IcsART N.8 2017 Nerio Fontana

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PERIODICO della icsART N.8 - Agosto ANNO 2017

icsART


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icsART

sommario

Agosto 2017, Anno 6 - N.8

Editoriale

Isgrò versus Waters

pag. 4

Politiche culturali

Arte e brevetti

pag. 5

Intervista ad un artista

Nerio Fontana

pag. 6-19

Mercato dell’arte?

Tamara de Lempicka

pag. 20-21

Tecnica e arte

Funktion und Form

pag. 22-23

Storia dell’arte

Hugo Pratt

pag. 24-25

News dal mondo TAMARA DE LEMPICKA

Le Rêve (Rafaela sur fond vert), 1927

pag. 28

TAMARA DE LEMPICKA

Portait de Madame M, 1932

pag. 29

TAMARA DE LEMPICKA

La chemise rose I, 1927

pag. 30

TAMARA DE LEMPICKA

Autoportrait, Tamara dans la Bugatti verte, 1929

pag. 31

TAMARA DE LEMPICKA

Femme fatale 1920, 2017

pag. 32

Copyright icsART Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare

In copertina: NERIO FONTANA, TESTINA DI FANCIULLA, terracotta


EDITORIALE ISGRO' VERSUS WATERS Roger Waters non dirà molto al lettore poco esperto di musica pop ma il nome Pink Floyd forse gli farà accendere una luce su uno dei gruppi storici più importanti del rock degli anni 60-90. Watson, autore e chitarrista del mitico gruppo ha presentato a giugno il suo ultimo album intitolato "Is this the life we really want?" con una copertina bianca e nera, sobria e poco rock (vedi in alto). La grafica propone un testo con i caratteri tipici delle vecchie macchine da scrivere cancellato con una grossa riga nera continua in modo da lasciare in vista solo le sette parole che compongono il titolo dell'album. L'artista e poeta visivo Emilio Isgrò, noto per le sue "cancellature" di libri, giornali, carte geografiche ecc., ha accusato il musicista di aver plagiato il suo "stile" nella copertina, involucro, e libretto illustrativo del suo cd chiedendo al Tribunale di Milano di bloccare la vendita del disco dell’ex Pink Floyd. Ma chi di plagio ferisce di plagio perisce. La polemica sulla paternità dell'opera ha fatto ricordare a molti addetti ai lavori che le “cancellature” di Isgrò a loro volta assomigliano un po' troppo a quelle inventate da Man Ray, il fotografo-artista dadaista, nel suo "Poema Optico" pubblicato nel 1924 sulla rivista "391" prodotta da Francis Picabia (vedi in basso). In effetti, dato che tra le "cancellature" del Poema di Ray e le prime opere di Isgrò del 1964 corrono 40 anni, l'italiano avrebbe potuto non conoscerle e aver creato in tutta autonomia le proprie opere. Ciononostante, la paternità storica della cancellatura è palesemente di Man Ray il quale però non si è mai sognato di farsi pagare la sua "idea" forse perché pensare di "brevettare un'idea" è abbastanza ridicolo e del tutto fuori dalle corde di un artista dadaista. 4

POLITICA CULTURALE Secondo Michele Buonuomo, direttore della rivista Arte, esiste «il corpus delle "cancellature" che da oltre cinquant'anni identificano la cifra stilistica del maestro italiano...», quindi, chi ha progettato l'immagine dell'album «ha utilizzato senza autorizzazione il linguaggio di un dispositivo formale e concettuale che, per riconoscibilità ormai storicizzata, appartiene solo a Isgrò». In sintesi, chiunque voglia cancellare un qualsiasi testo, dovrebbe chiedere l'autorizzazione a Isgrò perché quella è la SUA cifra stilistica. Tesi azzardata e pericolosa poiché teorizza che di ogni concetto, immagine o gesto possa essere rivendicata la proprietà intellettuale e il diritto di sfruttamento economico in base a una presunta primogenitura. Secondo questa idea, Charlie Chaplin avrebbe potuto brevettare la bombetta e il bastoncino, Gianni Agnelli l'orologio sopra il polsino della camicia, Malevich i suoi monocromi neri e chiedere le royalties a tutti gli artisti che, nei cento anni successivi, li hanno ripetuti uguali. Gli eredi di Lucio Fontana potrebbero chiedere i danni a chiunque tagli una tela e John Cage ai pianisti che rimangano immobili davanti al loro strumento; ai cantanti sarebbe proibito esibirsi nel colpo d'inguine alla Elvis Presley e la Ferrari avrebbe il diritto di vietare l'uso del colore "Rosso corsa" a tutti i produttori di oggetti del mondo. «I buoni artisti copiano, i grandi rubano» diceva Picasso che se ne intendeva. Andy Warhol, uno degli artisti più pagati al mondo, utilizzava per le sue serigrafie, loghi, pubblicità, fotografie, disegni e dipinti creati da altri, ma nessuno lo ha mai accusato di plagio. Analogamente, la copertina dell'album di Waters non è niente di più di un testo cancellato - come quelli di Isgrò peraltro - e non è pensabile di poter privatizzare un atto così universale. 5


Intervista a NERIO FONTANA Ogni artista, a modo suo, possiede una personalità originale che lo rende unico, e Nerio Fontana non fa eccezione sia per la sua intensa passione per la bellezza - in particolare femminile - sia per il suo eclettismo tecnico e la concezione assolutamente netta sul fare arte: «Voglio solo provare delle emozioni e trarre il maggior godimento dal mio lavoro». Ancora oggi, all'età di ottantasei anni, quotidianamente traccia con il carboncino le linee nere alla ricerca di quelle emozioni che sono alla base del suo essere un artista che «privilegio per scelta e istinto la forma al contenuto». Fontana nasce disegnatore figurativo e, anche se si cimenta nella pittura coloristica, il chiaroscuro della matita e del carboncino rimangono le tecniche fondamentali del suo linguaggio. Parlo di "linguaggio" perché mai, come in questo caso, ogni ritratto si snoda lungo la vita dell'artista come un "racconto" dei tanti momenti della vita quotidiana che lo hanno ispirato: «La realtà non cesserà mai di stupirmi con la sua bellezza e le emozioni che mi regala». Artista poliedrico, grafico, pittore, incisore, fotografo, Nerio approfondisce anche la scultura seguendo strade non convenzionali, usando materiali industriali anomali e difficili come il gres oppure applicandola a oggetti d'uso quotidiani. Ma è la fotografia - rigorosamente in bianco e nero - il medium che gli permette di indagare la forma e le ombre del mondo in tutte le sue connotazioni uscendo dal "reale banalmente colorato" e creando immagini di una forza plastica potente, libera da condizionamenti e convenzioni sociali. Nerio Fontana non si preclude nessuna strada, nessun soggetto è per lui indifferente o privo di qualità, sacro e profano sono categorie che l'arte non contempla perché la Bellezza ha un proprio statuto: l'Artista deve solo saperla vedere e "portarla alla luce" facendo ricorso a tutte le risorse espressive messe a sua disposizione da una storia millenaria. Paolo Tomio A sinistra: IL CORRIDOIO, Mezzolombardo, 1972

In basso: NERIO FONTANA con una sua tela, 2005


Questa intervista è stata resa possibile grazie al lavoro di Antonio Cossu, segretario di PROMART, il quale l'ha personalmente registrata, trascritta e riassunta con grande sensibilità. Quando e perché hai cominciato a interessarti all’arte e dedicarti alla pittura? Penso di dover attribuire tutto al DNA. Disegnavo, meticolosamente, fin da piccolo, piccolissimo, trovando grande e convinto sostegno in mia madre, donna di grande sensibilità, che assecondava senza esitazioni (al contrario di mio padre) la mia creatività e alla quale devo - con tutta probabilità - la mia vena artistica. Più concretamente, ma sempre grazie a mia madre e agli insegnanti che mi seguirono nelle scuole primarie, qui in Trentino, ho cominciato il mio itinerario nell’arte frequentando e poi diplomandomi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, negli anni immediatamente successivi alla NUDO CON CAVALIERE, tecnica mista su carta

seconda guerra mondiale.

Quali sono state le correnti artistiche o gli artisti che ti hanno influenzato? Non ho mai amato le teorie, in arte, né le teorizzazioni intorno alla stessa. Ho sempre guardato con grande attenzione alla corrispondenza - che potrei definire “verista” - tra il soggetto e la sua rappresentazione e in questo senso potrebbe avermi influenzato il Rinascimento. Non posso però negare che la mano di Picasso, nei suoi periodi blu e rosa, siano stati un buon punto di riferimento, contrariamente alle sue intuizioni cubiste che non ho mai profondamente condiviso.

leghi”- gli artisti “di periferia” della mia generazione hanno in un qualche modo subito la loro marginalità territoriale rispetto alla centralità di chi viveva e operava nel capoluogo. Comunque la mia indole - particolarmente introversa, nonostante le apparenze - ha contribuito senz’altro a quella sorta d’isolamento che mi caratterizza. Peraltro ho un ottimo ricordo della sintonia che mi legava ad importanti docenti dell’Accademia, a Venezia, quali lo scultore Alberto Viani ed il pittore Bruno Saetti. In quegli anni non mancarono occasionali momenti d’incontro con il trentino Riccardo Schweizer, anch’egli allievo dell’Accademia. In seguito buoni furono i rapporti con i perginesi Luigi Senesi e Aldo Schmid; insieme a quest’ultimo, che all’epoca era un raffinato disegnatore, partecipai anche ad un concorso pubblico.

Nel corso della tua carriera, hai conosciuto molti artisti locali o nazionali? Devo premettere che - nelle relazioni tra “col-

Prima di trovare il tuo linguaggio, hai affrontato anche esperienze astratte? Il mio linguaggio è, da sempre, legato al segno; mi è stato facile trovarlo perché era proprio connaturato, fin da bambino. Circa le esperienze astratte devo dire che non mi hanno mai particolarmente emozionato, anche se ho provato anch’io ad inventare forme, se così si può dire. Confesso che il timore di essere “catalogato” in una o nell’altra corrente o quello di essere considerato l’emulo di qualche altro artista, ancorché di nome, mi hanno suggerito rapidi passi indietro e il ritorno a ciò che più intimamente sentivo: la rappresentazione leggibile della bellezza, nel pieno rispetto del soggetto rappresentato.

