19 minute read

AAA AUTISTI CERCASI

AAA autista cercasi

C’è carenza di conducenti di veicoli pesanti, ma è un’emergenza o è una situazione che viene da lontano? Quali sono i motivi e, soprattutto, cosa si può fare per invertire la tendenza?

Advertisement

di Ferruccio Venturoli

Nel nostro Paese il settore del trasporto e della logicistica è da sempre il figlio di un dio minore. Senza reali ragioni il settore è ritenuto, dalla politica nazionale, un settore accessorio, se non addirittura marginale, anche se rappresenta il 9% del Pil, e ha numeri di tutto rispetto: circa 90mila imprese e più di 1 milione di lavoratori, di cui 347mila nell’autotrasporto. Il 2020, però, ha segnato una svolta. Nell’emergenza sanitaria, il trasporto e la logistica sono emersi in tutta la loro strategicità, tanto da essere annoverati tra i servizi pubblici essenziali. Terminalisti portuali, interporti, autotrasportatori, piattaforme logistiche, centri di distribuzione, corrieri e spedizionieri, spesso rischiando in prima persona e con grande senso di responsabilità, hanno garantito che la nostra vita andasse avanti e che nulla, in particolare cibo, medicine e carburante sia mai mancato. Un vero superlavoro, dunque, a cui è stata chiamata tutta la logistica e il trasporto, considerando anche il boom di consegne legato all’e-commerce. Nella ripresa in corso, sempre che alla luce degli ultimi avvenimenti internazionali si possa continuare a parlare di ripresa, gli indicatori di mobilità e di attività produttiva, nei settori del trasporto e della logistica, registrano un marcato recupero e cresce la movimentazione delle merci. Questo sviluppo del settore, importante e forse non previsto ha, però, sembra, un rovescio della medaglia: la carenza di autisti, in particolare di quelli abilitati alla guida dei veicoli pesanti.

FIGURE LAVORATIVE DI DIFFICILE REPERIMENTO

L’analisi dei dati del sistema Excelsior di Unioncamere-Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro) evidenzia che a settembre 2021 le imprese di trasporto registravano una previsione di 32.800 richieste per autisti di veicoli pesanti, in salita del 23% rispetto lo stesso mese del 2019. In parallelo risultava difficile la copertura delle posizioni lavorative: le imprese segnalavano che il 40,9% di queste figure erano di difficile reperimento, quota che risultava in aumento di oltre due punti rispetto al già elevato 38,8% di due anni prima. La componente di difficile reperimento legata alla mancanza di candidati era del 29,7%, superiore al 25,7% della media degli operai specializzati e conduttori di macchine e impianti. Il reperimento del personale è maggiormente critico con l’innalzamento dell’età media dei lavoratori: in cinque anni la quota di dipendenti

over 50 delle imprese di autotrasporto è aumentata di 8,4 punti, passando dal 24,9% al 33,3%. Per l’Ufficio Studi di Confartigianato, secondo dati che si riferiscono al 2020, la quota di “ingressi” nella categoria degli autisti di camion, che sono difficili da reperire, rappresenta il 44,7% della domanda, con valori che superano la metà di quella delle imprese in Trentino-Alto Adige con il 60,3%, Friuli Venezia Giulia con il 58,7%, Veneto con il 57,0%, Toscana con il 54,0%, Emilia Romagna con il 53,2%, Umbria e Marche, entrambe con il 52,3%.

“CERCO 60 AUTISTI DI CAMION A 3MILA EURO AL MESE”

