PERIODICO della icsART N.9 - Settembre ANNO 2020
icsART
In copertina: ELISABETTA VAZZOLER, SENZA TITOLO, 2015, olio su tela, 55 x 55 cm
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icsART
sommario Settembre 2020, Anno 9 - N.9
Politica culturale
Faccia d'artista
Intervista a un artista
Elisabetta Vazzoler
Mercato dell’arte?
Marc Chagall
pag. 20-21
Monolito titanico
Aggregazione infinita
pag. 22-23
Storia dell’arte
Frank O. Gehry
pag. 24-25
pag. 4-5 pag. 6-19
News dal mondo MARC CHAGALL
LES AMOUREUX, 1928
pag. 28
MARC CHAGALL
LE VIOLONCELLISTE, 1939
pag. 29
MARC CHAGALL
LE TROIS CIERGES, 1938
pag. 30
MARC CHAGALL
LE GRAND CIRQUE, 1956
pag. 31
LE BAISER DANS LE CIEL BLEU, 2020
pag. 32
Omaggio a MARC CHAGALL
Copyright icsART Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare
EDITORIALE FACCIA D'ARTISTA Guardando la faccia di un artista è possibile capire, o perlomeno intuire, verso quale tipo di pittura egli potrebbe essere orientato? Naturalmente il quesito è del tutto teorico e privo di fondamento scientifico, si tratta di una specie di test estivo da consumare sotto l'ombrellone e senza mascherina. Però, invece di tentare un discorso solo astratto, potrebbe essere divertente guardare le fotografie dei visi di sei artisti e di due artiste famosissimi (senza sbirciare il loro nome nelle didascalie per chi non li avesse riconosciuti) e tentare di dedurre come potrebbe dipingere un personaggio con quella faccia. Intuire la loro psicologia e immaginare che relazione possa instaurarsi tra l'espressione del viso e la postura del corpo e la loro pittura. Prendiamo lo sguardo indagatore e di sfida del giovane in alto: un atteggiamento diffidente, scettico, ribelle, ma molto sicuro di sé. E la giovane ragazza senza trucco, molto naturale con la chioma libera sulle spalle, l'occhio languido e un sorrisetto tra l'ironico e il malizioso? Si vede che ha temperamento ed è indipendente. Il terzo uomo dalla folta capigliatura ricciuta, invece, ha un viso forte e già scavato, una persona seria, determinata, testarda, forse chiusa e solitaria. L'ultimo in basso è perso nei suoi pensieri, nei suoi sogni e forse, in ricordi non sempre felici data la vena di tristezza che si legge nella sua espressione. E' chiaro che queste considerazione possono essere già viziate all'origine per coloro che conoscono questi protagonisti dell'arte moderna, però è altrettanto vero che anche i visi parlano e dicono molte cose dei
Dall'alto: EGON SCHIELE (12.5.1890 - 31.10.1918, 28 anni) GEORGIA O'KEEFFE (15.11.1887 - 6.3.1986, 98 anni) ALBERTO GIACOMETTI (10.10.1901 - 11.1.1966, 64 anni) MARC CHAGALL (6.6.1887 - 28.3.1985, 97 anni)
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POLITICA CULTURALE loro "proprietari". Prendiamo, ad esempio, la colonna di destra: l'elegante e delicato giovane dal taglio di capelli ricercato, dimostra una personalità raffinata e sensibile che si sposa con uno sguardo intenso e indagatore. Di tutt'altra pasta l'uomo di mezza età già un po' stempiato, sguardo austero, bocca con una vena di durezza e un paio di baffetti inguardabili. Fisicamente e psicologicamente rigido e inflessibile. Segue il bell'uomo malandato e col ciuffo ribelle, sguardo fisso con un'espressione seria e decisa ma anche un po' persa e malinconica. Infine l'ultima donna, una "femme fatale", fotografata di tre quarti per valorizzarne il profilo e lo sguardo torbido dal trucco pesante. La posa è innaturale e costruita in funzione dello stile ricercato. A questo punto non posso che invitare il lettore a mettere in relazione le facce degli artisti raffigurati nelle immagini con le loro opere più conosciute per cercare una conferma di ciò che ci è sembrato di capire dall'analisi dei visi. Naturalmente la fotografia è statica e possiede delle caratteristiche che dipendono dall'abilità del fotografo che ha colto un breve attimo delle loro vite, ma l'indole di base non si può nascondere. Nessuno potrà dedurre da un'impressione veloce né le forme né i contenuti precisi delle loro opere ma è difficile pensare che il signore con il baffetto possa dipingere le stesse cose di quello con l'espressione sognante, così come la giovane ragazza difficilmente potrebbe essere interessata allo stile pittorico praticato dalla signora elegante. Ai lettori la sfida di scoprire se queste facce corrispondano ai linguaggi artistici dei loro proprietari.
