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02.1] Rughe
Un manifesto. Mettere le dita 02
Si è parlato in primis del come e del cosa, ovvero si è “ridotto il campo d’azione”: si è tracciato - all’incirca - il perimetro o recinto (tèmenos) come un atto fondativo e fondamentale. Cosa v’è racchiuso in quest’area è già stato messo in luce: ma il perché? Perché parlare proprio di ciò?
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Manifestare significa “portare all’evidenza”, più propriamente è un “rendere tangibile”: un toccare con mano che ci rende effettivamente consci di qualcosa. Siamo tutti san Tommaso [02], almeno in qualcosa increduli e non convinti.
Ecco che questo breve capitolo vorrà essere una sorta di manifesto: i temi qui trattati sono - a mio giudizio - rilevanti, hanno un peso che va sentito, toccato con mano. E quelle qui esposte sono solo alcune delle motivazioni, in forma di metafora, che mi paiono considerevoli del perché “la morte e i suoi luoghi” siano un argomento rilevante. Oltre al fatto che, come dice una filosofa contemporanea, “con il giro del millennio sta progressivamente crescendo l’interesse intorno ai temi della morte, delle sue rappresentazioni e dei suoi simbolismi”1 .
Ci troviamo così dinanzi una ferita nella quale mettere le dita - e toccare, ma non per credere, bensì capire.
02.1 Rughe
- SOGLIA. Simbolo di transizione, trapasso, trascendenza. [...] La soglia assume [...] il carattere simbolico di unione e separazione tra i due mondi [...]. Anche il dio Giano dei Romani esprimeva questo dualismo che, per analogia, può ricollegarsi
1 Tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021, p. 17.
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a tutte le forme di dualità. Per questo si può parlare di una soglia tra la veglia e il sonno 2 -
Se non davanti alla porta di casa di un nostro caro amico, forse, al giorno d’oggi più che mai nella nostra storia, conosciamo sempre meno soglie. E con i mezzi odierni di calcolo e comunicazione, probabilmente non aspetteremo neanche davanti a quella porta, che quasi sempre troveremo già aperta - d’altronde, oramai i navigatori calcolano perfettamente le tempistiche dei nostri spostamenti, ed i messaggi via rete non tardano ad arrivare -: perché attendere?
Per essere più precisi, la società attuale sembra non voglia conoscere soglia o impedimento che non le sia opportuno e necessario, che non le sia utile. Si fa di tutto per eliminarle. L’unico motivo per cui anche davanti alla porta del nostro caro amico accettiamo di dover aspettare, è il raro caso di una nostra visita a sorpresa.
Come le rughe, non vogliamo soglie: vogliamo un mondo liscio come la nostra pelle3 - e le soglie non sono altro che corrugamenti ed increspature della superficie che oppongono una certa resistenza al nostro agire. Come un vastissimo piano, sempre più levigato ed ininterrotto, appare - soprattutto oggi - la nostra vita: il che non può che essere cosa alquanto positiva, per ogni sé. Su una superficie così levigata, senza attriti, tutto è ed appare a nostra disposizione. La continuità del piano ci permette di non attendere più del dovuto per nulla al mondo: se una distanza ci separa da A a B, ci sentiamo in potenza di arrivarci con facilità, non c’è alcuna cesura, taglio o piega invalicabile lungo tutto questo piano. Pretendiamo non ci siano soglie, non c’è alcun rimando ad esse.
Levighiamo, e non vogliamo rughe.
Troppo spesso però, ci scordiamo che questo piano della nostra vita è sempre e comunque il corpo di un grandissimo scivolo, che è divertente proprio in quanto ha un termine, ha una fine. Qualsiasi caratteristica e lunghezza abbia la parte in discesa, solo sapendo della sua terminazione possiamo rendercene veramente conto e “viverla”. Solo il bambino che sa quando preparare le gambe per ben cadere dallo
2 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 420. 3 “La levigatezza è il segno distintivo del nostro tempo. È ciò che accomuna le sculture di Jeff Koons, l’iPhone e la depilazione brasiliana. Perché oggi troviamo bello ciò che è levigato?” (tratto da Han B.-C., La salvezza del bello, Nottetempo, Milano, 2019 (2015), p. 9).
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La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
scivolo si diverte davvero; così come solo chi mette in conto di poter dover aspettare per entrare in una casa è davvero contento nell’entrarci.
Chi varca una soglia conclude una fase della vita ed entra in una nuova. Le soglie, come passaggi, ritmano, articolano e raccontano proprio lo spazio e il tempo, rendono possibile una profonda esperienza dell’ordine. Sono, le soglie, passaggi temporalmente intensi, che oggi vengono abbattuti a favore di una comunicazione e di una produzione accelerate, prive di fratture. In tal modo c’impoveriamo di spazio e di tempo: nel tentativo di produrre più spazio e più tempo, finiamo per perderli. Essi perdono il linguaggio e ammutoliscono. Le soglie parlano. Le soglie trasformano. Oltre la soglia c’è l’Altro, l’Estraneo. Senza la fantasia della soglia, senza la magia della soglia, esiste solo l’inferno dell’Eguale. Il globale viene eretto mediante un inesorabile smantellamento delle soglie e dei passaggi. Le informazioni e le merci preferiscono un mondo senza soglie. La liscezza che non oppone resistenza accelera la loro circolazione. Oggi i passaggi temporalmente intensi si disintegrano divenendo transiti rapidi, link continui e clic senza fine.4
Anche nella lettura di Marc Augé, il discorso intorno alla morte fa propri i termini “spaziali” della soglia o, più precisamente, della frontiera:
Il rispetto delle frontiere è dunque un pegno di pace. Il concetto stesso di frontiera segna la distanza minima che dovrebbe sussistere fra gli individui affinché siano liberi di comunicare fra loro come desiderano. La lingua non è una barriera insuperabile, è una frontiera. Apprendere la lingua dell’altro, o il linguaggio dell’altro, significa stabilire con lui una relazione simbolica elementare, rispettarlo e raggiungerlo, attraversare la frontiera. Una frontiera non è un muro che vieta il passaggio, ma una soglia che invita al passaggio. Non è un caso che gli incroci e i limiti, in tutte le culture del mondo, siano stati oggetto di un’intensa attività rituale. Non è un caso che gli esseri umani abbiano dispiegato ovunque un’intensa attività simbolica per pensare il passaggio dalla vita alla morte come una frontiera.5
E il fulcro del discorso sta nell’inizio di ciò appena ripreso: così come, per Augé, geopoliticamente, l’accettazione delle frontiere è un “pegno di pace”, ciò vale anche nella trasposizione macabra del discorso. L’accettazione della finitudine della vita è il pegno per la nostra, interiore, pace.
Il discorso intorno alla “morte e i suoi luoghi” è così, anche, un discorso di soglie.
4 Tratto da Han B.-C., La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Nottetempo, Milano, 2021 (2019), pp. 50-51. 5 Tratto da Augé M., Nonluoghi, Elèuthera, Milano, 2020 (1992), p. 15.
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