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09.4] Il Leone

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09.3] Il Musico

09.3] Il Musico

marcazione dello spazio e del tempo rituali”20: cos’altro è se non, proprio, soglia sonora quel sobbalzo metallico che si fa sentire - perché così vuole Scarpa - mentre si cammina nel flauto d’ingresso verso il cosiddetto Padiglione della meditazione? [44] È sotto-lineatura (il rumore proviene da sotto, dal basso: è un suono ctonio, funebre, cupo) della soglia, del passaggio, apertura della cerimonia della meditazione. Continua difatti Ellingson:

Nel luogo della cerimonia, la musica21 può provenire proprio dal centro esatto dell’azione, oppure gli esecutori possono trovarsi ai margini dello spazio rituale, creando così una zona di confine caratterizzata dal grado di massima stimolazione sensibile, attraverso la quale si passa per raggiungere la vera e propria area rituale. [...] Al livello più semplice, l’inizio e la fine di una esecuzione musicale possono coincidere con l’inizio e la fine di una performance rituale.22

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Scarpa traccia e realizza (anche) segni musicali.

09.4 Il Leone

- LEONE. Corrisponde principalmente all’oro, o «sole sotterraneo» , e al sole. [...] In contrapposizione ad altri tre animali, il leone rappresenta la terra [...]. Per Schneider il leone appartiene all’elemento terra, mentre il leone alato all’elemento fuoco. [...] La leonessa selvaggia è invece un simbolo della Magna Mater 23 -

Come bene racconta Michael Jakob nell’articolo in cui parla dell’opera in questione,

uno dei paradossi dell’architettura del paesaggio [cosiddetta] sta nel fatto che i

20 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 297. 21 Si intende qui per musica il generico aspetto sonoro di un’opera. Nello stesso Dizionario di Eliade, nel capitolo riservato a Musica e religione, si sottolinea come la prima non sia da intendersi “all’occidentale” moderna come mera esecuzione perfetta di uno spartito, bensì come un più generale “utilizzo degli aspetti sonori”, in tutta la loro varietà, semplicità o complessità. 22 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., pp. 297-298. 23 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 267, 268.

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progetti di maggior successo sono anche quelli che saranno meno visibili. Laddove un sito accoglie le persone in modo apparentemente “naturale”, le difficoltà e gli interventi che hanno portato a questo risultato lasciano il posto a una realtà che viene accettata come tale. Mentre l’oggetto architettonico esibirà sempre l’artificialità del gesto a cui è dovuto (l’architettura porta con sé l’iscrizione: “I am a Monument”), ciò che si impone come risultato dell’architettura del paesaggio tenderà a far dimenticare l’intervento stesso.24

L’intervento appropriato nel e del paesaggio tenderà a far essere gli Altri - abitatori, visitatori ed occupanti vari - dimentichi della sua natura complessa dal punto di vista progettuale, ma esso per nulla dimentico dell’intorno: segni poco impattanti sul paesaggio, ed avvaloranti quest’ultimo, non sono per niente facili. Sono semplici, e nascondono una progettazione attentamente complessa, il che è cosa alquanto differente.

In ambito cimiteriale, nella fattispecie come progetto per un crematorio, una delle vicende contemporanee più interessanti è sicuramente quella del Crematorio di Aalst, ad opera di Kaan Architecten25, inaugurato nella prima periferia della città belga26 appena qualche anno fa, nel 2019.

Il volume costruito, architettonico e stereometrico in senso forte, è di grande impatto [45]: la semplificazione è raffinata, il blocco parallelepipedo in calcestruzzo armato a vista - scavato in maniera regolare in più punti a formare delle corti chiuse, verso le quali affacciano distintamente distinti ambienti interni, da quelli legati al cerimoniale a quelli più propriamente cimiteriali e di sistemazione ultima delle urne - è capace di declinare al lessico contemporaneo una visione molto semplice, tipicamente nordica della morte. Gli squarci verso il paesaggio circostante sono calcolati, mirati (anche perché da una parte si ha vicino un complesso industriale), anche se quasi sempre concessi e raramente impediti, se non nei luoghi al cuore del volume, del tutto chiusi e refrattari alla luce esterna. All’interno però, oltre ai tradizionali luoghi di un crematorio, si aprono aule comuni, un bar ed un ristorante e ampi spazi aperti alla e per la convivialità: i soffitti alti concedono un respiro che fa percepire questo luogo come tutt’altro che macabro e “mortifero”, un luogo che, come tutti gli altri della vita associata, permette innanzitutto di essere vissuto. Il che non è scontato come premessa progettuale per un cimitero così come per un crematorio. Il Crematorio di Aalst è in prima istanza un luogo pubblico - e come tale è stato pensato e realizzato.

