Museo Civico “Ernesto e Teresa Della Torre” Ricerca d’archivio e testi Fabio celsi Francesco Tadini
Progettazione espositiva e testi Beatrice Resmini Riccardo Riganti
Allestimento Franco Meni
Il centro Civico Culturale RADICI NEL PASSATO, IDEE PER IL FUTURO
I TESTI DELLA MOSTRA
Da monastero a ospedale a Centro Civico Culturale, questo edificio, attraverso tutte le sue evoluzioni, è sempre stato un punto di riferimento imprescindibile per i cittadini trevigliesi e dei dintorni. Ancora oggi affascina e stimola, tanto da essere stato oggetto di indagine anche da parte di studenti della facoltà di architettura del Politecnico di Milano, che ne hanno immaginato futuri possibili. Attraverso uno studio attento dei documenti d'archivio del Comune e il recupero di immagini e ricostruzioni storiche indaghiamo in questa esposizione la storia del Centro Civico Culturale, sia dal punto di vista architettonico che di utilizzo.
IL MONASTERO DI SAN PIETRO Gli storici locali riferiscono che, intorno al 1000, c’era, nella zona orientale del borgo di Treviglio, molto vicino ai Bastioni, una chiesetta campestre dedicata a S. Pietro, su terreno di proprietà di una certa famiglia Pazzi di Villa (località vicino ad Arzago). Si trattava di un lascito che la suddetta famiglia aveva trasmesso al monastero di Farinate. Non furono dunque gli abitanti di Treviglio ad erigerla, ma è probabile che essa sia stata costruita dai Fratelli Pazzi a proprie spese entro la cinta difensiva di Treviglio e che sia stata successivamente dotata di alcune case, destinate ad ospitare le monache del monastero di Farinate, qualora fossero venute in questo luogo per accudire al lascito. Di questo edificio non si parla prima del 1125: che fosse di proprietà di una famiglia non trevigliese rimanda al fatto che il territorio di Treviglio non era ancora fuso in un tutto unico e che accoglieva situazioni di vario genere. Come può succedere che una chiesetta si trasformi in monastero? Per rispondere dobbiamo allontanarci da Treviglio. Nel 1169 il monastero di S. Fabiano di Farinate e quello di S. Domenico di Dovera si unirono sotto il controllo di una sola badessa. Quest’ultima sembrava molto più interessata alla gestione del potere che alla vita spirituale. Lo stato di decadenza della vita monastica, l’esperienza di una sudditanza imposta, le forti pressioni delle famiglie nobili dei fondatori del monastero di Farinate e le ingerenze delle stesse famiglie da cui provenivano le monache, fecero sì che la vita nel monastero fosse caratterizzata da soprusi, debiti, disobbedienze, ribellioni, fughe, divisioni interne alla
comunità di Farinate. Molte furono le suppliche rivolte al Papa affinché si ponesse fine a tale situazione. È in questo contesto che tre monache benedettine, giunte a Treviglio, decisero, prima dell'anno 1212, di restarvi e di non tornare a Farinate, per trovare qui quella serenità e quella pace che, nel monastero precedente, erano inesistenti. Già in precedenza le suore avevano utilizzato le case vicine alla chiesetta di S. Pietro come luoghi per soggiornare quando dovevano uscire dal convento di Farinate e quando dovevano svolgere lavori nelle vicinanze di Treviglio. In questa terra ora esse potevano accudire la chiesetta, godere delle rendite e dei beni connessi ad essa e, soprattutto, staccarsi dalla giurisdizione della badessa di Dovera. Lo sviluppo dell'edificio monastico fu graduale ed ebbe tempi lunghi: nel 1378 un documento riferisce di uno scambio di terreno posto vicino al monastero con altri collocati nell’attuale via Brignano tra le monache ed un certo Martino Avezzonica. Tre case, acquistate dalle suore tra il 1450 e il 1497, vennero abbattute per ampliare la struttura dell’edificio. Il monastero si estendeva nel tratto di mura che dall’attuale via Facchetti raggiungeva quella che oggi è via S. Martino. Un viottolo tortuoso, il Cantone di Via Stretta, lo congiungeva all’interno con l’attuale via Roma, con Porta Zeduro e con la piazza. Intorno al monastero, all’interno delle mura, vi erano case con ampi spazi di terreno. Pare comunque che il monastero di S. Pietro a Treviglio sia nato per una forte esigenza di spiritualità, alla quale si accompagnavano sicuramente il desiderio di autonomia e un bisogno di sicurezza personale: “Nel lato orientale della terra, molto vicina ai bastioni, era una chiesa, la quale era dedicata a S. Pietro, e intorno a tale chiesa vi avevano abitazioni, [...]onde le monache che passarono a Trevì si posero nelle loro case riducendole in forma di monistero’’. La badessa di Dovera, ancora nel corso del 1400, voleva continuare ad
esercitare la sua giurisdizione sul monastero di Treviglio, presiedendo all’elezione della priora ma, a partire dal 1402 Treviglio pare che non abbia più voluto avere alcun rapporto con il convento precedente. Solo nel 1461 però, fu portato a termine l’effettivo riconoscimento dell’autonomia del monastero di S. Pietro. “Nel borgo di Trevì, in Cantone Via Stretta di Porta Nuova... in una casa contigua al monastero della Chiesa di S. Pietro venne murata la grata di ferro”. L'edificio del nostro convento presentava al suo interno una chiesa, accessibile anche ai trevigliesi. La navata, probabilmente, si divideva in due parti uguali, quella esterna aperta al pubblico e quella interna riservata alle monache. Una grata impediva agli esterni di avere contatti diretti con chi si trovava dentro il monastero durante la funzione. L'altare era collocato centralmente, in modo che da entrambe le parti fosse possibile vedere l’officiante. L’interno della chiesa doveva essere ampio e comodo, con un coro per le monache ( si parla di 60 stalli nel periodo di massimo splendore del monastero). Vi erano sedili in noce, ben disposti e di ottima fattura e un organo per le coriste. Dalla sagrestia era possibile accedere alla torre campanaria. Nella chiesa esterna erano conservate le tombe di alcune grandi famiglie trevigliesi: possediamo documentazione certa della sepoltura di Giovanni Battista Cattaneo de’ Capitani d’Arzago, morto nel 1677 e di due nobili trevigliesi, Caterina e Cecilia Rozzone, morte nel 1697. Per chi non era portata alla vocazione il monastero poteva essere considerato un vero e proprio carcere. Le monache coriste, oltre all’obbligo della presenza al coro, avevano il diritto di esprimere la propria opinione nelle assemblee dei membri del monastero. Eleggevano la badessa e accettavano le novizie. Potevano anche dedicarsi a lavori liberali quali lo studio e la lettura e a lavori di cucito, ricamo, disegno. Ci sono testimonianze di un grande interesse culturale da parte delle monache, come si coglie dalla storia delle sorelle Bicetti, suore presso il
monastero di S. Pietro a Treviglio. Le converse invece erano appartenenti ad una fascia sociale più bassa e, tranne che per qualche rara eccezione, si trovavano al monastero per scelta personale. Esse non avevano istruzione di base, non erano strettamente obbligate a partecipare al coro e costituivano il corpo delle “addette ai lavori manuali o servili” nel monastero (pulizie, cucina, lavanderia, cura dell’orto, relazione con l’esterno). Spesso erano donne che avevano già vissuto nel “secolo”, erano state sposate ed erano vedove. Come in tutti i monasteri anche in quello di S. Pietro c’era una scuola per donzelle di diversa estrazione sociale che, per molte, rappresentava un pre-noviziato: le monache impartivano l’istruzione a fanciulle del paese e spesso si insegnava loro anche a leggere e a scrivere. Nel 1436 San Bernardino, in visita alla città di Treviglio per dirimere una vecchia lite tra trevigliesi e caravaggini, aveva fornito l’impulso alla costruzione di un nuovo convento dedicato a San Francesco, ubicato nella parte meridionale dell’attuale Istituto Tecnico Commerciale “Oberdan”. Parallelamente si era diffuso tra le donne il culto per Santa Chiara: ecco dunque che le nostre monache, nel 1500, da Benedettine diventarono Clarisse, decidendo di seguire una regola più rigida nonostante non vivessero di carità, ma fossero in possesso di beni materiali e vivessero delle rendite dei numerosi terreni connessi al monastero. Il monastero durante i secoli fu arricchito con donazioni di proprietà fondiarie (nella Gera d’Adda e dintorni) da parte di autorità e privati, da ricchi e persone del popolo. Le monache erano poi particolarmente precise nell’amministrare le proprie rendite: tendevano a conservare le proprietà in Treviglio e a vendere quelle più lontane. Queste donazioni posero il monastero in una condizione economica di prestigio almeno fino alla fine del XVII secolo. Nel maggio del 1509 il monastero venne saccheggiato, come tutto il borgo cittadino, dalle truppe venete. Le monache furono costrette a rifugiarsi a Romano.
Nel 1568 un grosso incendio distrusse quasi l'intero complesso, che contava trentasei celle. L'incendio fu di tali dimensioni da considerarsi miracolo il fatto che tutte le suore fossero riuscite a sopravvivere. Piano, piano, però, il monastero si riprese: nel 1650 al piano superiore vennero occupate quarantanove celle e sessanta erano gli stalli del coro; sappiamo della presenza di una sala capitolare, di un'infermeria costituita da tre grandi stanze e da un’ulteriore infermeria riservata alle novizie. Le educande vivevano in tre camerette al pianterreno e in quattro al primo piano, con un totale di dodici posti perché tutte dormissero separatamente. Il luogo risultava particolarmente ricco d’acque poiché fornito di articolate condutture connesse al fossato vicino alle mura. Nell’edificio si trovavano un refettorio “satis capax et pulcherrimum", spazioso e arredato di mobili, di pulpito per le letture spirituali e di molti altri utensili, due stanze, chiamate “il Prestino”, che servivano alla panificazione ed erano attigue alla legnaia e alla carbonaia. Nel giardino vi erano un orto per le erbe medicinali ed uno per il sostentamento delle monache; vi erano stanze per lo studio delle educande e, sull’uscita in via Bicetti, era previsto uno spazio per distribuire il cibo ai poveri e per ricevere merci dalla città. Veniva usata a tale proposito una ruota che impediva alle monache di entrare in contatto diretto con la popolazione: su questa stessa ruota, più tardi, molti abbandonarono quei bambini che, per ragioni economiche, familiari o sociali, non si potevano allevare. Era questa la ruota degli esposti. ABITANTI NEL MONASTERO Coriste Monache vere e proprie. Entravano con una dote che veniva data in gestione al monastero (rendite, "livelli" cioè affitti, dotazioni...). I lavori che facevano nel monastero venivano pagati loro a parte. Subito dopo il Concilio di Trento (XVI sec.), come per es. nel monastero trevigliese delle Agostiniane, il frutto dei lavori finiva invece nella cassa in comune. Se povere, potevano essere dotate dalla beneficenza.
Loro offici: cantavano nel coro, pregavano, studiavano, meditavano; eleggevano la badessa, accettavano le novizie, insegnavano, cucivano, ricamavano, disegnavano, ecc... (a pagamento). Potevano avere interessi culturali. L'esempio più famoso, ma non il solo, a metà del ‘700, furono le sorelle Anna Maria e Caterina Bicetti, sorelle del dr. G.M. Bicetti, trevigliese, pioniere della vaccinazione antivaiolosa. L'altra sorella Francesca sposò il conte Imbonati: il loro figlio Carlo fu l'amante di Giulia Beccaria, madre del Manzoni. Questa Francesca, poetessa nota in Europa, accolse in casa del marito, a Milano, l'Accademia dei Trasformati. Si ebbero scambi culturali tra Caterina Bicetti e Giovanni Baretti, dei Trasformati, autore del periodico "La frusta letteraria". Probabilmente ella conobbe anche il Parini, abate poeta, nelle sue visite a Treviglio. Converse Sorelle, ma non con i voti. Socialmente basse, analfabete, poco istruite (alla soppressione del monastero le coriste firmarono e le converse fecero tutte una croce); di rado cantavano in coro; erano addette ai lavori manuali (pulizie, cucina, lavanderia, orto, relazioni esterne). Venivano mantenute a spese della cassa comune, sotto controllo superiore come ogni spesa. Donzelle Di famiglie nobili o facoltose. Venivano allevate ed educate in convento. Imparavano lavori domestici, lettura, scrittura, ecc... Talora divenivano novizie e poi monache. L'educandato fu chiuso ai primi decenni del '700. Poi vi fu solo scuola per poche esterne. Non si ha notizia storica di monacazioni forzate. Custode Per cura e protezione del monastero. Cappellano Viveva, con un accompagnatore, nella zona riservatagli fuori dalla clausura. Celebrava la Messa, comunicava, confessava, amministrava
l'Estrema Unzione, curava spiritualmente. La supervisione e il beneplacito generale per la vita economica e spirituale del convento era demandata a un monastero maschile. NOTA Nel monastero potevano entrare, al bisogno, anche altre persone, per es. operai e servi del convento per i lavori da effettuarsi. Inoltre il barbiere o cerusico (per cure minute: incisione ascessi, salassi, estrazioni dentarie, ecc...) e il medico (per cure maggiori). Le due piccole infermerie (monache ed educande) erano separate. L’OSPEDALE DI SANTA MARIA MAGGIORE LA FONDAZIONE “Ritrovandosi per tanto l’anno 1316 alli 14 Novembre, giorno di Domenica, vicino a morte, Beltrame Buttinone, homo in quei tempi de’ beni della fortuna assai commodo, e senza herede, istituì sotto il titolo di S. Maria per servigio degli poveri della Terra di Treuì un’Hospitale, il quale hebbe i suoi deboli principij nella sua propria Casa”. Così lo storico Emanuele Lodi. Lo stesso ci informa che all’inizio l’ospedale era collocato nella casa stessa di
Beltrame Butinone, vicina alla Porta Zeduro, a nord del borgo fortificato, e all’oratorio di S. Antonio abate. Nel testamento si precisa che la comunità di Treviglio debba essere “defensor, protector et commissarius et etiam gubernator” dell’ospedale, con l’obbligo di eleggere ogni anno due cittadini “idoneos et togatos”, affiancati da due discendenti del Butinone, per la gestione dell’istituto. Questa fiducia nella comunità è tratto rilevante perché di solito istituzioni del genere erano affidate a conventi e confraternite. Le modifiche dei locali, le compravendite di beni, gli impieghi di capitali, le nomine di medici e di chirurghi erano controllate dal Consiglio della comunità e allo scadere dell’anno Comune e Tesoreria vagliavano i conti di gestione e li approvavano. Solo nel 1913 sarà riconosciuto dal Comune all’Amministrazione dell’Ospedale il diritto di piena indipendenza. Ci sono chiare testimonianze del fatto che ci troviamo di fronte a un’istituzione laicale vera e propria, per nulla soggetta a giurisdizione vescovile e ecclesiale. È forse il primo ospedale con gestione totalmente e solamente dipendente dall’autorità civile. Nei primi secoli di vita pervennero all’Ospedale di Santa Maria dei Poveri di Treviglio alcune donazioni, che attestano la stima di cui godeva l’istituzione. In particolare colpisce il testamento di Bonsignore de’ Bonsignori il quale, istituendo erede il Monte di Pietà di Caravaggio, designa con il compito di quelli che noi oggi chiameremmo revisori dei conti dei bilanci annuali i deputati e i presidenti dell’ospedale di Treviglio. ISTITUZIONE LAICA Fatto importante per ribadire la laicità dell’amministrazione fu la controversia sorta nel 1566 con S. Carlo Borromeo. Il vescovo milanese, in occasione di una sua visita pastorale, chiese che il covisitatore Giovanni Francesco Porro ispezionasse l’ospedale di Santa Maria. I deputati della comunità presso l’ospedale rifiutarono con forza la visita e il Borromeo
lanciò contro di loro la scomunica, con l’accusa che la comunità aveva alienato molti beni dell’ospedale e non erano state osservate le disposizioni del testatore circa il numero dei deputati che la comunità doveva eleggere. La causa, portata davanti alla congregazione dei cardinali per l’interpretazione del Concilio di Trento, si risolse nella sentenza del 29 marzo 1575, colla risposta del cardinal Alciato che concedeva all’ordinario della diocesi di visitare l’ospedale per osservare “se la volontà del testatore è eseguita e correggere e riformare gli abusi”. In effetti S. Carlo era mosso dall’intenzione di difendere i diritti dei poveri di Treviglio e pare che avesse ragione nel denunciare gli abusi. Però la difficile situazione patrimoniale dell’istituzione dipendeva da altre concause: il sacco di Treviglio del 1509, i carichi finanziari imposti alla comunità durante le lotte tra Francia e Spagna, che la costringevano ad alienare i beni per pagare le tasse, soprattutto l’aumento della popolazione del borgo e l’impoverimento causato dai saccheggi. NEL SEICENTO Nel Seicento la storia dell’ospedale si svolse in modo più tranquillo, con nuove donazioni e alcune modifiche. Per esempio, nel giorno di S. Antonio abate dell’anno 1611 venne benedetto un nuovo oratorio con altare nell’ospedale stesso e nel documento che parla della dedicazione dell’oratorio si dice che nell’anno precedente nello stesso sito erano stati costruiti altri edifici. Un interessante documento getta una luce sulla vita interna dell’ospedale. Silvio Pellegrino, prevosto di Treviglio dal 1621, riporta nei suoi quaderni manoscritti il contratto del fattore (cioè l’infermiere) e dei suoi obblighi ancora in vigore ma risalenti almeno al primo Cinquecento. Eccone alcuni: “Aver cura di tutti gli infermi, servendo tutti indifferentemente, conforme alla loro infermità e bisogno con fedeltà amore e charità, fa-
cendo servire le donne dalla propria moglie, per quanto sia possibile”. “Servirli quanto ai bisogni del corpo, ma più quanto a quelli dell’anima, con procurare in tempo opportuno di farli ministrare i SS.mi Sacramenti della Santa Chiesa et, dopo defonti che saranno, accomodarli e farli dar loro sepoltura ecclesiastica”. “Non ricevere infermo alcuno se prima no haverà l’attestazione dell’infermità sottoscritta da due o tre SS.ri Deputati di detto Hospitale”. “Non licenziare alcuno infermo se prima non sarà fatto sano né senza partecipazione e licenza de SS.ri Deputati”. “Non ricevere nell’Hospitale banditi né altre persone de mali costumi”. “A la notte che tenga continuamente chiuse le porte né introdurre alcuno sotto pretesto alcuno”.
NEL SETTECENTO Nel Settecento l’istituzione gode ormai della fiducia dei cittadini e raccoglie ancora numerosi lasciti. L’Ospedale diventa nella seconda metà del Settecento erede di estese proprietà a Pedrengo, Romano, Pontirolo, Castel Rozzone, Brignano e Calvenzano, i cui frutti matureranno dopo alcuni decenni. Ci sono anche lasciti minori. Il canonico G. Battista Agostani lascia una pezza di terra e Lire 5.000 perché “l’annuo frutto sia in favore dei poveri convalescenti e che dopo le sofferte malattie fossero sortiti dal Ven. Hospitale Santa Maria di Treviglio”. Don Giuseppe Bossi colla sorella Anna lascia la propria abitazione in Porta Zeduro, “parte di struttura civile e parte rustica con stalletto, e due botteghe con diverse stanze, compresa pezza di terra alli Cerri, in strada Bresciana e alli Garzonerij”. Nel 1768, su decreto della Regia Giunta Economale, l’ospedale provvedeva a ricevere i ricoverati della Causa per Vecchi e Orfani. La Causa era stata fondata nel 1741 nella casa che fu dei Montalto pittori col titolo di Pia
Causa dei Poveri Impotenti e Orfanelli e soppressa, per mancanza di fondi, nel 1768. In seguito, attorno agli anni 1770-75, i Deputati e i Presidenti dell’Ospedale ritennero più utile lasciare nelle proprie case gli infermi e corrispondere loro un’elemosina. Ci si domandò se ciò fosse secondo la volontà del testatore Beltrame Butinone e si avanzò una petizione al Pontefice. La risposta fu negativa. TRASFERIMENTO NEL MONASTERO DI S. PIETRO La crescita della popolazione, l’aumento della morbilità, l’imposizione del ricovero dei militari e la lentezza dei pagamenti procurarono qualche difficoltà di gestione. Nel 1780 l’attivo ammontava a L. 18.402.15.7 e il passivo a L. 17.220.16.5, con un avanzo di sole L. 1.181.19.2. Inoltre i locali non erano sufficienti e adeguati ai malati: “Giaccionsi i poveri ammalti in luogo atto piuttosto a guastar la salute che a contribuire a ricoverarla da chi l’ha smarrita”. L’urgenza di ampliare la ricettività dell’ospedale poneva alla comunità il dilemma: riadattamento o trasferimento? Contro il riadattamento gli inconvenienti causati dall’umidità, data l’immediata vicinanza delle fosse e la difficoltà di collocare i malati durante i lavori. In questo frangente giunse la notizia che a Vienna il 9 febbraio 1782 Giuseppe II aveva firmato il decreto di soppressione dei monasteri. Nel biennio successivo si pose a Treviglio il problema dell’utilizzo del soppresso monastero di S. Pietro. Scartata l’idea di impiantarvi un lanificio, il 26 giugno 1784 si tenne un “congresso per la traslocazione dell’Ospitale degli Infermi di Treviglio al Circondario dell’altre volte monastero delle monache francescane di S. Pietro di d(ett)o luogo”. Al regio architetto Marcellino Segré fu dato l’incarico ufficiale di “esaminare le opere che si propongono di farsi intorno a quell’ospedale”. Il Segré aveva l’incarico di approntare un ospedale che avesse i requisiti di igiene e funzionalità compatibili coi tempi, sempre pulito tramite il condotto d’acqua che già le monache avevano diramato per l’edificio, con reparti per frenetici, infermi di chirurgia, puerpere, bagni per uomini e
donne, cucina, dispensa, lavanderia, guardaroba, ripostiglio per la legna ecc. L’esecuzione del lavoro iniziò nel giugno del 1786 con l’abbattimento del campanile della chiesa del monastero e senza rispetto per il valore storico e architettonico della chiesa di S. Pietro che era stata dedicata nel 1030. Per il recupero di capitali si bandì un’asta per vendere la rendita dei due mulini di Porta Torre e del Ferrandino. L’amministrazione comunale decise di donare al nuovo ospedale l’area occupata da fosse e bastioni per consentire di ampliare le infermerie NELL’OTTOCENTO L’edificio ristrutturato dall’arch. Segré raggiunse presto un decoroso livello per le cure mediche e le strutture ospitanti. All’inizio dell’Ottocento Antonio Strigelli nel corso di una sua ispezione annotava: “L’edificio è vasto, magnifico, di buon fabbricato, in buona posizione con comodi loghi di servizio”. Il primo atto del Consiglio di amministrazione del nuovo secolo è un dettagliato statuto per gli inservienti. Alcune voci: - Dovranno assistere i poveri infermi con ogni carità e pazienza e prestare loro ogni soccorso. - Se qualche ammalato si aggravasse dovrà subito avvisare i custode e, se non volesse confessarsi, dovrà immantinentemente farne consapevoli gli amministratori. - Ritrovandosi qualche infermo aggravato del male, dovranno i serventi vegliare nella notte. - Partiti i malati, sarà loro dovere aggiustare il letto e rimettere della paglia nel pagliericcio. - Tutto ciò che troveranno presso i malati [dopo la loro morte], che non sia prescritto dal medico, sarà di quel servente che lo scoprirà. L’ospedale faceva posto anche ai detenuti delle carceri del borgo, su segnalazione del medico condotto, e accettava i maniaci. Ricoveri ed esigenze aumentano anche per la presenza di militari francesi e italiani. I pagamenti delle loro diarie erano lenti e nel contempo l’amministrazione comunale tendeva a far pagare i diritti e le esenzioni acquisiti da secoli
