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05.6] “Illuminate” inchieste

“architettonico rivestimento” del tempio.

Nel XVIII secolo, le targhe con una semplice iscrizione diventano sempre più numerose, almeno nelle città, in cui gli artigiani - la classe media dell'epoca - tenevano a loro volta ad uscire dall'anonimato o a conservare la loro identità dopo la morte. Tuttavia, queste targhe tombali non erano il solo mezzo, né forse il più diffuso, di perpetuare il ricordo. I defunti prevedevano nel loro testamento dei servizi religiosi perpetui per la slavezza delle loro anime. Dal XIII secolo e fino al XVII, i testatori (in vita) o i loro eredi fecero incidere su una lstra di pietra (o di rame) i termini della donazione e gli obblighi del parroco e della parrocchia. Queste targhe di fondazione erano almeno altrettanto significative dei «qui giace». Le due cose erano talvolta combinate [...] Quel che importava era il ricordo dell'identità del defunto, e non il contrassegno del luogo esatto in cui era deposto il corpo.61

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Ad imperitura e personalissima memoria, si incide ciò del singolo sulla pietra.

05.6 “Illuminate” inchieste

- CAVITÀ. È l’aspetto astratto della caverna, l’inversione della montagna. Nell’idea di cavità si sovrappongono molti significati simbolici: dimora dei morti, del ricordo, del passato, luogo che allude alla madre e all’inconscio, per la connessione che lega questi elementi 62 -

Come bene racconta Ariès - soprattutto per quanto riguarda la questione francese - è durante il Settecento che si mette in discussione maggiormente il luogo urbano del cimitero come lo si conosceva fino ad allora. Due ne furono i principali motivi, che d’altronde si sposano con le due caratterizzazioni fondamentali di quel secolo.

In primis, il secolo dei “Lumi” è igienista, nel senso che erige a necessità prima quella della salute pubblica e della salubrità del quotidiano vivere63 .

61 Tratto da Ariès P. op. cit., pp. 47, 48. 62 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 138. 63 Cosa alquanto interessante, Zygmunt Bauman ben descrive la correlazione di primo diffuso

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La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

L’accumularsi dei morti nelle chiese o nei piccoli recinti delle chiese divenne d’un tratto intollerabile, almeno per gli spiriti «illuminati» degli anni intorno al 1760. Una pratica che durava da quasi un millennio senza sollevare alcuna riserva, non era più tollerata e diveniva oggetto di violente critiche. Tutta una letteratura ce ne dà la prova. 64

Ma qual è, almeno nei suoi esponenti fondamentali, tale letteratura a cui lo storico fa riferimento? Ebbene, egli non ci dà la lista precisa degli autori a cui si rifà, ma, quasi di per certo, alcuni sono italiani, dato che, ben prima dell’Editto napoleonico, molte voci si alzano a rendicontare una situazione - soprattutto nelle grandi città - oramai non più sopportabile, auspicando un radicale cambiamento. È il 1707 quando, a Roma65, tale monsignor Giovanni Maria Lancisi (1654-1720) pubblica il De subitanei mortibus, inchiesta sulle condizioni del vivere popolare romano eseguita su richiesta del papa Clemente XI, allora a capo della Santa Sede.

Per il risanamento urbano, parziale risoluzione al problema dei molteplici quanto improvvisi decessi, l’archiatra [il Lancisi] riscontrava la necessità di chiudere alcuni sepolcreti e suggeriva al pontefice di collocare nuove aree per le sepolture lontane dall’abitato, dai flussi dei venti dominanti e dal corso del Tevere, soggetto al tempo a continui e copiosi straripamenti.66

Tali considerazioni rimasero però perlopiù inascoltate e non messe in pratica, data la fortissima opposizione della quasi totalità del clero assieme con la diffusa superstizione del volgo, che ancora non riusciva a vedere di buon occhio lo scostamento del recinto sepolcrale rispetto al sedime della chiesa. Il Lancisi tornò sulla questione con una succesiva pubblicazione, la Dissertatio de natavis, deque adventitiis romani coeli qualitatibus (1711), ma a ben

igienismo settecentesco e razzismo - esacerbato nell’Ottocento -: “Si può comprendere il discorso razziale e la politica razzista dell’età moderna [...] come un esempio della più generale preoccupazione moderna per l’igiene, quel surrogato realistico del sogno irrealistico di fuga dalla morte. I termini igienici e le immagini retoriche che saturano il discorso razziale non sono né accidentali né gratuiti. Sono inoltre più che semplici metafore: il discorso razziale, come tutti gli altri numerosi discorsi di differenziazione/separazione, è in verità una parte del pensiero igienico e delle pratiche igieniste della modernità” (tratto da Bauman Z., Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, Bologna, 2012 (1992), p. 202). 64 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 59. 65 Vogliano, questo esempio - romano - come i successivi - d’altrove -, fungere da emblema della situazione italiana, forse quindi europea (data la congruenza di ciò narrato da Ariès in ambito francese negli stessi decenni). 66 Tratto da Bertolaccini L., Primi atti nella definizione dei moderni impianti cimiteriali, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., p. 17.

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poco servì anche questa. I morti avevano, ancora per qualche decennio, da esser sepolti ad sanctos o ad impluvium67 - nel caso di sepolture in piccoli centri - oppure all’interno dei cimiteri urbani nelle città più popolose.

C’è quindi da aspettare il 1774 per avere un’altra pubblicazione dall’importanza e dal carattere - oltre che coraggio progressista - di quella del Lancisi, ovvero il Saggio intorno al luogo del seppellire dell’abate fiorentino Scipione Piattoli (1749-1809), all’epoca docente di storia ecclesiastica e lingua greca nella riformata Università di Modena. L’idea di fondo è sostanzialmente la stessa dell’ecclesiasta romano, ma stavolta sembra venir maggiormente recepita e resa realtà al di fuori del mero nero su bianco del testo. Forse per i tempi più maturi68, ma forse anche grazie all’inserimento della proposta di svolta in una cornice nostalgico-classica, di sicuro maggiormente apprezzabile all’epoca di una semplice pubblicazione di uno qualunque fra i membri del clero. Recita il testo del Piattoli:

Fa duopo confessare, malgrado la prevenzione pe’l nostro secolo, che prima o poi siamo costretti a ripigliare le costumanze de’ nostri antichi69 [...]. Ripulire una nazione è l’opera del coraggio e della capacità; ma ricondurla a delle pratiche che non son nuove, e che son le migliori, è l’opera del buon senso, e della fermezza.70

Si diceva, quindi, stavolta, un maggiore esito pratico rispetto alla pubblicazione romana del Lancisi di inizio secolo: infatti, quasi in contemporanea con la relazione del Piattoli, accadeva che un altro italiano - stavolta regnante libertino e non uomo di chiesa -, ossia Francesco III d’Este, duca di Modena, venisse meno ad un suo stesso precetto, di circa dieci anni prima, per fare in modo di espellere definitivamente le sepolture dall’urbe. Se nel 1765 aveva rifiutato di spostare extra moenia il cimitero civico, stanziato di fianco all’ospedale, ecco che ora faceva erigere un grande cimitero fuori porta Sant’Agostino. Nel mentre, il dibattito si fa vivo ed interessante anche oltre-confine, in particolar modo in Francia. È il 23 marzo del 1775 quando l’arcivescovo

67 Si veda Capitolo 05.3 Gravitare intorno ai santi. 68 Beninteso, non che tra 1711 e 1774 non accada nulla. Per brevità si sono prese a riferimento le due pubblicazioni - forse - più significative, ma nel mentre non sono pochi i più informali “provvedimenti” che vengono intrapresi. Un esempio è quello toscano del 1769, anno in cui il granduca Pietro Leopoldo, successivamente ad una visita della città di Livorno, ordina lo spostamento extra moenia del cimitero cittadino in virtù delle tremende condizioni igieniche cittadine del quale era stato egli stesso testimone. 69 Sono questi i termini nostalgico-classici di “cornice” a cui facevo riferimento nelle righe precedenti. 70 Tratto da Bertolaccini L., Primi atti nella definizione dei moderni impianti cimiteriali, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., pp. 18, 23.

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di Tolosa, Étienne-Charles de Lomenie de Brienne (1727-1794), pubblica una Carta Pastorale riguardante l’argomento in questione, nella quale esorta anch’egli di provvedere a realizzare i nuovi cimiteri al di fuori del perimetro urbano. A tale avvertenza da parte dell’arcivescovo segue quasi istantaneamente la reazione di re Luigi XVI che, d’accordo con l’idea che - a quanto pare - sempre più stava diffondendosi, promulga, nel maggio del 1776 una Déclaration royale, con la quale vietava tassativamente la sepoltura nelle chiese e in qualsiasi area di ambito cittadino. Sempre in Francia, tra l’altro, vedrà la luce, nel 1778, la prima traduzione del Saggio intorno al luogo del seppellire, ad opera di Félix Vicq d’Azyr (17461794). Al francese de Brienne segue ancora un italiano. È il 1777 quando Francesco Lucerna-Rorengo de Rorà (1732-1778), arcivescovo di Torino, redige una Carta Pastorale sulla questione delle sepolture, sulla falsariga della Carta Pastorale di Lomenie de Brienne. Tale inchiesta, stavolta torinese, nasce - come fu per quella romana del Lancisi - in seguito alla indecorosa condizione di sovraffollamento delle sepolture che si presentava all’interno delle chiese cittadine, gravata ancor di più dalla recente epidemia di colera e dalla calura del 1776. Ancora una volta ci si accorge - e siamo solo agli albori - che per il bene della cittadinanza tutta, bisognava trovare norme e regole anche per la comunità dei morti, così come le si erano sempre trovate e rispettate per quella dei vivi.

