Le professioni del videogioco

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® Finalmente il manuale di riferimento per tutti coloro che desiderino entrare nel settore lavorativo dei videogame! I videogiochi rappresentano ormai un mercato in costante espansione, al quale si accompagna un’abbondante produzione editoriale: libri sugli effetti – reali e presunti – sui videogiocatori, su storia, linguaggi ed estetiche, nonché titoli e personaggi più famosi; non mancano diversi manuali tecnici sulla programmazione videoludica. Finora, tuttavia, era assente una guida descrittiva ed esplicativa sul settore lavorativo del videogioco nel suo complesso. A realizzarla, con un’enorme competenza maturata direttamente sul campo, due riconosciuti nomi del settore, Marco Accordi Rickards e Paola Frignani. Le professioni del videogioco spiega nel dettaglio ogni singolo compartimento del mondo lavorativo dei videogame e ogni singola figura professionale che li compone. Fornisce inoltre le esperienze, i pareri e i consigli di molti professionisti affermati del settore e presenta infine i dati dell’offerta formativa in Italia: università, scuole specializzate, corsi e programmi.

Paola Frignani (Milano 1977) si interessa di nuove forme di comunicazione legate al linguaggio videoludico. Collabora con la società Leader per lo sviluppo di nuovi canali produttivi legati al videogioco, e si interessa del rapporto tra videogioco e formazione. Dal 2005 si dedica all’insegnamento universitario, sviluppando percorsi formativi mirati al settore videoludico e tiene seminari di Digital entertainment design presso l’Università IULM di Milano. Nel 2008 contribuisce all’organizzazione, presso la IULM, del primo master universitario focalizzato interamente sul mondo dei videogiochi.

Le professioni del videogioco

Marco Accordi Rickards (Roma 1974) è giornalista e critico videoludico. Ha diretto numerosi periodici, tra cui Cube Magazine, PSW, PC Games World, DVD.it Film Magazine, Xbox World e Game Pro, l’edizione italiana di Edge. Nel 2008 ha co-fondato l’Associazione italiana opere multimediali interattive (Aiomi.it), che organizza l’Italian Videogame Developers Conference (Ivd conf.it), del quale è direttore e presidente. Dal 2006 è direttore culturale di GameCon, salone del gioco e del videogioco di Napoli. È docente di «Storia e critica del videogioco» presso lo IED di Roma e di «Giornalismo delle opere multimediali interattive» presso la IULM di Milano. Dal 2008 è vice presidente del Gruppo di filiera dei produttori italiani di videogiochi presso Confindustria, per il quale ricopre anche l’incarico di portavoce e addetto alle pubbliche relazioni.

Marco Accordi Richards – Paola Frignani

Le professioni del videogioco

Una guida all’inserimento nel settore videoludico

Carmack e Romero, creatori di Doom, hanno cominciato a programmare in un’autorimessa, per poi parcheggiarvi le loro fiammanti Ferrari. Shigeru Miyamoto ha inventato Donkey Kong e ha regalato alla Nintendo Super Mario, proiettandola verso il successo planetario. Toru Iwatani, contemplando una pizza mancante di una fetta, ha avuto l’idea per dar vita a Pac-Man… Dal canto suo, l’Italia da tempo sforna anche grandi professionisti dei videogiochi, i quali, però, lavorano per la gran parte all’estero. Ma il settore sta crescendo ed è in procinto di vivere un grande boom, fornendo a tante donne e uomini l’occasione della loro vita.

Marco Accordi Rickards – Paola Frignani

Le professioni del videogioco Una guida all’inserimento nel settore videoludico Prefazione di Andrea Pessino

Copertina: Iena Animation Studios www.ienastudios.com Copyright © Tunué

Euro 14,70


Carmack e Romero, creatori di Doom, hanno cominciato a programmare in un’autorimessa, per poi parcheggiarvi le loro fiammanti Ferrari. Shigeru Miyamoto ha inventato Donkey Kong e ha regalato alla Nintendo Super Mario, proiettandola verso il successo planetario. Toru Iwatani, contemplando una pizza mancante di una fetta, ha avuto l’idea per dar vita a Pac-Man… Dal canto suo, l’Italia da tempo sforna anche grandi professionisti dei videogiochi, i quali, però, lavorano per la gran parte all’estero. Ma il settore sta crescendo ed è in procinto di vivere un grande boom, fornendo a tante donne e uomini l’occasione della loro vita.


Marco Accordi Rickards (Roma 1974) è giornalista e critico videoludico. Ha diretto numerosi periodici, tra cui Cube Magazine, PSW, PC Games World, DVD.it Film Magazine, Xbox World e Game Pro, l’edizione italiana di Edge. Nel 2008 ha co-fondato l’Associazione italiana opere multimediali interattive (Aiomi.it), che organizza l’Italian Videogame Developers Conference (Ivd conf.it), del quale è direttore e presidente. Dal 2006 è direttore culturale di GameCon, salone del gioco e del videogioco di Napoli. È docente di «Storia e critica del videogioco» presso lo IED di Roma e di «Giornalismo delle opere multimediali interattive» presso la IULM di Milano. Dal 2008 è vice presidente del Gruppo di filiera dei produttori italiani di videogiochi presso Confindustria, per il quale ricopre anche l’incarico di portavoce e addetto alle pubbliche relazioni. Paola Frignani (Milano 1977) si interessa di nuove forme di comunicazione legate al linguaggio videoludico. Collabora con la società Leader per lo sviluppo di nuovi canali produttivi legati al videogioco, e si interessa del rapporto tra videogioco e formazione. Dal 2005 si dedica all’insegnamento universitario, sviluppando percorsi formativi mirati al settore videoludico e tiene seminari di Digital entertainment design presso l’Università IULM di Milano. Nel 2008 contribuisce all’organizzazione, presso la IULM, del primo master universitario focalizzato interamente sul mondo dei videogiochi.


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Marco Accordi Rickards – Paola Frignani

Le professioni del videogioco Una guida all’inserimento nel settore videoludico Prefazione di Andrea Pessino

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I edizione: aprile 2010 Copyright © Tunué Srl Via Bramante 32 04100 Latina – Italy www.tunue.com info@tunue.com Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento riservati per tutti i Paesi.

ISBN-13 gS1 978-88-89613-90-0 Progetto grafico: Daniele Inchingoli Illustrazione di copertina: Iena Animation Studios S.r.l. (ienastudios.com) grafica di copertina: Tunué © Tunué Stampa e legatura: Andersen Pubblicità e Marketing Via Brughera IV 28010 Frazione Piano Rosa - Boca (No)


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Indice

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Prefazione di Andrea Pessino

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Introduzione Ringraziamenti

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I Lo scenario attuale dei videogiochi I.1 Le premesse I.2 I videogiochi e il digitale oggi I.3 I videogiochi rendono stupidi? I.4 Il mondo dei videogiochi, questo sconosciuto I.5 Un po’ di storia I.6 E oggi? I.7 Il mercato dei videogiochi: Italia VS Mondo I.8 Conclusioni

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II Le professioni del videogioco, dall’ideazione alla distribuzione II.1 Premessa. I principali agenti del mercato II.2 Le fasi dello sviluppo II.2.1 Concept II.2.2 Macro design II.2.3 Pre-produzione II.2.4 Produzione II.2.5 Testing e debugging II.2.6 Approval

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II.2.7 Finalizzazione e chiusura II.3 La pubblicazione: nella mente del publisher II.4 Il distributore: alla fine della catena

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III Le professioni dello sviluppatore III.1 Il game designer III.2 Il producer III.3 L’artist III.4 Il programmer III.5 Il tester III.6 Il sound designer III.7 Il level designer

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IV Le professioni del publisher IV.1 Il brand manager IV.3 Il producer IV.3 L’head of development IV.4 L’operation manager IV.5 Il localization manager IV.6 Il community manager

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V Le professioni del distributore V.1 Il product manager V.2 Il Pr manager V.3 Il responsabile del trade marketing

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VI Le professioni dell’editoria VI.1 La stampa specializzata VI.1.1 Una tipologia delle riviste di settore VI.1.2 Il pubblico di riferimento VI.1.3 Come nasce una rivista VI.1.4 Le figure professionali dell’editoria videoludica VI.2 La stampa generalista VI.3 La stampa trade

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VII Offerta didattica e professionale VII.1 La formazione al tempo dei videogiochi

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1. Master in «Digital Entertainment Media & Design» 2. Master in Computer game development 3. Master in Virtual design 4. Corso di giornalismo e critica dei prodotti multimediali 5. Principali realtà del settore sul territorio italiano

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VII.2 Aspettando nuove opportunità: segnalazioni e progetti in itinere

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VIII Testimonianze di successo nel settore VIII.1 Conversazioni con alcuni professionisti italiani VIII.2 I consigli di chi ce l’ha fatta

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Glossario Riferimenti bibliografici


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Prefazione di Andrea Pessino1

Avevo quindici anni, mio padre era deceduto l’anno prima, stroncato dal cancro all’età di quarantun anni. Mia mamma, casalinga dal giorno di matrimonio, all’improvviso si era trovata a dover cercare lavoro per sostenere mia sorella e me. Le condizioni della famiglia erano disperate, finanziariamente e moralmente. Eppure mia mamma decise di soddisfare la mia esorbitante richiesta e acquistarmi un computer. Non solo una simile spesa (e risultante debito) era follia al momento, io volevo un computer per usare (e creare) dei giochi! Fu un sacrificio difficile da esprimere con parole, ma la decisione di fornirmi i mezzi per esplorare la mia passione, per quanto inesplicabile e remota sembrasse, diede forma al resto della mia vita. Armato del mio nuovo, scintillante Apple II, potente dei suoi 48 Kb di memoria e processore 8 bit 6502 da 1 MHz, passai centinaia di notti insonni imparando tutto quello che potevo per realizzare il mio sogno: creare videogiochi. La creazione dei videogiochi all’inizio degli anni ottanta era un affare minuscolo e tristemente solitario. Internet era ancora ben lontana, il mercato insignificante, gli appassionati rari e distanti (specialmente in Italia), i libri e le riviste pochi e superficiali, i giochi costosissimi e difficili da reperire. Il futuro dei giochi stessi non era affatto sicuro, con moltissimi «esperti» sicuri che non fossero niente di più di una moda passeggera. I giochi si facevano senza struttura, senza molti piani… 1 Nato e cresciuto in Italia e trasferitosi negli USA nel 1990, Andrea Pessino è cofondatore e vice presidente della sezione Technology della software house californiana Ready at Dawn Studios, che ha realizzato il titolo più di successo per PSP, God of War. È l’autore di tecnologie fondamentali per titoli blockbuster pubblicati da Blizzard, per cui è stato senior software engineer (WarCraft III: reign of Chaos, WarCraft III: The Frozen Throne) e ha contribuito alla tecnologia per l’arcinoto MMoRPg World of Warcraft.


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PREFAZIoNE

non esistevano artisti, se il programmatore non sapeva disegnare faceva giochi senza grafica (o con grafica astratta). Se non sapeva scrivere musica, il gioco non aveva musica, e così via. Il programmatore era tutto: designer, artista, scrittore, e il tempo di sviluppo era calcolato in mesi, al massimo! Fast forward venticinque e più anni e osserva il nuovo mondo… i giochi oggi sono creati da team che facilmente eccedono il centinaio, senza contare i contributi di gruppi esterni. I tempi di sviluppo si misurano in anni, e il mercato è talmente enorme da eclissare tutte le altre forme di intrattenimento! oggi il programmatore è solo una parte di una equazione complessa e dinamica, governata principalmente da una pesante realtà economica: fare giochi costa moltissimo. Con la pressione economica arriva anche la struttura: visto che il prezzo di sviluppo è così alto, l’inefficienza si trasforma in costo. Il risultato di tutto ciò è la specializzazione. I ruoli nei team sono sempre più specifici: i programmatori possono essere specialisti in grafica, simulazione, gameplay, tools, networking ecc. gli artisti sono painter, concept, character, rigger, texturer, modeler, animatori, lightining artist, special effects, technical artist, e così via. Al giorno d’oggi avere il desiderio non basta, è necessario anche avere una buona idea del processo di creazione, così che ci si possa indirizzare verso la disciplina che più ispira il futuro sviluppatore. Il sogno è lo stesso, ma il mondo è molto più complicato, e questo libro sarà uno strumento di enorme aiuto nel trasformare il vostro sogno in realtà! Andrea Pessino Cofondatore / Vice President of Technology ready At Dawn Studios LLC


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LE PRoFESSIoNI DEL VIDEogIoCo

A tutti quei professionisti che, con il loro costante lavoro fuori dalle luci della ribalta, stanno rendendo l’industria italiana dei videogiochi una solida realtĂ


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Avvertenza Il glossario in fondo al volume offre ai lettori tutte le informazioni sui termini tecnici e di settore che verranno incontrati nel corso della trattazione.


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Introduzione

La questione dell’occupazione è un fatto primario della vita di ciascuno di noi, un pensiero di ogni famiglia e, specie in tempo di crisi e recessione economica, un cruccio per ogni giovane che abbia concluso le scuole superiori e inizi quindi a pensare alle sue prospettive professionali. ora, la parola videogioco, sulle prime, mal si associa a tematiche quali l’occupazione, lo studio e il lavoro; chiunque annoveri tra i suoi passatempi i videogames avrà almeno un ricordo dei suoi genitori che, facendo irruzione in camera, sbraitavano, quasi fossero il sergente istruttore di Full Metal Jacket: «Smettila di giocare e fa’ i compiti!». Videogioco è uguale a perdita di tempo, giusto? Sbagliato. Nei suoi brevi e intensi trent’anni di storia l’industria dei videogiochi è cresciuta, si è sviluppata e, nei suoi diversi rami, da tempo – e in particolare oggi – offre concrete possibilità di lavorare al suo interno, per fare del gioco elettronico la fonte di sostentamento della propria vita. Con un po’ di fortuna, anche della propria famiglia. È successo agli autori di questo manuale, a tanti loro colleghi e conoscenti e sempre più accadrà: non è né una profezia né un giocare d’azzardo, ma un semplice dato di fatto, raccontato dalla storia già vissuta da altre nazioni, europee e non, dove l’industria dei videogiochi è più articolata, vasta e matura. In Italia, come leggerete nelle pagine che seguono, il mercato dei videogame (software e hardware, cioè giochi e supporti per utilizzarli) ha già assunto dimensioni di tutto rilievo, aggirandosi attorno al miliardo e duecento milioni di euro annuali complessivi. Una bella cifra, che negli ultimi anni è cresciuta rispettivamente del 40% e del 20% circa, stando al Rapporto Annuale sullo Stato dell’Industria Videoludica in Italia di AESVI del 2009, nonostante il mondo sia afflitto dalla più grave crisi economica dai tempi del crollo di Wall Street del 1929. Niente male per dei «giochini elettroni-


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ci»! Il punto è che, in realtà, i videogiochi sono ormai ben altro che semplici «giochini elettronici». Un videogioco di fascia alta, un prodotto cioè generalmente destinato alle home consoles e che non ha nulla da invidiare sul piano della qualità e dell’accuratezza a un kolossal cinematografico, oggi, è un’opera multimediale interattiva che, per essere realizzata, necessita di un paio d’anni di lavoro da parte di un team che spesso supera le cento persone, che si avvale generalmente del contributo di altre società esterne e che, in sostanza, può essere tranquillamente assimilato a quello necessario appunto a realizzare un film di successo destinato alle sale cinematografiche. Il videogioco, ormai bene di punta dell’intera industria dell’intrattenimento (con fatturati superiori alla musica, ai giocattoli, al cinema e all’home video, stando al Rapporto sullo Stato dell’Editoria Audiovisiva in Italia di Univideo), resta insomma un passatempo, ma è anche un mezzo di comunicazione del pensiero e un prodotto industriale tecnologico di eccellenza; tutti dati che, parlando di occupazione, si traducono in posti di lavoro. Piano, però, non allarmatevi. Per lavorare nell’industria videoludica non occorre necessariamente essere dei piccoli genii dell’informatica cresciuti a pane e linguaggio macchina, e il libro che avete in mano in questo momento è nato proprio per fare luce su queste tematiche. Perché è importante capire che un settore ampio e in crescita come quello del videogioco può essere osservato da molte prospettive diverse, ciascuna delle quali cela (ma neanche troppo, in verità) svariate opportunità di lavoro e di profitto. Per rendere esplicito questo quadro d’insieme, proponiamo un esempio. Un editore di videogiochi (c.d. publisher) decide di realizzare e commercializzare un nuovo gioco d’azione per consoles e si affida a un team di sviluppo, cioè un’azienda specializzata nella creazione di videogiochi. Ecco subito un ampio numero di posti di lavoro: occorreranno programmatori, artisti concettuali, grafici bidimensionali e in 3D, animatori, game designer, musicisti e tante altre figure tecniche necessarie affinché ogni parte che andrà a costituire (e far funzionare) il gioco sia correttamente pensata e prodotta. Ma come coordinare tutto questo lavoro artistico e tecnologico? Con persone addette alla produzione, ovviamente; il producer, per esempio, è proprio colui che si sobbarca il difficile compito di assicurare che ogni pezzo vada al suo posto… per tempo, possibilmente! Ma un gioco, come del resto ogni altro prodotto, non può raggiungere il


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successo senza una complessa strategia commerciale e di comunicazione, attività svolte generalmente dall’editore attraverso una serie di figure professionali che, dal direttore marketing, arrivano fino al product manager, al brand manager e all’addetto stampa e pubbliche relazioni. Quest’ultimo ruolo viene spesso delegato, almeno in parte (pensiamo per esempio alla comunicazione sulla stampa generalista), a strutture esterne, vere e proprie agenzie che si occupano di far conoscere il prodotto ai media attraverso tutta una serie di specifiche attività quali la redazione di comunicati stampa o l’organizzazione di press tours, cioè di viaggi per portare i giornalisti a visitare lo studio di realizzazione del gioco. Da queste ultime righe emerge un’ulteriore figura che attiene all’industria del videogioco, anche se esternamente: quella del giornalista di settore, specializzato in informazione e critica videoludica, che potrà essere impiegato presso case editrici (su riviste di settore, testate generaliste ecc.), presso società di servizi editoriali o agire da libero professionista, realizzando singoli articoli o servizi per una o più testate. Non è tutto. Un videogioco, oggi, è un prodotto molto costoso, che può arrivare a richiedere un budget di oltre 100 milioni di dollari (parliamo dei casi eclatanti, prodotti come il recente Grand Theft Auto IV di Rockstar North, prodotto e distribuito da Rockstar e Take Two Interactive) ma che, comunque, non costa mai meno di qualche milione. Ciò significa che, per rientrare di tali investimenti vertiginosi, l’editore ha la necessità di aggredire il mercato globale, non limitandosi certamente alla sua nazione di origine. Questo comporta una complessa e attenta attività di localizzazione del prodotto, che in parole povere significa tradurre e adattare tutti i testi presenti sia sui manuali di istruzioni che all’interno del gioco e, nel caso il prodotto faccia uso di dialoghi, anche il doppiaggio degli stessi nelle principali lingue. Inutile dire che questo lavoro è svolto da professionisti presso lo stesso editore o specifiche compagnie di localizzazione. Anche l’effettiva distribuzione, cioè l’attività che porta il prodotto a raggiungere gli scaffali dei negozi, necessita del lavoro di molte persone; sono compiti che, rispetto ad altri precedentemente trattati, richiedono una minore competenza specifica in ambito videoludico ma che, proprio per questa ragione, possono offrire valide opportunità lavorative a chi è interessato a questo ambito da un punto di vista più strettamente economico o amministrativo.


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Questo ovviamente è solo un esempio, senza alcuna pretesa di esaustività, eppure rende bene l’idea di un settore stratificato, importante e multiforme, un’area economica e occupazionale in fortissima espansione che, se l’Italia saprà tenere il passo di altre nazioni che prima di essa hanno visto fiorire l’industria del videogioco (oltre che USA, giappone e Corea del Sud, pensiamo a Inghilterra, Francia, germania o Canada), riuscirà, nei prossimi anni, a offrire posti di lavoro a migliaia di ragazze e ragazzi… quegli stessi che, magari, erano stati rimproverati dai propri genitori di passare troppe ore davanti al proprio computer o alla propria console. Bizzarro, no? Lavorare nel campo che costituisce la propria passione. Certo: bizzarro ma molto bello e appagante, qualcosa che in altri ambiti (cinema, teatro ecc.), anche qui in Italia, esiste da decenni, ma che per i videogiochi è ancora una gradita novità. La formazione in materia videoludica, del resto, esiste, sebbene al momento attuale sia ancora in una fase di sviluppo non troppo avanzata. Corsi privati, master, insegnamenti universitari e altre proposte didattiche da parte di strutture pubbliche e private cominciano ad affacciarsi all’orizzonte, offrendo percorsi di apprendimento relativi allo sviluppo videoludico o alla comunicazione e al marketing di settore. Anche questa è una giungla fitta nella quale districarsi, perché le rette sono spesso alte e i rischi di rimanere delusi e non trovare ciò che si cerca restano tutto sommato elevati. Nelle pagine di questo libro troverete raccolte le informazioni relative a tutti i principali corsi al momento attivi in Italia, per poter valutare con una certa cognizione di causa se intraprenderne uno e con quali cautele. In un campo ancora relativamente nuovo come quello del videogioco è facile imbattersi in santoni dell’ultima ora, autoproclamatisi guru del settore, che ben poco hanno da insegnare e che, principalmente, hanno a cuore solo il denaro dei loro incauti studenti. La prima regola, non a caso, è sempre chiedere chi siano i docenti di un corso per poter visionare i loro curricula e sapere, in tal modo, quanto profonda, concreta e seria sia la loro immersione nel mondo videoludico nazionale e internazionale. Il manuale che state leggendo si propone di contribuire a colmare una grave lacuna nel panorama editoriale italiano, delineando l’industria nazionale del videogioco dal punto di vista delle figure professionali da essa richieste, dando consigli e spunti per i giovani che desiderino intra-


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prendere una carriera in questo settore e riportando le testimonianze di tanti professionisti del videogioco che, chi in un ambito e chi in un altro, sono riusciti a entrare nel mondo da loro amato, facendo del Videogioco il proprio lavoro. Avete letto storie di ogni genere, sui videogiochi e il successo: di come John Carmack e John Romero, creatori di Wolfenstein 3D e Doom, abbiano cominciato a programmare in un’autorimessa per poi parcheggiarvi le loro fiammanti Ferrari; di come un tal Shigeru Miyamoto, in quel di Kyoto, abbia inventato giochi come Donkey Kong e The Legend of Zelda, regalando alla ditta Nintendo il suo Super Mario e proiettandola verso il successo planetario; di come, sempre in giappone, secondo la leggenda Toru Iwatani, contemplando una pizza mancante di una fetta, abbia avuto l’idea per dar vita allo stranoto Pac-Man… Insomma, di storie di successo in ambito videoludico sono pieni i libri. Quel che mancava, però, era un testo concepito e redatto con in mente il nostro paese, l’Italia, una terra che da sempre è una straordinaria fucina di talenti e creatività e che, da tempo, sforna anche grandi professionisti dei videogiochi, i quali, però, al momento lavorano per la gran parte all’estero. L’Italia del videogioco sta crescendo, è molto maturata ed è in procinto di vivere un grande boom, fornendo a tante donne e uomini l’occasione della loro vita. Conoscere il settore nelle sue forme e declinazioni e capire come avvicinarsi a esso nel modo più corretto può essere la chiave per realizzare i propri sogni ed essere più felici. Leggere questo libro è solo il primo passo, a cui devono seguire studio, impegno, sacrificio e dedizione. Senza dimenticare, ovviamente, di giocare. Non è mica una perdita di tempo, sapete?

Ringraziamenti Vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alla stesura di questo libro e hanno partecipato alla ricerca di dati, informazioni e testimonianze per rendere questo manuale il più completo possibile. giovanna Vizzaccaro, Andrea Peduzzi ed Eliana Bentivegna per averci aiutato a raccogliere i dati, redigere il testo e correggerlo. Il loro contributo è stato semplicemente impagabile.


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Un doveroso e sentito grazie anche a Filippo Zanoli e Vania Saporito, che hanno collaborato con noi per dare una forma ai diversi profili professionali partendo da un milione di informazioni e fiumi di parole. Si ringraziano inoltre pe il gentile supporto AIoMI, AESVI (Thalita Malagò e Ilaria Amodeo) e il gruppo di Filiera dei Produttori Italiani di Videogiochi, parte del settore Assoknowledge di Confindustria (Raoul Carbone, giorgio Beccaceci, giovanni Caturano e Massimiliano Di Monda). Un grazie particolare, infine, va a tutti coloro che ci hanno raccontato le loro storie di vita professionale per rendere vero questo manuale e testimoniare che il mondo dei videogiochi in Italia esiste ed è piÚ vivo che mai.


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I. Lo scenario attuale dei videogiochi

I.1 Le premesse oggi parlare in Italia di videogiochi tende ancora ad avere un sapore un po’ sospetto. Quando non sono percepiti in un’accezione completamente negativa, vengono al massimo considerati alla stregua di un passatempo per bambini, magari una moda passeggera. Eppure il digital entertainment, per gli addetti ai lavori, è ben lontano dall’essere un semplice passatempo: il videogioco nell’arco di poche decine di anni è diventato una delle principali realtà del mercato dell’intrattenimento, arrivando a maturare incassi superiori a quelli di qualunque altro concorrente, facendo mangiare la polvere a musica, cinema, e – recentemente – persino all’home video.1 L’attivo del mondo del videogioco, in Italia, ha quasi raddoppiato il proprio valore in tre anni (741,9 milioni di euro nel 2006 e 1262,7 milioni di euro nel 2008),2 non risentendo della recente prudenza dei mercati dovuta alla crisi. Ultimamente, il pubblico di riferimento si è decisamente allargato: a divertirsi con i «giochini» non sono più soltanto i ragazzini, ma anche giovani professionisti, adulti, talvolta anche over 40.3 La percezione del mezzo, in tutto il mondo, sta subendo sostanziali cambiamenti, soprattutto dopo il lavoro di posizionamento svolto dalla Sony sul marchio PlayStation nella seconda metà degli anni Novanta, 1 Cfr. Univideo – Prometeia (a cura di), rapporto sullo stato dell’editoria audiovisiva in Italia – 2008, Milano, Univideo, 2009, p. 5. 2 Cfr. AESVI – gFK (a cura di), rapporto annuale sullo stato dell’industria videoludica in Italia – 2008, Milano, AESVI (Associazione Editori Software Videoludico Italiana), 2009, p. 11. 3 Ivi, p. 33.


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Lo SCENARIo ATTUALE DEI VIDEogIoCHI

che ha contribuito a rendere il videogioco una forma d’intrattenimento molto attraente. Nonostante simili cifre, una delle difficoltà principali delle aziende di settore – soprattutto in Italia – è il reperimento di personale adeguatamente formato da inserire tra le proprie fila. Perché? Tutti questi veloci cambiamenti hanno influenzato il mercato, rendendo necessaria la nascita di nuove professionalità in grado di dialogare con il mondo digitale, sul piano del marketing, della progettazione e della comunicazione. Le figure coinvolte nella filiera di un videogioco sono tantissime. oltre al game designer (spesso, il ruolo più ambito) esistono moltissime altre possibilità interessanti e gratificanti – legate magari all’editoria o alla distribuzione – che richiedono creatività e impegno. Purtroppo, i percorsi didattici espressamente dedicati sono una rarità. I ragazzi più motivati cercano di inserirsi nell’industria avendo alle spalle i retroterra più vari, facendosi la cosiddetta «esperienza sul campo». In più, molto spesso, anche gli appassionati finiscono con il considerare i videogiochi esclusivamente come un passatempo da coltivare nel tempo libero, piuttosto che una seria opportunità professionale. Il testo che tenete tra le mani, pensato in concerto con alcune delle principali realtà didattiche e industriali presenti sul territorio nazionale, si pone l’obiettivo di colmare alcune lacune e, soprattutto, di indirizzare giovani e professionisti interessati al settore verso il percorso più appropriato per realizzare i propri sogni: questo perché, probabilmente, uno dei segreti per la ricerca della felicità consiste nel coniugare con successo le proprie passioni con il proprio lavoro. I.2 I videogiochi e il digitale oggi Digitale e digitalizzazione sono termini da qualche anno sulla bocca di tutti e vengono spesso usati a sproposito: per sgomberare il campo da ogni fraintendimento sarà bene chiarirne il significato. Brevemente, per «digitalizzazione» s’intende un processo che converte un segnale analogico (continuo) in uno frazionato, costituito da una serie di numeri (discreto). In questo modo abbiamo la possibilità di ma-


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nipolare e gestire il suddetto elemento in maniera prima impensabile, arrivando a interagire con esso. Si perde – in parte – la qualità dell’analogico, ma si guadagna enormemente in termini di flessibilità d’utilizzo, come spesso accade secondo il principio di addizione e sottrazione che caratterizza i media, quando questi vedono indebolirsi aspetti in precedenza peculiari, implementando alcune novità. L’avvento di questa codifica, in pochi anni, ha finito con il modificare radicalmente le nostre abitudini e l’effetto è sotto gli occhi di tutti: nessuna delle forme di comunicazione, legate o meno al mondo dell’entertainment, è rimasta la stessa. Televisione, radio, cinema e musica hanno attraversato notevolissimi cambiamenti, influenzandosi reciprocamente e creando una sinergia che spesso ha portato a progetti «crossmediali» di grande impatto. In TV, per esempio, la possibilità d’interazione ha dato origine a un nuovo fenomeno di mercato, l’on demand, modificando completamente il concetto di palinsesto. oggi possiamo adattare la fruizione dei contenuti ai nostri ritmi, senza alcuna imposizione. Attraverso la codifica digitale, inoltre, possiamo avere accesso ai programmi in moltissimi modi: il fenomeno delle web TV ne è l’esempio più lampante. Con l’avvento dell’interattività è cambiato anche l’atteggiamento del pubblico, divenuto sempre più partecipe, e di conseguenza sono mutati (nel bene o nel male) i contenuti televisivi. Un esempio di questa nuova realtà è un tipo di programma fortemente discusso come il reality show, che fino a pochi anni fa sarebbe stato di fatto impraticabile. ovviamente, anche il mercato cinematografico ha risentito del cambiamento in corso. Dalla sola proiezione nelle sale si è passati, oggi, a concepire la vita delle pellicole in modo molto più vario: i film vengono venduti su DVD, sono accessibili anche in streaming sul personal computer o su terminali portatili, scaricati dai negozi on line ecc. Le emittenti americane più lungimiranti mettono a disposizione gratuitamente le puntate dei loro programmi già poche ore dopo la messa in onda regolare. Tutta questa «rimediazione»4 ha naturalmente influenzato 4 Il termine «rimediazione» nasce da un concetto coniato da Jay David Bolter e Richard grusin (legato tuttavia a un’intuizione di Marshall McLuhan): «Il contenuto di un medium è sempre un altro medium». In altre parole indica la rappresentazione di un medium all’interno di un altro. Cfr. Jay David Bolter – Richard grusin, remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, a cura di Alberto Marinelli. Trad. it. di Benedetta gennato, Milano, guerini e Associati, 2002.


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anche il linguaggio e i ritmi narrativi, favorendo la grande diffusione delle serie TV degli ultimi anni (Lost, 24 ecc.). La stessa cosa vale per la radio. oggi abbiamo la possibilità di scaricare sui nostri lettori MP3 (la cui enorme diffusione non è casuale) tutti i contenuti che desideriamo, per ascoltarli comodamente mentre facciamo sport o mentre viaggiamo. Sempre più spesso un programma nasce direttamente come podcast,5 altro segno dei tempi che cambiano. In campo discografico, poi, l’avvento del digitale ha modificato sensibilmente l’intera industria a livello di mercato, d’ideazione e sviluppo del prodotto, arrivando a influenzare persino le abitudini d’ascolto. Se fino all’altro ieri un autore era portato a concepire la propria arte in termini di «album», lavorando di conseguenza su una serie organica di tracce stilisticamente affini, oggi siamo catapultati nel regno del singolo. La maggior parte dei musicisti (soprattutto le nuove leve, in cerca di successo o di una maggiore affermazione) lavorano su pezzi godibili autonomamente, trasformando il concetto di album (organizzazione rigida) in quello di playlist (divisione tematica decisa dall’utente). Questo è principalmente dovuto all’avvento e alla larga diffusione del digital delivery6 (lo store, cioè il negozio/archivio, di iTunes ne è forse l’esempio più noto), che permette al cliente di acquistare per pochi euro anche una singola traccia. I tradizionalisti probabilmente storceranno il naso. I più attenti, invece, cercheranno di cogliere i frutti del cambiamento lavorando sulle opportunità, piuttosto che farsi frenare dai vincoli. ogni smottamento del mercato è gravido di problemi e opportunità, il discrimine sta nell’intelligenza delle risorse umane in gioco. Detto ciò, sarà bene considerare che il campo dell’entertainment non è il solo in cui il linguaggio digitale ha dato i suoi frutti: ogni aspetto della società contemporanea ne ha assaggiato le conseguenze, dall’informazione al modo di fare pubblicità, dalla cultura fino alla politica. Parla da sé il recente caso del successo elettorale di Barack obama, che 5 Il podcast è un documento (generalmente audio o video) scaricato da internet in modo automatico utilizzando un programma generalmente gratuito chiamato aggregatore o feed reader. 6 Il digital delivery è un sistema di vendita e distribuzione basato sull’acquisto e il download diretto dei prodotti (ovviamente digitali) direttamente dal web. L’esempio più noto è appunto lo store iTunes di Apple.


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probabilmente non sarà ricordato solo come il primo presidente afroamericano della storia degli Stati Uniti, ma anche come l’uomo che ha saputo servirsi in maniera più efficace delle possibilità offerte dai new media. obama è riuscito a sconfiggere i suoi avversari piegando alle proprie esigenze ogni declinazione possibile della moderna comunicazione: siti internet, blog, podcast, persino i videogiochi (ha utilizzato il cosiddetto in-game advertising inserendo dei cartelli pubblicitari all’interno del videogioco di racing Burnout Paradise); si è servito dell’interattività per ottenere in qualsiasi momento delle risposte e reazioni da tutto il suo elettorato. È riuscito ad accorciare le distanze con i sostenitori, mettendosi sullo stesso piano della gente comune, creando la sensazione di un vero dialogo. Non è stato un caso che obama abbia brindato alla propria vittoria proprio in questo contesto, anzi è un fatto particolarmente rilevante sul piano simbolico, che ci permette di constatare (non senza una certa poesia) come il digitale stia cambiando davvero le nostre vite e il nostro modo di pensare. E in tutto questo il videogioco come s’inserisce? Come una semplice forma d’intrattenimento? Assolutamente no. Il videogioco è probabilmente il frutto più interessante scaturito da questo scenario, quello che – più di ogni altro – ha saputo sfruttare le potenzialità del digitale, arrivando a narrare attraverso l’interattività e dando potere al libero arbitrio del giocatore. Il videogame, a differenza degli altri media, non è stato semplicemente influenzato e modificato dal digitale, è nato con il digitale, ne è il figlio legittimo e primogenito, quello di cui i videogiocatori odierni si divertiranno a osservare la crescita. I.3 I videogiochi rendono stupidi? Una delle principali ragioni dello scollamento tra alcuni segmenti della società e i videogiochi si è sempre poggiata sulla considerazione – spesso al limite della leggenda metropolitana – che «i videogiochi fanno male». Per anni i canali d’informazione generalista, a cicli più o meno regolari, si sono scagliati contro il mezzo, alimentando le loro tesi tecnofobiche con teorie o ricerche formulate da sociologi o psicologi in


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cerca delle luci della ribalta, dimostrando una certa miopia, soprattutto in relazione alle cifre del mercato. Il fenomeno non rappresenta certo una novità. È capitata la stessa cosa con l’avvento di ogni nuova forma di comunicazione o di intrattenimento; la gente, semplicemente, teme ciò che ancora non conosce e, solitamente, passano diversi anni prima che un medium venga legittimato culturalmente. oggigiorno non siamo ancora riusciti a liberarci del tutto della visione negativa della televisione che fa di tutta l’erba un fascio. Anche internet, nonostante sia un servizio ormai estremamente diffuso e che ha dimostrato la sua enorme utilità in moltissimi settori, è ancora sotto accusa. I videogiochi sono stati percepiti per diversi anni come appannaggio di una nicchia di appassionati (similmente ai fumetti o ai giochi di ruolo da tavolo). Eppure, se la televisione, in Italia, ha avuto un ruolo chiave nel combattere l’analfabetismo e nell’unificare la lingua nazionale, analogamente i ragazzi cresciuti con i videogiochi hanno imparato precocemente l’utilizzo del computer, ricavandone anche un’infarinatura della lingua inglese. Nonostante ciò, dagli anni ottanta hanno preso il via numerosi studi che si sono concentrati nel cercare tutta una serie di nessi tra il medium videoludico e i comportamenti aggressivi. Secondo non pochi studiosi i videogiochi spingerebbero i ragazzi alla pratica della violenza, riducendo la sensibilità e l’empatia verso i loro simili, e – confondendo il gioco con la realtà – a cercare addirittura una sorta di gratificazione nella violenza. Da anni, associazioni come il Parents Television Council si battono per l’abolizione o la rigida regolamentazione dei contenuti nei videogiochi,7 attribuendo loro un ruolo propedeutico verso l’alcolismo, il consumo di droghe e l’allontanamento dalla scuola. Negli ultimi anni la maggior parte di queste accuse sta subendo una decisa revisione: lo studioso James Paul gee (illustre membro della National Academy of Education, che danni si dedica all’esplorazione delle implicazioni educative dei nuovi media), con molti suoi lavori si è adoperato per dimostrare che, sul piano dell’induzione alla violenza, il 7

Cfr. Parentstv.org/ptc/videogame/main.asp.


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videogioco in sé non riveste un ruolo né positivo né negativo, dal momento che tutto dipende principalmente dalle inclinazioni dell’individuo e dal contesto in cui è inserito.8 Anche il celebre «test dell’aggressività»,9 utilizzato dai detrattori per molti anni, è stato recentemente considerato irrilevante e inappropriato dalle analisi dei ricercatori Lawrence Kutner e Cheryl K. olson, autori del noto testo Grand Theft Childhood, che indaga sul rapporto tra videogiocatori e violenza.10 Inoltre esiste da qualche anno in Europa un efficace strumento di autoregolamentazione chiamato PEgI,11 costituito proprio per aiutare i genitori a «tenere d’occhio» i prodotti destinati ai figli. Il sistema si basa su una classificazione in base all’età ed è curato principalmente da commissioni vicine al settore che «sanno quello che dicono», limitando gli errori di valutazione, che rischierebbero di danneggiare il mercato. Negli ultimi anni diversi studi condotti in ambienti accademici (soprattutto quelli legati allo studio delle neuroscienze), piuttosto che concentrarsi sulla decostruzione del mezzo, preferiscono più saggiamente indagarne i possibili benefici, e i risultati visti finora sono stati più che incoraggianti. Un recente lavoro presentato alla 58a conferenza annuale della International Communication Association da Shyam Sundar, direttore del laboratorio multimediale della Penn State University12 e basato sull’osservazione di cento soggetti, ha dimostrato che i videogiochi favoriscono nei giovani giocatori la creatività e il cosiddetto «approccio laterale» ai problemi. In giappone sono stati condotti degli esperimenti 8 Cfr. James Paul gee, What Video Games Have to Teach Us About Learning and Literacy, New York, Palgrave Macmillan, 2003. 9 I «test dell’aggressività», come l’Hand Test (in cui si lascia immaginare al soggetto l’azione che sta per essere compiuta da una mano vista in un’immagine) e il Thematic Apperception Test (dove, similmente al test di Rorschach, viene richiesta al soggetto la libera interpretazione di alcune immagini) sono test di valutazione della personalità, generalmente di tipo proiettivo, tra i più usati al mondo, ma che godono di un sistema non globalmente accettato. Cfr. Lucia Boncori, Teoria e tecniche dei test, Torino, Bollati Boringhieri, 1993. 10 Cfr. Lawrence Kutner – Cheryl K. olson, Grand Theft Childhood: The Surprising Truth About Violent Video Games and What Parents Can Do, New York, Simon & Schuster, 2008. 11 Il PEgI (Pan-European game Information) è un sistema di classificazione basato sul rapporto tra fasce d’età dell’utenza e i contenuti del prodotto. Il metodo è utilizzato su tutto il territorio europeo, eccetto il Regno Unito. 12 Per maggiori informazioni: Psu.edu/dept/medialab/researchpage/newabstracts/emotcreate.html. L’intero studio è reperibile su Allacademic.com//meta/p_mla_apa_research_citation/2/3/2/5/6/ pages232569/p232569-1.php.


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introducendo alcuni semplici mini-giochi nel programma didattico delle classi, e i benefici si sono visti sia tra gli studenti sia tra gli insegnanti, che hanno finito con l’accogliere positivamente l’iniziativa. L’Europa non è da meno: secondo il rapporto conclusivo del progetto «games in Schools», presentato il 5 maggio 2009 a Strasburgo presso il Consiglio d’Europa e realizzato da European Schoolnet, l’80% degli insegnanti si sono detti molto interessati alle implicazioni educative del videogioco e molti di loro hanno ammesso di avere già introdotto con successo il mezzo (attraverso prodotti di tipo «educational») all’interno di alcuni programmi didattici, sempre con il consenso dei genitori degli alunni. Su questo tema controverso esiste un testo cruciale: Everything Bad is Good for You, tradotto anche in italiano come Tutto quello che fa male ti fa bene. Perché la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono intelligenti.13 La tesi principale dell’autore è che i videogiochi (ma lo studio prende in esame anche i fumetti, le serie TV e altre rappresentazioni della cultura pop considerate negative) stimolerebbero il cervello alla soluzione di problemi complessi proponendo la risoluzione di una sfida, in maniera simile a quanto avviene – per esempio – negli scacchi. In particolare, gran parte dei benefici derivati sarebbero collegati al meccanismo di ricerca delle ricompense presente nella mente umana, il cui funzionamento si basa sull’esplorazione e sulla conquista. Di fronte a uno scenario fittizio, nel videogiocatore scattano automaticamente dei meccanismi analitici e deduttivi che stimolano enormemente l’attività cerebrale adibita alla risoluzione dei problemi: nessun’altra forma d’intrattenimento solleciterebbe tanto la mente, per via della fruizione attiva. Insomma: i giovani cresciuti con i videogiochi partono per alcuni aspetti avvantaggiati, dal momento che sono stati coinvolti fin da piccoli in attività molto sofisticate e nel riconoscimento di forme narrative non sequenziali, permettendo alla mente di sviluppare una forte attitudine alla decodifica degli schemi, alla flessibilità e al multi-tasking, cioè la capacità di compiere contemporaneamente più azioni che coinvolgano diverse aree cognitive. 13 Cfr. Steven Johnson, Tutto quello che fa male ti fa bene. Perché la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono intelligenti, Milano, Mondadori, 2006.


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Chi non ha potuto divertirsi con le console da ragazzo farebbe bene a non perdersi d’animo e a recuperare il tempo perduto. Mettersi alla prova con i videogame può costituire per adulti e anziani un’ottima occasione per avvicinarsi a figli e nipoti e relazionarsi più serenamente con il loro mondo, favorendo la comprensione reciproca. Inoltre i riflessi e la prontezza non possono che trarre giovamento da prodotti come WiiFit e Brain Training. Non è un caso se le più recenti interfacce di gioco (come il Wiimote della Nintendo, di cui si parla anche più sotto) abbiano abbracciato la strada della semplificazione, conquistando anche target maturi ma non avvezzi alla tecnologia. Questo va anche a dispetto di tutte quelle teorie che additano il videogioco come uno strumento che condurrebbe all’isolamento. In realtà, nel mercato trovano spazio sia le esperienze di gioco single player (che non rendono asociali più della lettura di un buon libro) sia quelle multi-player, che possono essere a loro volta on line (giocati su internet con altri utenti collegati) oppure off line (giocati con altre persone in presenza fisica). Anzi, uno dei principali richiami per la sfera di giocatori casuali (ma anche per i cosiddetti hardcore, i giocatori assidui) è la possibilità di condividere il gioco con amici e parenti, magari passando una divertente serata con un buon party game, o cantando a squarciagola una canzone mimando un ritornello con il noto gioco rock Band. Insomma, giocare non solo non danneggia, ma porta degli evidenti vantaggi. Non a caso, il settore dell’edutainment (neologismo che fonde le parole educational ed entertainment, ‘educativo’ e ‘intrattenimento’) sta raccogliendo le adesioni di molti pedagogisti. E, forse, se la strada della piena legittimazione è ancora lontana, sembra che ci si stia muovendo nella giusta direzione. I.4 Il mondo dei videogiochi, questo sconosciuto Dopo aver dato una rapida occhiata alle cifre di un mercato in costante ascesa, all’innegabile importanza rivestita dal digital entertainment all’interno della comunicazione, dell’arte, del business, e ai suoi effetti positivi, una domanda potrebbe sorgere: perché il videogioco non gode


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della fama degli altri media? Perché l’uomo della strada, spesso, non conosce nulla di questo mondo? Le risposte possibili sono diverse, ma una delle più evidenti circostanze che mettono i videogiochi in difetto rispetto al cinema o al mondo discografico risiede nella mancanza di uno star-system. Il videogioco, semplicemente, non ha bisogno di attori. Un personaggio digitale è creato ex novo direttamente dagli autori e, per quanto si possa lavorare sulla caratterizzazione fisica e sul carisma, raramente riuscirà a rubare la scena a una star in carne ed ossa, che gode del fascino di una vita vera e che fa parlare di sé anche fuori del set, creando sempre notizia e alimentando interi settori dell’informazione. In più, il personaggio di un videogioco raramente è spendibile al di fuori della saga d’appartenenza (o al massimo in qualche prodotto derivato): non può semplicemente smettere i propri panni e «interpretare» qualcun altro, sarebbe un’operazione poco credibile, su cui non varrebbe la pena investire risorse. Alcuni sviluppatori, nel tentativo di aggirare il problema, hanno deciso di fornire ai protagonisti dei loro titoli delle voci illustri (come avviene da tempo nel cinema d’animazione): anche l’Italia si è adeguata, coinvolgendo nel doppiaggio di videogiochi il noto deejay Linus (Halo 3), l’attrice Asia Argento (Mirror’s Edge) o il regista Dario Argento (Dead Space). Purtroppo, al di là del richiamo pubblicitario successivo al lancio, l’«effetto cinema» è ancora un miraggio e i risultati non sempre sono stati all’altezza, considerando che le tecniche di doppiaggio previste per un prodotto interattivo sono difficilmente intercambiabili con quelle classiche. In tutti questi anni, solo alcuni personaggi dei videogiochi sono riusciti a imporsi nell’immaginario collettivo, al punto da divenire la chiave del successo del prodotto, ma sono casi molto rari. Pac-Man, Mario, Lara Croft, hanno fatto parlare di sé anche sui media generalisti, diventando dei fenomeni di costume. Tuttavia il resto dei personaggi, per quanto ben fatti, è destinato all’oblio, a essere notato solo dagli appassionati, strappando qualche copertina alle riviste specializzate. Si consideri anche che talvolta la caratterizzazione dei personaggi non rientra nemmeno nelle scelte di design. Mentre il giappone tradizionalmente ha sempre investito nella creazione di trame avvincenti sorrette da


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personaggi interessanti, nel tentativo di trascinare il giocatore nella storia, optando per una narrazione «in terza persona» (i lavori dei game designer Hideo Kojima14 o Hironobu Sakaguchi15 ne sono la prova più lampante), l’America ha preso una strada completamente diversa. giochi come Halo, Gears of Wars o Unreal Tournament preferiscono investire sulla confezione di stereotipi o «involucri vuoti» destinati a essere riempiti dall’utente stesso: non è un caso che il mercato statunitense sia prevalentemente orientato verso il genere FPS (first person shooter, ‘sparatutto in soggettiva’), in cui la dinamica del gioco, di norma basato su sparatorie, è ripresa dal punto di vista del protagonista, di cui raramente vediamo il volto, il che consente peraltro una maggiore identificazione da parte del giocatore stesso. Anche nel campo dei gDR (giochi di ruolo) le differenze sono nette: mentre in giappone, come detto, il protagonista è precostituito (un esempio per tutti è la serie Final Fantasy), i titoli americani (Oblivion, Mass Effect e il recente Fallout 3, che permette di gestire il personaggio fin dai suoi primi vagiti) offrono la libera personalizzazione dell’avatar (l’alter ego digitale del giocatore), sia sul piano fisico che psicologico. Di conseguenza anche l’approccio alla narrazione gode di un respiro più ampio, spingendosi – con i prodotti di tipo sandbox16 – fino alle conseguenze più estreme. Insomma, prima che un personaggio dei videogiochi possa attraversare un tappeto rosso passerà ancora parecchio. Quali possibili soluzioni? Una strada intelligente, ma ancora raramente percorsa, per creare uno star-system videoludico, potrebbe essere quella di investire sugli autori dei giochi. Il progettista di un videogame incarna moltissime delle funzioni che, nel cinema, competono al regista. Il game designer lavora sull’idea principale, coordina il lavoro del team e deve essere in grado di dialogare con le diverse professionalità che concorrono allo sviluppo del titolo. Deve avere apertura mentale, flessibilità, una cultura piuttosto ampia, uno sviluppato senso artistico (in campo grafico, Si veda il personaggio Solid Snake, protagonista della serie Metal Gear. Si vedano i personaggi Clod Strife e Sephirot, della serie Final Fantasy. 16 Per sandbox, in ambito videoludico, si intende una meccanica di gioco che consente all’utente di interagire liberamente con l’ambiente circostante senza necessariamente avanzare lungo i binari prestabiliti. gli esempi più significativi sono la serie Grand Theft Auto e il recente Infamous. 14 15


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musicale e narrativo) e un’adeguata competenza tecnica. Inoltre, per tenere a galla il suo concept, l’idea alla base del progetto, non deve mai perdere di vista le necessità del mercato. I grandi designer del calibro di Peter Molineux (Populous, Fable I e II, The Movie) o Shigeru Miyamoto (Super Mario Bros, la serie Zelda) sono personaggi eclettici e interessanti, che hanno contribuito con il loro lavoro a generare il linguaggio dei videogiochi, a definirne i generi e i confini, come hanno fatto a suo tempo i grandi registi cinematografici: un’immagine ben lontana dallo «smanettone» che arrangia i giochi in garage. Le novità introdotte da molti pionieri hanno varcato i confini del semplice gioco, influenzando moltissimi altri campi sul piano della narrazione, delle interfacce, persino della grafica e del design. oggi lo stile di certe pellicole cinematografiche o di molti prodotti televisivi è debitore del videogioco più di quanto si sarebbe disposti ad ammettere. E non è solo il designer a rivestire importanza, anche altre figure potrebbero essere messe in evidenza: un grande artist (ovvero la persona che cura a vari livelli gli elementi grafici del gioco, come l’ambientazione o il design dei personaggi), per esempio, o un grande sound designer. Pensate: poter aprire la pagina degli spettacoli di una qualsiasi rivista e leggere dell’uscita del prossimo gioco di Will Wright (il brillante game designer autore di autentici capolavori, come il classico Sim City, o il recente Spore), o del nuovo lavoro che ha visto la partecipazione di Nick oroc (artista specializzato nella realizzazione di personaggi e sfondi per videogiochi, come Prince of Persia o Splinter Cell). Al momento invece l’industria, come unico riconoscimento per il duro lavoro di un intero team e del suo lead (coordinatore), concede al massimo qualche riga nei titoli. Certo, le cose stanno un pochino cambiando, molto autori spingono per ottenere il riconoscimento che meritano. Sid Meyer (autore di Civilization) è stato uno dei primi, al pari di orson Welles, a pretendere il proprio nome prima del titolo del prodotto, e altri cercano di seguire la sua strada. Ma siamo di fronte a casi sporadici, che riguardano solo designer ormai arrivati che dispongono di un buon potere contrattuale con gli editori. Per tutti gli altri c’è ancora l’oblio. Eppure, l’industria del digital entertainment farebbe bene a iniziare a scommettere maggiormente sui propri nomi, ne trarrebbe grande


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vantaggio. Conferirebbe maggiore prestigio al prodotto, soprattutto al lancio, e contribuirebbe ad avvicinare maggiormente al settore il suo pubblico, creandone anche di nuovo. I.5 Un po’ di storia Come spesso succede, la nascita della tecnologia di un mezzo precede quella dei suoi contenuti. Nel nostro caso la leggenda vuole che nel 1962 l’informatico del MIT (Massachusetts Institute of Technology, a Boston) Steve «Slug» Russell, nel tentativo di creare un buon software per mostrare al pubblico le capacità dell’allora pionieristico elaboratore PDP-1, abbia creato quello che viene tecnicamente considerato come il primo vero videogioco della storia: Spacewar!.17 Diciamo «tecnicamente» perché pochi anni prima, nel 1958, il fisico William Higginbotham, pure alla ricerca di un’attrazione da mostrare durante la giornata di apertura al pubblico dei laboratori Brookhaven a Long Island, creò un divertente giochino chiamato Tennis for Two, visualizzato su un oscilloscopio.18 Quello che importa è che la nascita del videogioco non è stata poi così programmatica: l’intento non era creare un nuovo intrattenimento o una nuova forma d’arte. Si voleva semplicemente trovare una qualche applicazione d’effetto che mostrasse alla gente i muscoli dei primi calcolatori. A suo tempo, alla radio, al cinema e alla televisione non era andata tanto diversamente. Nel 1971 il giovane universitario Nolan Bushnell, insieme all’amico Ted Dabney, decise di buttarsi negli affari, commercializzando una versione modificata di Spacewar! chiamata Computer Space: fu un mezzo fiasco, ma i due soci non si persero d’animo e poco tempo dopo, fondata una società chiamata Atari, misero sul mercato una sorta di simulazione di tennis, dalla grafica decisamente spartana: Pong. Fu un successo. Lo stesso Bushnell dichiarò: «Dopo aver installato la prima macchi17 Cfr. Matteo Bittanti, Per una cultura del videogame. Teorie e prassi del videogiocare, Milano, Unicopli, 2002. 18 Cfr. Rusel De María – Johnny L. Wilson, High Score! La historia ilustrada de los videojuegos, Madrid, Mcgraw Hill – Interamericana de España SAU, 2002.


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na sono andato di corsa a casa. Un paio d’ore più tardi […] le monetine da 25 centesimi non entravano più nella macchina. Il mio Pong era così pieno di soldi che rischiava di scoppiare!».19 Nel giro di poco Atari decise di portare i videogiochi dalle cosiddette sale arcade alle case dei ragazzi, prima appoggiandosi alla piattaforma casalinga Magnavox odyssey, successivamente lanciando la console Atari 2600, la prima di successo della storia (circa 30 milioni di pezzi venduti). ormai la strada era spianata e in poco tempo il mercato esplose: furono lanciate moltissime macchine da gioco (alcune furono dei veri e propri fiaschi). Intere aziende di giocattoli cercarono di riciclarsi nel nuovo business e nessuno voleva rinunciare alla sua fetta: si arrivò limite della saturazione.20 Se in occidente si faceva festa, in oriente non stavano certo a guardare. Nel 1978 Taito lanciò il futuro classico degli shoot’em up (‘spara a tutti’, genere noto in italiano, nel gergo, come «sparatutto») Space Invaders, che conquistò presto anche gli Stati Uniti. Nel 1980 la Namco (nata come produttrice di giocattoli), dopo aver acquisito la locale divisione di Atari, creò la prima vera star del mondo dei videogiochi: Pac-Man. Pochi anni dopo, nel 1984, mente in America si stava registrando un crollo del mercato arcade (ovvero delle postazioni video ludiche da sala giochi o da bar), una compagnia di nome Nintendo lanciò sul mercato una sofisticata console chiamata Famicom, assieme a un gioco realizzato da un giovane designer di nome Shigeru Miyamoto, già autore della versione coin-op (‘funzionante a moneta’, cioè da sala): Donkey Kong. Il protagonista era un buffo idraulico italiano con i baffi, impegnato a farsi in quattro nel tentativo di salvare l’amata principessa. Mario Bros divenne in poco tempo la mascotte della casa di Kyoto, nonché una delle maggiori icone videoludiche di tutti i tempi. E così, mentre in campo console si passava in pochi anni dalla generazione 8 bit a quella più sofisticata, a 16 bit (Super Famicom, Sega Megadrive), in Europa e in America si giocava volentieri anche sui PC, in particolare quelli della famosa ditta Commodore (Vic20, C64 e poi la fortuna19 Cfr. Steven Kent, And Then There Was Pong. Ultimate History of Video Games, New York, Three Rivers Press, 2001. 20 Cfr. Matteo Bittanti, L’innovazione tecnoludica. L’era dei videogiochi simbolici (1958-1984), Milano, Jackson Libri, 1999.


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ta serie Amiga). La Nintendo prese poi la decisione di buttarsi nel mercato dei dispositivi portatili, lanciando la console portatile game Boy (1989). Apparentemente, non una gran macchina: con un hardware appena soddisfacente e lo schermo monocromatico non poteva competere con i rivali a colori Atari Lynx e Sega game gear. Eppure il game Boy consumava poco, era decisamente piccolo e fu affiancato all’uscita da una serie di killer application, cioè di giochini semplici ma irresistibili. In particolare era venduto in abbinamento a Tetris, un puzzle game a scorrimento verticale (creato pochi anni prima da un geniale designer sovietico di nome Alexey Pajitnov). Fu un successo senza precedenti. La lungimirante capacità di interpretare correttamente il mercato permise alla Nintendo di dominare il mondo del gaming portatile, mantenendo il primato fino a oggi.21 Con l’introduzione di tutte queste novità, il mezzo era ormai abbastanza maturo da riflettere su sé stesso. Era l’età dell’oro dei grandi pionieri del design, personalità che, con la loro capacità di dialogare con l’industria senza rinunciare all’estro creativo e alla loro visione, hanno saputo definire i parametri dei videogiochi. Per celebrarli tutti non basterebbero pagine intere, ma vale la pena almeno ricordare, oltre ai già citati Miyamoto e Pajitnov, Peter Molyneux, papà di Bullfrog e dei cosiddetti god game sul genere Populous; David Crane, teorico del virtuale, con le sue Little Computer People; Richard «Lord British» garriot, che con la serie Ultima ha impostato i gDR all’occidentale; Will Wright, il «Primo Cittadino» di Sim City; L’eclettico Ron gilbert, che con lo humour e gli enigmi di Maniac Mansion e Monkey Island ha fatto passare notti insonni a milioni di avventurieri; Jon Hare, designer di Sensible Soccer e altri indimenticabili successi dell’epoca di Amiga; I ragazzi del Team17, con il loro difficilissimo sparatutto ProjectX; John Carmack, l’inventore di Doom e degli FPS così come li conosciamo oggi; I fratelli Robyn e Rand Miller, creatori del suggestivo Myst; il già menzionato Hideo Kojima, con la sua vocazione da regista di film di guerra. E la lista potrebbe continuare per parecchio. Tutta questa differenziazione dell’offerta contribuì anche alla nascita e al consolidamento dei generi: platform, picchiaduro, sparatutto, simulatori, sportivi, puzzle, gestionali, manageriali, strategici, giochi di ruolo, 21

Cfr. Fabrizio Vagliasindi, L’Arte del Digital Design, Milano, FrancoAngeli, 2003.


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avventure grafiche. ognuno (comprese le ibridazioni) trovava e trova la declinazione più adatta su un formato piuttosto che su un altro, contribuendo alla segmentazione dei giocatori. Nel videogioco, a differenza del cinema, un genere non viene definito dall’ambientazione o dalla trama, quanto dalle meccaniche di gioco adottate (dette gameplay) nel rispetto della caratteristica principale del mezzo: l’interattività. A metà degli anni Novanta, con lo scenario console dominato dalla Nintendo e dalla Sega, una nuova e imprevista variabile decise di entrare nei giochi e rimescolare le carte. Dopo una fallita trattativa con la Nintendo, il gigante giapponese Sony crea una sua macchina da gioco: è l’alba della PlayStation. La neonata console presentava una serie di caratteristiche molto interessanti. oltre all’hardware di tutto rispetto (basato su un’architettura a 32 bit), era evidente la cura riposta nel design, lontano dall’aspetto «giocattoloso» dei concorrenti. Ma soprattutto, la PlayStation rinunciava alla presenza delle cartucce in favore del più capiente, economico e flessibile supporto CD-RoM, permettendo anche l’ascolto di normali CD audio. Tutte queste scelte permisero alla Sony di posizionare intelligentemente il marchio PlayStation, andando a coinvolgere la fascia di giovani adulti, contribuendo (anche grazie a un parco titoli più maturo) a rendere il videogioco qualcosa di cool. Risultato: dalla PlayStation in avanti la console non è più destinata alla cameretta dei figli, bensì a fare bella mostra di sé nel salotto buono, accanto a stereo e lettore DVD. I numeri hanno hanno dato alla Sony: oltre 40 milioni di unità vendute nel mondo in soli tre anni e un parco titoli enorme, al punto che la parola stessa PlayStation è diventata col tempo un vero e proprio sinonimo di videogioco. I.6 E oggi? Dopo la direzione indicata dalla Sony con la sua generazione di console, i videogiochi hanno letteralmente bruciato le tappe. All’alba del nuovo secolo, alla prima PlayStation è seguita la seconda, molto più potente. La Sega e la Nintendo hanno lanciato rispettivamente le sfortuna-


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E oggI?

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te console Dreamcast e game Cube; persino MicroSoft, fiutando il giro d’affari ormai miliardario, ha fatto il suo ingresso nel mercato con la prima xbox. oggi lo scenario appare enormemente arricchito grazie all’introduzione dell’on line gaming, delle piattaforme di digital delivery e della grafica in HD (high definition). A spartirsi il mercato delle console domestiche sono la xbox 360 (erede della prima console MicroSoft), la PlayStation 3 (ormai non più unica padrona del mercato) e, soprattutto, il Nintendo Wii. La console della casa di Kyoto rappresenta una novità interessante: mentre le più potenti sorelle maggiori combattevano mostrando i muscoli, a colpi di grafica al limite del fotorealismo e potenza di calcolo, la Nintendo, un po’ per ragioni economiche, un po’ per vocazione aziendale, ha deciso di percorrere una via tutta sua, puntando sulle interfacce. Dopo il fortunatissimo portatile Nintendo DS (successore del game Boy e munito di touch screen), ha messo in vendita il Wii, sorta di riedizione del game Cube aggiornato con un nuovo e intuitivo sistema di controllo. grazie al controller Wiimote, è possibile semplicemente mimare un comando per vederlo eseguito dall’avatar: certo, in maniera non precisissima, ma quello che conta è la sensazione. Il successo è stato enorme: la Nintendo ha avvicinato nuove fasce d’utenza (tra cui la categoria femminile e quella degli over 50), contribuendo ad allargare il target anche ai cosiddetti casual gamer, i videogiocatori non abituali. Con Nintendo Wii possiamo giocare a tennis o a bowling in salotto e, grazie all’introduzione della Balance Board (la periferica della Nintendo che permette di «leggere» i movimenti e l’equilibrio del nostro corpo) persino mantenerci in forma. Da quanto visto alla recente rassegna del settore E3 2009,22 le cifre della Nintendo hanno fatto sobbalzare sulla poltrona i concorrenti, che hanno raccolto la sfida delle interfacce annunciando succose novità: il Motion Controller della Sony e, soprattutto, l’avveniristico Project Natal di 22 La E³ (Electronic Entertainment Expo) è la fiera di videogiochi annuale più importante del mondo che si tiene dal 1995 a Los Angeles. ogni estate non solo vengono presentati nuovi videogiochi e nuovi hardware, ma si tengono dei veri e propri meeting e forum riguardo il mondo videoludico e la sua evoluzione.


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MicroSoft, che permetterebbe addirittura la rinuncia ai controller, rilevando gli input direttamente dal movimento del corpo. Con tutte queste rivoluzioni, tuttavia, difficilmente scompariranno i generi e i controlli tradizionali: il mercato lavora su fasce diverse e c’è spazio per tutti. Il dialogo tra vecchio e nuovo sarà gravido di conseguenze interessanti. I.7 Il mercato dei videogiochi: Italia Vs Mondo Il mercato dell’home entertainment mondiale nel 2008 ha realizzato 61 miliardi di dollari, con un incremento del 6% rispetto all’anno precedente. I videogiochi rivestono il 57% dell’intero mercato. Il fatturato 2008 relativo al software si aggira nel settore videoludico intorno ai 32 miliardi di dollari, con un incremento del + 20%. Nel 2008 si è sviluppato per le vendite di hardware e software un giro d’affari complessivo pari a 1262,7 milioni di euro, contro i 741,9 milioni totalizzati nel 2006; e si registra rispetto al 2007 un trend di crescita pari al 21,6%. Un apporto significativo alla crescita proviene soprattutto dalle vendite legate all’hardware: console casalinghe e portatili. La Sony, la MicroSoft e la Nintendo hanno conquistato il mondo dell’intrattenimento digitale e hanno una considerevole «base installata» (cioè il numero di console vendute e quindi, presumibilmente, installate in casa). Si parla, infatti, di circa 300 milioni di console presenti negli USA, in Canada, in giappone e in Europa.23 Se invece analizziamo le preferenze dei giocatori per le singole console, notiamo che la PlayStation 2, lanciata nel corso del 2000, ha venduto a oggi più di 100 milioni di pezzi. La macchina ha acquisito grande popolarità con il tempo grazie al costante aumento di titoli disponibili e alla crescente qualità. In Italia ci sono più di 4,5 milioni di PS2 e la console continua ad avere un forte impatto sulla società, soprattutto su coloro che si sono avvicinati solo ultimamente ai videogiochi, facendosi traghettare in questo mondo dalla storica console Sony, molto appetibile sia sul piano economico sia su quello della line-up. 23 Cfr. Top Global Markets report, retail Tracking Service, Port Washington (NY), The NPD group, Inc., 2008 (Npd.com).


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Tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002 esce sul mercato xbox, la risposta di MicroSoft al monopolio della Sony. Dopo un debutto non all’altezza delle aspettative, MicroSoft lancia il servizio di on line gaming, xbox Live, che rende possibile ai giocatori di tutto il mondo sfidarsi tra loro; nel luglio 2004 annuncia il raggiungimento del milione di utenti. Lo stesso anno vengono presentate le console portatili, che rendono il giocatore libero di portarsi dovunque il divertimento. La PlayStation Portable (PSP) presentata nel 2004 alla E3 viene resa disponibile al pubblico nel 2005. L’offerta è varia e articolata: offre la possibilità di giocare con i videogiochi, vedere video, ascoltare musica, visualizzare immagini, fornendo anche (nelle versioni più recenti) la possibilità di utilizzare un browser per internet apposito. Il parco titoli della PSP risulta a oggi molto simile a quello PlayStation 2, riproponendo di fatto la maggior parte dei marchi più famosi e conosciuti in versione portatile. La PSP in questi anni ha raggiunto un installato di più di 30 milioni di unità nel mondo, ma l’opinione per questa console non è la stessa per tutti giocatori; alcuni non hanno apprezzato i problemi ergonomici, la scelta di orientare gran parte della line-up sui porting24 da altre console, e le limitazioni legate alla presenza dell’ingombrante supporto UMD la cui sigla sta per universal media disc, un supporto ottico creato appositamente dalla Sony per PSP. Tuttavia pare che molti di questi problemi saranno superati da PSP go (annunciata nel corso dell’E3 2009 e prevista per ottobre), che promette una nuova esperienza di gioco portatile. In Italia, comunque, la piccolina di casa Sony ha centrato il bersaglio, ottenendo – secondo la compagnia di ricerche International Data group – un incremento di vendite, nel 2008, del 46% rispetto all’anno precedente, grazie anche all’introduzione del nuovo formato Slim e Lite e dei numerosi abbinamenti con alcuni tra i titoli più importanti. Tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005 il Nintendo DS (cioè il Nintendo Double Screen) arriva in tutto il mondo, presentandosi con una rivoluzionaria interfaccia basata sul touch screen. Un piccola console dal 24 Porting è il termine con cui si indica la versione di un videogioco per una piattaforma diversa da quella per cui era stato inizialmente realizzato. La connotazione negativa spesso associata a questa scelta risiede nel fatto che molte volte i porting sono delle semplici copie del gioco, senza gli adattamenti necessari alle caratteristiche delle console, sia sul piano del gameplay sia della tecnologia.


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design a conchiglia, con due schermi a cristalli liquidi, uno dei quali tattile, dotata di un microfono incorporato per il riconoscimento vocale e della tecnologia wi-fi per la modalità multigiocatore (per il servizio di gaming on line Nintendo Wi-fi Connection e il gioco in LAN nel raggio di trenta metri circa, fino a otto giocatori). Con più di 96 milioni di vendite e realizzata in tre modelli (Lite e DSi), è attualmente la console più popolare e venduta, superando anche il suo predecessore, il game Boy Advance, che si è fermato a quota 81 milioni. I prodotti sviluppati per questa console puntano a nuovi e inediti target. Il successo della strategia adottata dalla Nintendo l’ha portata a vendere nel corso del solo 2008 quasi 150 milioni di pezzi, un numero impressionante rispetto al resto delle console presenti sul mercato. I videogiochi per DS godono di un ciclo di vita più lungo degli altri, non essendo indirizzati a un pubblico specializzato che ricerca il marchio importante o il retrogaming.25 Il Nintendo DS, nel 2008, è cresciuto molto di più in Italia (85%) rispetto al resto dell’Europa (12%), godendo di un buon impatto sia sui giovanissimi che sulle donne, che vedono nella piccola console nipponica un passatempo congeniale alle loro esigenze e ai loro gusti, come non avveniva da anni sul mercato dei videogiochi. Alla fine del 2005 fa la sua comparsa la xbox 360, nuova console MicroSoft potenziata rispetto al predecessore e che cerca di venire incontro alle esigenze del pubblico che aveva storto il naso giocando con la precedente versione. Migliorato il design e le componenti tecnologiche, questa console garantisce ai giocatori una più coinvolgente esperienza nel gioco on line multi-player e un potenziamento dei servizi offerti ai giocatori, con l’introduzione di Windows Live, Arcade (sezione on line in cui si possono trovare, acquistare e provare gratuitamente i mini giochi per la console) e Marketplace (un mercato virtuale on line dal quale è possibile scaricare contenuti come trailer, video, espansioni di giochi, demo, giochi xbox Live Arcade, immagini e aggiornamenti per il sistema). Nel corso del 2008 la console della MicroSoft ha installato più di 23 milioni di macchine nel mondo e, dopo essersi concentrata su un tar25 Il retrogaming è una fetta del mercato dei videogame che privilegia l’utilizzo di vecchi titoli, attraverso l’emulazione e il recupero di hardware e software oggi obsoleti.


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get di giocatori prevalentemente assidui (detti in gergo hardcore gamer), con giochi di culto come la serie di Halo, Gears Of War, Forza Moto Sport e Bioshock, si è avvicinata a un pubblico non specializzato e più casual, con party game sul genere di Lips o Buzz il gruppo di Bill gates ha venduto nel mondo più di 80 milioni di videogiochi, per un valore superiore ai 4,7 miliardi di dollari. Infine, non ci si può certo dimenticare della Sony e della lunga storia di successi che da sempre contraddistinguono il colosso nipponico. Sbancato il mercato con PS2, la Sony non si è certo adagiata sugli allori e, con l’arrivo sul mercato di xbox 360, ha preparato il suo contrattacco con PS3. Arrivata sul mercato mondiale tra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, il monolite nero è diventato subito l’oggetto del desiderio di milioni di videogiocatori, per la componentistica che la caratterizza e soprattutto per la presenza del lettore di dischi Blu-Ray che garantisce la memorizzazione di una grande quantità di contenuti multimediali e gestisce l’alta definizione in Full HD. Tra i tanti servizi offerti da PlayStation 3 sono presenti, similmente a quanto accade nell’ambiente della xbox 360, anche un programma per navigare in internet, un sistema di chat e di email, la possibilità di giocare on line, un negozio virtuale dove acquistare video, trailer, immagini, sfondi, temi, giochi (gratuiti o a pagamento), demo gratuite, accessori virtuali e un servizio di chat situato in un ambiente 3D e denominato PlayStation Home. La scalata di PS3, nel corso del 2007, è stata veloce e ha raggiunto un installato mondiale di più di 16 milioni di pezzi contro i 23 milioni della xbox 360. Il successo della nuova console di casa Sony è merito non solo dell’attaccamento degli appassionati ma anche di una line-up interessante, della tecnologia Bluray (che offre un dispositivo innovativo a un prezzo concorrenziale) e della comunicazione e marketing che la Sony ha condotto prima, durante e dopo il lancio della console. I titoli usciti per il lancio della PS3 sono stati pochi e non all’altezza della potenza della macchina, ma oggi il mercato software della macchina conta più di 60 milioni copie di videogiochi vendute, per un valore di 4 miliardi di dollari. In Italia la PS3, con l’introduzione dei nuovi modelli della macchina e con i contenuti prepagati inseriti, ha permesso dei tassi di crescita molto più invitanti che in altri paesi europei, con un incremento del 9% rispetto al 2008.


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Ancora oggi, la diatriba tra gli appassionati della PS3 e della xbox 360 continua, dopo le ultime novità presentate alla recente fiera E3, che promettono una nuova esperienza di gioco ancora più coinvolgente. Durante la fiera la MicroSoft ha presentato una novità sostanziale, che cambierà il modo di concepire la console e avvicinerà target più casual. grazie alla collaborazione con Steven Spielberg il colosso statunitense ha messo a punto una nuova modalità di gioco senza controller, Project Natal: «oggi, grazie all’aiuto di talenti dell’innovazione, personalità visionarie e al gaming senza controller in arrivo, xbox 360 ha scritto una nuova pagina nella storia dell’home entertainment», ha dichiarato Don Mattrick, vice presidente senior della Interactive Entertainment Business di MicroSoft. «Per noi questa E3 significa rompere le barriere tra generazioni, tra giochi e intrattenimento, e soprattutto tra videogiocatori e quelli che invece in genere non lo sono, come solo xbox può fare».26 Project Natal traccia tutti i movimenti del proprio corpo in 3D, rispondendo al tempo stesso ai comandi, alle direzioni e persino al cambiamento nel tono della voce. In risposta a Project Natal, la Sony ha invece presentato il prototipo del suo motion controller denominato Wand, dal design simile a un microfono. Vero fulcro del nuovo controller è la sfera luminosa intergrata, completamente tracciabile dalla PlayStation Eye, la fotocamera digitale per PS3. Attraverso questo meccanismo i movimenti del controller vengono subito convertiti in sequenze a schermo, rendendo l’interazione con il gioco molto più naturale e intuitiva. ora resta solo da chiedersi chi proporrà la killer application del futuro, nel mondo dei videogiochi. Per ora le tecnologie presentate alla E3 sono solo prototipi, ma i designer più lungimiranti sono già all’opera per trasformare queste succose anteprime in un prodotto inscatolato da mettere sotto l’albero di Natale. Attualmente l’unica console che permette al nostro corpo di dialogare con il mondo virtuale è ancora quella della Nintendo: Wii, la vera rivoluzione di cui tutti hanno parlato e che fa ancora parlare di sé all’uscita di ogni nuovo prodotto. Immessa sul mercato nel 2006, si distingue da subito per l’assenza di un joypad tradizionale, sostituito da un controller senza 26

Comunicato stampa distribuito da MicroSoft Corporation in occasione dell’ E3. Los Angeles, 2009.


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CoNCLUSIoNI

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fili a forma di telecomando, il Wiimote (crasi di Wii e Remote). Questo è simile a un telecomando e reagisce alle forze vettrici e all’orientamento rispetto allo spazio tridimensionale, attraverso un sistema di accelerometri e giroscopi presente al suo interno; inoltre, tramite un dispositivo ottico posto a una delle sue estremità, interagisce con la barra sensore rendendo anche possibile il suo utilizzo come sistema puntatore sullo schermo TV. Muoversi nello spazio e simulare le reali movenze che abitualmente l’uomo utilizza per interagire con il mondo esterno permettono a Wii di abbattere le barriere create dai pad e dalla coordinazione occhio-mano. L’uso del controller e la libertà di muoversi nello spazio hanno liberato la fantasia dei creativi, portando all’ideazione di giochi sempre più innovativi e casual. La creatività e l’innovazione hanno portato la Nintendo a supportare la console con accessori nuovi, rispondenti a delle esigenze sempre più articolate di gioco; così nascono la Wii Balance Board per Wii Fit, che permette di utilizzare gli spostamenti del corpo per controllare le azioni di gioco, il Wii Wheel, che ha la forma di un volante e può essere utilizzata allo scopo di guidare una moto o un’auto, e ancora la Wii Zapper, un guscio di plastica simile a una pistola. Nel 2008, nel mondo, la Nintendo ha venduto più di 40 milioni di Wii, aprendo un mercato nuovo e reinventando il concetto di videogioco. A tutt’oggi, nel mondo, sono stati venduti più di 130 milioni di videogiochi per questa piattaforma, per un valore che si aggira intorno ai 7 miliardi di dollari. In Italia Wii ha venduto nel 2008 il 48% in più della PS3 e il 52% della xbox 360, arrivando a un installato di quasi 800 mila pezzi, con 2 milioni di esemplari venduti.27 I.8 Conclusioni Il mercato dei videogiochi ha sicuramente ricevuto un’accelerazione notevole in questi ultimi anni, ed è evidente soprattutto nel nostro paese, che sta sviluppando un apparato produttivo più solido e strutturato. Installato e produzioni di buon livello contraddistinguono da qualche anno il mercato italiano e si stanno creando notevoli opportunità, che 27

Nintendo Company, Ltd, Annual Financial report 2008.


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permetteranno a questa neo-industria di essere riconosciuta nel mondo. Nuove società e figure professionali faranno quindi l’ingresso nel nostro paese ed è importante che la società e il mercato del lavoro le conoscano in nome dello sviluppo di questo settore. Perché nonostante quanto sopra elencato e dimostrato, dati e numeri alla mano, l’industria dei videogiochi resta spesso agli occhi dei profani un blocco monolitico di aziende, persone, contenuti e contenitori, piuttosto che il vasto, poliedrico e complesso agglomerato industriale ed economico che è, e che peraltro estende i suoi tentacoli nella sfera della cultura, dell’immaginario collettivo e della dimensione artistica. I fatturati aumentano, i mercati si espandono, le utenze si moltiplicano e stratificano… e sì che parliamo ancora di un’industria giovanissima, in una scala di anni, nella nostra nazione! Cresciuta velocemente in seno al vertiginoso incremento mondiale, in Italia è diventata grande così in fretta da surclassare la velocità di adeguamento dei mezzi che dovevano supportarla, insieme con la loro preparazione in materia: informazione in testa, ammortizzatori sociali e politici poi, e infine l’accoglienza critica. Non quella dell’utenza (i videogiocatori non si fanno attendere per dare il loro punto di vista, positivo o negativo che sia), bensì quella della stampa e dell’opinione pubblica più in generale. Non foss’altro che per le cifre, l’industria dei videogiochi merita tutto il credito che si deve alle multinazionali consolidate che sopravvivono alla crisi negli ideali comuni (i videogiochi la crisi non l’hanno quasi sentita); gli approfondimenti che seguono tracceranno una sorta di diagramma di flusso nelle realtà che compongono l’industria. Ciascun blocco di questa struttura, dagli sviluppatori agli editori (publisher), fino ai distributori, richiede interventi, strumenti e strategie peculiari; ai margini di questa filiera produttiva si muovono moltissimi altri soggetti, e tutti impiegano una vasta e articolata gamma di professionalità uniche, che nel mondo costituiscono da anni per i giovani il polo d’attrazione forse più potente nel settore delle nuove carriere.


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® Finalmente il manuale di riferimento per tutti coloro che desiderino entrare nel settore lavorativo dei videogame! I videogiochi rappresentano ormai un mercato in costante espansione, al quale si accompagna un’abbondante produzione editoriale: libri sugli effetti – reali e presunti – sui videogiocatori, su storia, linguaggi ed estetiche, nonché titoli e personaggi più famosi; non mancano diversi manuali tecnici sulla programmazione videoludica. Finora, tuttavia, era assente una guida descrittiva ed esplicativa sul settore lavorativo del videogioco nel suo complesso. A realizzarla, con un’enorme competenza maturata direttamente sul campo, due riconosciuti nomi del settore, Marco Accordi Rickards e Paola Frignani. Le professioni del videogioco spiega nel dettaglio ogni singolo compartimento del mondo lavorativo dei videogame e ogni singola figura professionale che li compone. Fornisce inoltre le esperienze, i pareri e i consigli di molti professionisti affermati del settore e presenta infine i dati dell’offerta formativa in Italia: università, scuole specializzate, corsi e programmi.

Paola Frignani (Milano 1977) si interessa di nuove forme di comunicazione legate al linguaggio videoludico. Collabora con la società Leader per lo sviluppo di nuovi canali produttivi legati al videogioco, e si interessa del rapporto tra videogioco e formazione. Dal 2005 si dedica all’insegnamento universitario, sviluppando percorsi formativi mirati al settore videoludico e tiene seminari di Digital entertainment design presso l’Università IULM di Milano. Nel 2008 contribuisce all’organizzazione, presso la IULM, del primo master universitario focalizzato interamente sul mondo dei videogiochi.

Le professioni del videogioco

Marco Accordi Rickards (Roma 1974) è giornalista e critico videoludico. Ha diretto numerosi periodici, tra cui Cube Magazine, PSW, PC Games World, DVD.it Film Magazine, Xbox World e Game Pro, l’edizione italiana di Edge. Nel 2008 ha co-fondato l’Associazione italiana opere multimediali interattive (Aiomi.it), che organizza l’Italian Videogame Developers Conference (Ivd conf.it), del quale è direttore e presidente. Dal 2006 è direttore culturale di GameCon, salone del gioco e del videogioco di Napoli. È docente di «Storia e critica del videogioco» presso lo IED di Roma e di «Giornalismo delle opere multimediali interattive» presso la IULM di Milano. Dal 2008 è vice presidente del Gruppo di filiera dei produttori italiani di videogiochi presso Confindustria, per il quale ricopre anche l’incarico di portavoce e addetto alle pubbliche relazioni.

Marco Accordi Richards – Paola Frignani

Le professioni del videogioco

Una guida all’inserimento nel settore videoludico

Carmack e Romero, creatori di Doom, hanno cominciato a programmare in un’autorimessa, per poi parcheggiarvi le loro fiammanti Ferrari. Shigeru Miyamoto ha inventato Donkey Kong e ha regalato alla Nintendo Super Mario, proiettandola verso il successo planetario. Toru Iwatani, contemplando una pizza mancante di una fetta, ha avuto l’idea per dar vita a Pac-Man… Dal canto suo, l’Italia da tempo sforna anche grandi professionisti dei videogiochi, i quali, però, lavorano per la gran parte all’estero. Ma il settore sta crescendo ed è in procinto di vivere un grande boom, fornendo a tante donne e uomini l’occasione della loro vita.

Marco Accordi Rickards – Paola Frignani

Le professioni del videogioco Una guida all’inserimento nel settore videoludico Prefazione di Andrea Pessino

Copertina: Iena Animation Studios www.ienastudios.com Copyright © Tunué

Euro 14,70


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