Quindi, il gioco con il paesaggio circostante, reso tramite il costante dialogo

24 Tratto da Jakob M., Il Crematorio di Aalst, in Sitografia. 25 Si veda di Bossi S. e Van Damme S., Kaan Architecten. Crematorium Siesegem, in Sitografia. 26 Il simbolo del leone è stato scelto in apertura proprio in relazione allo stemma del Belgio, oltre che per essere associato, nella tradizione, al fuoco ed alla terra, elementi che hanno a che fare con, rispettivamente, la cremazione e le inumazioni.

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La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

permesso dai ritagli della cortina costruita, per mezzo delle corti interne ed esterne al volume, disseminate di piante floreali e bassi arbusti, che donano quell’aspetto “selvatico ordinato” al luogo, con sullo sfondo le nicchie delle sepolture, gesto architettonico reso ai minimi termini per l’ultima umana casa. Creato ad arte - a ricordare, in parte, la storica arte dei giardini - è anche lo stagno, elemento d’acqua che fa da contrappunto al litico dell’architettura assieme con l’irregolare profilo della vegetazione. Il tutto per uno spazio dove i percorsi non sono forzati, anzi, lasciati all’intraprendenza di colui che li percorre; luogo che permette il perdervisi.

“Non è più la morte brutta, lurida, biologica, unheimlich, ma una morte che, per quanto terribile, non esclude la possibilità di essere iscritta nel contesto di una forma di dialogo con la natura”27 .

Raffinato recinto introspettivo - che si concede al paesaggio.

27 Tratto da Jakob M., op. cit.

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Tutto inizia con un'interruzione.

(Paul Valéry)

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Appendice. Sospensioni 10

- CIGNO. [...] Il cigno era sacro ad Apollo, dio della musica, per la mitica credenza che poco prima di morire cantasse dolcemente. [...] Secondo Schneider, il cigno appare come cavalcatura funebre, in quanto i simboli del viaggio mistico nell’altro mondo (oltre alla barca dei morti) sono il cigno e l’arpa 1 -

I. Appendici

Le appendici al testo, solitamente, possono essere di due tipi: direttamente utili a ciò detto in precedenza, e non. Mi spiego meglio. Appendici di immagini, schemi o grafici le definisco utili al testo, così come eventuali note cumulative riguardo ad un particolare argomento trattato in uno dei capitoli: le appendici di questo tipo sono in qualche modo attaccate a ciò che c'è prima, sono appendici appese. Al contrario, ci sono poi, forse meno frequenti, delle appendici che cercano di svincolarsi da ciò detto in precedenza, che rimangono all'interno dello stesso ambito di discussione ma non si sentono obbligate ad essere del tutto attaccate e dipendenti dal testo: come in un limbo, sono appendici sospese - sospese tra quello da cui pendono ed un altro, di testo. Quest'ultime sono interessanti, a mio giudizio, perché rinviano - chiudono-e-aprono al medesimo tempo - ad Altro. Quelle del primo tipo, invece, semplicemente sigillano.

Quella a seguire ha la pretesa di essere un'appendice sospesa.

1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), pp. 145-146.

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II. Premesse

Ecco, sospensione. Sospensione è una parola che ben si confà ai grandi perturbanti della storia dell'uomo, ai grandi “terremoti mondiali” di nuove scoperte o crisi, ai momenti di svolta - e questi sono perlopiù imprevisti.

Pensate a quanto poco sarebbe servita la vostra conoscenza del mondo per prevedere ciò che stava per accadere alla vigilia del 1914 (non imbrogliate utilizzando le spiegazioni che vi sono state inculcate dal vostro noioso professore delle superiori). E che mi dite dell'ascesa di Hitler e della guerra che ne seguì? E della rapida fine del blocco sovietico? E dell'affermazione del fondamentalismo islamico?2

E proprio perchè imprevisti, è come se ci lasciassero senza ossigeno, per un attimo, in apnea.