Nell’agosto scorso, due articoli, uno su Il Sole 24 Ore e uno su Il Corriere della Sera mettevano il dito nella piaga: nel primo, ANITA (Associazione Nazionale Imprese Trasporti Automobilistici, aderente alla Confindustria) lanciava l’allarme di una crisi che in Italia vede le aziende in cerca di 17 mila posizioni nel prossimo biennio, l’altro usciva con un’intervista a Gerardo Napoli, titolare della Napolitrans, azienda di trasporti del Salernitano che, con toni da “ultima spiaggia”, affermava: “cerco 60 autisti di camion a 3mila euro al mese. E non li trovo”. Nell’intervista Napoli riportava la sua offerta: “nove ore al giorno per 5 giorni a 3 mila euro netti al mese, tutto in regola” . Le esternazioni dell’imprenditore campano non potevano non suscitare stupore e polemiche, tra le due parti opposte: da una parte le imprese, soprattutto quelle più grandi e strutturate, che confermavano la difficoltà nel reperimento di autisti in Italia, dall’altra gli autisti stessi e alcune associazioni di categoria che sottolineavano come le condizioni di lavoro non sempre sono quelle del contratto e che lo stipendio troppo spesso non è adeguato all’effettivo lavoro svolto. “Non è un problema di oggi – dice Giuseppina Della Pepa, segretario generale di ANITA – il settore lamenta una carenza di autisti che possiamo quantificare tra i 17mila e i 20mila. Basta consultare le statistiche degli esami per il conseguimento delle patenti di guida C per i camion ed E per autoarticolati, rimorchi e autotreni, per constatare il crollo e la disaffezione per questo mestiere. Nel 2009 i promossi erano 93.587 per la C e 47.670 per la E, nel 2019 (pre Covid19) il conteggio si ferma a 31.427 per la C e 22.456 per la E” . Che non sia un problema di oggi lo confermano gli interventi sull’argomento di Franco Fenoglio che, sin dall’inizio del 2018, come presidente della Sezione Veicoli Industriali di UNRAE, ripeteva “Il problema è ben noto a tutti – diceva e dice ancora Fenoglio – e torna alla ribalta solo quando sono gli autotrasportatori a lanciare un grido d’allarme. Neppure le immagini che arrivano dalla Gran Bretagna, dove nei supermercati scarseggiano le merci e i distributori sono sprovvisti di carburante, riescono a far comprendere fino in fondo le conseguenze drammatiche che il problema della carenza di autisti porta con sé. Il settore ha bisogno, oggi più che mai, di figure nuove e altamente specializzate”.

“C’È DAVVERO L’EMERGENZA AUTISTI?”

Se questa è la situazione, e lo è, visto che negli ultimi due anni, sono “sparite” circa 130mila patenti C, cerchiamo di capirne i motivi e, se possibile, anche quali potrebbero essere i rimedi. “Ma c’è davvero questa emergenza autisti?” si chiede Cinzia Franchini,

PARLANO GLI INTERESSATI

QUATTRO DOMANDE FACILI FACILI A CINQUE PROFESSIONISTI DEL TRASPORTO Perché i ragazzi non vogliono fare questo mestiere?

Stipendi bassi?

Vita dura?

Il bonus patenti attirerà i giovani?

portavoce di Ruote Libere. “Il grido d’allarme – continua – l’ho sentito lanciare da Thomas Baumgartner, il presidente di ANITA. Ma secondo me Baumgartner non ha bisogno di autisti, ma di autisti che costino poco. E autisti che costano poco, li puoi andare a trovare, forse, con il decreto flussi, come ha chiesto e come ha ottenuto, proprio ANITA. Ancora, va detto anche che alcune delle aziende che ad agosto, insieme a Baumgartner, hanno rilanciato il grido d’allarme, non emergono particolarmente bene nei commenti dei loro autisti”. È d’accordo anche Claudio Fraconti, presidente FAI di Milano-Lodi-Monza Brianza, secondo il quale “il problema c’è, ma non è certo da grido d’allarme e non è né una situazione nuova e inaspettata né un problema solo italiano”.

UNA DISAFFEZIONE CHE ARRIVA DA LONTANO

“Direi che la ‘disaffezione’ per questo mestiere, è un processo partito almeno 20 anni fa – dice Fraconti – in concomitanza con l’arrivo dei tachigrafi elettronici, con i quali si è dato uno stop a un modo di lavorare esagerato e pericoloso: all’epoca si facevano mille chilometri al giorno, si faceva il Milano-Napoli anche tre volte a settimana. Cose davvero impensabili ora. Naturalmente ‘il meno guidare’ ha portato a un ‘meno

