I Quaderni del Museo 2/2017 Stabat mater

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Direttore del Museo Riccardo Riganti

Allestimento Franco Meni Antonio Masseroli Roberto Marotto Marina Cavalleri Anna Maria Rondalli Riccardo Riganti

Fotografie Tino Belloli


Chiedo scusa se nel presentare questa mostra cadrò un poco nell'autobiografico. “Stabat Mater” è l'ultima mostra, in ordine di tempo, che allestisco da direttore del Museo Civico. Mi subentreranno le dottoresse Albergoni, Nisoli e Resmini. Tutte e tre preparatissime; sapranno raggiungere mete molto più rilevanti che le mie. Hanno la competenza, la cultura, l'allenamento uniti alla freschezza ed allo slancio della giovinezza. Se lo vorranno continuerò a collaborare, sotto la loro direzione, quale volontario. Non farò che aggiungere qualche anno ancora alla loro pazienza e sopportazione. “Stabat Mater” è un'esposizione ricca di quadri, sculture, oggetti ed immagini devozionali, libri ed incisioni di artisti rilevanti nella Storia dell'Arte Occidentale. Si va da Dürer a Manzù, da Rembrandt a Previati, dal Sansovino ad Oscar di Prata. I prestiti di tali preziose opere generosamente accordati da collezionisti e musei dimostrano quale prestigio abbia raggiunto il Museo di Treviglio negli anni a partire dal 2000, anno d'inizio con il benemerito Assessore Celsi. Sono particolarmente lieto del tema della mostra incentrato su di un evento che ha segnato un centro irripetibile della storia universale. La Passione e morte del Cristo crocifisso, uniti al patire della Mater Dolorosa sono contenuti che uniscono l'umano ed il divino. Esco dal servizio attivo nel Comune di Treviglio, grazie ad iniziative quali questa esposizione, molto più ricco in cultura, conoscenze umane e rapporti interpersonali di quanto quarant'anni addietro entrai alle dipendente del Municipio. La riprova è la conoscenza che ho acquisito di una quantità veramente considerevole di dimore, abitazioni private in cui sono conservate rilevanti opere d'arte altrimenti sconosciute e la generosa confidenza dei proprietari collezionisti. E' per tale motivo che mi pare giusto e doveroso corrispondere a quanto mi è stato dato (molto più significativo del salario mensile) dedicando questa mostra eccezionale a tre persone e due gruppi. Dapprima al Sindaco Imeri, con cui la famiglia Riganti ha tra l'altro uno stretto rapporto ed all'Assessore Beppe Pezzoni, figure politiche eminenti ed ottimi amministratori, che ben rappresentano gli otto sindaci ed undici assessori alla cultura che mi onoro di aver servito negli anni di lavoro.


La dedica la estendo ad una persona eccezionale, Franco Meni, che mi è stato validissimo maestro sotto tanti aspetti. Nel tempo a venire tenterò di imitarlo nella disponibilità. Rimarrà per me irraggiungibile la bravura e competenza tecnica, il signor Meni è inoltre ben rappresentativo delle Associazioni di volontari che si sono costituiti nel tempo a sostegno del Museo ed hanno garantito con il loro disinteressato lavoro la possibilità di allestire e garantire l'apertura di tante esposizioni artistiche e storiche di ottimo livello. Cito doverosamente gli “Amici del Chiostro” ed il P.A.E. Sono pienamente consapevole delle mie tante carenze e difetti. Questi volontari unitamente ai miei stimati collaboratori dell'Assessorato hanno coperto e colmato ogni mia stortura e lacuna. Per il Museo “Della Torre” come diceva il Renzo manzoniano “la c'è la Provvidenza” la c'è proprio stata. Il primo gruppo a cui va la dedica, sono le mie insuperabili colleghe di cui ho citato all'inizio alcuni nomi. Il secondo assai nutrito gruppo a cui estendere la dedica siete tutti voi, visitatori del museo e sostenitori, che rappresentate idealmente il sempre più vasto pubblico che ha seguito e rende vivo in modo caloroso e partecipato il Museo “Della Torre” nelle sue molteplici iniziative. Concludo con un giudizio e una citazione. Il giudizio, condiviso ormai da sempre più numerosi critici e storici dell'Arte, è che l'arte contemporanea riacquisterà pieno valore se saprà tornare alle proprie origini religiose. Cadrà così il velo di non senso che l'avviluppa; cesserà lo sterile fine di “epater les bourgois” e si solleverà dalla riduttiva mercificazione a cui spesso si degrada, che la equipara tanto alla vendita di zuppa di fagioli in barattolo. La citazione, tratta dagli scritti di Sant'Ambrogio e Tommaso d'Aquino è “ex divina pulchritudine esse omnium derivatur”, l'arte è e deve essere originata e nutrirsi del logos divino, che è irraggiungibilmente bello e contemporaneamente buono per l'uomo. Dott. Riccardo Riganti Direttore del Museo Civico “Ernesto e Teresa Della Torre”


