icsART 2021 N.12 Lois Anvidalfarei

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PERIODICO della icsART N.12 - Dicembre ANNO 2021

icsART


In copertina: LOIS ANVIDALFAREI, SENZA DOGMA, 2013, Bronzo, tubi innocenti, 44 x 211 x 209 cm


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icsART

sommario Dicembre, Anno 10 - N.12

Editoriale

Enrico, stai sereno 2

pag. 4

Politica culturale

Festival dell'economia... Torino

pag. 5

Intervista a un artista

Lois Anvidalfarei

Mercato dell’arte?

Wassily Kandinsky

pag. 20-21

L'arte della meditazione

Armonia con la natura

pag. 22-23

Storia dell’arte

Le monde des Schtroumpfs

pag. 24-25

pag. 6-19

News dal mondo WASSILY KANDINSKY

BILD MIT WEISSEN LINIEN, 1913

pag. 28

WASSILY KANDINSKY

RIGIDE ET COURBÉ, 1935, 1960-66

pag. 29

WASSILY KANDINSKY

STUDIE FÜR IMPROVISATION 8, 1909

pag. 30

WASSILY KANDINSKY

IMPROVISATION AUF MAHAGON, 1910

pag. 31

SANTA KLAUS, 2021

pag. 32

Omaggio a WASSILY KANDINSKY

Copyright icsART Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare


EDITORIALE

ENRICO, STAI SERENO 2 Nono segretario del Partito Democratico in 14 anni, Enrico Letta è ritornato a Roma subentrando a Nicola Zingaretti il quale ha presentato le sue dimissioni dalla carica con un comunicato al veleno: «lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie». Zingaretti rimaneva l'ultimo ostacolo al processo di normalizzazione (leggi restaurazione) dell’Italia nell'agenda neoliberista. D'altronde, Zingaretti era il segretario del PD ma non controllava una buona parte dei gruppi parlamentari ancora di obbedienza renziana, e la stessa cosa capita ora a Letta che è stato scelto perché "draghiano senza se e senza ma" in attesa che arrivino i prestiti della UE e il Covid sia debellato, poi, risolto il problema del nuovo Presidente della Repubblica, si rifaranno i conti. Oggi potrebbe sembrare la rivincita di Enrico Letta su Matteo Renzi che, subito dopo il famoso "incoraggiamento" «Enrico, stai sereno», lo aveva cacciato da premier per occupargli la poltrona, ma già il fuoco "amico" del fiorentino e i suoi amici, è riapparso nell'affossamento del Ddl Zan

sull'omotransfobia impallinando per la seconda volta il neo segretario del Partito Democratico. Evidentemente il mite Letta, pensando che Renzi fosse cambiato, ha ingenuamente creduto alle sue promesse dimostrando di essere sì in buona fede ma forse un po' sprovveduto nel muoversi nell'attuale giungla politica italiana. Anche se bisogna dare atto a Letta di essere uscito di scena con grande dignità, prima dando le dimissioni da deputato e non rinnovando la tessera PD e poi trasferendosi a insegnare in una scuola prestigiosa a Parigi. Ora che è ritornato, a scanso di equivoci, si è candidato a Siena per garantirsi perlomeno una poltrona in Parlamento (non succedesse mai che la storia della pugnalata alle spalle si ripetesse). Cosa riuscirà a cambiare l'indeciso a tutto Enrico Letta? Poco o nulla perché i partiti sono agglomerati di correnti e potentati la cui unica idea chiara, dato l'approssimarsi delle elezioni del 2023, è quella di tirare a campare prima con Draghi e poi sopravvivere fino alla data utile a maturare la pensione. Ed Enrico Letta, in fatto di sopravvivenza, vista anche la sua storia personale, sembra il più competente e attrezzato. 4


POLITICA CULTURALE

FESTIVAL DELL'ECONOMIA... TORINO Nato nel 2006 per volontà dell'allora Presidente della Provincia Lorenzo Dellai, il Festival dell'economia di Trento si basava su un'idea innovativa: puntare sulla cultura in generale, ed economica in particolare, per diffondere e aumentare la conoscenza tra le persone che normalmente non hanno dimestichezza con questa disciplina. Mettere a confronto ogni anno gli economisti con il grande pubblico, tradurre il loro linguaggio per renderlo accessibile a tutti per far comprendere meglio qual è il modo di pensare nell'economia la (pseudo) scienza che finge di guidarci ormai da decenni). L'obiettivo era di fornire informazioni e strumenti culturali di qualità elevata a strati più ampi di cittadini per renderli consapevoli delle complessità del mondo d'oggi e futuro. I problemi economici, infatti, diventavano sempre più cogenti complicando direttamente la vita quotidiana delle persone comuni mentre il sistema politico sembrava del tutto incapace di prevenirli, come apparve evidente con il crollo delle banche americane del 2008-2009 e la conseguente crisi economica esportata in tutto il mondo.

