Sin Cinema

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Gianluca Aicardi

Sono passati ormai vent'anni da quando il fumetto americano mainstream cambiò radicalmente faccia, rinnovando approccio e direzione, ad opera di un manipolo di autori di eccezionale talento. Frank Miller fu il primo alfiere del movimento, datando marzo 1986 l'esordio della miniserie/evento Batman: The Dark Knight Returns, in anticipo di qualche mese sull'altra grande opera di svolta degli anni Ottanta, Watchmen dell'inglese Alan Moore. L'unico dei grandi rinnovatori che fosse realmente statunitense di nascita e all american di indole e formazione, il solo che nascesse come disegnatore prima che come sceneggiatore, Frank Miller e il suo influsso grafico e letterario non avrebbero in seguito più smesso di contaminare fumetto, cinema e immaginario visivo, creando una nuova estetica fondata su radici antiche e sempre vive: cinema noir, narrativa pulp estetizzata, espressionismo. L'uscita della versione filmica di Sin City, la saga hard boiled destinata a diventare la sua opera più rappresentativa, ci offre il destro per operare un rapido consuntivo di Frank Miller e dei suoi due decenni di carriera al vertice, passati a tracciare segni inconfondibilmente cinematografici, per tentare poi di farli approdare sul grande schermo, mai fino ad oggi con esiti che risultassero all'altezza. Ma ora, con l'aiuto del regista Robert Rodriguez, allievo di quel Quentin Tarantino che negli anni Novanta per scuotere il cinema a stelle e strisce aveva usato, fra le altre, anche l'ispirazione milleriana, la luce tagliente e le ombre assolute di Frank Miller sono finalmente tornate al luogo da dove provenivano

SIN CINEMA

Gianluca Aicardi (Genova, 1973) lavora dal 1999 nel campo del cinema d'animazione e del fumetto, ricoprendo mansioni di direttore di produzione, dialoghista, direttore artistico e supervisore al doppiaggio. All'inizio del 2004 ha fondato AD LIBITUM, società che fornisce servizi di traduzione e adattamento per prodotti editoriali e audiovisivi. È stato ideatore e cofondatore di eMotion (IHT Gruppo Editoriale), magazine dedicato al cinema d'animazione, di cui è tuttora codirettore editoriale. Ha collaborato a varie pubblicazioni di fumetto e cinema, ed è vicepresidente dell'Associazione culturale Emile Reynaud, che organizza il Festival del cinema d'animazione di Chiavari.

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Gianluca Aicardi

Sin Cinema Il genio di Frank Miller da Daredevil e Batman a Sin City

Le virgole. Autori e Personaggi 2


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I edizione maggio 2005 Copyright © Tunué Srl Via degli Ernici 30 04100 Latina – Italy info@tunue.com www.tunue.com Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento riservati per tutti i Paesi.

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ISBN: 88-89613-05-X Progetto grafico: Daniele Inchingoli Estrodestro Srl V.le P.L. Nervi C.C. Latinafiori 04100 Latina – Italy Copertina Elaborazione grafica di Daniele Inchingoli Per gentile concessione dell’Autore © Daniele Inchingoli Stampa e legatura: Tipografia Monti Srl Via Appia Km 56,149 04012 Cisterna di Latina (LT) Italy


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Indice

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .9 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11 I

Frank Miller, l’estetica del crimine . . . . . . . . . . . . . .17 Genesi di un demiurgo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .16 Timidi approcci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .20 Lo zampino del diavolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 Il rosso e il noir . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .25 Avvento del cinema sequenziale . . . . . . . . . . . . . . 27 Verso la gloria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .29 Un vero pipistrello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .34 La terza via . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .36 Ideali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .39

II

Cinema a fumetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .49 Frank Miller in dieci titoli . . . . . . . . . . . . . . . . . .52 Ronin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .52 Daredevil: Born Again . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .56 Batman: The Dark Knight Returns . . . . . . . . . . . . .59 Elektra: Assassin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .63 Daredevil: Love and War – Elektra Lives Again . . .66 Batman: Year One . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .69 Give Me Liberty . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .72 Hard Boiled . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .75


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Sin City . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .77 300 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .80 III Fumetti al cinema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .85 Appendice. Il ciclo di Sin City . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .92