Dall'alto: GUSTAV KLIMT (14.6.1862 - 6.2.1918, 55 anni) PIER MONDRIAN (7.3.1872 - 1.2.1944, 71 anni) AMEDEO MODIGLIANI (12.6.1884 - 24.1.1920, 35 anni) TAMARA de LEMPICKA (16.4.1898 - 6.2.1918, 55 anni)
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Intervista a ELISABETTA VAZZOLER Le raffinate composizioni di Elisabetta Vazzoler posseggono la capacità di coinvolgere l'osservatore e invitarlo a ricercarne i significati simbolici nascosti. I soggetti delle sue tele sono nella loro quasi totalità ambienti interni deserti in cui gli unici segni di una presenza umana sono i pochi mobili rimasti. Non appare mai alcun essere vivente, né persone, né animali, nè piante; i locali disabitati, forse abbandonati, delimitati da spoglie pareti impersonali, hanno ospitato qualcuno che non ha lasciato traccia del suo passaggio. Solo il mobilio borghese e datato, disposto in modo ordinatamente rassicurante all'interno di atmosfere rarefatte e innaturali in cui il tempo sembra essersi fermato e lo spazio congelato, racconta di relazioni scomparse. Ad accrescere il senso di vuoto e desolazione esistenziale di questi "paesaggi dell'anima", contribuisce l'uso sapiente e "scenografico" delle ombre e delle luci, in parte naturali e in parte filtrate attraverso colori improbabili palesemente artificiali, rossi, viola, blu, verdi, che ne enfatizzano la connotazione metafisica. L'uso di queste tonalità inverosimili crea delle composizioni inquietanti che esaltano il senso di teatralità dell'ambientazione trasportandoci in una dimensione fantastica e onirica che potrebbe essere un sogno oppure un incubo. Concorre alla generale sensazione di straniamento anche la tecnica della sfocatura dei contorni che rende lo spazio e gli oggetti contenuti impalpabili e sostanzialmente privi di materialità: uno spazio-tempo sospeso che rimanda a delle storie senza protagonisti a cui ciascuno attribuisce un significato sulla base della propria sensibilità. L'universo immaginifico surreale di Elisabetta, apparentemente così vero e credibile, ci parla dell'assenza, della difficoltà delle relazioni umane, mentre l’indefinitezza della percezione allude all'ambiguità della realtà intorno a noi, mai chiara e definita, ma inesorabilmente vaga e mutevole. Paolo Tomio A sinistra: SENZA TITOLO, 2018, olio su tela 30 x 20 cm
In basso: PAESAGGIO, 2015, olio su tela 20 x 30 cm
Quando e perché hai cominciato a interessarti all'arte e dedicarti alla pittura? Ho iniziato a interessarmi al disegno sin dalle scuole elementari. Scrivevo i temi assegnati e li illustravo con una o più immagini. Ho scelto sin da subito di utilizzare questo linguaggio per esprimere pensieri e idee. La scelta del Liceo artistico e poi dell’Accademia di Belle Arti ha fatto sì che coltivassi l’interesse e approfondissi gli argomenti. Durante gli anni dell’Accademia ho iniziato a interessarmi all’arte e alla pittura. Sono stati gli anni in cui ho iniziato la mia ricerSENZA TITOLO, 2016, olio su tela 50 x 50 cm
ca sui temi che ancora adesso ispirano la mia produzione. Ho scelto la pittura ad olio, come mezzo espressivo, perché mi consente di essere immediata nell’esecuzione iniziale e di poter proseguire con maggiore attenzione e lentezza nella prosecuzione del lavoro. La pittura ad olio si presta al gesto della messa a fuoco dell’immagine.
Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti che ti hanno influenzato agli inizi? All’inizio sicuramente Gerhard Richter, Edward Hopper e Ingmar Bergman hanno influenzato la
SENZA TITOLO, 2017, olio su tela 70 x 90 cm
mia ricerca artistica. Da ognuno di loro ho colto degli aspetti interessanti: di Richter il linguaggio poliedrico, di Hopper la luce e di Bergman la psicologia dei protagonisti dei suoi film. In seguito, oltre Gregory Crewdson e l’inquietudine nelle sue fotografie, ho trovato interessanti i numerosi fotografi di luoghi abbandonati che per me sono ancora una risorsa infinita di immagini. Pittura, cinema e fotografia hanno influenzato tutto il mio lavoro.
le d’arte di Venezia e ho sempre apprezzato la sperimentazione in campo artistico. Trovo sempre interessanti i video, le sculture, le installazioni e le performance artistiche anche quando sono eccessivi. Tuttavia sono attratta dai mezzi espressivi tradizionali come la pittura, il disegno e la fotografia.
Sei sempre stata figurativa o hai sperimentato anche linguaggi astratti?
Segui l’arte contemporanea? Cosa trovi interessante e c’è qualcosa che non ti piace?