Sospensioni.

“Prendere un colpo”, essere spaventati. Il fiato si blocca, il respiro cede. E poi che riprenda pure il corso normale della nostra vita, che nella realtà dei fatti non è uguale a quella del giorno prima - è stata nel frattempo interrotta e variata.

E della diffusione di internet? E del crollo del mercato nel 1987 (e della sua ancor più imprevista ripresa)? Manie, epidemie, mode, idee, nascita di generi e scuole artistiche, tutte seguono la dinamica del Cigno nero. [...] Ciò che qui chiameremo Cigno nero (con la maiuscola) è un evento che possiede le tre caratteristiche seguenti. In primo luogo, è un evento isolato, che non rientra nel campo delle normali aspettative, poiché niente nel passato può indicare in modo plausibile la sua possibilità. In secondo luogo, ha un impatto enorme. In terzo luogo, nonostante il suo carattere di evento isolato, la natura umana ci spinge a elaborare a posteriori giustificazioni della sua comparsa, per renderlo spiegabile e prevedibile. Riassumo le tre caratteristiche: rarità, impatto enorme e prevedibilità retrospettiva (ma non prospettiva).3

La visione delle cose portata avanti da Taleb può essere interpretata come l’ultimo “aggiornato” approdo di quello che già in Lucrezio, nel De rerum natura (I secolo a.C.), era espresso come clinamen. Questo consiste di una sorta di imprevedibile, poiché autonoma, deviazione

2 Tratto da Taleb N.N., Il Cigno nero. Come l'improbabile governa la nostra vita, Il Saggiatore, Milano, 2014 (2007), p. 12. 3 Tratto da Taleb N.N., op. cit., p. 12, 11.

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degli a-tomi - “in-divisibili” costituenti della materia tutta - nella loro naturale traiettoria che porta alle vicendevoli collisioni l’uno con l’altro, maniera di comparsa in essere delle cose del mondo4 .

Ciò che Lucrezio spiega parlando di clinamen è l’imprevedibilità e l’inevitabilità dell’evento mortale che ci attacca sul fronte che lasciamo sguarnito, senza esserne consapevoli. E poiché questo limite è l’inoltrepassabile, all’ultimo traguardo, senza poter sapere quando e come esattamente esso si annunci, bisogna - dice il poeta - giungere preparati.5

Queste parole, che riassumono quasi interamente il concetto e la portata dell’evento Cigno nero argomentato in numerosi modi e tramite differenziati esempi da Taleb, rimandano ad un grande tema - ed anche di stretta attualità nel momento in cui questo lavoro è stato portato a compimento -, ovvero quello della guerra. La guerra - da intendersi in senso lato6 -, che è riconducibile alla più generica violenza, è una condizione permanente, endemica della società:

Ci sono cose che non scompaiono. Tra di esse vi è anche la violenza (Gewalt). L'avversione alla violenza non contraddistingue la modernità. La violenza è semplicemente proteiforme. A seconda della conformazione sociale cambiano i modi in cui si manifesta.7

La guerra, che sia quella per così dire “classica” - di uccisione umana, espressione della nietzschana volontà di potenza dell’uomo sull’uomo - così come la più contemporanea guerra medica “anti-virale” nei confronti di un virus, entità biologica non-umana, porta alla desacralizzazione della morte. In tempo critico - e cinico8 - di guerra, quando il perire diventa parte della quotidianità, l’aura della morte scompare, e questa non può più essere

4 Per certi versi la visione lucreziana è molto vicina - tenendo conto dei due millenni di distanza temporale - all’odierno relativismo scientifico, così come agli esiti più aggiornati della fisica subatomica, dove è confermato come costantemente - bilanciatamente - atomi e particelle compaiano e scompaiano dal e nel nulla in tutto l’universo. Pubblicazione interessante, ed accessibile, sull’argomento è quella di Capra F., Il Tao della fisica, 1975. 5 Tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021, pp. 146-147. 6 Non si pensi solamente alla guerra come guerra armata, fucile alla mano e successivi trattati di pace. Il termine guerra è, in questa sede, da intendersi molto più largamente: la guerra come tempo fortemente a-normale, situazione di emergenza - come si vedrà -, quando non eccezione rispetto alla normalità. Od anche, guerra come sfortunata sospensione. La guerra cambia i connotati della quotidianità. 7 Tratto da Han B.-C., Topologia della violenza, Nottetempo, Milano, 2020 (2011), p. 9. 8 “Il cinismo di cui il desiderio di sopravvivenza è inevitabilmente, ancorché con vergogna, soffuso, esce vistosamente allo scoperto durante la guerra” (tratto da Bauman Z., Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, Bologna, 2012 (1992), p. 46).