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Premessa

Perché un libro su Frank Miller? Quella statunitense, insieme a quella giapponese, quella franco-belga, quella sudamericana e quella italiana, è una delle scuole di fumetto più importanti e prolifiche del mondo: nel corso del tempo ci ha offerto grandi esempi di questa forma espressiva e ha dato i natali ad autori che sono rimasti nella storia. Frank Miller, americano del New England, è uno di questi: colui che negli anni Ottanta ha guidato un movimento di profondo rinnovamento del fumetto di massa, traghettandolo verso una forma più matura e profonda, e stilisticamente sorprendente. L’impatto di personaggi radicalmente rivisti, come il suo Daredevil e il suo Batman, è stato preminente nel fumetto e nel cinema dei due decenni successivi, così come quella di una serie noir come Sin City, che oggi è un riuscito film diretto dallo stesso Miller. Il fumetto di Sin City, come molti dei fumetti di Miller, risente profondamente dell’influenza del cinema; e a sua volta il Sin City cinematografico è un tentativo di rendere sul grande schermo il linguaggio del fumetto, in un modo che risulti stimolante per ogni genere di spettatore, sia quello interessato alla pura narrativa pulp, sia quello che apprezzi le stilizzazioni grafiche e il bianco e nero usati in modo espressionista. Ci è sembrato importante dedicare un libro a Frank Miller,


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perché oggi le idee e le innovazioni di Miller si sono diffuse a macchia d’olio nelle creazioni di molti fumettisti e registi, non soltanto americani; e perché queste nuove forme derivano da una confluenza di temi e stili provenienti da tutto il mondo: tanto dalla nativa America e dalla vecchia Europa, quanto dall’emergente Giappone. All’insegna di una contaminazione globale che rappresenta perfettamente lo spirito del presente. G.A. Genova, aprile 2005

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Introduzione

Chi appartiene alla mia generazione era nel pieno dell’adolescenza quando negli Stati Uniti Frank Miller e Alan Moore guidavano quel profondo rinnovamento dei comics che di lì a poco li avrebbe resi un soggetto di conversazione non solo tollerabile ma persino accattivante, anche nei circoli intellettuali più snob: vale a dire fra i cinefili, fra gli appassionati di letteratura non disegnata, persino fra chi si occupava «seriamente» di comunicazione e arte visiva. In Italia in quell’epoca, la seconda metà degli anni Ottanta, il fumetto americano viveva in un limbo senza precedenti. L’Editoriale Corno aveva ormai chiuso tutte le testate da molti anni, la Labor era stata un breve miraggio testimoniato da una manciata di lettori, mentre le nuove proposte Play Press e Star Comics dovevano ancora affacciarsi nelle edicole, o al massimo si cominciavano appena a intravedere, disorganicamente o sotto mentite spoglie (G.I. Joe e Transformers erano in effetti fumetti Marvel; ma non era quella la vera Marvel!). Il concetto di fumetteria, cioè libreria specializzata nella vendita di fumetti, era di là da venire, internet era una parola pronunciata solo dagli informatici hardcore, e lo scambio d’informazioni specialistiche risultava alquanto faticoso, se non del tutto inesistente. Fu quindi in netto ritardo sui lettori d’oltreoceano che gli appassionati italiani, o ciò che ne rimaneva dopo anni di oblio, si accorsero che gli uomini in


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calzamaglia erano cambiati, e che adesso erano diventati una cosa seria. Fu un fenomeno interessante, perché a leggere ed apprezzare Il Ritorno del Cavaliere Oscuro e Watchmen (pur in quelle prime, sconclusionate edizioni della Rizzoli di Fulvia Serra) si ritrovò anche una generazione che pensava di aver già smesso di leggere storie di omini che volavano e si davano battaglia all’interno di pubblicazioni a quattro colori dalla grafica discutibile. Eppure, quella generazione scoprì che gli omini erano cresciuti con essa, e ora parlavano una lingua diversa, erano disegnati in modo diverso, veicolavano messaggi diversi, in modo più acuto. Frank Miller a quel tempo aveva qualche anno più di noi, anche se non erano ancora trenta quando scrisse e disegnò quella storia di un Batman anziano e inquieto che avrebbe portato entrambi, il giovane fumettista e il vecchio supereroe, sulla ribalta del fumetto mondiale. Quando nel gennaio 1988 sulla rivista Corto Maltese uscì il primo numero di Batman: The Dark Knight Returns, per uno strano scherzo del destino nessuno in Italia conosceva il nome di Frank Miller, se non come quello dell’ultimo matitista che si era visto sulle storie di Devil prima che la collana L’Uomo Ragno della Corno chiudesse. Il primo numero del Diavolo Rosso da lui interamente scritto e disegnato, e che avrebbe segnato la nascita del Miller autore, sarebbe stato pubblicato soltanto a ottobre. Ma nel 1988 ben pochi in realtà fecero attenzione a quel curioso Batman che Corto Maltese stava ignominiosamente spezzettando come riempitivo (la quarta ed ultima parte uscì nel numero del giugno 1989). Nessuno ci aveva detto che dovevamo farlo. In realtà, nessuno ci aveva avvertiti che su Corto Maltese venivano di nuovo pubblicati fumetti interessanti, ma questo è un altro discorso. Poi, alla fine del 1989, uscì in libreria l’edizione in volume, e quella si fece notare di più. Fu come risvegliarsi da un sogno per scoprire che la realtà era meglio: c’era Batman in libreria! 12