dall’ospedale sull’uso delle acque. Per tutte queste ragioni, oltre che per la pressione dei debiti legati alla nuova sistemazione, si ha ai primi decenni dell’Ottocento una situazione economica fallimentare. Tuttavia l’amministrazione assume due medici con presenza continuata e chiede “coll’approvazione dell’arcivescovo di Milano conte di Gaisruk” la presenza di tre suore di carità dette di S. Maria Bambina, a L. 200 annue per il vestito. Le suore vennero licenziate nel 1869 perché accusate di cattiva conduzione e incapacità, ma richiamate nel 1875 perché “i lamentati inconvenienti non erano cessati”. Presteranno il loro servizio come caposala fino al 31 agosto 1995. Il lavoro amministrativo riguardava soprattutto le forniture di generi alimentari e sanitari, per cui erano proposte gare d’appalto, e in particolare una voce importante del bilancio era il carico di legna. Al proposito si precisa: “La legna è consumata senza riguardo dagli inservienti per i bagni, e anche trafugata. I bagni sono solo per i degenti, restando così escluse le persone esterne, con le quali non potrà mai accordarsi né anche a prezzo”. Più tardi si aprirono anche bagni gratuiti per il pubblico, “cioè per coloro i quali si presenteranno muniti di fede del medico e di miserabilità”. Nel marzo 1834 sorse la necessità di erigere una nuova infermeria. La nuova sala, in prolungamento della prima, toccava la strada di via circonvallazione “in guisa che l’ospedale presenta ora la precisa forma di una croce, co’ suoi quattro bracci pressoché aperti, aventi nel centro un altare ove celebrasi giornalmente la Messa. Due di questi bracci sono destinati per gli uomini, gli altri due per le donne”. In quegli anni furono terribili a Treviglio le epidemie di vaiolo (1832-33) e di colera (1854-55). Il 3 ottobre del 1854 la Deputazione comunale approntò per i colerosi un luogo apposito, attiguo al civico ospedale. Si tratta della casa rurale, che più tardi, in seguito a una circolare del Ministero degli Interni del 10 maggio 1897, fu adattata per l’isolamento degli ammalati di tubercolosi. Verso la fine del secolo il giudizio
sull’ospedale di Treviglio non poteva che essere lusinghiero. Il servizio era disimpegnato da due medici chirurghi, uno per gli uomini e uno per le donne, suppliti in caso di malattia da un terzo. Vi erano poi tre infermieri per gli uomini e tre per le donne, oltre ad un assistente spirituale che dimorava nell’ospedale. A circa cent’anni dal nuovo insediamento l’ospedale poteva essere guardato come modello specialistico di buon livello. Con il ricavato della vendita di un pezzo di terreno alla Società Ferrovie Alta Italia fu tolto l’uso della cosiddetta “Braciera” e venne adottato il riscaldamento ad acqua, sotto il pavimento delle crociere, pavimentate con piastrelle ferraginose e impermeabili. Vicino alla portineria venne approntata una sala d’aspetto e fu affidata alla ditta Frigerio la chiusura a infissi di ferro e vetro sui due lati conservati del quadriportico medievale. L’ultima opera del secolo fu il risanamento della fossa a nord dell’ospedale per preparare l’accoglienza dei malati e del pubblico dal vicolo Facchetti e circonvallazione. NEL NOVECENTO Il secolo XX è caratterizzato nei primi decenni da una gara di solidarietà a favore della vecchia istituzione: banche, ditte, associazioni, congregazioni, collegi, sacerdoti, famiglie e cittadini sono coinvolti in uno slancio di generosità. È commovente scorrere i lunghi elenchi di offerenti di Lire 20 da parte di privati, considerando che L. 20 erano una cifra ragguardevole. Nel 1904 l’ing. Luigi Mazzocchi di Milano fu incaricato di stendere un progetto per un progressivo totale riordinamento dell’edificio. Trovarono così posto la lavanderia, una nuova sala di medicazione e una cucina economica con generatore d’acqua. Nel marzo del 1913 fu riconosciuto all’amministrazione dell’ospedale il diritto di rendere indipendente il proprio servizio sanitario da quello del Comune, distinguendo il ruolo di medico ospedaliero da quello di medico condotto. Con la dichiarazione di guerra l’ospedale venne dichiarato ospedale di guerra e furono messi a disposizione dell’autorità militare 200
letti. Due opere in particolare qualificarono l’ospedale di Santa Maria: nel 1913 il presidente Emilio Engel ordinò di costruire a sue spese il padiglione ostetricia e ginecologia con annessa sala operatoria. Con la gestione del commissario Giovanni Petrignani fu deliberata la definiva collocazione del servizio di radiologia lungo il nuovo tratto di vicolo Facchetti. PIER LUIGI DELLA TORRE Merita di essere ricordata la figura del prof. Pierluigi Della Torre, che, laureato a Pavia nel 1912, entrò nell’ospedale di Treviglio, dove divenne primario e direttore dal 1923 al 1957. Specializzato in neurochirurgia a Parigi, si distinse con pubblicazioni innovatrici (chirurgia dell’ipofisi, 1923) e in difficili interventi in Italia e all’estero. Nel difficile periodo del dopoguerra fu sindaco del Comune di Treviglio e lasciò la sua preziosa raccolta d’arte al Museo Civico, intestato al padre e alla madre. IL CENTRO CIVICO CULTURALE IL CONTESTO 15/07/1969 Il Consiglio Comunale delibera all’ unanimità l’acquisto dell’ex Ospedale S. Maria per 175 milioni . Tale operazione se per un verso si inquadra nella complessa vicenda finanziaria dell’ Ospedale Consortile ormai in fase di avanzata realizzazione, dall’ altro risente del dibattito sull’ assetto urbanistico cittadino che verrà a definirsi con il PRG
e, non ultimo, riflette e recepisce le istanze di carattere culturale che la comunità cittadina sta esprimendo nell’ ultimo scorcio degli anni sessanta e destinate a rafforzarsi nei primi anni settanta. Tra le finalità che la maggioranza indica come cogenti al Consiglio comunale per l’acquisizione dell’ex ospedale, c’è infatti quella di costruire, entro la fine del proprio mandato, un Centro di Cultura in cui trovino collocazione sia la Biblioteca ancora ospitata in Via Donizetti e nel palazzetto Grossi, sia la Pinacoteca, arricchita dal lascito di Ernesto e Teresa Della Torre e in larga parte depositata in locali non idonei. Altri eventi contribuiranno ben presto a rendere ancor più viva nel dibattito cittadino la questione del recupero dell’immobile e ad incidere sulla volontà dell’Amministrazione Comunale nel procedere alla costruzione del Centro Civico Culturale orientando sia le modalità dell’intervento, sia la progettazione delle destinazioni d’uso dell’ex Ospedale S. Maria. La più rilevante per il settore culturale è, nel settembre del 1970, la definita scomparsa del Teatro Comunale e la contemporanea promessa dell’Amministrazione di destinare i 65 milioni ricavati dalla sua vendita al costruendo Centro Civico. Ad orientarla in tal senso contribuiscono, del resto, le sollecitazioni rivolte dall’opinione pubblica e dalle forze politiche alla maggioranza affinché elabori una strategia complessiva nell’ ambito culturale. Altrettanto importanti si rivelano sia le discussioni sul riordino urbanistico, a seguito della approvazione del PRG sia le scelte attuate in merito alla riqualificazione del centro storico e alla allocazione del verde urbano. LA PROPOSTA CASSANI – BENCETTI - BOTTINELLI In data 16.10.1972 gli architetti Duccio Bencetti e Gino Cassani inviano alla Giunta un progetto di ristrutturazione dell’area dell’ex Ospedale S. Maria le cui finalità possono essere così individuate:
Ricavare uno spazio verde di circa 8.000 mq che funga da continuum fra gli edifici scolastici che si affacciano su Viale Cesare Battisti e da “oasi di tranquillità” per i fruitori del costruendo Centro Culturale. Riservare al “monumento” circa 2.000 mq ottenuti mediante la demolizione dei “rustici e costruzioni vecchie senza pregio” e mantenendo, dei 4 bracci, solo “i due lati che chiudono il chiostro stesso”. Utilizzare il criterio della massima flessibilità “in senso tecnico e dimensionale” nella progettazione degli spazi interni in cui troveranno collocazione Biblioteca, Pinacoteca, Musei, locali destinati ad associazioni culturali ed una sala per conferenze, proiezioni e concerti. In dettaglio il progetto Bencetti - Cassani - Bottinelli prevede di collocare nel “monumento”: “nel lato nord del chiostro e lato ovest, fino alla chiesina”, una sala di lettura, una sala schedari, un’emeroteca e, al piano terra, il magazzino del settore biblioteca; “nel braccio ad est, diviso a metà altezza e posto sullo stesso piano del loggiato” con la volta “sostituita con velari”, la Pinacoteca e i Musei; “nella parte centrale della Crociera, possibilmente nell’area della vecchia Chiesa di S. Pietro” una sala conferenze, proiezioni e concerti per 300 spettatori e, intramezzando il braccio ad ovest, una sala con funzioni di ridotto e di esposizione temporanea; nell’area nord- nord-est, spazi destinati alle Associazioni culturali. Nel progetto vengono proposti inoltre usi alternativi del Chiostro e il ripristino del settecentesco ingresso carrale, individuato come secondo accesso al Centro Civico insieme a quello di Via dei Facchetti. Gli architetti recependo anche altre istanze ben presenti nel dibattito politico del momento, vale a dire la realizzazione di un teatro in sostituzione di quello non più esistente, la collocazione dell’Ufficio Postale
in un edificio più adeguato, la individuazione di spazi per servizi assistenziali e per uffici comunali, inseriscono nel loro progetto i seguenti elementi: Nell’area a sud del “Monumento” un teatro da 600 posti. Nel fabbricato a nord, in fregio a Viale Battisti l’Ufficio Postale (seminterrato e piano terra) e uffici comunali (primo piano). Nel fabbricato a portici su via Facchetti la sede del Consultorio e la casa del custode. Propongono, inoltre, di eliminare, nel lembo sud, la piazza a parcheggio ridistribuendone i posti lungo Viale Cesare Battisti e in un piccolo parcheggio a nord del “ monumento”. Per quanto riguarda i costi, li indicano in 153 milioni complessivi, esclusi, in quanto al momento non quantificabili, quelli relativi a restauro e modifiche del complesso monumentale. L’ APPROVAZIONE IN C.C. E L’ ASSEMBLEA PUBBLICA Dopo un passaggio in G.M. in data 13/03/1973 il Consiglio Comunale con delibera n° 24 approva il progetto di massima e delega la Giunta sia a procedere alla demolizione degli immobili, sia a “promuovere le restanti opere di ristrutturazione e sistemazione”. Il passo successivo è rappresentato dalla convocazione di un’Assemblea cittadina che si tiene alla Casa dell’Agricoltore l’11 maggio 1973. Nell’assemblea sono presenti, al tavolo della Presidenza, gli architetti Cassani, Bencetti e Bottinelli quali estensori del progetto e gli assessori Gusmini e Melli, mentre in sala tra il numeroso pubblico, siedono il Sindaco Riganti, il Vice sindaco Merisi e molti consiglieri. Nel dibattito che segue all’illustrazione del progetto, vengono affrontati molteplici temi e si registrano posizioni diverse in merito alla gestione del futuro Centro Culturale, al dimensionamento della sala per teatro,
conferenze e concerti, alla funzione assegnata all’area e alla riduzione della Crociera a 2 bracci. Tuttavia la maggioranza dei partecipanti – e su tali proposte convergono anche gli architetti - concorda sui seguenti criteri di intervento nell’area : assegnare al verde uno spazio prioritario; salvaguardare la struttura architettonica del “ monumento”; non realizzare le altre strutture preventivate nel progetto, ossia Ufficio Postale e Teatro per i quali saranno individuate eventuali altre localizzazioni; Collocare, nel Centro Culturale, Biblioteca, Sala di lettura, Pinacoteca, Musei e “tutte quelle attività culturali che potranno essere inserite”. Su queste premesse la G. M. autorizza in data 17.03.1974 con del. n° 272 l’intervento per “liberare il chiostro e gli edifici di interesse storico”. Nel frattempo ha buon esito la richiesta di contributo alla Regione Lombardia che assegna per i due esercizi finanziari successivi una prima somma di 140 milioni per la realizzazione del progetto.
LA REALIZZAZIONE DEL PROGETTO ESECUTIVO Il Consiglio Comunale in data 27.11.1975 approva il progetto esecutivo redatto dagli architetti Cassani, Bencetti e Bottinelli . Il costo preventivato risulta pari a 166.300.00 di cui 114.747.090 per opere edili; la restante quota resta a disposizione dell’Amministrazione per la realizzazione dell’impianto elettrico e telefonico e degli impianti idro-termo-sanitari.