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vista come sacer - “separata” - rispetto alla normalità, perché è la normalità. Nel mondo in guerra, sacer - ovvero eccezione Altra-dal-quotidiano, con la “A” maiuscola - diventa la vita. E la morte diventa disumana, in quanto de-sacralizzata.

La guerra - in senso lato - è un’insperata inversione.

La guerra nega - in primis - il tempo della vita normale, della quotidianità pacifica, con la sua seppur minima ritualità. Questa temporalità concessa dal quotidiano e negata dalla condizione di guerra è quella che, di fatto, occorre al rito - tra tutti, quello funebre. Non esiste alcun rito a-temporale. Il rito funebre in tempo di guerra non ha tempo - ed affanna, nell'apnea della sospensione.

A ciò segue la mancanza di spazio [46]: il comune affermare che “la guerra produce morti” significa - letteralmente - intendere che questa causa molti più morti della situazione pacifica, anche intesa come “normale”.

È verissimo, seguendo le “lucreziane” indicazioni forniteci da Taleb, come - da esseri Umani quali siamo - non potremo mai prevedere con precisione gli aspetti veramente sconvolgenti della nostra vita e, ancor più in grande, della nostra storia - in quanto questa, come è già stato ripreso, non striscia bensì salta. Mai potremo, dunque, prevedere le future guerre, largamente intese. Difficilmente saremo consci dei sintomi, prima del loro manifestarsi, delle future emergenze.

Possiamo però prevedere - poiché insito nel concetto emergenziale stesso di guerra, ovvero come situazione perturbante della normale pacifica convivenza - che questa causerà, dicevamo, più morti. A questo possiamo forse prepararci.

Una sottolineatura: le vicende future non potranno al più essere previste, per cui non è detto che - in taluni, e più sfortunati casi - non si potrà avere a che fare con un cosiddetto “stato d’eccezione”. È molto più probabile, però, che ci si potrà imbattere in quelli che si sono definiti - da Carl Schmitt (1888-1985) tra i primi - nella contemporaneità come “stati di emergenza” (un esempio tra i più recenti quello della condizione emergenziale, appunto, dovuta alla pandemia di Covid-19).

La fascinazione suscitata dalla teoria agambeniana della sovranità9 non dimostra che oggi lo stato di eccezione, come sostiene Agamben, rischi davvero di diventa-

9 Il riferimento è a ciò espresso da Giorgio Agamben in Homo sacer, 1995-2015.

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re regola. Al contrario, essa sottolinea come oggi viviamo in una società dominata da un eccesso di positività in cui uno stato d'eccezione non è più possibile. 10

Inoltre, concordando con quanto dicono Mariano Croce ed Andrea Salvatore in un recente lavoro a quattro mani, i due termini - emergenza ed eccezione - non sono sovrapponibili, e non devono essere fraintesi. Per certi versi, è vero, esprimono un concetto simile:

La parola “eccezione” figura [...] come l’opposto di “normalità”: l’eccezione è la sospensione delle norme che regolano gli aspetti più o meno minuti della vita sociale [...] in breve, si sospende tutto ciò che rende le azioni umane prevedibili e che consente di risolvere pacificamente le controversie nel caso di situazioni conflittuali. Con l’emergenza, quindi, l’eccezione condivide l’aspetto di brusca irruzione dell’inatteso: ambo i termini individuano circostanze in cui, per accadimenti imprevedibili e dunque imprevisti, la vita quotidiana subisce un urto tale da non poter proseguire nella sua rituale, pacifica, spesso inconsapevole regolarità.11

Ma, dunque, visti ora gli aspetti accomunanti i due casi, cosa li divide e li contraddistingue veramente?

