icsART 2021 N.10 Settimo Tamanini

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PERIODICO della icsART N.10 - Ottobre ANNO 2021

icsART


In copertina: SETTIMO TAMANINI, QUERCIA DI MAMRE, Albero del Rispetto rame soffiato a fuoco, 700 x 500 cm


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icsART

sommario Ottobre Anno 10 - N.10

Editoriale

Per fortuna che c'è l'Arnaldo

pag. 4

Politica culturale

Good Morning Afghanistan

pag. 5

Intervista a un artista

Settimo Tamanini

Mercato dell’arte?

Vilhelm Hammershøi

pag. 20-21

Neo-anamorfosi

Presenze fantasmatiche

pag. 22-23

Storia dell’arte

Torre Velasca

pag. 24-25

pag. 6-19

News dal mondo VILHELM HAMMERSHØI

INTERNO CON DONNA AL PIANOFORTE, 1901

pag. 28

VILHELM HAMMERSHØI

INTERNO CON CAVALLETTO, Bredgade 25, 1912

pag. 29

VILHELM HAMMERSHØI

INTERNI, Strandgade 30, 1909

pag. 30

VILHELM HAMMERSHØI

PORTE BIANCHE, Strandgade 30, 1899

pag. 31

INTERNO DI STANZA, 2011

pag. 32

Omaggio a VILHELM HAMMERSHØI

Copyright icsART Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare


EDITORIALE

PER FORTUNA CHE C'È L'ARNALDO Claudio Durigon è membro della Camera dei Deputati italiana dal 2018, eletto con Lega - Salvini Premier; nel suo curriculum sotto la voce professione si legge: "politico, dirigente di associazione sindacale". E' stato Sottosegretario di Stato (vale a dire vice ministro) al Ministero dell'economia e delle finanze nel governo Draghi e ha aver ricoperto la carica di Sottosegretario di Stato anche al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel primo governo Conte. Nato il 10 settembre 1971 (età 49 anni) a Latina, ha conseguito il diploma in ragioneria il che, pare, lo renda perfettamente idoneo al ruolo di viceministro. L'uomo, ha quasi 50 anni e, in quanto Sottosegretario che ha giurato fedeltà alla Repubblica, dovrebbe sapere qual è il suo dovere e cosa possa dire quando parla pubblicamente (e non al bar) senza offendere milioni di persone. Invece, il Durigon ha presentato a un comizio il suo capo Matteo Salvini il quale, come suo costume, smanettava con il cellulare, sparando ben due boiate in dieci secondi. La vicenda è nota: l'intelligentone ha chiesto di sostituire il nome del parco di Latina intitolato a

Falcone e Borsellino dicendo che «deve tornare a essere quel parco Mussolini che è sempre stato». Qualcuno si chiederà: ma chi cacchio è 'sto Mussolini Arnaldo? Era il fratello minore del più noto Benito che si autodefiniva «il più destro tra i destri nel regime fascista ». Il buon Durigon, nato a Latina sembra però infischiarsene non solo dei due giudici siciliani e dei poliziotti il cui unico merito, evidentemente, è di essersi fatti uccidere dalla mafia, ma pure dei loro famigliari e degli altri morti ammazzati, preferendo loro un personaggio impresentabile cancellato dalla Storia e dalla Costituzione. Nel letargo generale della grande stampa nazionale un unico giornale - Il Fatto Quotidiano - ha immediatamente chiesto le sue dimissioni, poi timidamente seguito anche da qualche giornale e partito (ovviamente non di Destra). Il Mario (Draghi) non ha proferito parola ed è partito per le ferie sperando che le acque si chetassero. Purtroppo per lui, molti italiani non sopportano che si sputtanino i pochi eroi recenti di cui essere fieri e Durigon - nonostante le resistenze, sue e del suo boss - alla fine se n'è dovuto andare per evitare di essere cacciato.

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POLITICA CULTURALE

GOOD MORNING AFGHANISTAN Probabilmente il povero Biden passerà alla Storia come colui il quale è responsabile del ritiro dall'Afghanistan (in realtà, già deciso e concordato da Donald Trump) e del conseguente tracollo mondiale dell'immagine degli Stati Uniti, per il semplice fatto che la disfatta americana è avvenuta in diretta mondovisione davanti agli occhi degli 'spettatori' i quali hanno assistito allibiti a un qualcosa impensabile fino al giorno prima. Purtroppo, il grande caos ha ricordato l'evacuazione, sempre degli americani, da Saigon, con le persone terrorizzate che si arrampicavano sugli elicotteri che decollavano dal tetto dell'ambasciata USA. Solo che questa volta le persone in fuga erano centinaia di migliaia. E questo risultato (anche se forse prevedibile sulla base della storia afghana), per un Paese che voleva imporre la 'democrazia occidentale' con l'armata più forte al mondo, non rende certo orgogliosi gli elettori americani. Affermava Mao Zedong: ”Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente!” e infatti, l'Isis-K ne ha approfittato per diffondere il terrore tra i nemici accalcati all'a-

eroporto di Kabul. La vera tragedia però, non tocca tanto i militari quanto la popolazione civile da sempre vittima innocente di conflitti endogeni ed esogeni che ora, dopo 20 anni di governo occidentale, come al gioco dell'oca, ricomincia da capo sotto gli studenti islamici. Subito dopo l'11 settembre 2001 gli Stati Uniti (e i loro alleati europei, Italia compresa) avevano occupato l'Afghanistan, giustificando la loro azione illegittima con lo scopo di eliminare i campi di al-Qaida del saudita Osama Bin Laden ospitati dal regime talebano. Analogamente all'invasione dell'Irak del 2003 avvenuta per distruggere la bomba atomica che - secondo le prove false esibite all'assemblea dell'ONU dal Segretario di Stato americano Colin Powell - gli iracheni stavano costruendo. La propaganda è l'arma di disinformazione che tutti gli Stati utilizzano per manipolare l'opinione pubblica, così succede che l'ultimo venuto, Joe Biden, debba spiegare in televisione che, dopo 20 anni di guerra, 3.540 soldati morti, tra 140 000 e 340 000 civili afghani uccisi, 2.000 miliardi dollari spesi, i talebani sono ancora al loro posto, ma la guerra è stata un vero successo.

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Intervista a SETTIMO TAMANINI Settimo Tamanini, in arte Mastro 7, è figura nota in Trentino per il suo laboratorio-negozio da cui sono uscite per oltre cinquant'anni le opere orafe innovative e personali da lui create. Un'arte antichissima la sua che, fino alla nascita del moderno mercato dell'arte, era la più amata e ambita dai potenti di tutta Europa. La seconda vita artistica di Tamanini nasce quando, ritiratosi dall'attività lavorativa, si getta anima e corpo in un sogno coltivato da sempre: quello di creare una scultura libera dai vincoli imposti dall'arte applicata. La nuova ricerca, simbolica, estetica, tecnica, esistenziale, lo coinvolge in una sperimentazione ininterrotta in cui, come spinto da un sacro fuoco interiore, avvia una serie di imprese eccezionali inoltrandosi temerariamente in percorsi espressivi che lo sospingono verso opere sempre più monumentali. Il tema che dà inizio a questa sua utopia è quello dell'Albero che nella sua visione rappresenta fisicamente e simbolicamente il "Tutto": la vita, il cosmo, il Creatore. Un impeto mistico in cui la sua irrefrenabile fantasia combinata al talento nel padroneggiare alla perfezione la difficile, complessa e faticosa arte del rame sbalzato a fuoco, lo portano a realizzare - interamente da solo - un ciclo di alberi in scala reale. Una sorta di ''ossessione' che ricorda quella di artisti visionari incapaci di fermarsi nonostante - o forse a causa - dell'impegno totalizzante richiesto da un ideale che dà un senso alla vita e combatte l'ineluttabilità della morte contrapponendole una creazione nata dalla mente, dallo spirito e dalle mani dell'artista. Chiaramente, gli alberi sofferti di Tamanini, che lui chiama le 'Grandi Madri', sono una metafora della sua visione del mondo e del suo bisogno interiore di una sintesi in cui Passato, Presente e Futuro, siano ricondotti a un simbolo che rappresenti plasticamente il senso della vita. Settimo si definisce un naïf, giustamente perché, sebbene collochi il suo fare in ambiti colti, filosofici, spirituali o religiosi, il suo animo 'artistico' rimane sostanzialmente puro e appassionato come quello di un fanciullo che non resiste all’impulso di ‘dare vita’ alle forme che immagina. Paolo Tomio A sinistra: OLIVO, Albero della Meditazione rame soffiato a fuoco, 350 x 350 cm

in basso: SOLCO DELLE RADICI rame azzurrato, 49 x 99 cm


Quando e dove hai iniziato a studiare oreficeria?

I tuoi interessi artistici sono stati a lungo incentrati sulla tua attività di orafo?

Ho sempre avuto, fin da bambino, un’attrazione per i metalli preziosi: oro, argento e rame. Nel 1963, con mio fratello Paolo, studente (poi professore) all’Istituto d’Arte di Trento, sezione metalli, abbiamo sperimentato, nel piccolo laboratorio della casa paterna, la sera dopo scuola e lavoro, le novità, creando piccoli gioielli in oro, argento e rame con smalti a gran fuoco. Nel 1970 assieme abbiamo costituito l’azienda orafa con il nome d’arte Mastro 7. Includendo così nel Mastro (maestro) Paolo e con il numero 7, il mio nome di battesimo Settimo.

Assolutamente sì, perché la filosofia di partenza è sempre stata: creare pezzi, unici, contemporanei e innovativi.

COMETA, Mistero quando appare nel cielo… Mistero tu… perché sei unica, oro giallo 750/°°°, diamanti taglio brillante, Ø mm. 50

Ci sono state delle correnti artistiche o degli artisti che ti hanno influenzato? Si, con Paolo ci siamo confrontati con altri artisti usciti da Istituti d’Arte di tutta Italia, in particolare quelli della Scuola di oreficeria di Padova.

A cosa ti ispiravi quando dovevi creare un pezzo di oreficeria moderno?


MELOGRANO, Albero della Prosperità rame soffiato a fuoco, 300 x 200 cm

Mi sono sempre ispirato alle geometrie compositive della natura e del cosmo

Come mai hai ‘abbandonato’ il lavoro di precisione con il cesello per realizzare opere a sbalzo in rame?

Nel lavoro da orafo, quanto conta la tecnica, quanto il talento e quanto l’idea?

Non ho abbandonato, ma ho lasciato spazio ai miei figli Gianfranco e Luca, lasciando la porta aperta; così ho potuto realizzare il mio sogno: affrontare la scultura dal microcosmo al macrocosmo.

Da un’idea maturata con studi, confronti e ricerche anche dei maestri orafi come Cellini, si traspone nel metallo prezioso, con tecnica umile e costante, il talento acquisito nel tempo.

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AQUILONI IN LIBERTÀ, rame soffiato a fuoco 130 x 130 cm

modellarla…e, come per incanto, vedo formarsi fra le mia dita un volto. In quel preciso istante mi sono bloccato, terrorizzato!? E venendo da una famiglia numerosa, ma profondamente religiosa, un pensiero, come un fulmine, ha spaccato la mia mente: no, io non sono Dio che plasma l’uomo con la creta. Ho gettato la creta e scosso sono corso a casa. Adesso, alla luce della tua domanda, è riaffiorato questo momento rivelatore. Sicuramente questo momento ha segnato il mio percorso artistico. Le forme primordiali giacevano addormentate, nel midollo delle mie ossa e sono riemerse con prepotenza quando ho affrontato la scultura, nodo inesplicabile, grande enigma del rapporto tra materia e spirito.

Quindi il tuo desiderio più profondo è sempre stato quello di cimentarti nella scultura? Confesso un episodio della mia infanzia (4/5 anni) nel tempo del dopo guerra. Non c’era nulla e noi bambini dovevamo inventarci e costruirci i giochi: la fionda dai rametti della sanguigna, lo zuffolo dall’ipostano, le balote dalla creta. In paese esisteva ed esiste tutt’ora una fornace e tutti i bambini andavano a chiedere un po’ di creta per modellare con le mani palline “balote” che poi cuocevano nella “fornesela” di casa. Mi presento anch’io in fila ed il “vasaro” mi getta tra le mani un’enorme blocco di rossa argilla. Io stordito dal peso e da questa materia molle e profumata istintivamente mi metto a stringerla,

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CRATERI ERRANTI, rame soffiato a fuoco 105 x 125 cm

Quando è avvenuto il passaggio dalle lastre piane sbalzate alla scultura tridimensionale?

per la scuola di cesello del maestro Vittorio Benetti, da cui provengo (1957), fondamentale era che l’opera sia eseguita a regola d’arte, curata nei minimi dettagli, non il tempo che impiegavi nell’esecuzione. Questo insegnamento è tuttora il cardine del mio agire anche nei grandi sbalzi-sculture su rame.

Nel 2000 ho iniziato il percorso delle sculture tridimensionali “Piante delle Grandi Madri” in rame puro soffiato e fiammato. Ad ogni pianta dedicavo circa un anno di lavoro, nel contempo realizzavo “Frammenti di Icone” (pannelli e lastre a grande rilievo a fuoco fiammato).

Cosa ha comportato artisticamente il passare dalle minuscole opere dell’orafo ai lavori a sbalzo sempre più grandi eseguiti con il martello?

Che differenza c’è, secondo te, tra artigianato e arte? Molta e sostanziale differenza: l’artigianato può essere ripetitivo, l’Arte deve essere un pezzo unico e originale

Nessuna differenza, solo tanto più tempo. Sembra una battuta veramente, ma in realtà

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Perché hai scelto di dedicarti totalmente a realizzare solo alberi sempre più grandi?

terra che ci inebria con la loro magnificenza.

Perché gli alberi nella mia famiglia significavano la sopravvivenza. Per noi bambini erano gli amici dei giochi quotidiani: per confrontarsi a chi saliva più in alto, ammirare le splendide fioriture primaverili. La fortuna di essere ancora immerso nella campagna, che mi dona emozioni in ogni stagione, inoltre ho un debito di riconoscenza per i profumi dei fiori dei frutti della

I tuoi alberi sono particolarmente grandi, complessi e articolati: dovrai preparare un numero esagerato di lamiere sagomate da saldare assieme e pensare anche a poterli trasportare?

MELO, Albero della Conoscenza rame soffiato a fuoco, 350 x 350 cm

La scultura tridimensionale, poi di grandi dimensioni, pone diversi e grossi problemi. Per me è stata una scommessa perché il gioiello viene indossato da un essere umano, invece la scultura si scontra con lo spazio e le sue leggi.


Primo la possenza impone la stabilità, la sicurezza, la staticità. Penso che sia stata una follia: tutti i miei alberi “sono fissati alla base-suppendiom” con un solo dado. Il secondo problema, come fermarli. Le dimensioni dei tronchi e dei rami, non più lunghi di 220 cm. Il terzo problema come farli combaciare per una continuità di testure corticole assemblative. Un intelatura interna ad incastro per poterle comporre e smontare, riporle in casse “standard” in legno, trasportabili a mano per eventuali mostre in luoghi sensibili.

Cosa rappresentano per te queste opere monumentali che realizzi interamente da solo? Rappresentano le emozioni che ho provato nella mia infanzia di essere libero da ogni condizionamento, essere me stesso.

Sì, però sono opere grandiose che richiedono tempi lunghissimi, il che contrasta con l’idea di

CASTAGNO, Albero della Generosità rame soffiato a fuoco, 500 x 450 cm


FICO, Albero dell’Accoglienza rame soffiato a fuoco, 350 x 205 cm

Con il suo quadro "Painting = Buring", nel 1974, l'artista tedesco Anselm Kiefer, istituisce una relazione stretta tra due azioni secondo le quali la “fiamma” è autenticamente creatrice almeno quanto la pittura. Io, in un dialogo immaginario, rispondo concretamente che la mia fiamma-fuoco ossiacetilenico, ma anche della forgia paterna, sprigiona la combustione più alta fra quelle conosciute (3000 - 8100 C°) e con quella "dipingo" le mie opere in rame.

“emozione” immediata e fa pensare piuttosto a una sfida con te stesso? I tempi lunghissimi, una volta non esistevano e per me non esistono, esiste e resiste nel tempo e oltre il tempo; l’anima, il pensiero e l’opera, se è fatta con passione, amore e verità. Per l’emozione istituiamo il paragone che sia come la bocca che dice quello che è pieno il cuore!

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MANDORLO, Albero del Risveglio rame soffiato a fuoco, 350 x 350 cm

Quali sono i risultati che ricerchi nel trattamento con la fiamma delle lastre?

semani, l’albero della Meditazione, perché è la sintesi di tutta la ricerca sulle Piante delle Grandi Madri. Ad ogni albero che ho realizzato ho dato un nome simbolico ed evocativo: Melograno: Albero della Prosperità Fico: Albero dell’Accoglienza Castagno: Albero della Generosità Mandorlo: Albero dello Stupore Melo: Albero della Conoscenza

I colori materici che non uso, ma che il fuoco sul rame ridona con iridescenze uniche, imprevedibili, irripetibili.

Con le due figure contorte nell’ulivo eri arrivato alla scultura astratta? Ho voluto affrontare il millenario Olivo del Get15


Vite: Albero della Gioia Sorbo: Albero del Buonaugurio Quercia: Albero del Rispetto

Come definiresti il tuo stile? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile? Il mio stile lo definirei naif: per la fonte di ispirazione e per le motivazioni da cui sgorga. Le mie opere si rendono riconoscibili dalla scelta del materiale, che non è bronzo fuso o ferro forgiato, ma da una semplice lastra in rame puro, soffiata a fuoco e fiammata che diviene un unicum. Possenti sculture tridimensionali, ognuna distinguibile dalla forza del tronco, dalla delicatezza dei rami, dalla forma e trasparenza delle foglie e dalla iridescenza dei colori infuocati che ti emozionano

Cosa ti interessa rappresentare nei tuoi alberi: concetti, emozioni, memorie? L’Albero, come il simbolo fa pensare. Questi alberi-scultura concettualmente rappresentano e includono il tempo ciclico e il tempo lineare formando l’axis mundi, legame indissolubile tra terra e cielo. Emozioni L’Albero è l’ultimo testimone del Paradiso terrestre. Noi assomigliamo agli alberi: le Radici sono i nostri avi, il Tronco il nostro corpo, i Rami gli arti operosi, i Frutti i nostri figli: speranza nel rinnovo della vita

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori? La Bellezza è stupore e armonia: valori inestimabili da anteporre a tutto.

Chi e cosa ti piace nella scultura contemporanea?

Cosa è per te l’arte?

Come scultore Auguste Rodin: che impresse nelle sue opere la forza evocativa delle forme. Nella scultura contemporanea mi intrigano le sculture create per grandi spazi pubblici: pensate e modellate con materiali innovativi e che abbiano forme lineari, pulite, proiettate verso l’alto.

L’arte per me è libertà totale di espressione.

E, per finire, chi è l’artista? L’artista è colui che con i carismi ricevuti in dono, avvera il miracolo della mutazione dal pensiero alla forma, dall’emozione alla realtà.

Pensi che un artista debba rimanere legato alla propria storia e al proprio territorio? Per me, come ho costruito il mio vissuto, girando anche il mondo, la mia terra natia è da sempre fonte inesauribile di ispirazione. Probabilmente per gli altri artisti non è fondamentale.

VITE, Albero della Gioia rame soffiato a fuoco, 300 x 200 cm

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2000 Hannover, Expo 2000 2002 Monza, “Humanware Natural Inspiration”, primo premio 2004 Kyoto, “Design e Arts & Crafts” 2011 Trento, "Padiglione Italia del Trentino-A.A." 54^ Esposizione Biennale di Venezia 2014 Trento, “Finestre dell’Anima” Personali 1993 Segonzano – Trento, “Raccolta-Alla ricerca di nuove emozioni” 1995 Campo Tures, Galleria Feldmüller “Incontri” 2002 Mattarello – Trento, “Terra Mani Fuoco” 2003 Arco – Trento , “Lungo il Sentiero” “Dem Weg Entlang” 2005 Lovere - Bergamo, “Alberi di Fuoco” 2006 Pieve di Ledro – Trento, “Soffi di Vita” 2007 Livinallongo del Col di Lana, “Respiro Cosmico” 2007 Trento, “Radici di Luce” 2015 Cortina d’Ampezzo, “Grandi Madri, Frammenti di Icone, Gocce di Fuoco” 2015 Oradea – Romania, “Custodi dell’Anima” 2016 Roma – Chiesa Sant’Ignazio di Loyola, “Laudato sìi” 2020 Trento – Cattedrale, “Il Silenzio”

SETTIMO TAMANINI “MASTRO 7” Nato a Mattarello di Trento il 2 dicembre 1943, Settimo Tamanini si accosta all’arte del cesello nella bottega del maestro Vittorio Benetti e all’Università popolare di Trento frequenta i corsi dei pittori-incisori Remo Wolf e Gino Novello. Nel 1970 a Mattarello apre uno studio – laboratorio. Da questa data firma le proprie creazioni con il nome “Mastro 7”. Si fa creatore di gioielli e di monili in oro e platino ed è presente alle sfilate di alta moda. Riprende la tradizione degli smalti a fuoco su argento e oro dedicandosi all’arte sacra. Nella sua attività è affiancato dalla moglie Fausta, dai figli Gianfranco, maestro d’arte e gemmologo, e Luca, dottore in economia, che cura l’amministrazione e le relazioni esterne. Nel 2000 lascia l’attività orafa ai figli e si incammina in un percorso spirituale e spaziale, per creare opere uniche ed irripetibili, in rame puro soffiato a fuoco e fiammato. Partecipa a numerose esposizioni in regione, in Italia e nel mondo. Fra le più importanti: 1973 Milano, Triennale di Milano 1992 Johannesburg, mostra “Italian craftsmanship on stage at the Market Theatre” 1992 New York, mostra per le Colombiane ’92 “The Italian art of living” 1994 Tokyo, Mostra Oreficeria Italiana 1997 Roma, Concorso Nazionale “Costruire insieme l’Europa: dalla Lira all’Euro”

Alcuni suoi simboli creati per particolari manifestazioni, Enti ed Istituzioni: • Serto, Olimpiadi di Los Angeles • Cardo d’Oro, Premio Itas di letteratura di Montagna • Mela d’oro, Premio Marisa Bellisario • Vela d’oro, Premio Eurotelevisione • Aquila di San Venceslao, Simbolo della Provincia Autonoma di Trento • Premio Rotary Club Trentino-Alto Adige • Premio 3° Millennio, Cortina d’Ampezzo • Premio mons. Luigi di Liegro, Roma Nel 1999 frequenta il corso di specializzazione indetto dall’Arcidiocesi di Trento, Ufficio Arte Sacra, “Il progetto Architettonico e la composizione artistica ed iconografica a servizio della liturgia” Dal 2005 è socio dell’UCAI, sezione di Trento, dove è attivamente partecipe alle iniziative culturali ed espositive.

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ics

ART E' possibile sfogliare tutti i numeri delle annate 2012-2021 della rivista icsART sul sito icsART all'indirizzo:

www.icsart.it icsART N.10 2021 Periodico di arte e cultura della icsART Curatore e responsabile Paolo Tomio

PERIODICO della icsART N.10 - Ottobre 2021

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in alto: ROVETO ARDENTE, rame soffiato a fuoco 200 x 80 cm

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MERCATO DELL’ARTE ? Nato a Copenaghen, figlio di un commerciante benestante, riceve lezioni di disegno all'età di otto anni; frequenta l'Accademia Reale Danese di Belle Arti facendosi notare perché "dipinge in modo piuttosto strano". Si perfeziona presso gli atelier indipendenti e debutta a vent'anni con un ritratto della sorella all'Esposizione della Royal Academy ottenendo giudizi critici per i toni cupi e psicologicamente complessi. Nel 1887 si reca in Olanda per approfondire Johannes Vermeer, trascorre sei mesi a Parigi e visita Germania, Belgio e Italia e Londra per tentare di conoscere il suo idolo James Whistler. Nel 1889 espone a Parigi quattro suoi dipinti al padiglione danese all'Exposition Universelle. Tranquillo, taciturno, restio a parlare di sé e della propria opera, Hammershøi trascorre tutta la vita a Copenaghen in due appartamenti, prima Strandgade 30, poi Strandgade 25, in una ristretta cerchia da cui trae i suoi modelli: gli amici, i parenti stretti e la moglie Ida, la donna che appare, sola e spesso di schiena, nei suoi interni. «Sono affezionato al vecchio; alle vecchie case, ai vecchi mobili, a quello stato d'animo tutto particolare che queste cose possiedono». Le sue opere più famose sono ambientate nelle stanze comunicanti del suo appartamentostudio organizzato a forma di “u” attorno a un cortile centrale a Strandgade 30: le sale sono eleganti ma sobrie, molto attuali nella loro essenzialità minimalista e nell'arredo severo e rigoroso, le pareti tinteggiate di tonaltà grigie, di bianco le porte, le finestre, le cornici e le boiserie. Il tutto sottolinea la natura introversa, solitaria e contemplativa della coppia che non avrà figli. Il pittore spiega di essere «intimamente convinto che meno il quadro è colorato, più è riuscito dal punto di vista cromatico». Suo tema pittorico centrale rimane il rapporto

VILHELM HAMMERSHØI (1864-1916) INTERIOR WITH WOMAN AT PIANO, Strandgade 30, 1901, olio su tela, 55,9 x 44,8 cm, venduto da Sotheby's New York 2017 a $ 6.211.700 (€ 5.283.500). Hammershøim, definito poeta della quiete e della luce e il cui lavoro, come scrive il suo ammiratore Rilke «si inscrive nella distanza e nella lentezza», ha avuto in vita riconoscimenti a livello nazionale e internazionale dimenticati dopo la morte. Dagli anni '80 si assiste a una rinascita di interesse internazionale per il suo lavoro e la sua rivalutazione come il più importante artista danese che ha saputo fondere nei suoi dipinti di rarefatta bellezza e impronta nordica, l'influenza sia della pittura di Vermeer sia di inquietanti riferimenti simbolisti. 20


VILHELM HAMMERSHØI tra lo spazio e la luce, i suoi interni sono sempre avvolti da un chiarore velato che gli permette di esplorare le dinamiche della luce crepuscolare nordica così che dipinge anche dieci versioni dello stesso locale in diverse ore del giorno o della sera, in una ricerca ossessiva della composizione perfetta. Hammershøi evoca un'atmosfera senza tempo usando come mezzi la luce, l'ombra, pareti e porte, spazi in cui non accade quasi nulla ma che suggeriscono qualcosa di profondo e inesprimibile. Questi spaccati esistenziali domestici, deserti, silenziosi ed enigmatici, sono stati spesso letti come simboli di disagio e incomunicabilità. «Ho sempre pensato che ci fosse una tale bellezza in una stanza anche se non c'erano persone dentro, forse proprio quando non ce n'erano». Molte sue opere in cui è assente ogni presenza umana presentano spazi astratti in cui la composizione geometrica di linee e piani architettonici sembra anticipare Mondrian: «Ciò che mi fa scegliere un motivo sono le linee, quello che mi piace chiamare attitudine architettonica nel dipinto». Il pittore raffigura anche edifici storici in ambienti esterni completamente deserti e con una tavolozza dei colori monocromatica in gradazione di grigi che li fa apparire irreali e senza tempo. Hammershøi muore di cancro alla laringe al culmine della celebrità a 51 anni, ma la sensibilità malinconica e introspettiva dei suoi quadri influenzerà l'architettura, il cinema e la pittura che verranno dopo di lui. in alto: IDA CHE LEGGE UNA LETTERA, 1899 olio su tela, 66 x 59 cm, venduto da Sotheby's London 2012 a £ 1.721.250 (€ 2.016.000) a destra: INTERNO, Strandgade 30, 1899, olio su tela, 60.6 x 53.8 cm, venduto da Sotheby's New York 2019 a $ 3.020.000 (€ 2.599.000)

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NEO-ANAMORFOSI L'anamorfismo è l'immagine di un soggetto che, proiettata sul piano in modo distorto, risulta deformata e quindi indecifrabile o irriconoscibile e richiede che l'osservatore si trovi in una posizione precisa per poter essere vista nella sua forma regolare e giuste proporzioni. Si tratta di un fenomeno ottico che si traduce in un’aberrazione dell’immagine conosciuto fin dall'antichità quando si basava sui giochi di riflessione delle superfici ottenuti usando specchi convessi o concavi. Qualcosa di simile alle immagini mostruose ottenute utilizzando nelle sale degli specchi deformanti dei vecchi luna park. Se lo specchio è conico o cilindrico, l'immagine riflessa è talmente distorta da risultare assolutamente incomprensibile così, viceversa, un'immagine deformata può essere ricomposta nella sua forma reale osservandola riflessa nello specchio che l'ha prodotta. Cominciate a diffondersi a partire dal '500, le immagini anamorfiche sono diventate pratica comune nel seicento ma fino ad allora, la conoscenza dei procedimenti geometrici per costruire queste immagini, è stata trasmessa addirittura come dottrina magica e segreta. Oggi gli effetti anamorfici sono molto popolari nella street art, in particolare quella disegnata in luoghi pubblici in modo da creare un'illusione spaziale che coinvolga nell'opera l'intero ambiente architettonico circostante. Si tratta però di cosa diversa dall'illusionismo prospettico applicato in architettura, ad esempio dal Bramante in San Satiro a Milano per simulare la sua ampia abside in uno spazio di un metro e venti di profondità o nella scenografia lignea inventata da Scamozzi per il teatro Olimpico di Vicenza con le sette vie di Tebe riprodotte in forte prospettiva in modo da accentuarne visivamente la lunghezza. Alcuni artisti di strada godono di viva ammira-

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PRESENZE FANTASMATICHE zione in Rete da parte degli affezionati al genere per i loro enormi e spesso giganteschi disegni realizzati nelle piazze o all'interno di grandi spazi coperti dove il pubblico diventa parte attiva dell'illusione. La street artist olandese conosciuta nell'ambiente con lo pseudonimo "Vandeesburg" e ammirata per i suoi disegni 'neoanamorfici' realizzati nelle città europee, ha recentemente inaugurato la sua prima mostra personale al Museo d'arte De Lakenhal di Leida esponendo diversi disegni del suo repertorio eseguiti su grandi pannelli di materiale rigido con la sua consueta tecnica grafica mediante gessi colorati. Contrariamente ai suoi colleghi di strada, più interessati a ricostruzioni eclatanti dal punto di vista spettacolare, la Vandeesburg ha sviluppato un approccio personale che, attraverso la deformazione esasperata di corpi e visi, si propone di approfondire i contenuti psicologici dei personaggi raffigurati e di creare situazioni figurativamente ambigue la cui la interpretazione è lasciata all'osservatore. L'olandese, infatti, si limita a esporre sempre e solo le figure anamorfiche fantasmatiche evitando di mostrare i soggetti da cui hanno preso origine poiché considera sia sempre preminente il valore artistico-estetico della creazione rispetto a quello ottico-meccanico del procedimento. La critica ha accolto positivamente sia la qualità espressiva e cromatica sia la novità stilistica proveniente da un circuito che si considera 'alternativo' all'arte ufficiale, apprezzando soprattutto il recupero in chiave contemporanea di una tecnica studiata dai grandi artisti dell'antichità. È impensabile, però, che l'anamorfismo riconquisti il fascino misterioso del passato perché la deformazione delle immagini oggi viene utilizzata diffusamente in molte discipline come la pittura, gli effetti speciali, la fotografia ecc.

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TORRE VELASCA "Dal cucchiaio alla città" è il celebre motto coniato nel 1952 dall'architetto Ernesto Nathan Rogers intendendo che al 'progetto' compete la responsabilità sia di un oggetto minimale come il cucchiaio, sia di una struttura multiforme come la città. Rogers aveva costituito nel 1932 con Belgiojoso, Banfi e Peressutti lo studio di architettura BBPR che dovrà chiudere per la repressione del Fascismo. Rogers, ebreo, deve scappare in Svizzera, Banfi e Belgiojoso appoggiano la Resistenza ma, deportati nel lager di Busen, il primo muore nel '45 mentre il secondo riesce a sopravvivere. BBPR rinasce alla fine della guerra e riceve nel 1950 l’incarico di progettare a poche centinaia di metri dal Duomo un enorme complesso polifunzionale che dovrà rappresentare il segno della rinascita post-bellica di Milano. Scartata l'ipotesi del "grattacielo americano" in acciaio e vetro (materiali rari e costosi a quel tempo), la loro attenzione si orienta verso una soluzione tradizionale in cemento armato rivestito con pannelli in graniglia di porfido rosa. Il progetto è concluso nel '55 e i lavori di costruzione iniziati nel '57, sono portati a termine in 292 giorni! Il risultato è una torre di 106 metri coi prospetti analoghi tra loro, scanditi da possenti costoloni rastremati e travature oblique trilobate che sostengono il volume superiore più largo rispetto a quello sottostante: 26 piani fuori terra occupati da uffici dal 2° al 10° piano, studi professionali con abitazione dall’11° al 17° e abitazioni ubicate nel corpo allargato dal 19° al 25°. Rogers motiva la genesi dell'edificio in termini innovativi rispetto alle rigide teorie del Razionalismo, con la volontà di interpretare in chiave architettonica la personalità della città per catturarne la caratteristica "atmosfera" milanese: «La Torre si propone di riassumere culturalmente e senza 24


STORIA DELL’ARTE ricalcare il linguaggio di nessuno dei suoi edifici, l'atmosfera della città di Milano, l'ineffabile eppure percepibile caratteristica...». L'edificio scatena un forte dibattito suscitando giudizi molto critici per il suo singolare profilo che richiama una torre antica guadagnandosi dai milanesi il soprannome di "grattacielo con le bretelle” per via delle travi inclinate. Nikolaus Pevsner la giudica una soluzione «Neo Art Noveau" e Reyner Banham una "ritirata dal Movimento Moderno". La disputa si rinfocola con l'inaugurazione nel 1960 dell'aerodinamico grattacielo Pirelli 'a lama' progettato da Giò Ponti e Pier Luigi Nervi. Malgrado l'assegnazione nel '61 del premio annuale dell'Istituto Nazionale di Architettura, La Torre Velasca non piace né ai modernisti né ai tradizionalisti in quanto reinterpretazione storicista del Razionalismo o citazione passatista dell’architettura medievale lombarda. La silhouette della Torre Velasca, visibile da tutta la città, caratterizza da oltre 60 anni lo skyline di Milano e ancor oggi, di primo acchito, stupisce e crea qualche difficoltà a collocarla all'interno di uno stile preciso. Può piacere o meno, non è sicuramente lineare, leggera e trasparente come prescriverebbe lo stile moderno, ma possiede la peculiarità di connotare con forza il contesto e, soprattutto, di essere assolutamente unica e particolare. Anzi, poiché migliora man mano che passa il tempo, potrebbe anche diventare come la Torre Eiffel, criticata inizialmente e oggi l'icona della città. Purtroppo, diventata di proprietà della società UnipolSai, dopo una ristrutturazione totale, la Torre Velasca è venduta nel 2019 a un gruppo americano chiudendo così malamente la storia di uno dei simboli moderni di Milano, una città più interessata al profitto che a mantenere la propria identità. 25



Ottobre 2021, Anno 10 - N.10

News dal mondo VILHELM HAMMERSHØI

INTERNO CON DONNA AL PIANOFORTE, 1901

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VILHELM HAMMERSHØI

INTERNO CON CAVALLETTO, Bredgade 25, 1912

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VILHELM HAMMERSHØI

INTERNI, Strandgade 30, 1909

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VILHELM HAMMERSHØI

PORTE BIANCHE, Strandgade 30, 1899

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INTERNO DI STANZA, 2011

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Omaggio a VILHELM HAMMERSHØI

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VILHELM HAMMERSHØI, INTERNO CON DONNA AL PIANOFORTE Strandgade 30, 1901, olio su tela, 55,9 x 44,8 cm venduto da

Sotheby's New York 2017 a $ 6.211.700 (€ 5.283.500)

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VILHELM HAMMERSHØI, INTERNO CON CAVALLETTO Bredgade 25, 1912, olio su tela, 78.5 x 70.3 cm, venduto da Christie's New York 2018 a $ 5.037.500 (€ 4.335.000)


VILHELM HAMMERSHØI, INTERNI, Strandgade 30, 1909 olio su tela, 51.5 x 56.5 cm, venduto da Sotheby's London 2015 a £ 2.045.000 (€ 2.395.000)

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VILHELM HAMMERSHØI, PORTE BIANCHE, Strandgade 30 1899, olio su tela, 42.5 x 39.5 cm, venduto da Sotheby's London 2017 a £ 1.448.750 (€ 1.696.700)



PAOLO TOMIO: Omaggio a VILHELM HAMMERSHØI "INTERNO DI STANZA", 2011, stampa su carta 60 x 42 cm


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