PERIODICO della FIDA-Trento N. 01 - Gennaio ANNO 2013
FIDAart
In copertina: Mauro Cappelletti, Iter in quadro, 1975. acrilici e fluorescenti su tela, cm 80x80
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FIDAart sommario
Gennaio 2013, Anno 2 - N. 1
Editoriale
Un anno di FIDAart
pag. 4
Politiche culturali
Il Palazzo delle Albere
pag. 5
Intervista a
Mauro Cappelletti
ADAC
Archivio al servizio degli artisti trentini
pag. 21
Storia e arte
La Donna, la Natura e la modernità
pag. 22
Mercato dell’arte?
Piero Manzoni
pag. 23
Libri & libri
All’ombra delle nove lune
pag. 24
Voci poetiche
Lilia Slomp Ferrari
pag. 25
Rassegna mostre in regione
Angelo Morandini
pag. 28-30
PERGINE Imagina VAF Stiftung Memorandum FIDA-Trento
pag. 6-20
pag. 31 pag. 32-33 pag. 34
Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare
Un anno di FIDAart
Con questo numero inizia il secondo anno di FIDAart, la rivista digitale mensile diffusa online che ha cercato di affrontare alcuni temi di arte e cultura trentina che potessero interessare o coinvolgere gli operatori del settore, privati e pubblici, scegliendo di far parlare gli artisti sia direttamente che attraverso le loro opere. Le domande rivolte agli intervistati sono state poste in forma volutamente stringata e sintetica allo scopo di dar loro la possibilità di esprimere liberamente e compiutamente il loro lavoro senza dover demandare la corretta interpretazione agli “esperti”. Si è ritenuto importante lasciare questo spazio direttamente agli artisti in modo che possano raccontare ciò che fanno, perché lo fanno e cosa cerchino di esprimere con i loro quadri o le loro sculture. E gli artisti trentini hanno risposto raccontandosi, chi più intimamente, chi più concettualmente, chi più laconicamente. Ognuno si è messo in gioco dimostrando che la propria attività artistica è sempre il risultato di una grande passione, di un impegno intellettuale assiduo oltre che di un costante lavoro fisico legato al fare con le mani e con la materia. L’arte vive oggi una fase difficile perché risente pesantemente sia della crisi economica in corso sia della crisi dei valori di una società e di un mondo in profondo mutamento ma, sicuramente, questi fermenti diventeranno terreno fertile per la nascita di nuove idee e di nuovi linguaggi. L’anno che verrà porterà numerose novità in Trentino poiché, per la prima volta dalla sua nascita, a seguito di pesanti tagli di bilancio vede messa in discussione e ridimensionata la sua Autonomia. Questa situazione del tutto inaspettata si sta già riflettendo sulla politica provinciale e, di conseguenza, condizionerà molte scelte relative all’assetto e all’organizzazione culturale sul territorio. Da molte di queste decisioni dipenderà il futuro del Trentino per i prossimi decenni.
POLITICHE CULTURALI Il Palazzo delle Albere Chiuso dal 2010, il Palazzo delle Albere ha subito un destino di decadenza inarrestabile a seguito dell’apertura nel 2002 del Mart. Il crollo dei visitatori (11.000 nel 2009), infatti, aveva reso il museo talmente diseconomico da consigliarne la chiusura in attesa di decidere una sua nuova destinazione. A dicembre l’assessore provinciale alla cultura Panizza ha anticipato il suo progetto di recupero nel corso di un convegno dato che l’approssimarsi della conclusione dell’importante intervento edilizio-urbanistico ex Michelin e, soprattutto, del MUSE, l’ardito museo della scienza di Renzo Piano, impongono la necessità di ripensare anche il futuro ruolo del Palazzo. Originariamente villa-fortezza dei principi vescovi Madruzzo immersa nella campagna di Trento, dopo le incredibili vicissitudini affrontate, si ritrova oggi assediata dal cimitero e dalla ferrovia a oriente (l’antico accesso), dal viale e dall’Adigetto a Ovest, a Nord dallo stadio ed ora, a Sud, dal più esteso e intensivo insediamento residenziale-terziario mai realizzato. Anche l’avveniristico (e incombente) MUSE in acciaio e vetro dialoga a fatica con il Palazzo, sempre più simile a un “reperto” archeologico. Rimane il problema di valorizzare e inventare un ruolo per un monumento che, quando saranno riportate alla luce le pareti affrescate finora mascherate dalle sovrastrutture del museo, dovrebbe ritornare agli antichi fasti e splendori. Le proposte dell’ass. Panizza hanno confermato in parte quanto già si sapeva: il ripristino (ideale) del viale originario che conduceva dai Tre portoni di via S.Croce alle Albere mediante la realizzazione di un tunnel pedonale sotto la ferrovia e la creazione di un collegamento diretto con il Museo della scienza. Caduta l’idea di allestirvi la nuova Galleria Ci-
vica, la novità riguarda l’idea di destinare le Albere a sede di un futuro Museo dell’Autonomia tutto da inventare; ipotesi che, in seguito, Panizza ha ridimensionato e meglio articolato in un comunicato stampa. E’ difficile immaginare, però, che un museopercorso sull’Autonomia trentina possa avere un grosso appeal per i futuri visitatori del Muse. Noi trentini non possiamo vantare la lunga e sofferta “lotta di liberazione” vissuta dai nostri vicini altoatesini ed oggi raccontata nella innovativa struttura espositiva verticale inserita all’interno del mastio di Castel Tirolo. Il Palazzo delle Albere è troppo prestigioso per poter essere sottoutilizzato, sarebbe necessario pensare ad una destinazione coerente con la sua storia e la sua architettura restituendo, al contempo, un senso e la dovuta qualità alle pertinenze esterne, oggi penalizzate. 5
Sopra: Senza titolo, 1981, Acrilici e fluorescenti su tela, cm 80x80 Sotto: Segni come fiocchi, 1983, Acrilici e fluorescenti su tela, cm 90x90
Intervista a MAURO CAPPELLETTI Artista affermato per la sua attività oramai quarantennale, Mauro Cappelletti ha attraversato stagioni apparentemente molto diverse, ma in realtà, collegate tra di loro da un “fil rouge” senza soluzione di continuità. Firmatario del manifesto “Astrazione Oggettiva” del 1976, si è fin dall’inizio caratterizzato sia per il grande rigore compositivo sia per l’attenzione alla “pratica pittorica” come esperienza intellettuale e di vita. Ancora oggi, nel suo essere pittore (e incisore) è visibile la coerenza con gli assunti teorici allora sottoscritti e tuttora artisticamente ed eticamente condivisi. Nelle sue opere non c’è spazio per il “gesto” espressionista, emotivo, istantaneo perché ogni dipinto nasce da una “ricerca” che si configura come metodologia lunga e laboriosa, proprio nel senso del “fare”, costantemente alla ricerca della qualità e, se possibile, della perfezione. Uno sperimentatore per indole e per passione intellettuale, attento e sensibile alle più piccole variazioni all’interno di un progetto in cui pittura, concetti, impressioni, sensazioni, poesia e teorie convivono senza contraddizioni. Coerentemente con il percorso fin qui sviluppato, Cappelletti sta ora affrontando il nodo del colore unico grazie alla “terza via” da lui scoperta-inventata, del Monocròmo-pluritòno, cioè l’uso di un solo pigmento (grigio, viola, blu ecc.) variato solo nella sua tonalità attraverso un processo basato su ripetuti passaggi del colore che lascia un largo margine all’imprevisto e alla scoperta consentendo, così, di esplorare percezioni e sensazione “elementari”. E’ ancora pittura perché Mauro è e vuole rimanere un pittore ma nel processo creativo è stato introdotta una componente nuova e, per certi versi, anomala rispetto al passato: il Caso. E ciò potrebbe, forse, prefigurare l’inizio di un nuovo ciclo creativo. Paolo Tomio Spazio per ciò che ancora non c’è, 2006, acrilici e pigmenti su tela, cm 190x300
Quando e perché hai cominciato a interessarti alla pittura?