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INTRODUZIONE

E ci stava benissimo! Quello era indubbiamente il suo posto, perché quella che indossava non era più un ridicolo costumino, era una tetra divisa; e quelli non erano più quattro colori, erano le chine torbide e le tinte sfumate uscite dal pennino di persone che, magari ancora sottovoce, ma non potevano più chiamarsi in altro modo che artisti. Il resto è storia: qualche tempo dopo sarebbe arrivato anche Watchmen, e la prosa di Alan Moore ci avrebbe conquistati tutti tanto quanto la forza espressiva di Miller. Qualche anno e sarebbe stata la volta della poesia di Neil Gaiman, e via via di tutti gli altri, chi prima chi poi, inclusa la generazione di scrittori e disegnatori che già solo a un decennio di distanza risentiva dell’influsso di questi grandi nomi, come se si trattasse dei lontani padri fondatori di un movimento ormai inarrestabile: quello che si opponeva a un fumetto, ancorché curato e artisticamente apprezzabile, ideato a puro scopo d’intrattenimento per adolescenti. Tuttavia, fra le fila di questi autori primigeni, quasi tutti britannici, quasi tutti sceneggiatori, come a ribadire una supremazia del concetto e della qualità testuale sugli aspetti visivi della narrativa disegnata, spesso relegata a spalla di lusso (si pensi, in Watchmen, alla discrezione dei disegni di Dave Gibbons di fronte al protagonismo dei testi e delle idee di Moore), Frank Miller aveva caratteristiche che lo distinguevano nettamente: l’unico assolutamente americano, l’unico che nascesse come disegnatore, e continuasse a sperimentare con gli aspetti visivi del medium, forse anche più che con la narrazione testuale. Pur collaborando egli stesso con grandi disegnatori e illustratori, magari i medesimi con cui collaboravano gli «invasori» inglesi (con Gibbons avrebbe realizzato la lunga saga di Martha Washington, ad esempio), Miller non abbandona mai matite e pennelli, e anzi in anni recenti intensifica e radicalizza le ricerche grafiche, producendo le sue opere tecnicamente più compiute, come la saga in bianco e nero di Sin City e il pittorico 300. Oggi proprio Sin City è diventato un atteso film, diretto dallo stesso Miller in coppia con il «tarantiniano» Robert 13


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Rodriguez. È l’occasione per ripercorrere una carriera che ha avuto profondi legami con il cinema, sia perché il cinema, noir ed espressionista, è stata la maggiore influenza estetica di Miller, che lo ha spinto a contrabbandare crime stories sotto la forma di vicende di supereroi; sia perché è al cinema vero e proprio che a un certo punto Miller sembrava voler rivolgere i suoi sforzi, senza mai riuscire veramente a comprenderne i meccanismi, e lasciando sul terreno solo un paio di sceneggiature (Robocop 2 e Robocop 3) assolutamente dimenticabili; sia, infine, perché il mondo del cinema, oltre a quello del fumetto, ha trovato ottima linfa nello stile visivo di Miller, così perfettamente cinematografico già sulla carta, e dotato di atmosfere e tecniche capaci di fondere con eleganza il meglio di tradizioni diverse e preziose come il manga giapponese, la linea chiara francese, il chiaroscuro italiano, il romanzo grafico di Will Eisner, il dinamismo plastico e muscolare di Gil Kane e Neal Adams, le inquadrature di Akira Kurosawa, il montaggio di Alfred Hitchcock, le ombre di Fritz Lang, gli stacchi di Sam Peckinpah. Tutto questo unito a testi maturi e profondi, che parlano di follie e ossessione, amore e morte, vendetta e rinascita, assassini e femme fatale, recuperando lo stile dell’hard boiled di Raymond Chandler, l’epicità di Hemingway, o la crudezza di Carver, con personaggi che richiamano Humphrey Bogart e Rita Hayworth, Lana Turner e Orson Welles, o Edward G. Robinson. Nel primo dei tre Capitoli di questo libro passeremo in rassegna la vita e il percorso artistico ed editoriale di Miller, dalla nascita in provincia ai primi tentativi di realizzare i propri sogni nella New York di fine anni Settanta, fino al successo internazionale. Il secondo Capitolo propone un invito alla lettura delle dieci principali opere milleriane. Il terzo Capitolo esamina i tentativi cinematografici dell’Autore, incluso il più compiuto: il recentissimo lungometraggio ambientato a Sin City. Frank Miller è un nome piuttosto comune negli Stati Uniti, e 14


