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03.6] Il Giudizio ai piedi del letto
03.6 Il Giudizio ai piedi del letto
- MATTO, IL. [...] Il Matto si trova al di là di ogni ordine o sistema, così come il «centro» nella ruota delle trasformazioni si trova al di fuori del moto, del divenire e dei mutamenti. [...] Il colore [con il quale è rappresentato] rosso tende all’arancione [...]. Nelle cerimonie e nei riti di guarigione, sia il medico che il malato fanno i «matti», reagiscono con il delirio, il ballo e le «stravaganze» allo scopo di invertire l’ordine maligno in atto 96 -
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Intorno alla fine del Quattrocento avviene un cambiamento piuttosto curioso nel comune sentire nei riguardi della morte o, più precisamente, all'interno dell'ambito dell'Ars moriendi. Questo fenomeno - che, come si vedrà, si può definire a partire da due distinte novità dell'atteggiamento nei confronti del fine-vita - sarà utile per intuire quella sorta di transizione ch'è avvenuta tra i primi secoli del cristianesimo e la fine del Medioevo, e dappoi continuare durante l'epoca “rinascimentale” ed il Seicento.
Durante i secoli dell'antichità e medievali, la morte era addomesticata anche per il fatto - oltre a quelli visti fino a qui - che la gente dell'epoca aveva una visione collettiva del destino:
L'uomo di quei tempi era profondamente e immediatamente socializzato. La famiglia non interveniva per ritardare la socializzazione del bambino. D'altra parte, la socializzazione non separava l'uomo dalla sua natura, sulla quale egli non poteva influire, se non attraverso il miracolo. La familiarità con la morte è una forma di accettazione dell'ordine naturale, accettazione insieme ingenua nella vita quotidiana, e dotta nelle speculazioni astrologiche.97
In sostanza, con la sua morte l'uomo subiva il grande fardello della sua specie - che, inevitabilmente, prima o poi sarebbe giunto. E giunta l'ora di ognuno - con la Morte che t'avvisa -, nessuno immaginava di potervisi sottrarre: sarebbe stato come andare contro Natura, cioè contro Dio - ma a che scopo? Anche perché nel “cristianissimo” Medioevo tutti - collettivamente - si cre-
96 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 296. 97 Tratto da Ariès P. op. cit., p. 34.
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deva al futuro Giudizio Universale98, al Dies illa (ch'è l'ultimo giorno del mondo alla fine dei tempi): così come arrivava l'ora della morte, sarebbe anche arrivata quella dell'eterna salvezza delle anime.
Ed il punto della questione tocca proprio quest'argomento: quello della rappresentazione - e della credulità - del Giudizio Universale è un fedele specchio per parlare intorno alla variazione della concezione della morte avvenuta tra la fine del secolo XV e l'inizio del XVI.
Un esempio di questa credenza pre-svolta quattrocentesca si ha presso la tomba del vescovo Agilberto (VII secolo):
Il vescovo Agilbert è stato sotterrato nel 680 nella cappella funeraria che aveva fatto costruire [...] a Jouarre. Il suo sarcofago è sempre là. Che cosa ci vediamo? Su uno dei lati minori, il Cristo in gloria, circondato dai quattro evangelisti, cioè l'immagine - tratta dall'Apocalisse - del Cristo che ritorna alla fine dei tempi. [...] Non v'è né giudizio, né dannazione. [...] I morti che appartenevano alla Chiesa e le avevano affidato i loro corpi (cioè li avevano affidati ai santi99) si addormentavano come i sette dormienti di Efeso (pausantes, in somno pacis) e riposavano (requiescant) fino al giorno del secondo avvento, del grande ritorno, in cui si sarebbero risvegliati nella Gerusalemme celeste, cioè in Paradiso.100
Ed è esattamente questa l'immagine “escatologica” comune durante il primo Medioevo, ovvero durante i primi secoli di affermazione del cristianesimo. Il sonno della morte era, così come il riposo terreno, temporaneo, in attesa del Dies illa della fine dei tempi - questo riguarda tutti, assieme, e non l'individuo preso singolarmente.
Ma passa mezzo millennio e le cose iniziano a cambiare: in alcuni bassorilievi dell'ornato delle chiese dell'epoca101 comincia a comparire, seppur ancora nella cornice delle vicende immaginifiche dell'Apocalisse, il Cristo Judex, giudicatore e sommo Giudice. Al suo fianco, schiere di arcangeli pesano le anime. Quello della fine dei tempi, quindi, pare non essere più il momento della paradisiaca, eterna, ma soprattutto comune Salvezza: al contrario, al Dies
98 Il discorso a venire spiega perché, con tutta probabilità, non ha senso parlare propriamente di giudizio prima dei cambiamenti intercorsi durante il tardo-Medioevo: durante il primo cristianesimo, infatti, il Dies illa sarebbe stato - per coloro che avevano creduto e professato - il giorno dell'indistinta e comune salvezza delle anime. La seconda discesa del Cristo avrebbe (ri)consegnato tutti al Paradiso perduto dall'alba dei tempi. 99 Quando muore Agilberto è già abbastanza diffusa la pratica di seppellire le salme dei defunti intorno alle chiese, dato che queste contengono le reliquie dei santi. Si veda Capitolo 05.3 Gravitare intorno ai santi.
100 Tratto da Ariès P. op. cit., p. 35. 101 Philippe Ariès porta come esempi le chiese di Beaulieu, Conques, Parigi, Bourges, Bordeaux ed Amiens. Si veda Ariès P. op. cit., p. 36.
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illa si sarà tutti di fronte ad una serissima e magniloquente corte di giutizia. E ciò pare affermarsi nei tempi successivi del XII e XIII secolo:
Nel XIII secolo, l'ispirazione apocalittica, l'evocazione del grande ritorno sono stati quasi cancellati. L'idea del giudizio ha avuto il sopravvento [...]. Il Cristo è assiso sul trono del giudice, circondato dalla sua corte (gli apostoli). Due azioni assumono una sempre maggiore importanza, la pesatura delle anime e l'intercessione della Vergine e di san Giovanni, in ginocchio, con le mani giunte, ai due lati del Cristo-giudice. Ogni uomo è giudicato secondo il bilancio della sua vita, le buone e le cattive azioni sono scrupolosamente separate sui due piatti della bilancia. Del resto, sono state già scritte su un libro. Nel magnifico clangore del Dies irae, gli autori francescani del XIII secolo fanno portare il libro davanti al giudice dell'ultimo giorno, un libro dove è racchiuso tutto quello secondo cui il mondo [ed ogni uomo] sarà giudicato.102
Se, dapprima, tale libro del giudizio è segnato dalle vicende dell'intero Creato, già nel Quattrocento comprenderà solamente le vicende individuali di ciascuno dei giudicati. Nel giro di ruota che intercorre tra la morte di Agilberto - così come anche prima - e gli ultimi decenni del Quattrocento, cambia radicalmente la visione del Dies illa - e quindi la visione che si ha del sonno della morte: prima un comune ritrovo avrebbe reso a tutti il Paradiso perduto; poi il Cristo si fa Judex ed esaminatore, e pretende che ognuno porti l'operato della specie in un libro; ed alla fine il Cristo esaminatore pretende in un libro - in vista dell'ultimo giorno dei tempi -, da ognuno, le sue proprie azioni terrene: e non l'umanità tutta è giudicata, ma ogni singolo individuo, sulla base del suo personale diario, liber vitae.
Il Dies illa si trasforma in un esame - e si può essere bocciati.
Il morire, di conseguenza, non può che farsi più serioso, ed allo stesso tempo ansioso, tragico. E la seconda, parziale, questione di questo cambiamento ha a che fare con l'ora della morte - quel momento in cui, da distesi, orizzontali, s'attende di spirare.
A cambiare non è solo la natura (il come) dell'ultimo Giudizio, ma anche e soprattutto il suo tempo (il quando).
Troviamo questa nuova iconografia in xilografie diffuse attraverso la stampa, in alcuni libri che sono dei trattati sull'arte di ben morire: le artes moriendi del XV e
XVI secolo. Quest'iconografia ci riconduce quindi al modello tradizionale della morte nel proprio letto [...]. Il moribondo è a letto, circondato dai suoi amici e parenti. Sta eseguendo i riti che ben conosciamo. Ma succede qualcosa che turba
102 Tratto da Ariès P. op. cit., pp. 36-37.
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la semplicità della cerimonia e che i presenti non vedono, uno spettacolo riservato solo al morente, il quale del resto lo contempla con un po' d'inquietudine e molta indifferenza. Degli esseri soprannaturali hanno invaso la camera e si affollano al capezzale del «giacente». Da una parte la Trinità, la Vergine, tutta la corte celeste, e dall'altra Satana e l'esercito dei demoni mostruosi. La grande adunata che nel XII e XIII secolo aveva luogo alla fine dei tempi, nel secolo XV avviene ormai nella camera del malato. [...] C'è sempre il libro, e troppo spesso avviene che il Diavolo se ne approprii con un gesto di trionfo - perché i conti della biografia gli sono favorevoli. [...] Dio e la sua corte sono là per constatare come si comporterà il morente durante la prova che gli viene proposta prima di esalare l'ultimo respiro, e che determinerà la sua sorte nell'eternità. Questa prova consiste in un'ultima tentazione. Il moribondo rivedrà tutta la sua vita, quale è contenuta nel libro, e sarà tentato sia dalla disperazione per i suoi errori, sia dalla «vanagloria» delle sue buone azioni, sia dall'amore appassionato per gli esseri e le cose. Il suo atteggiamento, nel lampo di quell'attimo fugace, cancellerà di colpo i peccati di tutta la sua vita, se respinge la tentazione, o, al contrario, annullerà tutte le sue buone azioni, se vi cede. L'ultima prova ha sostituito il Giudizio Finale.103
Il Giudizio è un esame per cui abbiamo pena, e c'attende non alla fine dei tempi, ma tra i nostri cari al capezzale. Neanche il nostro liber vitae ci salverà: si deve ora esser prodi - e cristiani - soprattutto in punto di morte. Si tende, da questo momento in poi, ad una singolarità patetica della morte - e della nostra “ultima ora” - che troverà il suo apice nella cultura romantica ed ottocentesca.