dezza e riservatezza presenti nel mio carattere; inoltre mio padre, personalità forte e aperta al mondo dell’arte in tutte le sue manifestazioni, era anche un sensibile collezionista in contatto con le più vive personalità artistiche di quel tempo: ricordo le sue frequentazioni con Gino Pancheri, Bruno Colorio, Remo Wolf e Carlo Andreani, tanto per citarne alcuni. Era comunque un collezionismo non di tipo speculativo come avviene oggi, ma di tipo intellettuale e affettivo, sostenuto da
Da sempre, ancora in giovane età, ho sempre amato il disegno, che per me rappresentava l’opportunità di liberarmi da una certa inquietudine e vivacità che caratterizzavano il mio comportamento, era insomma il modo per esternare un mondo di esplosiva sensibilità che non riusciva in altro modo a liberarsi se non forse con il gioco, a causa di una certa timi-
Ruota delle dissolvenze 2, 2008, acrilici e pigmenti su tela, diam. cm 150
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Lamiera con concrezioni, 1972, tecnica mista su lamiera zincata (smalti, incisioni, acidi) cm 71x51
una forte curiosità e ammirazione per tutto ciò che poteva arricchire e qualificare l’esistenza in termini estetici e spirituali.
guardiamo con attenzione emergono anche, per chi sa leggere le opere, i distinguo. Oltre all’interesse che mi ha portato fin da giovane ad approfondire l’opera sia letteraria che artistica di Osvaldo Licini, di Paul Klee, di Vassily Kandinski e di tutta la realtà del Bauhaus, in genere mi sono dedicato allo studio dell’opera di tutti gli astrattisti italiani degli anni ’30, quelli cioè che facevano riferimento alla Galleria del Milione di Milano: Reggiani, Soldati, Radice, Veronesi. Negli anni settanta riferimenti importanti per lo sviluppo del mio lavoro sono nati, qui in Trentino, grazie ai contatti con Carlo Andreani, Bruno Colorio e ovviamente con gli amici di Astrazione Oggettiva: Aldo Schmid, Luigi Senesi, Diego Mazzonelli e Gianni Pellegrini. Ci si interrogava sul senso di fare arte, sul metodo da seguire, sulle indicazioni valide delle
Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti che ti hanno condizionato? Mi permetto una piccola correzione linguistica, parlerei più volentieri di sensibilizzazione e non condizionamento poiché ogni vero artista è inequivocabilmente convinto dell’autenticità e unicità del proprio lavoro e così è anche per me. E’ evidente che esistono momenti in cui alcuni artisti possono raggiungere risultati simili, ma questo non è semplicisticamente interpretabile come un plagio da parte di uno o dell’altro, ma ciò è dovuto alla condivisione di un momento storico, di un ambito ideologico e di finalità operative estetiche simili; basti pensare alle opere di Braque e Picasso, tanto per citare due Grandi del periodo cubista-analitico: sembrano opere di uno stesso artista ma se le 9
Dissolvenze - aureo, 2008, acrilici e pigmenti su tela, cm 150x220
tà, ed in questo senso l’arte di oggi è completamente in sintonia con le vicende ed il momento che stiamo vivendo. Non trovo interesse per la multimedialità proposta in modo facile, poiché penso che in tanti casi riesca a confondere le reali capacità di un artista. A me interessano le espressioni legate ad un prodotto artistico in cui il momento ideativo sia seguito dalla consapevolezza di un fare. Trovo fondamentale il rapporto tra pensiero e realizzazione, riferito alla specificità di una tecnica.
avanguardie storiche, si capiva che il nostro lavoro poteva crescere grazie a queste aperture.
Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea? Sembra un paradosso, ma invece è una verità: l’arte oggi si presenta sovente in forma giocosa, leggera, a volte banale, privilegia l’apparenza, potremmo dire insomma “facile”, ed è appunto tutta questa facilità che ha complicato la sua esistenza al punto di non renderla, agli occhi dei fruitori, in molti casi credibile. L’arte in fin dei conti è il frutto della contemporanei-
Nel corso della tua lunga carriera, hai conosciuto molti artisti locali e nazionali. Chi ti ha dato di più?
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Arie, 2002, acrilici e fluorescenti su tela, cm 185x110
Importanti sono state le relazioni all’interno del gruppo di Astrazione Oggettiva, ma la mia curiosità e voglia di confronto mi ha portato negli anni spesso fuori provincia, per incontrare nuovi artisti, critici e storici dell’arte, con cui ho condiviso momenti espositivi e di confronto intensi. Negli anni ’70-’90 frequentavo le gallerie “L’Argentario” di Trento e “Il Sole” di Bolzano, dove il mio lavoro è stato presentato in più occasioni e dove confluiva il meglio della pittura astratta italiana. Con Marcello Bizzarri tutt’ora Figure della pittura, 2004, acrilici e pigmenti su tela, cm 185x110
prosegue un’amicizia intensa, improntata sul confronto e l’analisi delle tematiche artistiche contemporanee, che ci ha portato alla visita di importanti musei europei e delle Biennali veneziane. La mia apertura al mondo dell’arte è ampia, mi piace conoscere e seguire il lavoro di tutti quelli che condividono un ambito del fare simile al mio, perché sono convinto che nel lavoro di ciascuno emergano delle risposte alla contemporaneità, che ognuno di noi da solo non è spesso in grado di dare. Così, nel tempo, mi sono confrontato spesso con artisti di grande caratura come Ennio Finzi, Sergio Sermidi, Riccardo Guarneri, Vincenzo Satta, Guido Strazza, Carlo Nangeroni, dividendo con loro importanti momenti espositivi e amicizie profonde e preziose. Sono inoltre convinto, a differenza di molti miei colleghi, che nel mondo dell’arte, per creare un terreno fertile, superare l’apatia e l’insensibilità regnante, sia necessario porsi in modo dinamico, a volte trainante. Per tale motivo spesso mi sono trovato nel ruolo di curatore e ideatore, insieme a Maurizio Giongo con cui condivido la grande passione per la grafica d’arte, di momenti espositivi che hanno coinvolto molti artisti regionali e nazionali ai tempi in cui organizzavamo l’attività della Galleria Museo dell’Arte della Stampa presso il Palazzo Libera di Villalagarina.
Hai sperimentato molti linguaggi astratti. Hai frequentato anche forme più classiche di espressione? Giovanissimo sono partito da una pittura di figurazione che negli anni però
si è decantata e modificata insieme a me; comunque mi ritengo un pittore classico: dipingo con pennelli su tela e su carta, incido anche su lastre di rame e zinco, stampo con torchio a mano, nella maggior parte dei casi nel rispetto assoluto delle tecniche più antiche, ma sono altrettanto convinto dell’attualità del mio lavoro, orientato ad indagare una nuova spazialità nella pittura.
Tu hai elaborato una tecnica pittorica personale piuttosto complicata che richiede tempo, pazienza e manualità. Tre componenti del fare arte in via di estinzione? Si sente spesso parlare di progetti artistici, soprattutto dalle nuove genera-
zioni, ma a me non basta il progetto: quello che conta è la sua realizzazione, è solo con questa che l’opera si misura con la realtà e la storia e spesso il modo con cui è realizzata ne determina la reale qualità. Mi rendo comunque conto che questi concetti nell’era virtuale possono suonare un po’ strani, ma secondo il mio punto di vista l’opera ha ancora bisogno di affermare la sua concreta presenza, per misurarsi costantemente con il tempo e lo spazio che essa occupa e che la circonda.
In tutte le tue opere il grande protagonista è il colore. Cosa rappresenta per te il colore? Il colore per me rappresenta lo spa-
Monocromopluritono – pensiero blu II, 2011, acrilici e pigmenti su tela, cm 70x100
zio fisico e mentale in cui mi muovo, è uno spazio che io dispongo e dilato. Per ogni opera c’è una ricerca specifica, mediante particolari dosaggi di resine e pigmenti, e tutte le sue mutazioni vanno intese come la necessità di andare oltre, superare cioè la condizione cromatica iniziale per approfondirne l’esperienza con una gamma variabile di toni: questa condizione dà origine ad uno spazio visivo che io definisco nei miei lavori recenti Monocromopluritono.
Hai lavorato a lungo sul tema delle forme geometriche piane. Hai affrontato anche il problema del volume e della spazialità? Quando il mio lavoro si sviluppava su uno schema geometrico ovviamente il tutto era modulato e organizzato sulla superficie piana, mentre questa mia costante volontà di approfondire l’esperienza sul colore mi ha portato recentemente ad indagare il tema
della profondità, dove da attore principale io mi muovo, agisco, predispongo per poi uscire, sempre pronto però ad entrare in un’altra tela, con un’altra veste (colore), per iniziare una nuova esperienza: uno spazio profondo, intenso, mutevole, in cui spesso ciò che manca assume lo stesso valore di ciò che si rende visibile.
Ritieni di rappresentare nelle tue tele concetti o emozioni? Sei interessato ad un “messaggio” nell’opera? Eventuali concetti ed emozioni si liberano dal rapporto visivo che il fruitore stabilisce con l’opera comunque, come ho già sottolineato in un breve testo che accompagnava una mia mostra personale a Rovereto, il problema oggi non è più cosa rappresentare con la pittura, ma come la si possa rendere rappresentativa: questo per me è il vero messaggio.
Coniugazione, 1991, acrilici e fluorescenti su tela, cm 60x80
Dissolvenze, 2011, acrilici e pigmenti su tela, cm 150x242 Come ti sembra il panorama dei pittori trentini d’oggi? Cosa manca al Trentino per poter essere più presente sul mercato esterno?
Mancano anche attività di ricerca sulle personalità che hanno qualificato il mondo della cultura trentina, che potrebbero essere attivate dall’Università e dalle istituzioni culturali e museali. E’ clamoroso che non esista un luogo destinato all’esposizione dei maestri dell’arte moderna e contemporanea, penso all’opera di Umberto Moggioli, Luigi Bonazza, Dario Wolf, Angelico Dallabrida, Gino Pancheri, Tullio Garbari, Cesarina Seppi, Aldo Schmid, Luigi Senesi. Un tempo alcuni di questi erano ben rappresentati nella collezione permanente del Palazzo delle Albere, ma ora non c’è attenzione per lo specifico legato alla storia del territorio.
Il panorama dei pittori trentini oggi risulta molto variegato: ci sono artisti seri, che solitamente non hanno mercato, poi ci sono quelli che giocano e che hanno mercato; esiste anche una terza categoria che io definisco artisti di regime, che trovano sempre porte aperte. La situazione è in linea perfetta con il momento che viviamo. In Trentino, oltre a mancare le gallerie, manca anche, ormai da un ventennio, una seria politica culturale che sappia valorizzare le risorse presenti a livello professionale e rapportarsi con dimensioni più ampie, nazionali ed internazionali. Mancano iniziative di promozione e scambio, atte a stimolare momenti di confronto e crescita.
Nel corso della tua attività hai sperimentato molte tecniche artistiche? 15
I pittori della mia generazione, mi riferisco a quelli degli anni settanta, si sono maturati studiando anche le esperienze delle avanguardie storiche, che in molti casi avevano bruciato le tappe e si rendevano conto che erano necessari degli approfondimenti: da qui appunto nasceva questa esigenza di verificare l’esperienza artistica nello specifico della pittura, dell’incisione, della fotografia, etc. Per cui anche per me la sperimentazione delle tecniche e dei materiali hanno rappresentato un impegno assiduo e
continuo, che tuttora prosegue. Ora non è più così, si tende a shakerare il tutto nella speranza di servire una bevanda di grande effetto, esplosiva.