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vi furono almeno altri due famosi cartoonist che lo portarono: uno disegnava le strisce di Barney Baxter negli anni Trenta e Quaranta; un altro nel 1963 vinse un Premio Pulitzer con le sue vignette politiche per il Des Moines Register. Ma il Frank Miller della mia generazione, che oggi non ha ancora cinquant’anni ma è ormai una leggenda vivente da quasi venti, sarà quello che rimarrà nella nostra memoria di lettori di fumetti «rinati» sotto il suo segno grafico e letterario.

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I. Frank Miller, l’estetica del crimine

Genesi di un demiurgo Frank Miller nasce fra le montagne del New England, e forse a posteriori sembra ovvio immaginarlo crescere in quella provincia americana degna di un Lovecraft postmoderno, chiusa fra il passato rurale ma carico di storia e il sapore europeo delle architetture tardo-gotiche: il genere di luoghi che un giorno avrebbe riletto e trasceso nelle metropoli nei suoi fumetti, punteggiate di doccioni e popolate da un’umanità rozza e morbosa. Il 27 gennaio 1957 il piccolo Frank viene alla luce nella quieta cittadina di Olney, nel Maryland, ma presto la sua famiglia si trasferisce ancora più a nord-est, a Montpelier, microscopica e misconosciuta capitale del Vermont, dove Miller trascorre tutta l’adolescenza. Sono luoghi lontani dalle metropoli in fermento che punteggiano le due coste, territori autarchici, poco attraversati dai grandi cambiamenti in atto a partire dal secondo dopoguerra, che culmineranno con le contestazioni sociali e i profondi mutamenti culturali degli anni Sessanta e Settanta. Montpelier, pittoresca località situata nella valle del Winooski River lungo le Green Mountains, non molto distante dal confine canadese e che coi suoi poco più di 8000 abitanti è ancor oggi celebre per essere «la più piccola capitale


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degli Stati Uniti», è certamente immune da tutto questo. Ed è qui che Miller comincia a leggere i suoi primi comics. Sono gli anni in cui il fumetto supereroico americano attraversa una prima rinascita dopo le strumentalizzazioni belliche e il periodo di oblio patito negli anni Cinquanta, ritrovando eroi più freschi e al passo con i tempi. La cosiddetta silver age dei fumetti statunitensi si può far cominciare a pochi anni di distanza dall’introduzione del codice di autoregolamentazione dei fumetti (il famigerato Comics Code, sorta di autocensura preventiva nata in atmosfera maccartista), che di fatto venne autoapprovato dagli editori come Il famigerato bollino del codice di mossa per mandare al fallimento autoregolamentazione dei comics. la E.C. Comics di William Gaines e le sue trasgressive, e vendutissime, testate horror. La gloriosa DC Comics (ex National) e soprattutto la neonata Marvel Comics (ex Timely/Atlas) tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta riportano così alla luce il concetto di supereroe, dotandolo di nuove forme, ma rivolgendosi costantemente a un pubblico di adolescenti e preadolescenti, così come già avveniva nella golden age prebellica. Frank Miller è uno di questi, e come i suoi coetanei negli anni Sessanta si dedica con entusiasmo alle letture più in voga, da I Fantastici Quattro a L’Uomo Ragno, mentre i classici eroi della DC (su tutti Batman e Superman, pubblicati sulle sempiterne testate Detective Comics e Action Comics) non riescono ancora a svincolarsi da uno stile old fashioned che non li premia. Nel febbraio 1964 Miller ha da poco compiuto sette anni quando esce il primo numero (datato aprile) delle avventure di un eroe cieco vestito da diavolo che com18