SIMONE QUAGGIO

(padroncino) 41 anni Alla base di tutto c’è il fatto che i ragazzi di oggi non sanno più cosa vuol dire la parola “sacrificio”. Io ne parlo con i miei nipoti, uno di 26 e l’altro di 27 anni che mi chiedono: “scusa zio, ma chi me lo fa fare, per 2.500 euro al mese, di stare tutta la settimana fuori sul camion, alzarmi presto tutte le mattine e magari non tornare neanche a casa per dormire, farmi la doccia nei bagni luridi degli Autogrill, rischiare la pelle per strada, essere trattato male da tutti”. E come fai a dargli torto? Questi ci vedono lungo. Anche con la faccenda dell’agevolazione per prendere le patenti, alla fine vanno a spendere sempre quei 4/5mila euro. Poi mettici 500 euro l’anno per il rinnovo della CQC. Se fai danni li devi ripagare tu. Insomma, si fanno due conti ed eccolo lì che il lume non vale la candela. Meglio farsi otto ore di fabbrica, tornare a casa tutte le sere ed avere i fine settimana liberi. La cosa assurda è che non vogliono più farlo neanche gli stranieri. Anche i genitori camionisti spingono i figli a non fare questo mestiere. A volte, io stesso, rimpiango di non fare più il carrozziere, mio primo lavoro. Probabilmente non avrei rovinato il matrimonio. Si, perché stando sempre fuori, alla fine torni a casa che sei uno straccio e non hai neanche voglia di scambiare due parole in famiglia. Ora siamo in ballo e balliamo. Ma, sinceramente penso che una volta finito di pagare il leasing del camion chiuderò i battenti. Staremo a vedere!

guadagnare’, che è aumentato di pari passo con l’evoluzione, appunto, dei tachigrafi, rendendo meno appetibile un mestiere duro ma remunerativo. Naturalmente non è solo questo. Io direi che il ‘focus’ è un ricambio generazionale sicuramente deficitario, legato a un trasporto e a una logistica che sono cambiati enormemente. Tra l’altro non è certo un problema solo italiano”. Dunque, possiamo dire che questa “emergenza” non è tale perché era largamente prevedibile, ed è un dato di fatto, come abbiamo visto dai numeri. E allora andiamo a vedere quali possono essere le cause. Probabilmente, come dice Fraconti, il tutto va visto nell’ottica del ricambio generazionale, meglio, di uno “svecchiamento” della categoria che non c’è come dovrebbe, se è vero che negli ultimi due anni sono “sparite” poco meno di 130mila patenti C e che circa il 60% di quelle in attività appartiene a persone che hanno superato le 50 primavere. Allora, per farla breve, possiamo dire che ai giovani non interessa più questo mestiere?

IL TANTO DISPREZZATO SERVIZIO MILITARE

Giovanni Barlini, sociologo del lavoro, forse non è politicamente corretto, ma certamente è molto chiaro quando afferma che: “i ragazzi di oggi non hanno nessuna voglia di fare un lavoro così stressante. Trentacinque, quaranta anni fa – dice Barlini – quando chi oggi va in pensione, ha cominciato a lavorare, l’Italia era molto diversa. I figli delle classi meno abbienti dovevano assolutamente iniziare a lavorare e a guadagnare presto. Quei ragazzi non erano abituati a troppe comodità, magari lavoravano da quando avevano quattordici anni, portando i soldi a casa; difficilmente avevano un’automobile, l’unica evasione era la televisione e una partitella a calcio di tanto in tanto con gli amici. E poi c’era il maledetto, odiato, bistrattato, criticato quanto si vuole, servizio militare, in grado però, molte volte, di assicurare un lavoro. Chi era fortunato – continua Barlini – conseguiva la patente e poi, una volta congedato, non doveva fare altro che presentarsi a un’azienda di autotrasporti e iniziare a lavorare, con uno stipendio che, a diciannove anni, rasentava il sogno. A quei ragazzi veniva affidato un camion con il quale potevano viaggiare, vedere altri Paesi, ammantarsi di un’aurea di romanticismo, conoscere altra gente. Ed era poco importate che il lavoro fosse duro, o che non si tornasse a

MATTEO PERRI

(autista dipendente) 27 anni I ragazzi di oggi non vogliono più fare questo mestiere perché purtroppo non hanno voglia di “rompersi le ossa”. Preferiscono fare un lavoro meno fisico e che non richieda rinunce, come l’aperitivo della domenica sera, perché devono andare a dormire presto per poi alzarsi presto la mattina. Sicuramente il bonuspatente fa comodo per iniziare a fare le patenti ma, a mio parere, l’autista lo fai se ce l’hai nel sangue, se lo fai per soldi non duri tanto. Lo stipendio sicuramente non è alto come in passato, ma basta trovare l’azienda giusta e voilà il gioco è fatto. La vita dell’autista sicuramente non è una vita facile, ti svegli presto la mattina, tutto il giorno in mezzo al traffico, attese dai clienti per il carico e lo scarico. Poi torni a casa la sera, se riesci a rientrare, altrimenti dormi fuori in cabina.