Dopo il Liceo Artistico mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti di Venezia, corso di Scenografia. Sono sempre stata attratta dalla co-
L’arte contemporanea mi interessa per la sua mobilità. Per diversi anni ho visitato la Bienna-
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struzione dello spazio, in questo caso quello scenico, dalla storia del costume e dal cinema, in particolare i volti espressivi dai protagonisti dei film. L’interesse verso lo spazio scenico mi ha condotta verso una sua rappresentazione realistica. Il linguaggio astratto non mi consente di esprimere l’idea di luogo concreto e tangibile. Del linguaggio astratto mi interessa soprattutto la restituzione grafica del gesto.
Nel corso della tua carriera hai attraversato periodi espressivi diversi? Ho sempre usato la pittura per esprimermi e rappresentare soggetti diversi. Oltre agli interni ho rappresentato anche ritratti, quadri di natura morta e paesaggi naturali o urbani. Sono partita dalla rappresentazione di interni di abitazioni conosciute, ho attraversato i set dei film e sono approdata agli innumerevoli luoghi abbandonati. La pittura è cambiata nel corso degli anni e degli umori, ma il contenitore è rimasto lo stesso. Sto maturando l’idea di far entrare alcuni elementi naturali (alberi, erba, fiori…) all’interno di questi spazi. Soprattutto se sono abbandonati da tanto tempo e la natura inizia a fagocitarli.
Come è nata la tua attrazione per gli spazi interni vuoti e non vissuti? All’epoca vivevo in Sicilia, nello specifico in provincia di Catania, e frequentavo l’Accademia di Belle Arti. La scuola, una villa in stile Liberty
In alto: NATURA MORTA, 2013, olio su tela 80 x 60 cm In basso: NATURA MORTA, 2013, olio su tela 70 x 50 cm
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SALOTTO BLU-VIOLA, 2011, olio su tela 100 x 120 cm
siciliano, si trovava a Barriera appena fuori Catania. L’edifico, circondato da una ricca vegetazione, aveva l’aspetto di un luogo abbandonato e decadente, malgrado io lo trovassi magnifico. Ripulendo e svuotando la stanza in cui lavoravo con altre persone, ho scoperto un’intimità rimasta anche senza la presenza degli oggetti. C’era una memoria visiva ed emotiva che ritornava sulle pareti, sul pavimento, negli angoli di quello spazio. La luce era il collante tra il prima e il dopo. Ho iniziato così a fotografare gli interni della villa, di case abitate e luoghi abbandonati. Il passo successivo è stato quello di restituire l’immagine dipinta e di sfuocarla. In seguito è maturata l’idea di lasciare all’osservatore il compito di mettere a fuoco il dipinto. Per compiere questa operazione il fruitore deve determinare la giusta distanza con l’oggetto osservato. È un po’ come la prossemica tra le perso-
ne. Si stabilisce cosa e quanto si vuole e si può investire nell’interlocutore. Nel caso dell’immagine si stabilisce cosa e quanto si vuole vedere.
Hai iniziato con spazi completamente vuoti e, solo in seguito, hai cominciato ad inserire dei mobili “vintage”? I primi interni erano completamente vuoti, molto sfocati e monocromi. Fotografavo luoghi conosciuti e li riproducevo attraverso la pittura. In seguito ho iniziato a recuperare immagini di interni abbandonati. La parte interessante risiede proprio nell’oggetto d’arredo che si trova all’interno: poltrone, letti, sedie con tavolo e divani. 11
Nelle tue intenzioni, si tratta di spazi disabitati oppure ormai abbandonati? Possono essere luoghi abbandonati o, com’è accaduto quest’anno, appartamenti già arredati e dati in affitto per brevi periodi. Sicuramente sono più interessanti gli appartamenti privati dati in affitto rispetto alle camere d’albergo. Lasciano maggiori tracce di chi ha vissuto e arredato l’ambiente. Contrariamente alle asettiche camere d’albergo (per quanto belle) gli appartamenti forniscono quell’intimità che io cerco. È come se avessi un set a disposizione e potessi costruire il mio film, dare la mia interpretazione ALBERGO ABBANDONATO CON CAMINETTO VERDE, 2020, olio su tela, 90 x 100 cm
attraverso il passaggio nella riproduzione pittorica dei luoghi da me vissuti temporaneamente.
Nelle tue atmosfere rarefatte definite da colori inusuali rossi, verdi, viola, blu, si possono ritrovare dei riferimenti cinematografici? C’è stato un momento in cui provavo grande attrazione peri i set cinematografici e, soprattutto, teatrali. L’artista e critico Franco Batacchi è riuscito a esprimere attraverso queste parole quanto è emerso nella mia produzione artistica di quel periodo: “In questi dipinti aleggiano presenze imminenti e, soprattutto, trionfa un
silenzio carico di indizi. Non tutti i silenzi sono uguali. Non sono paragonabili, ad esempio, il silenzio di una ripresa cinematografica o quella televisiva e quello del teatro. Sul set regna un fervore rumoroso, che viene interrotto dalla perentoria intimazione dell’aiuto-regista: “Silenzio si gira!”, ma subito arriva il ciak, azione!” e gli attori parlano, con il sottofondo acustico del ronzio della macchina da presa. Manca quell’attimo di sospensione dello spazio-tempo che è precipuo del palcoscenico. Vi è un momento magico, all’inizio di ogni rappresentazione teatrale. Fino ad un attimo prima la sala risuona di saluti, commenti, colpi di tosse, risolini. Poi il pesante drappo del sipario ha un sussulto, gradatamente il vocio si spegne, il telone si apre con studiata lentezza – e di fronte alla scena vuota – regna il silenzio. Sta per compiersi un evento. Ecco, Elisabetta Vazzoler riesce a interpretare i colori di quel silenzio denso d’attesa.”