Il Festival ha finora centrato l'obbiettivo ottenendo anno dopo anno un successo di pubblico, anche molto giovane, grazie anche ai temi affrontati da esperti di livello internazionale. Quest'anno, di punto in bianco - e senza informare gli altri componenti del comitato promotore - il Comune e l'Università degli Studi di Trento e del comitato organizzatore, la casa editrice Laterza - la Giunta provinciale ha deciso di sollevare dalla direzione del Festival il Prof. Tito Boeri, storico e stimato curatore scientifico dell'evento, per affidare la gestione a Confindustria. Uno sgarbo istituzionale e formale che ha offeso sia i partner che gli enti ignorati. Dopo le inevitabili polemiche su legittimità legale e ambiguità politica della decisione, Boeri e Laterza hanno trasferito in blocco il Festival dell'Economia a Torino mantenendo la stessa grafica, logo, mese e data di quello trentino. Chi la fa, l'aspetti! Sempre la Giunta provinciale, ha deciso di organizzare a Trento nel maggio 2022 un concerto di Vasco Rossi dove si prevede la presenza di 120mila spettatori: un "evento artistico" inspiegabile che dovrebbe essere approfondito. 5



Intervista a LOIS ANVIDALFAREI Il modo migliore per comprendere le sculture di Lois Anvidalfarei sarebbe di poterle vedere nel luogo dove l'artista è nato, vive e lavora: un antico maso con annesso il fienile e lo studio, incastonati in una valletta verde dove pascolano le mucche. E' in questo ambiente naturale idilliaco che sono state create le decine di bronzi esposti nel prato e nel bosco come in un museo all'aperto. Le ragioni profonde del suo lavoro sono ben spiegate dal ricordo rimastogli dei quattro scalpelli “Stubai” - da vero scultore - ricevuti in dono da bambino, della "via" trovata dopo una lunga e sofferta ricerca grazie al "Maestro" dal quale apprende i princìpi della forma di cui diverrà a sua volta Maestro. Il modo di essere di Anvidalfarei è definito dall'indole, dal luogo, dall'impronta familiare e sociale caratterizzate da una religiosità tradizionale praticata come regola di vita, punti fermi di un'etica che ha trasferito nella sua concezione artistica fortemente spirituale ed egli è un "costruttore" che cerca la verità in quel che fa. La sua ricerca si concentra fin dagli inizi sul corpo, forma fisica vitale e specchio di una bellezza sublime vissuta come manifestazione concreta dell'anima. Dopo un primo periodo di stilizzazione durante il quale esplora fino ai limiti figure umane massicce ma, allo stesso tempo, leggere e aeree, abbandona queste tipologie astratte per uomini e donne comuni, dotati di corporeità e passioni universali in cui - sebbene i volti siano nascosti o privi di espressione - chiunque possa riconoscersi. Il filo conduttore di ogni scultura è la ricerca di un'anatomia perfetta frutto dei tanti schizzi preparatori, e nondimeno reinterpretata liberamente in chiave psicologica per narrare sentimenti come la solitudine, l'ingiustizia, la paura, l'ineluttabilità del destino umano. Il naturalismo dei soggetti modellati magistralmente nel gesso contrasta con la consapevolezza della tragedia immanente comunicata dai suoi corpi che, sottoposti a forze esterne ignote, assumono posizioni estreme, esasperate, sofferenti in cui gli arti allungati e i muscoli contratti esprimono tormenti interiori capaci di straziare le sembianze umane e ridurle a pura carne. Lois è un umanista, scultore potente e drammatico il quale, con la sua esplorazione libera e scevra da falsi pudori dei grandi temi della Storia riguardanti il senso dell'esistenza e la condizione di un'umanità vittima e carnefice, si inserisce a pieno titolo nell'alveo dell'arte vera del nostro tempo. Paolo Tomio a sinistra: PIETÀ, 2014-2015, bronzo 118 x 216 x 175 cm

in basso: ITA EST, 2017, gesso, 39 x 147 x 86 cm


Quando hai cominciato a interessarti all'arte e alla scultura in particolare? Già da bambino, a sette anni volevo fare lo scultore. Mio zio era pittore e spesso come soggetto dipingeva bambini, così a sei anni posavo per lui. Più avanti mentre dipingeva e posava mio fratello, iniziai a disegnare anch’io. Era una cosa normale, stavo imparando, oggi mi viene da dire, come da bottega. In casa c’erano scalpelli da falegname, era difficile intagliare il legno e però sentivo il bisogno di farlo. L’anno dopo, a Natale, arrivò il regalo più bello, quattro scalpelli “Stubai”, scalpelli da vero scultore. Il desiderio di frequentare una scuola d’arte si avverrò negli anni successivi e frequentai per cinque anni l’Istituto d’arte a Ortisei in Val Gardena.

Perché, dopo l’Istituto d'arte a Ortisei, hai scelto NOLI ME TANGERE, 2020, bronzo, 43 x 147 x 94 cm

di frequentare l’Accademia d’arte a Vienna? Questo passaggio non è stato così immediato. Negli anni della mia gioventù si presentò una forte crisi esistenziale, diverse esperienze negative mi portarono a pensare ad altri percorsi da intraprendere. Il servizio militare fu un periodo bellissimo per me. Non dover pensare, solo eseguire gli ordini, senza responsabilità personale. Suonavo in Fanfara, questo tempo significava per me un periodo di fuga dalla realtà. Poi seguì un anno molto difficile. Avevo scelto di fare altro, volevo entrare nel mondo del commercio di artigianato artistico, sapevo intagliare il legno, all’epoca non sarebbe stato difficile. Era una scelta che però soffocava la mia vocazione interiore. La crisi esistenziale fu davvero grande, oggi sento di poter dire che quel tempo mi portò ad un’esperienza mistica, che mi fece capire e andare alla ricerca di un ”maestro”, era ciò che mi serviva. Partii, visitai Venezia, Urbino, Firenze, Milano, poi Vienna.


ECCE HOMO, 2009-2010, bronzo, legno, corda 300 x 500 x 300 cm

Entrato in accademia, vidi quello che facevano gli allievi di Joannis Avramidis, non ebbi nessun dubbio: quello era il mio posto.

allo stile liberty. Mentre attorno a lui succedevano le avanguardie storiche: cubismo, futurismo, dada, surrealismo, Blauer Reiter, costruttivismo, lui dipingeva la sua “Pietà”, per me un capolavoro nella storia dell’arte. Ma in fondo siamo tutti soli ed immersi nella nostra dimensione personale, spesso lenta e riflessiva, mentre intorno il mondo collettivo è continuamente attivo e operoso, anche in maniera bruciante, sovente in opposizione a ciò che siamo e raffiguriamo individualmente.

Quali sono state le correnti artistiche e gli scultori che ti hanno influenzato maggiormente? Amo Donatello, Marino Marini… l’innamoramento vero però è avvenuto quando ho incontrato le sculture di Wilhelm Lehmbruck, uno scultore che prima di arrivare a Vienna non avevo mai sentito nominare. Stimo da sempre, e oggi ancora di più, il pittore Albin Egger Lienz. La sua pittura sobria, unica e così propria e separata dal panorama artistico dell’inizio del ventesimo secolo in Austria, specialmente a Vienna, in quel periodo dedicata interamente

Quanto ha inciso sulla tua visione artistica l’’imprinting’ religioso della famiglia e della comunità in cui vivi?

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L’influsso è stato enorme, nella mia infanzia ogni azione che fosse di consuetudine quotidiana, iniziava e finiva con una preghiera. La prima scultura che ho visto e con la quale sono cresciuto, è il crocifisso nella “Stube”, fuori dalla casa le opere d’arte che vedevo e potevo osservare, erano quelle nella chiesa del nostro paese. Per fortuna tutte di una notevole qualità artistica: Matthäus Günther di Augsburg, Karl Henrici, boemo che visse a Bolzano, erano grandi maestri, e però anche il Cristo nel soggiorno della nostra casa, fatto da uno scultore di provenienza contadina, è una scultura che emana una profonda verità, è un’opera indubbia nella sua autenticità.

Il tuo rapporto con la ‘corporeità’ è stato messo in relazione con le tue origini contadine: trovi ci sia del vero in questa interpretazione? IPSUM, 2016, gesso, 50 x 118 x 71 cm

Il fatto di essere anche contadino ha certamente avuto un influsso, così come influisce ogni esperienza personale. Penso che la vicinanza dei miei lavori alla terra, ad una forma concreta senza abbellimenti attorno, lo svilupparsi lento delle forme, del linguaggio scultoreo, guidato da una fondamentale costanza e disciplina, abbiano a che fare con le mie origini. E così anche il legame quasi ossessivo alla corporeità. Ciononostante, credo che le origini bisogna andare a cercarle più in profondità, oltre alla logica e alla dimensione fisica, cercarle nell’essenza dell’essere umano, nelle profondità, nelle viscere della coscienza. Vorrei dire subconscio, ma è una dimensione, della quale non riesco a parlare, la sento invece, con persistenza.

Hai sperimentato anche altre tecniche prima di dedicarti stabilmente al bronzo?


HIC ET NUNC, 2014, bronzo, 86 x 87 x 67 cm

Certo. Anche, perché non si inizia con il bronzo. Il bronzo è l’ultima fase di un percorso lungo e complicato, nel quale si passa attraverso diverse tecniche: il disegno, l’argilla, il gesso, il silicone, la cera. Io mi ritengo uno scultore classico che, come dall’antichità in poi, lavora con il gesso. È un materiale che mi appassiona dai miei inizi. Mi da la possibilità di lavorare, a partire dallo stato liquido, pastoso, fino alla sua limatura quando si indurisce. Non sono mai stato attratto dalla sperimentazione di tecniche avanguardistiche e non mi coinvolge in maniera professionale la sfera dei nuovi media.

tanto. L’espressione: “l’artista è libero di fare quello che vuole”, per me questa è una frase che non corrisponde alla realtà. Mi piace invece esprimermi così: “Io devo fare quello che devo fare.” Per ciò che mi riguarda, ho solo una possibilità ed è la mia. Certo, le domande: chi sono io? Cosa devo, cosa posso fare? Perché lo faccio? Il tempo ormai, gli anni passati mi hanno permesso di rispondere ad alcune di queste domande, per esempio ho capito che la figura nuda, il corpo è il tema della mia continua ricerca.

Perché la figura umana nuda è sempre stata il tema centrale della tua ricerca?

Come sono accolti i tuoi corpi, soprattutto maschili, così espliciti nella loro nudità?

Non penso che un’artista possa scegliere più di

Ognuno di noi ha un corpo ed è consapevole 11


INCOLTO, 2011, bronzo, tubi innocenti 59 x 124 x 60 cm

condividere con me una sua esperienza di forte dolore, raccontandomi che una delle mie sculture in quel momento triste gli avrebbe salvato la vita.

di averlo, poiché lo possiamo toccare, lo possiamo amare oppure odiare, lo possiamo accettare oppure rifiutare… insomma, è impossibile non sentirlo ogni giorno, non ci lascia indifferenti. Ed è per questo motivo che la disinvoltura stenta, che proviamo soggezione davanti ad una scultura che rappresenta innanzitutto un corpo. Le mie sculture hanno provocato non poche reazioni negative, alcune così negative che i bronzi hanno subito danni attraverso atti vandalici. Altre persone rimangono affascinate da esse, sono attratte dalla loro verità, poiché prive di artefatto. L’esperienza più toccante con il pubblico nel mio percorso di scultore, mi è successa all’ascolto di una persona che voleva

Ti basi sempre su dei modelli reali però, in corso d’opera, modifichi le proporzioni dell’anatomia per arrivare a ciò che ti interessa? Questo è il lavoro dello scultore. Il modello, la natura sono una cosa, la scultura è una cosa diversa. La natura ha le sue proprietà, dalla natura posso imparare, provare a capire certi passaggi da una forma all’altra, mentre la scultura vive di qualità diverse. La scultura è fine a sé stessa, e deve dunque adempiere la propria 12


funzione. La possibilità di poter lavorare con un modello mi dà la libertà di creare, di dare vita ad un semplice pugno di gesso.

Quali sono le parti del corpo che trovi più interessanti dal punto di vista plastico ed espressivo? Il corpo è nel suo intero una meraviglia, più lo guardo, più mi affascina. La testa con la sua espressività, questa forma così definita che cambia aspetto di continuo, percepire il mistero che un cranio contiene… anche il solo pensiero mi emoziona. E poi le mani, e avanti arrivando ad un capolavoro della natura: il minimus pedis, il quinto dito del piede.

Agli inizi le tue forme erano stilizzate, arrotondate, morbide e i personaggi massicci, dinami-

ci, leggeri e fluttuanti nell’aria, ma sostanzialmente sereni? Non saprei se sostanzialmente sereni. Dopo varie esperienze iniziali sono partito da una scultura apparentemente più astratta, le forme semplici contenevano già tutti i particolari del corpo. Andando avanti nello studio sono arrivato ad un punto nel quale della scultura rimaneva ormai solo il concetto, così nel corso degli anni le sculture hanno perso lentamente il loro volume. Ora i particolari e i dettagli sono definiti e visibili, e nonostante siano molto più visibili nella loro corporeità, il loro insieme rimane una forma astratta.

Progressivamente i tuoi corpi sono diventati più veristi, scavati e drammatici fino a trasformarsi in pura carne da macello? CONDITIO HUMANA, 2011-2013, gesso tubi innocenti, 200 x 260 x 209 cm


Non è così, il processo lavorativo non è sempre in regolare sviluppo da un punto all’altro. Il corpo è carne e dalla carne alla carne da macello il percorso è breve. Da bambino, direi da sempre, ho avuto esperienza diretta con la carne da macello, macellare un’animale fa parte del lavoro in un maso. Crescendo e aprendo gli occhi sul mondo ho visto e incontrato la brutalità dell’uomo sull’uomo. Questa realtà supera ogni possibile fantasia. Ed è questo dramma, questa dimensione che non mi dà pace, continuamente, è imprescindibile nelle mie opere.

Ora inserisci le sculture in strutture spaziali molto complesse per rendere più drammatiche le tue composizioni? Si parte da un’idea, l’idea si sviluppa e prende forma. Il concetto assieme alle esperienze di vita, alla sensibilità del tatto, all’odore, alle vibrazioni dell’aria, tutte queste componenti maCARO, 2016, bronzo, 56 x 140 x 77 cm

turano l’idea iniziale. Così un lavoro si estende dalla figura allo spazio. Lo spettatore può entrare nella struttura, nella scultura, facendone parte. Sicuramente farà un’altra esperienza, ma non direi più drammatica, forse più intensa.

Come hai interpretato il difficile compito di intervenire sulla facciata barocca della cappella di San Giorgio a Innsbruck? L’esperienza fatta a Innsbruck è stata molto coinvolgente. Il mio compito era di inserire quattro sculture nelle quattro nicchie rimaste vuote sulla facciata barocca della cappella del consiglio provinciale del Tirolo. Per fare questo, ho costruito il modello di una nicchia in formato originale, formando la scultura direttamente dentro ad essa. Solo così sono riuscito a cogliere lo spazio, ad immedesimarmi con l’intera facciata. La nicchia, come l’abside, sono soluzioni formali geniali che attraversano ormai i secoli e continuano a mantenere il loro valore.


TESTA (GUSTL), 2019, bronzo, 29 x 37 x 36 cm

Quanto è importante il disegno per studiare nuovi punti di vista dei corpi?

za, le emozioni sono personali e spesso girano solo intorno al proprio ombelico. Un lavoro inizia ad avere sapore quando si avvicina ai valori universali, quando il mio mal di pancia diventa il mal di pancia del mondo. Se succede questo i significati saranno la loro conseguenza. Molte volte lavorando, questi pensieri svaniscono, mentre rimane la scultura solamente, che mi trascina da una forma all’altra, arrivando possibilmente ad una compattezza, ad un’omogeneità che può avvicinarsi ai valori universali appunto.

Il disegno è una parte molto importante del mio lavoro. Il disegno, il segno è immediato. Il primo punto sulla carta potrebbe già essere la pupilla dalla quale scaturisce l’immediatezza dello sguardo, mentre nella scultura, con la tecnica che uso io, ci vogliono mesi per arrivarci. Il disegno ha due dimensioni, la scultura ne ha tre e questa effettività mi porta a fare un discorso molto più complesso. Non solo il disegno serve per lo studio della scultura, ma succede e non di rado, che la scultura diventi lei stessa lo studio per il disegno.

Cosa ti interessa rappresentare nelle tue opere: concetti, emozioni, significati…?

Come definiresti il tuo stile? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile?

A me interessa provare ad andare oltre i concetti e possibilmente oltre le emozioni. Le emozioni vanno bene come punto di parten-

“Stile” è un termine che non ho mai amato, io non ho uno stile mio, non l’ho mai cercato. A me sembra la cosa meno importante cercare 15


a destra: FACCIATA DELLA SPERANZA, Cappella del Consiglio Provinciale, Innsbruck 2007-2009

in alto: NIHIL, 2017, bronzo, 39 x 146 x 73 cm

di essere riconoscibili. Spesso diventa un marchio banale, superficiale che uno usa per farsi riconoscere. Si cerca l’originalità a tutti i costi, nel distinguersi dagli altri con un segno, oppure con un modo di trattare il materiale come mai prima. Queste originalità molte volte compromettono e vanno a scapito del lavoro stesso. A me interessa invece essere riconoscibile nella ricerca, nella serietà dello studio, andare a fondo in un lavoro, portarlo avanti senza lasciarmi influenzare dai risultati avuti nelle precedenti ricerche. Seppure sia io stesso il più grande ingombro nel mio lavoro, io attaccato alla convinzione di aver raggiunto anche i più piccoli risultati. Vorrei saper volare, vorrei essere libero, essere tutto quello che non sono… e invece eccomi qui, continuamente davanti ad un foglio bianco e vuoto.

poesia finisce così: «Credo nella bellezza, e qui conviene fermarmi». La bellezza è effimera, inafferrabile, la bellezza è un dono.