FABIO BONSI

(padroncino) 45 anni Per quanto riguarda l’agevolazione sul costo delle patenti penso che i 2.500 euro previsti, non sono pochi. Però penso che la vita di un camionista non sia per gli amanti della play station o social vari, è una vita un po’ da zingari solitari, non per tutti insomma. Credo che la mancanza di passione nei giovani sia una delle cause principali di allontanamento. Mi rendo conto che questa mancanza di passione deriva molto dal fatto che oggi è impossibile tramandare questo mestiere da padre in figlio. Una volta i padri si portavano in giro i figli e gli insegnavano a guidare, appassionandoli al mestiere. Oggi si rischia il ritiro dei libretti di circolazione se a bordo c’è una persona che non fa parte dell’azienda. Io ho avuto la fortuna di avere un papà e il suo socio, camionisti, che mi hanno fatto sedere sul camion che neanche camminavo. Ancora oggi, quando guido il mio camion penso sempre: spero siate fieri di me vendendomi da lassù. Queste emozioni, dettate dai ricordi d’infanzia sono la loro eredità. Ma un ragazzino di oggi come fa a viverle certe esperienze se gli è proibito viaggiare col proprio padre, zio o parente?

dormire a casa, magari in una stanza con cinque fratelli o che non ci si potesse fare la doccia tutte le mattine, una doccia che, magari a casa neanche c’era. Oggi per viaggiare e conoscere altra gente non serve certo più fare il camionista, con i voli low cost si va ovunque a prezzi ridicoli; farsi la doccia tutti i giorni è, giustamente, una priorità, come lo è quella di dormire nel proprio letto con la propria compagna. Senza dimenticare che, in un mondo come quello attuale, dove l’immagine è fondamentale, dove purtroppo l’apparire è più importante dell’essere, una bella operazione di immagine sulla figura del camionista, magari da parte dell’Albo, sarebbe una cosa decisamente importante”. Una cosa che va sempre ricordata è che, per conseguire quella famosa patente C e poi la CQC, e poi magari il patentino ADR, indispensabili per lavorare bisogna aspettare 21 anni, e poi studiare, disporre di altro tempo e, infine, sborsare, tra una cosa e l’altra, 5 o 6mila euro. Quindi perché imbarcarsi in un’avventura del genere, quando, anche nello stesso comparto c’è offerta di lavori alternativi? E se c’è la passione di guidare, c’è la delivery, in crescita verticale. Per guidare un furgone di un’azienda di distribuzione, non serve la patente C, lo si può fare a diciotto anni, appena usciti dalla scuola; si torna a dormire a casa, si può stare con la famiglia, con la fidanzata, con gli amici, guadagnando, alla fine, circa 5 o 600 euro di meno. D’altra parte diciamolo, non c’è davvero molto che possa invogliare un ragazzo, o una ragazza, a scegliere la strada del camionista: non di sicuro le infrastrutture o i servizi graziosamente messi a disposizione dalle società che gestiscono le aree di sosta; non il percorso per prendere la patente e la qualificazione professionale; ne’, diciamolo chiaramente, molte aziende che “gestiscono” il contratto nazionale a proprio uso e consumo e neanche, infine, la considerazione che viene mostrata, in generale, a chi fa questo lavoro.