Perché la figura umana non è mai presente nei tuoi dipinti? La figura umana ha una sua forza e una sua identità ben precise come l’interno di una casa. La figura umana mi interessa se inserita in un contesto non dominante. Le persone in situazioni di transito: al mercato, in chiesa, in treno, al bar…e ritornando a Ingmar Bergman mi interessano i ritratti di persone intense, sgradevoli, non armoniche…
Qual è la tecnica pittorica che utilizzi principalmente? In alto: SEDIA ROSSA, 2013, olio su tela 120 x 100 cm In basso: CORRIDOIO VIOLA, 2010, olio su tela 70 x 50 cm
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SENZA TITOLO, 2016, olio su tela 100 x 120 cm
vazione. Ognuno di noi deve avere la possibilità di trovare la propria messa a fuoco. Se si vuole, in questo senso, c’è un legame con la fotografia come strumento di partenza.
La tecnica che prediligo è l’olio su tela. Per gli schizzi preparatori mi avvalgo di diverse tecniche, come la matita, i gessetti, gli acrilici e l’acquerello. La tecnica ad olio mi consente di riprendere il lavoro e poterlo cambiare in corso d’opera.
Ti interessa rappresentare nelle tue opere concetti o emozioni? Sei interessata a un “messaggio” nell’opera?
Quando e perché hai cominciato a “sfocare” le immagini?
Più che trasmettere un messaggio mi interessa suscitare emozioni. Mi è stato spesso detto che alcuni dei miei soggetti mettono a disagio chi li osserva e suscitano emozioni contrastanti. L’interno di uno spazio abitativo ci ricorda che è stato il rifugio per qualcuno. Ha una sua storia, una sua vita, un suo degrado se è abbandonato e le tracce di chi ci ha vissuto. Attraverso il colo-
Ho iniziato a sfocare le immagini quando ho iniziato ad interessarmi agli interni vuoti. I primi lavori sono stanze completamente vuote e monocrome. Mi interessava lasciare la libertà allo spettatore di trovare la giusta distanza di osser-
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re e la scelta dello spazio cerco di raccontare le mie emozioni che si mescolano, inevitabilmente, con quelle di chi ha già vissuto in quel luogo. La pittura mi permette di fare questa delicata operazione di passaggio. Un racconto nel racconto: partendo da immagini di luoghi reali e, talvolta, fotografati da altri, “rubo” e interpreto questi ambienti attraverso il colore e la luce.
Esiste, secondo te, una “pittura femminile” oppure l’arte non ha sesso? Spero che l’arte non abbia sesso! Esistono tematiche affrontate dall’essere umano, fatico a definire il sesso della pittura…
Segui la “politica culturale” altoatesina? Pensi che possa fare di più per il settore artistico? Come definiresti il tuo stile? Quali sono le caratteristiche che ti rendono riconoscibile? Lascerei una definizione del mio stile a chi si occupa di critica artistica. Oltre ai soggetti, ciò che mi potrebbe rendere riconoscibile, è la tecnica che utilizzo per la messa a fuoco dell’immagine.
A mio avviso quello che la politica culturale altoatesina dovrebbe fare è costantemente mettere a confronto il fermento artistico locale con ciò che avviene in campo nazionale e internazionale. SENZA TITOLO, 2016, olio su tela 30 x 40 cm
Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori?
Chi è l’artista? L’artista è una persona curiosa, idealista, opportunista ed egocentrica.
Il concetto di bellezza è percepito in modo diverso in base al momento storico e alla latitudine in cui si vive. La bellezza risponde a degli impulsi che colpiscono il cervello e pertanto è percepita in modo diverso da ciascuno di noi. Non ho mai preso in considerazione l’idea estetica dei miei soggetti. Forse nella rappresentazione delle figure in termini di equilibrio tra le varie parti che compongono l’immagine, colore, luce…
E, per finire, cos’è per te l’arte? L’arte per me è attenzione al mondo. Restituzione, attraverso i linguaggi, di quello che accade tra l’uomo e il contesto in cui vive. È aberrazione, creazione, finzione, egoismo e generosità al contempo.
In basso: SENZA TITOLO, 2016, olio su tela 20 x 30 cm
A destra: SENZA TITOLO, 2008, olio su tela 100 x 80 cm
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nel 2010, ha partecipato alle seguenti collettive: TanteBelleCose2 e Capolavori del Novecento e nel 2010 a Multipli e grafica internazionale – Capolavori del contemporaneo, a cura di Franca Sanna. Nel 2011 Pittura e scultura oggi e Grafica internazionale e multipli, a cura di Franca Sanna. Sempre a Venezia nel 2012 partecipa alla collettiva Ai limiti della figurazione. Nel 2014 partecipa alla collettiva Castelli in aria, una collettiva con doppia sede presso la Galleria Civica e Castel Roncolo, Bolzano. Nel 2014 e 2015 è presente all’evento Green Call presso i giardini del Kränzelhof di Cermes, Bolzano. Nel 2015 realizza un progetto con la fotografa Anna Da Sacco dal titolo: Abito nel mio sogno/Elisabetta. Nel 2017, presso la Galleria Civica di Bolzano Moduli a cura di Paola Bassetti. Nel 2018 la personale Di stanza in stanza tra oblio e memoria a cura di Mario Cossali. Palazzo de Probizer di Isera. Nel 2019 la personale presso la galleria Lasecondaluna di Laives (BZ) a cura di Amanda Filippi e Stefania Rossi. Nel 2019 VI Biennale Fida di Trento-Bolzano. Sempre nel 2019 partecipa alla collettiva “Dissolvenze” a cura di Enrica Feltracco, Massimiliano Sabbion e Matteo Vanzan, Museo diocesano di Padova. Mostre personali 2009 – I colori del silenzio, a cura di Franco Batacchi, Galleria Perl’A, Venezia. 2007 – SeixSei, a cura dell’Associazione Artisti di Bolzano, foyer del Centro Culturale Claudio Trevi, Bolzano. 2006 – InternoEsterno, a cura di Barbara Gramegna, Piccola Galleria Civica – Kleine Galerie, Bolzano. Mostre collettive 2011 – Moduli 2011: singolare - plurale, a cura di Bruno Bandini, Galleria Civica, Bolzano. 2011 - Pittura e scultura oggi – Grafica internazionale e multipli, a cura di Franca Sanna, Galleria Perl’A, Venezia. 2010 - Tante bella cose 2, a cura di Franca Sanna, Galleria Perl’A, Venezia. 2010 - Multipli e grafica internazionale – Capolavori del contemporaneo, a cura di Franca Sanna, Galleria Perl’A, Venezia. 2009 - Futurismo e Futurismi, Villa Benzi Zecchini di Caerano San Marco, Treviso. 2009 - Ritorno all’ordine, a cura di Attilio Fermo, L’immagine Art Gallery, Milano.
ELISABETTA VAZZOLER Elisabetta Vazzoler, nata a Treviso nel 1967, vive e lavora a Bolzano. Si è formata dapprima a Venezia, frequentando i corsi di Storia del teatro e del cinema all’Università di Cà Foscari e maturando esperienze nei settori del restauro e della grafica pubblicitaria. Trasferitasi in seguito in Sicilia, si è diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Catania e ha iniziato l’attività espositiva partecipando ad alcune mostre collettive, conseguendo nel 1998 il Premio Inner Wheel, assegnato da una giuria presieduta da Piero Guccione. Da ricordare Segnali all’orizzonte (a cura di B.Bartorelli e S.Schiavon), Casa dei Carraresi, Padova, 2000; Come nasce un’idea (a cura di G.Rizzetto e F.Bertan), Galleria Franchetti alla Cà D’Oro, Venezia, 2001. Dopo essersi stabilita in Alto Adige, dove si dedica anche all’insegnamento, ha intensificato la partecipazione alle mostre. Tra le altre: Le montagne incantate: leggende e immagini, Castel Mareccio, Bolzano, 2005; Stanze (a cura di B.Bottacin), Galleria Civica, Bolzano, 2007; Time code, Libera Università di Bolzano, 2007. Nel 2008, oltre ad essere presente nelle collettive di Palazzo Probizer ad Isera, e della Galleria dell’Associazione degli Artisti di Bolzano, partecipa a Moduli: luoghi e percorsi, evento parallelo a Manifesta 7, a cura di M.Cossali. Nel 2009 è presente alla collettiva Ritorno all’ordine, presso la galleria l’Immagine, Milano; nello stesso anno partecipa a Moduli 2009 presso la Galleria Civica di Bolzano. Partecipa, inoltre, alle edizioni successive di Moduli nel 2011 e 2015 a cura di B.Bandini e nel 2013 a cura di D.Isaia. Nel 2009, presso la Galleria Perl’A di Venezia, ha realizzato una personale: I colori del silenzio a cura di Franco Batacchi. Sempre presso la galleria Perl’A,
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2009 - Do you remember?, a cura di Franca Sanna, Galleria Perl’A, Venezia. 2008 – Moduli: “Luoghi e percorsi”, a cura di Mario Cossali, Galleria Civica, Bolzano. 2007 – Time code, a cura dell’Associazione Artisti di Bolzano, Libera Università di Bolzano. 2007 – Stanze, a cura di Barbara Bottacin, Galleria Civica, Bolzano. 2000 – Il Labirinto, a cura di Jean Robin Frescura, Palazzo Podestà, Treviso. 2000 – Segnali all’orizzonte, a cura di Guido Bartorelli e Stefania Schiavon, Reggia dei Carraresi, Padova. 1998 – Primo salone dei pittori siciliani contemporanei, a cura di Domenico Tanzarella, Agorà del Liceo Classico G. Meli, Palermo. 1998 – Premio d’arte Inner Wheel 1998, giuria presieduta da Piero Guccione, le Ciminiere, Catania.
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ART E' possibile sfogliare tutti i numeri delle annate 2012-2020 della rivista icsART sul sito icsART all'indirizzo:
www.icsart.it icsART N.9 2020 Periodico di arte e cultura della icsART Curatore e responsabile Paolo Tomio
PERIODICO della icsART N.9 - Settembre ANNO 2020
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MERCATO DELL’ARTE ? personalissima sintesi delle influenze che coglie da tante esperienze attingendo alla tradizione artistica ebraica, all'arte popolare russa, alle icone della Chiesa ortodossa e poi all'arte occidentale che conoscerà dopo il suo arrivo a Parigi. Il suo stile è descritto come un ibrido di cubismo, fauvismo e simbolismo anche se non aderisce mai a nessuna corrente perché per Chagall l'arte è prima di tutto un mezzo di espressione personale ed egli conserverà sempre il suo linguaggio spontaneo vicino a quello dei pittori popolari. Fino al 1906, quando all'età di 19 anni, Chagall si trasferisce a San Pietroburgo per frequentare la scuola d'arte, tutta la sua vita si svolge a Vitebsk, la sua città natale che è la principale fonte di ispirazione per i suoi dipinti di questo periodo così come per tutta la sua carriera seguente quando trascorre la maggior parte della sua esistenza lontano da casa. Nel 1910, aiutato da un mecenate, Chagall si trasferisce a Parigi per approfondire l'arte occidentale, stringe amicizia con i pittori Robert Delaunay e Fernand Léger, sperimenta per un breve periodo il cubismo che però abbandona perché troppo razionale e geometrico. Rimane invece legato al suo mondo magico e fantastico dove la dimensione spazio-temporale è irreale e i colori si dispiegano liberamente secondo un sentimento che è radicato nel folklore dell'Europa orientale e soprattutto nella sua storia personale. Scrive: «Se creo qualcosa usando il cuore, molto facilmente funzionerà; se invece uso la testa sarà molto difficile». Nel 1914 ritorna a Vitebsk per sposare l'amata Bella Rosenfeld, figlia di una famiglia di ebrei ricchi e colti ma lo scoppio della 1° guerra mondiale li bloccherà in Russia per nove anni. Quando nel '17 scoppia la rivoluzione bolscevica l'ar-
MARC CHAGALL (1887 - 1985) LES AMOUREUX, 1928, olio su tela, 117,3 x 90,5 cm, venduto da Sotheby's New York 2017 a $ 28.453.000 (€ 23.965.300). Marc Chagall il cui vero nome era Moishe Segal, nato nel 1887 a Vitebsk cittadina dell'Impero russo, il maggiore di nove figli di una famiglia povera, è una figura determinante nella storia del Modernismo europeo e dell'arte ebraica. Tutta la sua opera si spiega con il suo essere un ebreo chassidico allevato nella lingua yiddish, erede dello spirito e del misticismo della tradizione ebraica, profondamente immerso nel misterioso mondo della Kabbalah in cui l'immaginario è importante quanto il reale. L'originalità di Chagall risiede proprio nella sua 20
MARC CHAGALL tista, in quanto ebreo antizarista, aderisce con entusiasmo ed è nominato commissario per l'arte a Vitebsk, qui fonda l'Istituto d'Arte che dirige fino al '20 quando lascia a causa delle critiche alla sua pittura sempre più fantastica e perciò non allineata agli ideali leninisti. Amareggiato, nel 1923 ritorna a Parigi con Bella e la figlia Ida, qui i suoi dipinti visionari e onirici del decennio precedente sono venerati dai surrealisti i quali lo invitano nel loro movimento, ma Chagall declina perché a 36 anni segue un'altra direzione. La tavolozza di colori vivaci e violenti ispirati ai Fauves utilizzati per effetti emotivi o mistici assieme alla capacità di esternare la propria interiorità emotiva in modo assolutamente personale e disinibito, sono ormai diventate peculiari della sua poetica. Nel 1937 acquisisce la cittadinanza francese ma, dopo l'occupazione nazista della Francia durante la Seconda guerra mondiale, a causa della deportazione degli Ebrei, Chagall riesce a fuggire con la famiglia negli Stati Uniti dove ottiene un grande successo. Purtroppo, nel 1942 Bella muore a New York per un'infezione virale; in sua memoria, la sua immagine sarebbe ricor-
LA BELLE ROUSSE OU LES CHEVEUX ROUGES 1949, olio su tela, 114,5 x 90,8 cm, Christie's New York 2019 a $ 7.993.000 (€ 6.714.000)
sa, come amante o sposa, in tantissimi dipinti. Chagall ha creato un universo figurativo singolarmente poetico e intriso di nostalgia, ricco di immagini oniriche - amanti in volo, mazzi giganti di fiori, pagliacci malinconici, animali umanizzati, violinisti solitari e cuori vibranti - che lo hanno reso uno dei gli artisti più popolari del 20° secolo. Nel corso della sua lunga carriera, oltre la pittura ha sperimentato con successo molti altri media: incisioni, illustrazione di libri, arazzi, ceramiche, mosaici e vetrate colorate, continuando a lavorare fino alla sua morte in Provenza nel 1985 all'età di 97 anni.