Cosa è per te l’arte? Non ho risposta certa, posso invece rispondere alla domanda, cosa sia per me la scultura. La scultura è per me una lingua che per esprimersi usa la forma. Una prova di risposta dai miei quaderni: «L’arte è quando raggiungo un alto grado di spiritualità nel lavorare: qui presente e assente, completamente assente e lavorare. Limare nella luce della grazia, limare nelle voci più fini che l’uomo riesce a percepire in dissonanze che accordano e che solo la punta delle dita sentono e accolgono mentre un brivido trapassa tutto il corpo.» «C’è il passaggio dalla carne allo spirito: quando una forma comincia a definirsi e passa in un’altra dimensione, ad un certo punto si dissolve ed è così! Ed è giusta così, poiché è.»

Cos’è la bellezza? È un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori? C’è una poesia di Roberta Dapunt che amo particolarmente, dopo varie riflessioni sul credo, la 16



leria d'arte moderna a Bologna, con Il Nudo fra ideale e realtà, una storia dal neoclassicismo ad oggi, nel 2005 presso Palais Lichtenstein (Feldkirch), dal titolo Kunst.Szene.Südtirol; nel 2006, Arte+Tempio nel Palazzo Vescovile di Bressanone e Trasgressioni il disegno in Alto Adige post 1945 al Museo civico di Brunico; nel 2008 partecipa alla biennale d'arte contemporanea Manifesta7, all' Art House di Bregenz nella mostra dal titolo 5 Schüler von Prof. Joannis Avramidis e a Villa Claudia di Feldkirch in Skulptur. Nel 2009 è presente in Sammellust a Kunst-Meran, in Todesangst al Museo civico di Brunico, nella collettiva Clusa al Museo civico di Chiusa, al Lanserhaus di Appiano per la mostra Zauber der Zeichnung, Zeichnungen in Österreich 1946-2009. Espone a Villa Falkenhorst, a Thüringen, nel 2010, e, nel 2011 nella mostra intitolata Figura, una storia della scultura in Alto Adige, Tirolo e Trentino dopo il 1945 presso il forte di Fortezza al Lanserhaus in Una storia del corpo. Fondamentale la sua presenza nello stesso anno nel Padiglione Italia della 54.ma Biennale di Venezia. Tra le mostre collettive più recenti, Born in the Dolomites al Künstlerhaus di Vienna nel 2013, Ecce Homo presso Schloss Bruck a Lienz e Sculptura nella Galleria Doris Ghetta di Ortisei. Numerosi sono i lavori pubblici commissionati all'artista, tra i quali, nel 2007, Metànoia, grande testa con mani, scuola provinciale superiore di sanità Claudiana, Bolzano; nel 2008, Altare, ambone, scanno, Chiesa parrocchiale di Mondsee (A); nel 2009, Facciata della speranza, Casa del governo, Innsbruck (A); nel 2010, Gedenken an alle Opfer von Gewalt, testa con mani, Lans presso Innsbruck e Altare, ambone, scanno, Chiesa parrocchiale Maria im Moos, Vipiteno; nel 2011, Hommage an Friedrich Gulda, testa in bronzo, Guldapark, Vienna; nel 2014 l'allestimento del presbiterio della basilica di Sonntagberg (A); nel 2015 l'allestimento del presbiterio della chiesa di San Lorenzo in der Wasserlos am Mondsee (A), mentre nel 2017 lo vede impegnato in Bruno mit Hand, Ospedale, Hall in Tirol e in Conditio Humana, Gefallene Engel al Zott-Museum di Unterammergau. Nel 2020 grande mostra personale, Viandanti, al castello di Pergine, seguono nel 2021 „Passus“ nella Johanniterkirche (Feldkirch) „Ces“ al Tubla da Nives (Selva di Val Gardena) e l’ installazione „Pietà“ nella Ruprechtskirche a Vienna.

LOIS ANVIDALFAREI è nato nel 1962 a Badia (Alto Adige). Dal 1976 al 1981 frequenta l'Istituto d'Arte di Ortisei in Val Gardena. Nel 1983 inizia a studiare all'Accademia di Arti Figurative di Vienna, dove riceve un'impronta decisiva sia come disegnatore che come scultore grazie all'incontro con l'opera e la persona di Joannis Avramidis. Nel 1989, dopo aver terminato gli studi, ritorna al proprio paese d'origine. Vive e lavora a Badia dove gestisce il maso lasciatogli in eredità dai genitori. Alla sua mostra personale al RLB-Atelier di Lienz nel 2004, fanno seguito esposizioni a Bregenz (2007, Art House), Mondsee (2009, Chiostro della Basilica), Innsbruck (2012, Ecce Homo, Monastero Wilten), Roma (2013, Macro Testaccio), Feldkirch (2013, Museum für Druckgrafik, Rankweil), Gstaad (2016, Galleria d'arte a Gstaad), Innsbruck (Galleria Maier), Ratisbona (2018, Körper, Historisches Museum) e Amburgo (2018, Dieser Körper, der nicht aufhört, Barlach Halle K). Numerose inoltre sono le mostre personali a lui dedicate a Bolzano, presso la Galleria Goethe, e in tutto il territorio regionale. Tra queste, si ricordano in particolare l'esposizione del 2008 al Museo Ladin di San Martino in Badia e quella del 2009 al Museo Civico di Brunico. Singolare la mostra L'immagine terrestre nel 2013 presso il Centro Arte Contemporanea di Cavalese in dialogo con il pittore Gotthard Bonell e l'esposizione di una ricca selezione di disegni alla Galleria Civica di Bressanone nel 2014. Nel 2018 espone alla Barlach Halle K di Amburgo e al Historisches Museum di Ratisbona; nel 2019 ha luogo la mostra personale Ita Est presso la Galleria Alessandro Casciaro e l'adiacente parco dei Cappuccini, interamente dedicato al suo percorso artistico, così come in Viandanti, a Castel Pergine, nel 2020. È presente, tra i più interessanti scultori internazionali in mostre collettive in vari musei europei. Una breve selezione di mostre lo vede nel 2004 nella Gal-

Tutte le fotografie sono di: @Foto Watzek

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ART E' possibile sfogliare tutti i numeri delle annate 2012-2021 della rivista icsART sul sito icsART all'indirizzo:

www.icsart.it icsART N.12 2021 Periodico di arte e cultura della icsART in alto e in basso: NUDO, 2016, matita su carta 70 x 50 cm

Curatore e responsabile Paolo Tomio

PERIODICO della icsART N.12 - Dicembre 2021

icsART

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MERCATO DELL’ARTE ? tura in tutta la sua fantasia e il suo incanto»; la seconda, l'ascolto del "Lohengrin" di Wagner al Bol'šoj che gli dimostra come l'oggetto non sia necessario in un quadro poiché «L’arte non è questione di elementi formali, ma di un desiderio (=contenuto) interiore che determina prepotentemente la forma». Questa rivelazione lo spinge ad abbandonare a trent'anni la carriera d'insegnante e, grazie al reddito di cui gode, trasferirsi a Monaco per dedicarsi solo alla pittura. Qui viene in contatto con le avanguardie artistiche dell'Espressionismo che influenzano la sua pittura così che nel 1910 avviene la sua svolta verso un'arte totalmente astratta. Incontra anche Rudolf Steiner che lo inizia alle teorie della teosofia; conosce Gabriele Münter, una sua giovane allieva che diventerà la sua compagna per i successivi 15 anni. Nel 1911 fonda con l'amico Franz Marc "Der Blaue Reiter", una libera associazione di nove artisti interessati a sviluppare un linguaggio astratto che offrisse spazio a diverse modalità di espressione unite nella fede in una dimensione "spirituale" dell'arte. Alla ricerca della rivelazione spirituale, quasi mistica, di una pittura in cui «è bello ciò che è prodotto dal bisogno interiore, che scaturisce dall'anima», sottolinea che al pittore astratto si richiede, oltre al saper disegnare bene e possedere una sensibilità per la composizione e per i colori, una caratteristica essenziale: che sia un vero poeta. Inizia così il periodo più intenso e produttivo della sua vita in cui cerca di realizzare il suo convincimento che, per poter esprimere la propria vita interiore, la pittura deve essere sempre più simile alla musica e che i colori devono sempre più assimilarsi ai suoni. Il colore, infatti, nasconde un potere ancora sconosciuto ma reale, che agisce su ogni parte del corpo umano e provoca una

WASSILY KANDINSKY, (1866-1944), BILD MIT WEISSEN LINIEN, 1913, olio su tela, 119.5 x 110 cm, venduto da Sotheby's London 2017 a GBP 33.008.750 (€ 38.515.000). (vedi a pag.28) Il pioniere dell'arte astratta, il pittore russo (naturalizzato tedesco e poi francese) Wassily Kandinsky ha realizzato nel 1910 il primo dipinto esplicitamente astratto della storia della pittura analizzando questo nuovo linguaggio nel profetico libro “Lo spirituale nell’arte” del 1911. Nato a Mosca in una famiglia agiata e colta che incoraggia il suo dono unico e precoce per le arti visive e musicali, dopo essersi laureato in diritto, etnografia ed economia, Wassily ottiene una cattedra di Diritto all'università. Due esperienze "imprimono un marchio su tutta la sua vita": la prima, vedere il quadro "I covoni" di Claude Manet che, nell'assenza di realismo e l'intensità della tavolozza, «gli mostra la pit20


WASSILY KANDINSKY vibrazione psichica dilatando la coscienza. Oggi si ritiene che Kandinsky fosse sinestesico, cioè dotato della capacità di percepire simultaneamente suoni e colori ("vedere" la musica) per questa sua esigenza di trasferire la musica la più immateriale delle arti - direttamente nella pittura. Evoca la musica anche nei titoli delle sue opere più liriche, come improvvisazione, impressione, composizione, proprio per sottolinearne la distanza dal mondo oggettivo. Nel 1914, allo scoppio della guerra, in quanto cittadino di una nazione nemica, Kandinsky rientra a Mosca dove si separa definitivamente dalla Münter e sposa la ventenne Nina Andreievskaja. Quando nel '17 scoppia la rivoluzione d'Ottobre che lo espropria di tutte le proprietà che gli davano da vivere, partecipa attivamente al clima avanguardistico del Suprematismo e del Costruttivismo ricoprendo importanti cariche pubbliche nel campo dell'arte e fondando anche l'Accademia delle scienze artistiche, ma nel '21, a causa delle difficoltà con cui si scontra, torna in Germania per insegnare al Bauhaus di Weimar, la scuola di arte applicata fondata

da Gropius che svolgerà un ruolo fondamentale nel rinnovamento artistico europeo. Dal '22 al '33 svolge la sua attività didattica, di creazione e ricerca con grande libertà e serenità, stimolato dal contatto con i maggiori architetti e artisti di europei la cui influenza si sente nel nuovo ordine geometrico più preciso e rigoroso che introduce nel suo astrattismo. Nel 1926 pubblica il libro "Punto e linea nel piano", innovativo contributo a una "scienza della pittura". Nel 1928 gli viene concessa la nazionalità tedesca ma quando nel '33 il Bauhaus viene chiuso dal regime nazista, i Kandinsky si trasferiscono in Francia a Neully-sur-Seine, un sobborgo di Parigi. Qui ottiene la cittadinanza francese e trascorre gli ultimi anni di vita dipingendo. Influenzato dal surrealismo, cambia nuovamente stile sperimentando un'originale poetica biomorfica animata da coloratissimi motivi sospesi nello spazio ispirati al mondo organico. Muore a 77 anni in relativo, ma sereno, isolamento STUDIE ZU IMPROVISATION 3, 1910, olio e tempera su cartone, 44,7 x 64,7 cm, venduto da Christie's London 2013 a GBP 13.501.875 (€ 15.795.360)