COME INVERTIRE LA TENDENZA

Benissimo, abbiamo visto la fotografia di una situazione che, in qualche modo, va risolta, ma come? “Prima di tutto, se tutte le aziende offrissero e rispettassero alla lettera il Contratto Nazionale, forse non ci sarebbe la ‘fila’ lo stesso, ma sicuramente ci sarebbero più accessi alla professione”. Ne è convinta Cinzia Franchini, come è convinta che “per uscire da questa situazione, bisogna ridare dignità al settore, ripartire, ma non vedo una volontà politica di ricostruire”. Si parla molto di spingere sulla formazione, soprattutto agevolando, sia da un punto di vista burocratico che economico, l’accesso alle patenti e alla qualificazione professionale. Anche se sono in molti a pensare che potrebbe essere un buon passo ma non la vera risoluzione del problema. E ritorniamo così all’intervista a Gerardo Napoli del Corriere della Sera che, proprio in riferimento alla patente, aveva detto: “per prenderla servono 6 mila euro e sei mesi di studio. Non tutti hanno la costanza e i soldi. Ci sono tanti ucraini e kazaki (l’intervista, ovviamente, è stata realizzata prima della guerra in Ucraina, ma il concetto resta valido n.d.r.) pronti a fare questo mestiere – ha detto – ma dopo un anno di lavoro devono ottenere la CQC. Verrebbero impiegati con il contratto italiano della logistica, sul piano dei costi per noi non cambia niente, ma non possiamo farci carico noi del costo della patente”, ha detto ancora Napoli che facendo due calcoli stima che, per 60 lavoratori, sarebbero circa 360 mila euro di investimento. “Troppo oneroso, per di più con il rischio che presto il lavoratore si licenzi per passare a un concorrente”

MARTA BERTAZZO

(autista dipendente) Riguardo all’agevolazione per l’ottenimento delle patenti, penso che oggi nessuno acquisterebbe qualcosa che non sia stata pubblicizzata nel modo più accattivante possibile. Voglio dire che i giovani non conoscono nulla di questa professione o quello che sanno lo hanno imparato da superati cliché cinematografici o folkloristici. Le agevolazioni economiche hanno un’anima prettamente commerciale e pertanto acquistano valore se quello a cui servono ha valore. E in Italia il mestiere dell’autista di mezzi pesanti non è desiderabile, è sempre più sconosciuto, invisibile. Senza un valore riconosciuto, sia in termini economici che di status del lavoratore.

LUIGI PIROVANO

(padroncino) Diventa sempre più complicato trovare nuovi autisti disposti fare un mestiere di sacrifici. Ogni volta che mi si presenta qualcuno e gli dico che dovrà guidare un autotreno, che c’è da fare l’estero e magari stare fuori sabato e domenica ad Amsterdam o a Francoforte o da qualche altra parte, “storce il naso”. In quanto a passione magari non manca, ma vogliono partire subito col bilico, non vogliono usare l’autotreno perché è più rognoso. Non ne vogliono sapere di veicoli un po’ datati per fare esperienza, vogliono passare subito allo Scania super accessoriato. E poi anche il discorso delle patenti è un po’ ambiguo, Innanzi tutto ti danno solo l’80% sul contributo. E poi i costi variano tra un’agenzia e un’altra. Si passa dai 4mila ai 7mila euro. Quindi il costo è sempre alto!

e chiedeva un investimento pubblico. E il Pubblico, in un certo qual modo, si è dato da fare, con il cosiddetto Bonus-Patenti Under 35, contenuto del Decreto Milleproroghe. Si tratta di un contributo, erogato sotto forma di rimborso, pari all’80%, fino ad un massimo di 2500 euro, per l’ottenimento della patente e per l’abilitazione alla guida professionale dei mezzi pesanti, destinato ai giovani tra i 18 e i 35 anni, che vogliono lavorare nel settore dell’autotrasporto.

POI C’È IL “DECRETO FLUSSI”

