PERIODICO della icsART N.11 - Novembre ANNO 2017
icsART
In copertina: PIERMARIO DORIGATTI, OMAGGIO A BACON, 1980, olio su tela, 147x107 cm, particolare Collezione privata Tn
11
icsART
sommario
Novembre 2017, Anno 6 - N.11
Editoriale
Playboy
pag. 4
Politiche culturali
Marilyn Monroe
pag. 5
Intervista ad un artista
Piermario Dorigatti
pag. 6-19
Mercato dell’arte?
Helen Frankenthaler
pag. 20-21
Plasticity, 100 years
Plasticworld
pag. 22-23
Storia dell’arte
Tintin ad Artcurial
pag. 24-25
News dal mondo HELEN FRANKENTHALER
SATURN REVISTED, 1964
pag. 28
HELEN FRANKENTHALER
LEXINGTON, 1963
pag. 29
HELEN FRANKENTHALER
CHINA II, 1972
pag. 30
HELEN FRANKENTHALER
LAS MAYAS, 1958
pag. 31
QUELLA NOTTE ALL'ORIZZONTE, 2017
pag. 32
Omaggio a HELEN FRANKENTHALER
Copyright icsART Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare
EDITORIALE ventare un brand globale. Da alcuni ritenuta rivoluzionaria, almeno dal punto di vista della liberazione sessuale, da altri Playboy è stata a lungo considerata l'anticamera dell'Inferno e della distruzione dei valori dell'Occidente: i critici e i censori hanno accusato Hugh Hefner di mercificazione del corpo della donna (abbastanza vero), o peggio, di una sorta di prostituzione legalizzata. Oggi, ormai, Playboy, visto quello che gira su Internet, è considerata una normale rivista patinata. Che vi sia un nesso tra repressione sociale e repressione della sessualità per meglio controllare gli individui, era stato teorizzato già 90 anni fa dallo psichiatra Wilhelm Reich, ma è un concetto che molte religioni hanno capito da sempre e su quello hanno fondato il loro potere sui credenti. E' l'idea anche dello stesso Hefner il quale in una intervista ha lucidamente spiegato: «Con il sesso porto la democrazia. Per questo l'Islam teme Playboy». Per fortuna, nonostante la demonizzazione millenaria, gli uomini sono riusciti a sopravvivere alla censura e alla repressione del sesso da parte di potenti, bigotti e beghine che, come cantava De Andrè in "Bocca di rosa": «Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio». Di questa verità era perfettamente convinto anche il 27enne laureato in psicologia Hugh Hefner quando, con solo un modesto prestito ottenuto da parenti e amici, si era buttato in un'avventura editoriale azzardata convinto che il mercato fosse pronto per una rivista sofisticata per soli uomini. Per il primo numero aveva comprato il diritto di riprodurre la fotografia di una procace sconosciuta di nome Marilyn Monroe, scattata nel 1949 da Tom Kelley e già apparsa su "Miss Golden Dreams", il tipico calendario di "pin-up"
PLAYBOY Con la recente scomparsa a settembre, all'età di 91 anni, di Hugh Hefner, ideatore, fondatore ed editore di Playboy, si conclude l'epoca eroica della rivista erotica per il solo pubblico maschile più famosa al mondo. Uno dei loghi più riconoscibili (almeno dal pubblico maschile), è quello della "bunny", la coniglietta con farfallina automaticamente associata a Playboy, la rivista che si rivolge al "playboy" «l'uomo ricco che trascorre il suo tempo divertendosi e, in particolare, che è sessualmente promiscuo». Il caratteristico logo voluto da Hefner per alludere giocosamente alle note caratteristiche sessuali dell'animaletto, era stato poi utilizzato in tutte le attività collegate al business che si era sviluppato nel corso degli anni arrivando a di4
POLITICA CULTURALE per garagisti e meccanici. Il N.1 di Playboy, uscito nel dicembre 1953, riportava in copertina l'immagine in bianco e nero di una castigata Monroe, mentre la "centerfold", cioè la ragazza del paginone centrale, era un'immagine decisamente trasgressiva per l'epoca, della ventitreenne Marilyn, nuda e morbida come mamma l'aveva fatta, ammiccante e languidamente distesa con la lunga chioma rossa sul velluto rosso (vedi a destra). Inutile dire che il primo numero venduto al prezzo di mezzo dollaro, era andato a ruba finendo in poche settimane l'intera tiratura: 54 mila copie che oggi valgono 5.000 $ l'una. La rivista, però conteneva anche articoli con ambizioni culturali sul Decameron, Sherlock Holmes, jazz, rugby, enogastronomia, mobili moderni ecc. vignette e fotografie in bianco e nero, piccanti ma non volgari. Se quello era "l'Inferno" paventato dai fustigatori di costumi, milioni di maschi americani (e in seguito di tutto il mondo), si stavano convertendo in massa al nuovo predicatore laico. In quegli anni gli Stati Uniti, usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale e dalla successiva guerra di Corea, stavano combattendo una nuova Guerra Fredda contro il blocco comunista e la paura di un conflitto globale nucleare contribuiva a mettere in discussione i vecchi valori e moralismi ormai in crisi. L'avvento dei "centerfolds" mensili, termine coniato da Hefner dopo che il successo del primo numero era stato attribuito proprio al paginone di Marilyn, aveva poi normalizzato l'uso di immagini di nudo dando una nuova rispettabilità alle pin-up-aspiranti attrici pubblicate. Rivedendo a distanza di 64 anni questa ormai famosa immagine di una Marilyn giovanissima ma che già possiede il talento innato di bucare l'obbiettivo e solleticare il desiderio nei lettori maschi
(e non solo), si comprende perché abbia meritato negli anni successivi la fama di bomba sexi. Nel 1971 Hefner era arrivato all'apice del successo: la rivista vendeva più di 7 milioni di copie al mese e lui possedeva 23 Playboy Club, un'agenzia di modelle, resort, hotel, casinò, una società televisiva e cinematografica, un'etichetta discografica e molto altro. Quel N.1 del '53 ha segnato dunque l'inizio di due carriere: quella di Hefner, fondatore di un impero erotico-economico e quella da attrice di Marilyn Monroe, la quale si rivelerà molto di più di una bambola platinata, ma che si concluderà tragicamente solo nove anni dopo.
