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03.4] Avvisi scarlatti
separazione del morto dal mondo dei vivi ma anche la sua reintegrazione attraverso appunto un banchetto di purificazione. Successivamente, dopo un periodo di isolamento di nove giorni per il lutto tramite una cena rituale (cena novemdialis) la famiglia riallacciava i legami con il resto della comunità.55
Altra questione interessante in campo funerario, e delle ritualità connesse alla morte56, è quella riguardande le reliquie (parentesi tematica che sarà più volte riaperta durante la trattazione). Questo poiché, da sempre, le ossa - poiché le parti corporee più lente a decomporsi - erano credute “sede della vita”:
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In varie parti del mondo le ossa, umane e animali, che resistono al decadimento più a lungo di qualsiasi altra parte del corpo, vengono considerate la sede effettiva della vita, sia che per «vita» si intenda una forza vitale, sia che si voglia alludere in modo più specifico all’anima.57
Ebbene, nell’antica Grecia ad esempio - così come nella Roma pagana fino alla svolta cristiana sotto Costantino (272-273) -, il culto delle reliquie contraddistingueva più che l’ambito funerario quello di venerazione per gli eroi, i cui resti erano attentamente conservati perché creduti di influenza benigna sulla società (e spesso veniva fatto altrettanto con le loro vesti, o armi, o suppellettili).
03.4 Avvisi scarlatti
- SCHELETRO. Nella maggior parte delle allegorie ed emblemi è la personificazione della morte. In alchimia simboleggia il nero e la putrefazione o disiunctio degli elementi 58 -
Per quanto riguarda il periodo del primo Medioevo - così come per i secoli che si è visti finora -, Philippe Ariès nella sua “opera magna” (Storia della
55 Tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, cit., p. 65. 56 Una delle più lampanti e sostanziali differenze tra Greci e Latini sta nel sesso della Morte: per i primi - come sarà per i Tedeschi poi - è maschio (thanatos, der Tod, sost. masch.), per i secondi è femmina (mors, sost. femm.). 57 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 339. 58 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 395
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morte in Occidente, 1975) parla di morte addomesticata. Il testo letterario che egli prende costantemente a riferimento per discutere riguardo a quei secoli è la Chanson de Roland (opera della seconda metà dell'XI secolo), famoso testo di natura epica che - come molte chanson de geste medievali - prende spunto da reali vicende storiche. Nella fattispecie, la Chanson de Roland di Turoldo muove dalle battaglie della spedizione militare di Carlo Magno contro gli arabi di Spagna, guerra che si conclude il 15 agosto del 778 con la nota battaglia di Roncisvalle.
Queste le premesse, nelle chanson de geste medievali, così come anche nei più antichi romanzi, la morte è addomesticata in quanto - come si è già detto, tra le righe e non, per le epoche precedenti - rimane all'ordine del giorno, ha a che fare con la quotidianità, e non sconvolge o turba veramente.
Del morire, però, si è avvisati - è una morte che avvisa.
Non si muore senza aver avuto il tempo di sapere che si sta per morire. Altrimenti si trattava della morte terribile, come la peste o la morte improvvisa, e allora occorreva presentarla come eccezionale, non parlarne59. [...] Sapendo prossima la sua fine, il moribondo prendeva le sue disposizioni. [...] Quando Lancillotto, ferito, sperduto, si accorge, nel bosco deserto, di aver «perduto perfino il potere del suo corpo», crede d'essere in punto di morte. Allora che cosa fa? Dei gesti che gli sono dettati da antichi costumi, gesti rituali che bisogna fare quando si sta per morire. Si spoglia delle armi, si sdraia tranquillamente per terra: dovrebbe essere nel suo letto [...]. Apre le braccia in croce - questo non è abituale. Ma ecco l'usanza: è disteso in modo che la testa sia rivolta verso oriente, verso Gerusalemme. Quando Isotta trova Tristano morto, sa che anche la sua morte è vicina. Allora si sdraia accanto a lui, si gira verso oriente.60
Il giacente, a ben vedere, accetta la sorte: la posizione distesa è passiva61, di accettazione e non-combattimento nei confronti della morte, che sta per entrare in scena. Ed è in questo esatto momento, sul letto di morte - o laddove si è distesi -, che ha luogo il cerimoniale del morente.
