PERIODICO della icsART N.12 - Dicembre ANNO 2019
icsART
In copertina: EDGAR CARACRISTI, "PASSACAGLIA SUL RELITTO, variaz. VII", 2007, olio su tavola, 85 x 85 cm
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icsART
sommario
Dicembre 2019, Anno 8 - N.12
Editoriale
Accà nisciuno è fesso
pag. 4
Politica culturale
Il Grande Cerchio Rosso
pag. 5
Intervista a un artista
Edgar Caracristi
Mercato dell’arte?
Vincent van Gogh
pag. 20-21
Pixel-Mania
PIGPIG
pag. 22-23
Storia dell’arte
Robert Frank
pag. 24-25
pag. 6-19
News dal mondo VINCENT VAN GOGH
Laboureur dans un champ, 1889
pag. 28
VINCENT VAN GOGH
Portrait de docteur Gachet, 1890
pag. 29
VINCENT VAN GOGH
L'allée des Alyscamps, 1888
pag. 30
VINCENT VAN GOGH
Nature morte, vase aux marguerites et coquelicots, 1890
pag. 31
Feux d'artifice, 2019
pag. 32
Omaggio a VINCENT VAN GOGH
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EDITORIALE
ACCÀ NISCIUNO È FESSO Sono ormai anni che (quasi) tutti i giornali ci spiegano quanto siano inesperti, impreparati, incompetenti, incapaci e privi di esperienze lavorative, nonché di laurea, i "grillini". Luigi Di Maio, ex vice Premier e neo Ministro degli esteri, è accusato di aver lavorato come steward allo stadio (per cui è spesso apostrofato come "bibitaro") e di non aver conseguito una qualsiasi laurea. Come dire: uno sfigato! C'è una buona dose di verità in tutto ciò: certamente molti neo eletti M5S hanno fatto lavoretti sottopagati, cioè quello che l'Italia passa oggi alla maggior parte dei ragazzi. Invece, quella sui loro titoli di studio è una fake new visto la loro alta percentuali di laureati. Al contrario, molti dei politici "competenti", di sinistra e di destra, che li hanno preceduti, non sono laureati. Nel centro-sinistra, ad esempio, i ministri Giuliano Poletti (Lavoro), Andrea Orlando (Giustizia), Valeria Fedeli (Istruzione), Teresa Bellanova (Agricoltura, in possesso della terza media),
e, in passato, Ottaviano Del Turco (Finanze) e Livia Turco (Salute). Tantissimi anche i leader storici di sinistra privi di laurea: Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Francesco Rutelli, Enrico Berlinguer, Bettino Craxi e, oggi, Nicola Zingaretti e Matteo Orfini. Ma anche a destra i leader non brillano per i loro curricula: Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Umberto Bossi (Riforme), Maurizio Gasparri (Comunicazioni), Beatrice Lorenzin (Salute), Michela Brambilla (Turismo), Guido Crosetto, sono tutti privi di laurea. A questi soloni, però, nessuno ha mai mosso qualche critica per l'assenza di un titolo accademico. Anzi: è stato steso un velo pietoso e ossequioso (e omertoso). Sarebbe bello essere governati da un ceto politico di laureati, colti e competenti. E, magari, pure onesti. Purtroppo, questo passa il convento e con questa cosiddetta classe dirigente - vecchia e nuova - dobbiamo convivere (e sopravvivere). Come disse un filosofo partenopeo: «Io, speriamo che me la cavo». 4
POLITICA CULTURALE IL GRANDE CERCHIO ROSSO Mentre i cittadini di Genova e gli italiani, grazie all'inchiesta degli inquirenti, ogni giorno scoprono verità sempre più inquietanti sulla gestione tecnico-economica del viadotto Morandi e di decine di altri ponti in servizio, sono stati avviati i lavori della ricostruzione del nuovo tratto autostradale crollato il 14 agosto 2018. Nel frattempo, il Comune di Genova ha bandito un concorso per la realizzazione de "Il Parco del Polcevera" riguardante la sistemazione del territorio coinvolto, direttamente e indirettamente dai crolli della vecchia tratta. È risultato vincitore l'architetto Stefano Boeri, molto noto, tra l'altro, per le due torri chiamate "Bosco verticale" di Milano, il quale, nell'ottica di lasciare un segno indelebile sul territorio, ha presentato un progetto formalmente molto coraggioso e connotato. Un immenso percorso ciclo-pedonabile circolare del raggio di oltre 2 chilometri e lungo 1570 metri, che corre 12 metri sopra le aree di-
smesse trasformate in parco pubblico, con una torre "del vento" alta 120 metri contenente 114 turbine eoliche per rendere autosufficiente energeticamente il quartiere. Il costo previsto, solo per il primo lotto, ammonta a 12 milioni. E' bello che, sull'onda dell'emergenza, si pensi a come ripagare con progetti avveniristici di respiro internazionale una città e un territorio sempre più disastrati. Sarebbe altrettanto bello che - contemporaneamente - si mettessero sotto controllo anche frane ed esondazioni che annualmente affliggono Genova. (NB Dopo aver scritto questo pezzo, è crollato anche un altro viadotto dell'autostrada Torino-Savona). Forse, preso atto dello stato reale dei luoghi, sarebbe più serio cominciare a privilegiare l'"utilitas" e la " firmitas" al fine di garantire la sicurezza e le vite umane, lasciando a un secondo tempo, la "venustas". Altrimenti il "Cerchio rosso" potrebbe ricordare troppo il ballo di gala sul ponte, mentre il Titanic sta affondando.