Da lì in poi, non mancheranno per decenni successive e frequenti emanazioni in ambito funebre e cimiteriale tali da favorire l’igiene e la salubrità cittadine, dato che molte delle stesse trovavano ferrea opposizione nella componente meno “illuminata” ed aggiornata del clero, che ben si riguardava da posizioni progressiste per non perdere potere.

Di questa natura furono ad esempio, sempre su commissione del granduca di Toscana Pietro Leopoldo (1747-1792), regnante col nome di Leopoldo II d'Asburgo-Lorena, le Istruzioni per la formazione dei campisanti a sterro (1783), la Storia di Riti funebri e delle sepolture antiche e moderne ed osservazioni sui nuovi camposanti (1784) ad opera di Modesto Rastrelli, così come Della legittima Sepoltura dei Cristiani nell’Occidente (degli stessi anni), commissionata all’abate Lorenzo Mehu.

In second’ordine, il secolo dei “Lumi” è laico, o come minimo si fa maggiormente laico rispetto ai secoli precedenti71, e questo sotto numerosi punti di vista ed attitudini, che hanno come comun denominatore - la contemporanea ascesa della Scienza in parte lo conferma - quello della ripresa di valore del corpo.

71 Il tutto con i dovuti riguardi: è ancora molto forte, infatti, il potere della chiesa e del clero nei

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Innanzitutto, non vengono solo prese di mira le chiese - intese come architetture -, nelle quali si è visto come si comincia a non voler più seppellire per questioni igieniche, ma la Chiesa stessa - con la “C” maiuscola, intesa come istituzione - comincia ad essere messa in discussione, e ciò ad opera non solo dei numerosi intellettuali “illuminati” dell’epoca, bensì anche dalla popolazione. “Si rimproverava alla Chiesa d’aver fatto tutto per l’anima e niente per il corpo, di prendere i soldi delle messe e disinteressarsi delle tombe”72: l’accusa mossale era quindi quella di grave negligenza. D’altronde, come afferma anche Foucault,

è proprio nell’epoca in cui la civiltà è divenuta, come si dice molto grossolanamente, “atea”, che la cultura occidentale ha inaugurato quello che si chiama culto dei morti. In fondo, era normale che nell’epoca in cui si credeva effettivamente alla resurrezione dei corpi e all’immortalità dell’anima, non si prestasse un’importanza capitale alle spoglie mortali. Invece, è proprio a partire dal momento in cui non si è più molto sicuri di avere un’anima che il corpo resuscita. 73

In secondo piano, un fatto curioso, direttamente collegato a questa prima questione: se, all’incirca dal XIII secolo, “il testamento era allora per ogni uomo non solo e non tanto un atto di diritto privato per la trasmissione di un’eredità, quanto un modo di affermare i suoi pensieri e le sue convinzioni profonde”74, ecco che dal Settecento “le clausole pie, le elezioni di sepoltura, le fondazioni di messe e servizi religiosi, le elemosine scompaiono, e il testamento si riduce a quel che è ancora oggi, un atto legale di distribuzione del patrimonio”75. In sostanza, dal testamento scompaiono i vari e ricorrenti - fino a quel momento - riferimenti all’ambito spirituale, per lasciare tutto lo spazio alla sfera temporale, dei beni e dei possedimenti. Il testamento comincia così a trasformarsi in quell’apoteosi laica, tutta “materiale”, quale sarà in massimo grado nel Novecento; si è sulla strada verso Il testamento - “senza preghiera” - cantato da De André:

confronti della popolazione e - a meno di menti “illuminate” - sarà ancora presente per molti decenni la resistenza ed opposizione del clero nei confronti, ad esempio, delle sepolture lontane dai luoghi di culto. Infatti “l’allontanamento dei sepolcri dalle chiese spiace al clero, timoroso di una diminuzione delle pie elargizioni dei suffraganti, per cui fa di tutto per far venire in aborrimento i campisanti non ancora ovunque costruiti” (tratto da Orefice G., Campisanti e “belle fosse” nella Toscana lorenese, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., p. 41). 72 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 60. 73 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano-Udine, 2011 (2001), edizione a cura di Vaccaro S., p. 27. 74 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 55. 75 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 55.

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