5
Intervista a PIERMARIO DORIGATTI Dalle appassionate risposte di Piermario Dorigatti si ricava l'impressione di un personaggio intimamente convinto dell'impegno culturale, mentale ed esistenziale che l'arte richiede. Si percepisce, infatti, un'adesione totale alla "missione" dell'artista il quale, più che agire, sembra "agito" dalla pittura e, in una sorta di trance, «si inabissa e recupera nel suo cadere alcuni elementi... che riporta alla luce». Questa "catarsi" avviene tramite il "disegno automatico" di matrice surrealista che inizialmente copre la tela di segni liberi e casuali slegati da un controllo razionale; è poi «la pittura a decidere il tutto nel suo farsi»: il colore che si muove in quel "caos primigenio" intuendovi figure umane distorte, motivi grotteschi, forme fantasmatiche impensabili a cui da forma e corpo. Una stimolante visione animistica, questa, in cui il quadro è paragonabile a un essere vitale e il pittore non sa e non può sapere prima cosa apparirà perché è attraverso il processo inconscio che si invera l'opera. Arte come viaggio alla ricerca di sé stesso, quindi, espressione delle pulsioni più intime e profonde che comportano sofferenza e anche dolore: una pratica artistica più simile a una gravosa seduta di "autoanalisi" che a una tranquilla e gratificante esperienza estetica. In Dorigatti, però, l'espressività non si limita al gesto libero e incontrollato perché egli rimane sempre un pittore in cui è viva una coscienza critica del proprio fare profondamente influenzata sia dalla conoscenza della storia dell'arte moderna, sia dalla padronanza delle tecniche artistiche, che ne mitigano e indirizzano l'istintività riportandola nell'alveo della rappresentazione figurativa. Attraverso quel flusso continuo di energia fisica e psichica la pittura fa "emergere" dai suoi dipinti un mondo interiore del tutto personale di forme fantastiche, esseri mostruosi, figure inquietanti in cui, alla fine, la storica dicotomia figurazione-astrazione viene felicemente superata. Paolo Tomio A sinistra: NON DIRMI SEMPRE COSA DEVO FARE 1998, olio su tela, 100x70 cm Collezione privata Tn
In basso: NATURA MORTA, 1997, olio su tela 70x100 cm Collezione privata Tn
Questa intervista è stata resa possibile grazie alla collaborazione e al lavoro di Antonio Cossu, Presidente di PROMART, il quale ha personalmente partecipato alla sua stesura. Quando e perché hai cominciato a interessarti all’arte e dedicarti alla pittura? Mi verrebbe da dire che non c’è né un quando, né un perché… in altre occasioni ho ricordato – potrei anche documentarlo, ovviamente – che su una pagina del mio libretto personale il maestro annotò “Non è fatto per le cose pratiche, ma riesce benino nel disegno, con buoni risultati nella coloritura”. Avevo poco più di sei anni…. Al di là dell’aneddotica personale, le risposte che, generalmente, si danno per giustificare (o sentenziare) l’inizio precocissimo dell’avviamento artistico, per me sono solo infantili menzogne. Per quanto ricordo, fino alle scuole
SEAT ON THY SOUL, 2002, olio su tela 100x150 cm
superiori, non avevo nessuna cosciente velleità artistica. Frequentai l’Istituto Statale d’Arte perché più facile come percorso didattico, non avendo quell’Istituto, nel programma scolastico, né la lingua straniera né un numero elevato di materie d’impronta culturale; all’epoca si trattava di una vera e propria scuola professionale. Ciò che mi avvicinò all’arte furono, più di ogni altra cosa, le frequentazioni di allievi del mio stesso corso, con i quali, negli anni, avrei diviso interessi e percorsi. Con Roberto Perini, in particolare, condivisi per lunghi anni uno studio. Ecco, un interesse per l’arte un po’ per caso e un po’ per sfida, per incoscienza; un terribile e dolcissimo lasciarsi affascinare da un mondo così lontano e sconosciuto. Riflettendo un po’, posso dire che mi sono avvicinato all’arte attraverso lo studio e la visitazione della pittura di movimenti quali CoBrA, Informale, Dada; si, mi interessavano anche il dadaismo ed il surrealismo, con tutta probabilità per il loro fascino poetico più che per quello figurativo o rappre-
PARCO TROTTER, 1999-00, olio e tecnica mista su tela, 201x240,5 cm, Collezione privata Tn
sentativo; da qui il dedicarmi alla pittura è stato un passo breve, quasi logico e scontato.
