Chiesa
“Nei fatti, [il Novus Ordo] è un’altra liturgia della Messa. Bisogna dirlo senza mezzi termini: il rito romano, così come noi lo conoscevamo, non esiste più, è stato distrutto” P. Joseph Gelinau, S.J., membro della Commissione che ha redatto il Novus Ordo Missae
volta ai tempi della Riforma, quando Martin Lutero fece scomparire il canone della messa e collegò direttamente il racconto dell’Istituzione con la distribuzione della comunione”.
5. “Il ritorno alle forme primitive non significa, in casi isolati, che il rito sia stato modificato, ed infatti questo ritorno è possibile entro certi limiti. In questo modo, non vi fu rottura con il rito romano tradizionale, quando papa san Pio X ristabilì il canto gregoriano nella sua forma originaria”. [3]
Il Novus Ordo del 1969
L’illustre fondatore dell’Istituto Teologico di Ratisbona prosegue commentando che “mentre la revisione del 1965 aveva lasciato intatto il rito tradizionale (...) con l’ordo del 1969 si creò un nuovo rito”, che egli chiama ritus modernus, poiché “non basta, per parlare di continuità del rito romano, che nel nuovo messale si siano conservate alcune parti del precedente”. Per dimostrarlo, da un punto di vista strettamente liturgico, basti citare quanto sinteticamente detto a proposito dal prof. Roberto de Mattei su questa vera devastazione liturgica:
Durante la Riforma furono via via introdotte tutta una serie di novità e varianti, alcune delle quali non previste né dal Concilio né dalla costituzione 10 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
Missale Romanum di Paolo VI. Il quid novum non si limita a sostituire il latino con le lingue volgari. Consiste anche nel desiderio di concepire l’altare come una ‘tavola’, per sottolineare l’aspetto di banchetto piuttosto che di sacrificio; nella celebratio versus populum, sostituito al versus Deum, con conseguente abbandono della celebrazione ad Oriente, cioè verso Cristo simboleggiato dal sole nascente; nell’assenza di silenzio e di meditazione durante la cerimonia e nella teatralità della celebrazione spesso accompagnata da canti che tendono a profanare una Messa in cui il sacerdote è spesso ridotto al ruolo di ‘presidente dell’assemblea’; nell’ipertrofia della liturgia della parola rispetto alla liturgia eucaristica; nel ‘segno’ della pace che sostituisce le genuflessioni del sacerdote e dei fedeli, come azione simbolica del passaggio dalla dimensione verticale a quella orizzontale dell’azione liturgica; nella S. Comunione ricevuta dai fedeli in piedi e in mano; nell’accesso delle donne all’altare; nella concelebrazione, tendendo alla ‘collettivizzazione’ del rito. Consiste soprattutto e infine nel cambiare e sostituire le preghiere dell’Offertorio e del Canone. L’eliminazione in particolare delle parole mysterium fidei dalla formula eucaristica può essere considerata, come osserva il cardinale Stickler, un simbolo della demistificazione e, quindi, dell’umanizzazione del nucleo centrale della Santa Messa [4].
La più grande rivoluzione liturgica è avvenuta proprio nell’Offertorio e nel Canone. Il tradizionale Offertorio, che preparava e prefigurava l’immolazione incruenta della Consacrazione, fu sostituito dal Beràkhôth del Kiddush, cioè le benedizioni della cena pasquale degli ebrei. Padre Pierre Jounel, del Centro Pastorale Liturgico e dell’Istituto Superiore di Liturgia di Parigi, uno degli esperti del Consilium che preparò la riforma liturgica, descrisse al quoti-