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Intervista a EDGAR CARACRISTI Non so spiegarlo, ma i dipinti di Edgar Caracristi mi fanno venire in mente le atmosfere del romanzo - e ancor più del film - "L’insostenibile leggerezza dell’essere", di Milan Kundera. Saranno i colori grigi e terrosi, sarà la luce sopita ed evanescente, sarà l'effetto di straniamento delle sue "scene" senza tempo, sarà per la filosofia venata di un pessimismo mite o il modo lieve con cui parla della tragedia, della solitudine, dell'incomunicabilità. Oppure, sarà solo perché Caracristi è un artista sensibile capace di opere poetiche, ricche di stimoli e di metafore nascoste che intrigano l'osservatore e fanno volare la sua fantasia. Caracristi, infatti, è un artista che cerca sempre di comunicare una propria visione personale del mondo tramite le forme di espressione più varie: la pittura e il disegno in primo luogo, ma anche l'incisione, la scenografia e, non ultima, la musica la quale, per quanto astratta e aerea, riappare in molte sue opere. Come nelle 10 Variazioni della serie "Passacaglia sul relitto" nelle quali il tema centrale del "relitto", viene continuamente riproposto e variato magistralmente in chiave monocromatica. Forse per le sue origini nordiche o per gli studi di scenografia, in Edgar è presente una predilezione per i paesaggi brumosi filtrati da una luce irreale e per le rappresentazioni teatrali intrise di un sottile romanticismo ed espressionismo tedesco. Questo perché il suo grande talento grafico prevale sul colore e il suo interesse per la figurazione è finalizzato al racconto di storie: storie vere, vissute o anche solo immaginate, ma capaci, innanzitutto, di coinvolgere emotivamente. Ecco allora i dipinti della sua "recherche" intima in cui ritornano figure del passato sul filo della nostalgia o spezzoni di memoria soffusi di malinconia, oppure quelli più impegnati in cui anche i temi sociali e politici più pesanti e dolorosi, sono rappresentati con delicata e umana solidarietà. Paolo Tomio
A sinistra: SEDUZIONE, 2011, tecnica mista su tela applicata su tavola e specchio, 36 x 28 cm
In basso: INVENTARIO DEI RICORDI, 2017 tecnica mista su tavola, 26 x 43 cm
Quando e perché hai cominciato a interessarti all'arte e alla pittura?
che ti hanno influenzato? La mia prima infatuazione è stata per Caspar D. Friedrich e J. M. William Turner, quindi per il Romanticismo europeo. Più avanti mi innamorai di Rembrandt e di Vermeer, e poi vabbè… di tantissimi altri: da El Greco a Goya, da Picasso a Kiefer. La pittura nordica comunque me la porto dentro. Mia madre è di origini tedesco-olandesi e i primi grandi musei d’arte che ho visitato sono stati quelli di Amsterdam, quando, da bambino, andavo a trovare i nonni. Tuttavia l’attrazione per la solarità mediterranea e per la Grecia in particolare (anch’essa
Colori e pennelli in giro per casa non sono mai mancati. Ricordo che da bambino cercavo di copiare quadri e disegni di mio nonno paterno (che non ho mai conosciuto) usando grafite e carboncino, e che viaggiavo con la fantasia mentre sfogliavo i Cento maestri del colore che mio padre aveva collezionato.