“Stabat Mater”. Questa espressione così popolare e così solenne dice molto dell’evento centrale della nostra fede: il mistero della Croce. Dice anzitutto che a Gesù non è stato risparmiato nessun dolore. Quello fisico nella carne, quello dell’abbandono dei suoi amici; quello spirituale; quello del cuore, degli affetti: talvolta il dolore più grande è proprio quello di veder soffrire, per noi, le persone che più amiamo. Anche questo Gesù soffrì. Dunque lo “stabat Mater”, principalmente, non ci distrae affatto dalla centralità di Cristo. Anzi, per un certo verso la esalta ancora di più. Ma quello stare di Maria sotto la croce dice anche molto dello stile di Dio. Dice bene un detto popolare: “Dio che ti ha creato senza il tuo consenso non ti salverà senza di te”. Dio suscita sempre corresponsabilità. Dio è Trinità, è inclusivo per natura. Tutto questo è portato alla sua massima espressione proprio nella Passione. San Paolo nella lettera ai Colossesi afferma: “sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). Qualcuno potrebbe pensare: è impossibile che possa mancare qualcosa all’intervento di Dio! Infatti non manca nulla, oggettivamente, se non il nostro soggettivo consenso. Paolo dice: la nostra partecipazione. Ricordiamoci che Dio non ci salvò con un’idea, con un pensiero. Dio si è fatto carne. Ci ha salvato con un fatto, un avvenimento: la sua morte e la sua risurrezione. Ecco perché anche il nostro assenso a questa salvezza non può essere solo un pensiero, un semplice atto di volontà, ma deve essere un fatto: portare a compimento con i nostri patimenti quello che manca alla sua Passione. Ricordiamolo bene, però: oggettivamente, alla passione di Gesù non manca nulla. Maria è la primizia dell’umanità, che sotto la croce risponde nuovamente “eccomi” al gesto di Gesù che consegna totalmente sé stesso. In questo senso Maria è prefigurazione di ciascuno di noi. È corredentrice perché anche noi siamo chiamati ad esserlo. Spesso, nell’arte, Maria è raffigurata sotto la croce in due atteggiamenti corporei opposti. In piedi e seduta con in braccio Gesù deposto. Sono due momenti diversi della vicenda, prima e dopo la morte di Cristo. Ma esprimono bene anche due atteggiamenti del cuore: lo stare in piedi è l’atteggiamento “sacerdotale”. Maria offre il Figlio al Padre, come fece ritualmente nell’episodio della presentazione al tempio.


Lo stare seduta sotto la croce invece è l’immagine opposta di chi riceve il Figlio dal Padre, causa della nostra salvezza. Quando è rappresentata seduta, Maria, ha spesso le braccia allargate e il capo reclinato, quasi ad imitazione del Figlio crocifisso, rendendo ancora più evidente quello che san Paolo affermava nella sua lettera: “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo”. Mons. Norberto Donghi


STABAT MATER Stabat Mater dolorosa,
 iuxta crucem lacrimosa,
 dum pendebat Filius.

Fac ut ardeat cor meum
 in amando Christum Deum,
 ut sibi complaceam.

Cuius animam gementem,
 contrístatam et dolentem,
 pertransivit gladius.

Sancta Mater, istud agas,
 crucifixi fige plagas
 cordi meo valide.

O quam tristis et afflicta
 fuit illa benedicta
 Mater Unigeniti!

Tui nati vulnerati,
 tam dignati pro me pati,
 poenas mecum divide.

Quae moerebat et dolebat
 Pia Mater, dum videbat
 Nati poenas incliti.

Fac me tecum pie flere,
 crucifixo condolere,
 donec ego vixero.

Quis est homo qui non fleret,
 Matrem Chisti si videret
 in tanto supplicio?

Iuxta Crucem tecum stare,
 et me tibi socíare
 in planctu desidero.

Quis non posset contristari,
 Christi Matrem contemplari
 dolentem cum Filio?

