a cucire paracaduti in una fabbrica militare dove rimane per tutta la durata della 2° guerra mondiale. La pittura diventa un meccanismo di sopravvivenza essenziale, l'unico strumento che le fornisce conforto e controllo sulle nevrosi che la tormentano, così segue gli studi di pittura alla scuola d'arte dove deve imparare solo lo stile tradizionale giapponese. Nel 1958, all'età di 28 anni, decide di partire da sola e con poco denaro per New York dove inizia a lavorare su quella che sarebbe diventata la sua serie più rinomata, le "Infinity Net" (le reti infinite), e grazie all'enorme ambizione e forza di volontà, riesce dopo qualche anno a organizzare la sua prima mostra personale e a farsi rappresentare da importanti gallerie. Nel prolifico decennio in cui vive nella metropoli Kusama produce lavori significativamente diversi nell'e-
YAYOI KUSAMA (1929), White No.28, 1960, olio su tela, 148x111 cm, venduto da Sotheby's New York 2014 a $ 7.109.000 (€ 5.874.700) vedi a pag. 28. Con questa opera Kusama è diventata l'artista donna vivente più quotata al mondo. L'incredibile personaggio dalla parrucca e labbra rosso fuoco immersa in uno spazio senza
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YAYOI KUSAMA stetica e nei soggetti cambiando radicalmente il suo stile lirico iniziale: tele e oggetti decorati da reti composte da miriadi di particelle che si allargano all'infinito, anche negli spazi circostanti e persino sul corpo dell'artista. Le sue "nets" (reti), ma soprattutto i suoi "dots" (pois) senza fine all'apparenza composizioni colorate e allegre, in realtà, nascono dal suo bisogno di comunicare il senso di interconnessione tra l’uomo e l’infinito e il suo percepirsi come parte del tutto poiché in Kusama qualsiasi separazione tra arte e vita è cancellata. Unica donna, partecipa alla scena artistica assieme a Oldenburg, Warhol, Newman, Rothko, Judd, Flavin, con le sue "soft sculptures" interamente coperte da falli riprodotti in materiale morbido: «L’ossessione per il sesso e la paura del sesso convivono dentro di me». Le preoccupazioni dell'artista per la fama si manifestano in una auto-pubblicità esasperata e in una mentalità ambiziosa e al tempo stesso maniacale, tanto che per lei i critici coniano il termine «obsessional artist». Verso la fine degli anni '60, con l'avvento del movimento hippie, diventa famosa per i suoi happening e le manifestazioni di donne e uomini nudi a favore della liberazione sessuale o proteste contro la guerra del Vietnam. Nel 1970, tornata negli USA da un viaggio in Giappone dove la stampa l'ha descritta come una "donna facile e senza pudore", dipinge la ‘caged series' (serie in gabbia), in cui i quadri con i ritratti di persone celebri come la Monroe, Elizabeth Taylor e Shirley MacLaine, che Kusama definisce "bad girls", sono "imprigionati" da una rete metallica (vedi a pag. 30). Nel 1973, date le difficili condizioni mentali, ritorna definitivamente in Giappone e, a partire dal 1977, vive in una clinica psichiatrica recandosi giornalmente nel suo studio dove continua
Net-No.2 Yellow, 1960, olio su fibra di legno 96,5x71 cm, venduto da Sotheby's Hong Kong 2017 a 25.300.000 HKD (€ .000)
a lavorare, infaticabilmente e compulsivamente. Scrive romanzi, racconti e poesie e continua dipingere ma è praticamente dimenticata come artista fino alla fine degli anni '80 e '90. E' riscoperta nel 1993 dopo il successo del padiglione giapponese alla Biennale di Venezia e per lei inizia una nuova stagione con mostre in grandi musei internazionali e sue opere battute in asta a prezzi milionari. Nel 2006 diventa la prima donna giapponese a ricevere il Praemium Imperiale e nel 2012 crea con Louis Vuitton una linea di moda tutta a pois coloratissimi 55
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Febbraio 2018, Anno 7 - N.2