MATERNITA', terracotta

Si, la figura umana - prevalentemente quella femminile - è certamente il centro della mia espressione creativa e può a buon titolo rappresentare il percorso autobiografico del Nerio Fontana artista; forse non il diario, ché le mie opere non sono pagine di un racconto, ma bensì istantanee sempre piuttosto asettiche rispetto al mio contesto esistenziale.

Quando è nata la tua passione-ossessione per il nudo femminile? No, non definirei la mia propensione a rappresentare il nudo femminile come una passioneossessione. Si tratta, piuttosto, di un interesse per l’armonia delle forme.

La figura umana è sempre centrale nelle tue opere: è un’autobiografia, una sorta di diario della tua vita?

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Sono passati molti anni, ma ricordo come fosse ora il mio stupore, quello di un ingenuo provinciale quindicenne, nel passare dai corridoi di una gipsoteca per copiare i modelli in gesso delle dame medicee al trovarsi davanti una donna completamente nuda - magari di pochi anni meno giovane di lui e, forse, neppure bellissima - da osservare nei minimi particolari per poterla riprodurre dal vivo! Fu un’esperienza inebriante, che m’indirizzò senza esitazioni a considerare la figura femminile come primo punto di riferimento nel mio percorso d’artista, da allora e fino ad oggi. Ma - sempre per chiarire il mio rapporto con il nudo femminile - mai e poi mai ho associato al nudo femminile la materialità del sesso; la mia è sempre stata, ed è tutt’ora, una lettura del corpo per esaltarne la bellezza.

L'anatomia dei nudi che raffiguri deriva da uno studio dal vero con modelli o è pura invenzione?

In alto: SCENDE LA SERA, Mezzolombardo, 1968

Ho sempre avuto bisogno di avere di fronte a me una modella in carne ed ossa, per meglio coglierne l’essenza più interiore. Nei periodi migliori ho avuto il privilegio di poter contare su cinque, sei modelle, disponibili a posare senza pudore - vorrei quasi dire orgogliose di farlo - come soggetto delle mie opere. Devo dire, peraltro, che in tempi non troppo lontani - mi riferisco agli anni ’60, ’70 e anche ’80 - era particolarmente difficile che questi lavori trovassero accoglienza negli spazi espositivi trentini, nella Trento e nel Trentino bigotto…

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La domanda in un qualche modo m’imbarazza. D’acchito risponderei - pur senza nessun preconcetto, ché lascio a ciascuno la libertà di esprimersi come meglio crede - che poco o nulla del contemporaneo muove le mie emozioni. Ma, insieme, dovrei, devo, confessare che ho il rammarico di essere sempre stato chiuso dentro quattro mura, quasi un po’ “selvatico”, di non essere stato più curioso, di non aver viaggiato come avrei voluto, di non aver visto molto del bello che il pianeta offre. Troppi legami, specie di famiglia (mi sono dovuto occupare di ben quattro - amatissimi - figli…) e la nostalgia per l’ambito domestico, mi hanno condizionato, diventando un impedimento e, forse, facendomi perdere delle buone opportunità. Ricordo un soggiorno di un mese in Olanda (forse il mio unico viaggio all’estero!), insieme ad un amico artista corso: dopo i primi tre giorni già soffrivo la lontananza dalla famiglia, dalla mia dimora, dalle cose del mio quotidiano…

In alto: DOPO LA PROVA, Mezzolombardo, 1970

Qual è la tecnica artistica che utilizzi principalmente nella tua attività?

Oggi, c'è qualcosa che ti interessa e, magari, qualcosa che non ti piace, dell’arte contemporanea?

La curiosità verso le diverse tecniche mi ha sempre animato, ma quella che prediligo è senz’altro il disegno a grafite o carboncino. Il segno libero, continuo, sempre nel rigoroso rispetto del soggetto rappresentato, è ciò che più di ogni cosa anima il mio fare d’artista, anche oggi, alla mia veneranda età e con il disagio di una vista ormai precaria e di qualche difficoltà articolare. Il segno, l’essenzialità del segno…. forse è per questo motivo che tra le tecniche incisorie quella che più ho utilizzato è stata la puntasecca. Pur praticandola, non ho mai particolarmente amato la pittura ad olio, per il fastidio fisico che mi provocava l’odore dei colori; ho

A lato: MIRTA II, Mezzolombardo, 1973

A lato: STUDENTE GARZONE, Mezzolombardo,1970

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meglio sopportato gli acrilici (mai, comunque, utilizzando tinte sfacciate, ma mantenendo una tavolozza sobria, piuttosto cupa), ma - alla fine - sono sempre tornato all’idea di raffigurare ciò che concretamente osservavo, senza fargli alcun torto e, in tale ambito, il disegno dedicato al soggetto femminile ha rappresentato, come si diceva, il centro del mio interesse.

riodi espressivi diversi?