Quando corpus morietur,
 fac ut animae donetur
 paradisi gloria.
 Amen.

Pro peccatis suae gentis
 vidit Iesum in tormentis
 et flagellis subditum.
 
 Vidit suum dulcem Natum,
 moriendo desolatum,
 dum emísit spiritum.
 
 Eia, Mater, fons amoris,
 me sentire vim doloris
 fac, ut tecum lugeam.



Maestro di Watervliet (attivo ad Anversa nel primo decennio del sec. XVI) Deposizione Olio su tavola Museo Ernesto e Teresa Della Torre, Treviglio La tavola che raffigura una deposizione della croce con la Vergine, San Giovanni, Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo è tratta da una composizione, ora perduta, di Rogier van der Weyden, dipinta presumibilmente intorno al 1430. La tavola di Treviglio molto probabilmente proviene da Anversa, dall'atelier del Maestro di Francoforte che operava con numerosi aiuti per l'esecuzione di dipinti destinati all'esportazione. Il Maestro di Watervliet potrebbe essere l'autore della tavola: il suo nome è legato alla cittadina fiamminga di Watervliet che conserva un trittico raffigurante una Deposizione della croce interessante per le notevoli analogie stilistiche con il dipinto in esame. (da Le Civiche Raccolte d'Arte della Città di Treviglio. Il Museo “Ernesto e Teresa Della Torre”, Treviglio, Bolis Edizioni, 2011, pp. 9-10)



Albrecht Dürer (Norimberga 1471 - 1528) Gesù Crocifisso con i due ladroni Xilografia Museo Ernesto e Teresa Della Torre, Treviglio Esponente fra i più importanti del Rinascimento tedesco e intellettuale fra i più incisivi del panorama europeo, Dürer svolse il suo primo apprendistato presso la bottega orafa paterna, dove apprese le diverse tecniche di incisione. Continuò la sua formazione presso l'atelier di Michel Wolgemut, pittore ed illustratore di libri, ampliando poi i suoi orizzonti culturali grazie a diversi viaggi di studio, tra cui fondamentali furono quelli in Italia, in particolare a Venezia. Continuatore della scuola fiamminga e tedesca, una delle principali caratteristiche della sua opera è la straordinaria capacità di osservazione e raffigurazione dei molteplici aspetti della realtà, unita spesso ad un profondo senso del soprannaturale. Ai piedi della croce è chiaramente distinguibile il monogramma del maestro: AD. (da S. Zuffi, Dürer. Genio, passione e regola nel Rinascimento europeo, Milano, Leonardo edizioni 1998; E. Lucchesi Ragni, M. Mondini, Da Dürer a Rembrandt a Morandi. Capolavori dell'incisione dalla Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia, Linea d'ombra libri 2004)



Rembrandt van Rijn (Leida 1606 – Amsterdam 1669) Cristo sulla croce Acquaforte e puntasecca 1641 ca. Museo Ernesto e Teresa Della Torre, Treviglio Tra i maggiori esponenti della storia dell'arte europea occidentale, Rembrandt fu pittore ed incisore di straordinaria abilità. Il suo periodo di attività coincide con quello che gli storici definiscono l'età dell'oro olandese. Nella piccola stampa, l'elemento che identifica l'episodio narrato è il lungo bastone con la spugna: «Dopo ciò, sapendo che tutto era compiuto, affinchè la scrittura si adempisse Gesù disse "Ho sete!" C'era là un vaso pieno d'aceto. Intorno ad un bastone fu messa una spugna intrisa d'aceto e gli fu accostata alla bocca. Quando Gesù ebbe preso l'aceto disse: "Tutto è compiuto". E chinato il capo, rese lo spirito». La composizione è insolita per diverse ragioni. Innanzi tutto, il formato ovale è probabilmente esito di un “ritocco” di una lastra originariamente rettangolare. Inconsueto è anche l'uso degli effetti di luce grazie ai quali la folla intorno alle croci risulta immersa in un grigio quasi omogeneo in contrasto con il corpo di Cristo che sembra risplendere. Infine colpisce che l'azione dei vari personaggi non sia affatto differenziata ed individualizzata come di solito succede nelle opere del Maestro. (da La luce del Vero. Caravaggio, La Tour, Rembrandt, Zurbaran, Catalogo della mostra, Cinisello Balsamo, Silvana editoriale 2000, pp. 180-181)