Bene, diciamo che con questo intervento del Governo abbiamo “smussato” un po’ il problema, anche se “adesso – ha commentato Thomas Baumgartner – occorre però lavorare affinché siano eliminate altre barriere che frenano i giovani a intraprendere la professione di conducente, intervenendo sulle procedure per il conseguimento della CQC, che vanno snellite, così come va prevista un’adeguata formazione scolastica con percorsi formativi dedicati da parte degli Istituti Tecnici e ITS”. Belle parole, ma resta il problema di fondo: trovare persone che vogliano fare questo mestiere. Dove le troviamo? Forse all’Estero? Certo è un’opzione importante, peraltro già attuata da alcuni nostri partner europei, per esempio la Germania, che sente questo problema più di noi. Ed eccoci al cosiddetto Decreto Flussi, tanto invocato anche da ANITA. Con l’ampliamento del numero di permessi anche per l’autotrasporto, il Governo ha tamponato la carenza di autisti nel nostro Paese con l’arrivo in Italia di cittadini extra-europei, appunto destinati alla guida di veicoli industriali. “Lo avevamo detto e lo ribadiamo – tuona ancora una combattiva Cinzia Franchini – a nostro avviso non è questa la strada per risolvere i problemi del settore, viceversa l’introduzione di manodopera a basso costo non farà che mettere ancor più in ginocchio le piccole e medie aziende che resistono a fatica tra mille balzelli burocratici e che rappresentano le fondamenta del mondo dell’autotrasporto. Se sono pochi in Italia quelli che vogliono intraprendere la professione di autotrasportatore, i motivi vanno cercati in una professione sempre più sfruttata e senza garanzie. Immaginare di risolvere il problema aprendo le porte a lavoratori stranieri spesso trattati come schiavi, senza alcun tipo di tutela non solo non ha nulla di etico, ma contribuisce all’affossamento definitivo di un settore trainante per l’economia italiana. Dopo aver subito per anni una concorrenza selvaggia che ha portato alla chiusura di tante piccole e medie realtà, dopo aver assistito quasi impotenti al radicamento dei tentacoli mafiosi e di una illegalità diffusa, dopo aver accettato logiche economiche al ribasso e completamente fuori mercato, dopo aver sdoganato l’idea che gli incentivi per il settore venissero in gran parte assorbiti da Consorzi e associazioni del tutto autoreferenziali, ora si immagina di ripartire con lavoratori che non chiedono poco in cambio e spesso sono disposti addirittura a dormire sul camion tutto l’anno”.

FORMAZIONE DI BASE A SCUOLA, E POI IN AZIENDA

Anche il Decreto Flussi, dunque, non sembra risolvere il problema. “Ben venga il decreto Flussi – dice Franco Fenoglio – ma non basta assolutamente, bisogna lavorare alla base del problema, da una parte sulle infrastrutture, sulla dignità del lavoro, dall’altra sulla formazione”. Una formazione di base che per Claudio Fraconti potrebbe iniziare già durante gli ultimi anni degli istituti professionali: “con un’ora al giorno di lezione – dice – alla fine dell’anno i ragazzi sarebbero pronti per la CQC poi, magari per la patente. Sono ragazzi – continua Fraconti – che potrebbero fare la formazione direttamente nelle aziende, che magari potrebbero avere agevolazioni fiscali in caso di assunzione. Insomma, le cose da fare potrebbero essere davvero tante”. Da questa breve disamina è rimasta fuori qualcosa: “ho recentemente sentito parlare di ‘mondo femminile’ in relazione al problema autisti – dice ancora Cinzia Franchini – ma posso assicurare che è un mondo che non è interessato all’autotrasporto. È un mestiere molto duro e se è duro per un ragazzo trentenne, con poca voglia di fare sacrifici, come può essere appetibile per una ragazza? Certo, ci sono delle donne che fanno questo mestiere, l’ho fatto io stessa, ma o hanno un’impresa da portare avanti o hanno fatto una scelta di vita di un certo tipo. Credo che una ragazza oggi, davanti a un panorama di diverse possibilità lavorative, non abbia davvero tanta voglia di salire su un camion. Naturalmente – conclude – qualcuna c’è, ma non mi vengano a dire che vogliono puntare sul mondo femminile, vuol dire che questo lavoro proprio non lo conoscono”. A ribattere a Cinzia Franchini c’è però la ferrarese Barbara Strozzi, 49 anni 4 figli e un nipote, da 22 anni autista dipendente nella distribuzione a medio-lungo raggio “Io – dice Barbara – l’unica difficoltà che ho trovato nei miei 22 anni di lavoro è stata la mentalità maschile; a volte ottusa, soprattutto in quelli del Sud. Penso che nel nostro lavoro serva più intelligenza che forza fisica... Ho legato mille volte le cinghie di carichi semoventi... Posso dire di non saper cambiare una gomma se sono sola, ma se siamo in due lo faccio, eccome.... Certo che può farlo anche una donna questo lavoro – conclude – e lo dimostriamo da anni!”. œ

This article is from: