3 minute read

03.7] La morte di sé

03.7 La morte di sé108

- GIUDIZIO, IL. [...] L'immagine rappresenta la resurrezione dei morti nella valle di Giosafat, sulla quale l'angelo dell'Apocalisse suona la sua tromba. [...] L'angelo, con la sua luce e con il suono della sua tromba (immagine solare), «risveglia» l'anelito di resurrezione sopito nell'uomo dopo la caduta nell'inautentico 109 -

Advertisement

Riassumendo ai minimi termini - ma per nulla improbabili - la questione del “discorso intorno al rapporto tra l'Uomo e la Morte” portato avanti sin qui, si può qui - a metà via nel capitolo - affermare che:

[...] Abbiamo illustrato due atteggiamenti davanti alla morte. Il primo, che è insieme il più antico, il più duraturo e il più comune, è la familiare rassegnazione al destino comune della specie, e può riassumersi in questa formula: Et moriemur, moriremo tutti. Il secondo, che appare nel XII secolo, esprime l'importanza attribuita in tutta l'età moderna alla propria esistenza individuale, e può tradursi in quest'altra formula: la morte di sé. 110

Infatti, tra le righe del discorso in merito a quell'avvicinamento - sempre più repentino - tra il Dies illa del Giudizio ultimo e l'ora della morte, si è visto come la personale biografia venga ad assumere la sua rilevanza in tempo di morte: ogni liber vitae è personalissimo - e viene giudicato. La singolarità di ogni sé sale in cattedra; un maggiore individualismo (con-)cresce in parallelo a queste mutazioni del sentire diffuso.

Il momento della morte viene sempre maggiormente visto, nel lungo periodo che porta dal XIV al XVIII secolo, come un'interruzione poco comoda alle vicende della vita: morire è qualcosa che non va bene affatto - in quanto in vita non c'è stato abbastanza tempo per essere adeguatamente fortunati, fedeli, cristiani. Per (non) essere, in maniera completa ed esaustiva, nulla. La morte interrompe le ore della vita nella quale si stava facendo di tutto

108 Anche il titolo, solo in questo caso, è stato ripreso da uno dei quattro fondamentali capitoli dell'opera di Ariès: questo in quanto, a mio gusto, la sua narrazione è davvero formidabile e penetrante, quasi avvincente, soprattutto per quanto riguarda il comune sentire nei confronti della morte durante il periodo del Medioevo. 109 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 229-230. 110 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 50.

03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte 69

per salvarsi - e godere, e piacere.

Oggi non mettiamo in rapporto il nostro scacco vitale e la nostra mortalità umana. La certezza della morte, la fragilità della nostra vita sono estranee al nostro pessimismo esistenziale. Invece, l'uomo della fine del Medioevo aveva la consapevolezza acutissima di essere un morto a breve scadenza, e la morte, sempre presente dentro di lui, infrangeva le sue ambizioni, avvelenava i suoi piaceri. E quest'uomo nutriva una passione per la vita che oggi possiamo a stento comprendere, forse perché la nostra vita è diventata più lunga [...]. Quest'uomo provava un amore irragionevole, viscerale, per i temporalia, e per temporalia s'intendevano, insieme e mescolati, le cose, gli uomini, i cavalli e i cani.111

Un individualismo in qualche modo religiosissimo-e-materialista assieme, che si scopre - anzi, che si ri-scopre, dato che non era tipico dei secoli appena precedenti (ovvero quelli del primo cristianesimo europeo) ma lo era stato durante l'antichità classica - anche e soprattutto nel momento del perire.

Qui cogliamo questo cambiamento nello specchio della morte: speculum mortis, potremmo dire nello stile degli autori del tempo. Nello specchio della propria morte, ogni uomo riscopriva il segreto della sua individualità. E questo rapporto, che l'antichità greco-romana e più particolarmente l'epicureismo112 avevano intravveduto, [...] poi s'era perduto.113

In ultima istanza, il secolo del Seicento e la prima fase del successivo sono quelli che Michel Foucault definisce come periodo del “grande internamento”114 . L’internamento diventa la condizione peculiare per diverse figure s-ragionate, dissennate, considerate come vero e proprio pericolo per l’ordine pubblico: in primis i diseredati ed i poveri, gli ammalati ed insensati, i pazzi. La speculazione portata avanti dal filosofo francese sarà molto utile anche per inquadrare la situazione del rapporto tra uomo e morte durante tale lasso temporale.

111 Tratto da Ariès P. op. cit., p. 44. 112 La dottrina epicurea si rifà - in senso stretto - al pensiero del greco Epicuro (341-270 a.C.), così come - in senso lato - a quella dei suoi “seguaci” (d'ogni tempo e d'ogni dove), che seguirono ed ampliarono i suoi precetti. L'epicureismo è, in un certo grado, ravvisabile come una filosofia d'impianto materialista: lo stesso Epicuro riteneva che «è vano il discorso di quel filosofo che non curi qualche male dell'animo umano». 113 Tratto da Ariès P. op. cit., p. 49. 114 Si veda Foucault M., op. cit., 1961.

70

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

This article is from: