Il documentario animato

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Indice

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Introduzione I.

Il cinema d’animazione e le sue interconnessioni con il «vero» I.1 Cinema: vero o falso? I.2 Un nuovo genere cinematografico ibrido? I.3 Animazione digitale o manuale? I.4 Vedere la verità dell’inganno I.5 Lo spirito del tempo I.6 Segnali da festival e convegni

II. Documentazione oggettiva e soggettiva del contemporaneo con i film animati II.1 Kays Khalil: Hit the Floor II.2 Mischa Kamp: Bloot (Naked) – «Ilhan» II.3 Josh Raskin: I Met the Walrus II.4 Chris Landreth: Ryan (primo approccio) III. Il disegno della realtà Verità e artificio dei documentari animati e dei fumetti non-fiction III.1 Rappresentazione disegnata della realtà III.2 Rappresentazione disegnata della realtà con la presenza esplicita di disegni che ricreano la realtà III.2.1 Jeff Chiba Stearns: Yellow Sticky Notes III.2.2 Edmund Jansons: Little Bird’s Diary


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III.3 Rappresentazione disegnata della realtà che include la rappresentazione dell’autore nell’atto di disegnare/ricreare la realtà

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IV. Approfondimenti Cinque autori rilevanti di documentari animati e i loro lavori IV.1 Andy Glynne: Animated Minds IV.2 Chris Landreth: Ryan IV.3 Hanna Heilborn e David Aronowitsch: Gömd e Slavar IV.4 Jonas Odell

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IV.4.1 Never Like the First Time! IV.4.2 Lögner! IV.4.3 Tussilago

IV.5 V.

Le ragioni per animare la realtà

«Animadocumentaristi» italiani Chiara Malta e Fredo Valla V.1 Chiara Malta: Armando e la Politica V.2 Fredo Valla: Medusa. Storie di uomini sul fondo

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Conclusioni

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Appendici Appendice 1: Intervista con Chris Landreth Appendice 2: Intervista con Jonas Odell Appendice 3: Intervista con Chiara Malta Appendice 4: Intervista con Fredo Valla Appendice 5: Intervista con Francesco Vecchi

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Riferimenti bibliografici


Introduzione

Come tutte le categorie culturali di questi tempi, anche quella del documentario animato tende a sfuggire a ogni denotazione vincolante. Ricostruzioni storiche, episodi autobiografici, testimonianze visualizzate artificialmente, interpretazioni grafiche della realtà, visioni del reale dalla soggettività fortemente ostentata: tutto vi rientra e tutto rimanda alla domanda a monte, ovvero che cosa è oggi il documentario? Riprendere la realtà così com’è? Interpretarla? Darne una visione a più facce o piuttosto di parte? E la finzione e l’invenzione quanta parte possono avere? Da Robert J. Flaherty a Michael Moore passando per Dziga Vertov e Chris Marker, la storia del documentario è lunga, complessa e articolata. Non male per un cinema che popolarmente viene considerato il più oggettivo e definito. Le domande restano aperte, per fortuna, segno di vitalità, e si complicano o – se preferiamo – si aprono ulteriormente con il crescente ricorso alle tecniche e ai linguaggi propri del cinema d’animazione. Accettato ormai che tutto il cinema è «animazione» di singoli fotogrammi in sequenza, siano essi fotografie/fotogrammi dal vero, disegni, elaborazioni elettronico-digitali, pellicola nera graffiata e così via, ne consegue che si può documentare la realtà con qualsiasi tecnica cinematografica. Non è poi quella grande novità se già nel 1918 con The Sinking of the Lusitania il talentuoso Winsor McCay, noto autore del fumetto Little Nemo in Slumberland (1905-’14) nonché animatore pioniere con la dinosaura Gertie, portava sullo schermo la non filmata tragedia dell’affondamento del transatlantico inglese da parte di un sommergibile tedesco tre anni prima. Poggiandosi su fatti ricostruiti con dati alla mano, McCay documentò di fatto l’accadimento bellicoso che provocò un migliaio di morti utilizzando il disegno animato, per altro raffinato per sti-


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le e poeticità, quanto incisivo e inequivocabile per potere informativo. Curiosamente, novant’anni dopo un’altra vicenda dai contorni affini è chiamata ad affermare la forma del documentario animato anche in Italia, con Medusa. Storie di uomini sul fondo di Fredo Valla. Sia come sia, la nozione di documentario animato è definitivamente acquisita negli ambiti culturalmente scelti, accademici o festivalieri, in quelli produttivi televisivi e cinematografici – caso più eclatante è l’affermazione nella competizione ufficiale al 61° Festival di Cannes del 2008 e ai botteghini francesi del lungometraggio israeliaIn alto: Winsor McCay, The Sinking of the Lusitania. Sotto: Ari Folman, Valzer con Bashir. © Sony Pictures no Valzer con Bashir di Ari Classics. Folman – e nel pubblico popolare. Ulteriore supporto nel consolidamento del documentario animato come forma stabilita di cinema, il film di Folman affronta il delicato e tragico argomento della guerra in Libano del 1982. L’attenzione del regista israeliano è centrata principalmente, attraverso ricerche e interviste registrate, sulla perdita di memoria dei soldati israeliani riguardo al massacro di Sabra e Chatila. Valzer con Bashir è la dimostrazione, al di là delle valutazioni in merito al film, di come questa forma espressiva ibrida stia entrando (o sia già entrata) nella sfera dell’accettazione generale in quanto mezzo di documentazione del contemporaneo. Non limitandosi a narrare o inventare storie, ma effettivamente documentando mediante l’utilizzo di ma-


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teriale autentico, ricostruzione di fatti e prove di quanto viene esposto. La peculiare alchimia fra documentario e animazione ha goduto negli ultimi anni di una particolare attenzione all’ultra- Dennis Tupicoff, Chainsaw. © 2007 Jungle Pictures Pty Ltd. cinquantenne festival internazionale del cinema documentario e d’animazione di Lipsia. Il DOK Leipzig, che, con il primo curatore della sezione animazione Otto Alder, ha accolto dal 1995 il cinema d’animazione, si segnala da subito come vetrina-laboratorio privilegiata per l’animadoc. Con una sezione ad hoc presenta annualmente, appunto dal ’95, una selezione di quanto di meglio si possa configurare nel genere. Sono passate da lì opere fondamentali di animazione della realtà, quali il britannico A is for Autism di Tim Webb, A Conversation with Haris della statunitense Sheila Sofian o il pluripremiato canadese Ryan di Chris Landreth. Nel 2005 il festival tedesco ha voluto fare il punto sullo stato dell’arte in questione con un programma speciale in quattro parti e la tavola rotonda allargata «Animadoc—More than just reality?» con la partecipazione dei registi Webb, Sofian e l’australiano Dennis Tupicoff, il cui film Chainsaw è un geniale ordito docu-fiction con spiazzanti quanto affascinanti presupposti didattici e umoristici. In 24’ coniuga e visualizza con precisione le emozioni di un boscaiolo tradito con il funzionamento pratico della motosega con la vita dei cowboy e dei toreri, con senso d’umorismo pervasivo. A domanda, l’altissimo filmmaker definisce l’animated documentary come qualcosa che «riguarda gli eventi reali presentati in animazione, inquadratura per inquadratura», ma con un’ombra di divertito dubbio sulla bocca. Perché animare la realtà o fare animazione allo scopo di documentare? «Mi sento più felice con un approccio documentaristico», confessa


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Tim Webb, A is for Autism. © Fine Take Productions / Channel 4 Television Corporation.

con semplicità il docente del Royal College of Art nonché regista Tim Webb. L’ex apprendista odontotecnico, diplomatosi poi in Cinema d’animazione al Surrey Institute, lavora nei film dal 1986 e la sua carriera sintetizza esemplarmente la politica produttiva di Channel 4, che fra i primi ha promosso a livelli significativi molte realizzazioni di animated docs. Intrecciando ragioni educative, ricerca di linguaggi nuovi, necessità di trovare soluzioni visive per materiali autentici – interviste, documenti, volti – non sempre mostrabili in quanto tali, il canale televisivo britannico dà il via con A is for Autism a una stagione di programmi sulle disabilità. Questo cortometraggio di 11’ si sviluppa su disegni di bambini autistici combinati con interviste che ci fanno entrare un po’ nella loro percezione del mondo. «La realtà emerge dalla voce e quindi dalle parole» – spiega Webb – «e la soluzione animata può dare il necessario anonimato che certi casi richiedono».1 Le motivazioni che portano alla scelta di documentare con l’animazione sono quindi varie, da istanze di funzionalità a ragioni estetiche: 1 Le frasi di Webb sono state raccolte direttamente dall’autore presente alla citata tavola rotonda «Animadoc—More than just reality?».


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l’assenza parziale o totale di materiale visivo autentico (è il caso del tedesco Hit the Floor di Kays Khalil sull’omicidio da parte della polizia londinese del giovane brasiliano Jean Menezes), la necessità di nascondere o mimetizzare parte delle riprese dal vero (come nel caso franco John Canemaker, The Moon and the Son: An Imagined Cone divertente delle quattro versation. © John Canemaker Productions. «prime volte» sessuali dello svedese Never Like the First Time di Jonas Odell). Ma le ragioni che portano un documentarista a usare l’animazione e a un animatore ad assumere la modalità documentaristica sono davvero varie. Anche per rivedere con creativo distacco il rapporto con i propri padri (The Moon and the Son dell’italoamericano John Canemaker o i più recenti Father dell’australiano Sebastian Danta e Armando e la Politica dell’italiana in Francia Chiara Malta) o la propria città, come nel rigoroso eppur goliardico Zlin Soup del ceco Akile Nazli Kaya. L’obiettivo principale di questo libro non è tanto quello di affermare l’esistenza del documentario animato e di consacrarlo come genere consolidato – aspetti a mio avviso superati dai tempi e da pratiche produttive e fruitive ormai stabilite – quanto quello di esplorare meglio le motivazioni che portano a scegliere il cinema d’animazione per documentare la realtà. M’interessa capire più in profondità le logiche, non necessariamente uniche né unitarie, che determinano tali scelte espressive piuttosto che il ricorso alle più canoniche immagini dal vero nell’atto di documentare la realtà. Ho cercato inoltre di capire meglio il tipo di percezione che ha lo spettatore del documentario animato, in che modo il ricorso a tecniche e linguaggi propri del cinema d’animazione aggiunge conoscenza, informazione, emozionalità all’atto di fruizione. E ancora, ho cercato di comprendere meglio quanto le modalità di per-


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cezione e l’approccio dello spettatore di documentari animati siano simili o diversi rispetto alla visione di documentari girati dal vero. In questo ho teso ad avere più un approccio investigativo sul campo, partendo da esempi significativi di documentari animati, visti il più possibile in contesti di fruizione collettiva (su grande schermo nei teatri di festival con pubblico presente), stabilendo quando possibile un contatto diretto con i realizzatori e dialogando con loro sulle loro motivazioni e le loro scelte. Si tratta quindi più di un’indagine diretta su oggetti e fatti che descrivono il fenomeno del documentario animato nella sua affermazione ed evoluzione ancora in atto, che non di un trattato teorico atto a definire, delineare, collocare nella storia e geografia del cinema il documentario animato. Semplificando, c’interessano qui soprattutto motivazioni ed effetti legati al documentario animato, e da qui scaturisce la scelta di strutturare tale lavoro per case studies, ‘studi di caso’, cioè esempi esaminati in profondità. Ho iniziato questo percorso, che porta a una maggiore comprensione e accettazione del documentario animato come genere attuale, riguardando di traverso il cinema sin dalle sue origini. Nel Capitolo I quindi propongo spunti e riflessioni, esempi e resoconti che spero facilitino un rimescolamento di carte fra categorie spesso ritenute inconciliabili, quali la ripresa dal vero e il cinema manipolato, il vero e il falso, la tecnica analogica e quella digitale, l’animazione e il documentario. Cercando di cogliere i segnali provenienti da festival, convegni, ma soprattutto dalle opere stesse che, per la loro stessa esistenza, problematizzano la cognizione di immagine sequenziale in movimento, si perviene al documentario animato come genere cinematografico in sintonia con questi tempi sfuocati e relativi. Preso atto quindi che il documentario animato esiste ed è in crescente sviluppo, nel Capitolo II guardo da vicino alcuni esempi, allo scopo principale di trovare le motivazioni che portano un documentarista a optare per l’animazione piuttosto che per la più tradizionale ripresa dal vero. Una di queste ragioni è sicuramente quella di trovare un nuovo punto d’incontro fra documentazione «oggettiva» della realtà e l’espressione di una o più soggettività, di diversi punti di vista e sensibilità, sia dell’autore che dei protagonisti.


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Un altro motivo per documentare la realtà con l’animazione, come dichiarato da più registi nelle interviste e affermazioni riportate in questo volume, è quello di aderire a una forma di onestà espressiva. L’ostentazione della manipolazione delle immagini, dell’artificio, della ricostruzione della realtà mediante immagini disegnate a mano o generate col computer diventa un atto di verità per molti realizzatori. Come vedremo nel Capitolo III, dove prendo in esame alcuni film animati e anche fumetti non-fiction, l’esposizione totale dell’intervento dell’autore avviene in modo esplicito mediante il ricorso stesso al disegno. Se si può spacciare una ripresa dal vero o una fotografia come prova oggettiva di realtà – e quanti falsi sono passati per buoni nella storia! – il disegno (inteso come elaborazione grafica) del film animato come del fumetto mette in chiaro da subito che abbiamo di fronte l’interpretazione dell’autore. Le motivazioni che inducono un regista a documentare la realtà mediante i linguaggi dell’animazione sono dunque molteplici e concorrono spesso insieme nelle scelte del realizzatore. Prendendo in esame alcuni autori e film emblematici e rilevanti del documentario animato internazionale, cerco di analizzare in modo più approfondito nei Capitoli IV e V – quest’ultimo dedicato a due registi italiani – l’articolazione dei vari elementi costitutivi delle opere e degli approcci con cui sono state realizzate. Da queste analisi dei testi filmici proposti, integrate dalle interviste che ho condotto con alcuni degli autori studiati e riportati nell’Appendice, ho desunto le motivazioni che stanno alla base del documentario animato. Allo scopo di rendere queste motivazioni più chiare, ma anche più confrontabili fra un autore e l’altro (perché se è vero che possiamo riscontrare delle costanti fra un’opera e l’altra, non necessariamente ogni regista ha tutte le stesse motivazioni di un altro per scegliere di documentare con l’animazione), in più di un caso ho riassunto alla fine con dei punti sintetici. La ripetizione di molti di questi punti conferma quindi, seppur con delle diversità, comuni tendenze e necessità espressive fra gli anima-documentaristi. Questo libro, che al momento in cui chiudo queste pagine mi risulta essere fra i primi al mondo interamente dedicato al documentario animato, si rivolge a tutti coloro che vogliono entrare in un terreno nuovo e ancora poco esplorato delle immagini cinematografiche e video. Il do-


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Sheila M. Sofian, A Conversation with Haris. © Sheila M. Sofian.

cumentario animato è un genere in espansione, sia per produzione che per fruizione. Si diffonde gradualmente, attraversando ogni tipo di dispositivo, nei festival come per internet, nei telegiornali e nei cinema. È una tendenza in atto apprezzata da un pubblico crescente. è un genere nuovo in via di consolidamento; e studi e articoli al riguardo sono destinati a proliferare. Gli studiosi e gli appassionati di linguaggi visivi, di cinema d’animazione o dal vero, di documentari, di mass media e tutti coloro che hanno curiosità per quanto di nuovo si muove nella società, spero che trovino in questo lavoro adeguati stimoli e informazioni per conoscere e capire meglio il documentario animato.


II. Documentazione oggettiva e soggettiva del contemporaneo con i film animati

Che fare in presenza di materiale autentico, quale una vecchia registrazione audio, ma in assenza di un filmato in presa diretta, che si vuole rendere come documentario visivo per completezza d’informazione? Cerchiamo qui di affrontare la ricostruzione e la creazione in modi più o meno veritieri, secondo i fini e la sensibilità del documentarista. Nell’epoca delle creazioni iperrealistiche di immagini virtuali, il disegnare o generare artificialmente le immagini, e persino manifestare una propria interpretazione soggettiva di una questione contemporanea reale, potrebbe essere considerato un atto quasi meno adulterante rispetto alla ripresa di sequenze dal vero con attori in carne e ossa atte a «interpretare» e «restituire» l’idea di ciò che debba essere accaduto nella realtà che il documentario desidera raccontare. Da questo punto di vista mi concentro qui soprattutto sui motivi che possono indurre un regista a ricorrere alle tecniche e ai linguaggi del cinema d’animazione per documentare eventi realmente accaduti. Prenderò quindi in considerazione qualche caso esemplare di documentario animato. Un laboratorio sperimentale in questo senso, come abbiamo visto, è rappresentato da DOK Leipzig, il festival tedesco di film documentari e d’animazione. «Film non facilmente catalogabili sono presentati a Lipsia proprio per questa ragione: storie vere combinate con tecniche di animazione; la realtà non sta solo dove ci aspettiamo che ci sia, e può avere molti volti differenti». Così affermava Jacqueline Zeitz, già curatrice della sezione «AnimaDoc», che presenta «documentari animati», definiti come «nuovi cortometraggi con contenuti decisamente documentaristici». Scrive:


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Le opere presentate richiedono al pubblico di abbandonare le prevalenti percezioni estetiche del film documentario e di quello animato. Se ci riescono, gli spettatori percepiranno una realtà immaginativa e illusoria: una realtà di disegni, pupazzi, o figure animate al computer in 3D e altri personaggi da film animato. Sono i protagonisti dei mondi immaginari di autori e delle loro rispettive realtà. AnimaDoc è un viaggio verso il confine immaginativo fra il genere documentaristico e la finzione. Un viaggio eccitante per un nuovo terreno estetico.

Sede naturale per l’incontro fra due forme apparentemente contrastanti del cinema, dal 1997 questo festival di Lipsia presenta per l’appunto il programma «AnimaDoc», che accende il riflettore sui film che combinano l’animazione al documentario, nella fattispecie proiettando una selezione significativa di soggetti documentaristici che usano l’animazione. È stata finora una vetrina interessante che ha dimostrato in vari modi come anche i documentari ripresi dal vero fanno sempre più ricorso a una ricostruzione concepita, immaginata, visualizzata, soggettiva mirata a una resa della realtà più articolata e complessa. A questo scopo le tecniche del cinema d’animazione, e anche della docufiction, sono state incorporate per evidenziare quel lato della realtà che appartiene alle sfere dell’emozione, della spiritualità, dei sogni. Esemplare in questo senso, in mezzo a un numero crescente nel dominio del documentario «tradizionale», è il film finlandese Travelling1, di Markku Lehmuskallio e Anastasia Lapsui. Sulla linea di confine fra documentario e finzione, il film porta lo spettatore in un viaggio mitico nella terra della popolazione Nenet. Alla fotografia in bianco e nero è affidato il resoconto della vita materiale, mentre viene usata l’animazione a colori per il lato spirituale e magico della sfera sensoriale. Con parole rarefatte, fatta salva l’affabulazione di Anastasia sulla dea madre e sui riti in via d’estinzione, penetriamo la silenziosa concretezza degli allevatori di renne, fra adattamento alla natura selvaggia e suo addomesticamento. Marcel Jean, autore, produttore e docente di cinema d’animazione all’Università di Montréal, ha presentato una ampia retrospettiva sugli 1

Travelling, di Markku Lehmuskallio e Anastasia Lapsui, 78’, Finlandia 2007.


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«ibridi» dal 1910 al presente al festival del film d’animazione di Annecy nel 2006. Sostiene Jean: «Mentre nella storia del cinema i confini (tecnici) di quanto è mostrabile si espandono costantemente, l’era digitale apre a nuove domande riguardanti la diffe- Markku Lehmuskallio – Anastasia Lapsui, Travelling. © Markku renziazione fra reale e Lehmuskallio / Giron Filmi Oy. film d’animazione». E si chiede: «Sono ancora pertinenti categorie quali “film vero” e “animazione”?». I suoi studi si sono concentrati quindi sulle possibilità, i limiti e le conseguenze delle combinazioni reale/animazione. Nel dibattito When Animation Meets the Living, Marcel Jean discute le crescenti somiglianze fra cinema dal vero e animazione: «Per quanto tempo potremo classificare correttamente i film secondo una tipologia superata che separa l’animazione dalla ripresa dal vero o il documentario dalla finzione?».2 Nel sottolineare il crescente numero di documentari che collegano il vivente all’animazione e in cui le immagini animate sono miscelate con vere registrazioni sonore, come si vede in Ryan di Chris Landreth, Jean dice: «questa separazione immagine/suono e la possibilità di modificare le fotografie rendono sempre più difficile fidarsi della capacità delle immagini di ricreare la realtà».3 Ha argomentato tali punti anche all’Interfilm Berlin del 2006 in una tavola rotonda, coordinata dalla già menzionata Annegret Richter e intitolata On the Edge: Reality Meets Animation, concentrando l’attenzione sulle tecniche filmiche in cui del girato dal vero è combinato con l’animazione, risultante in potenzia-

2 Marcel Jean, «When Animation Meets the Living», L’Officiel du Festival international du film d’animation, CICA, Annecy, 2006, p. 219. 3 Marcel Jean durante il dibattito citato alla Nota precedente, con Marco de Blois, 7 giugno 2006.


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menti apparentemente infiniti nella comunicazione per immagini e in un ulteriore sviluppo dei contenuti. Infine osserviamo come i recenti bandi dei programmi MEDIA dell’Unione Europea per finanziamenti di progetti richiamano senza equivoco anche la categoria dei documentari animati, a ulteriore dimostrazione di quanto questa forma espressiva ibrida sia ormai accettata come mezzo di documentazione della realtà. Non solo narrazione o invenzione di storie dunque, ma vera documentazione con il ricorso a materiale autentico, ricostruzione di fatti e prove di quanto si presenta. Non è quindi più il caso di discutere della plausibilità dell’utilizzo delle tecniche e dei modi del cinema d’animazione per rappresentare la realtà in modo credibile e autorevole, ma piuttosto di mettere a fuoco le motivazioni specifiche che giustificano e portano alla scelta di documentare il contemporaneo con l’animazione. Ne suggerisco qui un arco che va da istanze di funzionalità a ragioni estetiche: • l’assenza parziale o totale di materiale visivo autentico, reperti filmati, immagini direttamente connesse con i fatti riportati; • la necessità di integrare o completare materiale ritenuto parziale in modo da visualizzare in forma convincente ciò che si sa ma non si può mostrare; • la necessità di nascondere o mimetizzare parte delle riprese dal vero, nella fattispecie di interviste a persone in posizioni «delicate»; • la volontà di manifestare apertamente la soggettività del narratore, sia essa di natura politica, critica, ironica, artistica, psicologica o altra; per imprimere un punto di vista particolare; • la volontà di veicolare un impatto emozionale particolare, non per forza strettamente connesso ai puri fatti documentati; • la volontà di dare all’opera anche una determinata impronta artistica, stilistica, espressiva. Senza la presunzione di aver coperto tutte le possibili motivazioni che possono indurre a ricorrere all’animazione piuttosto che alle riprese dal vero nel realizzare un documentario, ho trovato corrispondenza fra i documentari animati esaminati e una o più delle motivazioni succitate. Sotto questa luce diamo ora un breve sguardo ad alcuni casi significativi.



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