Con i tuoi ultimi “monocròmi” sei giunto ad una sintesi oltre la quale è difficile andare. E’ vero, i miei ultimi lavori rappresentano un punto d’arrivo di quella storia che ormai dura da tanti anni tra me e la pittura e sono, come dici tu, sì il frutto di una sintesi oltre la quale è difficile andare ma non mi preoccupo di ciò che farò dopo questo ciclo di opere, sarà la stessa pittura che mi indicherà la via da seguire, per me è sempre stato così: la pittura interroga, ma per chi sa ascoltarla, riesce anche a dare delle risposte, però bisogna starle vicino, praticarla quasi quotidianamente, amarla come una donna, potrei dirti.
Hai seguito la “politica culturale” trentina: pensi che si possa fare di più e meglio per il settore artistico? Di fronte a questa domanda sono ormai una ventina d’anni che io dò la stessa risposta: manca un programma chiaro, si tende a prendere in esame la presenza di artisti del territorio solo occasionalmente, magari con una bella mostra carrozzone, spesso in periodi preelettorali, poi tutto finisce lì. Esistono diversi operatori nel mondo dell’arte trentina che si occupano di pittura, fotografia, video, installa-
Figure della pittura, 2004, acrilici e pigmenti su tela, cm 185x110 16
zioni, ed altro, vivi e morti, giovani e meno, e il lavoro svolto dall’A.D.A.C., per altro molto meritevole, non basta; dopo la fase di documentazione è giusto passare alla proposizione: individuare i professionisti per ambiti di ricerca simili e coinvolgerli in progetti espositivi anche non dispendiosi ma coinvolgenti, che mirino a mettere in luce le personalità più serie e ricche del territorio, coinvolgendoli a livelli diversi su un programma pluriennale, che veda presenti anche le istituzioni scolastiche. Mi rendo conto che questo non è un lavoro facile, però l’arte, per riuscire a manifestare la sua importanza deve aprirsi, confrontarsi e coinvolgere la gente.
Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri fattori? La bellezza è un valore che incanta, ma non è detto che un’opera debba essere bella per essere importante e conquistarsi un posto nella storia dell’arte, è comunque un valore che negli anni ha senz’alto perso energia, e nella maggior parte dei casi essa risulta subordinata ad altri valori. Sta di fatto comunque che il suo peso nel mondo dell’arte si è svuotato in modo considerevole da quando si è utilizzata l’arte per veicolare valori che esulano dall’ambito puramente estetico ma che abbracciano idee e concetti legati alla società, alla politica, al disagio dell’umanità.
E, infinie, cos’è per te l’arte? E chi è l’artista? Per me l’arte è una condizione, la condizione in cui si trova una persona che elabora la consapevolezza della
Fluorescenza direzionale, 1977, acrilici e fluorescenti su tela, cm 100x69 propria contemporaneità, nelle accezioni culturali e sociali, e che sente l’urgenza di esternare una sua carica emozionale e vitale attraverso modelli che possono essere pittorici, scultorei, musicali, fotografici, comportamentali, ecc. Modelli che possono assumere valori più o meno forti, più o meno convincenti, più o meno commerciali. Bisogna stare inoltre molto attenti nel dare una definizione rigida e esaustiva dell’arte, poiché essa è sempre mutevole e in fase di sviluppi, come la vita. Io so comunque che la rincorro da tanti anni, lavorando e faticando, a volte mi degna di un sorriso, a volte mi sberleffa.
poetica legata agli elementi pittorici essenziali (superficie, segno, colore) come soggetti dell’arte, che illustra egli stesso in un testo pubblicato nel 1981 sul Catalogo della mostra “Il lavoro dell’artista”. Negli anni ’70-’90 frequenta le gallerie “L’Argentario” di Trento e “Il Sole” di Bolzano, dove il suo lavoro viene esposto in più occasioni e dove incontra e si confronta con i maggiori esponenti della pittura astratta italiana. Con i primi anni ’80 la progettualità ed il rigore geometrico, che avevano strutturato le superfici pittoriche in campiture monocrome e tonali, lasciano il posto ad una nuova e sensibile liricità. Elabora ulteriormente la sua poetica legata all’indagine degli elementi pittorici essenziali (superficie, segno, colore) come soggetti dell'arte. Negli anni Novanta il suo lavoro si sviluppa per cicli tematici come le Coniugazioni, le Distanze, le Pagine, le Misure, le Estensioni, dove il gesto pittorico si carica di stesure cromatiche libere e rapide. Successivamente affronta lo sviluppo di una Dimensione pittorica carica di un nuovo e più vivo cromatismo, dove la pennellata caratterizza la superficie dell'opera ora come stesura lineare, ora come segno-gesto, e dove la presenza di tracce direzionali fluorescenti conferisce all'insieme una forte vibrazione dinamica, quasi a confutare il concetto di ordine spaziale e cromatico oggetto dell'indagine pittorica. Nei lavori più recenti, carichi di un saturo e, a volte, cupo cromatismo con una forte tensione lirica, affronta un nuovo ciclo pittorico denominato Monocromopluritono. Le sue opere trovano applicazioni concrete anche in interventi rapportati all’architettura con realizzazioni pittoriche, plastiche e scultoree. Studia e sperimenta in prima persona anche le tecniche calcografiche e l’arte della stampa, frequentando corsi di specializzazione organizzati dal Centro internazionale per l’incisione artistica di Urbino.
Mauro Cappelletti nasce a Trento nel 1948. Inizia il suo percorso artistico e l'attività espositiva nella seconda metà degli anni ’60, dapprima nell’ambito della figurazione per approdare, all’inizio degli anni ’70, ad un linguaggio aniconico. Nel 1976 è tra i firmatari del manifesto “Astrazione Oggettiva” e partecipa ai dibattiti e alle esposizioni del gruppo. In quel periodo il suo lavoro si sviluppa sulle ortogonali e sulle diagonali delle superfici pittoriche, sull'utilizzo di linee fluorescenti capaci di illusioni percettive prive di interferenze simboliche, di superficie e di colore. La pittura diventa consapevolezza compositiva basata sulla sequenza, sull’oggettività della progettazione e sul controllo tecnico del fare artistico. Elabora la sua
A sinistra: Confini aperti, 2006, acrilici e pigmenti su tela, cm 150x100 19
Negli anni Novanta realizza presso l'Atelier di Grafica di Giorgio Upilio a Milano una serie di acquetinte a più colori. Dal 1999 al 2002 è presidente della Galleria Museo dell'Arte della Stampa di Villa Lagarina (Tn), dove segue con Maurizio Giongo un progetto espositivo riferito a personalità e movimenti legati all’arte della stampa. Attualmente collabora nell'ambito grafico con lo "Spazio del Libro" della biblioteca Comunale Tartarotti di Rovereto. Dal 2006 è presidente dell’associazione artistico-culturale FormatoArte, che raggruppa esponenti della cultura e delle arti visive e si propone di incentivare e valorizzare la ricerca e l'attività di quanti operano nel campo dell'arte contemporanea, nella produzione, promozione, diffusione e conoscenza ai più diversi livelli.
