Direttore del Museo Riccardo Riganti
Progettazione espositiva Gianluca Leva Beatrice Resmini
Allestimento Gianluca Leva Franco Meni C.E.V. Di Chiodi Marco
Fotografie Gianluca Leva
PERIFERIE Le periferie di una città sono zone di margine. Sono il regno dell'accumulo disordinato, sono la regione di passaggio che intravediamo nel nostro tragitto verso il centro. Sono però anche le avanguardie: esse, volenti o nolenti, accolgono indiscriminatamente, propongono accostamenti audaci e improponibili sulla carta, sono il prototipo di quella che sarà l'evoluzione, l'anticipazione di una struttura sociale riconosciuta e organizzata. In queste zone è possibile ciò che al centro non è, nelle periferie si stringono relazioni diverse, nascono stimoli e discorsi sul possibile. Sono il luogo del continuo adattamento, del cambiamento, sono la zona del divenire e del mutare, sono il luogo dell'essere in potenza che attende di trasformarsi in atto. Le periferie sono instabili, sfuggenti, sono un maremoto di correnti, di turbini; sono il luogo dove tutto è possibile ma nello stesso tempo niente è. Presuppongono un'immersione: per coglierne la ricchezza bisogna immergercisi, bagnarsi in esse, lasciarsi stupire da un ammasso di elementi, di stimoli, di visioni che assomiglia a un'accozzaglia senza senso, finché il senso non lo troviamo noi. E allora, non solo ogni singolarità ritrova la sua valenza, ma anche la relazione tra le parti si sublima. Presuppongono anche una ri-emersione, un riordino. Le periferie richiedono necessariamente una valutazione distaccata di quanto raccolto, un'analisi, uno sgrossamento. La periferia è una zona di transito inevitabile. Ma ha anche un altro significato: se pensiamo a cosa il nostro sguardo coglie con la zona estrema dell'occhio, ci rendiamo conto che la visione periferica è fugace, è vero, ma proprio per questo cattura l'indispensabile. La visione periferica riesce in un attimo a gerarchizzare e a inviare alla nostra mente l'essenziale.
La visione periferica spesso trasforma, lancia messaggi equivoci, crea un'immagine inesistente e fuorviante, diversa dalla realtà, che fa emergere in noi sensazioni, accostamenti e riferimenti diversi e inaspettati. Sono proprio queste le periferie di cui ci parla Gianluca Leva con i suoi lavori. L'esposizione ci conduce in un percorso virtuale che comincia dalle piccole opere appese sulle pareti laterali e si conclude nelle grandi opere al centro. Sulle pareti laterali sono esposti i "Percorsi", piccole carte quadrate cadenzate in sequenza. Sono percorsi solo apparentemente lineari perché i nostri passi sono consequenziali ma il nostro sguardo compie tragitti tortuosi che saltano da un'opera all'altra, che tornano indietro, che ritrovano in opere distanti segni già proposti in precedenza ma relazionati a nuovi spunti. Come se ci fossero dei fili invisibili, ogni piccola carta non è fine a se stessa ma trova eco in carte distanti, crea tragitti di pensieri che si rimandano. I percorsi sono appunti di viaggio, che necessitano di essere ripresi in mano ma che concentrano in loro già tutto il potenziale del discorso finito. Sono le periferie del nostro pensiero, le zone di accumulo. Così anche i segni si adagiano in assoluta libertà di pensiero sulla carta, in un flusso di immagini svincolato da incasellamenti compositivi o logici. La continuità visiva data dall'accostamento delle opere sulle pareti è solo una parvenza di ordine perché ogni singola opera è un microcosmo di idee, di sollecitazioni, un ingrandimento del fermento della nostra mente in elaborazione. Macchie e linee si interfacciano, così come le cromie: dalla preponderanza di grigio e nero emergono rossi e blu sfavillanti, dal trapasso da una tonalità all'altra nascono nuove zone di mutamento, dall'accostamento a volte acceso a volte sfumato ogni tinta esce accresciuta o alterata. Gianluca Leva opera su queste piccole superfici calibrando pazientemente il caso con il controllo.
Il suo intervento mira a dare rilievo a ciò che il colore conduce quasi autonomamente sulla carta, nello sciogliersi e nell'addensarsi, nello scivolare e nel fermarsi. L'artista si trova così a cavallo tra la spontaneità di un gesto inconscio e la volontà di guidare e incanalare questo stesso gesto, dando voce alla vocazione tipicamente umana di trovare un senso, o almeno alla tentazione di darne uno. Il formato, così minimale e quadrato, così modulistico, rafforza questa volontà: la regolarità della forma e della sua cadenza doma la centripeticità di questi segni, rallenta il flusso di questi pensieri e ci obbliga ad avvicinarci, ad avere uno sguardo analitico, a vedere il particolare come se guardassimo attraverso la lente di un microscopio. Questi lavori infatti sono il primo capitolo di una ricerca più ampia, intitolata "Prisons". Perché le periferie del nostro pensiero, gli appunti dei nostri sguardi fugaci, non sono che il punto di partenza di un discorso di riordino e razionalizzazione che da una parte mette chiarezza, dall'altra parte, come tutte le razionalizzazioni, blocca. Non è un pensiero negativo, è una semplice e umana constatazione. L'uomo vive di discorsi, ma i discorsi nascono dalla messa in ordine dei pensieri, dalla creazione di costruzioni sintattiche che presuppongono la scelta di alcune parole anziché altre, altrettanto possibili. Ogni scelta d'alta parte comporta un'esclusione. Ogni posizionamento implica l'immobilizzazione, l'imprigionamento. Nascono così le opere più grandi, esposte al centro della sala, che già per le loro dimensioni suggeriscono un atteggiamento diverso da parte dello spettatore: il nostro sguardo, prima analitico e di dettaglio, acquisisce un più ampio respiro. Ci dobbiamo allontanare per vedere questa volta l'insieme, l'armonia degli accostamenti ottenuta dall'analisi degli appunti di viaggio raccolti nei "Percorsi". Le grandi opere centrali rappresentano uno dei possibili sbocchi del pensiero dell'artista, nato dalle sollecitazioni visive ed emotive delle periferie e arricchito dal proprio vissuto, che ha fatto sì che egli compisse delle scelte compositive e cromatiche anziché altre.
Sono esse stesse appunti di un ulteriore viaggio, nel quale emerge in maniera più visibile l'intervento dell'artista che intesse relazioni. Sparisce così il rigido e modulistico formato quadrato, compare la tridimensionalità: le opere centrali sono ottenute con l'accostamento di materiali diversi rielaborati e si collocano a metà tra la tridimensione e la bidimensione. Cartoni, cellophane, elementi scultorei, pittura, possono permettersi il lusso di una collocazione apparentemente più libera perché in realtà il pensiero dell'artista li conduce fin dall'inizio. Siamo di fronte a un paradosso: l'ordine delle piccole carte quadrate è solo apparente, nasce dalla necessità di inquadrare pensieri sparsi e analizzarli. I piccoli "Percorsi" sono flussi di pensieri, dove l'intervento della ragione è posteriore, sono il regno dove ancora tutto è possibile. Il disordine formale delle opere più grandi è altrettanto apparente: in queste opere Gianluca Leva può permettersi una maggiore libertà proprio perché in realtà ogni elemento è studiato e collocato seguendo un pensiero logico e razionale. Le grandi "Prigioni" sono quindi discorsi, dove l'intervento della ragione è a monte; sono una delle realtà possibili. Beatrice Resmini Curatrice Museo Civico “Ernesto e Teresa Della Torre”
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Centro Stampa Comune di Treviglio 2017