PERIODICO della icsART N.11 - Novembre ANNO 2016
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In copertina: Romano Perusini, Sintesi razionale, 1965, rilievi e tempera su tela, 100x100 cm
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icsART
sommario
Novembre 2016, Anno 5 - N.11
Editoriale
Sempre allegri bisogna stare
pag. 4
Politiche culturali
Like a Rolling Stone
pag. 5
Intervista ad un artista
Romano Perusini
Mercato dell’arte?
Alberto Giacometti
pag. 20-21
Storia dell’arte
Le Mirabilia di Marylin
pag. 22-23
Bandiera Rossa
Bandiere Rosse
pag. 24-25
pag. 6-19
News dal mondo ALBERTO GIACOMETTI
L’homme au doigt, 1947
pag. 28
ALBERTO GIACOMETTI
Diego en chemise écossaise, 1954
pag. 29
ALBERTO GIACOMETTI
Chariot, 1950
pag. 30
ALBERTO GIACOMETTI
L’homme qui marche I, 1960
pag. 31
Aleppo, 2016
pag. 32
Omaggio ad ALBERTO GIACOMETTI
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EDITORIALE con la storia italiana e il recupero di una recitazione popolare che riuscisse a comunicare il suo lavoro. Con il Nobel si è voluto premiare l’autore di testi teatrali di satira anche per il costante impegno sociale perché Dario Fo ha sempre rivendicato di essere dalla parte degli oppressi, dei lavoratori, del popolo, quando ancora esistevano queste categorie e non quella sola e unica dei telespettatori-consumatori. Tra le considerazioni ne manca però un’altra essenziale e cioè che Fo era assolutamente divertente e che, coniugando cultura alta e cultura popolare, riusciva a trascinare ogni volta in uno ‘sghignazzo’ liberatorio (come lo chiamava lui), gli spettatori di tutto il mondo, dimostrando che il grande teatro può e deve farsi capire da tutti. La sua creazione artistica più importante rimane il grammelot, una lingua universale inventata, un insieme di parole e suoni onomatopeici accompagnate a una recitazione mimica e gestuale esagerate che grazie a una espressività coinvolgente e istintiva, consentono di comunicare emozioni e suggestioni agli spettatori. Lo stile, irriverente e portato all’eccesso, si richiama alle rappresentazioni medioevali eseguite dai giullari e dai cantastorie (e, poi, anche della Commedia dell’arte italiana) basate su un uso del corpo e della recitazione assolutamente originali. In ‘Mistero buffo’, considerata la sua opera migliore, ogni suono, verso, parola o canto, uniti alla complessa gestualità utilizzata, creano un insieme in cui passato e presente sono inscindibilmente intrecciati. Ricordiamo Dario con il suo inno-sberleffo: «Sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam».
SEMPRE ALLEGRI BISOGNA STARE Il 13 ottobre si è spento Dario Fo. E’ interessante ricordare le ragioni per cui l’Accademia di Svezia gli ha assegnato nel 1997 il Nobel per la Letteratura (ultimo italiano dopo il premio dato a Eugenio Montale nel 1975): «Il Premio Nobel per la Letteratura viene assegnato quest’anno allo scrittore italiano Dario Fo, perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi.» La motivazione contiene tutti gli elementi fondamentali del suo mestiere di ‘guitto’, come diceva di sè stesso: la resistenza etica e politica nei confronti del Potere, il suo stretto legame
In alto: Autoritratto di Dario Fo per “Mistero buffo”
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POLITICHE CULTURALI LIKE A ROLLING STONE
la sua fama è cresciuta fino a diventare uno dei più importanti cantautori e compositori della seconda metà del Novecento. Il valore letterario della sua produzione non è mai stato messo in discussione tanto che nel 2008 gli è valso un premio Pulitzer alla carriera. «Ho imparato più dalle canzoni che da qualsiasi altra entità. Le canzoni sono il mio lessico». Anche se, dopo il Nobel si è aperto un dibattito se una ballata folk o rock possa o meno rientrare nell’ambito della letteratura, sicuramente Dylan con i suoi testi arrabbiati, ermetici e misteriosi e la sua voce stridula e arrugginita, ha affascinato e affascinerà ancora a lungo le persone in tutto il mondo.