La rivista può essere richiesta gratuitamente inviando una mail al seguente indirizzo: archpaolotomio@gmail.com Chi fosse interessato a ricevere i cinque numeri del 2012, può richiederli gratuitamente.
FIDAart copertina del N.01 2013 Periodico di arte e cultura della FIDAart
Numerose sono le partecipazioni a rassegne espositive, personali e collettive, in Italia e all’estero. Il suo lavoro è documentato, oltre che in numerosi cataloghi relativi alle esposizioni, anche nel volume “La pittura in Italia – Il Novecento/2 “ Electa Editore, Milano 1993 e in “Allgemeines Künstlerlexikon Thieme Becker – Dizionario Generale degli Artisti” K.G. Saur Ed. – Monaco – Lipsia 1994.
FIDAart PERIODICO della FIDA-Trento N. 01 - Gennaio ANNO 2013
Della sua attività si sono occupati autorevoli critici, tra i quali Gabriella Belli, Andrea B. Del Guercio, Claudio Cerritelli, Vittoria Coen, Diego Collovini, Giorgio Di Genova, Danilo Eccher, Paolo Fossati, Dino Marangon, Giuliano Menato, Bruno Passamani, Maurizio Scudiero, Toni Toniato.
Vive e lavora a Trento in via Ottaviano Rovereti, 9 www.maurocappelletti.it maurocappelletti@artearchitettura.it
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L’ADAC: un archivio al servizio degli artisti trentini Gabriele Lorenzoni Avvalendosi della collaborazione di Riccarda Turrina, inoltre, Diego Mazzonelli ha intrapreso, fin dal 1992, una raccolta di testimonianze dirette attraverso la registrazione di interviste, raccolte negli studi degli artisti e volte a ricostruire il percorso biografico e stilistico degli stessi. La mostra “Situazioni 2003” (Rovereto, Mart, settembre-ottobre 2003), in linea di continuità con “Situazioni 1988. Arte nel Trentino dal ’45” (Trento, Palazzo delle Albere, ottobre-novembre 1988), ha ribadito l’impegno del Mart nella valorizzazione degli artisti locali e il tentativo di creare uno spazio di ricerca e confronto per gli studi legati alle loro esperienze artistiche: in queste circostanze espositive, l’ADAC è stato utilizzato come complesso di conoscenze dal quale attingere per svolgere le necessarie scelte curatoriali. Negli anni Duemila, l’interessante progetto di “catalogazione dinamica” della realtà artistica trentina, è stato parzialmente posto in secondo piano rispetto alle esigenze di apertura internazionale del Museo: si è creato così un brusco rallentamento nella attività dell’ADAC e una conseguente, diffusa, disaffezione da parte degli artisti.
Attualmente l’ADAC è al centro di un progetto di sviluppo che si propone di promuovere l’attività artistica, la conoscenza, lo studio dell’opera degli artisti trentini e di mettere l’archivio al passo con i tempi, digitalizzandone i contenuti e favorendo l’ingresso di dati relativi agli artisti operanti sul territorio trentino non ancora segnalati nell’archivio, con particolare attenzione per i giovani, anche grazie all’interessamento di Cristiana Collu, nuovo direttore del Mart, che crede fortemente nell’apporto del Museo alla valorizzazione delle eccellenze locali. L’ADAC si pone sempre più come strumento di collegamento tra Museo, artisti, territorio, realtà associative culturali e appassionati d’arte. Il numero degli artisti presenti nell’ADAC cresce di continuo e ad oggi conta oltre 400 artisti: tra questi, si trovano i maestri dell’arte trentina accanto a giovani emergenti e artisti maturi e strutturati, in una felice commistione di percorsi e sensibilità. Rivolgo agli artisti FIDA un invito a mettersi in contatto con l’ADAC per favorire l’ingresso di documentazione riguardante la loro attività nell’archivio, con la finalità di contribuire alla conoscenza della realtà artistica del nostro territorio e la prospettiva di accedere alle occasioni di valorizzazione che il Mart saprà creare. ADAC (Archivio trentino Documentazione Artisti Contemporanei) c/o Mart corso Bettini 43, 38068 Rovereto (Tn) Gabriele Lorenzoni ADAC@mart.tn.it g.lorenzoni@mart.tn.it Tel. +39 0464 454161
STORIA E ARTE zione, che si trova ad esempio nelle figure antitotemiche delle origini, le cosiddette veneri preistoriche, la cui caratteristica spesso è quella di presentare una effigie isterica. Richard de Clare nel 1169 riporta dall’Irlanda la figura di Sheela na Gig, colei che si genera ed è generatrice. Della divinità irlandese esistono varie rappresentazioni e non venne disdegnata ad ornamento di monumenti sacri romanici a dispetto dell’aspetto e dell’origine. È la deità della Madonna nera del mondo argotico, la Notre-Dame cui sono intitolate tutte le cattedrali in quello stile; che è la mutazione dalla categoria dell’umano al post-umano, la traduzione concettuale della Creazione in chiave estetica. La tecnica è femmina, in quanto attributo inalienabile del dio artefice. Ad esclusione di poche, straordinarie donne del passato, daSaffo a Artemisia Gentileschi e Berthe Morisot, il riscatto definitivo della donna che esprime se
La Donna, la Natura e la modernità - 2
stessa risale alla prima vera rivoluzione del
Paolo Zammatteo
suo ruolo, con la Prima guerra mondiale e l’inserimento nel mondo della produzione in
Per gli Egizi Bastet era la Dea della gioia e del
luogo degli uomini. Si tratta di una acquisizione
calore del Sole. Ma il soggetto, che emerge alle
recente, con esempi del calibro di Paula
sue spalle, è la Donna domina, la Dea Madre,
Mendelson e Frida Kahlo.
tanto tellurica come la Terra (Gea), quanto
Ogni lettura della sfera artistica femminile è
iperuranica come Freya: nella sintesi delle due
complessa. La produzione stessa delle donne
visioni diventa olimpica e distante come Hera,
non è priva di contraddizioni. Sono i casi in cui,
moglie e sorella maggiore di Zeus, figlia di Rea,
anche quando si recupera il carattere autentico
che a sua volta era sorella e moglie di Crono (il
della phoemina come espressione della forza
Tempo) e figlia di Gea.
vitalistica e generatrice, spesso lei non è
È una deità imperturbabile, al contrario
protagonista ma semplice metafora, la sua
del nostro mondo pervaso di paure, che si
immagine viene usata in modo assolutamente
confronta essenzialmente con il tema della
est-etico, per alludere ad altro.
rappresentazione antropometrica della Crea-
CONTINUA 3
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MERCATO DELL’ARTE ?
Nel 1961 Piero Manzoni presentò “l’opera” che più avrebbe colpito l’immaginario collettivo e dato la celebrità nel mondo dell’arte. Non l’opera più “artistica” dato che l’oggetto in sè è abbastanza anonimo e tendente allo spiacevole degrado dei materiali, quanto la più estrema e dissacrante del suo già vastissimo repertorio di creazioni e provocazioni. Parliamo, ovviamente, delle sue scatolette di “Merda d’artista” che, ancor oggi a 50 anni di distanza, fa discutere critici, artisti e pubblico. Mentre, più pragmaticamente, galleristi, case d’aste, collezionisti (e musei), hanno fagocitato la Merda e l’hanno esposta sugli scaffali con l’etichetta del prezzo. Prezzo, bisogna sottolinearlo, in continua e costante ascesa. Manzoni, l’artista più scandaloso apparso sulla scena dell’arte italiana (dopo i Futuristi) ma anche europea (dopo i Dadaisti), nella sua breve ma intensissima vita è riuscito a inventare e sperimentare le teorie, le pratiche, le opere e i linguaggi più vari e dirompenti. Tutto questo in soli sette anni, dal 1956 al 1963, data della sua morte per infarto a soli 29 anni. L’inscatolamento delle proprie feci (in realtà, gesso) di questo enfant terrible è solo il punto d’arrivo di un percorso che lo aveva visto esporre a fianco di Fontana, Baj, Klein, Picabia, Bonalumi, Castellani ecc. lasciando una tale mole e ricchezza di idee, invenzioni e sperimentazioni da renderlo uno dei precursori di molta arte concettuale e minimalista..
I comportamenti del vulcanico artista erano sempre intrisi di ironia, narcisismo e propensione alla platealità, vedi la sua foto soddisfatto nel cesso con la scatoletta in mano; in un certo senso, è stato lui che ha reinventato la figura dell’artista comunicatore e creatore di eventi scandalistici massmediatici. Le 90 scatolette contenenti 30 grammi di Merda d’Artista, numerate, firmate, certificate dal notaio e vendute nell’indifferenza iniziale della critica, “a peso d’oro”, oggi hanno raggiunto prezzi stratosferici: una è stata venduta ad un’asta nel 2007 a 124.000 euro (240 milioni di lire) ottenendo l’attestato di capolavoro. A dimostrazione di come la sua contestazione estrema dell’arte “commerciale” con cui esprimeva la rivolta e lo sbefleffo verso il Mercato e la borghesia (da cui proveniva), si sia ribaltata nel suo contrario. Probabilmente, Piero Manzoni aveva sopravvalutato il potere della critica contro la mercificazione dell’arte o, viceversa, sottovalutato il Potere del Mercato. E così, il Mercato, come già aveva fatto con l’orinatoio-Fountain di Mutt-Duchamp del 1917, superato lo shock iniziale, è riuscito a mercificato anche la Merda traendone il consueto, giusto Profitto. Rimane profondamente autentico, invece, il suo credo artistico e poetico: “...non ci si stacca dalla terra correndo o saltando; occorrono le ali; le modificazioni non bastano; la trasformazione deve essere integrale.”
LIBRI & LIBRI
Immagine: Daniela Ferrari - Incubo, 2005
VOCI POETICHE
Mi basta
Rivoglio il tempo rubato! Lo esigo in nome di chi mi ha seminato nel grembo semenze fasulle facendo ballare farfalle impazzite ai vetri di neve. Non importa se il vento coglione ha spazzato le nubi vanesie nel sole. Pretendo il grigiore, l’attesa sospesa del pino, l’odore del bianco pastrano sui resti del prato. All’orlo del cesto il gatto sonnecchia insieme ai giochi di lana di qualche gomitolo sparso. Mi basta questo vecchio maglione di tarme, il baule che ride all’altana, due passi di luna nell’orto, il secchio che miagola l’acqua ghiacciata del pozzo e qualche favilla inventata all’ordito di crepe sul muro.
Lilia Slomp Ferrari
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Gennaio 2013, Anno 2 - N.1
Mostre in regione
La Bottega delle Idee: NO-MADE ROOM - Angelo Morandini
pag. 28-29-30 pag. 31
PERGINE imagina - il territorio per l’arte VAF-Stiftung
pag. 32-33
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La Bottega delle Idee E’ poco più di un mese che è stato inaugurato ma sembra di poter già dire che abbia fatto centro. Si tratta di un locale di nuova concezione, il Cafè della Paix (Caffè della pace) che ha aperto nella piazzetta posta sul passaggio Teatro Osele, il percorso pedonale che collega via del Suffragio a piazza della Mostra. Lo spazio interno, baricentrico perché accessibile da entrambe le vie, possiede delle caratteristiche e delle potenzialità particolari che, finora, nessuno è stato in grado di valorizzare. Anzi, destinato originariamente a spazi commerciali, si è rivelato fallimentare proprio per il suo essere isolato e separato diventando nel tempo semplicemente abbandonato, se non degradato. Ora rinasce a nuova vita grazie ad un’idea ambiziosa del Forum per la Pace; secondo Michele Nardelli “è un sogno che si realizza”: creare un ambiente pubblico che, sulla falsariga dei caffè parigini, metta a disposizione in centro storico, uno spazio “aperto” dove potersi fermare per parlare e pensare. Magari di arte Sempre nella piazzetta, ma fisicamente separato, il Cafè della Paix ha in gestione anche il pianterreno di un ampio locale chiamato “La Bottega delle Idee” in cui, in concomitanza con l’apertura del Caffè, è stata inaugurata un’interessante installazione “site specific” di Angelo Morandini (vedi pagine seguenti). L’intervento che occupa l’intero volume ad avvolti della Bottega (circa 100 mq) merita di essere visto perché ha saputo unire al fascino dell’opera concettuale astratta anche un raffinato tocco estetico e, perché no, poetico. Questa installazione leggera ed aerea, apparentemente semplice, come ben spiega Angelo nel suo scritto è anche, in realtà, il risultato di un lavoro collettivo lungo e faticoso che valorizza il “fare artistico”. Non si può che essere lieti di vedere che, mentre l’ente pubblico deve tagliare gli investimenti ordinari per la cultura, un’associazione privata si fa carico di un impegno (e un rischio) particolarmente oneroso di questi tempi. Chiediamo a Francesca Quadrelli, di Cafè Culture, l’associazione che gestirà sia il Cafè della Paix che la Bottega delle Idee, quali siano i suoi progetti futuri.
Ci vuoi spiegare cos’è la Bottega delle Idee?
La Bottega delle Idee nasce dal desiderio di creare un laboratorio in cui sviluppare progetti in relazione con la città e i suoi artisti a favore e a sostegno della creatività e della promozione culturale. Un’idea che, a lungo termine, ha come obiettivo principale la creazione di una piattaforma multidisciplinare di ricerca artistica ed etnografica che sia in grado di sostenere e formare nuove idee e nuovi territori aperti al confronto e allo scambio con altre realtà contemporanee.
Tu hai già avuto esperienze nel settore artistico, vero?
Si, mi sono laureata all’Università Statale di Lettere e Filosofia di Milano come critica d’arte, ma da sempre ho preferito ad una critica intesa in maniera romantica, una critica d’azione, creando progetti in site specific e di contaminazione multidisciplinare. Ho lavorato a Milano creando eventi con un gruppo formato da architetti, filosofi e designer (oggi Dotdotdot) e poi a Trento, collaborando con sociologi, esperti ambientali, cuochi ecc. perchè mi piace mischiare le carte in tavola!
Qual è la filosofia di questo spazio?
Penso che l’arte e la dimensione creativa in generale non siano un semplice fine, ma un mezzo per riflettere su questioni contemporanee importanti e contingenti. Artisti e liberi pensatori dovrebbero attraverso i loro differenti linguaggi permettere all’arte di partecipare al dibattito sociale per migliorare e superare questo momento di crisi e di instabilità. Sarà un luogo a disposizione per le idee e per vari tipi di arti e discipline? L’idea di partenza è stata quella di far convivere nello stesso luogo diverse forme di pensiero, ad esempio, unitamente all’installazione di Angelo Dimitri Morandini, sono stati tenuti nello stesso spazio incontri e dibattiti su vari temi: dall’architettura alla musica, inoltre ancora prima che la bottega fosse inaugurata, in collaborazione con Andrea Mubi Brighenti e Mariasole Ariot, è partito un seminario che si concluderà a maggio sull’analisi di Mille Plateaux, testo filosofico fondamentale per il ventesimo secolo. Dunque in questo piccolo cantiere si mescolano pensieri e discipline, e così anche il pubblico più pigro è costretto ad imbattersi in diverse realtà.
Sarà un luogo a disposizioni per le idee e per vari tipi di arti e discipline?
L’idea di partenza è stata quella di far convivere nello stesso luogo diverse forme di pensiero, ad esempio, unitamente all’installazione di Angelo Dimitri Morandini, sono stati tenuti nello stesso spazio incontri e dibattiti su vari temi: dall’architettura alla musica, inoltre, ancora prima che la bottega fosse inaugurata, in collaborazione con Andrea Mubi Brighenti e Mariasole Ariot, è partito un seminario che si concluderà a maggio sull’analisi di Mille Plateaux, testo filosofico fondamentale per il ventesimo secolo. Dunque in questo piccolo cantiere si mescolano pensieri e discipline, e così anche il pubblico più pigro a costretto ad imbattersi in diverse realtà.
Dal punto di vista pratico, come sarà gestito?
E’ uno spazio no profit, nel senso che le idee non si pagano! La sala è a disposizione di chiunque ha voglia di mettersi in gioco e sperimentare con noi nuovi progetti. Cercheremo di essere contenitore di contributi esterni, ma anche contenuto: abbiamo in programma una serie di iniziative sul territorio prossimo che dovrebbero partire da marzo. Il lavoro è ancora lungo, c’è tanto da fare e siamo solo all’inizio; lo spazio è pensato come un corpo vivo in continua trasformazione. Per adesso sarei contenta se riuscissi a finire il sito web che è in cantiere da mesi! Intanto per seguire le nostre iniziative o per comunicare con noi abbiamo aperto una pagina Facebook: Cafe’ de la Paix Trento.
Immagini: “NO-MADE ROOM” - Installazione di Angelo Demitri Morandini - 2012, Bottega delle Idee
NO-MADE ROOM - Angelo Demitri Morandini Qualche mese fa Francesca mi ha telefonato dicendomi che era rimasta molto colpita dopo aver visto l’installazone “Le parole che non ti ho detto” curata da F. Mazzonelli presso lo spazio Upload Art Project. Francesca mi propose di sviluppare quel lavoro per un’installazione sitespecific presso il nuovo spazio espositivo “La bottega delle idee” ed io ne sono stato entusiasta per due motivi. Il primo perché so che quando Francesca si muove lo fa sempre in un modo professionale che spesso cortocircuita lo standard del contemporaneo, in secondo luogo perché potevo disporre di un nuovo spazio nel quale sperimentare l’installazione. Quando abbiamo fatto il primo sopralluogo sembrava che l’installazione non potesse essere realizzata a causa del soffitto costruito con volti a botte. La pietra sarebbe stata troppo dura e difficile da forare ed io non volevo scendere a compromessi con colle o altri materiali che avrebbero alterato la pulizia del lavoro. Abbiamo quindi fatto un foro di prova nel magazzino adiacente allo spazio (le chiavi non erano ancora disponibili per motivi burocratici) che aveva le stesse caratteristiche architettoniche e ho così installato la prima matita. Con grande sorpresa i 4 cm di malta avrebbero permesso di realizzare l’installazione. Fin da subito ho coinvolto anche Cristiano Brunelli. Avevo già collaborato con lui per via di murales e laboratori vari, ma soprattutto già conosceva la tecnica per fare questo tipo d’intervento. A novembre mi sono incontrato con Layla Betty, curatrice della mostra, per definire meglio il progetto. L’idea principale era quella di creare uno spazio flessibile in cui le persone sarebbero state invitate a utilizzare delle matite per scrivere sui muri, proponendo i loro progetti, idee o riflessioni sullo spazio. L’installazione è stata realizzata da una squadra di 5 persone che hanno lavorato per una settimana. Per questo tipo di lavoro è necessario che ogni membro del gruppo conosca bene e sia autonomo rispetto all’esecuzione di ogni fase necessaria per l’installazione di ogni singolo elemento. Ogni fase è molto ripetitiva e si lavora quindi molto meglio se ogni persona ha la possibilità di cambiare mansione quando vuole. Oltre al lavoro meccanico, c’è stato anche quello più progettuale e scultoreo, che non può essere pensato prima di vivere lo spazio stesso. Spesso ci siamo fermati e interrogati su quali volumi creare, dove infittire, dove facilitare e dove agevolare il passaggio, quali elementi alzare e quali vuoti realizzare. L’idea è stata quella creare degli inizi di percorsi, perché in fin dei conti questo spazio è solo un inizio di un insieme di progetti che troveranno ognuno la propria strada e dimensione. Alla fine tutti questi progetti avranno contribuito a creare un qualcosa di collettivo per far rivivere un certo pezzo di città. Quando mi è stato chiesto di scrivere del testo per quest’articolo, ho voluto dedicare con queste righe più spazio al fare che all’impianto concettuale. Questo perché credo che sia proprio attraverso la pratica del fare che si conoscono meglio le cose e il mondo che ci circonda. Certo è importante anche la teoria ma il fare ha un sapore diverso, ti rimane dentro, ti si incarna. La domanda più ricorrente della gente durante l’inaugurazione, infatti, è stata: “ Ma come hai fatto a farla?” Questo è per me molto interessante perché mi suggerisce che oggi c’è una riscoperta di questa dimensione. Fino all’ultimo non avevamo ancora trovato un titolo per la mostra, poi un giorno Francesca e Layla, mi suggeriscono che sarebbe bello mettere in evidenza l’aspetto nomade del lavoro. In effetti, l’installazione copre un’area di 100 mq ma in poco tempo può essere messa tutta in una valigia e trasportata in un altro luogo. Dopo un paio di giorni ho proposto un titolo con un duplice significato che si collegasse sia allo spazio non ancora fatto, ancora da inventare, ma anche alla cultura nomade rom. “NO-MADE ROOM”
Rappresentato da: ABOUTNESS Contemporary Art - Vico dei Garibaldi 12r, Genova, Italy. maurizio.vallebona@libero.it - mobile 333 1344345
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Il Mart presenta il catalogo generale della collezione VAF-Stiftung, una delle più vaste raccolte di arte contemporanea italiana, e tra i nuclei più significativi del patrimonio del museo. Fondata da un collezionista tedesco amante dell’arte italiana, Volker Feierabend, la VAF-Stiftung è una raccolta notevole non solo per l’ampiezza del periodo interessato – dagli inizi del XX secolo fino a oggi – ma anche per una concezione del collezionismo decisamente anticonformista. Il catalogo è a cura di Daniela Ferrari, è introdotto da testi critici di Gabriella Belli, Volker Feierabend, Daniela Ferrari, Klaus Wolbert ed è corredato da immagini a colori di tutte le opere. Il volume è il frutto di cinque anni di lavoro in cui il Mart ha sottoposto a scrupolosa catalogazione e verifica l’intera collezione. In virtù della varietà delle espressioni artistiche rappresentate e dell’alto numero di artisti coinvolti, la collezione VAF può essere considerata fra le documentazioni più importanti, dal punto di vista storico-artistico, dell’arte italiana dei nostri anni in rapporto al più vasto panorama dell’arte internazionale. In tal senso la collezione vanta numerosi capolavori storici, ma anche tesori riscoperti di recente che vanno a integrare un racconto dell’arte italiana in questi anni valorizzato e promosso dalla VAF-Stiftung e dal Mart. VAF-STIFTUNG La Collezione/The Collection/Die Sammlung Catalogo generale/General Catalogue/Bestandskatalog a cura di Daniela Ferrari testi di Gabriella Belli, Volker Feierabend, Daniela Ferrari, Klaus Wolbert - 740 pag Silvana Editoriale, Milano, 2012
La Collezione VAF-Stiftung La VAF-Stiftung, costituita nel 2000 per volontà di Volker W. Feierabend con sede a Francoforte sul Meno, ha lo scopo di promuovere l’arte italiana del XX e del XXI secolo. Questo progetto culturale si realizza concedendo in comodato le opere della collezione in diversi musei in Germania e in Italia; incrementando il patrimonio attraverso l’acquisizione costante di opere d’arte; finanziando pubblicazioni dedicate all’arte italiana e, infine, concedendo un sussidio a giovani artisti italiani in concomitanza con un concorso a cadenza biennale in memoria di Agenore Fabbri. Tale premio, che la VAF-Stiftung organizza dal 2003 con l’obiettivo di incrementare lo scambio culturale fra Italia, Germania e Austria, prevede anche l’organizzazione di esposizioni itineranti. Dirigono la fondazione Klaus Wolbert, come presidente amministrativo, e Volker W. Feierabend, con carica di presidente del consiglio direttivo formato da Norbert Nobis, Peter Weiermair e Silvia Höller. Il numero di artisti rappresentati nella collezione ha superato ampiamente i trecento e più di 2000 solo le opere suddivise tra diverse istituzioni museali, anche se la parte del leone è svolta dal Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto che in virtù di una stabile collaborazione tra i due enti, nata nel 2001 secondo la formula del deposito a lungo termine, conserva espone e promuove la maggior parte del patrimonio della fondazione. La collezione storica della VAF-Stiftung vanta capolavori di Medardo Rosso, Adolfo Wildt, Giacomo Balla, Carlo Carrà, Gino Severini, Luigi Russolo, Massimo Campigli, Felice Casorati, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Filippo de Pisis, Fortunato Depero, Gerardo Dottori, Romolo Romani, Enrico Prampolini, Achille Funi, Mario Tozzi, Ubaldo Oppi, Pompeo Borra e Cagnaccio di San Pietro. L’intento di Feierabend nel creare la fondazione, è stato quello di formare una raccolta di arte italiana che, accanto a capolavori del primo Novecento, contempli anche la storia dell’arte italiana dagli anni Cinquanta fino alla contemporaneità più stringente, con l’ambizioso progetto di mettere a disposizione del pubblico e degli studiosi un atlante dell’arte il più possibile completo. 33
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