COVID19: Quei giorni, sotto il cielo di Urbino

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Questo libro è dedicato al personale del presidio sanitario di Urbino, e a tutti coloro che hanno combattuto in prima linea questa battaglia per la vita.

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S O M M A R I O pag. 8 - Presentazione ROMINA PIERANTONI - Consigliera di parità pag. 12 - Il sorriso degli angeli TONINO MOSCONI - Fotografo pag. 26 - Orgogliosamente fieri di voi GIUSEPPE PAOLINI - Presidente Provincia di Urbino pag.50 - Faccia a faccia con il Virus ALESSANDRO BAROCCI - Biologo, Direttore FF UOC AV1 pag. 54 - Terapia intensiva PAOLO BRANCALEONI - Dir. U.O.C. Anestesia e rianimazione pag. 64 - In trincea GABRIELE LANI - Coordinatore DEA pag. 76 - Quei giorni senza fiato DAVIDE FABRIZIOLI - Un paziente pag. 80 - Il cuore in corsia Un infermiera pag. 81- Il coraggio per ricominciare RITA EMILI - Dirigente medico UO oncologia pag. 82 - Unità territoriale AUGUSTO LIVERANI - Direttore FF Distretto di Urbino ELISABETTA MAESTRINI - PO Coordinatrice Distretto di Urbino pag. 90 - Quei giorni, la città MAURIZIO GAMBINI - Sindaco di Urbino pag. 110 - Grazie ROMEO MAGNONI - Direttore Area Vasta 1

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QUEI GIORNI di ordinaria emergenza all’ospedale di Urbino

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La sala da visita Triage, dove il paziente viene accettato clinicamente. Qui si decidono quali atti terapeutici (ossigeno), e quali atti diagnostici (elettrocardiogramma, emogas analisi, tampone), applicare. 19


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“Stia tranquillo ora la facciamo dormire, così potrà respirare meglio...” La gola si stringe mentre vengono pronunciate queste parole, non sappiamo quanto quel sonno durerà, se potremo restituirlo alle braccia amorevoli della sua famiglia. Il peso emotivo di essere l’ultima persona che vedrà prima di addormentarsi è opprimente, i suoi occhi pieni di paura trafiggono come spine il tuo cuore, allora l’unica cosa che riesci a fare è quella di stringergli la mano e accarezzargli la fronte rassicurandolo che “andrà tutto bene” Sara - infermiera dell’area di emergenza

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“L’unica cosa che so per certo è che le certezze che avevamo, le cose apprese sui libri nei nostri percorsi di studi, sono state spazzate via travolte dall’arrivo di questa Pandemia” Gabriele Lani, infermiere dell’area di emergenza

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Quei giorni senza fiato di Davide Fabrizioli Tutto inizia l’8 marzo con un po’ di fiacca e lieve mal di gola, poi arrivano tosse, febbre, dolori alla schiena e le prime paure. Con il saturimetro misuro l’ossigeno e la situazione peggiora ogni giorno. Ho il ricordo indelebile delle notti a casa con febbre alta e problemi di respirazione, direi che sono incubi ad occhi aperti. È difficile spiegare ciò che si prova chiusi in camera con i propri dubbi, le proprie emozioni ed il proprio star male; è difficile non avere una carezza, chi ti vuole bene più di una parola di conforto non può darti. Quando la respirazione si fa più difficile chiamo il 118 ma, con il caos del momento nei pronto soccorso, mi invitano a restare a casa. Poi una notte la saturazione peggiora, ho il “fiato corto”, prendo la macchina e raggiungo l’ospedale. Dalle prime analisi risulto positivo con una infezione polmonare in atto e necessito di ossigeno. E qui la paura prende il sopravvento. Gli ospedali sono pieni, sembrano presi d’assalto, il personale fa il massimo, oltre il possibile, ma si percepisce che la situazione è grave; ci sono tanti ricoveri e ci sono tante persone che soffrono da sole, sembra di vivere in un girone dell’Inferno di Dante. I medici e tutto il personale mettono il cuore oltre l’ostacolo e rischiano il contagio ogni momento e, in una situazione surreale, sono vestiti come astronauti per salvare vite umane contro un virus invisibile. Steso nel lettino mi pongo domande che restano senza risposte: “Rivedrò i miei familiari, mia figlia, gli amici?” E mi manca tanto la semplice normalità e tutto ciò che prima mi sembrava ordinario, un normale respiro, adesso è maledettamente difficile. Mi appello alla fede, alla preghiera, steso su quel lettino, con lenzuolo purissimo bianco, prego per tornare a fare ciò che ho fatto dal primo giorno di vita... respirare. La notte, interminabile, sembra portare via con sé tutti i dubbi, allora penso che sono forte e ce la farò, ma subito dopo torna la paura perché passa un altro lenzuolo bianco. Vedere quei corpi morire da soli, avvolti nei lenzuoli bianchi è una ferita che resterà per sempre. Finalmente, dopo una decina di giorni in ospedale, inizia il miglioramento, torna l’appetito, tornano gli odori ed i sapori, lascio la maschera dell’ossigeno ed inizio a vedere la luce. Mi sento sempre fiacco e la paura mi accompagna perché può esserci una ricaduta. Dal virus si guarisce ma restano dentro tante scorie e spesso di notte fatico ad addormentarmi per paura di non respirare. Ogni esperienza può dare qualcosa. Il COVID-19 mi ha insegnato a capire che è importante trovare il tempo per sé e per gli altri e mi ha fatto conoscere angeli tra le persone normali. Medici ed infermieri che, lontano dai riflettori, danno tutto loro stessi per “fare uscire con le proprie gambe e con un applauso” chi è stato vicino alla fine. Un grazie enorme a loro.