Nota presto [anche lo stesso] Schmitt, [che] con “eccezione” non si sottolinea tanto l’aspetto emergenziale, quanto la finalità di portare ordine, di imporre cioè una circostanza in cui dal punto di vista giuridico esiste ancora in esso [nello stato di eccezione] un ordinamento, anche se non si tratta più di un ordinamento giuridico. [...] Lo stato di eccezione, pertanto, è una condizione ordinata [lo stato d’emergenza è, al contrario, per sua natura, dis-ordinato] perché, rispetto ai tempi normali, si introduce tutt’altro ordine, vale a dire la serie di misure eccezionali che il sovrano12 ritiene commisurate alla situazione che egli stesso determina come eccezionale. Sicché, il sovrano di Teologia politica è tale innanzitutto perché sospende un ordine, quello che vige nella normalità, per introdurre un ordine nuovo, quello dichiarato mediante la sua decisione sullo stato di eccezione. [...] Il sovrano cui dà vita lo stato di eccezione è allora quello che si direbbe un grammatico sociale: riscrive per intero le regole [...]. Lo stato di eccezione non è la semplice emergenza che sollecita all’utilizzo di strumenti straordinari ma pur sempre previsti in Costituzione, ma l’instaurazione di un ordine che sospende e sostituisce la Costituzione stessa.13

10 Tratto da Han B.-C., op. cit., p. 186. 11 Tratto da Croce M. e Salvatore A., Cos’è lo stato di eccezione, Nottetempo, Milano, 2022, pp. 78-79.

12 Si fa qui riferimento al termine sovrano adoperato come Carl Schmitt lo intende; la sua Teologia politica (1922) si apre con le seguenti parole: “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”. 13 Tratto da Croce M. e Salvatore A., op. cit., pp. 79, 80, 81, 82.

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III. Ricordare ciò che potrà accadere. Verso un cimitero d'emergenza

Ecco, si pensi allora ad un luogo di cimitero d'emergenza, un futuro luogo cimiteriale che, al giorno in cui è costruito, è Altro.

Un luogo da costruirsi oggi, ma non già come cimitero; un luogo che dobbiamo sperare, ambire e lottare perché non si trasformi mai in camposanto - ma che qualora ce ne sia bisogno (in un futuro ed imprevisto caso di stato d'emergenza, ennesimo perturbante Cigno nero) possa facilmente diventarlo.

Un luogo già sacer - già fatto sacro -, che possa ospitare le spoglie di coloro che, in tempo e spazio de-sacralizzati dalla guerra o dall'emergenza, non sarebbero in grado di ricevere tali attenzioni. Una specie di - si potrebbe forse definire - cimitero-in-potenza; uno spazio semplice, quasi banale, ma che per “funzionare” dovrà essere alquanto diffuso, atto a rendere dignitosa la morte di qualsiasi persona in tempi d’emergenza o d’eccezione, anche di guerra.

Questo cimitero d'emergenza è un luogo che nel frattempo sarà Altro, un giardino magari, ad ogni modo uno spazio pubblico, nel cuore delle città - al pari del camposanto medievale.

Un monumento-in-potenza, ovvero un essere monumento non per qualcosa che è già avvenuto (solitamente, i monumenti s'erigono quando i giochi della storia sono fatti), ma per qualcosa che, forse, avverrà (cioè mentre i giochi sono da farsi, o sono in corso).

Un luogo vissuto, nella città, che ci serva da mònito per stare attenti e fare di tutto perché quel qualcosa non accada, o che accada il più in là possibile nel tempo.

Un luogo vuoto.

Un luogo profumato, che occorra alla contemplazione - qual è l'unico modo per dare vita ad un monumento? Contemplarlo e ricordare.

Un luogo profumato che ci convinca, dolcemente, a permanere - perché mai ambire che questo si trasformi? Sarebbe un'orribile perdita. L'unico modo per far sì che esso rimanga tale è fare in modo che il motivo per cui esso è stato costruito mai si realizzi.

Perché far sì che un giardino-e-basta diventi, per necessità di spazio in tempi avversi, un cimitero?

Perché, quindi, non discutere riguardo ad un futuro cimitero-in-potenza come luogo di un futuro stato d’emergenza? [47][48]

Per qualsiasi tempo e qualsiasi luogo nei quali un defunto sta per non trovare degna inumazione.

Uno spazio degnamente sacro per un non meglio precisato tempo futu-

ro.

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Un cimitero d'emergenza. Un monumento rivolto al futuro. Un cimitero-in-potenza.

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