insaputa, senza consapevole premeditazione mi accompagnerà per tutta la vita). Imparo da Mauro un’altra maniera di disegnare, a percepire il segno da un altro punto di osservazione; ed è questa esperienza che mi avvicina ad un pittore vero (ma vero sul serio!), Gino Meloni, facendomi guardare per la prima volta fuori dall’ambiente trentino. La pittura, finalmente! Pur non avendo la benché minima nozione sul colore, tranne qualche infarinatura scolastica, sposto diametralmente il mio orizzonte verso un campo nuovo, e non solo; capisco che la pittura, l’arte in genere, si studia. Si studia sui libri… e non solo su quelli specifici dedicati alla materia… Questo fu il
Quali sono state le correnti artistiche o gli artisti che ti hanno influenzato? L’approccio iniziale non fu certo quello con la pittura. Quella verrà al seguito di conoscenze, di avvicinamenti progressivi a personaggi che hanno influenzato la mia strana carriera o, come si direbbe oggi, il mio curricula. Nasco come disegnatore; a scuola si disegnava molto. Assieme allo scultore Mauro De Carli, fondo e partecipo, a Trento, all’esperienza di un Circolo grazie al quale mi avvicino all’insegnamento di materie quali la scultura, la pittura e l’incisione (pratica, quest’ultima, che - a mia
9
intendo, poco mi interessava. L’urgenza era quella del dipingere, dipingere, dipingere.
Hai studiato e lavorato a lungo con degli scultori ma non hai seguito quella strada? La scultura, in realtà, mi ha interessato solo marginalmente. Era il campo d’azione per quello che - allora e per alcuni anni - fu il mio maestro. All’allievo era lasciata la parte meramente pratica; oddio, ben poco sul piano della creatività! Alcune teste e busti in creta con riporto in gesso e lavori in gesso diretto, ma niente di serio… Ciò che comunque mi è rimasto di quella esperienza, è la fondamentale visione dimensionale dello spazio-forma, la relazione delle forme fra di loro, chiavi espressive che ancora oggi utilizzo nello sviluppo di un quadro o di un disegno. Una visione tutta diversa, quella dello scultore rispetto a quella del pittore (mi pare di non percepirla più, questa differenza, nella contemporaneità), una visione che mette in relazione l’opera plastica con il luogo, l’opera scultorea con il già esistente.
Nel corso della tua carriera, hai conosciuto molti artisti locali o nazionali? Di pittori locali penso di conoscerne ben pochi, nello specifico, intendo. Per lo più si tratta di relazioni formali, un saluto per educazione e nulla più. Quelli che ho conosciuto e frequentato sono, in fondo, quelli della mia stessa generazione. In realtà – sinceramente, ma senza supponenza - nutro uno scarso interesse per quello che accade nella mia terra d’origine e, per converso, credo che a pochi dei miei conterranei interessi quello che succede a me, sia sul piano esistenziale, sia sul piano artistico. Per quanto riguarda gli artisti nazionali, devo dire che ne ho conosciuti e frequentati parec-
OMBRA, 2007, tempera su tavola, 190x100 cm
momento più tragico: la consapevolezza di non saper studiare! Al di là del nozionismo, non conoscevo nulla! E allora, caparbiamente, piano piano, ma senza tregua, cominciai a riempire vuoti immensi; leggendo e dipingendo mi avvicinavo a pittori del passato più o meno recente quali Bonnard, Ensor, Goya, Bacon, Kokoschka… tutti insieme, in un immenso brodo primordiale. E la contemporaneità, l’arte dei miei giorni
10
chi, sia per comuni itinerari nell’ambito dell’insegnamento in Accademia, sia per essere stati curati insieme dalle stesse gallerie, ma - come ben sa chi mi conosce - sono una persona non facile, un po’ schiva, tendente all’isolamento.
Nel corso della tua carriera hai attraversato diversi momenti in cui il linguaggio è cambiato? Non esiste! Con la fraseologia oggi in voga dico non esiste! cambiare linguaggio. Si può solo arricchire la propria capacità di guardare le cose. Penso che esistano termini - linguaggio è uno di questi - impropriamente presi a prestito da altre forme di espressione che con la pittura non hanno niente a che vedere. E’ una mia idea personale, ma penso che non si possa definire una cosa più o meno buona a seconda del linguaggio utilizzato. Il mio è la pittura e anche se mi mettessi ad utilizzare formule diverse, sempre con la pittura dovrei, alla fine, fare i conti…
Quando hai cominciato a sperimentare il "disegno automatico" che utilizzi ancora oggi in molte delle tue opere? Ecco, giusto a proposito di linguaggio. Quello dell’automatismo del segno mi accompagna da sempre; mi è apparso all’improvviso e non come liberazione dagli stilemi scolastici. Non era quello che si considera, generalmente, come modalità espressiva di liberazione sensoriale. Magari fosse stato così! Il disegno automatico, sottolineo, non è per niente liberatorio ciò che apparentemente sembra essere libertà. All’inizio è un modo diverso di vedere la realtà, poi diventa un impegno molto serio, emotivamente coinvolgente, trasversale alla realtà, alla realtà come convenzionalmente la intendiamo.
Qual è il tuo rapporto con la pittura figurativa?