L'ARTE DELLA MEDITAZIONE La storia dell'arte occidentale, nel suo infinito eurocentrismo, fa risalire la nascita dell'arte astratta al primo decennio del secolo scorso attribuendone la paternità al russo Wassily Kandinsky, oppure alla pittrice svedese Hilma af Kint, riscoperta solo recentemente. In realtà, un'arte astratta - in quanto slegata da finalità figurative - ha origini più lontane e radici profonde in Oriente, non tanto nella creazione di opere d'arte non oggettive, quanto nella filosofia con cui artisti e uomini di cultura si approcciavano alle bellezze mondane e a quelle della natura che ne è lo specchio, la manifestazione fisica e visiva immediatamente percepibile. É proprio per questa ragione che la cultura asiatica, particolarmente quella cinese e giapponese, ha sempre avuto al centro della propria visione del mondo la presenza dell'uomo e di tutti gli altri esseri viventi, coltivando un rapporto privilegiato con una bellezza nascosta, non evidente, da scoprire attraverso l'osservazione, la meditazione, la sensibilità aperta nei confronti di ogni segnale che ne favorisca la consapevolezza. La perfezione dell’universo è il modello da imitare, seguire e riprodurre e per questa ragione, la medicina, la filosofia, la religione, la trascendenza e le arti orientali, prendono sempre la natura come loro guida. Questo avveniva (ed avviene) perché la concezione di natura che si trova in Oriente è sostanzialmente diversa da quella presente in Occidente. Il termine giapponese (e cinese) per natura vuol dire “essere così come si è da se stessi”, significa che la natura si produce da se stessa in un processo completamente autoctono, autoreferenziale ed endogeno e che anche l'uomo è natura. Nel pensiero giapponese, l’universo ha inizio per un atto di “generazione” e non di “creazione” divina, ed esiste una identità

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ARMONIA CON LA NATURA sostanziale e una profonda comunione - poiché li anima la medesima energia vitale - fra l’uomo e la natura che è considerata madre e maestra, guida certa, l’origine di tutto. Al contrario, l'Occidente ritiene che la natura sia stata creata da Dio, sia soggetta e al servizio dell’uomo il quale - essendo stato creato da Dio a propria immagine e somiglianza - è diverso e superiore alla natura e quindi possegga il diritto di dominarla e usarla a proprio piacere. In Cina è sempre esistita una forma di sensibilità nei confronti di raffigurazioni della natura, che si ritrova in particolare nelle collezioni di marmi considerati particolarmente pregiati a seconda del tipo, del disegno e dei colori delle loro venature che è corretto definire astratte. Queste lastre, delle dimensioni di un libro, erano molto ricercate già a partire dalla tarda dinastia Qing (1644 - 1912) per la loro peculiarità di poter sollecitare sentimenti poetici, evocare esperienze o ricordi profondi, insomma di elevare lo spirito e favorire la meditazione dell'osservatore. In effetti, le persone abbienti e colte possedevano delle collezioni di placche di marmo in cui si percepiva l'apparenza di mondi lontani, si intuivano paesaggi immersi nella nebbia o montagne all'orizzonte o frammenti di rocce, nubi disperse nel cielo o riflessi di luce sul pelo dell'acqua di un ruscello. Insomma, pura astrazione perché, ciò che si era formato nel corso di ere geologiche di milioni di anni, può raffigurare qualsiasi oggetto in chi si avvicini con lo spirito disponibile e un desiderio sincero di penetrare il senso delle cose. In una semplicissima lastra di pietra è possibile intravedere mondi illimitati se non l'intero cosmo pietrificato: un'immagine fedele di ciò che è stato e che sarà perché, seppur infinitamente piccola, consente di entrare in contatto con il Tutto.

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LE MONDE DES SCHTROUMPFS

In Francia si chiamano "les Schtroumpfs" (pronunciato come se fosse tedesco), gli inglesi li chiamano "the Smurfs", "los Pitufos" in Spagna, e qui da noi, dopo un breve periodo in cui il nome era "gli Strunfi", cambiato nel 1964 per ovvie ragioni, sono diventati "i Puffi", quando sono apparsi per la prima volta sul Corriere dei Piccoli. Nati abbastanza casualmente nel 1958 dalla matita del belga Pierre Culliford, in arte Peyo, quando li inserisce come personaggi secondari nel suo fumetto di Johan & Pirlouit "La flûte à six schtroumpfs" (Il flauto a sei puffi). Visto il successo riscosso dai piccoli folletti blu, Peyo decide di provare con un primo racconto in cui questi siano i protagonisti, intitolato "Les Schtroumpfs noirs". Inutile dire che anno dopo anno il pubblico dei bambini (ma anche degli adulti) comincia ad apprezzare e amare le avventure di questi divertenti folletti (o forse gnomi, vista la statura?). Ha sicuramente contribuito al successo il disegno esperto e accattivante di Peyo che li rende carini ed epidermicamente simpatici, la fisionomia e le fattezze caratteristiche dei cuccioli: tutti esattamente uguali tra di loro, testa grossa e rotonda, occhioni e nasone ridicolo, grandi orecchie sporgenti, una piccola coda a pallina e anche il loro strano color... blu puffo. Il tutto sempre con un'espressione e fe-