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batte il crimine nei bassifondi di Hell’s Kitchen, il quartiere irlandese di New York: è il Daredevil di Stan Lee e Bill Everett (due anni dopo le matite saranno dei più incisivi John Romita e Gene Colan). Nel 1968 ne ha invece undici, quando il veterano Gil Kane1 apre la strada ai futuri graphic novel e ai fumetti indipendenti in bianco e nero con l’albo His Name is Savage!, prodotto in seno ad uno sfortunato e prematuro tentativo con la sua etichetta autoprodotta Adventure House. Nel gennaio 1970, infine, Miller è ancora solo tredicenne quando il grande Neal Adams restitui- Autoritratto di Gil Kane per una storia umoristica. sce a Batman l’origi- © Gil Kane nario tono gotico che la creazione di Bob Kane, datata 1939, aveva perso per strada nei solari anni Sessanta. E ai testi di The Secret of the Waiting Graves (pubblicata su Detective Comics n. 395) c’è Denny O’Neil. Dimostrando un precocissimo talento per il disegno e una passione sincera per la narrativa sequenziale, a sei anni Miller è già sicuro che da grande farà il fumettista. Ma, come dichiarerà in seguito, in realtà si sarebbe presto stancato del tipo di fumetti che allora venivano pubblicati negli Stati Uniti, rivolgendosi a opere di intrattenimento che sentiva più vere e realistiche: i romanzi polizieschi e i film noir. 19


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Timidi approcci L’inizio della carriera di Miller è tutto in salita, fatto di poche tavole a matita e qualche occasionale inchiostratura per testate minori. I primi passi del giovane nerd Frank risalgono già al suo periodo di liceale a Montpelier, quando comincia a realizzare storie fumetti per la fanzine del gruppo di appassionati in cui milita, chiamato «APA-5» (Amateur Press Association). Neanche a dirlo, sono storie che poco hanno in comune con le minacce cosmiche di Lee & Kirby o il supereroismo adolescenziale della DC guidata, in modo ancora tradizionalista, da Julius Schwartz. In una di queste, Call It Karma!, in particolare, si rintracciano già tematiche hard boiled che avrebbero in seguito attraversato tutta l’opera di Miller, culminando indubbiamente in quell’enorme omaggio al genere che sarà Sin City, ma emergendo con forza anche nel suo approccio a personaggi dall’anima oscura e metropolitana come Batman e Devil. L’esordio ufficiale nel mondo del fumetto avviene coi numeri 84 e 85 di The Twilight Zone della Gold Key,2 testata ispirata alla celebre serie televisiva da noi nota come Ai confini della realtà. È il giugno 1978, e il ventunenne autodidatta Miller si è da Copertina del n. 85 di The Twilight Zone poco trasferito a New disegnata da Miller per la Gold Key nelYork, dopo che proprio un l’estate 1978, suo esordio professionale. 20


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incontro con Neal Adams lo ha convinto di essere pronto per il grande passo. Iniziano qui le tipiche peregrinazioni di editore in editore che accomunano le esperienze di moltissimi aspiranti fumettisti in cerca di lavoro. Con un già ricco portfolio sottobraccio, Miller riesce fin da subito a piazzare piccole scritture per i due colossi Marvel e DC, che segneranno tutta la prima parte della sua carriera professionale. La sua prima storia per la Marvel è John Carter, Warlord of Mars n. 18, datato novembre 1978, Copertina da John Carter, Warlord of Mars n. 18 del novembre 1978, esordio di matite realizzate per i testi Miller alla Marvel. © Marvel Comics di Chris Claremont e con gli inchiostri di Bob McLeod. Nello stesso anno arriva anche la prima commessa targata DC: le matite di una parte di Weird War Tales n. 64, scritto da Wyatt Gwyon (Miller realizzerà poi anche il n. 68). In entrambi i casi, com’è naturale, si tratta di pubblicazioni ampiamente minori all’interno del parco testate di entrambe le case editrici: l’incarnazione fumettistica del personaggio creato da Edgar Rice Burroughs (John Carter di Marte, per l’appunto) dura appena due anni, dal 1977 al 1979, mentre le storie horror di ambientazione bellica della DC sono ormai assolutamente démodé. Miller esegue i compiti assegnatigli in modo professionale, con lo zelo ma anche quel po’ di disillusione propri del giovane disegnatore che realizza il suo sogno di bambino ma sente che quel tipo 21