BACCHANALIA, 2012, olio su tela, 190x300 cm
Perdonami, ma considero errata, o quantomeno impropria, la domanda. Sarebbe più corretto domandarmi qual è il mio rapporto con la rappresentazione figurativa. Vediamo di chiarire. Per me la PITTURA è la PITTURA. Esistono la pittura buona e la pittura inutile; ma questo è un problema della critica e della comunicazione, non del pittore. Io lavoro anima e corpo con la pittura; per me la mia è buona pittura, ma non per questo deve essere per tutti tale.
Come definiresti il tuo "stile"? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile? Non penso mai al mio modo di lavorare in termini di stile. Ci sono delle visioni che mi possono interessare, alle quali mi sono avvicinato e mi avvicino ancor oggi, ma non riguardano - mi ripeto, forse - stili, correnti o ismi vari; quelle sono considerazioni storico-critiche, mi spiego? Non sono un manierista nel senso che il termine ha oggi nel comune intendere, ma certamente ho attraversato un periodo della mia vita nel quale mi sono avvicinato ed ho studiato, per capirli fino in fondo, ai maestri antichi, raccogliendo da loro e da altri quanto hanno seminato, non limitandomi a reinterpretare l’opera di qualcun altro, non ambendo di collocarmi in una o l’altra delle correnti o degli stili
Quando inizi un nuovo dipinto hai già in mente un tema, un soggetto o ti muovi senza vincoli predeterminati?
In alto: MALIGNUS, 2012, inchiostro su carta su tavola, 130x95 cm In basso: ULTOR, 2012, inchiostro su carta su tavola, 135x95 cm
12
Domanda difficile. Non lo so! Quello che posso dire è che il disegno rimane alla base di tutto il mio lavoro. Ecco, torno a quanto ho detto rispondendo ad una precedente domanda. Il vero lavoro inizia dopo la stesura del disegno, automatico o meno che sia; si buttano di getto segni, si tracciano zone di luce e di ombre, si stendono toni di colore… il resto è in gran parte dovuto al caso. Ho sempre sinceramente ritenuto - e affermato - che è la pittura a decidere il tutto, il suo farsi; il pittore si inabissa e recupera nel suo cadere alcuni elementi, ciò che può stringere nelle proprie mani, e lo riporta alla luce, perché altri possano vederlo. Tutto qua.
Le tecniche sono legate al bisogno materiale di definire qualcosa, in quel preciso momento. Per mia fortuna nel tempo mi sono avvicinato al restauro, ed è stata una vera e propria fucina di nozioni tecnico-pratiche legate al mio bisogno di svolgere al meglio la mia professione. Uso, prevalentemente, la pittura ad olio ma, per esempio, in un lavoro le basi del colore sono sempre a tempera, sia per comodità espressiva,
Recentemente, con le teste mozzate, sei ritornato di nuovo alla figura? No! Ho semplicemente seguito altre forme che il disegno mi ha mostrato e le ho spalmate sulla tela o sulla carta, ricoprendole con la pelle della pittura.
Nelle tue opere spesso predomina il colore: cosa rappresenta per te? Sembrerà un paradosso - specie per chi si prende la briga di guardare i miei lavori, così fortemente inclini ad un cromatismo quasi esasperato - ma per me il colore non esiste! Esiste solo la luce che lo genera. Quella, si, è fondamentale; la pittura è materia composta anche e soprattutto di luce, essa stessa materia.
Qual è la tecnica artistica che utilizzi principalmente nella tua attività?
IL POETA ASSASSINATO, 2003, olio su tela 200x100 cm, Collezione privata Tn
13
ROLLING ON, 2002, olio su tela, 100x150 cm
Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea?
sia - visto che generalmente opero su dimensioni medio-grandi - per la velocità di essicazione del materiale pittorico. Devo dire, comunque, che utilizzo indifferentemente tutte le tecniche che di volta in volta mi servono, comprese quelle più tradizionali che, come dicevo, ho appreso grazie alla pratica del restauro.
Tutto e nulla. Questione di condizioni, di contesto. Posso entrare in una galleria ed uscirne senza nulla di fatto, così come posso entrare in un negozio la cui merce in vendita non mi interessa. Tutto è ormai legato alla mercificazione; sul piano dell’uso intrinseco dell’oggetto non esistono più differenze tra un’opera d’arte ed un paio di calzini visto che, ormai, anche i calzini possono essere appesi in soggiorno, sopra il divano, senza creare turbamento…
Ritieni di rappresentare nelle tue tele concetti o emozioni? Magari sapessi dare una risposta chiara! La mia è un’immersione totale nel lavoro; non so definire neppure io se vivo emozioni nel senso comune del termine. So che devo farlo e basta. Concetti. Che dire? E’ così difficile definire cosa sia un concetto! Ma no, una risposta forse ce l’ho: esiste solo la pittura… se questo può essere definito un concetto.
Sempre a proposito di insegnamento, cosa vorresti trasferire, ai tuoi allievi, delle tue esperienze in campo artistico? In premessa è bene fare una distinzione: una cosa è fare il pittore in studio, altra è l’essere
14
pittore come figura emblematica, come personaggio dal quale apprendere. Il primo è legato ad un processo mentale e pratico insieme, alla materia della pittura, ed è uno status difficile da trasmettere. Mi spiego. Accettare di appendere la propria esistenza ad un chiodo insieme al destino della tua opera, oppure - si potrebbe dire ancora – spalmare la tua esistenza su una tela, sono stati d’animo troppo intimi, difficili (forse impossibili) da trasferire didatticamente ad altri. Insegnare - che tu lo voglia o no - comporta una grande, enorme, responsabilità. I tuoi allievi mettono nelle tue mani la loro voglia di fare, di sperimentare, di conoscere. Ho avuto degli ottimi insegnanti, ma a volte troppo duri, addirittura rigidi; un’educazione all’arte che vorrei definire “austriacante”. E questo mi ha dato la consapevolezza che non serve pretendere dal tuo discepolo serietà e dedizione assoluta, si possono insegnare le cose anche sorridendo e scherzando anzi, affermo, SORRIDENTEMENTE.
Dal tuo osservatorio di Milano, come ti sembra il panorama dei pittori trentini d’oggi? Cosa manca al Trentino per poter essere più presente sul mercato esterno? Milano, ormai, non è poi così diversa dalle altre capitali europee o dalle grandi città nazionali. Il mercato, dicono, sia globalizzato. Tanti artisti trentini hanno fatto la loro fortuna all’estero, ma altrettanti l’hanno fatta restandosene - più o meno comodamente - a casa loro. Credo non competa alla struttura interna di uno Stato o di una Provincia interessarsi dello sviluppo del mercato artistico (anch’esso, come tutti i merIn alto: E' INUTILE, VOI NON CAPITE…, 2007, acrilico su tavola, 68,8x54 cm, Collezione privata Tn In basso: LEFRATO, 2006, olio su tela, 150x100 cm
15
cati, subordinato alla legge della domanda e dell’offerta); altra cosa è il sostegno all’artigianato artistico, ma questo è un altro discorso.
Segui la “politica culturale” trentina? Pensi che si possa fare di più o meglio per il settore artistico? Ripeto, la politica culturale di uno Stato, o di una Regione, o di una Provincia, non può destare nessun interesse, né può motivarne alcuno, finché rimane ancorata e legata a filo doppio ad eventi sportivi e/o fiero-bandistici, collocandosi - come ho già avuto modo di affermare, seppur contrastato da uno stuolo di benpensanti - in quella che definisco causticamente la “cultura del bicerot”.
Anche in questo caso voglio essere caustico: a me la bellezza non interessa! E’ un concetto puramente filosofico. La bellezza, per me, non esiste, così come non esiste un concetto estetico universale. Tutto rimane indissolubilmente legato alle sottili ed estremamente soggettive sensibilità di ciascun individuo.
Cosa è per te l’arte? Bella domanda, che meriterebbe, certo, un’articolata risposta. Ma non la posso, né la so, dare io.
E, per finire, chi è l’artista?
Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori?
Un uomo. Semplicemente un uomo, inteso come essere cosciente e responsabile dei propri atti, senza distinzione di genere, ovviamente!
LET ME SIT HEAVY IN THY SOUL TOMORROW, 2003 olio su tela, 100x150 cm, Collezione privata Tn
A destra: ALTALENA, 2007, tempera su tela, 154x95 cm
Palazzo Pretorio), risale al 1982 ed è l’avvio di percorso espositivo che si sviluppa con regolare cadenza fino ai giorni nostri. Partecipa, su invito, a numerose mostre personali, collettive, tematiche, premi e rassegne, in ambito privato e presso istituzioni pubbliche. Tra le più significative dell’ultimo decennio, si segnalano: Milano, Galleria Morone, “Sfacciatamente pittura”; Solza (BG), Castello Colleoni, “Paraventi” (2008); Inzlingen (D), Galerie Altes Rath, “La dama e la sua ombra”; Chiavari, Galleria Busi, “Paraventi”; Trento, Palazzo Roccabruna, “Il meleto di Tolstoj”; Venezia, Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, “X-fare”; Città del Messico (Mex), UNA-Union Nacional Avicola (2009); Roma, ContemporaryArte, “Tolstoj”; Milano, La Casa della Poesia; Piacenza, Galleria Il Lepre; Galbiate (LC), Villa Bertarelli e Roma, Galleria della Biblioteca Angelica, “Il Fuoco, L’Ombra, La Morte. 9 incisori, 9 poeti” (2010); Milano, Accademia Contemporanea, “Martiri”; Piacenza, Galleria Il Lepre, “Grande formato”; Milano, Fondamenta SGR, “Piermario Dorigatti. Opere”; Maccagno (VA), Premio Maccagno 2011; Rocchetta a Volturno (IS), “150 artisti per l’Unità d’Italia” (2011); Trento, Palazzo Trentini, “Sanatorium”; Piacenza, Galleria Il Lepre, “Martiri”; Trento, Galleria Argo, “Mettiti seduta”; Villa Lagarina (TN), Palazzo Libera, “Pittore, irrimediabilmente pittore” (2012); Borgo Vals. (TN), Spazio Klien, “Persona è la maschera, la maschera è persona”; Galleria all'aperto della ceramica d'arte, Ellera, Albissola (SV); Bagnacavallo (RA), Gabinetto Stampe Antiche e Moderne, ”Archivio Incisori”; Roma, ContemporaryArte, “Marilyn” (2013); Pergine Vals. (TN), Teatro Comunale, “Marilyn Monroe”; Milano, Palazzo delle Stelline, ”Per Xilo e per Segno”, incisioni su legno di grande formato; Ortisei (BZ), Casa della Cultura Louis Trenker e Bolzano, Parkhotel, “Enrosadira” (2014); Mainz (D), Kunst Institut Français, “Goethes Farbenleher - Ein Kaleidoskop zeitgenössischer”; Milano, Galleria Scoglio di Quarto, ”Praga era Kafka e Kafka era Praga”; Viggiù (VA), Museo Enrico Butti, ”Slittamenti del cuore. 9 artisti allievi di Gottardo Ortelli”; Milano, TravellingArt, “Mm_2 Art and Sound” (2015); Catania, GAM delle Ciminiere; “Segni Agathae” (2016). Piermario Dorigatti +39 389 1686359 pierdorigatti@libero.it