Intagliatore lombardo, metà sec. XVII Ecce Homo Legno policromo e dorato Museo Ernesto e Teresa Della Torre, Treviglio Questo Ecce Homo era probabilmente destinato a ornare la portella centrale di un tabernacolo, secondo una tipologia molto diffusa nel XVII secolo. Restaurato nel 1984 dallo Studio Corbetta, ha recuperato la policromia e le dorature originali precedentemente offuscate da pesanti ridipinture. L'intaglio piuttosto grossolano della piccola statuetta denuncia l'opera di un anonimo intagliatore locale che replica un modello comune in tutta la Lombardia orientale e in particolare nella zona del bergamasco. Oggetto di devozione privata presenta i modi eleganti della scultura settecentesca aliena alla drammaticità medioevale. L'ignoto autore mostra nell'insieme una certa sensibilità nella resa plastica della figura il cui movimento è accentuato dalla posa avvitata. (da Le Civiche Raccolte d'Arte della Città di Treviglio. Il Museo “Ernesto e Teresa Della Torre”, Treviglio, Bolis Edizioni, 2011, p. 119)



Bottega dei Fantoni, sec. XVII Crocifisso Avorio Museo Ernesto e Teresa Della Torre, Treviglio Il crocifisso in avorio è plausibilmente riferito all'officina dei Fantoni così come riferito verbalmente dal donatore mons. Piero Perego. La famiglia Perego di Pontirolo ne venne in possesso all'inizio del XIX secolo. L'esternazione della sofferenza, affidata abitualmente alla torsione del corpo, lascia qui il posto ad un patimento che diventa esplicito solo nella definizione dei tratti somatici. Nel Cristo si riscontra ancora una minuziosa, ma molto composta, definizione del panneggio e del cordone che lo stringe. La mancanza del guizzo tipico impresso al tessuto va considerata in relazione alla morfologia del materiale impiegato nell'esecuzione. (da Le Civiche Raccolte d'Arte della Città di Treviglio. Il Museo “Ernesto e Teresa Della Torre”, Treviglio, Bolis Edizioni, 2011, p. 137)



Trento Longaretti (Treviglio 1916 – vivente) Cristo fra i poveri Olio su tavola 1947 Entrato nelle raccolte civiche attraverso la donazione dell'artista stesso nel 1987, il dipinto testimonia quanto sia importante il tema del “sacro” nella poetica di Longaretti e, in particolare, la sua contaminazione con la tematica pauperistica a lui altrettanto cara. Il pittore vi descrive un gruppo di figure in primo piano, che occupa gran parte della tavola, sullo sfondo di case e fabbriche di una moderna città. Cristo, il capo reclinato e il volto dolente, il corpo avvolto da un manto rosso e i piedi scalzi, addossato a una colonna siede in mezzo a un uomo e a tre bambini, stretti intorno a lui in silenziosa preghiera. Gli edifici nello sfondo sono tradotti in una sequenza di motivi geometrici. La tavolozza è giocata su toni caldi e terrei e su ampie campiture di colori primari. In occasione della della mostra del 1993 al Museo del Duomo di Milano intitolata Il Sacro nella vita di un artista. Disegni e dipinti di Trento Longaretti, il dipinto fu presentato insieme a uno studio a sanguigna raffigurante la testa di Cristo coronata di spine. (da Le Civiche Raccolte d'Arte della Città di Treviglio. Il Museo “Ernesto e Teresa Della Torre”, Treviglio, Bolis Edizioni, 2011, p. 243)



Giulio Carminati (Treviglio 1925 - 1978) Deposizione Olio su tavola 1958 Museo Ernesto e Teresa Della Torre, Treviglio Allievo a Brera di Aldo Carpi e di Achille Funi, è probabilmente anche da questi maestri che Carminati eredita la propensione verso l'arte sacra, che approfondisce autonomamente almeno dal 1947, quando vince il concorso per la decorazione ad affresco del santuario di Mesero presso Magenta. In quest'opera è evidente l'interesse di Carminati per il linguaggio di "Corrente" che si manifesta in una pittura di taglio neorealista, fondendo valenze picassiane con accenti vicini all'espressionismo nordico. L'uomo in tenuta da operaio è una figura desunta dalla realtà quotidiana e la tragedia pietosa di Cristo è accentuata dalle proporzioni del suo corpo (le mani e piedi smisurati, a confronto con la testa piccola e il busto esile). (da Le Civiche Raccolte d'Arte della Città di Treviglio. Il Museo “Ernesto e Teresa Della Torre”, Treviglio, Bolis Edizioni, 2011, p. 165)


Centro Stampa Comune di Treviglio 2017


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