LES MAISONNETTES ROUGES, 1922, olio su tela 52,5 x 63,5 cm, venduto da Sotheby's London 2015 a 3.285.000 GBP (€ 3.643.000)
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MONOLITO TITANICO più antiche università del Nord Europa e considerata la capitale spirituale dell’Estonia. Il modernissimo Museo Nazionale dell'Estonia inaugurato a Tartu nel 2016, sebbene indirizzato verso la disciplina etnologica, è anche un centro di riferimento per la cultura creativa e scientifica poiché ospita mostre temporanee che presentano le opere di artisti estoni. Tra queste ha colpito l'esposizione di una scultura realizzata dal giovane artista locale Toomas Kukk in collaborazione con l'AHHAA Science Centre, il più grande centro scientifico degli Stati baltici fondato per promuovere la scienza e la tecnologia. La gigantesca colonna in titanio riflettente dell'altezza di 8 metri e un diametro di mt 1,25 ha impressionato critici e visitatori per il senso di potenza che riesce ad esprimere. L'artista si è posto l'obiettivo di creare un grande monumento capace di rappresentare le virtù della popolazione estone e le caratteristiche della natura di quel territorio utilizzando l'effetto plastico e caotico tipico delle barre di titanio. La scultura ottenuta per aggregazione di elementi semplici, teoricamente ripetibili all'infinito secondo il sistema additivo che utilizza la natura per sviluppare i propri organismi, è stata battezzata "Monolito titanico". Pur contando una popolazione di soli 1.300.000 abitanti, l'Estonia è entrata a far parte dell'eurozona nel 2011 diventando in pochi anni protagonista di una notevole crescita economica e uno dei primi stati al mondo per innovazione, diffusione e utilizzo delle nuove tecnologie. Oggi è uno degli stati col più basso debito pubblico, all'avanguardia per democrazia, libertà economica, politica, di stampa e nell'istruzione. Tartu, la seconda città dopo Tallin, con poco meno di 100mila abitanti è sede di una tra le
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AGGREGAZIONE INFINITA La finalità del lavoro è duplice: la prima è di carattere estetico in quanto opera artistica, mentre la seconda è, indirettamente, scientifica poiché permette di vedere a scala umana la struttura cristallina del titanio, un metallo dalle interessanti proprietà fisiche e meccaniche. La scultura è talmente complessa che ognuno dei quasi mille elementi che la compongono è stato disegnato digitalmente in tre dimensioni, quindi ritagliato a getto d'acqua da lamiere di titanio di spessore sottile e infine pressopiegato. L'unione finale tra di loro dei singoli pezzi che compongono il monolito è avvenuta in gran parte in laboratorio mediante saldatura automatizzata a controllo digitale mentre l'assemblaggio finale è avvenuto mediante fissaggio meccanico alla struttura portante interna alla colonna stessa. Quest'ultima è saldamente ancorata a un basamento cilindrico rivestito in titanio e zavorrato con materiale pesante per garantirne la stabilità. In realtà, anche se l'effetto finale ottenuto è un enorme pilastro metallico monolitico, il suo peso complessivo è limitato sia perché gli elementi scatolati che lo rivestono sono vuoti, sia perché il titanio pur essendo un materiale molto resistente è, allo stesso tempo, anche leggerissimo.