MERCATO DELL’ARTE ? nostante gli venga negata l'ammissione all'École des Beaux-Arts, ne frequenta ugualmente le lezioni, mentre studia all'Académie Julian. Nei suoi primi lavori si ispira all'impressionismo e ai fauves ma nel 1907, influenzato dalla retrospettiva al Salon d'Automne di Paul Cézanne, pittore che voleva «trattare la natura attraverso il cilindro, il cono, la sfera», sente il bisogno di tornare con i piedi per terra, a una assoluta oggettività e distrugge gran parte delle opere: «Ho sentito che il disegno doveva essere rigoroso e assolutamente non sentimentale». Nel 1909 si trasferisce a Montparnasse dove conosce i maggiori artisti del tempo: Modigliani, Laurens, Archipenko, Robert Delaunay, Chagall, ma i suoi amici più intimi sono gli scrittori Apollinaire e Blaise Cendrars. L'influsso del Cubismo imprime una nuova direzione alla sua pittura e nel 1910 espone con George Braque e Picasso alla Galleria Kahnweiler, due anni dopo sede della la sua prima personale. Léger propone un proprio cubismo personale (che sarà ironicamente definito "tubisme") perché «l'oggetto deve diventare il personaggio principale e detronizzare il soggetto». Dal 1911 fino al 1914 la sua pittura si evolve verso l'astrattismo, con un cromatismo limitato all'uso dei colori primari E'
FERNAND LÉGER (1881-1955), Contraste de formes, 1913, olio su tela, 92,4x73,2 cm, venduto da Christie's New York 2017 a $ 70.062.500 (€ 57.253.600) vedi a pag. 28. Léger è riconosciuto uno dei maggiori artisti cubisti il cui stile varia nel corso degli anni spostandosi gradualmente dall’astrazione iniziale verso un linguaggio più figurativo e popolare. Nato in una famiglia contadina della Normandia, Fernand è cresciuto solo dalla madre rimasta vedova quando lui ha quattro anni. Studente svogliato, svolge un apprendistato per due anni presso un architetto e, nel 1900, si trasferisce a Parigi lavorando come disegnatore in uno studio di architettura. NoLa Grande Julie, 1945, olio su tela, 112x127 cm
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FERNAND LÉGER il periodo dei "Contrasti di forme" con cui intende rappresentare le più intime leggi dinamiche della natura, che si conclude con lo scoppio della prima guerra mondiale quando viene richiamato dall'esercito e trascorre due anni in prima linea dove rischia anche di morire. Quando ritorna nel '17 è molto cambiato, inizia il suo "Période mécanique", un nuovo mondo disumanizzato occupato dall'attività frenetica di robot, prodotti del lavoro dell'uomo e della tecnologia e simbolo della modernità del nuovo secolo, nel quale le figure e gli oggetti che dipinge sono caratterizzati da forme tubolari e geometriche risultando simili a macchine. Nel 1920 si avvicina al "Purismo", il movimento creato da Le Corbusier e Amédée Ozenfant, interessato ai macchinari, alla velocità e inteso come correttivo razionale all'impulsività del cubismo. La modernità entusiama Léger il quale cerca di esprimere i nuovi fermenti attraverso la pittura, il teatro e anche il cinema, e che lo porta a realizzare nel '24 un cortometraggio, "Ballet Mechanique", il primo film senza trama della storia. A metà degli anni '20 si assiste a un "ritorno all'ordine" e anche Léger partecipa a questa tendenza producendo opere più statiche e monumentali in contrasto con il dinamismo degli anni dell'avanguardia. Nel 1925 presenta le sue prime pitture murali nel Pavillon de l'Esprit Nouveau progettato da Le Corbusier. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Léger si trasferisce a New York dove colleziona numerosi successi e il suo innato "costruttivismo" si accende di colori e di nuova energia. Ritornato in Francia nel '45, aderisce al partito comunista e si avvicina alle correnti della pittura astratta sviluppando un interesse crescente per un'arte pubblica comprensibile a tutti. Negli ultimi dieci anni di vita si dedica a progetti
Femme portant une statuette, 1925, olio su tela 64,6 x 50,2 cm, venduto da Christie's New York 2016 a $ 6.967.500 (€ 5.694.300)
che comprendono l'illustrazione di libri, dipinti e murales monumentali raffiguranti scene di vita popolare, vetrate, sculture policrome di ceramica, scenografie e costumi teatrali. Di Léger è stata sottolineata la «solidità del suo raziocinio», la sua passione per le cose robuste e per le sistemazioni chiare, descrivendolo come un artigiano di gran classe o una specie di 'primitivo contemporaneo', ma la sua "semplicità" non esclude affatto l'estrema complessità nel pensiero dimostrata dall'innata capacità di testimoniare tutti i maggiori cambiamenti avvenuti nel corso del suo tempo. 57
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Marzo 2018, Anno 7 - N.3
MERCATO DELL’ARTE ? per lui sono una rivelazione e, deluso dall'insegnamento accademico, ritorna a casa per dedicarsi esclusivamente alla pittura. Durante la guerra, per sfuggire al lavoro obbligatorio dei nazisti, riesce a nascondersi a Montpellier per tre anni durante i quali smette di dipingere. Nel 1946 ritorna a Parigi e comincia a dipingere delle tele astratte: alla sua prima mostra, nel '47, presenta al Salon des Surindépendants i suoi “Brous de noix”, composizioni con grandi tracce marrone ottenute con il colore del guscio di noce usato dagli ebanisti, subito notati poiché si differenziano dalla pittura semi-figurativa e colorata del periodo post-bellico. Partecipa a innumerevoli mostre collettive e nel 1949 inaugura la sua prima mostra personale a Parigi e poi la prima personale negli Stati Uniti, all'importante galleria Betty Parsons. Dai primi anni '50 appare in mostre collettive sia in Europa che negli Stati Uniti e i suoi dipinti entrano nei più grandi musei del mondo. Nel 1957, a 38 anni, apre la sua quarta mostra personale alla Kootz Gallery di New York con un grande successo di pubblico e di vendite. Anche se, apparentemente simili ai dipinti dell'americano Franz Kline, le opere di Soulages - create nel 1947, due anni prima di quelle di Kline - sono più eleganti per la maggior attenzione prestata alla composizione e all'equilibrio formale. La sua filosofia è chiara: «Non parto da una teoria, non parto da principi ristretti e stabiliti, non so cosa farò prima di lavorare, è quello che faccio che mi insegna». Quando la galleria Kootz chiude nel 1967, i lavori di Soulages escono gradualmente dal mercato statunitense che preferisce privilegiare il proprio Espressionismo astratto, ed entrano in un fase di oblio che durerà 30 anni. Nel 1979, l'artista, il quale dipinge da oltre trent'anni, fa
PIERRE SOULAGES (1919), Peinture 162 X 130 CM, 14 Avril 1962, 1962, olio su tela, 162x130 cm, venduto da Christie's Parigi 2017 a $ 6.120.000 (€ 7.666.800) vedi a pag. 28. Alla venerabile età di 98 anni Soulages, il pittore che ha dedicato tutta la vita al "nero", è unanimamente considerato uno dei principali rappresentanti della pittura informale europea del dopoguerra e il maggior artista francese vivente. Nato a Rodez, una cittadina nel sud della Francia, perde a cinque anni il padre artigiano e cresce con la madre e la sorella maggiore. Affascinato dall'arte romanica e dalle antiche pitture rupestri locali, all'età di 18 anni si trasferisce a Parigi per studiare all'École des Beaux-Arts: al Louvre vede le mostre di Cezanne e Picasso che
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PIERRE SOULAGES una scoperta che cambierà per sempre la sua pittura: dopo aver dipinto furiosamente tutto il giorno su un quadro, quando rivede l'opera rimane come folgorato, «il nero aveva invaso tutto, tanto che era come se non esistesse più». Lo stesso anno espone al Centre Pompidou i suoi primi dipinti completamente neri che chiama "Outrenoir", dove "outre" significa sia "oltre" che "al di là", un qualcosa che porta a una realtà altra. I dipinti che realizza diventano noti per la loro profondità senza fine creata grazie e nonostante il nero, un colore che rappresenta per definizione l'assenza di luce: «Il mio strumento non è il nero ma la luce è riflessa dal nero». L'artista dipinge sul pavimento applicando spessi strati di pigmento e lavorando con spatole e strumenti che si è creato, la superficie dell'impasto per modificare l'uniformità del Peinture 46 X 38 CM, 14 Mai 1961, 1961, olio su tela, 46x38 cm, venduto da Christie's Parigi 2015 a € 843.000
Peinture 324 X 362 CM, Polyptyque 1986, dettaglio 4 elementi 81x362 cm sovrapposti, Musée Fabre
nero: raschiandolo, scavandolo, incidendolo per ottenere irregolarità che assorbano o riflettano la luce a seconda di dove si trovi l'osservatore, facendo apparire di volta in volta il nero scuro o chiaro, opaco o lucido, grigio antracite o quasi bianco. Caratteristica di Soulages è di dare a ogni quadro il titolo "Peinture" seguito da dimensioni, giorno, mese e anno, per certificare una ricerca analitica durata oltre 70 anni. Infine, caso unico per un artista vivente, a Rodez è stato costruito il "Musée Soulages", inaugurato nel 2014, a cui l'artista ha donato oltre 500 opere che riassumono tutta la sua lunga carriera. 59
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