[2355] Lo sente Orlando che la morte l'afferra,
59 Si noti come, forse, al giorno d'oggi trattiamo qualsiasi morte come nelle chansons medievali si trattava la pestilenza o la morte improvvisa, ovvero occultandole, cercando di eluderle dal discorso. Come se non accettassimo nemmeno più l'avviso che la morte “gentilmente” ci offre per prepararci. Ogni morte è per noi, così, all'oggi, pestilenziale - cioè terribile. Si veda Capitolo 03.12 Inibizioni. Algofobia è tanatofobia. 60 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 19, 21. 61 Anche all'interno della storia dell'arte, la posizione orizzontale o - in generale - la linea orizzontale è passiva e tranquilla, rispetto alla verticale attiva e in movimento. D'altronde, orizzontale è il corpo morto, verticale è l'uomo in vita.
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gù dalla testa fin sul cuore gli scende. Fin sotto un pino62 se n'è andato correndo, sull'erba verde ci si è accanto disteso, la spada e il corno63 sotto sé si mette. Volta ha la testa alla pagana gente, e così ha fatto perché vuole davvero che dica Carlo e con lui la sua gente che morì il nobile conte da vincitore. Confessa le sue colpe ripetutamente, per i peccati in pegno offre a Dio il guanto. [...]64
La morte la si attende orizzontali, tra gesti rituali.
I. Il primo atto di tale cerimoniale - od anche rituale - è il rimpianto della vita - o lamento -, fatto di esperienze passate e ricordi, emozioni e valori, genti amate, figli svezzati ed imprese compiute: “Orlando «prende a ricordarsi di molte cose» [...] della dolce Francia, degli uomini del suo lignaggio, di Carlomagno suo signore, che lo nutrì [...] e dei suoi compagni”65 .
II. Il secondo atto del cerimoniale è quello del perdono: il morente è come se, in qualche modo, nella sua condizione liminale, fosse vicino a Dio - e perciò può perdonare, e raccomandare a Dio stesso i sopravviventi che stanno tutt'attorno al suo giaciglio. “Oliviero chiede perdono a Orlando per il male che ha potuto fargli contro le sue intenzioni: «Vi perdono qui e davanti a Dio»”66 .
III. Il terzo atto del rito del morente è la preghiera: passate in rassegna le glorie terrene e perdonati i compagni dell'avventura della vita, il giacente rivolge ora il volto verso l'alto - e verso l'Altissimo - e, a mani giunte, prega. “La preghiera è composta di due parti: il mea culpa [...] [e la] commendacio animae, parafrasi di una preghiera antichissima ispirata forse dagli ebrei della Sinagoga”67 .
IV. Quarto ed ultimo atto del cerimoniale è subìto dal giacente - che da partecipante attivo si fa passivo, e inizia a morire -, ed è il più religioso di tutti: il prete impartisce l'assoluzione. Da qui in poi, la morte non ha alcun motivo di attendere. “Così Oliviero: «Il cuore gli manca, tutto il suo corpo s'accascia a terra. Il conte è morto [...]. Disse [la sua ultima preghiera] e mai
62 Anche il pino, oltre al più noto cipresso, è da sempre una pianta associata al funebre. Si veda Capitolo 06. (Ef)fusione. Il cimitero come giardino. 63 La spada è la celebre Durendal (Durlindana), spesso citata anche nella letteratura successiva, non solo di ambito francese. Il corno è l'olifante.
64 Passo CLXXIII della Chanson de Roland, XI secolo. 65 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 22. 66 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 22-23. 67 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 23.
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più pronunciò parola in seguito»”68 .
Da questo discorso si può intuire come, oltre al fatto di come la morte avvisi - e sia accettata ed attesa -, il cerimoniale rituale del giacente sia una sorta di pubblico evento. La morte giunge a portarsi via il morente in un luogo che è affollato, perlomeno dalla famiglia che si stringe, letteralmente, intorno al defunto - e da questa usanza nasce il modo di dire ancora attuale.
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Tale usanza del rituale pubblico permarrà per moltissimo tempo, fino a quando, sempre con maggior frequenza a partire dal periodo che Michel Foucault chiama del “grande internamento” - ovvero il Settecento -, l'ospedale prende il posto della casa come luogo per eccellenza d'attesa della morte.