Quali sono state le correnti artistiche e gli artisti TRA BATTUTA 44 E BATTUTA 45, 2018, tecnica mista su tavola, 35 x 38 cm
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DI UN RITROVO SPECIALE, 2016, tecnica mista su tavola, 38 x 45 cm
frequentata fin da piccolo per ragioni familiari) convive in me come un necessario controcanto.
E la tua attività di musicista e compositore nei tuoi lavori? Tu sei laureato in scenografia all'Accademia, come ha inciso questa formazione nell’approccio alla pittura?
A volte nei miei dipinti inserisco frammenti di partiture o precisi passaggi di brani musicali che rimandano a qualcos’altro ancora. Altre volte sono i titoli delle opere a prendere in prestito dal mondo musicale o letterario. Si tratta, credo, di un bisogno che ho di sfuggire all’univocità, a un discorso preciso in favore di un dialogo aperto… ludico anche.
Scelsi scenografia perché per me rappresentava una sorta di ponte, di mediazione fra la dimensione pittorica, visiva, e quella musicale, l’altra mia grande passione. La scenografia può essere un abito su misura, un “contenitore” capace di accogliere in sé discipline tra loro eterogenee e di fonderle in un’unica, più grande narrazione. Spesso le mie mostre si fanno scenografie che incontrano musicisti, poeti, amici.
Segui l’arte contemporanea? Cosa trovi interessante?
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per lo più con pigmenti naturali mediati dall’acrilico.
La seguo, con particolare interesse per quella non “ufficiale”, quella che incontri girando, fuori dai circuiti istituzionali.
Sei sempre stato figurativo o hai sperimentato anche linguaggi più astratti?
Quali sono le tecniche artistiche che utilizzi principalmente nella tua attività?
Al di là di sperimentazioni stilistiche compiute in gioventù, quando ero alla ricerca di un mio linguaggio, mi sono sempre trovato a mio agio nell’ambito del figurativo. A volte un figurativo spinto al confine, in prossimità del limite, ma mai giungendo al puro astratto.
Per quanto riguarda il materiale, il legno è forse quello più presente, sia come supporto che come sostanza stessa della narrazione. Si tratta spesso di pezzi di riuso che un tempo erano altro. Mi affascinano i “reduci di vite precedenti”, portano con sé epifanie. Su di essi intervengo
Oltre alla pittura hai sperimentato anche l'Incisione e anche opere tridimensionali?
RICHIAMI, 2013, tecnica mista su tavola 57 x 123 cm
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L’architettura organizza lo spazio del nostro vivere e del nostro operare, ma è anche una dimensione astratta come per esempio l’immagine mentale suscitata da un pensiero o evocata dall’ascolto di una musica polifonica. Per me è onnipresente.
Si, l’incisione è una tecnica che ho praticato parallelamente alla pittura per diversi anni, soprattutto la calcografia e la xilografia. Anche la ricerca di tridimensionalità non è un’acquisizione recente; piuttosto riemerge periodicamente come naturale esigenza di creare profondità, di aumentare i punti di vista e di dar modo anche al tatto di partecipare più attivamente… di sicuro però in questi ultimi anni quest’esigenza si è acuita, e spesso i lavori diventano scatole, scrigni di pensieri.
Cosa ti affascina del ritratto, un genere oggi poco praticato? Le fattezze di un individuo suggeriscono particolari qualità, sono come lo specchio della forza di un carattere. Il mio lavoro sui volti e le posture è legato quasi sempre a vicende di persone che conosco o che ho avuto vicino; è un genere che non pratico con continuità ma che
Perché nei tuoi cicli pittorici è sempre riscontabile una particolare attenzione all'architettura e agli spazi interni?
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è comunque presente nella mia ricerca, almeno da una decina d’anni a questa parte e che punteggia “momenti sensibili” della mia vita personale.
Nella gran parte dei tuoi dipinti il colore è assente ed è predominante il grigio: come te lo spieghi? Si, per molto tempo nei miei dipinti hanno predominato i toni di grigio, le tinte pastello, le velature…soprattutto nei miei lavori ad olio, e anche adesso una certa tendenza al monocromo prevale. Non so, forse le mie corde vibrano naturalmente su queste tonalità. Comunque si cambia sempre, e se mi guardo indietro, i miei SENZA TITOLO, 2010, acrilico su tavola, 24 x 24 cm
lavori di dieci, quindici o vent’anni fa non son certo quelli di adesso, nemmeno cromaticamente.
