Kawaii Art

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(Milano 1982) si è laureata in Grafica d’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Brera con una tesi sull’arte contemporanea giapponese. Ha lavorato con diversi editori italiani di fumetti e attualmente collabora con la casa editrice J-Pop, per la quale si occupa dell’adattamento grafico e dell’editing dei testi di diverse serie di manga giapponesi e manhwa coreani, lavorando anche su autori come il gruppo Clamp, Sahara Mizu e Naked Ape. È tra i fondatori dei siti/blog Dobtown.com e Lovedob.com. Oltre a Kawaii Art, Tunué ha pubblicato anche un suo altro lavoro, Gothic Lolita, sempre nella collana «Frizzz».

ISBN 978-88-89613-97-9

9 788889 613979

KAWAII ART . Valentina Testa

Valentina Testa

Il kawaii – con fiocchi, pizzi, merletti, gadget dal sapore infantile, manga e anime – e´ una maschera che nasconde il malessere e il nichilismo della gioventu ´ giapponese contemporanea ´ della quale per una societa non si sentono parte, preferendo evadere in un mondo effimero, molto piu ´ puro e virginale, ´ custodire dove si puo un frammento di fanciullezza.

©Tunué | tunue.com

Euro 9,70

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Valentina Testa

KAWAII ART

Fiori, colori, palloncini (e manga) nel Neo Pop giapponese



Nella stessa collana:

1. Sergio Messina . Real Sex

Il porno alternativo è il nuovo rock’n’roll

2. Giorgia Caterini . Japan Horror

Il cinema dell’orrore giapponese

4. Valentina Testa . Gothic Lolita

La nuova moda delle ragazze giapponesi conquista il mondo


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Fiori, colori, palloncini (e manga) nel Neo Pop giapponese



Indice

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Introduzione. Una goccia rosa nel mare del kawaii

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1. La nascita del kawaii e la sua influenza nella società giapponese

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2. Il kawaii nei manga e nelle forme d’arte contemporanee

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3. Takashi Murakami: tra kawaii e otaku. Il manifesto di Superflat

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4. Gli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

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5. Il kawaii incontra la moda GothLolita: l’arte di Tomoko Sawada

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6. Mariko Mori: kawaii, buddismo e tecnologia

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Conclusioni, riferimenti bibliografici e su internet



Alla mia famiglia e alle persone che credono nel mio lavoro, che mi aiutano e mi sostengono



Introduzione Una goccia rosa nel mare del kawaii In quel periodo… avevo una quantità infinita di desideri. Nient’altro che desideri… Ai Yazawa, Nana

Anime La mia generazione è cresciuta con gli anime, cioè i disegni animati giapponesi. Ogni giorno, tornata da scuola, come tutti i bambini della mia età, aspettavo con ansia l’inizio dei «cartoni» alle quattro del pomeriggio. Mimì e la Nazionale di pallavolo, Lady Oscar, Occhi di Gatto e innumerevoli classici dell’animazione nipponica anni Settanta e Ottanta che hanno fatto la storia e che hanno incantato intere generazioni di bambini e adolescenti, e che ancora oggi continuano ad affascinare per il loro stile inconfondibile. Credo che da questo sia iniziata la mia passione per il Giappone, la sua cultura, le sue tradizioni e le sue innumerevoli e affascinanti contraddizioni. Ormai sapevo bene…che non bastava esprimere un desiderio perché questo si avverasse. Eppure ero convinta che se anche uno solo dei miei sogni si fosse realizzato… avrei finalmente trovato la felicità. Ai Yazawa, Nana

Kawaii Per la maggior parte degli occidentali, il popolo giapponese appare come gente grottesca, bizzarra e con abitudini e stile di vita incomprensibili.


_Valentina Testa, Baby the Stars Shine Bright I, 2007. Š Valentina Testa.

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_Valentina Testa, Baby the Stars Shine Bright II, 2007. Š Valentina Testa.

Introduzione

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Questo libretto su una corrente dell’arte contemporanea giapponese vorrebbe essere un modo per far conoscere qualcosa di quella popolazione così discussa e che appare tanto complessa ai nostri occhi. Il concetto di kawaii è il filo che unisce questo volumetto, che parte con una piccola panoramica sulla società attuale giapponese, accenna poi all’arte dei manga (i fumetti nipponici) per poi addentrarsi nel mondo di dieci artisti che stanno facendo del kawaii una vera forma d’arte o, forse, stanno utilizzando questo concetto come tramite e simbolo per la loro produzione artistica e i pensieri che vogliono esprimere. Questo volumetto non ha la pretesa di illustrare l’arte orientale nella sua totalità ma vuole mostrare, attraverso una sfumatura underground della comunicazione artistica, sensazioni, disagi e preoccupazioni della generazione attuale di un paese dalle rigide imposizioni sociali e dai complessi rapporti di carattere umano e personale.

Le citazioni sparse per il libro e individuate come «Ai Yazawa, Nana» sono tutte tratte dal manga Nana di Ai Yazawa, nell’edizione italiana Nana Collection della Panini. Nell’ultimo decennio Ai Yazawa è divenuta una delle autrici più amate dal pubblico giapponese ed è molto apprezzata anche in Italia, dove i suoi lavori hanno contribuito a dimostrare la validità degli shôjo manga (manga per ragazze e giovani donne) e ad accrescerne il successo. Nana è il manga più recente di Ai Yazawa, la serie è ancora in corso ed è uno degli shôjo più venduti sia in Giappone che in Italia. Racconta la storia di due ragazze con lo stesso nome, Nana, con la stessa età, vent’anni, ma con personalità e aspirazioni molto diverse. Quando si trasferiscono a Tokyo ha inizio una nuova vita per entrambe…

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_Valentina Testa, Baby the Stars Shine Bright III, 2007. Š Valentina Testa.


Sai, Nana… Veder realizzati i propri sogni ed essere felici… Sono due cose completamente diverse. Questa contraddizione mi è ancora incomprensibile… Ai Yazawa, Nana

Baby the Stars Shine Bright Le Harajuku Girls, una sottocultura giovanile nata a Tokyo, nascono e si esibiscono sul ponte che divide lo Yoyoji Park dalla pendolare Takeshita Dori nel quartiere di Harajuku. Sono «Lolite» che stravolgono il concetto di bellezza tradizionale giapponese abbracciando un concetto avanguardistico che va oltre il comune concetto di moda: uniscono elementi folkloristici nipponici ad accessori presi in prestito alla cultura underground contemporanea, che mostra e ostenta riferimenti che vanno dalla dimensione manga a Hello Kitty. La mia invece è una Lolita decontestualizzata, che non è nata ad Harajuku, bensì a 9721 chilometri di distanza. Non può essere ritratta insieme agli Abitanti del Ponte, non può esibire la sua sensualità apparentemente innocente che vuole il suo corpo avvolto da abiti ornati di pizzi vittoriani, dal gusto leggermente Rococò, accompagnati da calze bordate di merletti, fiocchi nei capelli, coroncine o adorabili orecchiette da gatto. La mia è una Lolita occidentale, una ragazza che nasconde la propria persona sostituendola a un personaggio che può essere considerato un’opera d’arte e che vorrebbe colmare il divario tra la staticità dell’arte visiva e la mobilità della performance. Baby the Stars Shine Bright, una marca prestigiosa di abiti Lolita, che oltre a vendere vestitini di trine e decorazioni rosa, offre anche l’illusione ereditata dai manga anni Settanta e Ottanta di avere uno scrigno magico che permette di trasformarsi, di cambiare aspetto e personalità, di mutare 14

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il proprio essere, temporaneamente e sempre per gioco, per evadere da una realtà forse troppo dura per un cuore che sogna di vivere in Francia all’epoca del Rococò. Baby the Stars Shine Bright è il sogno di una Lolita occidentale, nata a 9721 chilometri dalla sua casa… che guardando le stelle pensa che tutto sommato, almeno quelle, sono le stesse stelle che brillano nel cielo di Tokyo.

Introduzione

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l vocabolo kawaii, una delle parole più ricorrenti nel lessico dei giovani giapponesi, deriva dal termine kawayushi, apparso per la prima volta nei dizionari nipponici dopo la Seconda guerra mondiale e tramutato negli anni Settanta in kawayui. kawaii è una parola dal significato difficilmente traducibile: in italiano si potrebbe esprimere con «carino». Kawaii è tutto ciò che finisce in «ino», che è infantile, asessuato, dolce, indifeso, che è oggetto di coccole: i personaggi dei fumetti, gli animaletti, i Puffi, le bambole, Mickey Mouse, i cuoricini. [Alessandro Gomarasca – Luca Valtorta, Sol Mutante. Mode, giovani e umori nel Giappone contemporaneo, Genova, Costa & Nolan, 1996, p. 37]

Questo fenomeno, spesso considerato in maniera erronea solo come il prodotto di una società consumistica, è in realtà una vera e propria cultura, uno stile di vita che racchiude parole, atteggiamenti, abbigliamento e addirittura un nuovo stile di scrittura. La studiosa inglese Sharon Kinsella sostiene che la nascita del termine moderno kawaii coinciderebbe proprio con la nascita e la rapida diffusione, negli anni Settanta, di un nuovo tipo di scrittura adottato da quelle che vengono definite shôjo, ovvero ragazze adolescenti e presto divenuto di utilizzo comune (cfr. Gabriele Rossetti, Japan Underground, Roma, Castelvecchi, 2006, p. 60). Si stima che, nel 1985, circa cinque milioni di giovani utilizzassero questa nuova scrittura dai caratteri infantili e tondeggianti, adornata di stelline, cuoricini e faccine, che si differenzia dalla scrittura tradizionale anche per la direzione, non più verticale ma orizzontale. Il kawaii, dunque, ha origine nella tradizione estetica giapponese rivisitata in chiave contemporanea. Da questo concetto nascono oggetti e accessori di usanza comune reinterpretati seguendo questa nuova iconografia.

1. La nascita del kawaii e la sua influenza nella società giapponese

I


Fu la Sanrio, società giapponese fondata nel 1960 da Shintarô Tsuji e conosciuta in tutto il mondo per le sue creazioni, nel 1971 a proporre per la prima volta sul mercato oggetti di design dai caratteri kawaii, esponendo immagini di eroi dei manga e degli anime (rispettivamente, i fumetti e i disegni animati nipponici) su ogni articolo, abito e prodotto, a partire da semplici borsette per arrivare a profilattici e giocattoli erotici raffiguranti Hello Kitty, il personaggio più famoso della famiglia Sanrio: una buffa gattina bianca dai caratteri minimali, con un fiocco rosso sull’orecchio sinistro, piccoli occhi e naso neri, a cui manca la bocca. Oggi il kawaii in Giappone è presente ovunque, non è più destinato solo alle shôjo. Basti pensare che la compagnia aerea All Nippon Airways negli anni scorsi ha speso circa un milione di euro per decorare tre suoi Boeing 747 con i protagonisti di Pokémon, o alla Eva Air che, in collaborazione con la Sanrio, nel 2005 ha convertito alcuni dei suoi aerei in veri santuari di Hello Kitty con tovagliette a tema, sacchetti per il mal d’aria firmati e assistenti di volo con grembiulini rosa con il musetto della gattina (Http:// spotx.blogosfere.it/2007/02/un-aereo-griffato-hello-kitty.html); o che ormai abitualmente i cartelli e i segnali d’avviso per strada, nelle stazioni e nei negozi riportano le scritte accompagnate da simpatici personaggi disegnati in stile manga. Una volta una giapponese mi disse che, se l’Italia era il Paese del bello, allora il Giappone era il Paese del kawaii: immagini e idee caratterizzate da una sensibilità tenera, infantile, che per alcuni sono nel contempo strumenti di protesta sociale. [Ibidem]

Il sociologo Tetsuo Sakurai, nel suo testo Giovani che hanno perso la parola, ricostruisce e delinea la nuova figura del giovane giapponese e attribuisce il successo di questa tendenza al forte richiamo all’infanzia che lo caratterizza (ibid.). 18

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_Ragazza e bambina vestite con abiti e accessori kawaii. Š Shoichi Aoki e ulteriori aventi diritto.


_Paris Hilton e Jack Osbourne alla sfilata di Heatherette, Aprile 2003, Los Angeles. © Jennifer Graylock / jpstudios.com.

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È noto come sia severo il sistema educativo giapponese: quando un bambino inizia la scuola, la spensieratezza dei primi anni dell’infanzia, dove tutto veniva concesso, è solo un ricordo. La nostalgia per quel breve periodo di serenità porta alla ricerca di quell’indulgenza anche in età adulta, così accade che i giapponesi siano attratti più dal carattere infantile degli oggetti che dagli oggetti stessi, quindi si può facilmente intuire che dietro gonne di pizzo e cuffiette rosa si celi un profondo senso di malessere nell’esistenza del presente, in favore di un ritorno all’età della leggerezza. Sakurai nel suo testo indica una data precisa per iniziare la sua analisi sui giovani giapponesi: il 1977, l’anno dei suicidi giovanili. Se ne contarono 784. A fare scalpore non fu tanto il numero di suicidi ma la giovane età delle vittime, quasi tutti delle scuole elementari. Kawaii Art


_ Hello Kitty e la sua evoluzione grafica dal 1974 a oggi. Hello Kitty Š Sanrio Co. Ltd.


_Giocattolo erotico di Hello Kitty per ragazze. Hello Kitty © Sanrio Co. Ltd.

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«Ieri ho avuto un incontro con bambini del primo anno delle scuole elementari. Si è discusso sul tema “Diventare grandi”. Eccone uno stralcio: - Tutti volete diventare grandi in fretta? – “No, io no”; “Neanch’io. Vorrei rimanere così, sempre in prima” – Perché? – “Perché quando si va in seconda bisogna studiare di più”; “Quando si diventa grandi ci si diverte poco, è brutto”; “Perché adesso posso stare senza lavorare” – Allora la cosa migliore è rimanere bambini di prima elementare? – “No, la cosa migliore è l’asilo”; “Per me la cosa migliore era quando stavo nella pancia della mamma. Non facevo niente e c’era un sacco di roba da mangiare” – Sì, ma che lo vogliate o no alla fine tutti si diventa grandi. Si può forse non diventare grandi? – “… Si può. Ci si può suicidare. Perché in cielo non si diventa grandi”» Dal quotidiano Kawaii Art


giapponese Asahi Shinbun. [«Perché i bambini si suicidano», Asahi Shinbun, 1977, cit. in A. Gomarasca – L. Valtorta, op. cit., p. 78]

Il Dizionario multinformativo Imidas, pubblicazione annuale a carattere enciclopedico, collega alla cultura kawaii alcune patologie riportate alla voce Salute mentale. «Sindrome di Peter Pan» o «Complesso di Cenerentola», che chiaramente rappresentano un atteggiamento di chiusura rispetto alla realtà della crescita, fino ad arrivare all’anoressia e disturbi dell’identità sessuale come il «Complesso di Lolita» (per i giapponesi lolicom o rorikon), che vede i giovani incapaci di rapportarsi alle ragazze della loro stessa età e che finiscono per mostrare una forte attrazione per le bambine più piccole (Joho chishiki – Imidas 1987 [‘Informazione e conoscenza – Dizionario innovativo della

_Pikachû, protagonista della serie Pokémon. © Nintendo / Shôgakukan.

_Boeing 747 della All Nippon Airways decorato con le immagini di Pokémon. © Nintendo / Shôgakukan / All Nippon Airways.

La nascita del kawaii e la sua influenza nella società giapponese

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_Ragazze vestite con abiti e accessori kawaii. Š Shoichi Aoki e ulteriori aventi diritto.


multinformazione, serie annuale 1987’], Tokyo, Shûeisha, 1986, pp. 28192; Joho chishiki – Imidas 1988, Tokyo, Shûeisha, 1987, pp. 304-13; Joho chishiki – Imidas 1989, Tokyo, Shûeisha, 1988, pp. 296-305; c’è anche una pubblicazione analoga: «Asahi» gendai yoo go. Chiezo – 1990 [‘Il dizionario ‹Asahi› del presente. Il sapere in tasca 1990’], Tokyo, Asahi, 1989, pp. 18793; tutti citt. in Alessandro Gomarasca – Luca Valtorta, op. cit., p. 78). Da tutto questo si può evincere il motivo per cui questo mondo trovi il suo centro nella venerazione degli/delle aidoru (idoli giovanili, dal termine inglese idol) e negli shôjo manga, i fumetti per ragazze. Un aidoru è un ragazzo o una ragazza dai quattordici ai diciassette anni, senza particolari talenti, che non lancia messaggi di particolare spessore o interesse, e che viene esposto ai media in ogni dettaglio della sua vita. Gli aidoru cantano senza saper cantare e ballano senza saper ballare, pubblicizzano ogni tipo di prodotto e qualsiasi dato della loro vita fa parte dello spettacolo televisivo. Sono semplicemente delle meteore che, raggiunti i vent’anni e la maturità fisica, vengono scartati perché adulti, quindi non più «vendibili». Un caso che ha fatto scalpore è quello di Yui Haga, un idolo virtuale: Yui Haga è un fantasma fatto di corpi e voci differenti. Ai concerti la sua faccia è oscurata e la sua voce è preregistrata. In televisione viene raffigurata come un cartone animato, una graziosa ragazzina con gli occhi da cerbiatta. A un party per il lancio di un libro fotografico pubblicato di recente, c’erano tre ragazze al tavolo degli autografi. I fan potevano avere la firma di quella delle tre che più corrispondesse alla loro interpretazione di Haga-chan. Tutti sanno che Yui Haga non esiste. Perciò può essere qualsiasi cosa per qualsiasi persona. [Karl Taro Greenfeld, Speed Tribes. Children of the Japanese Bubble, London, Boxtree, 1994, p. 232, cit. in A. Gomarasca – L. Valtorta, op. cit., p. 82]

Così come gli aidoru, anche le adolescenti comuni tendono ad assumere un atteggiamento infantile, senza rinunciare a una punta di malizia. La nascita del kawaii e la sua influenza nella società giapponese

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Magliette oversize che nascondono biancheria intima sexy o abiti fino al ginocchio di pizzi e merletti indossati con un tocco di impertinenza: tutto ciò che i giapponesi chiamano burikko. Sono le stesse ragazze che leggono shôjo manga, tipica prova del Complesso di Cenerentola. Giorgio Amitrano, il traduttore italiano della celebre scrittrice Banana Yoshimoto, nella postfazione di Kitchen, romanzo d’esordio dell’autrice, analizza le peculiarità di questo genere di manga, ritenendoli per la maggior parte colmi di storie stereotipate, di amori platonici di giovani fanciulle ricciolute e infiocchettate (tutte rappresentate secondo una fisicità occidentale) che si innamorano di giovani professori, cavalieri e principi senza macchia e senza paura, ma tutti stranamente riluttanti. Nel corso degli anni Settanta, con l’uscita del manga Versailles no Bara (‘La rosa di Versailles’, più comunemente conosciuto in Italia come Lady Oscar), viene introdotto il tema dell’ambiguità sessuale, che è poi stato sempre più calcato e presente nei manga per ragazze. Pian piano le atmosfere trasognate assumono sfumature lievemente sadomasochiste e si moltiplicano le trame che vedono come protagonisti giovani omosessuali, quindi la combinazione dell’amore rappresentato in chiave distruttiva e un’illustrazione sempre più raffinata e particolareggiata sono il risultato di ciò che più attrae le ragazze in Giappone (si veda Giorgio Amitrano, in Banana Yoshimoto, Kitchen, Milano, Feltrinelli, 1991, pp. 137-46). Le eroine nei fumetti popolari femminili sembrano modelle occidentali, con le gambe lunghe e occhi grandi. Spesso appaiono anche più alte delle loro controparti maschili, ritraendo un ideale piuttosto che un’immagine reale. Lo spazio urbano nella città manga è altrettanto dominato dalla giovane donna, a passeggio nel suo abito e trucco perfetto da manga, e le ultime tendenze e accessori vengono esposti nelle vetrine delle boutique di tutta la città. [Atsushi Ueda (a cura di), Electric Geisha. Tra cultura pop e tradizione in Giappone, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 173]

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_Kana, famosa aidoru giapponese. Š Kana, Kajii (foto) e ulteriori aventi diritto.

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Il kawaii con fiocchi, pizzi, merletti, gadget dal sapore infantile, fumetti e disegni animati è quindi una sorta di maschera per la gioventù giapponese contemporanea dietro la quale nascondere un profondo senso di malessere e un nichilismo dovuti a una società forse troppo rigida e frenetica della quale non si sentono parte, preferendo spesso evadere in un mondo effimero, molto lontano dalla realtà, molto più puro e virginale, dove si può custodire un frammento di fanciullezza.

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l kawaii è una vera e propria cultura che trova spazio e accoglimento in una vasta parte della popolazione giapponese, ed è quindi facile comprendere perché da questa «filosofia» nascano varie forme d’espressione che si sviluppano seguendo la dottrina del «piccolo, carino e infantile». Sicuramente i manga fanno parte di queste forme d’espressione, nonostante vengano considerati dai più una forma d’arte minore, in quanto «letteratura usa e getta», materiale di rapido consumo: secondo Frederik L. Shodt, autore di Manga! Manga! The World of Japanese Comics, un manga di 320 pagine può essere letto in venti minuti. Una media di tre secondi e settantacinque centesimi per pagina (cfr. Frederik L. Shodt, Manga! Manga! The World of Japanese Comics, Tokyo, Kôdansha International, 1983, cit. in A. Ueda [a c. di], op. cit., p. 168). Probabilmente è proprio grazie a questo che i manga hanno trovato così largo spazio tra il pubblico nipponico che nei momenti di relax, durante le pause a scuola e sul lavoro, durante gli spostamenti sui mezzi pubblici, ha l’abitudine di svagarsi leggendo volumetti contenenti ogni tipo di racconti, partendo dalle avventure dei robottoni, retaggio degli anni Ottanta, per passare alle storie per soli adulti, fino ad arrivare alla forma più kawaii di manga: gli shôjo manga. Abbiamo visto nel capitolo precedente come Lady Oscar di Riyoko Ikeda, realizzato nel 1974, sia stato il precursore di una serie di shôjo sempre più curati e particolareggiati sia per quello che riguarda la trama, sia per le illustrazioni. Tra le mangaka (autori/autrici di manga) considerate più kawaii troviamo il gruppo di autrici conociute con lo pseudonimo di Clamp. Il loro stile è difficilmente confondibile, i loro personaggi sono sempre curatissimi in ogni dettaglio e le loro ambientazioni presentano sempre elementi fantastici che si vanno a integrare e confondere con am-

2. Il kawaii nei manga e nelle forme d’arte contemporanee

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_Tavola del vol. 1 del manga Card Captor Sakura. © Clamp e ulteriori aventi diritto.

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bienti reali. L’opera più kawaii e più conosciuta del gruppo è senza dubbio Card Captor Sakura, uno shôjo manga che si può classificare nel genere majokko (maghette, come la nota Creamy) in quanto presenta tutte le caratteristiche tipiche: la protagonista, ancora alunna delle elementari, riceve dei poteri magici che le permettono di combattere contro i malvagi, e ha al suo fianco un animaletto fatato, suo inseparabile compagno. Su questa base, dotata dei cliché tipici di uno shôjo, si snoda una trama ricca di colpi di scena e intrecci fra personaggi secondari, che rendono interessante la storia e che l’hanno portata a essere uno dei maggiori successi del gruppo a livello internazionale. Ne è stata realizzata anche una fortunata trasposizione animata, che ha goduto di una forte popolarità anche in Italia. Un’altra mangaka dallo stile kawaii è Koge Donbo, Kawaii Art


_Copertina del vol. 1 del manga Card Captor Sakura. Š Clamp e ulteriori aventi diritto.


_Tavola del vol. 12 del manga Karin Piccola Dea. Š KogeDonbo e ulteriori aventi diritto.

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meno conosciuta in Italia rispetto alle Clamp, forse anche a causa del fatto che gli anime tratti dai suoi manga non sono stati importati nel nostro paese. Il suo stile è molto piÚ semplice se viene messo a paragone con quello delle Clamp, ma si adatta perfettamente alla linea narrativa delle sue storie: meno avventurose, piÚ delicate e concentrate su temi quali amicizia, amore e sogni. Occhioni grandi, volti tondeggianti, acconciature spesso voluminose sono i punti forti di uno stile che alterna disegni precisi e accurati, per poi passare con disinvoltura a immagini incredibilmente semplificate ed grottesche. Nel manga Kamichama Karin (di Koge-Donbo, al secolo Kokoro Koharuno, fumetto conosciuto in Italia come Karin la piccola dea ed edito dalla Play Media Company nel 2004) la protagonista, orfana di genitori, dopo la morKawaii Art


_Copertina del vol. 7 del manga Karin Piccola Dea. Š Koge-Donbo e ulteriori aventi diritto. 33


_Abito per il cosplay di Sailor Moon. © Andrea Santangelo (foto) e ulteriori aventi diritto.

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te del suo gattino e unico amico si ritrova coinvolta in situazioni assurde e pericolose, collegate all’anello magico che porta al dito, considerandolo un semplice ricordo dei genitori. Durante lo sviluppo della storia e l’apparizione di personaggi secondari, la protagonista stringerà nuove amicizie e scoprirà cosa vuol dire essere una dea. Anche in questo majokko manga, scritto per un pubblico che ama le storie intrise di magia, la storia ruota intorno a un amore o un’amicizia molto intensa e alle avventure di giovanissime protagoniste, che prima di venire a conoscenza dei loro poteri erano semplici bambine della porta accanto e che grazie alla magia riescono a compiere atti di grande eroismo. Sono moltissimi i manga di questo genere che vengono scritti e pubblicati ogni anno in Giappone. Le serie più apprezzate di solito diventano una serie animata e spesso vengono realizzati giocattoli o materiali per il cosplay. Il termine cosplay è un’unione delle parole inglesi costume e play, che descrivono accuratamente la pratica di vestirsi come i personaggi di manga, anime e videogiochi, e, meno comunemente, di film, telefilm o artisti J-Pop e J-Rock (la musica leggera e la musica rock giapponesi, che hanno stili e apparenza peculiari). Negli ultimi anni questa moda ha preso piede anche in Italia: spesso alle fiere del fumetto si può assistere a vere proprie gare di cosplay, oltre a poter ammirare i cosplayers sfilare tra gli stand. Ci sono costumi particolarmente realistici, realizzati a mano, Kawaii Art


_Cosplayer. Š Andrea Santangelo (foto) e ulteriori aventi diritto.


costumi kawaii indossati da ragazzi e ragazze che interpretano i loro presonaggi preferiti. Ovviamente la produzione di giocattoli, materiali per il cosplay, oggetti da collezione, fanno tutti parte di un giro d’affari che sta alla base del mondo consumistico che riguarda i manga e il kawaii: la Bandai, terza azienda produttrice di giocattoli più grande al mondo, nel 2005 contava un fatturato di 270 miliardi di yen. I manga, tuttavia, non sono l’unica forma d’espressione collegata al kawaii. Ci sono molti artisti che, almeno in alcuni momenti della loro carriera, hanno fatto di questo concetto una base da cui partire per l’ideazione e la produzione del loro lavoro.

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Takashi Murakami nasce nel 1962 e si laurea in Nihon-ga, pittura giapponese tradizionale, presso l’Università di Belle Arti e Musica di Tokyo. Mentre è ancora studente, nei primi anni Novanta, senza abbandonare lo stile tradizionale della pittura nipponica, inizia a sperimentare in altri ambiti. Murakami intraprende la carriera nel mondo dell’arte dopo aver deciso di non sentirsi abbastanza capace come disegnatore di manga; in pochi anni è divenuto l’artista giapponese più conosciuto e quotato all’estero. In Giappone, al momento, non si trovano molte sue opere, in quanto in America i collezionisti fanno incetta dei lavori di Murakami considerandoli quasi un investimento: negli ultimi sette anni il valore delle sue opere è aumentato di ben venti volte. Un motivo per questo successo potrebbe essere che l’artista è visto come un esponente di un movimento avanguardistico, definito dall’eminente critico d’arte giapponese Noi Sawaragi come Neo Pop, il cui punto di partenza è la Pop Art. Il lavoro di Murakami ruota attorno a un concetto di base che è quello del Superflat ovvero ‘superpiatto’, che nasconde al suo interno diversi significati. Il concetto di Superflat nasce grazie allo studio di Murakami su Nobuo Tsuji e sul suo libro Il lignaggio dell’eccentricità, in cui Tsuji introduce il concetto di eccentricità attribuendolo ad alcuni artisti del Periodo Edo, riconoscendogli un valore avanguardistico. Inoltre individua nei lavori degli artisti una similitudine con l’attuale arte dei manga, tra cui Hokusai. Murakami sostiene che gli artisti citati da Tsuji hanno moltissimo in comune con lo stile dell’animazione giapponese: la creazione di immagini superficiali in grado di risultare piatte allo spettatore. Da qui nasce la teoria del Superflat.

3. Takashi Murakami: tra kawaii e otaku. Il manifesto di Superflat

Takashi Murakami, profeta del Neo Pop


_Takashi Murakami, Time Bokan – Pink, 2001. © Takashi Murakami, Kaikai Kiki Co. Ltd.


Superflat è nato quando il mio gallerista di Los Angeles, Tim Blum, mi ha detto: «I tuoi lavori hanno una caratteristica incredibile, sono super piatti!». Secondo me Superflat è una parola che funziona molto bene in termini di marketing. Quando penso all’animazione, penso a quello che è la società giapponese oggi, e a come l’arte contemporanea sia legata alla storia, alla storia dell’arte occidentale e alle tradizioni giapponesi. Il termine Superflat e la sua definizione stanno cominciando a diventare controversi. Con Superflat io speravo di creare qualcosa di simile a Richard Hamilton, quando coniò il termine Pop Art. [Takashi Murakami, dichiarazione rilasciata a Cheryl Kaplan, «Takashi Murakami, il presente contro il passato», Flash Art, a. xxxv, n. 231, dicembre 2001 – gennaio 2002, p. 73]

Murakami è molto critico nei confronti del suo paese e della sua cultura, che considera infantile e quasi autistica. Durante un’intervista per la trasmissione televisiva Cult, quando all’artista viene chiesto di parlare della sua opera Time Bokan egli propone delle riflessioni in merito alla sua nazione e alla sua identità culturale: «Il titolo Time Bokan deriva dall’omonimo cartone animato giapponese. Ogni settimana i cattivi vengono sconfitti e questo fungo atomico appare sotto forma di teschio. Però i cattivi non muoiono e continuano a tornare. È un tema tipico giapponese. Prendiamo la peggiore tragedia che ci sia successa e la trasformiamo in una situazione divertente. «Sono rimasto affascinato dalla remissività spirituale che appena trent’anni dopo la fine della guerra ci ha dato la forza di scherzare su certi argomenti. «Nel mondo occidentale i teschi rappresentano la morte, in Giappone non hanno una connotazione così negativa. […] «Questa nazione è stata evirata. Noi giapponesi non conosciamo la nostra vera identità culturale. «Nei manga vengono mostrate immagini di distruzione perché il Giappone è la sola nazione ad aver conosciuto la bomba atomica che ha disintegrato tutto in un Takashi Murakami: tra kawaii e otaku. Il manifesto di Superflat

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lampo in virtù di una potenza superiore a quella di Dio. Quell’episodio ci ha resi insensibili. Ora andiamo oltre i sentimenti e il calore umano». [Intervista a Takashi Murakami per Cult, Sky, Canale 142]

Murakami, oltre a condannare la società Giapponese per la sua piattezza, la critica anche per la forte discriminazione che attua nei confronti degli otaku: individui che vivono esclusivamente in funzione dell’oggetto della loro passione e del loro desiderio, sia esso un manga, un anime o un personaggio di fantasia in essi contenuto. Il termine otaku, che letteralmente significa «casa», e che ha poi preso la connotazione di nerd, appare alla fine degli anni Ottanta con caratteristiche decisamente negative legate al serial killer Tsutomu Miyazaki: quando il killer venne catturato, i media mostrarono al pubblico la sua stanza da letto che considerarono lo spazio di un otaku. La cultura otaku secondo Murakami Le esagerazioni della stampa portarono a far credere che dietro a ogni otaku si nascondesse un potenziale maniaco e questa convinzione rimase viva per molto tempo. Ci vollero parecchi anni affinché l’associazione otaku-maniaco si dileguasse; tuttora gli otaku vengono guardati con una sorta di sospetto: gli otaku, in Giappone, per lo più si distinguono per il loro parziale isolamento volontario, per le loro manie collezionistiche, che possono riguardare i manga e gli anime ma anche tanti altri argomenti, e per una vivace tendenza a comunicare con i loro omologhi tramite computer (cfr. A. Gomarasca – L. Valtorta, op. cit., pp. 94-8). Per molti aspetti, la cultura otaku si sposa con quella kawaii: essere otaku significa avere la possibilità di vivere nella fantasia, lasciandosi alle spalle la disperazione della vita reale, crearsi un immaginario che sostituisca la vita quotidiana a favore di un universo fatto su misura. 40

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Così come il kawaii, anche la cultura otaku è strettamente connessa con il mondo dei manga, anime e feticci da essi derivati. La differenza fondamentale sta nel fatto che per gli otaku non è necessario che il loro mondo fantastico abbia connotazioni rosa pastello e shôjo, così mentre le ragazze leggono manga che raccontano di storie d’amore e poteri magici dati da graziosi animaletti parlanti, gli otaku collezionano manga e anime di svariati generi. Murakami esplora questa cultura considerandola un sintomo della sfiducia dei giovani nipponici nella possibilità di cambiare la realtà (cfr. Bruno Corà – Masahiko Haito – Samuel-Fuyumi Namioka [a cura di], Senritsumirai. Futuro anteriore: Arte attuale dal Giappone, Prato, Gli Ori; catalogo, Prato, Museo Pecci, 30 settembre 2001 – 6 gennaio 2002). Nelle sue opere si rispecchia il suo interesse per questo movimento, che unito a un evidente gusto kawaii fa della sua produzione una strategia di marketing ben consolidata. Dopo aver prodotto nei primi anni dei lavori prettamente concettuali, nel 1993 Murakami crea il proprio alter ego manga: Mr DOB, un simpatico topolino dai tratti tondeggianti, che nelle diverse opere viene poi rappresentato in varie versioni: coi denti appuntiti, fluttuando a forma di trottola in modo surreale attraverso paesaggi misteriosi, assumendo forme astratte o venendo sfracellato sulla superficie del disegno secondo lo stile di Jackson Pollock. Mr DOB per Murakami è il simbolo di quella cultura infantilizzata che a suo avviso caratterizza il Giappone: Un autoritratto del Giapponese che non capisce niente della vita, del sesso o della realtà. DOB è sempre confuso, come se fosse ubriaco o fatto. [Chiara Leoni, «Takashi Murakami, istericamente felice», Flash Art, a. xxxix, n. 256, febbraio-marzo 2006, p. 87]

Il nome DOB deriva dalla contrazione del termine giapponese dobojite, che significa ‘perché?’ e sembra adatto a un personaggio che si dimoTakashi Murakami: tra kawaii e otaku. Il manifesto di Superflat

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stra sempre sconnesso e poco presente. Questa condizione di confusione viene accentuata in DOB in the Strange Forest, opera del 1999 in cui si vede il topolino disorientato in mezzo a un girotondo di funghi occhiuti dai colori psichedelici. DOB sembra volersi difendere dalla curiosità di questi funghetti che lo attorniano fissando dei punti non ben definiti intorno a loro. Questo topolino confuso, reinterpretato nelle varie versioni, non sarà che il primo di una serie di figure kawaii ideate dall’artista. Machikadokun, Kitagawa, Mr Oval e Mr Cloud, con le loro forme infantili e tondeggianti, sono solo alcuni dei personaggi kawaii che alimentano il colorato mondo dell’artista. È poi la volta di Kaikai e Kiki, due adorabili animaletti che a prima vista possono sembrare dei coniglietti rispettivamente bianco e rosa che presentano sulle orecchie i loro nomi scritti in caratteri giapponesi e che, come DOB, vengono 42

_Takashi Murakami, DOB in the Strange Forest, 1999 (dettaglio). © Takashi Murakami, Kaikai Kiki Co. Ltd.


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_Takashi Murakami, Flower Ball (3-D), 2002. Š Takashi Murakami, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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_Takashi Murakami, Kaikai Kiki News, 2001. Š Takashi Murakami, Kaikai Kiki Co. Ltd. 45


_Takashi Murakami, Kaikai with Moss, 2000. © Takashi Murakami, Kaikai Kiki Co. Ltd.

46_Takashi Murakami, Kiki with Moss, 2000. © Takashi Murakami, Kaikai Kiki Co. Ltd.

inseriti in varie opere modificando leggermente volta per volta le loro posture e atteggiamenti, ma a differenza del DOB senza mai cambiare espressione. Una delle idee più kawaii di Murakami sta senza dubbio nelle sue margherite colorate e sorridenti che si trovano ovunque: infestano tele, sono soggetto di costosissime carte da parati per collezionisti, si trovano in enormi installazioni alle fiere dell’artista e si ammassano negli stand sotto ogni forma di merce possibile e immaginabile. Queste margherite, che vengono realizzate con molteplici colori, hanno nella parte centrale un musetto sorridente che assomiglia agli smile del linguaggio degli sms e delle e-mail, e che è sempre uguale. La stessa espressione interpretata con colori diversi che sembra moltiplicarsi all’infinito su una superficie. Kawaii Art


_Takashi Murakami, Eye Love Monogram, 2003. Š Takashi Murakami, Kaikai Kiki Co. Ltd.

Takashi Murakami: tra kawaii e otaku. Il manifesto di Superflat

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Murakami, che nella realizzazione dei suoi fiori ricercava «La totale assenza di significato», sostiene che il sorriso delle sue margherite sia il sorriso di chi si è arreso, di chi sta pensando «Ridiamoci su…», un’altra interpretazione del mondo secondo una visione poco ottimistica, che all’apparenza potrebbe sembrare tutto il contrario, essendo un’immagine totalmente ispirata a un immaginario infantile. «Il corpo è un tema molto importante, Damien Hirst guarda le stesse cose. Ha le stesse idee sul corpo, le sue vacche sezionate lo dimostrano. Penso che la gente sia stufa di come si possa cambiare. Ogni cosa è cambiamento, tutto può essere capovolto. È questo il mio marketing. Ricerco l’assenza di significato…un po’ come quei fiori». [Intervista a T. Murakami per Cult, cit.]

Murakami, con opere come Time Bokan o alcune interpretazioni del DOB in chiave minacciosa, gioca in bilico tra il kawaii e la sua controparte grottesca: il kowai, ovvero ciò che è ‘spaventoso’, gettando un’ombra di angoscia su paesaggi incantati, affascinanti e pregni di una superficialità seducente e superpiatta. Murakami si può definire il padrino di un movimento che ora vede protagonisti molti giovani artisti che operano sulla sua stessa linea di pensiero, che sono sfiduciati dal Giappone contemporaneo e che tramite i manga e gli anime vedono un modo per poter esprimere il loro disagio per questa condizione. Nel 1996 l’artista crea la sua factory, altro elemento in comune con la Pop Art, con delle fondamentali differenze: mentre la factory warholiana era un crocevia di arte ed eccessi in una New York in fibrillazione, quella di Murakami è più un’azienda con una sessantina di impiegati che portano avanti le idee dell’artista e che gestiscono tutti gli aspetti pratici di un’impresa (cfr. Margrit Brehm [a cura di], The Japanese Experience: Inevitable, Ostfildern, Hatje Cantz Verlag, 2002, p. 36). La Hiropon, che nel 2001 cambia il nome in Kaikai Kiki Company, non è solo questo, è anche 48

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sede di una scuola con le funzioni di una società di condivisione e mutuo supporto, in cui gli artisti emergenti possono beneficiare del sostegno di Murakami, che è la loro figura guida (cfr. C. Leoni, op. cit., p. 89). Artisti come Aya Takano, Chiho Aoshima, Mr., Chinatsu Ban, Mahomi Kunikata, Rei Sato e Akane Koide, fanno parte della Kaikai Kiki Company e, anche grazie alle possibilità offerte da Murakami e dalla sua factory, sono diventati piuttosto noti sia in Giappone che all’estero.

_Takashi Murakami, Eye Need You Bag in Eye Love Monogram Canvas in Louis Vuitton Collection Printemps, 2003. © Takashi Murakami, Kaikai Kiki Co. Ltd / Louis Vuitton.

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Si tratta di un rapporto partitetico tra artisti che lavorano sullo stesso stile, sotto una figura guida, secondo il sistema centenario della scuola Kanô, fondata alla fine del Quattrocento, il cui stile arriverà a formare le stampe a larghe superfici piatte ukiyo-e del Periodo Edo (o Tokugawa, già richiamato), che tanto hanno influenzato l’opera di Murakami. L’impronta su cui è basata la sua azienda e la forte connotazione tra l’arte di Murakami e la produzione di merchandising a essa collegata lo fanno sembrare talvolta più un imprenditore che un artista, specialmente viste le collaborazioni nel 2000 con Issey Miyake, noto marchio giapponese e successivamente, nel 2003, con Louis Vuitton, per cui crea un design di fantasia che include versioni colorate del monogramma dello stilista ed elementi decorativi caratteristici dell’artista, come occhi e motivi floreali. 50

_Takashi Murakami, Superflat – Copertina, 2000. © Takashi Murakami, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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Come cavie. Il caso Guinea Pig

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Sta allo spettatore uscire dalle definizioni di «imprenditore» e «artista» attribuite a Murakami, per comprendere a fondo il lavoro di un maestro che ha rivoluzionato il modo di fare arte e che ha coniugato tanti concetti all’interno di una produzione di successo. Possiamo dire che Murakami, a modo suo, sia un portavoce degli otaku, del kawaii e dei giovani che non hanno più fiducia in un sistema sociale oggi in crisi.

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ttualmente sono sette gli artisti della Kaikai Kiki Company che collaborano con Murakami e che vengono da lui promossi e sostenuti. Sono sette stili riconoscibili e differenti, di cui gli artisti usufruiscono per esprimere concetti, pensieri, emozioni e paure, pur sempre mantenendo delle peculiarità che li accomunano: il richiamo allo stile manga e alla tradizione giapponese e tinte piatte, che li fanno entrare perfettamente nel concetto di Superflat. Aya Takano Aya Takano nasce a Saitama nel 1976. Studia teoria dell’arte presso la Tama Art University ed entra a far parte della factory di Murakami in giovane età. Si interessa di storia dell’arte orientale, arte sacra italiana e contemporaneamente è portata a studiare tutto ciò che concerne manga, anime, musica e fantascienza. Oltre a dedicarsi alla sua produzione artistica, Aya Takano disegna manga, collabora alla realizzazione di videogiochi e pellicole d’animazione e inoltre scrive storie di fantascienza. Ama in particolare tutto ciò che è esotico. Le opere di Aya Takano sono un incontro tra passato, presente e futuro: ragazze abbigliate con tradizionali kimono o vestite con indumenti ultramoderni prendono vita in ambienti urbani in stile hi-tech, intorno a tradizionali templi di legno o fantastici paesaggi lunari. Le sue opere sono pregne di una forte carica erotica e sono chiaramente ispirate alla pittura ukiyo-e, il cui stile viene tenuto dall’artista sempre come base per poi cambiarlo e reinventarlo in chiave manga. I suoi acquerelli e olii si rifanno alla tradizione shunga, raffigurano ragazzine preadolescenti esili, nude compleamente o in parte, ritratte con tratti pseudo-europei, occhi molto grandi e lunghe gambe che rappresentano scene di coppie d’amanti e prostitute nelle sale da tè

4. Gli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

A


_Aya Takano, I Know That Just a Kiss Will Take Me Far Away, 2006, cartolina-invito alla mostra Kawaii el Japò ara presso l’Espai 13 della Fundació Joan Miró di Barcellona. © Aya Takano, Kaikai Kiki Co. Ltd. e ulteriori aventi diritto.


e scambi di effusioni con uomini e donne. Scene orgiastiche con membri enormi o polpi giganteschi, tipiche immagini riprese dalle stampe del periodo Edo, vengono reinterpretate con tratti infantili e toni soffusi che conferiscono al tutto un aspetto onirico. Immagini di questo genere si alternano a scenari fantascientifici in cui le ninfette, sempre nude, guidano automobili futuristiche, fumano o distruggono ciò che si trova intorno a loro.

Shunga: ‘immagine della primavera’. Stampe e dipinti a soggetto erotico. Avevano una distribuzione semi-clandestina a causa della forte censura esercitata dal governo dello shôgun, ciò nonostante erano molto numerosi. Cfr. Gian Carlo Calza (a cura di), Ukiyo-e. Il mondo fluttuante, Venezia, Electa, 2004; catalogo della mostra, Milano, Palazzo Reale, 7 febbraio – 30 maggio 2004, p. 19.

In ogni sua opera non mancano mai graziosi animaletti d’ogni genere, rappresentati in maniera più o meno realistica, che fanno da contorno alle scene e che aggiungono un tocco kawaii a ogni immagine. Una delle opere con più forti caratteristiche ukiyo-e è The sound of the Shamisen del 2006, dove in un interno tipico di una casa giapponese, una geisha inespressiva suona uno shamisen (uno strumento a corda simile al liuto) mentre una coppia di amanti fa sesso sul tatami, cioè sul pavimento. Ai lati, dei paraventi decorati con motivi specifici del periodo Edo, contornano l’immagine e un cagnolino nero sulla destra completa il quadro. Perfino la posa degli amanti e l’esplicita scena di sesso ricorda le stampe del «mondo fluttuante» (ukiyo-e significa appunto ‘immagini del mondo fluttuante’). Gli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

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_ Aya Takano, Looking to the Moon From the Earth, 2004. Š Aya Takano, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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_Aya Takano, Looking to Earth from the Moon, 2004. Š Aya Takano, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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_Aya Takano, Land of Sodom and Gomorrah, 2006. © Aya Takano, Kaikai Kiki Co. Ltd.

Tematica differente in due acrilici tra loro collegati, del 2004, Looking to the Moon from the Eart e Looking to Eart from the Moon, in cui le ragazzine raffigurate, che indossano solo dei caschi trasparenti, si aggirano in mondi fantastici. Nel primo, tante giovani stanno su un terreno dalla forma a semicerchio che fa da contorno a un cielo azzurro con una Luna piena dorata molto grande, dentro la quale è disegnato un coniglietto. Nel secondo invece c’è sempre un terreno a forma di semicerchio pieno di fiori e animaletti dai tratti poco realistici, ma questa volta contorna la parte superiore dell’immagine, che vede un cielo blu intenso con al centro una terra circondata da costellazioni. In questo dipinto le ragazzine sono solo due 58

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e fluttuano nell’aria con indosso un casco trasparente e una cuffietta rosa con le orecchie da coniglio. I lavori di quest’artista possono essere visti come fantasie erotiche e rappresentazioni fantastiche post-apocalittiche dipinte in modo esplicito e dettagliato che comunque, per lo stile con cui vengono raffigurate, restano aperti a svariate interpretazioni. Chiho Aoshima Chiho Aoshima nasce a Tokyo nel 1974. Non compie studi artistici ma si laurea in economia presso l’Università Hosei della sua città natale. Ciò nonostante entra presto a far parte della Kaikai Kiki grazie alle sue inclinazioni artistiche e a un grande talento per la computer grafica. È una ragazza alta e silenziosa, dall’aria misteriosa, che realizza con un’estrema precisione le sue opere digitali invase da ragazze, insetti e rettili colorati con toni piatti e acidi. I suoi personaggi si muovono in mondi acquatici, boschi e cimiteri, oscillando tra il mondo dell’infanzia e quello della violenza e delle catstrofi, evidenziando un profondo malessere e disagio nel dover abbandonare l’età dell’infanzia per affrontare il mondo degli adulti (cfr. Hélène Kelmachter [a cura di], Kawaii! El Japò ara, Barcelona, Fundació Joan Miró, Dossier Mostra, 21 settembre 2007 – 20 luglio 2007, Fundació Joan Miró, Barcellona). Come Aya Takano, anche Chiho Aoshima inserisce nelle sue opere dei forti richiami alla tradizione estetica giapponese, ma sono riferimenti meno evidenti e più velati rispetto a quelli della Takano. In A Contented Skull, opera del 2003, per esempio, un enorme cranio fluorescente è posato al centro di un cimitero da cui nasce un ciliegio in fiore i cui rami attraversano le cavità oculari per uscire dalla bocca. Sulla destra i rami si confondono con i capelli di una strana figura scura di profilo che sembra venire schiacGli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

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_Chiho Aoshima, A Contented Skull, 2003. Š Chiho Aoshima, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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Gli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

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_Chiho Aoshima, Magma Spirit Explodes. Tsunami Is Dreadful, 2004 (dettaglio). Š Chiho Aoshima, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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_Chiho Aoshima, Ero-Pop, 2001. Š Chiho Aoshima, Kaikai Kiki Co. Ltd.

Gli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

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_Chiho Aoshima, Piercing a Heart, 2002. © Chiho Aoshima, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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ciata dai fiori di ciliegio. Lo sfondo, di un blu intenso, fa risaltare la Luna in fase crescente, e i petali si staccano dai rami per danzare fino al suolo, dove si trova un’eterea bambina che contempla la scena attorniata da piccole tombe e spettri fluttuanti. Sia il teschio che i fiori di ciliegio sono degli elementi ricorrenti nella tradizione pittorica giapponese. Forse meno evidente è il riferimento nella composizione dell’immagine che presenta un’ondulazione tipica degli ukiyo-e. Nelle sue opere sono ricorrenti temi come la guerra, i disastri ecologici, incidenti, morte, corpi feriti o smembrati: sono la fusione di angosce collettive e paure individuali, realizzate però con colori accesi e immagini apocalittiche tipiche del Kawaii Art


_Chiho Aoshima, Magma Spirit Explodes. Tsunami Is Dreadful, 2004 e Mountain Girl, 2003. Š Chiho Aoshima, Kaikai Kiki Co. Ltd.

Riconfigurazione. Alla ricerca di una nuova identitĂ

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vocabolario visivo dello stile dei manga anni Ottanta, a cui viene aggiunto un tocco d’intensità e sensibilità personali, che rendono il tutto accattivante, quasi a voler denunciare e allo stesso tempo esorcizzare le inquietudini che la attanagliano.

_Chiho Aoshima, installazioni a Union Square, New York, 2006 e Glouchester Square, Londra, 2006. © Chiho Aoshima, Kaikai Kiki Co. Ltd.

«Ho capito che mi piacciono i cimiteri quando ho visto un paesaggio che mi ricordava delle antiche rovine. C’erano alberi che crescevano tutt’intorno, poche persone, e le pietre erano state modellate dalle piogge acide… Ho ritrovato me stessa parlando naturalmente con persone che non avevo mai visto prima. Sono convinta che le persone che vanno al cimitero sciolgano le cordicelle che tengono legati i loro cuori, e le parole escono loro in maniera naturale. Se piangi in un cimitero, a un tratto ti senti molto meglio. Il tempo scorre lentamente. Voglio visitare le tombe di tutto il mondo!». [Isabelle Bertolotti – Thierry Raspail, Chiho Aoshima – Mr. – Aya Takano, Barcelona, Musée Art Contemporain Lyon – Panama Musées, 2006, p. 69]

Nei suoi primi lavori, come Fish Market del 1999, Aoshima utilizza colori piatti e forme semplici, con contorni esageratamente marcati, in una combinazione di innocenza, sessualità e violenza. Ero-Pop del 2001 e Piercing a Heart del 2002 sono più complessi e raffinati: 66

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partono sempre dalla concezione di base del manga per sviluppare sfondi composti da strati di colori e forme attraenti, dove sopra prendono vita i suoi personaggi. Nel 2004 Aoshima crea Magma Spirit Explodes. Tsunami Is Dreadful, opera che si sviluppa in orizzontale e che sulla sinistra vede un paesaggio avvolto da fiamme disegnate in tipico stile ukiyo-e, che vanno a formare un volto. Al centro ci sono due figure femminili dai contorni poco definiti, che sulla schiena e sui capelli hanno un paesaggio urbano in distruzione. Per finire, sulla destra c’è l’onda dello tsunami, anch’essa in stile ukiyo-e, con degli uragani e delle cascate d’acqua che scendono dalle bocche di cespugli sospesi per aria. Tratti delicati e immagini teatrali dalle enormi dimensioni appaiono invece in A Fleeting Moment of Happiness del 2006, in cui altissimi grattacieli e morbide colline con gli occhi sono protagonisti di un mondo onirico dove una timida alba e un oscuro cielo stellato si contendono lo spazio di fondo. Il tutto si trasforma in una grandissima installazione nella stazione della metropolitana di Union Square a New York e in quella di Glouchester a Londra. I suoi lavori, compresi quelli commissionati da Issaye Miyake e dalla rivista Vogue, mostrano motivi decorativi floreali che si vanno a mischiare a degli animaletti, ma non orsacchiotti o coniglietti, bensì rettili e insetti. «Alcune creature hanno una forma così incredibile. Non posso credere che siano di questo pianeta». «Sento una forte attrazione per le creature che sono sopravvissute fino ai giorni nostri, come magnolie, felci, granchi e insetti conservati nell’ambra. L’ambra è così bella, sembra che il tempo si sia fermato al suo interno». [Ibid. e ivi, p. 70]

Chiho Aoshima, nelle sue esposizioni, copre pareti intere, il suolo e il soffitto con le sue immagini digitali giganti, facendo immergere lo spettatore nel suo universo inquietante, dalle forme dolci e dai colori aspri. Gli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

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_Mr., Penyo-henyo Nyonyo Edition «Ot-totto», 2004-2006. © Mr., Kaikai Kiki Co. Ltd.

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_Mr., Penyo-henyo Nyonyo Edition «Ot-totto», 20042006 (dettaglio). © Mr., Kaikai Kiki Co. Ltd.

Riconfigurazione. Alla ricerca di una nuova identità

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Mr. Mr. (pseudonimo che nasce dalla passione per la star nazionale del baseball Shigeo Nagashima, detto «Mister») nasce nel 1969 e studia presso la Scuola d’Arte Sokei, dopo aver tentato svariate volte l’ingresso alla prestigiosa Università di Belle Arti e Musica di Tokyo. Nel 1988 inaugura la sua prima mostra personale presso la Galleria Tomio Koyama di Tokyo, intiolata Mr. – Artist of the Alps, titolo ispirato alla famosa serie animata Alps no shôjo Heidi (da noi nota come la celeberrima Heidi). Nel 1995 entra a far parte della Kaikai Kiki, che si chiamava ancora Hiropon Factory, e negli anni i suoi lavori si sono progressivamente staccati dallo stile del suo mentore Murakami, per concentrarsi sul suo stile personale che fonde il «Complesso di Lolita» al concetto di kawaii. «Quando muoio non voglio andare in Paradiso, voglio andare ad Akihabara!» (in Yumi Yamaguchi, Warriors of Art: A guide to Contemporary Japanese Artists, Tokyo, Kôdansha, 2007, p. 96). Questo, il pensiero scherzoso di Mr. riguardo a un suo personale paradiso: il quartiere di Tokyo Akihabara, un concentrato di manga café (locali a tariffa oraria in cui si possono leggere manga e consumare cibo e bevande), negozi di videogiochi e gadget legati al mondo dei manga e anime. Il paradiso degli otaku, come quelli che si riflettono negli grandi occhi dei suoi personaggi. Mr. produce acrilici di notevoli dimensioni che ritraggono dei ragazzini, nel suo tipico stile dai tratti semplici e tinte piatte; ma i lavori più noti dell’artista sono senza dubbio le sculture in fibra di vetro e resina che plasmano corpi di bambini dalla testa gigante rispetto al corpo, sorridenti ma privi di una vera espressività, abbigliati secondo la moda giovane internazionale, che stazionano su basi decorate con paesaggi di diverso genere. Negli occhi di questi personaggi sono dipinti ambienti e scene di vario genere: studentesse vestite alla marinara su sfondi notturni urbani, notti illuminate da luci e colori dei quartieri cittadini, prati in cui si aggirano animali preistorici e tanto altro. 70

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I riferimenti sessuali attribuiti ai giovani protagonisti delle sue opere, sia maschi che femmine, sono un’emblema dell’ispirazione che viene dal cosiddetto e già citato «Complesso di Lolita», o rorikon: un disturbo dei giovani incapaci di rapportarsi alle ragazze della loro età e che finiscono per interessarsi a bambine piccole, figure femminili che non presentano alcuna caratteristica connessa alla sessualità adulta che essi non sanno affrontare (cfr. A. Gomarasca – L. Valtorta, op. cit., p. 86). Uno di questi personaggi, nell’opera Penyo-henyo Pyopyo Edition “Sunshine Street”, del 2004-2006, ha i pantaloni abbassati e ha un’aria impotente, con forme che lasciano presagire una virilità latente. Al contrario, le rappresentazioni femminili trasmettono un’energia Gli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

_Mr., Gotta Go with Yamada Udon, 2003. © Mr., Kaikai Kiki Co. Ltd.

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_Mr., You, Me, and the Japan Sea, 2003. © Mr., Kaikai Kiki Co. Ltd.

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vibrante e isterica, nonché un’evidente forza vitale (cfr. I. Bertolotti – T. Raspail, op. cit, p. 134). Il suo lavoro, talvolta, sembra quasi un tentativo d’esorcismo contro le frustrazioni psicologiche rimaste irrisolte, come nella serie di acrilici che sembrano ritrarre l’artista in situazioni particolari con una ragazzina mezza nuda dai capelli rosa, talmente piccola che il protagonista maschile, ritratto completamente nudo, può tenerla in mano. Quella di Mr. è l’arte otaku come estensione della rappresentazione tradizionale giapponese popolare ed erotica che conosciamo col nome di mondo fluttuante, di cui fanno parte i divertimenti nelle case da tè, le geisha, il teatro Kabuki e il sumo. Kawaii Art


Chinatsu Ban Chinatsu Ban nasce a Nagoya nel 1973 e studia pittura a olio presso l’Università d’Arte Tama. Membro della factory di Murakami, partecipa alla Murakami’s Tokyo Girls Bravo 2, un’esibizione del 2002. Nel 2005 inaugura la sua prima personale negli Stati Uniti, presso la Marianne Boesky Gallery di New York, e prende parte all’esposizione Little Boy di Murakami. Un tema ricorrente nel suo lavoro sono gli elefantini, interpretati con varie forme, colori e tecniche. «Ho comprato una statuetta di un elefante in centro. Questo aquisto mi ha fatta sentire purificata, come quando mia mamma mi diede una palla di cristallo […]. Queste cose sono talismani. Sono spaventata all’idea che un giorno potranno non esserci più in questo mondo. Vorrei fuggire da quanto questo timore mi turba. Gli elefanti mi fanno sentire al sicuro, mi hanno salvata molte volte». [�������������� In Takashi Murakami [a cura di], Little Boy: The Arts of Japan’s Exploding Subculture, New York, Japan Society, 2005, p. 59]

Yellow elephant Underware e Kiddy Elephant Underware sono tra le sue opere più note. Si tratta di una mamma elefante e del suo piccolo, installati al Central Park, a New York, in occasione della mostra Little Boy. Questi grossi e graziosi elefantini gialli, dai tratti semplici e colori accesi, non hanno attirato solo l’attenzione di critici e giornalisti, ma soprattutto hanno ottenuto la simpatia di tutti i bambini che passavano di lì e che si avvicinavano con curiosità, scambiandoli per dei giochi (cfr. Y. Yamaguchi, op. cit., p. 16). La sua arte in generale, e i suoi acrilici in particolare, sono caratterizzati da uno stile estremamente infantile sia nel tratto che nella scelta dei colori. A Twin Story (The Sum of It All) e A Twin Story (Paradise), entrambi del 2006, sono un emblema dell’arte fanciullesca e delicata di Chinatsu Ban. Gli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

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Nel primo si vedono due teste femminili, i cui corpi si confondono formando una sorta di distesa azzurra abitata da strani esserini. Un elefante arancione con la proboscide verso l’alto, dalla quale esce un getto d’acqua, si erge in primo piano. Nella seconda opera c’è un albero viola sulla sinistra, sul quale si arrotola una figura che a prima vista sembra un serpente, ma spostando lo sguardo verso destra si capisce che si tratta dei capelli di una ragazzina, seduta sulla proboscide di un elefante, dalla quale esce un getto d’acqua che va a finire sulla testa dell’elefante rosa al centro della composizione. Il segno semplice, i colori non realistici e le tematiche fantastiche e innocenti, fanno delle opere di Chinatsu Ban una vera espressione del kawaii. 74

_Chinatsu Ban, V W X Yellow Elephant Underwear, H I J Kiddy Elephant. Underware, Poop, 2005. © Chinatsu Ban, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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_ Mahomi Kunikata, On The Bedsheet, ANNO. Š Mahomi Kunikata, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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_Mahomi Kunikata, Wood of squashed fruit, 2008. Š Mahomi Kunikata, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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_Mahomi Kunikata, Crayon, 2004. © Mahomi Kunikata, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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Mahomi Kunikata Mahomi Kunikata nasce nel 1979 nella prefettura di Kanagawa. Nel 2000 completa i suoi studi presso il Nippon Design College di Tokyo. Membro della Kaikai Kiki, nel 2005, per la New Art Dealers Alliance (Nada), una fiera d’arte a Miami, Mahomi Kunikata monta un’installazione personale nello stand del gruppo di Murakami: un sushi bar in cui espone l’opera Maho Sushi, dei pezzi di sushi di plastica decorati con illustrazioni a tema erotico realizzate con acrilici, un video a tema e uno schermo dove mostrava i suoi lavori precedenti. Lo show ha fatto il tutto esaurito. Il lavoro di quest’artista è influenzato principalmente dalla cultura otaku e dai manga erotici. Sono frequenti, nelle sue opere, figure di adolescenti vestite con le divise scolastiche mentre compiono atti sessuali più o meno espliciti, come nell’acrilico Crayon del 2004, dove una bambina con le gambe aperte e il sesso in evidenza gioca maliziosa con dei pastelli a cera. Kawaii Art


_Rei Sato, I’m Sure They Love You, 2004. © Rei Sato, Kaikai Kiki Co. Ltd. 79


_Rei Sato, What a Nice Blue, 2004. Š Rei Sato, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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Rei Sato Rei Sato nasce nel 1984 nella prefettura di Yamagata. Viene scoperta da Murakami in occasione del concorso d’arte Geisai 1, organizzato dalla Kaikai Kiki. Da allora ha partecipato a numerose mostre collettive, tra cui Coloriage, alla Fondazione Cartier per l’arte contemporanea di Parigi. Oltre a rifarsi al mondo dei manga, il suo lavoro ha un tocco impressionista e astratto; i colori sono usati in maniera del tutto individuale e giocosa. Spesso Sato lavora intervenendo con disegni dal tratto molto infantile e impreciso su fotografie, come in I’m Sure They Love You, opera del 2004 in cui dei graziosi angioletti disegnati, sembra quasi a penna, attorniano una bambina piccola, o come in What a Nice Blue, realizzata anch’essa nel 2004, in cui disegna delle bambine, con lo stesso stile dell’opera precedente, che stanno attorno a un cactus, il quale risalta su un cielo dal blu molto intenso. Nella sua produzione sono presenti anche opere totalmente pittoriche come Ms. Kanata, Konata, Izuko, and Itsuka of Outer Space, del 2003, in cui un quadrato formato da altri quattro quadrati mostrano al loro interno dei personaggi con ambientazioni stilizzate e differenti. È giovane, ma avendo partecipato a mostre ed esibizioni e godendo dell’appoggio di Murakami, probabilmente diventerà un’artista di spessore a livello internazionale. Akane Koide Akane Koide è il membro più giovane della factory di Murakami. Nata a Tokyo nel 1991, è stata scoperta dall’artista all’età di quindici anni durante il concorso Geisai 9 organizzato dalla Kaikai Kiki. Le sue prime personali si sono svolte nel 2007, in occasione della Art Fair di Tokyo, presso il Tokyo International Forum e all’arena di Yokohama, con una mostra intitolata Gli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

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_Akane Koide, At One’s Feet, 2006. © Akane Koide, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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This Might Be What the World is Like, 4th Tokyo Girls Collection. I suoi lavori rispecchiano i disagi della generazione della giovane artista, come per esempio in Wrist Slit, un delicato acrilico del 2007 in cui una ragazza con un talgierino in mano e delle bende sulle braccia guarda verso il fondo, dove si trova un’altra ragazzina che la sta spiando da dietro un vetro. Da un braccio della giovane in primo piano esce un fiume di sangue al cui interno si vedono oggetti come occhi, bocche, pennelli e bottigliette. Sicuramente è l’emblema di un malessere giovanile, che si sfoga attraverso atti di masochismo, come spesso accade fra gli adolescenti. In Origin of Water, acrilico del 2006, un ocKawaii Art


_Akane Koide, This Might Be What the World Is Like, 2007. Š Akane Koide, Kaikai Kiki Co. Ltd.

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_Akane Koide, Origin of Water, 2006. Š Akane Koide, Kaikai Kiki Co. Ltd. 84

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chio gigante guarda il sole, che viene coperto da una nuvola dalla quale scende uno scroscio di pioggia che va a mischiarsi alle lacrime che cadono dall’occhio. All’interno del bulbo oculare si trova una ragazza rannicchiata e sporca di sangue. I colori dell’acqua e di ciò che contorna l’opera sono molto chiari, mentre l’occhio è campito di colori più forti, intensi che danno un’aria grave a tutta l’opera. Sicuramente l’arte di tutti i membri della Kaikai Kiki è un modo per denunciare le inquietudini dei giovani giapponesi, le loro ansie, i loro turbamenti e le loro paure, sempre seguendo il filo conduttore del kawaii espresso in maniera Superflat.

Gli artisti della Kaikai Kiki Company: la nuova generazione del kawaii

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_Tomoko Sawada, ID-400, 1998-2001 (dettaglio). Š Tomoko Sawada.

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omoko Sawada nasce nel 1977 a Kobe, in Giappone, dove continua a vivere e lavorare. La sua prima personale internazionale è stata nel 2003 presso la galleria Zabriskie. Nel 2004 ha ottenuto il prestigioso premio «Kimura Ihei» Photography Memorial Award, per i giovani fotografi giapponesi. La sua arte riflette la ricerca d’identità dei giovani giapponesi che tentano di trovarla tramite mode underground, fatte di abiti fuori dall’ordinario, spesso collegati a immagini degli idol presi come punti di riferimento. L’artista si mette in gioco in prima persona, ritraendosi in varie versioni e utilizzando la sua immagine reinventata di volta in volta per esprimere la sua personale critica alla società giapponese. Tomoko Sawada appare nelle sue opere, prettamente fotografiche, con autoritratti, fotomontaggi o in foto di gruppo. Tra il 1998 e il 2001 crea ID-400, una serie che ricorda i lavori di Andy Warhol: ritratti eseguiti tramite una macchinetta per fototessere, che l’artista ha utilizzato per creare un esercito di sé stesse ritratte in varie versioni, cambiando continuamente aspetto fisico e abiti, col risultato di quattrocento diverse identità. È impressionante l’elasticità con cui cambia espressioni facciali e pose, tanto da sembrare quasi uno studio sulla fisionomia. Nella serie Omiai, del 2001, propone di nuovo sé stessa, incarnando questa volta trenta giovani giapponesi «candidate al matrimonio». Una denuncia circa il fatto che in Giappone, ancora oggi, un terzo dei matrimoni vengono combinati dalle famiglie dei giovani sposi. I genitori delle ragazze contattano un fotografo affinché confezioni un album dove la ragazza appaia vestita in maniera distinta, con il proposito di sedurre il suo pretendente, mantenendo allo stesso tempo un’aria da ragazza perbene. Nel 2002 realizza la serie di Cover, in cui si ritrae in molteplici versioni ispirate alla moda estremizzata che in Giappone sempre più

5. Il kawaii incontra la moda GothLolita: l’arte di Tomoko Sawada

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_Tomoko Sawada, School Days/A, 2004. © Tomoko Sawada.

giovani adottano per segnalare la tensione tra l’immagine pubblica pretesa da una società dedita all’omologazione a discapito dell’individuo, e l’interiorità del singolo che cerca di emergere per cercare la sua propria personalità (cfr. Y. Yamaguchi, op. cit., p. 124). Tra le varie metamorfosi dell’artista spicca quella che si rifà alla moda delle ganguro, ragazze dalla pelle estremamente abbronzata, dal trucco molto chiaro e i capelli ossigenati. Ganguro significa ‘faccia nera’. Si tratta di una moda giovanile che ha avuto la sua massima popolarità nel 2000 ma è seguita tutt’oggi. Talvolta è adottata un’acconciatura afro o una parrucca argentata; le ganguro amano un look aggressivo che prevede minigonne, trucco appariscente e stivali o zeppe.

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_Tomoko Sawada, Cover, 2000. Š Tomoko Sawada.

Riconfigurazione. Alla ricerca di una nuova identitĂ

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_Tomoko Sawada, immagine dalla serie Decoration, 2008. Š Tomoko Sawada. 90

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_Tomoko Sawada, immagine dalla serie Decoration, 2008. Š Tomoko Sawada.

Riconfigurazione. Alla ricerca di una nuova identitĂ

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_Pagina di Gothic & Lolita Bible, una rivista giapponese che tratta argomenti inerenti a questa sottocultura e pubblicizza le marche d’abbigliamento dei vari stili. Questa pagina è dedicata agli abiti e accessori di Baby the Stars Shine Bright. © Gothic & Lolita Bible, Baby the Stars Shine Bright. 92

In School Days/A e School Days/B, opere del 2004, si prende gioco delle fotografie di classe che ogni anno vengno fatte alle varie sezioni scolastiche, tramite la ripetizione del suo viso applicata a ogni alunno. Vuole essere una critica all’omologazione del sistema scolastico giapponese, che impone la divisa e nega (in teoria) la possibilità di personalizzarla anche solo in parte. In occasione della sua esposizione, presso l’Espai 13 della Fondazione Miró, tenutasi nell’aprile-maggio 2008, Tomoko Sawada ha preparato Decoration una serie che mette la gioventù giapponese in relazione con la moda. L’artista ha centrato il suo lavoro su una tendenza molto popolare in Giappone in questi ultimi anni: il Gothic Lolita. Gothic Lolita, pronunciato in giapponese Goshikku Roriita, più comunemente abbreviato con Gosu Rori, sta a rappreKawaii Art


_Pubblicità della linea d’abbigliamento Baby the Stars Shine Bright. © Baby the Stars Shine Bright e ulteriori aventi diritto. 93


sentare le giovani giapponesi abbigliate secondo lo stile «gotico» del tipo di moda alla «Lolita». La moda Lolita, dal libro di Nabokov e specialmente dalla sua trasposizione cinematografica di Kubrick, prende da un lato alcuni elementi stereotipici dello stile del vestiario femminile vittoriano, e dall’altro cerca di imitare le caratteristiche di un abbigliamento fintamente infantileadolescenziale e allo stesso tempo sensuale. La moda Lolita è direttamente collegata al kawaii, specialmente in alcuni rami dello stile, e appare spesso anche in manga e anime in cui adolescenti dagli occhioni sognanti vengono ritratte con strati di sottovesti di pizzo, larghe gonne a balze, nastri e fiocchetti e boccoli lunghissimi tenuti spesso in codini o adornati con coroncine e cuffiette. Tomoko Sawada, in occasione di questa esposizione, ha ricevuto la collaborazione di una delle marche Lolita più prestigiose: Baby The Stars Shine Bright, che ha messo a disposizione la sua collezione all’artista per creare le sue nuove opere fotografiche. Ci sono numerose varietà di stili della moda Lolita: il Classic Lolita, che si basa su un abbigliamento più maturo e dove vengono usati più colori e stampe floreali; e la moda Sweet Lolita, che è identificata per l’uso di colori pastello infantili e stampe che suscitano tenerezza. Quasi tutte le varietà di Lolita utilizzano molteplici accessori kawaii, specialmente le Sweet Lolita e gli stili Total Pink e Decora Style. Cfr. Nipponico.com/dizionario/g/gothiclolita. php e Trashqueen.it/gothiclolita/htm/gothiclolita.htm. E soprattutto si veda il mio libro!, Gothic Lolita, sempre edito da Tunué.

L’arte di Tomoko Sawada è senza dubbio coraggiosa, in quanto l’artista si mette in gioco in prima persona, onnipresente nelle sue opere, che sono un mezzo di comunicazione utilizzato dall’artista per evidenziare i malesseri della nuova genrazione giapponese assolutamente non compresa dalla società, che li guarda con sgomento senza riuscire a trovare una reale soluzione. 94

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ariko Mori nasce a Tokyo nel 1965. Nel corso degli anni Ottanta lavora come modella e nel 1988 si diploma in Fashion Design al Bunka Fashion College di Tokyo. Si afferma come artista solo dopo essersi trasferita a Londra, città nella quale si stabilisce verso la fine degli anni Ottanta per sfuggire all’antindividualismo della società nipponica e soprattutto per frequentare i corsi di storia dell’arte presso la Byam Shaw School of Art e successivamente al Chelsea College of Art. Ora lavora tra Tokyo e New York, dove si è trasferita nel 1992 per iniziare un programma di studio indipendente al Whitney Museum (cfr. Germano Celant [a cura di], Mariko Mori: Dream Temple, Milano, Fondazione Prada, 1999; catalogo della mostra, Fondazione Prada, Milano, 22 maggio – 15 giugno 1999). Le opere d’esordio di Mariko Mori, realizzate intorno al 1991, sono fotografie e installazioni di grandi dimensioni che fondono arte, moda, musica e video per rappresentare come l’apparenza incida fortemente nella definizione dello sociale di un individuo e investigare le complesse relazioni che passano tra la persona e gli abiti che indossa. Afferma l’artista: «Quando indossi un vestito, assumi un’altra personalità, ti trasformi in quell’abito» (Dominic Molon, «Mariko Mori, tra buddismo e tecnopop», Flash Art, a. xxxi, n. 212, ottobre-novembre 1998, p. 80). I vestiti indossati da lei stessa nelle sue opere, mentre interpreta diversi ruoli in luoghi urbani contemporanei, sono disegnati da lei e vogliono essere parte integrante di un’espressione critica verso la società responsabile della sparizione dell’individualità a favore di un’omologazione imposta dal mondo della moda e la sola riduzione della persona alle sue caratteristiche fisiche. Se da un lato i lavori di Mariko Mori vogliono essere un mezzo di valutazione e riflessione in merito ai problemi della società, dall’altro lato hanno la piacevolezza visiva di un’allegoria, in quanto hanno la caratteristica di combinare elementi tradizionali giapponesi con temi tipici del-

6. Mariko Mori: kawaii, buddismo e tecnologia

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_Mariko Mori, Red Light, 1994. © Mariko Mori.

_Mariko Mori, Play with Me, 1994. © Mariko Mori.

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la storia dell’arte occidentale, assimilando spunti dalla cultura pop e dalle tecnologie più avanzate (ibid.). Specialmente nelle prime produzioni, i suoi lavori hanno un piacevole retrogusto in stile Hello Kitty e manga culture, in cui l’artista si reinventa in maniere sempre differenti ma partendo sempre da una base fantascientifica, come in Red Light del 1994, in cui una Mariko Mori quasi interamente ricoperta di un tessuto bianco luminescente e con sopra un vestitino rosa acceso, veste i panni di un’aliena che sosta in mezzo a una strada, in cui le persone che passano sono solo figure poco definite sullo sfondo notturno e pieno di luci e insegne al neon di una via dall’aspetto tipico di una strada di Tokyo. In Play with Me, sempre del 1994, l’artista interpreta una sensuale cyborg dagli azzurrissimi capelli in stile manga, raccolti in due codini, che sosta di fianco a un negozio di videogame in Kawaii Art


cui le persone entrano ed escono senza prestare attenzione alla geisha-cyborg che si aggira in una Tokyo notturna e rigogliosamente illuminata. È un’opera che ingloba in una sola immagine, dei concetti e delle visioni estremamente seduttive e accattivanti per gli otaku e per gli amanti di manga, anime e cosplay. In Subway, ancora del 1994, Mariko Mori indossa nuovamente i panni di un accattivante cyborg dalla tuta argentata, che distratta, sta in piedi al centro di un vagone della metropolitana, fotografato con una fortissima deformazione grandangolare. Ancora una volta le persone sono un puro contorno, semplici comparse, completamente indifferenti a ciò che sta capitando intorno a loro. Warrior è dello stesso anno delle opere precedenti, infatti lo stile e il tema sono molto simili: presenta l’artista vestita di vinile nero e argento, con le gambe divaricate, che imbracMariko Mori: kawaii, buddismo e tecnologia

_Mariko Mori, Warrior, 1994. © Mariko Mori.

_Mariko Mori, Subway, 1994. © Mariko Mori.

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cia una mitragliatrice all’altezza dei fianchi. È in posa in modo da stagliarsi tra grandi schermi video brillanti e alcuni giocatori adolescenti. Mori sta sia interpretando i propri «sogni», sia decostruendo le vite interiori dei giocatori, uscendo già interamente formata dalla loro testa. Se osservati più attentamente, la posizione rigida e i movimenti degli occhi di Mori non mostrano segni di interazione coi ragazzi intorno a lei. È completamente separata dai suoi creatori e viaggia in una dimensione propria. [Michael Cohen, «Sogni di plastica. Mariko Mori nella bolla della realtà», Flash Art, anno xxxi, n. 212, ottobre-novembre 1998, p. 86]

_Mariko Mori, Birth of a Star, 1995. © Mariko Mori.

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Nel 1995, Mariko Mori presenta in un lightbox di grandi dimensioni (183 x 122 cm), con una resa luminosa e tridimensionale, Birth of a Star, che rappresenta l’artista in versione Kawaii Art


«bambolina consumistica» abbigliata con vestiti, ovviamente disegnati dall’artista stessa, che mescolano elementi futuristici con chiari riferimenti alla musica pop e punk con un retrogusto anni Ottanta. Il risultato è quello di una pop star non convenzionale e piuttosto innaturale, che gravita in un ambiente irridescente e minimale con delle bolle colorate di varie dimensioni e colori. Il lightbox è accompagnato da una canzone composta e cantata dalla stessa artista per aumentare il coinvolgimento e allo stesso tempo lo straniamento dello spettatore di fronte a questa figura quasi totalmente surreale. L’ambientazione è molto diversa rispetto alle immagini precedenti; Mariko troneggia in una scenografia di sfere colorate, quasi da pixel kusamiani, in un galleggiamento aereo che rappresenta la forma larviale dei mondi digitali ricreati di lì a poco nelle sue impareggiabili Mariko Mori: kawaii, buddismo e tecnologia

_Mariko Mori, Star Doll, 1998 (edizione per Parkett n. 54, 1998–’99). © Mariko Mori e ulteriori aventi diritto.

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installazioni. Ancora presente in carne e ossa l’artista è fotografata in posa, vestita con un completino summa sgargiante si un’epidermide foderata con tessuti di derivazione artificiale in un trionfo di fashion futuristico, di protesi sonore come riproduttori e cuffie stereo, tra collari di plastica e protuberanze inorganiche scaturite da un soma che secerne resine, poliuretani, silicone, ma in fondo pronto a smaterializzarsi in corpo celeste, in fenomeno astrofisico, appunto in «stella», come allude il titolo. [Fabriano Fabbri, Lo zen e il manga. Arte contemporanea giapponese, Milano, Bruno Mondadori, 2009, pp. 209-10]

Successivamente, nel 1998, Mariko Mori ha realizzato per la rivista Parkett, in tiratura limitata (solo 99 esemplari), una bambolina identica a quella della famosa foto (cfr. Noemalab.org/sections/specials/tetcm/2002-03/ mariko_mori/primi_lavori.html): l’immagine della ragazza venuta dal futuro, simbolo del consumismo che svetta in una bidimensione luminosa, diventa un vero e proprio pupazzo dall’aspetto artefatto e dai materiali sintetici. Da questo lavoro in poi, si andrà sempre più a perdere qualsiasi accenno al reale, con il cambio di rotta dell’artista, che abbandona i temi di critica sociale per dedicarsi maggiormente alla propria interiorità. Con l’utilizzo di mezzi tecnologici sempre più avanzati, Mori attinge ora a elementi di carattere filosofico, universale, con una forte componente buddista. Nonostante abbandoni un po’ lo stile manga, in favore di temi che sono segno di una crescita personale e artistica, non rinuncia a elementi e caratteristiche kawaii, come possiamo vedere in Nirvana, del 1997, dove attua un cambiamento di direzione: si tratta di un video, presentato alla Biennale di Venezia del 1997, in cui l’artista assume le sembianze della dea del buddismo giapponese Kichijoten. Il pubblico, grazie a degli occhiali speciali per la visualizzazione tridimensionale, è immerso totalmente nel video. Gli spettatori vivono in prima persona l’atmosfera fiabesca e irreale del paesaggio e possono ammirare da vicino le incantate trasformazioni della dea, la cui manifestazione è accompagnata da profumi, musiche e improvvise apparizioni di presenze fisiche. 100

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Nella tradizione zen l’illuminazione coincide con il manifestarsi di immagini specifiche. La Mori si serve della tecnologia per creare artificialmente una rappresentazione di questo stato di coscienza. Il suo, spiega l’artista in molte dichiarazioni, non è un paradosso, in quanto la visualizzazione attraverso le tecnologie come la computer graphic e i sistemi di virtual reality le consentono di «concretizzare uno spazio in cui sia possibile, mediante un’esperienza visuale e uditiva, guardare in se stessi, creando uno spazio meditativo». La tecnologia, quindi, nella visione della Mori, condividerebbe con la pratica zen la stessa esigenza di creare un universo di ordine alternativo, un luogo ideale di perfezione e trascendenza. [Ibid.]

Lo sfondo del video, è prettamente di colore rosa, e si può vedere una linea d’orizzonte irreale dai colori più intensi con varie tonalità, la dea è abbigliata con un lungo abito dalle sfumature gialle tenui e rosa e siede su un fiore di loto dai contorni di un rosa più deciso rispetto a quello del paesaggio. Fluttua fra piume dal contorno lucente che le rende eteree e impalpabili, e sta al centro di un girotondo di graziosi, piccoli alieni dai vari colori. «Uno stato caratterizzato da un senso di liberazione, pace interiore, forza e percezione della verità: la gioia di un’unione intima con la realtà e un nuovo amore cerso tutte le creature dell’universo» (Edwin A. Burtt, The Teachings of the Compassionate Buddha, New York, Mentor Books, 1952, p. 29, cit. in D. Molon, op. cit., p. 82). Questo è il messaggio ottimistico che Mariko Mori vuole trasmettere con Nirvana, utilizzando suggestivi costumi, raffinate tecniche di computer grafica, il tutto contornato da un’affinata impronta kawaii. Con le opere successive, Kumano Forest (1997-1998), Enlightenment Capsule (1998), Garden of Purification (1999) e Dream Temple (1999), esposte presso la Fondazione Prada nel 1999, Mori abbandona le forme d’espressione che ancora la legavano al mondo dei manga, del kawaii e degli otaku, per dedicarsi quasi totalmente a installazioni complesse e suggeMariko Mori: kawaii, buddismo e tecnologia

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stive, che trasmettono sempre più nettamente una spiritualità intensa e una maturazione dell’artsta a livello personale e mistico. Sebbene l’artista abbia modificato la sua tecnica, e con essa anche i messaggi che vuol comunicare, indubbiamente i suoi primi lavori restano un simbolo di grande valore per l’arte legata all’universo del grazioso e del carino e rimane un tramite per la ricerca sui problemi esistenziali dei giovani e per mostrare le difficoltà dei ragazzi giapponesi di fronte alla crescita in una società che non li rappresenta come persone e come singoli individui. «All’inizio ero più critica nei confronti della società in cui vivevo. Anzi, non era proprio una critica; era una forma di commento a margine della società. Oggi invece voglio sviluppare un’idea comprensibile in tutto il mondo, attingere all’essenza. Non è una 102


_Mariko Mori, Dream Temple, 1999. Š Mariko Mori. 103


fuga: al contrario, voglio mostrare nuove possibilità, dire al mondo che ci sono situazioni migliori di quelle in cui viviamo normalmente. So che tutto questo può sembrare un’utopia, ma io voglio davvero lavorare alla costruzione di una realtà positiva: voglio agire per il benessere del mondo». [M. Gioni – P. Ellis (nomi puntati nel testo), «Intervista a Mariko Mori. La terra vista da lontano», Intervista, a. iv, n. 19, estate 1999, Undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/cgibin/undo/magazines/magazines.pl%3Fid%3D934 210467%26riv%3Dintervis%26home%3D]

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Conclusioni, riferimenti bibliografici e su internet

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iamo giunti alla conlusione di questo breve viaggio nel mondo dell’arte Neo Pop giapponese ma fortunatamente la ricerca non finisce qui: negli ultimi anni si è parlato sempre più spesso di questi argomenti e tutto il mondo ha iniziato ad affacciarsi a Oriente con curiosità e desiderio di conoscenza. L’italia è solo una foce della grande influenza che la J-culture ha portato nella cultura occidentale ma ci sono sicuramente degli esponenti dell’arte, del design, della musica, della creatività e della nostra moda nazionale che si sono ispirati per le loro opere al Giappone e alla sua inconfondibile estetica. Tra gli artisti internazionali è da segnalare sicuramente la cantante Gwen Stefani, che nel 2004 esordisce come solista con l’album Love. Angel. Music. Baby, in cui testi e immagini fanno un chiaro riferimento all’amore per la cultura giapponese, in particolare per le Harajuku Girls. Prima di Gwen Stefani, nel 1997 un’altra artista internazionale ha attinto all’immaginario femminile nipponico: Bjork, con il suo Homogenic, album che non viene ricordato solo per il grande successo che ha ottenuto ma anche per l’indimenticabile foto di copertina, scattata da Nick Knight, in cui Bjork indossa un kimono disegnato dallo stilista Alexander McQueen e viene ritratta come una geisha postmoderna, quasi un’eroina di ghiaccio. Rappresentativi per l’Italia sono invece i contributi nel campo della moda e del design di marchi affermati e in continua evoluzione come Fornarina, che negli anni ha creato i suoi abiti plasmandoli su una rivisitazione della cultura Superflat, creando uno stile vincente. Da quel fulcro nasce anche Toki-Doki, con i suoi accattivanti personaggi sagomati sulla manga culture, e diventato tanto affermato e apprezzato proprio per l’inconfondibilità dei suoi capi. Non bisogna cadere in fallo pensando che gli artisti occidentali (siano essi pittori, fotografi, cantanti o stilisti) si ispirino all’arte giapponese per una sorta di stucchevole gusto per l’esotico o perché l’Occidente è una terra sterile e carente di fervore creativo, ma la sete di conoscenza degli artisti e la voglia di sperimentare nuove forme d’espressione porta l’arte giapponese a essere sempre studiata e indagata nelle sue peculiarità: l’arte pop giapponese è all’avanguardia, rimescola, smazza e


rimette in gioco le carte del contemporaneo servendosi di codici e poi rielaborandoli con risultati spesso sorprendenti agli occhi degli osservatori occidentali. Per chi volesse approfondire la poetica di Takashi Murakami è imperdibile Little Boy: The Arts of Japan’s Exploding Subculture, New York, Japan Society, 2005, realizzato dallo stesso Murakami che analizza il proprio lavoro, quello di altri artisti giapponesi contemporanei e approfondisce elementi della cultura popolare giapponese contemporanea, come Hello Kitty e l’anime Neon Genesis Evangelion. Per chi fosse interessato ai tre membri più famosi della sua factory c’è la triplice monografia Chiho Aoshima – Mr. – Aya Takano, Barcelona, Musée Art Contemporain Lyon – Panama Musées, 2006, di Isabelle Bertolotti e Thierry Raspail. Fonte di ispirazione su Aya Takano, Erina Matsui, Chiho Aoshima, Tomoko Sawada e Kohei Nawa è il quasi introvabile dossier a cura di Hélène Kelmachter, Kawaii! El Japò ara, Barcelona, Fundació Joan Miró, 2007, dossier della mostra del 21 settembre – 20 luglio 2007, Fundació Joan Miró, Barcellona. Nel volume di Yumi Yamaguchi, Warriors of Art: A Guide to Contemporary Japanese Artists, Tokyo, Kôdansha, 2007 si parla brevemente di quaranta artisti nipponici tra cui Mahomi Kunikata, Mr., Tomoko Sawada e Chinatsu Ban. Altri approfondimenti su Murakami, sui suoi lavori e quelli di artisti contemporanei come Aya Takano e Yoshitomo Nara si trovano in The Japanese Experience: Inevitable, Ostfildern, Hatje Cantz Verlag, 2002, a cura di Margrit Brehm. Un’intervista che ha unito concetti importanti sull’arte di Murakami a colori vivaci e alla dinamicità del piccolo schermo è la video intervista a Takashi Murakami per Cult, Sky, Canale 142. Interessanti approfondimenti su Mariko Mori e il suo lavoro si trovano in un’intervista di M. Gioni e P. Ellis, «Intervista a Mariko Mori. La terra vista da lontano», Intervista, a. iv, n. 19, estate 1999, disponibile su Undo.net/cgi-bin/openframe.pl?x=/cgi-bin/undo/ magazines/magazines.pl%3Fid%3D934210467%26riv%3Dintervis%26home%3D e sul sito Noemalab.org/sections/specials/tetcm/2002-03/mariko_mori/primi_lavori.html. 106

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Estremamente importante anche il periodico d’arte Flash Art, da cui sono state desunte preziose informazioni su Takashi Murakami e Mariko Mori: per Takashi Murakami sono stati fondamentali le dichiarazioni rilasciate a Cheryl Kaplan in «Takashi Murakami, il presente contro il passato», Flash Art, a. xxxv, n. 231, dicembre 2001 – gennaio 2002 e l’articolo di Chiara Leoni «Takashi Murakami, istericamente felice», Flash Art, a. xxxix, n. 256, febbraio-marzo 2006. Per Mariko Mori: Dominic Molon, «Mariko Mori, tra buddismo e tecnopop», Flash Art, a. xxxi, n. 212, ottobrenovembre 1998: in quest’articolo è importante il riferimento a Edwin A. Burtt, «The Teachings of the Compassionate Buddha», New York, Mentor Books, 1952; Michael Cohen, con l’articolo «Sogni di plastica. Mariko Mori nella bolla della realtà», Flash Art, a. xxxi, n. 212, ottobre-novembre 1998. Per chi avesse voglia di confrontarsi con un algido, criptico ed elegante volume su Mariko Mori è perfetto Mariko Mori: Dream Temple, Milano, Fondazione Prada, 1999; catalogo della mostra, Fondazione Prada, Milano, 22 maggio – 15 giugno 1999, a cura di Germano Celant. Un catalogo che tratta l’arte contemporanea giapponese sperimentale è Senritsumirai. Futuro anteriore: Arte attuale dal Giappone, Prato, Gli Ori, 2001; catalogo della mostra, 30 settembre 2001 – 6 gennaio 2002, Prato, Museo Pecci, a cura di Bruno Corà, Masahiko Haito, Samuel-Fuyumi Namioka: un trionfo di pittura, video, installazioni, performance, fotografia, scultura e impiego di nuovi materiali. Per confrontarsi con l’arte giapponese più tradizionale si può consultare un volume molto importante: Ukiyo-e. Il mondo fluttuante, Venezia, Electa, 2004; catalogo della mostra, 7 febbraio – 30 maggio 2004, Milano, Palazzo Reale, a cura di Gian Carlo Calza. Infine non può mancare nella biblioteca di un amante del contemporaneo in tutte le sue forme Lo zen e il manga. Arte contemporanea giapponese, Milano, Bruno Mondadori, 2009, di Fabriano Fabbri: un volume che scandaglia l’arte, il manga e la cultura giapponese mettendola in relazione con gli attuali creativi occidentali, anche quelli più underground. Conclusioni, riferimenti bibliografici e su internet

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Per chi invece preferisse approfondire i legami fra società contemporanea giapponese, espressioni artistiche e sessualità un ottimo testo critico, nonché ricco di immagini interessanti, è quello di Gabriele Rossetti Japan Underground, Roma, Castelvecchi, 2006. Un altro saggio dal titolo accattivante è Electric Geisha. Tra cultura pop e tradizione in Giappone, Milano, Feltrinelli, 1996, a cura di Atsushi Ueda, che delinea il profilo di un paese ultramoderno che si basa ancora su valori tradizionali. Electric Geisha, per inciso, è una metafora delle macchine per il karaoke! Altro testo assai importante è Manga! Manga! The World of Japanese Comics, Tokyo, Kôdansha International, 1983, di Frederik L. Schodt, che esamina il fumetto giapponese anche in riferimento al pubblico fruitore. Un testo fondamentale, senza il quale questa ricerca sarebbe stata incompleta, è Sol Mutante. Mode, giovani e umori nel Giappone contemporaneo, Genova, Costa & Nolan, 1996, di Alessandro Gomarasca e Luca Valtorta, che descrivono il retroterra sociale su cui nascono i nuovi fenomeni di una società veloce e «mutante». Da questo saggio nascono nuovi spunti e si incontrano interessanti riferimenti anche di carattere medico, come Kotoba o ushinatta wakamonotachi, Tokyo, Kôdansha, 1985, di Tetsuo Sakurai; Speed Tribes: Children of the Japanese Bubble, London, Boxtree, 1994, di Karl Taro Greenfeld; Joho chishiki – Imidas 1987, Tokyo, Shûeisha, 1986; Joho chishiki – Imidas 1988, Tokyo, Shûeisha, 1987; Joho chishiki – Imidas 1989, Tokyo, Shûeisha, 1988; e Asahi gendai yoo go. Chiezo – 1990, Tokyo, Asahi, 1989. Fra le moltissime pagine di siti internet divertenti e completi che trattano di moda, gothic lolita culture e gadget vanno annoverate almeno Nipponico.com/ dizionario/g/gothiclolita.php, Trashqueen.it/gothiclolita/htm/gothiclolita.htm e Http://spotx.blogosfere.it/2007/02/un-aereo-griffato-hello-kitty.html. Uno sguardo sentimentale lo si ha con Kitchen (Milano, Feltrinelli, 1991), romanzo di Banana Yoshimoto, la cui prefazione di Giorgio Amitrano racconta degli shôjo manga citando addirittura Lady Oscar. 108

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Per chiudere il cerchio si torna al punto di partenza, con le citazioni tratte da Nana Collection, vol. 6, Modena, Planet Manga, 2007, incantevole manga di Ai Yazawa. Ne Nana‌ watashitachi no deai, oboeteru?.

Conclusioni, riferimenti bibliografici e su internet

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Senti Nana… ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrate? Lo sai, io sono il tipo che crede fermamente nel destino… … Quindi sono assolutamente convinta che il nostro incontro sia stato voluto dal fato. Ridi pure, se vuoi… Ai Yazawa, Nana


I edizione: febbraio 2011 Copyright © Tunué S.r.l. Tunué. Editori dell’immaginario Via dei Volsci 139 – 04100 Latina – Italy tel. 0773661760 | fax 07731875156 info@tunue.com | www.tunue.com ISBN 978-88-89613-97-9 Per le immagini interne, dove non espressamente indicato, il copyright è degli aventi diritto

Editor di collana Marco Pellitteri Progetto grafico Mandarinoadv.com Copertina Iena Animation Studios S.r.l. (ienastudios.com) Stampa Stampa Sud S.p.A. Via P. Borsellino 7 74017 Mottola (Ta) – Italy


(Milano 1982) si è laureata in Grafica d’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Brera con una tesi sull’arte contemporanea giapponese. Ha lavorato con diversi editori italiani di fumetti e attualmente collabora con la casa editrice J-Pop, per la quale si occupa dell’adattamento grafico e dell’editing dei testi di diverse serie di manga giapponesi e manhwa coreani, lavorando anche su autori come il gruppo Clamp, Sahara Mizu e Naked Ape. È tra i fondatori dei siti/blog Dobtown.com e Lovedob.com. Oltre a Kawaii Art, Tunué ha pubblicato anche un suo altro lavoro, Gothic Lolita, sempre nella collana «Frizzz».

ISBN 978-88-89613-97-9

9 788889 613979

KAWAII ART . Valentina Testa

Valentina Testa

Il kawaii – con fiocchi, pizzi, merletti, gadget dal sapore infantile, manga e anime – e´ una maschera che nasconde il malessere e il nichilismo della gioventu ´ giapponese contemporanea ´ della quale per una societa non si sentono parte, preferendo evadere in un mondo effimero, molto piu ´ puro e virginale, ´ custodire dove si puo un frammento di fanciullezza.

©Tunué | tunue.com

Euro 9,70

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Valentina Testa

KAWAII ART

Fiori, colori, palloncini (e manga) nel Neo Pop giapponese


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