In contemporanea con l’annuncio della scomparsa del giovane-anziano Dario Fo è apparsa la notizia del Nobel per la letteratura assegnato all’anziano-giovane cantautore Robert Allen Zimmerman, meglio conosciuto come Bob Dylan, con la seguente motivazione: «Per aver creato una nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione canora americana». Due artisti iconoclasti e impegnati che più diversi non potevano essere: l’uno, il ‘giullare’ sghignazzante, sbeffeggiante e solare, l’altro, il ‘bardo’ triste, chiuso e lunatico. Forse a causa della storia triste della sua famiglia: nonni materni, ebrei lituani emigrati negli Stati Uniti agli inizi del 900 e quelli paterni, ebrei scappati da Odessa per sfuggire ai podgrom. La fotografia del 1966 di Art Kane (vedi a destra) coglie perfettamente il carattere introverso e difficile del venticinquenne Bob bloccato in un angolo, sensazione che in seguito proverà molte altre volte. Ciononostante, o forse, proprio per questo suo temperamento, Dylan è riuscito a creare in 60 anni di carriera una produzione così sconfinata di composizioni dallo straordinario potere lirico, che a tutti i suoi fans il Nobel per la letteratura (oltre che per la musica ), pare completamente meritato. Quando abbandona il rock’n’roll per cercare un legame con la grande tradizione delle ballate popolari e di protesta degli hobo, i cantanti folk di strada, spiegherà: «Le canzoni folk sono colme di disperazione, di tristezza, di trionfo, di fede nel sovrannaturale, tutti sentimenti molto più profondi.» La maggior parte delle sue canzoni più popolari risale agli anni sessanta quando l’artista era considerato una figura di rilievo del movimento di protesta ma nel corso degli anni 5
Intervista a ROMANO PERUSINI Storicamente, all’interno dell’arte astratta si sono sviluppate fin da subito due correnti di pensiero, l’astrattismo lirico e l’astrattismo geometrico: il primo poneva l’accento sull’emotività facendo prevalere la funzione espressiva delle forme e del colore, l’altro privilegiava l’approccio razionale controllato attraverso le certezze della geometria. L’opera di Romano Perusini, ex docente di scenografia all’Accademia di Brera, si colloca quasi naturalmente in quest’ultimo filone grazie al ricco repertorio di variazioni compositive che ha elaborato nel corso di tutta la sua attività artistica. Già a partire dagli anni sessanta egli approfondisce lo studio di nuove strutture significanti attraverso la ripetizione-trasformazione di eleganti figure geometriche piane che dialogano in contesti di chiara matrice architettonica, caratterizzate da lievi ombre lineari prodotte dallo spessore del materiale. Questo artifizio “scenografico” gli permette di contestare l’impianto bidimensionale facendo leva sui meccanismi psicologici della visione i quali inducono a interpretare in chiave spaziale e dinamica le pure forme elementari. Attraverso il bianco totale delle sue “costruzioni”, un colore associato all’assoluto, le composizioni astratte si caricano di un’aura di classicismo proponendo ed esaltando i concetti e i valori che stanno a cuore all’artista: analisi razionale, rigore metodologico, ordine e armonia, equilibrio e disordine, in ultima analisi, la ricerca della Bellezza. Romano ha sempre affiancato ai suoi lavori razionalmente esatti anche opere figurative intriganti più attente alle zone buie dell’animo in cui i punti di vista prospettici, i vuoti, le luci, le ombre - fattori fondamentali nella percezione dello spazio - contribuiscono a creare atmosfere ambigue e misteriose che agiscono sull’inconscio dell’osservatore. Ecco quindi le sue grandi tele monocromatiche o dai colori acidi e innaturali, risultato di un uso teatrale della illuminazione, luoghi tridimensionali metafisici che comunicano inquietudine perché irreali, se non addirittura surreali. Paolo Tomio A sinistra: Metacronos, 2015, acquerello su foglio Fabriano, 76x56 cm
In basso: Profili della memoria, 1982, collagee e acrilico su tela, 80x120 cm
Quando e perché hai cominciato a interessarti di arte? Fin dagli anni della scuola media. Molti miei coetanei, diversamente da me che avevo scelto il ginnasio, erano iscritti alla scuola per mosaicisti di Spilimbergo: durante le vacanze estive andavo con loro a raccogliere pietre colorate nel greto del Tagliamento e frequenti erano le visite ai vicini scavi di Aquileia. E’ da lì che si sono sviluppati i miei primi interessi e il desiderio di confrontarmi con l’attività creativa.
Quali sono state le correnti artistiche e gli artisti che ti hanno influenzato? Naturalmente l’orientamento del mio impegno di ricerca è maturato con gli studi superiori e Integralienazione, 1973, rilievi e acrilico su tela 100x140 cm
l’approfondimento della conoscenza della Storia dell’Arte. L’elezione, quasi istintiva oltre che razionale, è stata riservata alle avanguardie storiche surrealiste e suprematiste. Forte emozione hanno inizialmente suscitato in me una mostra di Hans Arp visitata a Zurigo e il catalogo di un’antologica di Malevich tenutasi a Londra.
Prima di praticare il linguaggio astratto hai operato anche in quello figurativo? Il mio orientamento è partito da basi non oggettive e si è sviluppato coerentemente lungo tutta la mia ricerca.
Nell’evoluzione della tua ricerca individui tre fasi significanti: come le definiresti? La prima fase riguarda sintesi metafisiche di
Sintesi spaziale, 1963, tempera su tela 100x120 cm
serena razionalità, approdo utopico verso un mondo ideale. La seconda ha riguardato un confronto-scontro con l’inarrestabile invadenza dello sviluppo tecnologico da me vissuto come una sorta di “integralienazione tecnologica”. La terza, ancora in atto, tenta di esplorare un “oltre” dove probabilmente è più facile smarrirsi che trovare un senso alle attese del presente.
patto luce-materia. Non mi sono peraltro mai posto limitazioni all’uso delle diverse tecniche e delle nuove strumentazioni: ai miei studenti ho più volte fatto presente che una poesia si può scrivere con una matita o al computer ma che non sono né la matita né il computer a determinare il senso e il valore semantico della stessa. La scelta della tecnica esecutiva ha la sua importanza per l’ottimale valorizzazione di un’opera, ma deve restare sempre al servizio del pensiero che la supporta.