La camera del moribondo si trasformava allora in un luogo pubblico. Vi si entrava liberamente. I medici della fine del secolo XVIII che scoprivano le prime regole d'igiene si lagnavano del sovraffollamento delle camere degli agonizzanti. Ancora all'inizio del XIX secolo, i passanti che incontravano per strada il piccolo corteo del prete che portava il viatico, lo accompagnavano ed entravano dietro di lui nella stanza del malato. [...] [Vi] si conducevano i bambini: fino al XVIII secolo, non esiste immagine di una stanza di agonizzante senza qualche bambino. Quando si pensa alle precauzioni che si prendono oggi per allontanare i bambini dalle cose della morte!69
Una morte, quindi, “quella medievale”, che avvisa, assieme ad un cerimoniale, nella concretezza dei fatti, perfettamente pubblico ed aperto alla comunità. Già questi due “usi” inducono ad un terzo: è in ogni modo assente qualsiasi carattere drammatico - o, col senno di poi, romanticamente patetico, ovvero di intenso pathos emotivo - nei riguardi della morte, del suo sopravvenire e dei cerimoniali ad essa collegati.
Se morire è naturale, il morire è semplice.
Sono soprattutto questi tre appena enunciati gli aspetti che rendono, all'epoca, la morte addomesticata - legata alla domus. Essa avvisa ed è attesa - come un qualsiasi rientro nella propria abitazione -; da distesi, il suo rituale si offre sul letto - in una stanza di casa -; ed è semplice e non-drammatica, non truccata - proprio come la vita tra le mura domestiche.
In tempo medievale più che mai nella storia la morte è all’ordine del
68 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 24. 69 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 24-25.
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giorno anche per il fatto che è sovente utilizzata come pubblica forma di giustizia. L’immagine medievale della morte è perciò quotidiana, esplicita e pubblica, ha le sembianze del boia:
Vi erano [...] poi, con una frequenza mai interrotta, le esecuzioni capitali. L’eccitazione crudele e il rozzo intenerimento che provocava la vista del patibolo costituivano un elemento importante nel nutrimento spirituale del popolo. Era uno spettacolo a scopo moralizzante. Contro i delitti orribili la giustizia escogitò delle punizioni orribili.70
Solo queste cose premettendo - oltre che cercando, perlomeno, di intuire il vigore emozionale per qualsiasi forma religiosa-rituale e suscettibilità al pianto delle genti dell’Europa dell’epoca - si possono quindi introdurre, seppur minimamente, le questioni riguardo al macabro in tempo medievale, epoca di violento, sfrenatissimo e vivo pathos71 - che è altra cosa del pathos e timore emozionale di fronte alla morte di epoca romantica; quello non riguarda affatto questi secoli.
Il Medioevo è di un colore acceso, violento e vivo allo stesso tempo: il Medioevo è da immaginarsi scarlatto - come di un tessuto scarlatto erano incappucciate le teste dei criminali esposte ai mercati cittadini e così come, si dice, il re di Francia portasse il lutto in rosso, a differenza del “volgare” - ovvero “popolare” - nero72 .
Durante il “religiosissimo”73 periodo in questione, in ambito cattolico cresce e si sviluppa, ben più di quanto era stato fatto fino ad allora - se non durante la Roma da Costantino in poi -, il culto delle reliquie74 (tema che ritornerà nell’ambito del discorso sul luogo urbano del cimitero dell’epo-
70 Tratto da Huizinga J., Autunno del Medioevo, Rizzoli, Milano, 1998 (1919), p. 6. 71 Il pathos medievale si può definire come comunitario: all’epoca non si guarda tanto alla vita del singolo ma a quella della comunità - e la religione è l’ideale cemento perché letteralmente religa (cioè “tiene assieme”) la comunità. Diversamente sarà la questione del pathos in epoca rinascimentale. 72 Si veda Huizinga J., op. cit., pp. 7, 64. 73 Si badi, il termine è virgolettato perché forse inusuale, ma ritengo sincero: è l’epoca di personaggi come “il venerabile domenicano Vincenzo Ferrer [che quando] arriva per predicare, da tutte le città il popolo, i magistrati, il clero, e gli stessi vescovi e prelati gli si fanno incontro salmodiandolo. [...] Era raro che non facesse piangere il suo uditorio, e quando parlava del giudizio universale e delle pene dell’inferno o della passione di Nostro Signore, tutti, egli stesso compreso, davano in pianto e si doveva aspettare parecchio tempo finché la calma si ristabilisse ed egli potesse riprendere a parlare” (tratto da Huizinga J., op. cit., p. 8). 74 E, con esso, il periodo - mai terminato - di falsificazione e mercificazione delle stesse: di lì a poco, la Riforma protestante criticò anche ciò, e lo stesso Lutero battezzò il culto delle reliquie come “senza fondamento nella Parola di Dio”.
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