I lavori, consegnati il 30 luglio 1976, vengono realizzati in tre fasi: un primo intervento da effettuare nell’area destinata alla formazione del “ Museo e delle Sale Convegno”. Le opere di capomastro sono affidate alla ditta Bovisa, la progettazione degli impianti idro – termo- sanitari all’ ing. Maccapanni e quelli elettrico – telefonici all’ ing. Delbini. Lavori inizialmente non preventivati e perizie suppletive prolungheranno l’esecuzione delle opere sino al 16.06.1979. Un secondo intervento, effettuato nell’area destinata alla Biblioteca Civica, a sua volta articolato in un primo e in un secondo lotto: Il primo lotto di limitata entità, i cui lavori sono affidati il 21.01.1980 e terminati il giorno 01.0.4.1980. Seguirà, il 1 giugno 1980, l’inaugurazione delle prime due ali del Centro Civico alla presenza di numerose personalità. Il secondo lotto, ben più consistente, che usufruisce di un contributo regionale di 193.000.000, con consegna lavori il 28.04.1980 e loro ultimazione il 31.07 1981. Terminata l’opera, la Giunta il 22.10.1981 affida all’ ing. Gianluigi Borra l’incarico di procedere alle operazioni di collaudo. Il professionista consegna il 17.09.1983 gli “atti unici” relativi ai tre interventi certificando una spesa per opere da capomastro di £. 668.273.655, in linea con quanto previsto per opere murarie dalla relazione dell’arch. Cassani che, in data 10/10/1977, aveva valutato il costo dell’opera in complessivi 970.200.000 di cui 660 per opere edili. Gli interventi effettuati sul “monumento” ne hanno profondamente ridisegnato aspetto e funzioni anche rispetto all’ iniziale progetto di massima. Tra i più rilevanti vale la pena di ricordare: le sale della biblioteca sono diventate due; al piano terra dell’ala nord sono stata realizzate la Sala Lodi e la direzione;
l’ area est è stata destinata a deposito libri dotato di montacarichi, schedatura, prestito e direzione; nell’ area sud sono state costruite le sale che ospiteranno la Pinacoteca; sono stati realizzati i due porticati delle ali ovest ed est del chiostro; è stata ripristinata la scala di accesso ai sotterranei a loro volta resi agibili; sono stati riportati alla luce, restaurati e messi in sicurezza affreschi emersi da una accurata ricerca nel corso dei lavori; è stato dato un nuovo volto al settecentesco ingresso carrale e ripristinato il chiostro.
IL TERZO LOTTO E IL CONCORSO DI IDEE Sulla spinta del dibattito cittadino, del contributo di 100 milioni ottenuto nel programma biennale regionale 81/82, del successo delle prime conferenze e mostre realizzate nel Centro Civico, l’ Amministrazione si muove in due direzioni: il 24.02.1982 approva il progetto esecutivo del terzo lotto per una spesa di 239.100.00 da finanziare con 100 milioni di contributo regionale e 139 milioni mediante l’ assunzione di un mutuo. I primi lavori per un importo di 78 milioni saranno appaltati il 29.06.1983. il 14.10.82 lancia un bando di concorso regionale per la ristrutturazione della Crociera in cui si chiede di progettare in tale spazio un auditorium polifunzionale per un minimo di 250 persone con relativi servizi , sale per esposizione ed una sala lettura. Nel bando si precisa che le strutture dovranno consentire una rapida modificazione di superfici e volumi secondo schemi modulari e prevedibili.
I PARTECIPANTI AL CONCORSO Al concorso bandito il 14. 10.1982 rispondono 17 studi di architettura che presentano progetti contrassegnati dai seguenti motti: Historia Magistra Teatro 5 Paguro 303 Plurima La Torre del Teatro Greco Latina Irene Itaca Sach Dado Ero Ricca Maggio Elisir Vis Vetustorum hodie vivit Doppia Scena Zero Cento Papier Mais LA COMMISSIONE In data 13.04.1983, in base all’ art 7 del bando di Concorso, viene nominata la commissione giudicatrice composta dai:
Dott arch. Prof. Luciano Patetta Dott Ing Giuseppe Canavotti (ordine Ing. Bg) Dott. Arch. Piergiorgio Tosetti (ordine arch. Bg) Arch. Eros Bottinelli (Pres. Comm. Edilizia Tr.) Dott. Sergio Tomellini (Pres. Comm. Bibl.)
Dott. Nazario Erbetta (Ass. P.I. e Cultura) Dott. Stefano Agliardi (Ass. Urbanistica) Arch. Chiara Mazzoleni (Gruppo Minoranza) Ing. Alfio Leotta (Capo Rip. LL. PP.) Arch. Antonio Maraniello (Capo Rip. Urban.)
GLI ESITI DEL CONCORSO La Commissione riunitasi il 24 e 31 maggio e il 7 e 14 giugno 1983, al termine dei lavori: individua il progetto “ Maggio” realizzato dagli architetti Giancarlo Motta e Pizzigoni Antonia quale miglior lavoro e gli assegna un premio di £ 3.500.000 Apprezza inoltre i seguenti 4 progetti: Paguro 303 realizzato dall’ arch. Pietro Gritti e collaboratori La Torre del Teatro realizzato dall’ arch. Adalberto Caccia Dominoni e collaboratori Greco Latina , realizzato dall’ arch. Luigi Chiara e collaboratori Historia Magistra realizzato dall’ arch. Vittorio Pagetti e collaboratori A ciascuno di questi progetti assegna un premio di 1.750.000 come rimborso spese Tutte le opere saranno successivamente esposte in mostra dal 17 al 31 dicembre dello stesso anno in Sala Crociera. UN NUOVO PROGETTO DI TERZO LOTTO Su incarico attribuito in data 16 febbraio 1984, l’arch. Antonia Pizzigoni predispone la documentazione necessaria per richiedere un
finanziamento Regionale per la realizzazione del progetto “Maggio” i cui costi vengono definiti in 1.034.210. Il 13 marzo la domanda viene inoltrata in Regione, ma non otterrà esito positivo Scoppia nel frattempo la polemica sollevata dall’ articolo intitolato “I falsi di Treviglio” a firma dell’arch. Amedeo Bellini e pubblicato sul numero di luglio – agosto della Rivista Domus a cui risponderanno unitariamente gli architetti Cassani, Bencetti, Bottinelli il 15 settembre dello stesso anno. Anche il secondo tentativo, nel 1985, di accedere ai contributi regionali, si rivela infruttuoso. La Crociera, rimarrà uno spazio “aperto” che attende una sua definitiva definizione.