Nel corso della tua carriera hai attraversato pe-

Ti sei cimentato anche in molte tecniche artistiche, in particolare scultura e fotografia: quali sono le diversità tra le arti visive e la scultura?

No, mi pare di non sbagliare affermando che il mio linguaggio - al di là delle molteplici tecniche praticate - è rimasto assolutamente costante negli anni, né mi ha mai preso l’urgenza di dover dare alla mia espressione artistica contenuti o forme diverse.

LA VESTAGLIETTA, 1975, tecnica mista

SUSANNA E I VECCHIONI, tecnica mista su carta

Si, ho prodotto molto anche in fotografia, rigorosamente in bianco e nero, nonostante nei primi anni della mia attività quel linguaggio fosse - non solo in Trentino - irragionevolmente messo ai margini da parte del cosiddetto “mondo dell’arte”. Oggi, con l’apporto della tecnologia, del digitale in particolare, la fotografia (che, a mio avviso, non può più definirsi tale), ha guadagnato un suo giusto spazio e di ciò sono comunque contento… La scultura, poi, anche in questo caso con l’irrinunciabile presenza della modella... Mi ha sempre entusiasmato plasmare la materia, carezzarla per addolcirne i volumi… Dalle argille al gres - materiale durissimo, di un marrone intenso - con il quale ho realizzato molte opere, di tutte le dimensioni. Lo reperivo con facilità qui, a Borgo, dove era attiva una fabbrica di tubi destinati all’edilizia e all’idraulica civile. Come si sarà inteso, non percepisco differenze tra scultura e fotografia: le accomuno come strumenti per dare voce all’ispirazione, al senso del bello.

nile a oggetti funzionali? Mah, direi che l’occasione di una lunga collaborazione con un’azienda veneta di produzione di ceramiche, mi ha dato l’opportunità di mettere insieme il mio piacere di rappresentare il bello con l’aspettativa di un certo tipo di clientela, interessata alla funzionalità dell’oggetto d’arte; mi riferisco, sorridendo, a tavolini multifunzione, fontane, posacenere, vasi da fiori,…

Invece, cosa cercavi nella fotografia in bianco e nero? Quando si stampa, in fotografia, non si cerca, ma si trova sempre qualcosa, di straordinario, d’inaspettato, specie se si privilegia il bianco e nero. Ah, che godimento è l’immergersi nel buio della camera oscura e assistere al generarsi dell’immagine sul foglio!

Una tua caratteristica artistica è stata anche quella di accoppiare la scultura di nudo femmi-

Come definiresti il tuo stile? Quali sono, secon-

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citare un artista trentino al quale mi sento vicino e del quale ho grandissima stima, farei senza esitazioni il nome di Paolo Tait, che da fanciullo fu mio alunno a Mezzolombardo e che ogni tanto si prende ancora la briga di venirmi a trovare… Sono lontanissimo dal suo modo di dipingere, eppure apprezzo la sua gestualità innata e il suo essere totalmente e ossessivamente artista, dalla prima all’ultima delle sue molecole e in ogni istante! Il mercato? Il mercato non guarda i confini, guarda alla qualità e si costruisce tessendo relazioni e costruendosi opportunità di confronto - quelle che io ho perso o, meglio, quelle che non ho voluto cogliere - con il resto del mondo.

Segui la “politica culturale” trentina? Pensi che si possa fare di più o meglio per il settore artistico?

NUDO DISTESO, 1975

ancor oggi, con tutti i limiti “fisici” cui prima ho accennato.

do te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile?

e, sinceramente, mi hanno sempre lasciato e tutt’ora mi lasciano indifferente - semmai ce ne fossero state e ce ne fossero - le politiche culturali delle istituzioni.

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori? Al di là delle diverse tecniche, quello con la bellezza è un rapporto che vivo in modo quasi maniacale. Come artista sento l’obbligo di cercarla, la bellezza, in ogni cosa, in un corpo o in un volto femminile, come nella chioma di un albero; in un prato fiorito come in un mare in burrasca; nella sinuosità di un animale, come nell’atmosfera che avvolge un paesaggio. Non può essere qualcosa che posso semplicemente immaginare; è qualcosa che deve trasmettermi emozioni, che devo vedere e percepire nella sua fisicità, credendo fino in fondo che sia vera

No, come ho detto sono un po’ un “lupo solitario” (e non solo per l’età, né per supponenza) INTERNO, Mezzolombardo, 1975

Ritieni di rappresentare nelle tue tele concetti o emozioni?

Il mio stile è la spontaneità del tratto e questo - lo dico immodestamente - forse è proprio ciò che mi connota. Non perché lo dica io, ma moltissimi dei tanti che hanno acquistato, nel tempo, i miei disegni, affermano che quel segno continuo a formare la figura, o il paesaggio, è l’inconfondibile impronta delle mie opere.

Certo che si! Il concetto di bellezza e l’emozione di osservarla!! Sono presuntuoso? Non m’importa che si possa ritenermi tale. Mi sento a posto con me stesso e con gli altri: nel mio fare arte penso debbano convivere - con pari rilievo - la mia sensibilità personale e il mio dovere di soddisfare l’aspettativa di bellezza del fruitore delle mie opere.

Quando inizi un nuovo dipinto hai già in mente un tema, un soggetto, o ti muovi senza vincoli predeterminati?

Come ti sembra il panorama dei pittori trentini d’oggi? Cosa manca al Trentino per poter essere più presente sul mercato esterno?

Se non sto rispondendo ad una specifica committenza, ciò che disegno o dipingo è il frutto di un’esigenza interiore che non riesco neppure a spiegare. Il soggetto è quasi subordinato all’urgenza del fare che mi prende quotidianamente

Non sono un osservatore dell’arte trentina e quindi non intendo dare giudizi, ma se dovessi

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bellezza, per poterla rappresentare con i miei mezzi espressivi, senza tradirla, portandole rispetto. Si potrebbe ritenere che ciò sia particolarmente facile, per me, che prediligo la figura femminile in tutte le sue sfaccettature; ma così in realtà non è: nella donna che ritraggo devo vedere l’intelligenza, le emozioni, un’espressività che mi convinca, cosa che non mi accade guardando l’anonima bellezza femminile che ci propina quotidianamente la televisione, che, infatti, non m’interessa… Ho sempre avuto modelle che mi azzarderei a definire “brutte”, non perfettamente proporzionate, non esattamente conformi alla bellezza canonicamente intesa, ma certamente ricche, ricchissime di personalità e potenza espressiva. Non nego di aver ammorbidito forme, né di aver studiato posizioni e atmosfere finalizzate a rendere il bello ancora più bello, sempre con un’attenzione a chi delle mie opere avrebbe dovuto godere - o come committente o come spettatore - pur conscio che, come ogni artista,

In basso: NERIO FONTANA con un suo Cristo, 2016

nel momento creativo stavo innanzitutto soddisfacendo una mia personale esigenza spirituale e formale. Forse per questo motivo, una volta raggiunto quello che per me è il miglior punto di bellezza rappresentabile, quel soggetto lo sviluppo in tutte le tecniche che mi sono familiari, dal disegno alla scultura, dall’incisione alla pittura, senza differenti approcci…

Cosa è per te l’arte? Emozione, semplicemente!

E, per finire, chi è l’artista? Colui che vive in ogni frangente emozioni intense, impegnandosi quotidianamente a stimolarle e a farle percepire anche agli altri.

A destra: NUDI , tecnica mista su carta

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successo anche con la pittura, l’incisione – quasi esclusivamente a “puntasecca” – la scultura e la fotografia, rigorosamente in bianco e nero. Molte le mostre personali e collettive che lo hanno visto protagonista in Trentino e non solo. Di lui si sono occupati prestigiosi nomi della critica d’arte, tra i quali Carlo Pacher, Rinaldo Sandri, Luigi Serravalli, Palmiro Boschesi, Kosmos Ziegler, Giulio M.Marchesoni, Floriano Menapace, Luciano Coretti., Renzo Francescotti. Sposato con Isa, prematuramente scomparsa, vive e lavora a Borgo Valsugana, accanto ai suoi quattro figli. La sua produzione artistica comprende il disegno, la pittura a tecnica mista, l'incisione, la scultura e la fotografia. Negli ultimi anni si dedica soprattutto alla «modellazione» in terracotta. Ha tenuto varie personali tra cui: 1958 Galleria «Gli Specchi» (Trento); 1961 Azienda Soggiorno di Merano (Bolzano); 1966 Sala Camera di Commercio (Trento); 1968 Galleria Civica di Trento; 1970 Biblioteca comunale di Mezzolombardo; 1974 Borgo Valsugana; 1975 Sala Consiliare del Comune di Borgo Valsugana; 1983 Bassano del Grappa; 1987 Galleria 900 a Pergine; 1987 Casa Strobele - Borgo Valsugana; Ha allestito molte personali di fotografia 1971 e 1973 al Palazzo della Regione di Trento; 1975 presso la "Toresela" (Tn); 1987 Borgo Valsugana; 1987 Circolo Rosmini di Trento; 1987 Sala Majer a Tergine; 1989 Lodrone (Tn); 1990 Invitato alla mostra "Tempo e Immagine 150 anni di fotografia" (Museo d'arte Moderna di Bolzano, Innsbruck e Palazzo delle Albere a Trento). Ha partecipato a numerose collettive di pittura e di incisione. Sue opere fanno parte di gallerie pubbliche e private. Premi: 2° Premio Nazionale "Aldo Stainer" Lavis (Tn) (medaglia d'oro); Concorso internazionale di pittura e grafica «Premio Flaminia» (Tn) (medaglia d'oro); 1971: 1° Premio assoluto per la fotografia al concorso "Elettrocasa" di Trento.

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ART E' possibile sfogliare o scaricare tutti i numeri degli anni 2012-2013-2014-2015-2016-2017 della rivista icsART (ex FIDAart) dal sito icsART all'indirizzo:

www.icsart.it icsART N.8 2017 Periodico di arte e cultura della icsART Curatore e responsabile Paolo Tomio

icsART PERIODICO della icsART N.8 - Agosto ANNO 2017

NERIO FONTANA E' nato nel 1931 a Cembra, ma valsuganotto di adozione, ha frequentato il liceo artistico nell’ambito dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Sempre a Venezia la sua prima esposizione, una collettiva dei diplomandi alla maturità artistica che si tenne presso la Fondazione Bevilacqua-La Masa: fu venduta una sola opera, in quell’occasione, e fu un suo disegno (una graffite, raffigurante una donna), acquistato da due americani!! Prima mostra personale in Trentino, nel 1958, alla “Galleria degli Specchi”. Essendo il diploma conseguito a Venezia abilitante per l’insegnamento alle scuole medie, Fontana avvia il suo itinerare di valle in valle, tra le scuole trentine: a Borgo, a Brentonico, poi – per lunghi anni – a Mezzolombardo. Particolarmente dedito al disegno, si cimenta con

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MERCATO DELL’ARTE ? in Svizzera e quando i genitori si separano nel 1912, va a vivere con una ricca zia a San Pietroburgo. Qui, all'età di 18 anni, si sposa con Tadeusz Lempicki ricco scapolo russo e, lo stesso anno, nasce la figlia Kizette. Nel 1917 quando scoppia la rivoluzione russa, il marito è arrestato dai bolscevichi e solo dopo numerose peripezie Tamara riesce a farlo rilasciare e a riparare insieme a Parigi dove riesce a mantenersi con la vendita dei suoi gioielli. Si cambia il cognome in un più aristocratico de Lempicka e decide di coltivare il proprio talento naturale iscrivendosi ai corsi gratuiti all'Académie sotto la guida di Maurice Denis e del pittore André Lhote, l’unico che riconoscerà come suo maestro, dal quale apprende un tipo di astrazione post-cubista più vicina allo stile freddo ma sensuale della nascente Art Deco. Innamorata della pittura rinascimentale italiana, la pittrice ricerca una tecnica classica, pulita e precisa attraverso cui esprimere una propria visione artistica più personale e intima, come in seguito scriverà: "Il mio obiettivo non è mai stato quello di copiare, ma di creare un nuovo stile, di colori chiari e luminosi e di sentire l'eleganza nei miei modelli". Durante quelli che saranno chiamati i "ruggenti anni venti", l'affascinante Tamara frequenta artisti d'avanguardia e intellettuali bohemien e la mondanità ricca e cosmopolita di Parigi, conducendo una vita pubblicamente e scandalosamente bisessuale che si ritrova documentata nei suoi dipinti. Trova nello stile Art Deco, formalmente meno complesso rispetto alla Art Nouveau d'inizio secolo, la pittura ideale che

TAMARA de LEMPICKA, (1898-1980), Le Rêve (Rafaela sur fond vert), 1927, olio su tela, 81,3x58,5 cm, venduto da Sotheby's New York 2011 a $ 8.482.500 (€ 6.361.500) (vedi a pag. 28). Il dipinto che ha raggiunto nel 2011 la massima quotazione fa parte delle sei opere dedicate dalla de Lempicka a Rafaela, una diciassettenne italo-americana sua amante per un mese. La storia di questa pittrice protagonista e simbolo di un’epoca, è piena, intensa ed eccessiva come la trama di un romanzo d'avventure. Nata nel 1888 a Varsavia, Tamara è figlia di un ricco avvocato ebreo russo e di una signora polacca dell'alta società; studia in un collegio

A destra: Portrait du Marquis d'Afflito, 1925 olio su tela, 81x130 cm, venduto da Sotheby's New York 2012 a $ 4.562.500 (€ 3.554.000)

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TAMARA de LEMPICKA le permette di catturare lo spirito del tempo ed esprimere pienamente i suoi ideali estetici e sociali. Con la sua prima personale avvenuta a Milano nel 1925, arriva il successo così che molte personalità e celebrità le commissionano i propri ritratti. Entra in contatto anche con il mondo della moda sia come illustratrice per riviste prestigiose, sia svolgendo l’attività di indossatrice. E' solo qualche anno dopo (1929) che la de Lempicka dipinge per la copertina della rivista di moda tedesca Die Dame un piccolo olio su tavola, "Autoritratto, Tamara nella Bugatti verde" (vedi a pag.31). Lei è alla guida della lussuosa cabriolet, mito futurista della velocità, una "Femme fatale" dalla bellezza raffinata e algida che diventa l'icona della donna nuova, libera, indipendente e inaccessibile. Il suo stile pittorico è inconfondibile, incorpora le forme geometriche e spezzate del cubismo ma reintepretate attraverso una modellazione morbida dei modelli rigidamente messi in posa, simili a forme scultoree o sofi-

sticati oggetti d'arte. L'attenzione dell'artista è posta, oltre che sulla sensualità trasgressiva dei corpi (spesso nudi femminili) definiti con calde tinte color carne, in particolare sugli sguardi dei suoi soggetti nei quali si coglie sempre una carica seduttiva e sottilmente perversa. Il suo stile di vita trasgressivo, la disinvoltura con cui esibisce le molte amanti, ne fanno un'anticipatrice che sovverte i ruoli sociali tradizionali messi in crisi anche dai rivolgimenti politici: «Io vivo la vita ai margini della società, e le regole della società normale non si applicano a coloro i quali vivono sul confine». Nel 1927 il marito che non tollera più le sue relazioni, l’uso di droghe e la vita frenetica abbandona l'artista ormai incontrollabile. Vince numerosi premi nazionali e internazionali con i ritratti della figlia Kizette che però vede raramente. A partire dagli anni '30 la sua stella artistica comincia a declinare: prima la Grande Depressione del '29 e poi la Guerra Mondiale segnano la fine del suo mondo. Tamara de Lempicka non è più di moda.


FUNKTION UND FORM "Funktion und Form", l'esposizione ospitata a fine 2015 presso il "Kunstgewerbemuseum", il Museo delle Arti e Mestieri di Berlino, si proponeva di presentare un punto di vista eccentrico rispetto a due concetti come Arte e Industria, consolidati ma troppo spesso considerati antitetici. Eccentrico perché non intendeva affrontarli dal consueto punto di vista già esplorato dell'industrial design ma si poneva il problema della qualità formale di quegli oggetti interessati, almeno in via teorica, alla sola funzione da assolvere. A questo scopo è stato dato il compito a una decina di artisti contemporanei

di approfondire il valore estetico ed artistico di manufatti apparentemente pensati, progettati e creati «in funzione della funzione», evitando cioè, di porsi qualsiasi questione formale aprioristica. Il curatore della mostra Wolfgang Togler si poneva la domanda per certi versi accademica o retorica: «E' possibile creare un qualsiasi oggetto, anche il più semplice senza affrontare - consciamente o inconsciamente - il grande problema per chi crea qualcosa di non ancora esistente, della sua forma?». L'idea esposta a fine '800 da Louis Sullivan che "la forma che segue sempre la funzione" è stata poi integrata dalla teoria funzionalista in cui si contrapponeva ciò che è "utile" a ciò che è "bello" nella convinzione che, soddisfatti gli aspetti funzionali, la bellezza sarebbe naturalmente e necessariamente seguita. Ci sono oggetti utili che possiedono delle valenze estetiche tali da farli considerare delle vere opere d'arte, connotate cioè dalla precisa volontà di esprimere un senso estetico compiuto e ricercato programmaticamente. Si possono, in sintesi, considerare delle "sculture" nonostante siano nate con tutt'altra logica? Oggi non è sicuramente facile distinguere molte "sculture moderne" risultate dall'assemblaggio di materiale di recupero da un qualsiasi altro manufatto della vita quotidiana. E' il caso delle opere di molti tra i più importanti artisti Pop Art come le “Combines” di Rauchemberg, collage di oggetti realmente raccattati per le strade di New York, oppure il Nouveau Réalisme con le accumulazioni di oggetti raccolti e segati o anche la spazzatura di Arman, oppure i "Tableauxpièges" (Quadri-trappola) con gli avanzi dei pasti di Daniel Spoerri, ma anche i contenitori di farmaci di Damien Hirst, gli aspirapolveri Hoo-

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TECNICA E ARTE ver esposti in vetrina da Jeff Koons e così via. Se l'assemblaggio di "ciarpame" effettuato da professionisti è considerato opera d'arte meritevole di attenzione, per la stessa ragione, l'assemblaggio logico, intelligente e formalmente perfetto di manufatti dotati di forme create dal nulla sulla base di considerazioni funzionali, dovrebbe riscuotere altrettanta se non maggiore ammirazione. Ecco quindi le proposte presentate nelle sale del museo sotto forma di "puri" oggetti tecnici realizzati allo scopo di assolvere a delle "pure" funzioni. I pezzi-scultura sono stati scelti dai partecipanti recuperandoli direttamente nei magazzini del museo e poi sottoposti ad interventi "artistici" più o meno connotati per esprimere meglio i nuovi contenuti ricercati. Tra questi spiccavano delle sculture di derivazione meccanica apprezzate per la piacevolezza e la raffinatezza delle forme valorizzate da trattamenti di doratura e argentatura delle superfici che le facevano sembrare miniature classiche. Tutti gli autori delle proposte, mantenuti rigorosamente anonimi per togliere qualsiasi personalizzazione e garantire ai visitatori una valutazione più oggettiva, avevano saputo coniugare alla perfezione i due temi della manifestazione - Funzione e Forma - privilegiandoli entrambi e giungendo a sintesi inaspettate ma di grande inventiva. La conclusione più importante dell'esperimento è stata che qualsiasi manufatto industriale - se ricontestualizzato con fantasia e sensibilità artistica - contiene già in sé potenti valori espressivi e comunicativi autonomi ed è spesso l'approccio basato sul conformismo visivo o le convenzioni tradizionali mai messe in discussione, che impedisce di vedere le cose nella loro essenza e di apprezzarne la bellezza intrinseca. 23