lice e sorridente Lo stesso abbigliamento bianco uguale per tutti, torso nudo e una specie di calzamaglia unita alle scarpe, un morbido berrettone a punta (ad eccezione del Grande Puffo vestito di rosso), li rendono ancora più carini e coccoloni. La grafica è variata nel corso degli anni rendendo più morbidi e teneri gli omini blu e anche il colore che è passato dall'azzurro carico a un azzurro chiaro più vivace. Peyo ha raccontato che il nome "Schtroumpfs" era nato nel '58 quando, chiedendo all'amico di passargli la saliera della quale non gli veniva il nome, gli disse: «Passami...il puffo (le schtroumpf)», e l'altro ridendo rispose: «Tieni, ecco il tuo puffo, e quando avrai finito di puffarlo, me lo ripufferai». Questo immaginifico linguaggio puffesco è si è rivelato vincente perchè fantasioso ma comprensibile ai bambini al punto che che nel '79 Umberto Eco gli ha dedicato il saggio, "Schtroumpf und Drang". In effetti nella "lingua" dei Puffi esistono sostantivi (puffo, puffa...), verbi (puffare), aggettivi (puffoso), di cui tutti comprendono subito il senso, come nel caso delle lamentele del Puffo pigro: Puffare! Sempre puffare! Ne ho piene le puffe, io! Come spiegato dal Puffo narratore nell'incipit della prima storia, «i Puffi hanno una statura molto piccola, la pelle blu e poi uno strano

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STORIA DELL’ARTE modo di parlare: essi parlano "Puffo!». Vivono tutti insieme nella foresta di Pufflandia, in case scavate dentro funghi dal cappello rosso. Ma quanti sono i Puffi? Storicamente erano 99 ma dopo l'episodio "Il centesimo puffo", il numero sale a 100. Nei cartoni animati si aggiungeranno poi anche il Grande Puffo, Puffetta, Baby Puffo, Nonno Puffo e Nonna Puffa arrivando a un totale di 105 personaggi. In realtà, inizialmente Puffetta, l'unica Puffa femmina, era un personaggio cattivo dai capelli neri creato da Gargamella per spiare i Puffi, trasformata in seguito grazie a una magia del Grande Puffo in una vera Puffetta biondissima. Nel villaggio di Puffolandia ognuno svolge un mestiere utile alla comunità governata dal Grande Puffo che è il capo riconosciuto perché il più saggio e il più vecchio con i suoi 542 anni oltre che l’unico in grado di preparare pozioni magiche. Se per i giovani lettori i Puffi sono esserini adorabili, per Gargamella, il loro nemico storico che ha le dimensioni di un umano, «Un Puffo è un

essere maligno! È la creatura più orribile e detestabile della foresta!». Inutile dire che tutti i suoi tentativi contro i Puffi falliscono e finiscono con una grande festa collettiva. La fortuna di dimensioni mondiali dei Puffi è in gran parte merito del successo riscosso dalla serie animata di Hanna & Barbera, iniziata nel 1981 e proseguita per quasi un decennio. Molti ricordano ancor oggi le sigle televisive cantate da Cristina D’Avena la quale ha superato con il primo singolo le 500mila copie vendute mentre nel mondo, i dischi dei Puffi hanno raggiunto i 30 milioni di copie. Strepitoso il successo nei cinema del primo film d'animazione "I Puffi" che ha incassato nel 2011, 564 milioni di dollari. Apparsi per la prima volta in televisione 40 anni fa, i Puffi hanno debuttato quest'anno con una nuova serie sul canale di Sky, vedremo se anche le nuove generazioni di bambini assuefatti alla grafica scadente e aggressiva dei cartoni giapponesi, si lasceranno incantare come i loro genitori da questi nanetti blu.



Dicembre 2021, Anno 10 - N.12

News dal mondo WASSILY KANDINSKY

BILD MIT WEISSEN LINIEN, 1913

pag. 28

WASSILY KANDINSKY

RIGIDE ET COURBÉ, 1935, 1960-66

pag. 29

WASSILY KANDINSKY

STUDIE FÜR IMPROVISATION 8, 1909

pag. 30

WASSILY KANDINSKY

IMPROVISATION AUF MAHAGON, 1910

pag. 31

SANTA KLAUS, 2021

pag. 32

Omaggio a WASSILY KANDINSKY

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WASSILY KANDINSKY, BILD MIT WEISSEN LINIEN (Pittura con linee bianche), 1913, olio su tela, 119.5 x 110 cm, venduto da Sotheby's London 2017 a GBP 33.008.750 (€ 38.515.000) .

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WASSILY KANDINSKY, RIGIDE ET COURBÉ, 1935, olio e sabbia su tela, 114 x 162,4 cm, venduto da Christie's New York 2016 a $ 28.642.500 (€ 24.944.900)


WASSILY KANDINSKY, STUDIE FÜR IMPROVISATION 8, 1909 olio su carta montata su tela, 98 x 70 cm, venduto da Christie's New York 2012 a $ 23.042.500 (€ 20.067.800)

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WASSILY KANDINSKY, IMPROVISATION AUF MAHAGON 1910, olio su pannello di mogano, 63.5 x 100.2 cm, venduto da Sotheby's New York 2018 a $ 24.233.800 (€ 21.106.000)



PAOLO TOMIO: Omaggio a WASSILY KANDINSKY "SANTA KLAUS", 2021, smalto su vetro 20 x 20 cm


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