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FRANK O. GEHRY
Nato Ephraim Owen Goldberg in una famiglia ebrea polacca a Toronto e diventato Frank Owen Gehry dopo il suo trasferimento a Los Angeles, l'architetto è celebre per avere progettato alcuni dei più iconici edifici del mondo, tra cui qualcuno molto conosciuto in Europa come l'avveniristico Guggenheim Museum di Bilbao e il Museo Louis Vuitton a Parigi. Recentemente Gehry si è avventurato in un altro dei suoi arditi progetti, l'Hotel Marqués de Riscal, situato a Elciego, un paesino di 1.000 abitanti nella Rioja Alavesa, una piccola regione della Spagna settentrionale. L'antica azienda vitivinicola Marqués de Riscal si è rivolta al celebre architetto naturalizzato statunitense per promuovere la specialità del luogo: il vino. Nel paesaggio caratterizzato da piccoli borghi e punteggiato da importanti aziende agricole immerse nelle distese dei vigneti, grazie al restyling di Gehry è sorta un'abbagliante "scultura" di metallo on-
dulato sotto la quale è ospitato un complesso interamente dedicato al vino, composto da hotel a cinque stelle, spa, museo della viticoltura, enoteca, sale conferenze e convegni. Come sempre, Frank Gehry portatore di una cultura urbana cosmopolita come quella di Los Angeles, non ha cercato l'integrazione con l'ambiente circostante optando piuttosto per un contrasto radicale visto che la nuova costruzione somiglia a un'astronave di metallo luminescente atterrata in mezzo alle vigne. L'effetto è dirompente dal punto di vista paesaggistico ma sicuramente un bel colpo pubblicitario per la cantina che in questo modo è apparsa su tutte le riviste del mondo. I primi lavori di Gehry sono stati influenzati negli anni '60 e '70 dal movimento artistico "funk" californiano che per fare arte prevedeva l'uso di "oggetti trovati" poco costosi e mezzi non tradizionali. Quindi il suo stile architettonico è stato associato alla 24
STORIA DELL’ARTE cosiddetta "Scuola di Los Angeles" dove si è sviluppato un gruppo dei più influenti architetti postmoderni. Grazie a queste esperienze formative il suo lavoro ha imboccato uno spirito di ricerca e sperimentazione sempre più personali e autonomi rispetto alle tendenze dell'epoca. Gehry ha ricevuto il premio Pritzker nel 1989 in quanto pioniere negli anni '80 e '90 in California del "decostruttivismo", uno stile architettonico che per sfuggire ai modelli linguistici modernisti considerati ormai esauriti, utilizza un tipo di geometria euclidea spezzata e deformata per creare nuove forme che ignorano i principi classici delle proporzioni e sfidano le leggi di gravità. Gehry è l'architetto contemporaneo che, con il suo approccio scultoreo e organico alla creazione, concepisce i suoi progetti più come delle opere d'arte autosufficienti che degli edifici che dialoghino con il contesto preesistente. Come ha spiegato, l'ispirazione di questo progetto estremamente complesso riflette il suo intento di incorporare nell'edificio il carattere sia della regione che della famosa annata di vino prodot-
ta dalla cantina utilizzando il rivestimento ondulato in titanio, materiale a lui congeniale. Le coperture a nastro in lamine di titanio multicolore, infatti, dovrebbero rimandare alle tonalità rosse del vino della Rioja, alla lamina d'argento che protegge il tappo e alla caratteristica rete d'oro che decora le bottiglie Marqués de Riscal. L'esplosione di forme e colori delle falde aggettianti crea una sensazione di di vibrazione e movimento continuo che, partendo dalle forme sinuose dell'edificio si estende lungo le cascate in lamiera rosata, oro e argento le quali, riflettendo la luce danno vita tonalità che mutano nel corso della giornata. Gehry è noto per studiare i suoi edifici mediante piccoli plastici realizzati con delle striscioline di carta curvate e incollate tra di loro e solo in un secondo tempo disegnarli utilizzando uno specifico software aerospaziale. Inutile dire che le forme di queste superfici curve e convesse che si intersecano e incastrano tra di loro, sono estremamente complicate sotto il profilo grafico e, ancor di più, quello costruttivo.
Settembre 2020, Anno 9 - N.9
News dal mondo MARC CHAGALL
LES AMOUREUX, 1928
pag. 28
MARC CHAGALL
LE VIOLONCELLISTE, 1939
pag. 29
MARC CHAGALL
LE TROIS CIERGES, 1938
pag. 30
MARC CHAGALL
LE GRAND CIRQUE, 1956
pag. 31
LE BAISER DANS LE CIEL BLEU, 2020
pag. 32
Omaggio a MARC CHAGALL
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MARC CHAGALL, LES AMOUREUX, 1928, olio su tela 117,3 x 90,5 cm, venduto da Sotheby's New York 2017 a $ 28.453.000 (€ 23.965.300)
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MARC CHAGALL, LE VIOLONCELLISTE, 1939, olio su tela 101 x 74 cm, venduto da Sotheby London 2014 a 7.026.500 GBP (€ 7.790.600)
MARC CHAGALL, LES TROIS CIERGES, 19239, olio su tela 130,2 x 97,1 cm, venduto da Christie's New York 2017 a $ 14.583.500 (€ 12.240.000)
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MARC CHAGALL, LE GRAND CIRQUE, 1956, Olio e tempera su tela , 159,5 x 308,5 cm, venduto da Sotheby's New York 2017 a $ 16.034.000 (€ 13.510.200)
PAOLO TOMIO: Omaggio a MARC CHAGALL LE BAISER DANS LE CIEL BLEU, 2020 tecnica mista su tela, 120 x 84 cm
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