HUGO PRATT Se si dice Hugo Pratt, si pensa Corto Maltese (vedi in basso) perché "Corto", che in spagnolo significa "svelto", è il suo personaggio più riuscito e amato che lo ha reso l'autore di fumetti italiano più famoso a livello internazionale. Nel 2017 si celebra il cinquantenario della "nascita" dell'affascinante marinaio, apparso per la prima volta nel 1967, antieroe ironico, spirito libero e libertario, e anche alter ego (e autoritratto) dello stesso Pratt. Nato per caso a Rimini nel 1927 (e morto a Losanna nel 1995), Hugo Pratt vive fino a dieci anni a Venezia con il nonno di origini anglofrancesi e la nonna venuta dalla Turchia, assorbendo l'interesse per i tarocchi della madre e la passione per il teatro, i miti ebrei e la cabala dalla zia attrice. L’altro nonno, ebreo sefardita di origini spagnole e poeta dialettale, gli trasmette l'amore per la poesia che trasfersce nei suoi

racconti:«...la poesia è sintetica e procede per immagini ...e, come nella poesia, il fumetto è un mondo d’immagini, si è obbligati a coniugare due codici e, conseguentemente, due mondi: un universo immediato attraverso l’immagine e un mondo mediato attraverso la parola». Dal 1937 il piccolo Hugo soggiorna sei anni con la famiglia in Abissinia dove il padre è arruolato nella Polizia dell'Africa Italiana; nel 1941, alla caduta dell'Africa Orientale, la famiglia Pratt è internata in un campo di prigionia inglese dove il padre muore. In Africa impara a conoscere i popoli locali e i loro usi, gli animali, i paesaggi infiniti del deserto e assiste alla guerra tra eserciti di tutto il mondo, un'esperienza da cui origina il fascino che esercitano su di lui le uniformi e il mondo militare. Ritornato in Italia nel '43, aderisce alla Repubblica Sociale Italiana militando come marò nella Xª Flottiglia MAS. Nel

STORIA DELL’ARTE 45 lavora come interprete per gli angloamericani e, infine, torna a Venezia dove coltiva le sue passioni per il mare, i fumetti dei disegnatori americani, le avventure tra gli indiani d'America e la letteratura di scrittori viaggiatori. Nel 1949, a 22 anni, insieme a un gruppo di amici parte all'avventura per l’Argentina: mette su famiglia in questo paese, lavorando e viaggiando fino al 63 quando, a causa della crisi economica, ritorna in Italia. Vive disegnando per diverse testate fino a quando nel 1967 crea per il numero 1 della rivista Sgt.Kirk "Una ballata del mare salato”, il suo capolavoro in cui appare per la prima volta Corto Maltese, fascinoso e instancabile vagabondo dei mari. Questo fumetto sarà definito la prima "graphic novel" (letteratura disegnata, detta anche la nona arte) italiana, cioè un'opera che per la qualità dei testi e dei disegni, può fregiarsi della

qualifica di romanzo. Inizia il successo mondiale e nel 1989 Hugo Pratt riceve la Legion d’Honneur da François Mitterrand. Il valore dell'opera di Pratt deriva sia dalla sua raffinata maestria grafica che gli permette di tratteggiare con poche pennellate grandi spazi aperti o intricate foreste, personaggi, luoghi, culture, atmosfere di tutto il mondo romanticamente misteriose; sia dai continui rimandi colti, citazioni e riferimenti storici che giocando tra realtà e finzione, si mantengono sempre in bilico tra la cultura pop dei comics e la letteratura alta. Il taglio cinematografico e il ritmo della narrazione modernissimi, sono attraversati dalla coscienza malinconica e nostalgica di un Destino già scritto. Oggi Corto Maltese, come tutti i grandi personaggi di fantasia, vive di vita propria e il suo creatore è entrato a tutti gli effetti nella rosa dei grandi artisti.


Agosto 2017, Anno 8 - N.6

News dal mondo TAMARA DE LEMPICKA

Le Rêve (Rafaela sur fond vert), 1927

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TAMARA DE LEMPICKA

Portait de Madame M, 1932

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TAMARA DE LEMPICKA

La chemise rose I, 1927

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TAMARA DE LEMPICKA

Autoportrait, Tamara dans une Bugatti verte, 1929

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Femme fatale 1920, 2017

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Omaggio a TAMARA DE LEMPICKA

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TAMARA de LEMPICKA, Le Rêve (Rafaela sur fond vert), 1927 olio su tela, 81,3x58,5 cm, venduto da Sotheby's New York 2011 a $ 8.482.500 (€ 6.361.500)

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TAMARA de LEMPICKA, Portait de Madame M., 1932 olio su tela, 99,5x64,8 cm, venduto da Christie's New York 2009 a $ 6.130.500 (€ 4.496.700)


TAMARA de LEMPICKA, La chemise rose I, 1927, olio su tavola 41x32,5 cm, venduto da Christie's New York 2009 a $ 3.218.500 (€ 2.156.400)

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TAMARA de LEMPICKA, Autoportrait, Tamara dans la Bugatti verte, 1929, olio su tavola, 35x27 cm Collezione privata


PAOLO TOMIO: Omaggio a TAMARA de LEMPICKA FEMME FATALE 1920, 2017 Fine art su carta, 30x21 cm


ics

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