Cristo Judex è ora arbitro - ed il Giudizio è un calcio di rigore all'ultimo minuto.
In ultima analisi, tra Quattro- e Cinquecento alle pitture terrificanti delle macabre danze presso i luoghi funebri si aggiunge anche il continuo pensare all’ora della morte, al momento di sua precisa - e puntuale - incombenza. Perdura la condizione di perpetuo memento mori, ch’è la prima delle cosiddette Quattro cose ultime dell’uomo di fede, le Quattuor hominum novissima: esse sono la morte, appunto, il giudizio finale, l’inferno e il paradiso.
Strettamente collegata al tema delle Quattro cose ultime è la Ars moriendi, creazione del secolo XV, che, propagata come la Danza macabra, dalla stampa e dalle incisioni in legno, ebbe un’influenza più vasta di qualunque idea religiosa precedente. Essa tratta delle tentazioni, cinque di numero, con le quali il diavolo insidia il moribondo: il dubbio sulla fede, la disperazione per i peccati, l’attaccamento ai beni terreni, la disperazione per le proprie sofferenze e [...] l’orgoglio per le proprie
103 Tratto da Ariès P. op. cit., pp. 38, 39.
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Davvero emblematico di quest’epoca è anche il passaggio o trasmutazione che avviene intorno alla figura del moribondo, il Diverso-escluso o, più appropriatamente, colui il quale è il mortifero (lett.: “portatore di morte”) nel corso dell’esistenza terrena. Durante i secoli precedenti era stato il lebbroso l’emarginato per eccellenza, il recluso, uomo mortalmente corrotto, seppur ancora in vita. Alla fine del Medioevo invece, praticamente debellata la malattia della lebbra dal mondo occidentale105 , la figura del lebbroso scompare - si intenda: scompare soprattutto dal punto di vista sociale e della “quotidianità”, in quanto il morbo non è debellato completamente in quei decenni -, ed il suo ruolo viene assunto dal folle106. La quarantena è, ora - ed il parallelismo è interessante -, la condizione permanente degli “insensati”, dei pazzi, che non per un periodo solamente, ma per tutta la vita occupano la soglia, di tempo in tempo muovendosi lungo i percorsi fluviali rimanendo alle porte delle città, mai oltre107. Vivi, ma come sospesi tra il mondo dei vivi e quello dei morti, in una posizione ambivalente [09]. Durante il Medioevo - semplificando - si potrebbe affermare che erano stati la lebbra ed il lebbroso ad incarnare il senso della morte e l’angoscia nei suoi confronti: ora invece questo ruolo viene assunto dal folle. Ma quest’ultimo è molto meno serio del lebbroso - è il joker -, viene deriso, e con lui la morte; la derisione del folle prende il posto della morte - “medievalmente” intesa - con tutta la sua serietà, purché esorcizzata tramite la danza.
La fascinazione che il Rinascimento prova nei riguardi del folle si fonda esattamente su questa ambiguità, su questa triste risata nei confronti del pazzo, nuovo mortifero, “rispettato-ma-escluso” dalla vita associata.
Angosciati, si deride la morte.
104 Tratto da Huizinga J., op. cit., p. 200. 105 La diffusione della lebbra (malattia oggi denominata Morbo di Hansen) nell’Europa continentale si ridusse drasticamente durante il corso del XV secolo: fino ad allora, a partire dal XIII secolo quando era molto probabilmente stata importata a seguito delle Crociate, aveva mietuto migliaia di vittime, dando vita ai “lebbrosari” - o lazzaretti -, vere e proprie comunità di reclusione per lebbrosi (oltre che appestati). 106 Si veda Foucault M., Storia della follia nell’età classica, 1961. 107 Queste persone vivevano sulle cosiddette “navi dei folli”, imbarcazioni di quarantena a vita per le figure dei “pazzi”, rispettati ma allo stesso tempo scartati dalla comunità. Fino al Seicento saranno esclusi “dinamici”, in movimento - sulle navi -, poi reclusi “statici”, rinchiusi negli ospedali e nei manicomi.
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