Come definiresti il tuo stile? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile? Mi verrebbe da dire: in continuo, lento mutamento. La nave-viaggio, l’architettura-rifugio, la nostalgia, il fiume, il desiderio… non sono altro che i fondamentali di una “passacaglia” che continuamente si rinnova di controcanti.
Ritieni di rappresentare nelle tue tele concetti o emozioni?
RADICI, 2019, tecnica mista, 45 x 35 cm
PENSIERI, 2019, tecnica mista, 45 x 35 cm
Credo che il desiderio di esprimersi e conoscere si nutra di entrambe le cose, ma che un concetto, un pensiero, indagato attraverso il “gioco”, possa sorprendere ed emozionare.
ne. Se c’è stato un tempo in cui l’artista faticava ad emanciparsi da un ruolo consolidato di subalternità e servilismo, da quando Beethoven, nei primissimi dell’800, stracciò la dedica della sua terza sinfonia a Napoleone perché quest’ultimo, gettata la maschera da liberatore, si era autoproclamato imperatore, sappiamo che è possibile, anzi, necessario, fare diversamente.
Credi che l’artista possa ancora svolgere una funzione pubblica utile e positiva attraverso il suo impegno? Penso che, a prescindere da quello che uno fa, nessuno possa sottrarsi dal confronto col mondo che lo circonda e di cui è parte. In quanto manifestazione di una scelta, l’opera d’arte è sempre un atto politico e l’artista, se coerente, non soltanto un messaggero. Noi viviamo nel presente, un presente che continuamente ci interroga e ci sprona a prendere una posizio-
Quanto è importante il "messaggio" dell’opera? Se l’arte è un modo per comunicare, per raccontare e sperimentare, credo che dentro ad un’opera un messaggio ci sia sempre. Personalmente nelle cose che faccio cerco di far nascere dubbi rispetto al consueto, di suscitare domande attraverso una forma il più possibile 13
“PASSACAGLIA SUL RELITTO, variaz. VIII”, 2007 olio su tavola, 85 x 85 cm
Non mi sono ancora fatto un’idea precisa. Ho diversi amici artisti in Trentino. Ci frequentiamo da tanto tempo e spesso collaboriamo insieme, a volte realizzando collettivamente delle opere: è una cosa che trovo stimolante… il contaminarsi, il mettersi in gioco insieme ad altri fuori dal proprio studio sulla base di idee condivise. Ma so di essere fortunato in questo, perché è una cosa tutt’altro che scontata.
appropriata, ma anche di provare piacere “nel fare”. Poi ci sono momenti nei quali l’esigenza di veicolare un messaggio preciso si fanno più urgenti. Ritengo che un artista abbia il dovere morale di impegnarsi socialmente per quanto gli è possibile.
Tu hai vissuto molto fuori regione: come ti sembra il panorama attuale degli artisti trentini d’oggi?
Segui la “politica culturale” trentina? Pensi che si possa fare di più per il settore artistico?
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“PASSACAGLIA SUL RELITTO, variaz. IX”, 2007 olio su tavola, 85 x 85 cm
In generale, penso che si potrebbe fare di più e meglio, non soltanto nel settore artistico e non solo in Trentino. Fatico però a immaginare una risposta a questa domanda rimanendo nell’ambito di un ragionamento che abbia come punti di riferimento soltanto la sfera istituzionale e i meccanismi politici di potere. Ho il sentore che, un valido punto di partenza per un futuro miglioramento in tal senso, possa giungere soprattutto da una maggiore partecipazione da parte del singolo alla collettività, alla comunità, alla politica nella sua accezione originale, confrontandosi sulle Idee al di là dell’ambito parti-
tico e facendolo dal basso.
Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori? Mi è capitato (e mi capita) di emozionare delle persone attraverso le mie opere, e in alcuni casi di conoscerle meglio e di condividere insieme a loro delle esperienze. L’arte può essere foriera di “incontri” e questo
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In alto: PER ALTRE VIE, 2019, tecnica mista su tavola, 60 x 60 cm
A destra: SOSPESI, 2018, tecnica mista su tavola 65 x 51 cm
per me è una forma di bellezza.
E, per finire, cosa è per te l’arte? Credo che si possa essere un artista in modi diversi: ci sono artisti della vita (che invidia!…), artisti nello svolgere il proprio lavoro, nell’educare, nell’aiutare, nell’accompagnare… è comunque una faccenda importante, perché è un modo di stare al mondo.
Chi è l’artista? Non te lo so dire esattamente. Ci sto lavorando. Sicuramente il più delle volte uno che fa fatica a sbarcare il lunario, ma che pure si diverte, soprattutto nel vedere la faccia di chi, alla domanda “tu di che cosa ti occupi?”, si sente pronunciare quella parola.
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EDGAR CARACRISTI Nato a Parma nel 1972 da padre roveretano e madre tedesco-olandese. Dopo due anni la famiglia si trasferisce in Trentino. Compiuti gli studi presso l’Istituto Statale d’Arte di Trento, nel 1992 si iscrive all’Università di Musicologia di Cremona. Nel 1995 interrompe gli studi, per poi riprenderli nel 1999 presso l’Accademia di Belle Arti di Verona, dove, nel 2005, si diploma in Scenografia discutendo una tesi musicologica sulle esperienze e gli sperimentalismi compiuti in Italia nel decennio ’50-’60 del ‘900. Nel 1995 inizia il suo percorso espositivo e, parallelamente, quello compositivo. All’attività artistica affianca quella di decoratore e allestitore museale: dal 2002 al 2007 presso il MART di Rovereto e in altri musei, trentini e veneti; dal 2007 ad oggi ha curato la ricostruzione di ambientazioni di scavo per alcuni musei archeologici della Lombardia. Ha collaborato con diverse gallerie d’arte, come la Galleria d’Arte Dusatti di Rovereto e la Zamenhoff di Milano. Dal 2010 al 2015 è stato membro della Compagnia d’Arte “L’aereoplaninoadelastico” di Rovereto. Espone sia in Italia che all’estero ed è recensito in una trentina di cataloghi. Nel 2011 è presente alla 54^ Biennale di Venezia. Sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private.
In alto: IL CLARINETTO CURIOSO, 2018 acrilico e grafite su tela applicata su tavola 50 x 22 cm
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ART E' possibile sfogliare tutti i numeri delle annate 2012-2019 della rivista icsART sul sito icsART all'indirizzo:
www.icsart.it icsART N.12 2019 Periodico di arte e cultura della icsART Curatore e responsabile Paolo Tomio
PERIODICO della icsART N.10 - Ottobre ANNO 2019
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MERCATO DELL’ARTE ? un ambiente rigido e austero: è solitario, introverso, incline alla depressione, ma allo stesso tempo intelligente, amante del disegno, della natura e lettore appassionato. A 16 anni inizia a lavorare come commesso presso la casa d'arte Goupil & Co a L’Aia divenendo in poco tempo un esperto al punto da essere inviato prima alla sede di Londra (dove subisce una crisi depressiva per una delusione amorosa) e poi a quella di Parigi. Dopo sei anni, si licenzia dall'impiego e ritorna in Olanda per tentare di superare l'esame per accedere a teologia. Resosi conto di non essere preparato, sceglie di recarsi in Belgio come predicatore presso una comunità di minatori dove vive rinunciando a tutti i suoi beni come il Cristo ma il suo zelo eccessivo inquieta le gerarchie ecclesiastiche che lo sollevano dall'incarico spingendolo a una nuova crisi. L'anno 1880 è il punto di svolta nella vita di Van Gogh in cui prende la decisione di dedicarsi definitivamente alla pittura. Parte per Bruxelles dove si ferma sei mesi studiando anatomia e disegno. Esegue i primi dipinti ad olio con nature morte e scene di vita contadina in uno stile plumbeo, spontaneo e intuitivo. Per redimerla, mantiene in casa per un anno una prostituta alcolizzata, incinta e con una figlia, ma la storia finisce male. Nel 1886 raggiunge a Parigi il fratello Theo il quale, essendo mercante d'arte, gli fa conoscere gli artisti impressionisti e lo spinge verso un'arte più moderna. Vincent, legato ancora al cupo stile nordico, si avvicina alla tavolozza della pittura impressionista e scopre l'interesse per le stampe giapponesi. Si trattiene a Parigi per circa un anno senza ottenere il successo sperato e nel 1888 si trasferisce ad Arles in Provenza alla ricerca del colore e della luce mediterranea. Qui vive alcuni mesi con Paul Gauguin nella famosa “casa gialla" ma i loro
VINCENT VAN GOGH (1853-1890), Laboureur dans un champ, 1889, olio su tela, 53 x 16 cm, venduto da Christie's New York 2017 a $ 81.312.500 (€ 73.572.000). (vedi a pag. 28) È estremamente raro che i quadri di qualità di van Gogh arrivino in asta poiché buona parte dei suoi 864 dipinti e 150 acquerelli realizzati in soli dieci anni di carriera artistica (1881-1890), sono patrimonio di musei: il Van Gogh Museum di Amsterdam ospita poco più di 200 sue opere e quasi 100 si trovano al Kröller-Müller Museum di Otterlo, mentre le restanti sono sparse nel mondo in collezioni pubbliche o private. Di van Gogh è diffusa l'immagine stereotipata e poco veritiera di artista che ha trascorso un anno in manicomio dopo essersi tagliato il lobo dell'orecchio e morto suicida, le cui opere sono il risultato della sua malattia mentale. Al contrario, come dimostra la storia della sua vita e la fitta e colta corrispondenza, tutto il suo lavoro è il prodotto di scelte ragionate e volute nate da un continuo impegno sulla spinta di una forte etica, amore per l'arte, il bello e la natura. Figlio di un pastore protestante olandese, il giovane Vincent, primogenito di sei figli, cresce in 20
VINCENT VAN GOGH temperamenti forti e difficili sono incompatibili: Paul egoista e presuntuoso, Vincent maniacale e ipersensibile. Una coabitazione fatta di scontri continui che finisce dopo l'ultima lite agli inizi dell'89, con l'episodio di automutilazione di van Gogh e il suo ricovero nel manicomio di Saint-Rémy. Dimesso nel 1890, trascorre i suoi ultimi mesi dipingendo ad Auvers. Nell'ultimo anno di vita crea quasi 130 dipinti, tra cui "Iris", che l'artista considerava uno studio ma il fratello Theo, trovandolo «bellissimo pieno di aria e vita», presenta nello stesso anno al Salon des Indépendants. La vendita a New York nel 1987 di "Iris" per 54 milioni di dollari (vedi in basso) rappresenterà un cambio di paradigma nel mercato dell'arte internazionale. Fondamentale il rapporto con il fratello Theo, principale e spesso unico sostenitore della sua arte, il quale lo aiuta economicamente e psicologicamente per tutta la vita. Nella sua ultima lettera (delle 668 inviate a Theo), Vincent scrive: «Rischio la mia vita per il mio lavoro e la mia ragione è per metà affondata per ciò». Il 27 luglio 1890 vagando in un campo di grano nei pressi della casa del suo medico curante, il Dr. Gachet, il pittore si spara al petto ferendosi gravemente, si trascina a casa rifiutando di farsi curare e muore nel suo letto dopo due giorni. Il dipinto "Portrait de docteur Gachet", requisito
Paysage sous un ciel mouvementé, 1889, olio su tela, 60.5 x 73,7 cm, venduto da Sotheby's New York 2015 a $ 54.010.000 (€ 48.868.000)
nel '37 da Göring per la propria collezione personale (nonostante fosse considerata dai nazisti "arte degenerata"), sarà venduto da Sotheby's nel 1990 (vedi a pag.29) a un ricco giapponese diventando il dipinto più costoso del mondo. Sconosciuto e ignorato nel mondo artistico (ha venduto un unico quadro nella sua vita), solo dopo la sua morte la reputazione di van Gogh comincia a crescere fino a farlo riconoscere come uno dei più importanti artisti della sua generazione e a influenzare avanguardie come i Fauves e gli espressionisti tedeschi. Nel 2020 si celebreranno i 130 anni della morte di questo genio incompreso, molto amato dal pubblico sia per la passione-ossessione che lo divorava dentro, che per la vita infelice e travagliata conclusasi tragicamente a soli 37 anni. A sinistra: Iris, 1889, olio su tela, 71 x 94 cm venduto da Sotheby's New York 1987 a $ 53.900.00 (pari a € 112.000.000 d'oggi)
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PIGPIG Stato di polizia? Lo street artist PIGPIG ne sembra convinto, o almeno così si evince osservando i suoi interventi pittorici sulle facciate di case e palazzi nelle varie città industriali della Gran Bretagna. Sulla spinta delle proteste giovanili, sembrano aver ripreso forza le azioni dei graffitari in tutto il mondo. Si sta parlando, ovviamente, di quelli socialmente o politicamente impegnati che vogliono comunicare un'idea, un messaggio, e non degli incivili che praticano il mero e infantile vandalismo sui muri della città confondendolo con il brivido dell'avventura proibita o, peggio, con la creatività artistica. Può anche darsi che dal vastissimo bacino di graffitari improvvisati vengano alla luce i nuovi Banksy, ma la cosa pare improbabile perché, anche se non sembra, intraprendere la "carriera" dello street artist richiede capacità tecniche, coraggio, fatica e impegno fisico ma, soprattutto, consapevolezza di ciò che si sta facendo. PIGPIG è un writer (o una writer) che, come molti, vive in una rigorosa clandestinità sia per non incorrere nei rigori della legge che vieta severamente di imbrattare la proprietà altrui, privata o pubblica, sia per evitare possibili ritorsioni da parte degli obbiettivi colpiti dai suoi lavori. Che, nella maggior parte delle volte, nel suo caso, sono le forze di polizia. Anche se, a giudicare dalla posizione e dalle dimensioni dei suoi murales, è difficile credere che siano state realizzate all'insaputa dei proprietari degli immobili, è più facile pensare a opere parietali decorative delle facciate autorizzate e remunerate dai proprietari degli immobili. Di PIGPIG non si conosce né l'aspetto né qualcosa della sua storia personale, il che permette di creare quell'aura di mistero che ha contribuito al successo di alcuni suoi colleghi più noti. Primo fra tutti, il celeberrimo Banksy le cui opere 22
PIXEL-MANIA anti istituzionali, sono ormai battute nelle case d'asta internazionali a milioni di dollari. Rispetto ai loro padri pionieri caratterizzati da uno spontaneismo sia nei temi che nelle tecniche usate, i "graffitari" contemporanei hanno subìto un'evoluzione diventando un po' meno "street" e più "artist", nel senso di prestare più attenzione alla qualità delle opere prodotte. Quindi, studiando in anticipo e a lungo l'immagine con bozzetti, cartoni, studi dimensionali che garantiscano il risultato finale ricercato. E' questo il caso di PIGPIG il quale, come è evidente, predispone con grande precisione tutta la struttura che gli serve per ottenere il suo tipo di immagini geometricamente schematiche, derivate dalla tecnologia computerizzata basata sui pixel. I suoi poliziotti giganti, dalle espres-
sioni minacciose, sono il simbolo di un controllo sociale occhiuto e occulto, che sorveglia costantemente dall'alto delle facciate i cittadini. L'altra caratteristica dei policemen di PIGPIG, è di essere eseguiti in modo perfetto utilizzando le gamme color seppia delle vecchie stampe appartenenti a un lontano passato, ma l'assenza di caratteri somatici decostruiti digitalmente denuncia l'attuale perdita dell'identità. Questo perché, come ha dichiarato il writer, ormai non esistono più né i poliziotti buoni né quelli cattivi dato che il nuovo controllo sociale avviene attraverso la I.A., l'Intelligenza Artificiale che, con il suo apparato capillare invisibile costituito dalla rete informatica globale, è in grado di monitorizzare in tempo reale l'esistenza quotidiana di ogni individuo nel mondo.
ROBERT FRANK
È scomparso lo scorso settembre, all'età di 94 anni, Robert Frank, svizzero naturalizzato americano, considerato uno dei più importanti fotografi del Novecento. Nato a Zurigo nel 1924 in una famiglia di origini ebraiche, madre svizzera e padre tedesco, inizia a interessarsi di fotografia fin da giovane, lavorando con fotografi locali ma, nel '47, a 23 anni, decide di trasferirsi a New York alla ricerca di esperienze più stimolanti. Qui collabora come fotografo di moda con Harper's Bazaar e parallelamente lavora come reporter freelance realizzando servizi in Sud America e in Europa. Agli inizi degli anni cinquanta abbandona definitivamente la fotografia di moda e continua con la sua attività di fotoreporter viaggiando in Europa tra Parigi, Londra, Galles, Spagna, Svizzera. Nel 1955 presenta il suo curriculum al Gug-
genheim Museum e, con sua grande sorpresa, é il primo fotografo europeo ad aggiudicarsi la borsa di studio annuale. E’ con quei soldi che finanzia il suo progetto di un viaggio attraverso gli Stati Uniti per documentare con la fotografia le proprie impressioni. Parte a bordo di un'auto di seconda mano e intraprende un viaggio di diecimila miglia, attraversando più di 30 stati americani in nove mesi. Sebbene inizialmente fosse ottimista circa la società e la cultura degli Stati Uniti, Frank li guarda con gli occhi di un europeo, per di più ebreo, e coglie con chiarezza nella frenesia veloce della vita americana anche il suo lato oscuro caratterizzato dall'eccessiva enfasi sul denaro, il consumismo di massa, il razzismo, la disparità tra ricchi e poveri, mostrandoli esplicitamente. Ritornato a New York, trascorre un anno nello 24
STORIA DELL’ARTE sviluppo dei rullini e per selezionare tra i 27.000 negativi scattati ottantatre fotografie in bianco e nero da raccogliere in un libro intitolato "The Americans" che sarà pubblicato prima in Francia nel '58 e solo l'anno successivo negli USA. A parte la prefazione scritta da Jack Kerouac, la sua idea è di creare un libro senza alcun testo: solo foto che parlano da sole. The Americans riceve dure critiche sia per lo stile "sciatto", che per il contenuto delle foto stesse che rendono un'immagine scomoda della realtà americana. Lo stile di Robert Frank cambia il modo di intendere il fotoreportage: le sue immagini riprendono momenti di vita quotidiana della gente comune, egli scatta al volo, a volte senza nemmeno scendere dall’auto, tollera una messa a fuoco imprecisa e sfocata, grandi forme in primo piano, adotta tagli radicali e negativi manipolati. Anche l'uso di contrasti tonali estremi contribuisce a creare la caratteristica atmosfera sospesa, evocativa, in cui i suoi soggetti si cari-
cano di un alone di enigmaticità. Parlando del suo lavoro, l'autore spiega: «Quel che mi piace della fotografia é precisamente questo: che posso andare via e stare zitto, fare tutto molto rapidamente senza coinvolgimento diretto». Col tempo "The Americans" è sempre più apprezzato, tanto da essere definito «il libro fotografico più influente del 20° secolo», e anche se non ce ne rendiamo conto, ha ispirato e continua a ispirare tanti fotografi d'oggi. Nonostante il successo di critica ottenuto dal libro, frustrato per la difficoltà di pubblicare le sue foto su grandi giornali e riviste, alla fine degli anni '50 Frank abbandona la fotografia per dedicarsi al cinema. Quando ha conosciuto Kerouac è diventato amico anche di Allen Ginsberg e del poeta Gregory Corso, così inizia a collaborare con loro dando inizio alla sua nuova carriera come regista di film e documentari che racconteranno dall'interno la storia di quella che sarà chiamata la "Beat Generation".
Dicembre 2019, Anno 8 - N.12
News dal mondo VINCENT VAN GOGH
Laboureur dans un champ, 1889
pag. 28
VINCENT VAN GOGH
Portrait de docteur Gachet, 1890
pag. 29
VINCENT VAN GOGH
L'allée des Alyscamps, 1888
pag. 30
VINCENT VAN GOGH
Nature morte, vase aux marguerites et coquelicots, 1890
pag. 31
Feux d'artifice, 2019
pag. 32
Omaggio a VINCENT VAN GOGH
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VINCENT VAN GOGH, Laboureur dans un champ, 1889 olio su tela, 53 x 16 cm, venduto da Christie's New York 2017 a $ 81.312.500 (€ 73.572.000)
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VINCENT VAN GOGH, Portrait de docteur Gachet, 1890 29
olio su tela, 67 x 56 cm, venduto da Christie's New York 1990 a $ 82.500.000 (pari a € 158.000.000 d'oggi)
VINCENT VAN GOGH, L'allée des Alyscamps, 1888 olio su tela, 91,7 x 73,5 cm, venduto da Sotheby's New York 2015 a $.66.330.000 (€ 60.016.000)
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VINCENT VAN GOGH, Nature morte, vase aux marguerites et coquelicots, 1890, olio su tela, 66 x 51 cm, venduto da Sotheby's New York 2014 a $ 61.765.000 (€ 55.885.000)
PAOLO TOMIO: Omaggio a VINCENT van GOGH Feux d'artifice, 2019, stampa su PVC, 6.00 x 4.10 mt
ics
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