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di esercizio mal si adatta al suo vero estro. Tutto il suo primo periodo di attività come matitista si può infatti archiviare come un lungo tirocinio, in cui Miller mette in luce le buone doti plastiche e dinamiche del suo tratto, debitore di quella forza espressiva che trova i suoi alfieri in Gil Kane e Neal Adams, più che in Jack Kirby; ancora troppo strette e impostate sono tuttavia le gabbie che strutturano le pagine, da cui Miller comincerà pian piano ad affrancarsi in favore di tavole più ariose e anticonvenzionali, sulla scia di un altro suo punto di riferimento fondamentale, nonché vero gigante del fumetto americano: Will Eisner.3 Dopo questi piccoli lavori iniziali, che non portano nemmeno la sua firma fra i credits, la prima vera occasione per farsi notare sono le matite per Peter Parker, the Spectacular Copertina da Peter Parker, The Spider-Man nn. 27 e 28 Spectacular Spider-Man n. 27, il primo (The Blind Leading the albi firmato da Miller per la Marvel, con Blind e Ashes to Ashes, Daredevil come comprimario dell’Uomo datati febbraio e marzo Ragno. Le chine della copertina sono di Al 1979),4 scritti da Bill Milgrom. © Marvel Comics Mantlo5 e inchiostrati da Frank Springer. La seconda testata dedicata all’arrampicamuri, ormai personaggio simbolo della Marvel, vantava allora un consistente numero di lettori, a sicura conferma del fatto che per il giovane disegnatore di Montpelier era avvenuto l’atteso passaggio di grado. Con l’aggiunta di un particolare di 22


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importanza per nulla secondaria: in quei due numeri di Peter Parker, infatti, a far da comprimario al personaggio di testata troviamo un altro eroe in calzamaglia, Daredevil (da noi noto semplicemente come Devil), destinato a influenzare il destino di Miller per almeno un decennio. Lo zampino del diavolo Le matite di Miller per la doppia storia di Peter Parker sono il primo passo per la sua affermazione alla Marvel. In questo periodo Miller frequenta spesso gli uffici di Park Avenue, sede della Marvel, in cerca di qualche lavoro occasionale, e qui conosce la sceneggiatrice e redattrice Mary Jo Duffy, che funge da supervisore per Daredevil insieme al disegnatore Al Milgrom. Quando la serie rimane senza un matitista regolare, dopo essere passata per le mani di Gil Kane e Gene Colan (che l’aveva frequentata a lungo fin dalla metà degli anni Sessanta, imponendole il suo stile), la Duffy sottopone la candidatura del suo giovane amico del Vermont a Jim Shooter, di poco più vecchio dello stesso Frank, ma già da un anno arrivato alla guida della Marvel come editor-in-chief, ovvero supervisore artistico generale di tutte le testate. Dopo aver esaminato i suoi precedenti lavori, e sentito anche il parere di Denny O’Neil,6 che di lì a poco diventerà egli stesso editor della testata dedicata al diavolo rosso, Shooter decide di assegnare le matite a quel novellino così dinamico e moderno. Alla fine degli anni Settanta Shooter si era trovato alle prese con una pericolosa crisi di vendite, dovendo rivitalizzare un settore, quello del fumetto supereroistico Marvel, che dopo quasi due decenni cominciava a dar segni di stanchezza. Parallelamente, dall’altro lato della barricata Julius Schwartz si trovava a dover fare la stessa cosa per i personaggi DC. Se oggi, col senno di poi, sia Shooter sia Schwartz non risultano immuni da critiche anche severe (prima fra tutte la grande 23


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discontinuità e incoerenza nella gestione complessiva dei parchi testate a disposizione, che finirono per essere del tutto privi di una cifra unitaria che potesse tracciarne un orientamento editoriale e narrativo), furono sicuramente le loro scelte a portare, da un lato, al nuovo grande successo di pubblico che avrebbe preluso al boom degli anni Novanta, ponendo le basi per l’interesse che da qualche anno a questa parte Hollywood nutre per il mondo del fumetto di supereroi (e non solo); dall’altro, cosa ancor più importante, ad alimentare un ricambio generazionale causa di quel profondo rinnovamento stilistico e tematico che Miller si trovò a cavalcare e capeggiare, e del quale Schwartz e Shooter fecero in tempo a raccogliere i primi frutti (il primo lasciò il suo posto nel 1987, il secondo nel 1989). Un altro fattore che accomuna in questi anni i due grandi colossi editoriali sotto la guida dei due citati editor è proprio la collaborazione intrecciata fra Denny O’Neil e Frank Miller, piazzati saggiamente laddove meglio le loro corde possono esprimersi. Daredevil è infatti per la Marvel un personaggio dalle grandi potenzialità drammatiche, spesso malamente sfruttate: singolare esempio di «eroe disabile», fornito di un dramma personale (la cecità) che ha accompagnato l’insorgere dei suoi poteri, peraltro privi di qualunque straordinarietà (nella sua identità segreta, Matt Murdock sfrutta solo capacità sensoriali potenziate e forza e agilità pari a quelle di un ottimo ma umanissimo atleta), Daredevil appare a un’attenta analisi come uno dei supereroi urbani per eccellenza, perfetto per fungere da vigilante raddrizzatorti in un ambiente limitato, quello del quartiere di Hell’s Kitchen, e alle prese con la piccola e grande malavita di strada più che con improbabili minacce cosmiche. Se a questo si aggiunge il suo ruolo di avvocato idealista nell’identità quotidiana, e il segno crudo e dinamico che Gene Colan aveva infuso alla serie, si ottiene un perfetto mix potenziale di drammi umani e scenari sordidi di vita criminosa.

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Il rosso e il noir L’arrivo di Miller su Daredevil avviene con il numero 158 del maggio 1979 (A Grave Mistake!),7 in cui non a caso la tavola d’apertura vede la Vedova Nera, all’epoca la «ragazza fissa» di Devil, in una posa plastica che prelude all’azione: la valenza estetica del corpo femminile in movimento è frutto di un’indagine che attraverserà tutta la successiva carriera di Miller. Lo sceneggiatore ufficiale rimane il discreto mestierante Roger McKenzie, subentrato da un anno allo stesso Shooter (con il numero 152: la testata è in questo periodo bimestrale), e alle chine c’è l’esperto Klaus Janson che, come Miller ricorda, lo avrebbe aiutato a correggere più di una tavola dal tratto ancora un po’ sporco e incerto. La serie viene guidata da Al Milgrom e Mary Jo Duffy fino al n. 162 (che è un fill-in8 disegnato da Steve Ditko), quindi a Milgrom subentra Denny O’Neil, che dal n. 164 diventerà editor unico. Sotto la sua gestione, le idee di Miller trovano terreno fertile per prosperare. Già dal n. 165 lo troviamo accreditato come soggettista insieme a McKenzie, che abbandona definitivamente la serie il numero successivo, cosìcché, dopo una singola storia sceneggiata da David Michelinie, a partire dal n. 168 Miller ottiene il controllo completo della testata, sempre assistito dalle chine di Janson. Ma la sua influenza si era fatta sentire già nei dieci numeri da disegnatore, in cui complottava con McKenzie per inserire personaggi ed elementi che richiamassero le sue amate crime stories (saccheggiando i comprimari di un altro eroe dall’anima metropolitana, l’Uomo Ragno). Quello che fin dall’inizio lo aveva spinto a insistere perché Mary Jo Duffy lo aiutasse a ottenere quest’assegnazione era per l’appunto la possibilità, insita nel personaggio, di fargli realizzare veri e propri racconti noir sotto le mentite spoglie di una saga supereroistica. Nel n. 164, ad esempio (Exposé, del maggio 1980),9 Miller e McKenzie rileggono le origini stesse del personaggio, chia25


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SIN CINEMA. IL GENIO DI FRANK MILLER DA DAREDEVIL E BATMAN A SIN CITY

rendo in modo esplicito la loro visione riguardo alla morte di Sweeney, l’assassino del padre di Matt Murdock: non è senza intenzionalità che Matt gli provoca un infarto fatale. La morte è già quindi pienamente di scena nei fumetti di Miller, presto accompagnata dal suo tipico contraltare hard boiled, l’eros. Il primo numero della sua gestione, Elektra (gennaio 1981),10 introduce l’omonimo personaggio della bella ninja di origine greca, prima e molto simbolica creazione del Miller autore, ispirata alla Sand Saref dello Spirit di Will Eisner e destinata a un lungo e prestigioso futuro editoriale (e, di recente, anche a una trasposizione cinematografica, benché assai poco riuscita). Dopo aver fatto uscire di scena la Vedova Nera alla fine del n. 165, Miller fa intrecciare una torbida relazione a Devil ed Elektra, fatta di sensualità e pericolo e giocata interamente fra languidi sguardi e ipercinetiche evoluzioni. Un minuetto mortale destinato a ripetersi più volte nelle opere del nostro, con questi ed altri personaggi. La gestione Miller su Daredevil dura per ben 24 numeri, dal maggio 1979 al febbraio 1983.11 È la gestione più lunga della sua carriera e avrà anche un ritorno di fiamma nella seconda metà degli anni Da Born Again, il tragico destino di Karen Page, Ottanta, prima con due immersa nei fumi del noir. © Marvel Comics numeri sparsi12 e poi 26


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con la celebre saga Born Again,13 su disegni di David Mazzucchelli, che porterà alle estreme conseguenze la discesa di Matt Murdock nel noir più profondo, permettendo al suo avversario più spietato, il signore del crimine Kingpin, di distruggere la sua vita rendendolo un relitto umano, mentre anche ai comprimari non saranno risparmiate sordide immersioni nel disfacimento esistenziale. Il periodo di Miller alla guida di Devil, ricordato dallo stesso autore come uno dei più stimolanti e divertenti della sua vita editoriale (che in effetti non gli avrebbe mai più offerto l’occasione di una permanenza così lunga su di uno stesso progetto e con uno stesso staff), ha lasciato un segno profondo sul personaggio, un preciso mutamento con cui hanno dovuto fare i conti sia la gestione O’Neil, susseguente al primo, lungo run milleriano, sia quella di Ann Nocenti, che prenderà le redini ai testi dopo il terremoto Born Again. Avvento del cinema sequenziale Il Devil di Miller può essere oggi visto come il vero punto di non ritorno del fumetto americano, la prima rivoluzione di stile, tematiche e target. Il personaggio di Matt Murdock perde gradualmente i legami con gli aspetti più adolescenziali del fumetto di supereroi: minore importanza viene data al corpulento amico Foggy Nelson, prevedibile spalla comico-melanconica, e alla segretaria Karen Page, tipica e rassicurante fidanzatina bionda, entrambi residui di uno spirito da soap opera che, insieme agli scenari urbani e ai superpoteri limitati, rende Devil una sorta di «Uomo Ragno di serie B»; assumono invece sempre più spazio il giornalista Ben Urich del Daily Bugle (lo stesso quotidiano per cui lavora Peter Parker alias l’Uomo Ragno) e il folle killer Bullseye, che Miller inserisce in un torbido e mortale triangolo fra Devil e la sua Elektra; e diventa assolutamente centrale la 27



Gianluca Aicardi

Sono passati ormai vent'anni da quando il fumetto americano mainstream cambiò radicalmente faccia, rinnovando approccio e direzione, ad opera di un manipolo di autori di eccezionale talento. Frank Miller fu il primo alfiere del movimento, datando marzo 1986 l'esordio della miniserie/evento Batman: The Dark Knight Returns, in anticipo di qualche mese sull'altra grande opera di svolta degli anni Ottanta, Watchmen dell'inglese Alan Moore. L'unico dei grandi rinnovatori che fosse realmente statunitense di nascita e all american di indole e formazione, il solo che nascesse come disegnatore prima che come sceneggiatore, Frank Miller e il suo influsso grafico e letterario non avrebbero in seguito più smesso di contaminare fumetto, cinema e immaginario visivo, creando una nuova estetica fondata su radici antiche e sempre vive: cinema noir, narrativa pulp estetizzata, espressionismo. L'uscita della versione filmica di Sin City, la saga hard boiled destinata a diventare la sua opera più rappresentativa, ci offre il destro per operare un rapido consuntivo di Frank Miller e dei suoi due decenni di carriera al vertice, passati a tracciare segni inconfondibilmente cinematografici, per tentare poi di farli approdare sul grande schermo, mai fino ad oggi con esiti che risultassero all'altezza. Ma ora, con l'aiuto del regista Robert Rodriguez, allievo di quel Quentin Tarantino che negli anni Novanta per scuotere il cinema a stelle e strisce aveva usato, fra le altre, anche l'ispirazione milleriana, la luce tagliente e le ombre assolute di Frank Miller sono finalmente tornate al luogo da dove provenivano

SIN CINEMA

Gianluca Aicardi (Genova, 1973) lavora dal 1999 nel campo del cinema d'animazione e del fumetto, ricoprendo mansioni di direttore di produzione, dialoghista, direttore artistico e supervisore al doppiaggio. All'inizio del 2004 ha fondato AD LIBITUM, società che fornisce servizi di traduzione e adattamento per prodotti editoriali e audiovisivi. È stato ideatore e cofondatore di eMotion (IHT Gruppo Editoriale), magazine dedicato al cinema d'animazione, di cui è tuttora codirettore editoriale. Ha collaborato a varie pubblicazioni di fumetto e cinema, ed è vicepresidente dell'Associazione culturale Emile Reynaud, che organizza il Festival del cinema d'animazione di Chiavari.

Euro 5,00

9 788889 613054 >

PROGETTO

GRAFICO:

ESTRODESTRO

ISBN 88-89613-05-X

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