Che tecniche utilizzi abitualmente? Molti miei lavori sono monocromi a rilievo (a pressione o a collage) e si evidenziano nell’im-
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topresentazione ad una mia personale, così ho sintetizzato il mio sentire: «Nella mia ricerca ho sempre assegnato all’OPERA una centralità sostanziata da sintesi ideativa, adeguato tempolavoro, tecniche esecutive condotte A REGOLA D’ARTE, proprio come ancora si usa dire per una casa ben costruita, per un libro ben stampato, per un concerto ben eseguito. Continuo a pensare che la QUALITA’ di un pensiero possa essere trasmessa e vivere nella QUALITA’ delle cose in cui viene sostanziata ed espressa.»
Cosa pensi dell’interrelazione tra ricerca artistica e critica d’arte? E’ un versante sul quale posso dirmi fortunato perché, soprattutto negli anni iniziali della mia formazione sono stato seguito e aiutato da critici ben introdotti e disinteressati. Mi pare che da qualche tempo la relazione con il versante della critica si sia fatta più problematica e condivido quanto scritto nel merito dall’amico e collega di Brera Rodolfo Aricò: «Mi permetterò di osservare innanzi tutto che una
In basso: Sintesi razionale, 1961, rilievo sensibile su tela, 120x120 cm
In alto: Transcromia,2000, tecnica mista su tela 200x120 cm
Sei interessato a un “messaggio” nell’opera? Ogni opera d’arte, come anche ogni poesia o brano musicale, è la messa in forma oltre che di una sensibilità anche di un pensiero: come tale interroga e si fa interrogare da chi è interessato al confronto con l’opera stessa. In un’au-
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critica è valida se non si limita a riflettere i luoghi comuni della critica e dei sistemi di pensiero alla moda. Una critica, un’esegesi sono positive nella misura in cui l’esegeta accosta l’opera con occhi nuovi, sinceri, obiettivi e, senza rinunciare alle sue convinzioni, ma pronto ogni volta a rimetterle in discussione. Non ne sono sicuro, tuttavia mi domando se il critico non debba essere, naturalmente su un piano ideale, l’uomo dell’oggettività assoluta e il creatore, sempre su un piano ideale, non debba essere l’uomo della soggettività totale. Un tempo il cattivo critico era il critico orgoglioso, quello che voleva imporsi sull’opera, quello che di fronte all’opera assumeva un atteggiamento di superiorità. Oggi la critica pare aver cambiato registro e sembra sempre più incline ad inseguire interessi di parte e strategie personali che a tentare di cogliere un brandello, almeno uno, di verità. All’arte, o meglio spesso al suo surrogato, si chiede spettacolarità e la capacità di creare “eventi”; odio ormai questa parola “evento” che ipocritamente cela un vuoto, che ha smarrito il senso di un pensiero sull’arte». Va peraltro preso atto che anche per il settore
In basso: Nella città ideale, 1965, rilievi e tempera su tela, 100x100 cm
In alto: Transcromia, 2000, tecnica mista su tela 200x120 cm
della critica le opportunità e gli spazi divulgativi si sono, già da diversi anni, pesantemente ristretti: numerose iniziative editoriali, tradizionalmente dedicate alle arti, hanno cessato la propria attività: l’ottanta per cento delle gallerie private, da sempre centri complementari di confronto anche critico, sono state messe nelle condizioni di chiudere i battenti: purtroppo 11
anche buona parte delle specifiche istituzioni pubbliche (musei, civiche ecc.) sembra non essere in grado di svolgere quel ruolo di analisi bselettiva e di orientamento per il quale sono state istituite.
Segui la “politica culturale” trentina: Pensi che si possa fare di più e di meglio per l’arte? Il Trentino ha saputo dotarsi di significative istituzioni di promozione dell’arte contemporanea che però non sono ancora riuscite a mettersi in rete d’interscambio con aree culturali e geografiche più ampie. Poco hanno fatto inoltre per far dialogare quanto prodotto dal loro territorio con analoghe e complementari tendenze emerse a livello nazionale ed europeo. Non si può pensare di promuovere le emergenze artistiche del territorio con i consueti dequalificanti censimenti provinciali in cui professionisti seri ed impegnati vengono accomunati a dilettanti e perditempo.
Chi è oggi l’artista? Nel catalogo della mia personale del 1967 alla galleria del Cavallino di Venezia, ho inserito in premessa questo pensiero di Rudolf Arnheim: «Coloro che creano l’arte del nostro tempo non lo fanno perché intendono essere moderni ma perché l’arte moderna è ciò che capita loro di produrre quando trasducono con onestà, in forma pittorica o plastica, le spinte delle forze che sembrano attivare la nostra società, la nostra filosofia, il nostro pensiero: numerose dissonanze e distorsioni, contraddizioni e instabilità caratterizzano l’arte contemporanea; è del tutto
Metacronos, 2002, tecnica mista su tela 200x50 cm
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plausibile che essa rifletta i conflitti e le insicurezze del nostro tempo». Oggi il pensiero di Arnheim può risultare un po’ datato, omogeneo com’è alla teoria sociale dell’arte. Mi risulta sempre più problematico saper intravvedere attendibili interferenze tra
arte e società contemporanee e pertanto cercar di definire una possibile identità per la figura dell’artista. Quando qualcuno mi chiede che cosa ho fatto o cosa stia ancora combinando
Crepuscolo dell’utopia, 1967, rilievi e tempera su tela, 100x80 cm
L’angolo di Gregor Samsa, 2000, tecnica mista su cartone, 70x100 cm
tener vivo almeno qualche barlume di speranza sulla sorta di incubo ad aria condizionata che sembra avvolgere la nostra contemporaneità. Per contro, non riesco a concepire l’assalto in atto alle istituzioni dell’arte dalla marea della globalizzazione della mediocrità che, nella vacuità effimera degli eventi, tenta di far emergere ex trapezisti circensi, writers urbani, graffitisti di periferie e troppi nullafacenti perditempo. E resta desolante la totale solitudine in cui vengono emarginati molti giovani artisti seri e motivati.
nella vita, preferisco ultimamente presentarmi come docente in pensione dell’Accademia di belle arti di Brera.
Cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea? Continuo a credere nelle possibili funzioni positive della ricerca artistica, per il rinnovamento di energie intellettuali ed etiche che aiutino a
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Quale ruolo svolge il colore, o il non-colore, nei tuoi lavori? Come sù accennato, nelle mie ricerche, il colore ha raramente assunto valenze predominanti: ho sempre ritenuto che l’effetto cromatico interferisse di preferenza con la sfera psichica
più che con quella razionale di mia abituale elezione.
Per finire, cosa è per te l’arte?.....
Sintesi razionale, 1961, rilievi sensibili su cartone, 100x 70 cm
Sintesi razionale, 1966, pressione e matita su carta 76x56 cm
supplemento esperenziale nel proprio normale itinerario esistenziale per individuarne un possibile orientamento di senso.
Una modalità espressiva, singolarmente personale, per trasmettere un proprio pensiero, con un alfabeto d’invenzione declinabile in piÚ o meno arbitrarie soluzioni formali e tecniche: un
Metacronos, 1990, rilievi e acrilico su tela 175x140 cm
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L’Argentario, Trento; 1983: Galleria La Fenice, Venezia; 1984: Galleria Meeting, Mestre; 1985: Antologica alla Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia; 1986: Antologica Centro Zanussi, Sagittaria, Pordenone; 1991: Antologica Palazzo Molin Vinello, Latisana; 1998: Istituto Italiano di Cultura, Vienna; 1999: Galleria Comunale Bedoli, Viadana; 2002: Galerie Espace, Bruxelles; 2006: Villa Pisani contemporary art, Lonigo; 2012: Galerie Espace, Bruxelles; 2015: Galleria Talenti, Portobuffolè; 2016: Centro Culturale A. Rosmini, Trento. Principali mostre collettive: 1960: Giovani artisti italiani: Galleria S. Fedele, Milano; 1962: Proiezioni dell’arte non figurativa: Galleria Numero, Roma; 1963: I pittori e la storia: Galleria Internazionale, Venezia; 1964: Premio Serena, Montebelluna; Dialettica delle tendenze: Artecentro, Milano; 1965: Biennale Città di Catelfranco; 1966: Nuove tendenze: Galleria Studio, Matera; Premio S: Fedele 1966, Milano; IX Premio di pittura Mestre; Dialettica delle tendenze: Centro d’arte contemporanea, Verona; Il gioco degli artisti: Galleria del Naviglio, Milano; 1967: LV Collettiva Bevilacqua La Masa, Venezia; XX Premio Suzzara; La nuova grafica: Galleria del Cavallino, Venezia; Prospettive 3: Palazzo dei Diamanti, Ferrara; Giovani artisti veneziani: Galleria Cavallino, Venezia; 1968: IX Premio Silvestro Lega, Modigliana; Giovani ’68, Spoleto; XXII Premio Michetti, Francavilla al Mare; X Premio Mestre; Concorso arredo Banco di Bergamo; Prospettive 3: Palazzo delle Esposizioni, Roma; III Internationalen Malerwochen, Graz; II Premio Acireale; 1969: Trigon International: Neue Galerie, Graz; Incontri Arte Contemporanea: Circolo Artistico, Padova; Maestri della grafica contemporanea: Galleria del Cavallino, Venezia; III Biennale di Bolzano; Rassegna Internazionale Acireale; Segnalati Catalogo Bolaffi, Milano; 1970: I Mostra d’Arte contemporanea, Folgaria; Pittura e grafica veneziana: Neue Galerie, Lienz; Anticipazioni Memorative: Galleria del Cavallino, Venezia; Premio Ramazzotti: Palazzo Reale, Milano; 1971: Sguardo a Nord-Est: Galleria Cavallino, Venezia; XXV Premio Michetti, Francavilla al Mare; Collezione grafica Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia; IV Biennale di Bolzano: 1972: Faites votre jeu: Galleria del Cavallino, Venezia; Omaggio a Diego Valeri: Bevilacqua La Masa, Venezia; Premio Burano ‘72; Premio Città di Garda; Rassegna Nazionale d’Arte, Termoli; Incontri Internazionali d’Arte, Motovun; 1973: Art 4’73, Basilea; Segnaletica antinquinamento, Venezia; XIII Annale Porec, Parenzo; IX Premio Nazionale Città di Gallarate; Parasol: Festival Internazionale di Edimburgo; Generazioni a confronto: Biennale di S. Martino di Lupari; 1974: Esempi d’arte veneta e lombarda, S. Martino di Lupari; Gli artisti per il Teatro La Fenice, Venezia; 1975: Aspetti della ricerca artistica contemporanea: Galleria Bevilacqua La Masa, Venezia; Sintesi operativa ’75: Matera; 1980: Carta – Colore: Arte Rassegna, Sovico; Intergrafik
ROMANO PERUSINI Nato a Pozzo di Codroipo (Udine) nel 1939 Dopo la formazione a indirizzo classico, ha frequentato a Bruxelles un master di comunicazione e di allestimenti per lo spettacolo. Chiamato da Mario Deluigi a insegnare all’Accademia di belle arti di Venezia, si è trasferito dal 1984 alla cattedra di scenografia dell’Accademia di Brera a Milano, dove dall’anno accademico 2000/1 ha coordinato il nuovo corso disciplinare di storia e teoria delle arti sceniche. Sensibile ai problemi sociali, ha promosso iniziative di specifico interesse culturale quali: “Friuli: Memoria, Partecipazione, Ricostruzione” (1976: con David Maria Turoldo, Nani Valle, Italo Zanier): i piani culturali di fattibilità per il Centro polivalente di S. Lorenzo di Castello a Venezia (1978: con Ugo Camerino e Giandomenico Romanelli): per il Museo del Vajont a Longarone (1983): per il Centro culturale del Comune di Viadana (1999). Complementariamente all’insegnamento ha costantemente seguito un’attività di ricerca in campo artistico presentata in importanti appuntamenti espositivi ed a cui sono stati assegnati i seguenti significativi riconoscimenti: Premio Edison Montecatini, Premio di pittura Mestre, Premio di pittura alla 55^ Bevilacqua La Masa, Premio della Radio Televisione Italiana al 22° Premio Michetti, Premio Città di Garda, Premio Termoli, Premio Gallarate. Principali mostre personali: 1965: Falbigdens Museum, Falkoping (Svezia); 1966: Galleria San Giorgio, Treviso; Galerie Espace, Bruxelles; 1967: Galleria del Cavallino, Venezia; Galerie Saint Laurent, Bruxelles; 1968: Galleria Studio, Matera; Galleria L’Argentario, Trento; Galleria d’arte contemporanea La Cornice, Bari; Studio Callebert, Anversa; Galleria Ghelfi, Vicenza; Galleria Elicona, Lecce; 1969: Mali Galerija, Lubiana; Studentskog Centra, Zagabria; Galleria Numero, Firenze; 1970: Atelier 212, Belgrado; Galerie Im Stock, Vienna; 1971: Galleria Sincron, Brescia; Galleria del Cavallino, Venezia; 1972: Palazzo Novellucci, Prato; 1973: Galleria Flori, Firenze; 1974: Galleria La Chiocciola, Padova; 1976: Galerie Espace, Bruxelles; Galleria Ilfiore, Bassano del Grappa; 1979: Galleria Comunale, Montemassi; 1980: Centro Culturale San Lorenzo, Mestre; 1981: Galleria
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’80, Berlino; 1981: Ad Libitum: Galleria Bevilacqua La Masa, Venezia; VI Biennale di S. Martino di Lupari; Venezia Quale Immagine?: Università di Udine; Testimonianze per Longarone: Centro Culturale Civico; 1982: Autoritrattazioni: Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia; La Pace, una verità smarrita: Cartella di grafiche introdotta da Sandro Pertini; 1983: Per Umbro Apollonio: Museo di S. Martino di Lupari; 1984: Intergrafik ’84: Berlino; 5 artisti veneziani: Galleria Fenice, Venezia; Grafica Italiana contemporanea: Galleria d’arte moderna, Lubiana; 1986: III Biennale della grafica, Riva del Garda; 1987: Giornate della cultura italiana, Sumy; Intergrafik Alpe Adria, Centro Arti Plastiche, Udine; 1988: Artisti della Stamperia Fallani: Museo d’arte moderna, Varsavia; Verifica 8+1: Mestre; Memoria e Annuncio: Galleria Sagittaria, Pordenone; 1990: L’uomo, l’albero e il fiume: Castel Ivano Fracena, Trento; 1991: Milano-Mosca: Galleria d’arte moderna, Mosca; Accademia aperta: Sala napoleonica di Brera, Milano; 1992: Art Fence: Rotonda della Besana, Milano; 1993: La città di Brera: Palazzo Pretorio, Milano; 1994: Ricerca in Lombardia: Galleria Civica, Trezzo; Arte come mestiere: Laboratori di Brera, Milano; 1995: Ars gratia artis: Galleria l’Argentario, Trento; 1996: I Annuale Accademie Europee: Civitanova Marche; Arte Sacra in San Simpliciano, Milano; 1997: Ambrogio contemporaneo: Chiostro Basilica S. Ambrogio, Milano; Dalla Prospettiva alla Scenografia: Sala Napoleonica di Brera, Milano; 1998: Kunst in Mailand: Istituto Italiano di Cultura, Vienna; Scultura a Milano: Galleria Bedoli, Viadana; Pozzo in Arte: Domus Pacis, Pozzo di Codroipo; Antico e nuovo Esodo: S. Maria del Carmine, Milano; 1999: Accademie di Roma e di Milano: Galleria Civica, Colonnella; 2000: NordEst: Galleria Duomo, Verona; L’Arte Sacra alle soglie del III Millennio, Verona; Inciso, tra memoria e presente: Palazzo Libera, Villa Lagarina; Astrattismo: Galleria il Cenacolo, Trento; Il Convito della bellezza: Arte Sacra nel ‘900, Potenza; 2001: Formato Arte: Spazi industriali ex Michelin, Trento; Labirinto dell’immaginario: XXXIV Premio Vasto; 2002: Generazione Anni ’30: Museo Bargellini, Pieve di Cento;2003: Situazioni Trentino Arte 2003: MART Museo d’Arte moderna di Trento; Helios Arts Award 2003: Museo della scienza e della tecnica, Milano; 2004: Nel segno della vita: Pavia; 2005: Artisti senza frontiere: Villa Turioni, Lanzo d’Intelvi; 2006: Per Mario Luzi: Centro Bernardo Clesio, Trento; Via Lucis: Chiostro di S. Tomaso C., Verona; 2009: Renart, Palazzo Thun, Trento. Alle sue ricerche hanno riservato presentazioni e recensioni critiche: G. Accame, U. Apollonio, E. Bartolini, S. Branzi, M. Cacciari, C. Cerritelli, L. Damiani, F. Degasperi, J. Denegri, G. Di Genova, F. Gualdoni, L. Lambertini, E. Luddeckens, G. Marchiori, G. Mascherpa, G. Mazzariol, F. Menna, J. Meuris, B. Morucchio, L. Padovese, G. Pauletto, G. Perocco, G. Politi, P. Puppa, P. Rizzi, R.. Sandri, R. Sanesi, W. Schreiner, L. Siena, J. Sosset, Ch. Spencer, T. Toniato, M. Valsecchi, S. Viani, F. Vincitorio.
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icsART N.11 2016 Periodico di arte e cultura della icsART Curatore e responsabile Paolo Tomio
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MERCATO DELL’ARTE ? Nato nel 1901 nel villaggio di Borgonovo nei pressi di Stampa, in Svizzera, quest’anno si celebrano i 115 anni dalla sua nascita e anche i 50 dalla sua scomparsa avvenuta a Coira all’età di 64 anni. Giacometti è considerato uno dei più importanti scultori del Novecento; figlio di un pittore post-impressionista, Alberto dimostra presto il suo talento: studia pittura presso l’Ecole des Beaux-Arts a Ginevra, si reca in Italia e, nel 1922 si stabilisce a Parigi, dove studia nell’atelier di Archipenko e poi, per cinque anni, presso l’Académie de la Grande Chaumière. Si interessa al Cubismo e al Primitivismo sperimentando in moltissime direzioni; dal 1931 al 35 aderisce al gruppo dei surrealisti e nei suoi importanti lavori ricorrono temi visionari, oggetti metaforici e assemblaggi, le sue sculture richiamano dei giochi e dei modelli architettonici. In quegli anni fa ricorso al motivo della gabbia, che gli permette di delimitare lo spazio della rappresentazione realizzando anche oggetti di arredamenti e lampade. Alla fine degli anni 30, Giacometti decide di abbandonare il Surrealismo e l’astrazione per tornare alla rappresentazione della figura umana nello spazio, della testa e in particolare degli occhi, temi che rimarranno centrali nella sua opera per tutta la vita. Durante la Guerra Mondiale l’artista, trasferitosi in Svizzera, abbandona la visionarietà e la giocosità del Surrealismo e attraversa un lungo periodo di solitaria e tormentata ricerca scultorea che si conclude solo dopo il ’45, quando concepisce l’idea delle figure alte ed esili che riflettono la condizione di ansia e alienazione, la sofferenza e il trauma della guerra. Il suo stile caratteristico è presentato in pubblico per la prima volta nel 1948 alla Pierre Matisse Gallery accompagnato da un saggio dell’ami-
ALBERTO GIACOMETTI (1901-1966), L’HOMME AU DOIGT (L’uomo che indica), 1947, bronzo con patina dipinto dall’artista, H 178x95x52 cm, ediz. 6/6, venduto da Christie‘s New York 2015 a $ 141.285.000 (€ 125.900.000). L’Importanza da sempre riconosciuta a Giacometti nella storia dell’arte, si riflette oggi sul mercato dell’arte: la sua opera (un’edizione di sei esemplari), “L’Homme au doigt”, è diventata la scultura più cara mai venduta all’asta con i 141,3 milioni di dollari battuti l’anno scorso. Di questa figura a dimensione naturale, lo stesso Giacometti ricordava di «aver fatto quel pezzo in una notte tra mezzanotte e le nove del mattino successivo». 20
ALBERTO GIACOMETTI co Jean Paul Sartre, “La ricerca dell’assoluto”, che fa dell’opera di Giacometti l’espressione artistica più genuina dell’esistenzialismo. Partendo dall’intenzione di rappresentare l’illusione dello spazio e lo straniamento del soggetto rappresentato, Giacometti trova la soluzione nelle proporzioni allungate delle figure. La sua rappresentazione dell’Uomo solo nell’universo e della sua impossibilità di comunicare, diventano il punto di riferimento artistico per le correnti filosofiche dell’esistenzialismo e della fenomenologia. Nel corso degli anni seguenti, le donne e gli uomini immobili e senza meta diventano i principali personaggi delle sue sculture in bronzo che poi dipingeva meticolosamente per migliorare la qualità strutturale, aggiungendo dettagli precisi su viso, labbra e corpo. Alberto Giacometti è anche personalissimo pittore, soprattutto di ritratti, ossessivamente monocromatici e “costruiti” con una ragnatela di segni nel tentativo di cogliere la psicologia del soggetto. (vedi a pag. 29) Indicativa della particolare umanità e sensibilità di Giacometti una sua dichiarazione che dovrebbe far pensare molti artisti troppo legati alle regole del mercato: «In un incendio, tra un Rembrandt e un gatto, io salverei il gatto.»
GRANDE TÊTE MINCE, 1954, bronzo, H 65 cm, ediz. 3/6, venduto da Christie ‘s New York 2010 a $ 53.282.500 (€ 40.356.300) LA MAIN, 1947, bronzo con patina marrone e verde, 71 cm, venduto da Christie‘s New York 2010 a $ 25.842.500 (€ 19.573.200)
LE MIRABILIA DI MARYLIN lasciandola a gambe nude facendo intravedere una castigatissima mutanda, mentre sussurra la famosa frase “Ooooh, non è delizioso?” (vedi in basso). Le memorabilia della diva platinata di Hollywood sono sempre il suo bene più prezioso, il suo nome, un marchio in sé, i cui diritti di utilizzo sono già stati venduti per 30 milioni di dollari Il celebre abito plissettato color avorio (vedi a sinistra) indossato dalla Monroe nel film “The Seven Year Itch” (La crisi del settimo anno) che in Italia diventa “Quando la moglie è in vacanza.”, del regista Billy Wilder nel 1955, è stato battuto alla Profiles in History di Beverly Hills, nel 2011 alla cifra record di 4,6 milioni di dollari (3,2 milioni di euro). Il sarto Travilla, noto per lavorare con tessuti naturali, in quel caso aveva usato fibre sintetiche o artificiali, rayon acetato Crepe, che ha permesso all’abito di gonfiarsi nel modo voluto. Gonna plissettata, che si alza
Chi non ricorda una delle immagini più iconiche della storia del cinema entrate nell’immaginario collettivo del 20° secolo? Quando alla ventinovenne Marylin Monroe, considerata una delle donne più sexy e più affascinanti del mondo, un colpo d’aria sale all’improvviso dalle grate della metropolitana e solleva la gonna (vedi in basso)
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STORIA DELL’ARTE in quell’inimitabile modo (evento da accompagnare con l’altrettanto inimitabile gesto di cercare di non far alzare la gonna). Vita stretta, con fascia che inizia subito sotto il seno, la scollatura che oggi sarebbe considerata castigatissima, non scopre nemmeno un centimetro di seno, ma in compenso lascia sensualmente scoperte le spalle, la scena è ambientata a Manhattan sulla 52esima strada ma è stata girata in studio Altrettanto famoso il tubino lungo color carne scandalososamente superaderente, tempestato di strass graduati ricamati in un motivo rosetta (vedi a destra), indossato da Marilyn per il quarantacinquesimo compleanno del Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy dove la bella attrice bionda si era presentata in pelliccia di ermellino bianco, che ritornerà all’asta. L’attrice sfoggiò il vestito durante il suo indimenticabile Happy Birthday dolcemente sospirato al Presidente (suo amante già dal 59, come si saprà dopo) al Madison Square Garden di New York nel maggio del 1962. La diva morirà solo tre mesi dopo, il 5 agosto, 1962 per overdose a 36 anni, mentre il presidente J.F.K. sarà ucciso a Dallas l’anno dopo. Questo abito da cocktail realizzato in seta con migliaia di perline, diamanti sintetici e lustrini, dallo stilista francese Jean Louis, era così aderente che le fu letteralmente cucito addosso.Il pezzo, ribattezzato “Happy Birthday”, diventato nel 1999 il più costoso capo di abbigliamento quando era stato venduto all’asta da Christie’s arrivando a battere una cifra eccezionale per il tempo: $ 1.267.500, a novembre ritornerà all’asta da Julien e qualcuno ipotizza già che potrebbe superare il record del “Seven Year Itch”. Effettivamente è una bella gara tra due dei ricordi glamour più vivi e nostalgici nella memoria americana (e non solo). 23
BANDIERE ROSSE Nata nel 1922 in seguito alla rivoluzione d’Ottobre, l’Unione Sovietica è rimasta per quasi 70 anni uno degli imperi più vasti e longevi dei tempi moderni. Quando nel 1990 iniziano i primi moti popolari contro un regime che stava collassando la fantasia al potere predicata dal Maggio francese del ‘68 si era estesa anche fra i giovani russi i quali, nonostante la povertà di mezzi di comunicazione e con tecniche ancora primitive erano riusciti ad organizzare una “resistenza culturale” nel corso degli eventi che portarono alla crollo dell’Unione poiché gli studenti si potevano muovere più liberamente degli intellettuali da sempre controllati dai servizi. I nuovi fermenti che la crisi economica rendeva evidenti a chiunque, gli studenti più attenti a quanto arrivava da occidente, musica, arte, stili di vita non sopportavano un sistema politico corrotto guidato da una oligarchia gerontocratica. I segnali di una imminente crisi interna erano già apparsi nel corso degli ultimi decenni ma grazie alla forza garantita da uno degli apparati polizieschi più efficiente e capillari, il potere era riuscito a controllare, sopire, reprimere qualsiasi moto di ribellione limitandosi a poche riforme utili per dividere il fronte della protesta. Il gruppo “красных флажков” (Bandiere Rosse) ha inizio proprio quando stavano crescendo le forme di ribellione verso il partito unico e l’Unione Sovietica, prodotto di una federazione di Stati satelliti incorporati sotto la bandiera rossa con falce e martello. Formalmente, infatti, l’URSS si presentava come una federazione di Repubbliche Sovietiche, mentre in realtà era 1. 2. 3. 4.
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DISSOLUTION - IMPLOSION 1990 BANANA ICE SCREAM FROM THE STARS TO STABLES HERR KAISER PUTIN
красных флажков un’entità fortemente centralizzata, sin dalla sua creazione fino alla metà degli anni ottanta quando le riforme economiche di Gorbachev (la Perestrojka), accrescono il potere delle Repubbliche che giocano un ruolo importante nella scomparsa nel 1991 dell’Unione Sovietica. Il sempre più diffuso dissenso interno si alimentava attraverso una riedizione dei Samizdat degli anni sessanta, una vivace stampa clandestina. Le copertine di questi ciclostilati erano illustrate con immagini create da autori rigorosamente anonimi per non incorrere nella repressione poliziesca. La bandiera rossa era diventata il tema preferito di questi giovani artisti i quali attaccavano e demolivano dal di dentro una istituzione odiata in cui non si riconoscevano più. Critiche ingenue, radicali, ironiche o viscerali, ma indispensabili per cambiare il modo di comunicare le nuove idee che stavano nascendo. Le tematiche delle immagini spaziavano dalla constatazione dello squagliamento del sistema sovietico, al crollo dello stesso, a una mutazione in chiave fascista del vessillo, alla speranza di una Unione Sovietica islamizzata oppure in fiori che spuntano in un nuovo giardino, fino al recupero della iconografia Pop con il simbolo comunista trasformato in un logo consumista, oppure in qualcosa che assomiglia molto a tante deiezione o, più esplicitamente, tante merde. Le immagini recuperate e restaurate, sono riapparse in una mostra che voleva ricordare un periodo lontano ma ricco di fermenti e di speranze sconfitti dalla dura realtà. 5. COMMUNISLAM OF TOMORROW 6. THE FLOWERS OF THE FUTURE 7. POP ART SUPERMARKET 8. THE SOVIET PUDDINGS
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Novembre 2016, Anno 5 - N.11
News dal mondo ALBERTO GIACOMETTI
L’homme au doigt, 1947
pag. 28
ALBERTO GIACOMETTI
Diego en chemise écossaise, 1954
pag. 29
ALBERTO GIACOMETTI
Chariot, 1950
pag. 30
ALBERTO GIACOMETTI
L’homme qui marche I, 1960
pag. 31
Aleppo, 2016
pag. 32
Omaggio ad ALBERTO GIACOMETTI
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ALBERTO GIACOMETTI, L’HOMME AU DOIGT, 1947, bronzo con patina, H 178x95x52 cm, ediz. 6/6, venduta da Christie’s New York 2015, $ 141.285.000 (€ 125.900.000)
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ALBERTO GIACOMETTI, DIEGO EN CHEMISE ÉCOSSAISE, 1954 29
olio su tela, 81x65 cm, venduto da Christie ‘s New York, 2013 a $ 32.645.000 (€ 24.201.000 )
ALBERTO GIACOMETTI, CHARIOT, 1950, bronzo dipinto su base di legno, H 144,7 cm, ediz. 2/6, venduto da Sotheby’s New York, 2014, $ 100.965.000 (€ 80.405.300)
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ALBERTO GIACOMETTI, L’HOMME QUI MARCHE I, 1960 31
bronzo, H 183 cm, ediz. 2/6, venduto da Sotheby’s Londra 2010 103.417.000 $ (€ 74.459.600)
PAOLO TOMIO, Omaggio ad ALBERTO GIACOMETTI “ALEPPO”, 2016, digital art su carta, 84x72 cm
ics
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