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Tornare a spiccare il volo di Maurizio Gambini Ci ha colti tutti impreparati. Il virus è arrivato e in un attimo ha capovolto il nostro modo di ragionare. Ciò che prima ci faceva sperare nel futuro, come vedere la città popolata di visitatori, cittadini e studenti, nella fase iniziale dell’emergenza ci ha fatto tremare. Ricordo l’angoscia di quei giorni di fine febbraio, quando ancora non si capiva bene la portata di ciò che ci attendeva, ma già intuivo che bisognava prendere una decisione al più presto perché quello che stava accadendo in Lombardia poteva arrivare anche sulle nostre colline. Sapevo che la decisione giusta era anche la più difficile: chiudere i luoghi di aggregazione, e così sono partito dalle scuole. Tanto impegno e tanto lavoro negli anni precedenti per far vivere la nostra città e in quel momento “vivere” significava chiuderla. Tutto è precipitato, poi, con l’emergenza sanitaria. L’ospedale infettato sotto gli occhi di medici, infermieri e personale sanitario che hanno combattuto il virus a mani nude, fino allo stremo delle forze fisiche e mentali, guidati da grande professionalità e profondo coraggio. Si sono presi cura di ogni malato senza mai tirarsi indietro, nonostante sapessero che il virus non li avrebbe risparmiati dal contagio. Ed è stato così per tanti di loro. Oggi non dobbiamo solo ringraziarli, ma dobbiamo chiedere loro scusa. Scusa per una gestione governativa che ha impedito al nostro Paese di arrivare preparati ad affrontare l’emergenza, invece di rincorrerla. In quelle settimane Urbino è stata una “città fantasma” vista dall’esterno. Ma all’interno delle nostre case Urbino si è dimostrata una città dal cuore grande, più viva che mai. Ogni cittadino ha fatto la propria parte rispettando le misure di contenimento; da tutto il territorio sono arrivati gesti di solidarietà verso l’ospedale e il personale sanitario; i bambini e i ragazzi hanno continuato a studiare grazie alla dedizione di famiglie e insegnanti; ognuno ha riorganizzato la propria realtà con sacrifici personali a favore di un bene più grande. Ed è grazie all’impegno di tutti gli urbinati che si è poi potuto parlare di “ripartenza”. Il cuore è ancora pesante per la sofferenza che il virus ha provocato, ma al tempo stesso è gonfio di vita e di fiducia nel futuro, perché abbiamo capito che la nostra comunità è unita e forte. Questa nuova consapevolezza ci aiuterà a tornare presto a spiccare il volo.

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Grazie!

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Grazie di Tonino Mosconi L’aspetto strano, curioso, di questo scritto, è che le tante persone che dovrei ringraziare, quelle che hanno condiviso, agevolato, impreziosito il lavoro e i momenti sul campo, medici, infermieri, pazienti stessi...Perlopiù non so chi siano, non so che volto abbiano. A questi, a tutti coloro con cui ho scambiato un gesto nascosto da guanti e tute, un sorriso velato da visiere e occhiali di protezione, una parola soffocata dalla mascherina...Và il mio grazie più grande. Sono i veri protagonisti di questa storia. A monte di tutto: Romina Pierantoni, amica e collega in questo progetto nato da una sua idea e cresciuto fino a diventare un libro. Fondamentale l’appoggio del Presidente della Regione Marche, Luca Ceriscioli e del direttore del area vasta 1 della provincia di Pesaro-Urbino, Romeo Magnoni che hanno avuto fiducia e mi hanno messo in condizione di lavorare nel migliore dei modi. Un grazie particolare a Gabriele Lani, che mi ha assistito in ogni fase del lavoro in ospedale. A chi ha scritto i testi, anche solo un pensiero, mettendo il cuore sul foglio prima della penna; i loro nomi sono nel libro. Alla famiglia di una paziente Covid che mi ha permesso di entrare in casa e documentare il prezioso lavoro di assistenza domiciliare dell’unità territoriale di Urbino; al Dott. Silvestri e alla sua infermiera Laura che mi hanno accompaganto. Al mio amico e collega fotografo Giorgio Marcoaldi per i fruttuosi confronti tecnici e artistici e a Carlo Barbagelata, punto di riferimento essenziale per tutte le soluzioni grafiche e di impaginazione. A Livio Boccioni di The Convent Recording Studio di Sant’Angelo e ad Alessandro “il Poto” Esposti alle tastiere e fisarmonica per la musica del video di presentazione al libro. La parte più difficile. Vorrei concludere con un pensiero ai pazienti, alle persone che ho fotografato nei reparti Covid, in condizioni spesso estreme. Alcuni di loro non sono tornati a casa. Alcuni di questi appaiono nelle pagine del libro. Si è gia detto tanto sull’opportunità o meno di fotografare in certe situazioni, di pubblicare. Non ritengo sia questa la sede per una dissertazione su morale e etica professionale. In tanti anni di viaggi e di reportage in ogni parte del mondo e in ogni situazione, ho imparato ad aver fiducia e a seguire il mio sentire. Per fare o non fare, esserci o non esserci in certe situazioni. Ma quando si decide bisogna esserci pienamente e andare fino in fondo. Ci si potrebbe chiedere cosa si intende per sentire, ma se fosse qualcosa di definibile a parole, non potrei più seguirlo. 36


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