PIERMARIO DORIGATTI nasce nel 1954 a Trento, dove si diploma alla Scuola Statale d’Arte “Alessandro Vittoria”. In seguito frequenta lo studio dello scultore Mauro De Carli, approfondendo sia il disegno sia le tecniche scultoree. Nel 1977 è tra i fondatori del circolo culturale “La Finestra” di Trento, insegnandovi discipline pittoriche e tecniche grafiche sino al 1983. Alterna lunghi soggiorni di studio a Milano, dove gli incontri con gli artisti Gino Meloni e Mattia Moreni divengono rilevante e ulteriore stimolo di confronto e ricerca pittorica. Collabora allo studio e alla realizzazione di opere di grandi dimensioni dello scultore Ermes Meloni. Nel 1989 si trasferisce definitivamente a Milano, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera diplomandosi in pittura nel 1994, con il massimo dei voti e lode. Dall’anno accademico 1998-99 unisce all’attività in studio quella di docente di tecniche pittoriche, incisione, grafica d’arte alle Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, Milano (Accademia di Brera) e Frosinone. Si è dedicato al restauro e alla decorazione; ha realizzato disegni e incisioni per pubblicazioni a tiratura limitata per i tipi de “Il ragazzo innocuo” e “Quaderni di Orfeo”, editori d’arte con i quali tutt’ora collabora. Sue opere sono conservate in numerose collezioni private ed Istituzioni pubbliche, in Italia e all’estero. Vive e lavora a Milano. Il suo esordio con una mostra personale (Trento,
18
ics
ART E' possibile sfogliare o scaricare tutti i numeri degli anni 2012-2013-2014-2015-2016-2017 della rivista icsART (ex FIDAart) dal sito icsART all'indirizzo:
www.icsart.it icsART N.11 2017 Periodico di arte e cultura della icsART Curatore e responsabile Paolo Tomio
PERIODICO della icsART N.11 - Novembre ANNO 2017
icsART
In alto: PIERMARIO DORIGATTI MAGNITUDO, 2012, inchiostro e tempera su carta intelata, 172x80 cm 19
MERCATO DELL’ARTE ?
HELEN FRANKENTHALER, 1928-2011, Saturn revisited, 1964, acrilico su tela, 213x135 cm, venduto da Sotheby's New York 2015 a $ 2.830.000 (â‚Ź 2.540.000) (vedi a pag. 28).
Nasce a New York in una famiglia ebraica, agiata, colta e progressista che la incoraggia a seguire la strada dell'arte, prima diplomandosi nel 1945 alla Dalton School dove studia con il pittore muralista Rufino Tamayo, e poi laureandosi nel '49 al Bennington College dove segue i corsi di cubismo tenuti da Paul Feeley. Inizia a dipingere a tempo pieno mentre frequenta i corsi di laurea di storia dell'arte con Meyer Schapiro ala Columbia University. Nel 1950, mentre partecipa a una mostra degli studenti conosce Clement Greenberg, uno dei principali critici d'arte e teorico dell'Espressionismo astratto; la Frankenthaler, che ha 22 anni, inizia un rapporto con Greenberg durato fino al 1955 grazie al quale incontra artisti come de Kooning, Gottlieb, Franz Kline, Barnett Newman, Jackson Pollock, Lee Krasner. Nell'autunno del 1951 si svolge la prima mostra personale di Helen presso l'importante galleria Tibor de Nagy, New York. Influenzata dai lavori gestuali di Pollock, anche la giovanissima artista dipinge con le tele sul pavimento producendo una serie di dipinti audaci, tra cui "Mountains and Sea" del 1952, un quadro di grandi dimen-
HELEN FRANKENTHALER sioni in cui la libera disposizione dei colori e delle forme evoca appunto l'ambiente naturale. Ispirandosi al "dripping" (gocciolatura) di Pollock, la Frankenthaler comincia a sperimentare una "soak-stain technique" (macchia bagnata), una sua tecnica personale di colorazione pigmentata tramite imbibizione, un processo in cui il colore, molto diluito nella trementina per portarlo alla consistenza dell'acquerello, è versato direttamente sulla tela grezza tenuta in piano in modo da impregnarla e creare delle macchie di colore sottile e fluido simili a campiture che sembrano galleggiare nello spazio piatto del tessuto. Artista colta ed elegante, nel '58 si sposa con Robert Motherwell, uno dei celebri "pittori irascibili" della Scuola di New York e anche ricco e raffinato esponente dell'alta borghesia newyorchese. Il mondo dell'arte di New York degli anni '50 e '60 era un mondo dominato dagli uomini dove la regola era data dal critico Harold Rosenberg, il quale promuoveva una pittura gestuale caratterizzata da un rapporto fisico dell'artista con il medium, mentre a partire dagli anni Sessanta, Greenberg aveva teorizzato
un'astrazione lirica priva dell'illusione di profondità, più formale e contemplativa. Le immagini della Frankenthaler, fresche, luminose, "femminili", avevano il merito di reagire alle tele vaghe e ansiogene degli espressionisti astratti; con la sua pittura che esplorava gli aspetti tattili e ottici di grandi campiture vivaci di puro colore, ha influenzato inizialmente Gene Davis, Louis Morris, Kenneth Noland contribuendo al successo a metà del 20° secolo del movimento artistico "Color field painting" (pittura a campi di colore). «L'unica regola è che non ci sono regole. Tutto è possibile ... Si tratta di rischi, di rischi deliberati». Scompare a 83 anni ma ha continuato a lavorare fino all'ultimo godendo sempre di un grande apprezzamento che oggi sta conoscendo una nuova stagione e che sta riportando alla ribalta le sue opere; la costante elevata qualità creativa durata per cinque decenni, pone Helen Frankenthaler tra gli artisti più importanti della pittura americana del dopoguerra. Under April Mood, 1974, acrilico su tela 104x446 cm, Sotheby's New York 2016 a $ 2.532.000 (€ 2.425.700)
PLASTICITY, 100 YEARS OF MAKING PLASTIC Il Science Museum di Londra ha dedicato nel 2007 ai cento anni compiuti dalla plastica la mostra "Plasticity, 100 years of making plastic" in cui erano esposti centinaia di oggetti realizzati con il materiale che, a buona ragione, può essere considerato tra le invenzioni del secolo scorso che hanno cambiato il mondo. La plastica che, come scritto nella presentazione dell'esposizione, si trova «In our lives, our homes, our bodies», nelle nostre vite, nelle nostre case, nei nostri corpi ma, malgrado ciò, rimane una tecnologia poco conosciuta. E' nel 1907 (110 anni fa), che viene inventata la bachelite, il primo materiale interamente ottenuto per via di sintesi, una resina "termoindurente" compressa e indurita in stampi a caldo che per mezzo secolo ha dominato il mondo delle materie plastiche. Negli anni '30 è stato inventato il plexiglass, nel ‘33 il polietilene, nel ‘38 il nylon, e nel 1954 si ha la grande svolta
quando Giulio Natta scopre una classe di "termoplastiche" tra cui un propilene (il “Moplen”) per cui nel 1963 riceverà il premio Nobel. Questo tipo di plastica si ricava dal petrolio e dal metano ottenendo composti di carbonio e idrogeno chiamati “monomeri”, un agglomerato di particelle che attraverso processi chimici si uniscono tra di loro formando lunghe catene detti “polimeri”. In questo modo si crea la plastica, una pasta molle a cui sono aggiunti coloranti e additivi vari che danno alla resina sintetica le caratteristiche desiderate; la pasta è trasformata in granuli o polveri di polimeri che vengono inviati alle industrie in cui, tramite il calore (da cui, termoplastiche) sono riportati ad uno stato viscoso e trasformati negli infiniti manufatti che usiamo quotidianamente. Nel 1962 la produzione mondiale del polipropilene era di circa trecentomila tonnellate mentre oggi se ne producono complessivamente 15
PLASTICWORLD
milioni di tonnellate. A partire dal 1976 le materie plastiche, nelle loro grandi varietà tecnologiche, sono diventate il tipo di materiale più utilizzato nel mondo e, senza che ce ne rendessimo conto, sono stati rivoluzionati i consumi e i costumi mondiali al punto da far dire al Premio Nobel per la chimica Paul Flory che «La nostra sarà ricordata come l'era dei polimeri». In concomitanza con l’esposizione del Science Museum un gruppo di artisti e designer è stato invitato ad esprimere il proprio punto di vista su questo materiale nella mostra "Plasticworld" alla Royal Academy of Arts. Stimolante e molto piacevole la luminosa installazione che copriva i pavimenti delle sale (a sinistra) realizzata con mucchi di coloratissimi “masterbatch”, i granuli da cui si parte per produrre qualsiasi oggetto di plastica. Gli stessi granuli usati nelle composizioni di vasi decorativi (in alto) in cui il pubblico poteva toccare e manipolare l'amorfa materia che ha innescato una rivoluzione nelle forme
artificiali moderne e contemporanee. Al contrario dei designer, che hanno da subito “amato” la plastica, pochi gli artisti importanti che l'hanno utilizzata nelle loro opere (il colore acrilico merita un discorso a parte) forse perché ritenuta un materiale troppo artificiale o industriale. Tra questi: Naum Gabo con i plexiglass piegati, Alberto Burri con le sue "Combustioni", le repliche di oggetti comuni in PVC di Claes Oldenburg, le “Espansioni” in schiuma di poliuretano di César, le sculture urbane coloratissime di Niki de Saint Phalle, le sculture organiche abitabili in resina di Jean Dubuffet, le composizioni con pezzi di plastica riciclata di Tony Cragg, più recentemente le opere organiche degli artisti iperrealisti, e pochi altri. Dato, però, che per le sue caratteristiche uniche e innovative la plastica è stata definita «Il materiale che la natura aveva dimenticato di creare», è legittimo pensare che molte sue potenzialità artistiche siano ancora da scoprire. 23
TINTIN AD ARTCURIAL scartare a priori un lavoro in un campo artistico come quello del fumetto anche se, di primo acchito, potrebbe apparire infantile e responsabile di una inutile perdita di tempo. Infatti, un buon fumetto non ha nulla da invidiare alle migliaia di dipinti che affollano gallerie e musei, come è dimostrato sia dall'interesse crescente che riscuote presso i collezionisti che dai prezzi battuti all'asta di Artcurial di Parigi nel novembre dello scorso anno. Il lotto più importante riguardava "Pagine di copertina blu scuro" di Tintin (vedi immagini), disegnato da HERGÉ, all'anagrafe Georges Remi (1907-1983), un disegno eseguito a china su cartoncino in cui appaiono delle correzioni in gouache bianca, dimensioni 35x53 cm, stimato dai 700 ai 900.000 euro, è stato venduto alla cifra di € 2.654.400 (2.981.700 $). Vi sono rappresentate trentaquattro copertine degli album di Tintin pubblicati dal 1937 al 1958 che riassumono il periodo più inventivo di HERGÉ e la sintesi di tutte le peripezie di Tintin, il giovane fotoreporter belga con la testa a uovo, ciuffetto rosso, calzoni alla zuava, e il suo terrier Milou. In contemporanea con l'asta di Arcurial, Parigi celebrava Hergé con una importante mostra retrospettiva al Grand Palais; inoltre, dedicato alla sua opera, nel 2009 è stato realizzato a Louvain-la-Neuve in Belgio il "MUSÉE HERGÉ" che disinvoltamente lo definisce «uno dei più grandi artisti del Novecento»; infine, nel 2011, Steven Spielberg, grande estimatore di HERGÉ, ha diretto il film in 3D campione d’incassi "Le avventure di Tintin - Il segreto dell'Unicorno". L'insieme di queste circostanze spiega perché oggi i disegni di questo autore si vendano a cifre dieci volte maggiori rispetto a qualche anno fa ma non per quale ragione si arrivi a pagare un suo cartoncino tre milioni di dollari, più di un
Se ritornando a casa vi capitasse di cogliere vostro figlio (o figlia) che, invece di dedicarsi allo studio, riempie ossessivamente fogli di disegnini di personaggi dei fumetti, aspettate prima di minacciarlo di chissà quale tragico futuro causato dalla mancanza del mitico "pezzo di carta": per chi abbia talento e passione, non è da
24
STORIA DELL’ARTE olio su tela di Renoir!. HERGÉ, considerato il Maestro della B.D., la "bande dessinée" francese, è nato nel 1907 a Etterbeek, un comune belga vicino a Bruxelles. Qui fin da giovanissimo ama disegnare e già a 14 anni firma le prime vignette HERGÉ (REmi GEorges nella dizione francese). Dopo aver fatto parte dei Boy Scout Cattolici, a 22 anni inizia a lavorare per il supplemento settimanale per ragazzi del quotidiano della destra cattolica estrema "Le Vingtième Siècle" sul quale nel '29 pubblica la prima storia di Tintin, protagonista di un'avventura nel "Paese dei Soviet". Alla chiusura del "XX Siecle" a partire dal 1940, lavora per il giornale "Le Soir" controllato dai nazisti e questo gli costa nel dopoguerra l'accusa di collaborazionismo che si conclude positivamente ma continuerà a perseguitarlo per molti anni.
Uomo dalla personalità complessa e sofferta, periodicamente afflitto dalla depressione, l'artista è stato prima di tutto un creatore di storie per ragazzi che appartengono alla tradizione dell'intrattenimento popolare caratterizzate da avventure in ogni paese, personaggi fantastici e misteri molto "cinematografici". La grande modernità di HERGÉ' sta nell'originale stile grafico denominato "ligne claire" per via dei contorni netti e precisi delle figure e la mancanza di sfumature, tratteggi e chiaroscuri che gli permettono di creare ordinate e pulite scenografie curate in ogni dettaglio. Con la morte di HERGÉ nel 1983, le storie di Tintin si concludono definitivamente ma non la sua popolarità che, come si è visto, continua ad aumentare come attestano le più di 120 milioni di copie vendute in tutto il mondo.
Novembre 2017, Anno 6 - N.11
News dal mondo HELEN FRANKENTHALER
SATURN REVISTED, 1964
pag. 28
HELEN FRANKENTHALER
LEXINGTON, 1963
pag. 29
HELEN FRANKENTHALER
CHINA II, 1972
pag. 30
HELEN FRANKENTHALER
LAS MAYAS, 1958
pag. 31
QUELLA NOTTE ALL'ORIZZONTE, 2017
pag. 32
Omaggio a HELEN FRANKENTHALER
27
HELEN FRANKENTHALER, Saturn revisited, 1964, acrilico su
tela, 213x135 cm, venduto da Sotheby's New York 2015 a $ 2.830.000 (€ 2.540.000)
28
29
HELEN FRANKENTHALER, Lexington, 1963, olio su tela 124x202 cm, venduto da Christie's New York 2015 a $ 1.390.000 (€ 1.247.000)
HELEN FRANKENTHALER, China II, 1972, acrilico su tela 206x267 cm, venduto da Christie's New York 2015 a $ 1.510.000 (€ 1.355.000)
30
31
HELEN FRANKENTHALER, Las Mayas, 1958, olio su tela 254x110 cm, venduto da Christie's New York 2015 a $ 2.405.000 (€ 2.213.000)
PAOLO TOMIO: Omaggio a HELEN FRANKENTHALER Quella notte all'orizzonte, 2017, acrilico su carta 295x210 mm
ics
ART