VERSO IL COMPLETAMENTO DEL PROGETTO Nel decennio successivo il Centro Civico assume progressivamente un ruolo sempre più significativo. La Biblioteca, intitolata a Carlo Cameroni, vede crescere il numero degli studenti che affollano le sue sale e spesso anche i loggiati, registra un notevole incremento del patrimonio librario, amplia i suoi servizi ed assume una funzione ancor più rilevante a livello provinciale. La Sala Lodi diventa uno dei luoghi cittadini più richiesti per conferenze, dibattiti, corsi, incontri realizzati direttamente dalla Biblioteca e dall’ Assessorato alla Cultura e/o dalla diverse Associazioni culturali. Il Museo “Ernesto e Teresa della Torre”, seppur racchiuso in spazi limitati rispetto al patrimonio e alle potenzialità, inizia un percorso di crescita scandito da un ciclo di catalogazione e restauri di opere d’arte , da iniziative culturali e da acquisizioni e donazioni che ne incrementano il valore.
Il chiostro e i porticati si offrono come spazi adeguati, stagione permettendo, ad ospitare attività musicali, teatrali ed espositive. La Crociera, “opera incompiuta” al di là della temporanea utilizzazione come sede dell’Ufficio Anagrafe, trova anch’ essa, nelle programmazioni di quegli anni, una propria funzione di contenitore per mostre d’ arte, del mobile, di libri, di moda. Resta comunque aperta l’esigenza di darle un assetto definitivo, atto a valorizzarne l’importanza storico – architettonica e la volumetria. Altrettanto evidenti si rivelano la mancanza di spazio per il Museo e la necessità di completare alcuni importati opere sull’ intero Centro Civico. Da queste constatazioni scaturiscono tre nuovi interventi consecutivi che saranno realizzati tra il 1997 ed il 2000. Il primo ha per oggetto l’adeguamento funzionale della Crociera, il secondo quello del Silos, il terzo i lavori di completamento e di abbattimento delle barriere architettoniche dell’ intero Centro Culturale. ADEGUAMENTO DEFINITIVO DELLA CROCIERA Tra il 1991 e il 1994 progettazione e direzione lavori per l’adeguamento della parte muraria e degli impianti tecnologici sono rispettivamente assegnate all’ arch. Eros Bottinelli e all’ ing. Erich Vacchini. Ottenuta l’autorizzazione della Sovrintendenza dei Beni Ambientali e architettonici di Milano nel 1996, il progetto esecutivo viene approvato il 2.07.1977 e la esecuzione delle opere murarie è affidata alla ditta Abitat. Il progetto, alla cui realizzazione collaboreranno gli arch. Enzo Bottinelli e Barbara Oggionni, prevede di dividere la Crociera in tre spazi così definiti: Sala convegni, nella parte terminale del piano terra “caratterizzata da Croce Greca e resa godibile dalla presenza della cupola”; Spazio mostre temporanee, al piano terra sino all’ incrocio con la Croce greca;
Museo, al primo piano, diviso dallo spazio mostre da una struttura in conglomerato cementizio armato con inserzioni di vetri trasparenti nell’impalcato e, dall’ Auditorium, da una parete vetrata verticale. ADEGUAMENTO DEFINITIVO DEL SILOS Il progetto affidato all’ing. Erich Vacchini come studio preliminare nel 1995 e divenuto esecutivo il 4.05.1997, risponde alla necessità di adeguare il Silos alla norme di sicurezza. In particolare nel contenitore verranno realizzate:
Una nuova scala interna Porte tagliafuoco Potenziamento di impianto idrico antincendio Impianto di spegnimento automatico costituito da batterie di bombole a gas estinguente collocate in locale interrato Impianto di condizionamento Nuovo impianto elettrico Impianto rilevazione fumi I lavori eseguiti a partire dal 1997, sotto la direzione dell’Ing. Erich Vacchini e assegnati per la parte muraria alla ditta Ferri Adriano, si concluderanno nel luglio del 1999 con l’affidamento delle opere di collaudo all’ing. Molteni Luciano. ADEGUAMENTO DEFINITIVO DEL CENTRO CIVICO E ABBATTIMENTO BARRIERE ARCHITETTONICHE Il progetto preliminare presentato dall’arch. Vittorio Adenti nel settembre del 1999 e divenuto esecutivo il 7.06.2000, prevede, oltre ad un ripasso del tetto, interventi che riguardano: La conservazione delle facciate esterne, delle colonne del chiostro, del pavimento della cappella;
La sistemazione e l’arredo esterno alla Crociera; la chiusura del vano porticato compreso fra il Chiostro e la Cappella assegnando a tale spazio la funzione di fulcro distributivo dell’ intero complesso; la copertura della parte di androne che connette l’ingresso di Via Bicetti ai locali del Centro Civico; l’abbattimento delle barriere architettoniche mediante l’istallazione dell’ascensore di collegamento fra il piano terra e il primo piano e la costruzione di nuovi servizi igienici per disabili; il rifacimento degli impianti nell’ala ovest dove sono collocati fonoteca, prestito e locali di servizio. IL NUOVO CENTRO CIVICO CULTURALE La conclusione, nel 1999, dei lavori edili e tecnologici negli spazi destinati a sala per mostre temporanee e Museo, accompagnata dall’acquisto dei preventivati arredi, consentono di realizzare la nuova Pinacoteca e di inaugurare ambedue gli spazi, fra il febbraio e l’aprile del 2000 con la Mostra di respiro internazionale “Giovan Battista Dell’ Era, un artista lombardo nella Roma neoclassica”. I nuovi contenitori, gli interventi realizzati nel 2000 e l’acquisizione di immobili vicini permetteranno, negli anni successivi, di recuperare più adeguate aree per la biblioteca ragazzi, di realizzare un primo nucleo del museo archeologico, di rinnovare ed ampliare i servizi di prestito, consultazione, fruizione dell’emeroteca e della fonoteca. Servizi e attività realizzati dalle nuove strutture, grazie anche alla collaborazione di associazioni create ex novo e in concorso con altri spazi destinati alla cultura, renderanno il Centro Civico forse non “oasi di tranquillità” , ma sicuramente un cuore pulsante della vita culturale della città.
Centro Stampa Comune di Treviglio 2018