URBAN FIELDS
08-12
CAMPI URBANI
ISBN 978-1-291-12191-9
90000
9 781291 121919
azioni, performances, happenings, installazioni di urban fields nella dimensione pubblica e sociale
CAMPI URBANI azioni, performances, happenings, installazioni di urban fields nella dimensione pubblica e sociale
Campi Urbani. Azioni, Performances, Happenings, Installazioni di Urban Fields nella Dimensione Pubblica e Sociale di Daniele Mancini
Urban Fields Art Direction Daniele Mancini Graphic Design Giulio Frittaion, Bromelles (book layout, template, graphics) Roberto Mancini/Kaos Agency s.r.l. (fonts, color palette) Crediti Fotografici & Video editing Romain Cascio, Margherita Cardoso, Daniele Mancini, Stella Passerini Book editing Daniele Mancini Ringraziamenti Andrea Bordi, Andrea Cattabriga, Romolo Ottaviani, Lucio Altarelli, Irene Rinaldi, Michele Mancini, Agostino Mancini, Renzo Mancini, Katia Millozzi, Eyal Fried Fonts Caecilia, PF Din Text Pro Web http://urbanfields. ordpress.com http://www.vimeo.com/user1224606 https://www.facebook.com/urbanfields oma Prima edizione Ottobre 2012 CopyleftŠ 2012 Exhibition Design Lab - Daniele Mancini http://exhibitiondesignlab.unpacked.it edl@unpacked.it
Editore e Stampa Lulu.com www.lulu.com ISBN 978-1-291-12191-9
INDICE
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Monsieur Hulot perso nella terra di nessuno. Le esperienze estetiche di appropriazione urbana di Urban Fields Daniele Mancini 1.Urban Fields 2.Campi Urbani: Azioni, Performance, Happenings, Installazioni 3.Didattica, Architettura, Allestimento 4. An Inflat ble World: House Like Myself + Floating City 5.Monsieur Hulot lost into the No Man’s Land 6.MilanoMiFaMale: Alieni in un altro Mondo 7.Gibigiana: il Sole lo Specchio, l’Ombra 8. Ecologie ibride: natura e artifici Note Crediti Fotografic Bibliografia
Urban Fields 2008-2012
URBAN FIELDS è un network di creativi provenienti da diverse discipline basato a Roma. L’obiettivo del gruppo è quello di esplorare criticamente e operativamente la dimensione fisica e sociale dei territori metropolitani problematici, controversi, marginali, (ma non necessariamente periferici) attraverso interventi di appropriazione spontanea dello spazio pubblico che oscillano tra l’installazione temporanea e l’evento, prototipi di installazioni, microtrasformazioni, azioni performative spaziali, azioni rituali, momenti di socialità e partecipazione, palinsesti comunicativi, playgrounds. La direzione artistica al momento è di Daniele Mancini (UNPACKED). L’attività del gruppo è documentata sui seguenti social media: http://urbanfields. ordpress.com http://www.vimeo.com/user1224606 https://www.facebook.com/urbanfields oma Hanno partecipato alle attività di Urban Fields: Francesca Aiello, Michela Ammassari, Bruna Basegni, Sylvain Bourreau, Margherita Cardoso, Romain Cascio, Andrea Cattabriga, Leslie De Gasquest, Filippo Decamillis, Helene Degousee, Giulio Frittaion, Giulia Giampiccolo, Alexandre Golinski, Sandra Humanes, Raphael Lacroix, Dimitri Liakatas, Davide Libonati, Dario Loscialpo, Charles Mariambourg, Emanuele Mastrangioli, Giuseppe Mastropaolo, Flaminia Mazzi, Giorgia Nardi, Eduardo Nunez, Stella Passerini, Donatella Pavia, Giulia Peruzzi, Christian Pontis, Roberta Ragonese, Stefania Ricciu, Agathe Rosa, Patrizia Sodini, Giada Spera, Alexis Stremsdoerfer, Marco Strippoli, Benedetto Turcano, Licia Ugolini, Mihai Vanca, Flavia Verre, Ionut Mitroescu, Pauline Cabouret, Caroline Delolmo, Julien Vever, Adrián Castelló, Michele Mancini, Agostino Mancini, Irene Rinaldi, Andrea Bordi, Eyal Fried
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Daniele Mancini (Roma, 1974), architetto, è dottore di ricerca in Teorie dell’Architettura, specializzato in Storia della Progettazione Architettonica e Master in Interaction Design . Ha lavorato in Olanda presso lo studio di Wiel Artes, a Parigi presso Jakob+McFarlane, ha collaborato a Torino con Cliostraat ed è stato project leader in e1-exhibition design unit ad Ivrea. Ha realizzato installazioni alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Architettura di Pechino, al Victoria&Albert Museum. Ha fatto parte del CICCIO Group con cui ha concepito una piattaforma didattica interattiva gonfiabile. E’ art director di Urban Fields. Insieme a Irene Rinaldi coordina di UNPACKED, un think tank open source a supporto di diverse forme di creatività contemporanea a cavallo tra il digitale e il reale. Scrive libri, articoli su riviste, si interessa di social media e del loro rapporto con il mondo della pratica progettuale. All’attività di architetto affianca quella di insegnamento: è docente presso la Facoltà di Architettura di Roma, ha insegnato allo IED, ha realizzato workshops per il NABA di Milano, è stato Visiting Teacher presso l'Architectural Association di Londra, l’ École d'architecture di Versailles e la Cornell University New York di Roma. Tiene aggiornato un blog alla pagina: http://unpacked.wordpress.com ed è inoltre raggiungibile su: http://www.facebook.com/danielemancini74
MONSIEUR HULOT PERSO NELLA TERRA DI NESSUNO. LE ESPERIENZE ESTETICHE DI APPROPRIAZIONE URBANA DI URBAN FIELDS Daniele Mancini*
Abstract Through the description of the urban interventions produced by Urban Fields, an open group of creatives, numbers of inspiring references are evoked, and motivations and genealogies are explained. The main activity of the group is to explore the physical and social controversial condition of the contemporary metropolitan realm through spontaneous, instant and temporary appropriations of neglected public space: urban Installations, performances, workshops, playgrounds, social events and various experiments of communication and relational design.
Ripercorrendo l’esperienza di Urban Fields attraverso la descrizione delle azioni sul campo, vengono evocati numerosi riferimenti che ispirano l’attività del gruppo, se ne individuano le genealogie e se ne illustrano le motivazioni. L’obiettivo del gruppo è quello di esplorare criticamente e operativamente la dimensione fisica e sociale dei territori metropolitani problematici, controversi, marginali, (ma non necessariamente periferici) attraverso interventi di appropriazione spontanea dello spazio pubblico che oscillano tra l’installazione temporanea e l’evento, prototipi di installazioni, microtrasformazioni, azioni performative spaziali, azioni rituali, momenti di socialità e partecipazione, palinsesti comunicativi, playgrounds.
Keywords Infraordinary, Paradox, Innocence, Fiction, Pop-Up, Inflatable, Urban Fields, Appropriation, Intimacy, Relations, Participation
Infraordinario, Paradosso, Innocenza, Pop-Up, Gonfiabil , Campi Urbani, Appropriazione, Intimità, Relazioni, Partecipazione 9
LAUNDRY
Gianni Pettena Campo Urbano, Como, 21 settembre 1969
1. Urban Fields Il testo che segue cerca di illustrare i motivi e le genealogie che ispirano il lavoro di Urban Fields presentando le azioni con cui si contraddistingue. Per la maggior parte sono interventi di appropriazione spontanea dello spazio pubblico che oscillano tra l’installazione temporanea e l’evento. Molto spesso si tratta di microtrasformazioni del contesto urbano che possono avvenire attraverso performance, happenings, installazioni pop-up, ready made, coinvolgendo comunità in momenti di socialità e partecipazione, oppure in playground di espressione ludica. L’obiettivo di queste azioni è quello di esplorare e far emergere le potenzialità inespresse dei territori metropolitani problematici, controversi, marginali (ma non necessariamente periferici), oppure negletti, rimossi dalla coscienza collettiva. Riattivare questi spazi, farli tornare alla luce attraverso gesti semplici, significa testimoniare la convinzione che lo spazio pubblico (per estensione tutto ciò che riguarda la dimensione pubblica, comune, sia in senso sociale che fisico) possa essere una opportunità per tutti, una occasione per esprimere consenso o dissenso, o semplicemente un punto di vista, una convinzione, oppure per sperimentare con progetti più complessi le ambizioni collettive, o quelle personali, più intime, innocenti. È noto l’aneddoto di Bruno Munari su questo argomento: “Se chiedi ad un bambino giapponese a chi appartiene il giardino pubblico fuori di casa, ti risponderà che è di tutti. Se lo chiedi ad un bambino italiano ti risponderà che non è di nessuno” Urban Fields si presenta con questo testo: Gesti semplici, minimali, quasi intimi. Per lo più eseguiti manipolando oggetti che connotano la nostra quotidianità. Lo spazio che ci circonda trasfigu a. C’è una intenzionalità che rivela ciò che non era mai 12
apparso prima: la forma del sole, lo spessore dell’aria, la relazione tra le cose, le storie dell’anima. Paradossali, surreali, spontanei. Trasformazioni che durano il guitto di un raggio di sole riflesso da uno specchietto sulla facciata di un edifici , o il lancio di un sassolino dentro la casella di una campana disegnata a terra. Altalene che dondolano ritmicamente come codice morse visuale. Un paesaggio nomade di soffi di vento imprigionati in capsule trasparenti. Gesti semplici, minimali, quasi intimi. Atti liberatori. Che svaniscono nel momento in cui si compiono. E tutti questi momenti andranno persi nel tempo come lacrime nella pioggia… Non viene espresso un programma, un manifesto, una intenzione artistica in senso stretto. L’appropriazione di spazi e contesti per esprimere una propria visione del mondo, qualsiasi forma essa assuma, collettiva o personale, è una sorta di gesto estetico primitivo, un atto fondativo, di definizione dello spazio vitale, un segnale lasciato nel “paesaggio” metropolitano dell’abbandono, del rimosso. Le azioni di Urban Fields sono il risultato di un sentimento di inadeguatezza. Esattamente come Monsieur Hulot, ci aggiriamo per la città cercando di trovare sollievo dall’incomprensibile razionalità funzionalista che ci circonda. Con gesti minimi, semplici, a volte liberatori seppure “fuori luogo”, decontestualizzati. Urban Fields non è un collettivo, non è un gruppo stabile, non ha una sede precisa, non ha un manifesto: solo il desiderio di sperimentare valori civici e di solidarietà di cui ci troviamo ad essere deprivati dall’anestesia consumistica. E’ un network di creativi con vari interessi, una sorta di comunità liquida che si aggrega e contribuisce a seconda dell’occasione [1] Il nome significa “Campi Urbani” ed è un omaggio all’evento durato un giorno chiamato Campo Urbano, organizzato da Luciano Caramel insieme a Bruno Munari il 21 Settembre 1969 a Como. Come verrà raccontato più dettagliatamente di seguito, un evento
peculiare: per la prima volta creativi provenienti da diverse discipline si confrontano in una dimensione sociale, urbana con mezzi espressivi analoghi e l’attenzione non è più sull’opera, ma sui processi, sulle relazioni, sul campo di azione [2]. La rete degli innumerevoli debiti concettuali, di metodo, di azione, viene consegnata all’apparato delle annotazioni, immagini e citazioni, che costituiscono una filig ana di senso sovrapponibile al testo principale. In particolare sentinelle assolute del viaggio mentale di Urban Fields sono: la riflession sull’ovvio, il banale, il quotidiano, che ci consegna Georges Perec con il concetto di infraordinario [3] e il ready made urbano della prima e unica escursione dadaista, che da valore più che ad un’opera fisica ad un vuoto, ad una assenza, da riempire con una azione, un gesto simbolico. [4]
[…] le reste, tout le reste, où est il? Ce qui se passe chaque jour et qui revient chaque jour, le banal, le quotidien, I’évident, le commun, l’ordinaire, l’infra-ordinaire, le bruit de fond, I’habituel, comment en rendre compte, comment l’interroger, comment le décrire ?
2. Campi Urbani: Azioni, Performance, Happenings, Installazioni
[Tzara: 1921]
[Perec: 1989]
JEUDI 14 AVRIL A 3h / Rendez-Vous dan le jardin de l’église / Rue Saint Julien le Pauvre Les dadaistes de passage à Paris voulant remédier l’incompeténce de guides et de cicerones suspect, ont décidé d’entreprendre une série de visites à des endroit choisis, en particulier à ceux qui n’ont vraiment pas de raison d’exister.
Campo Urbano è tornato di recente alla ribalta grazie alla mostra Fuori! organizzata al Museo del ‘900 di Milano. In realtà questo evento è ben noto poiché nel racconto ufficiale della storia dell’arte e dell’architettura si iscrive nel novero di quella diversa tradizione multidisciplinare delle esperienze radicali difficil mente catalogabile e quindi mai messa completamente in evidenza, emersa a cavallo della contestazione del ’68. Per tale reticenza, questa tradizione è periodicamente oggetto da parte di architetti impegnati in esplorazioni indipendenti ed emancipatorie, fuori dai percorsi tradizionali, di indagini alla ricerca di tracce e genealogie riguardanti gli attuali temi di critica sociale ed urbana. Quello che rimane di Campo Urbano è un preziosissimo catalogo [5] di splendide fotografie che Ugo Mulas aveva scattato per documentare ogni installazione e performance artistica della giornata. Era 13
FAR VEDERE L’ARIA. ISTRUZIONI PER L’USO DI FORME RIVELATRICI DA LANCIARE DALL’ALTO DI UNA TORRE
Bruno Munari Campo Urbano, Como, 21 settembre 1969
corredato inoltre da un testo di presentazione e dal comunicato stampa orginale, poi da tutte le motivazioni dei singoli interventi ed infine da un commento finale sconsolato ma non disfattista [6] di Luciano Caramel che era stato insieme a Bruno Munari il coordinatore e il curatore dell’evento. Ho sempre preferito Campo Urbano rispetto agli altri momenti simili registrati in più occasioni dalla storiografia [7] per numerosi motivi. Sicuramente il più rilevante ai fini dell’attività di Urban Fields è il fatto che per la prima volta artisti e architetti si incontrano “in piazza” cioè esprimono le loro visioni, tensioni, ambizioni, rivendicazioni, e le loro posizioni teoriche, concettuali, speculative relative alla loro pratica, in un contesto pubblico, sociale, coinvolgendo la comunità reale, con mezzi identici: happenings, installazioni, performance, playground, riti e divagazioni urbane di varia natura. Annullandosi così le distanze disciplinari si veniva affermando il ruolo centrale dei creativi come operatori civili che con i loro gesti rendono palesi le contraddizioni dei fenomeni contemporanei, evidenziano ciò che rimane al margine, mettono a fuoco quello che rimane alla periferia del cono visuale quotidiano, riportano alla ribalta il rimosso, il negletto. Come si può leggere dal comunicato stampa, la manifestazione nacque “dall’esigenza di portare l’artista a diretto contatto con la collettività di un centro urbano, con gli spazi in cui essa quotidianamente vive, con le sue abitudini, le sue necessità. E ciò al di fuori di limiti pregiudiziali che ostacolino le possibilità dell’artista di realizzarsi in piena libertà e quindi con la maggiore potenzialità operativa e con gli esiti più fecondi.” Inoltre l’atteggiamento curatoriale fu del tutto aperto, gli artisti vennero invitati “ad un impegno nella ricerca di un rapporto reale – e quindi vivo e non scontato – con gli abitanti di una città e la città stessa. “ Questo con l’intenzione di riflette e sul “senso stesso dell’arte ed il problema della sua funzione oggi: come, ad esempio quello dei confini delle loro possibilità di risposta 16
alle necessità della collettività; quello delle scelte opportune ad una presenza non marginale o solo decorativa nella società attuale; quello dell’opportunità di adottare soluzioni effime e o “permanenti”, radicali o parziali, eversive o riformistiche.” Nel testo di commento del catalogo alla mostra Fuori! Luciano Caramel ribadisce alcuni aspetti critici dell’evento e ne racconta le motivazioni: “Campo Urbano non fu un colpo di fulmine a ciel sereno, ma espressione del clima sociale, culturale e artistico di quell’ormai remoto 21 settembre 1969, ancora innervato dello spirito sessantottesco che, con gli studenti, coinvolse gli artisti.” La performance più straordinaria e dirompente per la sua semplicità ma anche probabilmente per la sua rassicurante banalità, è Far Vedere L’Aria di Bruno Munari [8]. In pratica con un foglio di “istruzioni per l’uso”, invita gli abitanti a salire sul campanile del Duomo e a costruire con dei fogli di carta delle forme che lasciate cadere nel vuoto ne avrebbero rivelato l’essenza, ovvero la consistenza dell’aria. Non c’è critica, non c’è sovversione. Solo un gesto semplice, didattico (maieutico? ) che tutti siamo in grado di comprendere e rieseguire variandolo a seconda delle nostre inclinazioni. Un invito a prendere coscienza di una delle innumerevoli modalità creative da cui prendono vita progetti più complessi. Una gesto liberatorio per far sperimentare a tutti il valore del gesto creativo, decondizionato al limite del paradossale. Gianni Pettena invece è coinvolto in un ragionamento critico: in Piazza Duomo, salotto cittadino luogo di ufficiale rappresentanza, tira dei fili di panni lavati e li stende ad asciugare. Un gesto di plateale decontestualizzazione [9] per riportare l’attenzione sul rapporto tra il centro storico, sempre più trasformato in palinsesto statico di ostentazione del potere, ed il resto della città in trasformazione dove si consumano nel contempo i drammi di disuguaglianza sociale ed emarginazione. In linea con le sue ricerche cinestetiche Dadamaino propone una performance coinvolgente e caraggiosa:
chiede ai passanti di gettare dei quadrati di materiale fluo escente e galleggiante sull’acqua del lago di Como e guardare l’effetto. C’è una combinazione di temi molto interessante: l’idea dell’automotricità, infatti i pezzetti di plastica ondeggiano secondo il moto dell’acqua; l’idea della casualità in un programma estetico definit , procurata dal coinvolgimento e dalla reazione non preordinata della gente; l’idea di un materiale fluo escente, quindi mutevole alle condizioni, per estensione, atmosferiche, esogene [10] Giuseppe Chiari, legato all’esperienza Fluxus, con Franca Sacchi mise in atto invece un concerto vero e proprio con oggetti di uso comune (posate, barattoli) o trovati per caso, percuotendo sbarre di cancelli, ringhiere, o qualsiasi altro dispositivo adatto. Intitolarono questo loro intervento Suoniamo la Città, il cui manifesto concettuale è il brano musicale intitolato Suonare la Città, in cui Giuseppe Chiari [11] fa della convenzione, del noto, del’abitudine, del rassicurante il campo di lavoro dell’artista che sovvertendo le regole, guardando da punti di vista diversi, ponendosi “fuori campo” rispetto alle consuetudini, interrompe con inaspettatata semplicità e banalità lo scorrere quotidiano delle cose.
Chiunque può fare questo esperimento, la carta da disegno è dal cartolaio le forbicini ci sono le istruzioni pure, anche le mani, provate. Provata a fare anche altre forme. Ancora (perché le precedenti non andavano bene). Queste si. [Bruno Munari:1969]
3. Didattica, Architettura, Allestimento Urban Fields nasce come format per una serie di workshops che organizzai per una classe di Allestimento presso la Facoltà di Architettura di Roma La Sapienza nel 2009. Dato che la Facoltà era in una sorta di permanente emergenza didattica, i limiti, i vincoli, le frizioni, le negazioni, i “questo non si può fare”, i “non ci sono i soldi”, furono affrontati in maniera corsara: l’opportunità di lavorare con una cinquantina di studenti molti dei quali provenienti da numerose facoltà europee c’era, quindi bastava solo non stare troppo alle regole ed immaginare invece ogni cosa possibile. Per prima cosa decisi di sovvertire l’usuale organiz17
ILLUMINAZIONE FOSFORESCENTE AUTOMOTORIA SULL’ACQUA
Dadamaino Campo Urbano, Como, 21 settembre 1969
zazione delle attività di laboratorio. Queste prevedono normalmente una parte di didattica frontale e poi il progetto sviluppato con una serie interminabile di revisioni fino alla fine dell’anno con alto rischio di disinteressare gli studenti e di raccogliere solo progetti finali scadenti Avremmo lavorato invece con una struttura agile di workshop tematici della durata di un paio di settimane ciascuno. All’inizio un brief chiariva sia gli intenti che l’orizzonte concettuale di riferimento. Agli studenti veniva chiesto di presentare il loro lavoro alla fine delle due settimane. Nel mentre si sarebbero succedute lezioni teoriche e revisioni collettive. Avremmo calato poi l’esplorazione progettuale nell’area del sottoviadotto di Corso Francia: un terrain vague, una terra di nessuno proprio a due passi dal centro storico, dentro un quartiere così consolidato quale è il Quartiere Olimpico. Quello che ci interessava da un punto di vista critico, nel senso di consapevolezza della missione della pratica creativa nello spazio urbano, era quello di esplorare le modalità di riattivazione di questo luogo irrisolto, sospeso appunto, indeciso, con gli strumenti dell’architetto. Da una parte decidemmo di sviluppare degli interventi per un plausibile festival dell’architettura. Ognuno progettava una installazione, un intervento leggero, effime o, come per esempio un padiglione, un percorso, un playground, che fosse metafora di una visione interpretativa della città. Questo lavoro si sarebbe depositato su tavole tradizionali. Dall’altro volevamo intervenire dal vero. Poiché il corso riguardava l’allestimento in tutte le sue forme, la nostra ipotesi di lavoro fu che anche i gesti, gli happenings, le performance, i momenti di socialità, tutto ciò insomma che trasformava anche istantaneamente lo spazio poteva risultare valido da un punto di vista della disciplina. Mi sembra appropriato rammentare con le parole di Francesco Careri [12] dal suo libro Walkscapes[13] che 20
“prima di innalzare il menhir […] l’uomo possedeva una forma simbolica con cui trasformare il paesaggio. Questa forma era il camminare.” Da cui, per estensione, ci convincemmo presto che ogni gesto di trasformazione consapevole che disveli le potenzialità (relazionali) dello spazio che ci circonda possa essere considerato atto primario del fare architettura. Prima degli urban fields veri e propri c’era stata una doppia esperienza che tenemmo in considerazione. La prima fatta con Michela Ammassari e Flaminia Mazzi per il Corso di Comunicazione Visiva del 2008 che si intitolava Intrusive Rolls [14]: in pratica una indagine sul senso dell’equazione “spazio pubblico uguale spazio di tutti” facendo rotolare della carta igenica in giro per il centro storico di Roma. Il gesto era semplice, chiaramente provocatorio, ma molto efficace: sceglievano dei “campi” cioè dei contesti molto peculiari e giocavano ad infrangerne le regole: Piazza Colonna come spazio di potere, la galleria Alberto Sordi con le sue regole dello shopping, Piazza di Spagna come salotto esibizionistico. E poi ci fu l’esperienza con Eyal Fried [15] che organizzò un workshop propedeutico al resto delle nostre attività intitolato 12:53. Eyal, informato dell’organizzazione del corso e delle nostre intenzioni, dopo una breve presentazione chiese agli studenti di uscire e dirigersi ciascuno per conto suo verso casa. Alle 12:53 esatte si sarebbero dovuti fermare e avrebbero dovuto procurare nel contesto (urbano) in cui si sarebbero casualmente venuti a trovare delle trasformazioni istantanee, non invasive, che comunicassero una intenzione critica. Avrebbero dovuto poi documentare questa esperienza con una serie di scatti, circa 30 da mostrare poi come video in stop motion. In sostanza due esperimenti che sintetizzavano perfettamente i caratteri fondamentali degli Urban Fields successivi: l’instantaneità del gesto, l’idea della trasformazione minima del contesto, l’inaspettatato e l’ovvio, l’intenzione critica.
L’idea di fondo era semplice. Ciascuno di noi è una sorta di Monsieur Hulot perennemente inadeguato che cerca di adattarsi al mondo con piccoli gesti. 4. An Infl table World: House like myself + Floating City Per il primo workshop organizzai una esperienza con i gonfi bili. Volevo assolutamente realizzare un prototipo a scale reale di uno spazio vero. È notorio infatti che generalmente gli studenti di architettura non leggono libri, delle riviste guardano solo le figu e e passano il tempo a fare rendering di spazi ed edific che non costruiranno mai, per cui questa esperienza si sarebbe sicuramente rivelata liberatoria in quanto sfida nei confronti di una “abitudine” didattica poco coinvolgente. La sfida era dimostrare che si poteva realizzare appunto una architettura “prima” a costo quasi zero, con pochissime risorse, a scala reale, fuori dalle aule, con un processo che tutto sommato ci avrebbe impegnato non più di tre o quattro incontri. Contavo sulla mia esperienza pregressa nello sperimentare questa tecnologia semplice ma molto efficacie e (quasi) istantanea, per costruire ambienti gonfi bili usando fogli di polietilene leggero e nastro adesivo trasparente [16]. Sfida nella sfida provammo a fare qualcosa che per quanto ne sapessi non aveva mai realizzato nessuno: una ciambella, geometricamente chiamata toro, del diametro di circa 20 metri. Studiammo per prima cosa la maniera di “svilupparlo” sul piano verificand con un plastico se le nostre approssimazioni erano accettabili. Poi stampammo una “dima”, cioè uno dei segmenti dello sviluppo di questo “solido”. A questo punto eravamo pronti per tagliare i fogli di plastica. Ci volle una giornata intera poiché le dime erano di forma irregolare e soprattutto perché non avevamo nessun posto dove poterle adagiare e dovemmo arrangiarci un po’ nel parcheggio di Via Flaminia, un
La città è investita dalle modificazion instabili, ambigue, impermanenti degli allestimenti che più di ogni altro modifi cano con le loro incessanti sperimentazioni il paesaggio metropolitano [Altarelli: 2006]
Chi sa, fa; chi non sa, insegna. Chi fa e insegna è il peggiore di tutti
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EXCURSIONS & VISITES DADA 1ERE VISITE: EGLISE SAINT JULIEN LE PAUVRE
JEUDI 14 AVRIL A 3h (1921) Rendez-Vous dan le jardin de l’église Rue Saint Julien le Pauvre
po’ in aula. Bisognava assemblare le sedici dime con lo scotch. Si poteva procedere a questa fase solo all’aperto e in totale assenza di vento. Quindi aspettammo un paio di settimane fin hé il tempo non fu propizio. Riuscimmo ad assemblare infine il tutto ma non gonfiammo nulla. Infatti l’operazione durò fino a notte inoltrata. A questo punto ci avanzavano un discreto numero di teli di polietilene e siccome tirava vento, dovendo andare sul posto per studiare dove avremmo potuto montare la nostra ciambella e come l’avremmo potuta fotografare, cominciammo a giocare con dei siluri che facevamo gonfia e di aria. Vennero fuori degli scatti molto forti, fatti proprio dal ponticello che unisce le due corsie del cavalcavia. Uno di questi in bianco e nero rendeva così bene l’idea di questo paesaggio così leggero e fluttuant che decidemmo di chiamare questa nostra performance Floating City. [17] Grazie a questa immagine, realizzammo un fl er per invitare i nostri amici all’evento che avremmo fatto di lì a qualche giorno. Riuscimmo a coinvolgere anche Antonino Terranova, allora direttore del dipartimento: fu abbastanza straordinario soprattutto agli occhi degli studenti stranieri che avevano intuito quanta distanza passa tra docente e studente nelle facoltà italiane. Dunque arrivò il giorno dell’evento. Passammo la mattina a trasportare tutto il materiale che ci occorreva, poi distribuimmo fl ers nel quartiere. Prima che facesse sera avevamo posizionato i nostri teli e il gonfi aggio poteva avere inizio. Come facevamo a gonfia e? Chi ci dava corrente? Per gonfia e usammo un paio di aspiratori vortice collegati alla batteria della mia macchina tramite un inverter. La macchina rimase accesa tutto il tempo consumando un intero pieno di benzina. Appena la ciambella fu pronta, cominciammo a fare esperimenti con le luci al neon e a fare fotografie con la complicità degli abitanti del quartiere che nel frat24
tempo si erano affacciati sotto il viadotto: chi veniva con i figli per mascherare la curiosità, chi portava birre, chi faceva fotografie… La cosa durò fino a tarda notte con l’intrusione della polizia municipale che non sembrò particolarmente disturbata da tutta la faccenda. Chiamammo questo gonfi bile “Casa come me stesso” [18] per sottolineare la motivazione fondamentale e immediata dell’operazione cioè soddisfare l’intimo bisogno di ciascuno di realizzare un habitat che rispecchi ambizioni ed aspettative del singolo o della comunità che rappresenta (in questo caso la comunità degli insegnanti e imparanti) in uno spazio negletto, abbandonato, disattivato, apparentemente senza nessuna qualità. Non eravamo per niente interessati dunque all’aspetto sovversivo che tradizionalmente in Italia è legato all’uso dei gonfi bili [19], non eravamo assolutamente intenzionati ad attuare una occupazione della dimensione pubblica, non ci interessava esprimere un dissenso appropriandoci di uno spazio urbano. Ad ogni modo, un sottoprodotto che mettemmo a punto dopo queste esperienze con i gonfi bili fu un manuale fai da te per realizzare strutture gonfi bile pop-up alla maniera degli ANT FARM [20]. In loro omaggio realizzammo un libretto che intitolammo Inflatable DIY Cookbook. [21]
5. Monsieur Hulot lost into the no man’s land Successivamente ai gonfi bili ci dedicammo a due workshop complementari che avevano come obbiettivo di far emergere le potenzialità di questo terrain vague e stimolarne il riuso coinvolgendo la comunità degli abitanti del quartiere. Il primo workshop era intitolato Groundsketching. Il vincolo che assegnai fu quello di immaginare delle installazioni o performance che prendessero il terreno, la superfici
orizzontale della terra di nessuno, come luogo per depositare le proposte di intervento. Poiché non era chiaro come attraversare il sottoviadotto, non c’era un gerarchia evidente segnalata da qualche emergenza, come perfetti Monsieur Hulot disegnammo le nostre personali strisce zebrate. Nell’imbarazzo, ne facemmo molte per tutta lunghezza della sopraelevata. Chiamammo questa performance Zebra Lines: From A to B e fu realizzata con polvere di cemento. I passanti, nel corso delle settimane successive, furono trovati ad attraversare ordinatamente questo luogo proprio sopra le nostre strisce. Disegnare la forma del sole è un’altra performance che appartiene a questa serie. La performance nacque abbastanza casualmente. Poiché dopo Zebra Lines e altri interventi rimase molta polvere di cemento ed il sole stava calando velocemente e dunque l’ombra del viadotto si proiettava molto nettamente a terra, cominciammo a “ridisegnare” l’ombra con il cemento. Ci accorgemmo che la proiezione dell’ombra si poteva chiaramente percepire in movimento. E dunque continuammo a disegnare fin hè finimmo la polvere. Romain Cascio, lo studente che si occupava della documentazione fotografia intanto stava scattando delle fotografie a passo uno. Questo ci avrebbe permesso di restituire tutto il movimento a velocità aumentata con la tecnica del time lapse . Le performance di Urban Fields assumono una compiutezza espressiva nei video di documentazione: alcuni gesti che apparentemente non hanno un riscontro “estetico” nell’immediato, se viste a velocità aumentata, come da un altro “punto di vista” temporale, si rivelano con pienezza di senso (o di non senso!) Effettivamente documentare le nostre performance utilizzando una tecnica di ripresa semplice è una ulteriore scelta di coerenza, di principio e ovviamente anche di linguaggio: al minimalismo del gesto corri-
Architecture isn’t just building, it is media, it is performance, it is graphic presentation, and with inflatables these elements can be equals. [ANT FARM: 1971]
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INFLATOCOOKBOOK
ANT FARM Sausalito, CA, 1971
sponde un minimalismo espressivo. Lo stop motion permette di restituire il senso del gesto con pochissimi scatti. Tutti sono in grado di fare qualche scatto, persino con il cellulare, non serve niente di più. Con questo sistema si evita il rischio di indulgere nell’estetica della postproduzione. Infatti, se si dovesse montare una serie di video, ci sarebbe bisogno di una regia,un ulteriore layer di complessità che è stata evitata. Da un punto di vista squisitamente interpretativo, questo della “restituzione” e “documentazione” è un interessante leit motiv che si trova registrato nella storia della creatività molte volte: quando Long cammina, l’opera è la passeggiata, la traccia lasciata a terra o la fotografia della t accia? [22] Per quanto riguarda Blowing in the Wind, il secondo degli urban fields nella “no man’s land” del sottoviadotto, la domanda fu: se con Groundsketching ci eravamo concentrati sulla scrittura a terra, sulla trasformazione che procura una azione fatta sul suolo, cosa succede se il mio vincolo è l’aria? La dimensione volumetrica del vuoto del sottoviadotto? La performance più ipnotica che realizzammo fu Swinging: nuovamente nei panni di Monsieur Hulot, abbiamo fatto calare delle corde dall’alto del viadotto e ci siamo messi a dondolare sulle nostre altalene ready-made. L’intenzione era abbastanza ovvia: ricreare una sorta di playscapes dove nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Un altro progetto che vide coinvolti gli abitanti del quartiere fu Message in a Baloon. Gonfiammo di elio un centinaio di palloncini e li fissammo tutti a terra con dei sassi. Chiedemmo ai partecipanti di scrivere un messaggio, un proposito, e di lasciare che volasse via insieme ai palloncini: per un attimo l’aria del sottoviadotto fu piena di speranze e di sogni. 6. MilanoMiFaMale: Alieni in un altro mondo Con Andrea Bordi, un collega con cui ho condiviso 28
alcuni corsi di allestimento, abbiamo scritto un soggetto molto semplice come filo conduttore per una serie di performance da fare a Milano in occasione del Fuori Salone del 2009. Eravamo stati invitati a partecipare all’evento MilanoMiFaMale [23] da Stefano Mirti e Giorgia Lupi. Il concept era veramente intrigante. Stefano e Giorgia, in quanto docenti del NABA, invitano un certo numero di docenti colleghi di scuole di tutto il mondo a scegliere uno o più luoghi peculiari di Milano riprodotti su una mappa con un linguaggio molto iconico. Chiedono ai docenti di realizzare in questi luoghi una installazione, una performance, o di organizzare una qualsiasi altra attività creativa, con gruppi di studenti della propria scuola secondo i propri interessi e le proprie specialità. E di incontrarsi poi tutti a Milano per la settimana del Salone del Mobile. Noi partecipiamo con una serie di “Urban Fields” invitando a nostra volta amici e colleghi francesi. Il nostro soggetto si intitolava Marziani a Milano [24]: volevamo portare l’attenzione al tema del dialogo con il diverso, con chi proviene da un altro mondo, da altre realtà. Infatti, prima ancora dell’intervento di primo soccorso, c’è bisogno di capire, comprendere e inviare segnali, trovare dei linguaggi comuni attraverso i quali stabilire relazioni, parlare, ascoltare. Le nostre performance appunto erano tentativi metaforici in questo senso: gesti minimi, piccole azioni comuni, fatte di segni elementari, ma partecipate, testimonianze non equivoche di una volontà positiva, collettiva, di accoglienza. Tutto questo perché eravamo stati molto toccati dai drammatici sbarchi clandestini a Lampedusa e ci trovavamo a dover prendere una posizione in quanto docenti e in quanto creativi. Per le nostre azioni, rimanemmo sul tema della fin zione dei marziani che arrivano a Milano e declinammo il nostro soggetto in una decina di azioni. Tra le più interessanti Ca(nd)ll Home in collaborazione con Andrea Cattabriga [25] e Urban Pop Stick
in collaborazione con Fresh Paris [26]. Il progetto Ca(nd)ll Home aveva come location la chiesa della Madonna dei Poveri [27]. Immaginammo questo spazio come punto inaspettato (o segreto) di collegamento tra la terra e mondi lontani. In pratica la combinazioni di candele accese o spente nei candelieri votivi, veniva riprodotta come matrice luminosa nel tamburo centrale della chiesa e si immaginava che questi codici a forma di matrice potessero essere il veicolo di messaggi da spedire alle distanze ultragalattiche. Non ci interessava entrare in conflitto con la consueta dimensione della Chiesa come luogo di comunione e professione di un credo, piuttosto di sottolineare in questo frangente storico il ruolo delle assemblee religiose come veicolo di messaggi di tolleranza, accoglienza e dialogo piuttosto che come sordi baluardi a difesa di valori comunitari esclusivi. Per quanto riguarda Urban Pop Stick, dopo molti tentativi, finimmo per svolgere circa un centinaio di rotoli di scotch trasparente per una via del centro di Milano trasformandola in una ragnatela inaccessibile. In questo caso l’intenzione era semplice, materializzare la rete di relazioni che l’ascolto e il dialogo produce. Con questa esperienza imparammo sulla nostra pelle cosa voleva dire Giuseppe Chiari quando diceva che “suonare la città è facile – quasi infantilmente facile - è anche molto divertente ma è illegale” [28]. Infatti fu comminata ai nostri amici francesi una multa per occupazione di suolo pubblico e intralcio alla viabilità!
Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, disegnarlo. Non è mai mio, ma mi viene dato, devo conquistarlo. [Perec: 1989]
7. Gibigiana: Il sole, lo specchio, l’ombra Il sole rivela la sua forma o attraverso il riflesso dei suoi raggi o attraverso l’ombra proiettata di ciò che illumina. Seguirne le tracce è un gioco che accomuna umani e animali. Gibigiana è stato esattamente questo, un gioco, una attività ludica del tutto innocente. Nasce da una occasione molto ordinaria. Dovendomi 29
MONSIUER HULOT
Jaques Tati Mon Oncle, 1959
occupare per un certo periodo dei miei figli dopo la fine della scuola, li coinvolsi in un esperimento da fare con una ventina di specchietti che tempo prima avevo acquistato per un progetto che non era mai andato in porto. Andammo a Villa Pamphili e ci mettemmo a giocare con i riflessi di luce sotto la pineta principale. Abbiamo passato ore a fare due cose: primo a molestare le persone che passavano molto in lontananza e poi ad illuminare i pappagalli (che infestano i giardini di Roma, ma questa è un’altra storia!) che si posavano sui rami degli alberi. Questi non appena venivano raggiunti da un raggio di sole si mettevano a fis hiare e scappavano come impauriti. Mi venne in mente allora la scena straordinaria del film Mon Oncle di Jaques Tati in cui Monsiuer Hulot [29], una volta arrivato nella sua casa, fa un gesto assolutamente ovvio cioè apre la finest a ma succede qualcosa di inaspettato: il raggio di sole riflesso dalla finest a si va a posare sul un canarino in gabbia, che dunque si mette a fis hiare. Allora Monsieur Hulot decide di lasciare la finest a aperta di quel poco affin ché l’uccello continuasse a cantare. Il filo conduttore del film infatti è il contrasto tra l’omologazione della vita nella città modernista e la libertà di appropriazione e adattamento nelle abitazioni dei borghi periferici alle conurbazioni metropolitane. Dunque, prima di partire per le vacanze dovevo ancora incontrare qualche studente per le revisioni di tesi. Li invitai alla piazza del MAXXI chiedendo di portare qualche amico poiché avevo intenzione di fare un esperimento con qualche specchietto. Vennero in sei o sette e subito ci mettemmo a fare delle prove. Abbiamo allestito i nostri specchietti a terra, appoggiati all’installazione realizzata per YAP 2012. Una costellazione di luci rischiarava l’ombra del Maxxi [30]. Nel frattempo che facevamo i nostri soliti stop motion, ci raggiunge l’autorità nelle vesti di diversi personaggi tacciando il nostro gioco con motivazioni 32
[31] assolutamente arbitrarie. Se fosse rimasto un banalissimo gioco, probabilmente fin va lì. Invece questo essere stati tacciati ha trasformato questo atto innocente in un gesto provocatorio, a dispetto delle intenzioni. Per quanto riguarda il nome di questa performance, appena postati su Facebook la galleria di immagini e un breve video, arrivano i primi commenti. Stefano Colonna esordisce proprio con una esclamazione: la Gibigiana! Che appunto in italiano gergale un pò desueto è il gioco di riflette e la luce del sole con gli specchietti [32]. 8. Ecologie ibride: natura e artifici Luciano Caramel, commentando [33] l’esperienza di Campo Urbano, auspica che di quell’evento vengano colte le intenzioni profonde, cioè l’idea che l’arte possa ritornare al centro della vita civica esprimendosi, per poter realmente realizzare una missione di emancipazione sociale, nella dimensione pubblica. E inoltre avverte che soltanto operando nei contesti che esprimono meglio il senso dell’attualità, si potranno intercettare le contraddizioni della contemporaneità e quindi rendere vivo il significato di quell’evento seminale. Ma di fatto ogni progetto, sia per gli strumenti di cui fa uso, che per la motivazione contingente, è sempre calato in un contesto attuale, attraversa cioè sempre codici e motivazioni della sua contemporaneità. I progetti che seguono, a differenza delle performance istantanee precedenti, pur facendo riferimento ad una dimensione pubblica e urbana, riflettono sul rapporto tra creatività e le nuove tecnologie della comunicazione e del digitale che pervadono la nostra quotidianità. La circostanza iniziale da cui hanno preso vita queste esplorazioni è stato un corso di Comunicazione Visiva e Multimedialità che ho tenuto nel 2008 alla Facoltà di Architettura di Roma.
In questo caso il limite che sarebbe tornato utile per rendere l’occasione una esperienza didattica originale risiedeva nell’aspettativa tecnologica, strumentale, che era contenuta nella parola Multimedialità, da parte sia degli studenti, che del direttore del corso di Laurea (che infatti mi assegnò un’aula informatica attrezzatissima che non usai nemmeno una volta!). Disattendere quell’aspettativa e costruire un corso coerente era la sfida: un fuori luogo didattico totalmente inaspettato. Per tanto il primo giorno di lezione, mi presentai in aula e feci a tutti gli studenti l’ultimo scatto dell’ultima cartuccia di Polaroid in mio possesso [34] dichiarando in maniera plateale che prima di mettere mano al computer (o a qualsiasi altro sussidio tecnologico) avremmo ragionato sui temi della comunicazione visiva e multimediale nella nostra epoca e che per esempio, quel giorno, avrei fatto una lezioni sul tema della riproducibilità/irriproducibilità e che poi ciascuno avrebbe dovuto trasformare questo tema in un esperimento da portare il classe per la lezione successiva. In maniera altrettanto provocatoria intitolai il corso “Goodbye Munari”. Nel 1968 Bruno Munari pubblica Design e Comunicazione Visiva a seguito di un ciclo di lezioni che tenne alla Harvard University. Il libro, che sottotitola “Contributo a una metodologia didattica”, ha una parte testuale e poi una collezione affascinante di immagini che suggeriscono alcuni possibili meccanismi creativi alla base della varie discipline progettuali. Munari tematizza questi meccanismi in una trentina di parole chiave che costituiscono l’indice del libro. Dal mio punto di vista, quei meccanismi appaiono perfettamente adeguati a formare un creativo degli anni ’60, sono lo specchio della produzione nella società massa di quel periodo, ma al presente, sarebbero risultati assolutamente inadeguati per affrontare le emergenti forme pervasive di calcolo diffuso e (tele)comunicazione. Quindi ho proposto di riscrivere quelle parole per un
Suonare la città è facile – quasi infantilmente facile è anche molto divertente ma è illegale provate – se non ci credete a suonare la città e vedrete che vi fermeranno subito subito non farete neppure due passi [Giuseppe Chiari, Suonare la Città]
33
GLOBAL TOOLS Sistema di laboratori per la propagazione dell'uso di materie tecniche naturali e relativi comportamenti per stimolare il libero sviluppo della creatività individuale. Archizoom Associati, Remo Buti, Riccardo Dalisi, Ugo La Pietra, 9999, Gaetano Pesce, Gianni Pettena, Ettore Sottsass jr., Superstudio, UFO e Zziggurat Redazione di «Casabella» , 12 gennaio 1973
ideale libro di design e comunicazione visiva aggiornato alla contemporaneità e di assegnare a gruppi di studenti esplorazioni da svolgere in workshop brevi su temi come: ubiquità, telepresenza, sinestesia, tempo reale, controllo remoto, reale/virtuale, miniaturizzazione, pervading computing, digital mapping, interattività, pixel materiali, paesaggi sensibili. Soprattutto chiedendo di non limitare gli approcci alle modalità della tradizione funzionalista ma di cercare nelle tradizioni disturbanti [35] del paradossale, del surreale, dell’onirico. My Jorney to School e Human Based Screen Project sono state due esplorazioni interessanti in questo senso. Per quanto riguarda il primo [36], ho chiesto agli studenti di descrivere il loro viaggio da casa a scuola usando come mezzo Googlemap. Dovevano documentarlo in circa una ventina di tappe. Ad ogni tappa doveva corrispondere una fotografia e ad ogni fotografia doveva corrispondere un brevissimo testo. Sia la foto che il testo non dovevano avere una corrispondenza diretta o una intenzione didascalica ma essere usati per raccontare una storia, un proprio punto di vista intimo o meno sulla città. L’idea è che attraverso una esperienza quotidiana così banale e ordinaria è possibile disvelare mondi inaspettati che altro non sono che lo specchio delle nostre personali ossessioni. Inoltre si voleva verifi care cosa succede quando il digitale, che ontologicamente è una realtà frammentata, a stato binario, si incontra con un flusso narrativo intimo ed espressivo. Alla fine abbiamo raccolto un cinquantina di mappe che potevano essere lette in diverse maniere: si poteva seguire il tragitto fatto nello spazio reale da ciascuno e quindi sorprenderci di quanta varietà sia di mezzi di trasporto che di percorsi; si poteva interagire con un mosaico di fotografie ciascuna con la propria storia ma ognuna legata all’altra da un filo intimo; oppure leggere i testi come un racconto. Si poteva tenere tutto separato oppure sovrapporre i 36
vari layers e passare da un linguaggio all’altro a piacimento. Con Human Based Screen Project [37] volevamo ricreare uno schermo urbano gigantesco con cui veicolare dei messaggi provenienti dalla comunità dei turisti di Piazza di Spagna, il tutto a costo praticamente zero. Ancora una riflessione ironica sulla tecnologia, lo spazio urbano ed i meccanismi che la regolano con la scusa di fare un esercizio collettivo per il corso di comunicazione visiva. In pratica ogni studente seduto sulla scalinata di Piazza di Spagna rappresentava un pixel di un display a matrice di punti umano della definizione di 6 x 7. Durante la giornata avevamo distribuito un fl er ai turisti che transitavano nella piazza con il numero di cellulare al quale poter inviare un sms. Avevamo comprato una scheda SIM apposta. Ogni volta che arrivava un messaggio sul telefonino, uno speaker con un megafono sillabava ogni lettera del messaggio che veniva visualizzata dal display una ad una. Un ingegnoso sistema permetteva ad ogni pixel/studente di accendersi o spegnersi a seconda della lettera evocata. L’accensione e lo spegnimento del pixel veniva simulato con un cartoncino bicolore, bianco e nero. Nel 2010 infin , grazie all’ospitalità dello IED di Roma ho avuto la possibilità di realizzare un ulteriore progetto coinvolgendo docenti e studenti di una scuola di creatività realmente globale su temi affini Il progetto è stato Green Village [38] che nella forma è abbastanza distante dagli altri per diversi motivi tra cui anche il ricorso sostanziale all’artifici , tuttavia il frame concettuale in cui è stato concepito appartiene alla stessa famiglia: l’indagine critica di un fenomeno urbano invisibile che ci coinvolge tutti. L’intenzione era quella di palesare in maniera palpabile il rapporto contraddittorio tra la dimensione naturale, se non assente, al massimo ornativo, della metropoli contemporanea con la dimensione artifi
ciale, virtuale mediata dalle tecnologie digitali. Una dimensione che si è perfettamente integrata con la vita reale grazie alla telecomunicazione mobile che ci permette di realizzare in potenza un rapporto 1:1 tra il reale e il virtuale: quello che succede qui e ora, modifica qualcosa nel corrispondente universo digitale senza discontinuità apparente. È un concetto molto interessante. In sostanza si ipotizza un rapporto di corrispondenza biunivoca tra ogni atomo della realtà e ogni bit virtuale. Questa intuizione, prima che la rivoluzione digitale miniaturizzasse e rendesse praticamente invisibili potenze di calcolo adeguate, era stata anticipata nel 1969 da Asimov nel libro intitolato UBIK. Viene immaginata una distopia in cui ogni oggetto è in grado di pensare, percepire, dialogare con gli altri e con il mondo. Una intelligenza iperconnessa, ubiqua, cioè presente in ogni luogo e in ogni spazio, istantaneamente. Questa metafora disvela due implicazioni dell'uso della tecnologia miniaturizzata e digitale nei contesti d'uso quotidiano. La prima e' l'idea di una ecologia ibrida per così dire, in cui convivono realtà fenomenica e realtà virtuale che si fondono in una sorta di abbraccio reciproco permettendo a chi è in rete di operare nel reale attraverso estensioni protesiche, viceversa di influenza e la struttura informativa della rete interagendo con “cose” intelligenti nella realtà. Pertanto non c'e' più differenza tra i due universi e ciò che faccio nel reale si riflette nel virtuale e viceversa. La seconda è l’idea della telepresenza cioè la possibilità di “essere presente stando lontano”: la potenza di calcolo diffusa delle “cose” e la loro capacità di comunicare in tempo reale attraverso la rete, permettono di operare superando le distanze. Se l’ibridazione consente la presenza simultanea in due dimensioni parallele, la telepresenza è l’estensione infinita del corp , cioè la contiguità degli spazi. Per Green Village sono state allestite alcune vetrine dei
Io sono Ubik. Prima che l'universo fosse, io ero. Ho creato i soli. Ho creato i mondi. Ho creato le forme di vita e i luoghi che esse abitano; io le muovo nel luogo che più mi aggrada. Vanno dove dico io, fanno ciò che io comando. Io sono il verbo e il mio nome non è mai pronunciato,il nome che nessuno conosce. Mi chiamo Ubik, ma non è il mio nome. Io sono e sarò in eterno [Philip K. Dick: 1969]
37
negozi di via Appia Nuova, con un sistema interattivo di retroproiezione e videotracking. Sono installazioni concepite come momenti di intrattenimento durante i quale i passanti si trovano coinvolti in una esperienza multisensoriale ironica. Infatti le proiezioni sulla vetrina reagiscono ai gesti spontanei del camminare, del guardare, dell’avvicinarsi o allontanarsi, mettendo in scena ogni volta uno scenario diverso. Per esempio in una installazione, i passanti fanno germogliare una vegetazione intricata e fascinosa (retroproiettata sulla vetrina) annaffiando con della vera acqua un vero vaso. In un’altra i passanti fanno fiori e a piacimento boccioli di fiori virtuali avvicinandosi o allontanandosi dalla vetrina, una specie di omaggio alla flâneurie virtuale del compiacere e compiacersi. In un’altra installazione una boscaglia di canne digitali ondeggiano al passaggio dei visitatori: se i visitatori vanno piano, c’è un leggero dondolio, se i passanti vanno veloci le canne frustano con violenza. Il tutto accompagnato dall’effetto sonoro del fruscio. C’è poi un'altra installazione che non ha un tema prettamente naturalistico. È Urban Control. I visitatori che passano davanti al negozio subisco l’inseguimento dello sguardo disturbante di un occhio retroproiettato sulla vetrina. Un’installazione per riflette e sul tema del controllo nella nostra società iperconnesa. È l’altra faccia della medaglia, lo sguardo sull’aspetto meno edificante e subdolo della tecnol gia.
38
NOTE
4 - Tzara, Trista (1921), Excursions & visites Dada : 1ère visite, Eglise Saint Julien le Pauvre, Paris (IOWA University Digital Library
1 - Nel 2004 insieme a Irene Rinaldi ho fondato UNPACKED una
http://digital.lib.uiowa.edu/cdm/compoundobject/collection/dada/id/18
realtà creativa agile, libera, senza fissa dimora, che rispecchia il
924 )
nostro modo di coinvolgerci nei più disparati ambiti creativi. Gli
Come nota Francesco Careri in Walkscapes (Careri:2006, pp.41-42):
anglosassoni lo chiamerebbero think tank. Con questo stru-
Il primo ready made urbano di Dada segna il passaggio dalla rappre-
mento siamo in grado di espandere il nostro studio a piacimento.
sentazione del moto alla costruzione di un’azione estetica da compiersi
Coinvolgiamo di volta in volta collaboratori e colleghi. URBAN
nella realtà della vita quotidiana. […] La città dadaista è una città del
FIELDS è un progetto concepito da UNPACKED e il nostro ruolo è
banale che ha abbandonato tutte le utopie ipertecnologiche del futuri-
quello di promotori e agitatori. Tuttavia il progetto URBAN FIELDS
smo. La frequentazione e la visita dei luoghi insulsi sono per i dadaisti
non potrebbe esistere senza il contributo di tutti coloro che
una forma concreta per operare la dissacrazione totale dell’arte, per
hanno reso possibile la realizzazione delle varie installazioni
giungere all’unione tra arte e vita, tra sublime e quotidiano. […] Il ready
performance: l’elenco completo alla data attuale è nelle info
made urbano che viene realizzato a Saint-Julien-le-Pauvre è la prima
della pagina facebook
operazione simbolica che attribuisce valore estetico a uno spazio vuoto
https://www.facebook.com/urbanfields oma
e non ad un oggetto.
Il lavoro di URBAN FIELDS è documentato on-line ufficialment su questo sito: http://urbanfields. ordpress.com mentre il lavoro di UNPACKED è documentato alla pagina
5 - Caramel, L., Mulas U., Munari B., Campo Urbano. Interventi Este-
http://unpacked.wordpress.com
tici nella dimensione collettiva urbana, catalogo dell’evento (21 settembre 1969) (fotografie di Ugo Mulas, Progetto Grafico di Bruno Munari), Como, Nani editrice, 1970 s.p.
2 - Maurizio Calvesi sposta l’attenzione dall’opera al campo di
Il programma della giornata, l’elenco di tutti gli artisti, e le foto-
azione proponendo il concetto di “campo” nel saggio Strutture
grafie dell’ vento sono disponibili alla pagina:
del primario (in Lo Spazio dell’immagine, catalogo della mostra
http://urbanfield .wordpress.com/inspiration-2/inspiration/
tenutasi a Foligno, 2 luglio-1 ottobre 1967) come rammentato in Bignami Silvia., Pioselli Alessandra., (a cura di) (2011), Fuori! Arte e spazio urbano 1968-1976, Catalogo della Mostra, Milano: Electa
6 - Imprescindibili modelli di riferimento per la vicenda dell’arte pubblica in Italia intesa come operazioni estetiche nel sociale
3 - Perec, Georges (1994) Infra-ordinario, Milano: Bollati Boringhieri (L'infra-ordinaire, 1989, Paris: Editions du Seuil)
sono stati: Arte povera + Azioni povere (Amalfi 1968 a cura di Germano Celant), Campo Urbano (Como, 1969 a cura di Luciano Caramel), Festival del Nouveau Réalisme (Milano, 1970 a cura di
Quello che succede veramente, quello che viviamo, il resto, tutto il resto,
Pierre Restany), Volterra 1973 ( Volterra, 1973 a cura di Enrico Cri-
dov'è? Quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il
spolti). E la sezione italiana “Ambiente come sociale” della
banale, il quotidiano, l'evidente, il comune, l'ordinario, l'infra-ordinario,
Biennale d’Arte del 1976 (a cura di Enrico Crispolti e Raffaele De
il rumore di fondo, l'abituale, in che modo renderne conto, in che modo
Grada). Una ricognizione puntuale e approfondita in : Bignami
interrogarlo, in che modo descriverlo? […]Non più l’esotico, ma l’ened-
Silvia., Pioselli Alessandra., (a cura di) (2011), Fuori! Arte e spazio
dotico. […] Ciò che dobbiamo interrogare, sono i mattoni, il cemento, il
urbano 1968-1976, Catalogo della Mostra, Milano: Electa. E inoltre
vetro, le nostre maniere a tavola, i nostri utensili, i nostri strumenti, i
Birozzi Carlo, Pugliese Marina., (a cura di), Arte pubblica nello spa-
nostri orari, i nostri ritmi. Interrogare ciò che sembra aver smesso per
zio urbano. Committenti Artisti Fruitori, Milano: Bruno Mondadori
sempre di stupirci.
Per quanto riguarda l’architettura, un quadro d’insieme del
39
movimento radical è fornito in Pettena, Gianni (a cura di) (1996)
prima di venire recepito doveva essere ipotizzato, intuito, scoperto.
Radicals, architettura e design 1960-75 = Radicals, design and archi-
Vedendo l’acqua movimentata da effetti luminescenti, accogliendo com-
tecture 1960-75, Venezia: La Biennale di Venezia; Firenze: Il
posizioni immaginarie ed imprevedibili, cominciando a godere le forme
Ventilabro.
libere, senza condizionarne l’importanza rispetto alla somiglianza con
On-line inoltre una raccolta di immagini a cura di Emanuele Pic-
qualcosa di strettamente concreto nell’uso e nell’accezione, gli spetta-
cardo: http://architetturaradicale.blogspot.it/
tori diventavano i protagonisti dell’immaginazione
7 - Caramel chiosa nel catalogo di Fuori!: Su Campo Urbano – come
11 – Chiari, Giuseppe (1969) Suonare la città, in “Il metodo per suo-
subito dovetti riconoscere nel medesimo dibattito che a tarda notte con-
nare” , Torino: Martano editore
cluse la manifestazione con un acceso confronto su tali temi e poi ribaditi nel volume-catalogo ad essa dedicato – si riflesse o quindi le difficoltà e le contraddizioni dell’attività artistica, di allora come oggi,
12 - Francesco Careri, architetto, artista, ricercatore, dirige il
in genere, anche se tesa ad un inserimento diretto nei problemi del-
Laboratorio di Arti Civiche, gruppo di ricerca interdisciplinare,
l’uomo, costretta ai margini, sia per i timori, i dubbi, le debolezze degli
presso il dipartimento di Studi Urbani della Facoltà di Architet-
artisti e per il loro disagio ad uscire dai confini circoscritti entro cui abi-
tura di Roma Tre. L’attività di questo Laboratorio è documentata
tualmente si muovono, sia fondamentalmente, per i modi in cui ieri ed
alla pagina web http://articiviche.blogspot.it/ e alla pagina
oggi la società è strutturata, che si ripercuotono sugli artisti…
http://www.articiviche.net/laboratorio/laboratorio_arti_civiche.html Dal 1995 è membro fondatore di Stalker Osservatorio Nomade, un laboratorio di ricerca interdisciplinare con cui sperimenta meto-
8 - L’intervento si intitolava “Far vedere l’aria. Istruzioni per l’uso di
dologie di intervento creativo nella città:
forme rivelatrici da lanciare dall’alto di una torre” . Bruno Munari pre-
http://www.osservatorionomade.net/
parò un fl er scritto a mano con le istruzioni che fu distribuito ai passanti. Le immagini sono reperibili all’indirizzo http://exhibitiondesignlab.tumblr.com/post/12605398608/visua-
13 - Careri, Francesco, (2006) Walkscapes. Camminare come pratica
lizzazione-dellaria-di-piazza-duomo-como
estetica, Milano: Einaudi, p.3
9 - L’intervento di Pettena si intitolava “Laundry”. Dal sito inter-
14 - Il video di documentazione di questa performance si trova
net http://www.giannipettena.it/opere/laundry/ si può leggere
alla pagina web
un testo esplicativo corredato da alcune immagini:
http://urbanfields. ordpress.com/2008/05/28/intrusive-rolls/
Furono stesi dei panni, delle clothes-lines con le quali si intendeva sottolineare la differenza tra l'abitare e l'apparire di una città. L'installazione si proponeva dunque di far riflette e sugli aspetti non
15 – Eyal Fried è un designer che vive e lavora a Tel Aviv
solo visivi dello spazio urbano, 'violando' l'immagine dell'ufficialità con
http://www.openinvo.com/consultancy-eyalfried
l'inserimento di un elemento plebeo, platealmente fuori contesto..
Il workshop “12:53” è documentato alla pagina http://urbanfields. ordpress.com/2008/10/30/1253-an-instant-
10 - L’intervento di Dadamaino si intitolava “illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua”. Dal catalogo si legge: L’intervento non avrebbe avuto caratteristiche impositivo-spettacolari, nel senso che,
40
workshop-with-eyal-fried/
16 – All’Interaction Design Institute Ivrea sperimentai insieme ad altri colleghi una piattaforma didattica gonfi bile per l’inte-
21 - Inflat ble DIY Cookbook oltre ad essere un libretto di istru-
raction design chiamata CICCIO che sta infatti per Couriously
zioni, raccoglie alcuni degli esperimenti realizzati da Urban
Inflated Computer Cont olled Interactive Object.
Fields con i gonfi bili. E’ completamente navigabile qui
Dei numerosi progetti è sopravvissuta solo una documentazione
http://issuu.com/unpacked/docs/booklet_inflat ble_diy
parziale a questo indirizzo web: http://www.unpacked.it/ciccioproject/ In quella occasione furono fatti molti esperimenti compresi ten-
22 - Solnit, Rebecca (2002), p.310: È un opera contemporaneamente
tativi di autocostruzione. Tra gli altri, un insediamento mobile
più ambiziosa e più modesta dell’arte convenzionale: ambiziosa in
per l’Europan 7 a Pescara che è documentato Alla pagina
quanto a dimensioni, dal momento che vuole lasciare la propria
http://architettura.it/architetture/20040317/index.htm
impronta nel mondo; modesta, perchè è un gesto assolutamente qual-
Nel testo Mancini D., CICCIO.Avventura Open Sorce, in Parametro
siasi e, di conseguenza, l’opera stessa si trova letteralmente al livello
260 / Dicembre 200, si trova il punto di vista open source del pro-
del terreno, sotto I piedi. Come l’opera di molti altri artisti che sarebbero
getto CICCIO.
emersi con il passare del tempo, quella di Long era ambigua: A Line Made by Walking, era una performance di cui la linea rappresentava la traccia residua, oppure una scultura-la linea-di cui la fotografia rap-
17 - Floating City è documentata alla pagina web
presentava la documentazione, oppure ancora la fotografia stessa era
http://urbanfields. ordpress.com/2009/01/17/hello-world/
l’opera d’arte, o tutto questo insieme?
18 - House like Myself è documentato alla pagina web
23 - MilanoMiFaMale è stato un progetto di Stefano Mirti e Gior-
http://urbanfields. ordpress.com/2009/01/18/test-post-2/
gia Lupi docenti NABA in collaborazione con DDN/Free e Urban Screen per il Fuori Salone 2009. La mappa è documentata qui
19 - In Italia si possono annoverare diverse esperienze: Franco
http://www.fosca-salvi.com/website/?page_id=27
Mazzucchelli per i gonfi bili fuori dai cancelli dell’Alfa Romeo nel 1971 e poi ancora a Volterra nel 1973
24 – Marziani a Milano è documentato alla pagina
http://www.francomazzucchelli.it/
http://urbanfields. ordpress.com/2009/04/23/marziani-a-
Gli UFO con Urboeffime o 6, un happening con gonfi bili in Piazza
milano/
Duomo nel 1968.
Il titolo fa il verso al racconto di Ennio Flaiano che si intitola Un Marziano a Roma. Volevamo intendere quanto distanza corresse tra le motivazioni di Urban Fields e l’evento del Fuori Salone e allo
20 – Gli Ant Farm rappresentarono una delle realtà più trasver-
stesso tempo rivelare il nostro interesse per l’alieno, il diverso.
sali e multidisciplinari della controcultura americana degli anni ’60. Per un certo periodo viaggiarono in tour con un camper per l’America organizzando performance e happenings in cui
25 - Il progetto Ca(nd)ll Home è stato coordinato da Adrea Catta-
assemblavano strutture gonfi bili pop-up con fogli di polietilene.
briga http://www.linkedin.com/pub/dir/Andrea/Cattabriga
Di quell’esperienza è rimasto il legendario fasciolo Inflatocook book n. 1 del 1971, in cui riassumono le loro tecniche di costruzione e illustrano il motto: "Take a truck, go west and
26 - Urban Pop Stick è stato realizzato in collaborazione con
inflate a dom ." con numerosi esempi.
Fresh Paris http://www.atelierdccp.com/
41
27 - La Chiesa della Madonna dei Poveri progettata da Figini e
35 – Levi, Corrado (1985), Una diversa tradizione, Milano: Clup .
Pollini (1952-1956) si trova nel quartiere di San Siro a Milano.
Dalla quarta di copertina: Questo libro individua nella cultura una tradizione che ha i fondamenti nello scherzo, nel paradosso, nell'esatto
28 - Chiari, Giuseppe (1969), Suonare la città, in “Il metodo per suo-
non senso. È una tradizione diversa dalla cultura occidentale dai greci
nare”, Torino: Martano editore (1976)
fino a noi, che sembra immune dalle evoluzioni dello stile e dalle avventure della passione, una diversa tradizione appunto, che ha il suo sigillo
29 - Mon Oncle (1958) di Jaques Tati
nella atemporalità. il contrario della storia per avvicendamenti e per evoluzione a cui siamo abituati
30 - La performance è documentata al seguente indirizzo web http://urbanfields. ordpress.com/2012/06/26/infringing-rules-
36 - My Journey to School è documentato alla seguente pagina
playing-with-mirrors-at-maxxi-roma/
web http://exhibitiondesignlab.unpacked.it/?p=50
31 - Alla data della performance il sito web del MAXXI riportava
37 - Human Based Screen Project è documentato alla pagina web
il seguente avvertimento: Riprese fotografi he e video. È possibile
http://exhibitiondesignlab.unpacked.it/?p=35
effettuare riprese fotografi he e video nel piazzale e nel foyer del museo. Nelle gallerie espositive non è invece consentito effettuare alcun tipo di
38 - L’Interactive Shopping Project è un progetto interdisciplinare
ripresa. Riprese professionali e/o a scopo commerciale e l’esecuzione di
che ha coinvolto docenti e studenti dai diversi dipartimenti dello
copiatura di opere devono necessariamente essere autorizzate dalla
IED di Roma per riflette e sui temi del consumo, dello shopping
Fondazione. Per richiedere l’autorizzazione scrivere a documenta-
e dell’intrattenimento come generatori di creatività e modifica
zione.arte@fondazionemaxxi.it
zione del paesaggio metropolitano. Per il Nuovo Centro
http://www.fondazionemaxxi.it/visita-il-
Commerciale Naturale Appia New promosso dal IX Municipio
maxxi/informazioni/indicazioni-per-i-visitatori/
con l’Associazione Commercianti, il laboratorio progettuale ha sviluppato dapprima numerosi scenari che esplorano una esperienza di shopping innovativa, coinvolgente e consapevole,
32 - La voce gibigiana (o gibigianna), registrata dalla lessicografi
quindi ha realizzato alcuni interventi sperimentali effimeri leg-
italiana col valore di ‘lampo di luce riflessa su una superficie da
geri, immateriali di forte impatto allestendo gli interni delle
uno specchio, dall’acqua ecc., è di origine dialettale, di area lom-
vetrine di alcuni negozi di via Appia Nuova con installazioni
barda in particolare.
interattive. Il progetto è stato curato nel 2010-2011 da Daniele
http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=7998&c
Mancini (Exhibition Design Lab | UNPACKED) per IED DESIGN.
tg_id=44
Il colophon con i crediti completi si trova all’indirizzo web: http://interactiveshopping.wordpress.com
33 - Caramel, Luciano, Campo Urbano, in Bignami, Silvia; Pioselli, Alessandra (a cura di) (2011), Fuori! Arte e spazio urbano 1968-1976, Catalogo della Mostra, Milano: Electa, s.p.
34 - A Febbraio del 2008 la Polaroid ha ufficialmente cessato la produzione di supporto a sviluppo istantaneo.
42
CREDITI FOTOGRAFICI Le foto delle performance di Campo Urbano, in particolare quella di Bruno Munari (pag.14,15), Dadamaino(18,19) e Gianni Pettena (pp.10,11) sono di Ugo Mulas e sono raccolte nel catalogo dell’evento: Caramel, Luciano; Mulas, Ugo; Munari, Bruno (a cura di) (1970) Campo Urbano. Interventi Estetici nella dimensione collettiva urbana, catalogo dell’evento (21 settembre 1969) (fotografie di Ugo Mulas, Progetto Grafico di Bruno Munari), Como: Nani editore La foto del gruppo di dadisti (pp.22,23) per Excursions & visites Dada : 1ère visite, Eglise Saint Julien le Pauvre, Paris, è accreditata Archives Larousse, Paris, France L’immagine relativa alle istruzioni d’uso per realizzare una struttura gonfi bile (pp.26,27) è accreditata ad Ant Farm ed è tratta da Inflatocookbook, Sausalito, CA, 1971 Gli screenshot di Monsieur Hulot (p.30,31) sono tratti dal fil Mon Oncle di Jaques Tati, 1959 Le foto del lancio della lanterna cinese (pp.34,35) sono accreditate Global Tools e sono reperibili sul blog mantenuto da Emanuele Piccardo all’indirizzo seguente: http://architetturaradicale.blogspot.it/ Le fotografie delle performances da pag.46 in poi sono accreditate a Urban Fields
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BIBLIOGRAFIA
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ses du reel Munari, Bruno (1969), Far vedere l’aria. Istruzioni per l’uso di forme Caramel, Luciano; Mulas, Ugo; Munari, Bruno (a cura di) (1970)
rivelatrici da lanciare dall’alto di una torre, in Caramel, Luciano;
Campo Urbano. Interventi Estetici nella dimensione collettiva urbana,
Mulas, Ugo; Munari, Bruno (a cura di) (1970) Campo Urbano. Inter-
catalogo dell’evento (21 settembre 1969) (fotografie di Ugo Mulas,
venti Estetici nella dimensione collettiva urbana, catalogo dell’evento
Progetto Grafico di Bruno Munari) Como: Nani editore
(21 settembre 1969) (fotografie di Ugo Mulas, Progetto Grafico di Bruno Munari), Como: Nani editore
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Milano: Bombiani, pp. 265-287 Pettena, Gianni (a cura di) (1996) Radicals, architettura e design Gargiani, Roberto (2007), Archizoom Associati. 1966-1974, Milano:
1960-75 = Radicals, design and architecture 1960-75, Venezia : La
Electa
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44
Solnit, Rebecca (2002), Storia del Camminare, Milano: Bruno Mon-
periods or planning ideologies, that can not adapt. Places that are aban-
dadori (Wanderlust: A History of Walking, New York: Viking
doned, left over or in transition that contains some relevance for the
Penguin)
processes of urban transformations. These places are our experimentation sites. They offer untapped potential which we try to activate. This
Tzara, Trista (1921), Excursions & visites Dada : 1ère visite, Eglise
opens new perspectives for alternative usage patterns, collective ideals,
Saint Julien le Pauvre, Paris (IOWA University Digital LIbrary
urban diversity and difference.
http://digital.lib.uiowa.edu/cdm/compoundobject/collection/dad a/id/18924 )
Situa.to http://www.situa.to/
La Pietra, Ugo (2011), Abitare la Città, Torino: Allemandi Progetto d’arte per lo spazio pubblico. Ideato e curato da a.titolo (Francesca Comisso, Lisa Parola e Luisa Perlo), Andrea Bellini e Maurizio Cilli, situa.to si propone di sperimentare nuove pratiche in risposta ai problemi emergenti delle giovani generazioni, ideare nuovi strumenti per leggere i complessi mutamenti urbani e sociali e realizzare concreta-
SITOGRAFIIA
mente azioni e progetti d’arte condivisi che sappiano rispondere al desiderio di qualità dello spazio pubblico e ai bisogni di chi lo abita e
a.titolo
attraversa. Forme e segni contemporanei capaci di raccontare le tra-
http://www.atitolo.it/
sformazioni in atto a Torino, come in molte altre città contemporanee. Creatività, lavoro, coesione sociale, prevenzione al disagio sono i temi
È un collettivo di curatrici fondato a Torino nel 1997 con lo scopo di pro
fondanti di situa.to.
muovere l'arte contemporanea orientata verso le dimensioni sociali e politiche dello spazio pubblico.
Stalker/Osservatorio Nomade http://www.osservatorionomade.net/
Plastique-Fantastique http://www.plastique-fantastique.de/
La modalità di intervento proposta è sperimentale, fondata su pratiche spaziali esplorative, di ascolto, relazionali, conviviali e ludiche, attivate
Is a collective for temporary architecture that samples the performative
da dispositivi di interazione creativa con l’ambiente investigato, con gli
possibilities of urban environments. Established in Berlin in 1999, Pla-
abitanti e con gli archivi della memoria. Tali pratiche e dispositivi sono
stique Fantastique has been influenced by the unique circumstances
finalizzati a catalizzare lo sviluppo di processi evolutivi auto-organiz-
that made the city a laboratory for temporary spaces.
zanti, attraverso la tessitura di relazioni sociali ed ambientali, lì dove per abbandono o per indisponibilità sono venute a mancare
Raumlaborberlin http://www.raumlabor.net/
Zappata romana. Orti e Giardini condivisi http://www.zappataromana.net/
Is a network, a collective of 8 trained architects who have come together in a collaborative work-structure. We work at the intersection of
Zappata romana indaga orti e giardini condivisi a Roma, quale azione
architecture, city planning, art and urban intervention. We address in
collettiva di appropriazione dello spazio pubblico urbano e lo sviluppo di
our work city and urban renewal as a process. We are attracted to dif-
pratiche ambientali, economiche e sociali innovative. Zappata romana è
ficult urban locations. Places torn between different systems, time
un progetto di studioUAP.
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Gesti semplici, minimali, quasi intimi. Per lo più eseguiti manipolando oggetti che connotano la nostra quotidianità. Lo spazio che ci circonda trasfigu a. C’è una intenzionalità che rivela ciò che non era mai apparso prima: la forma del sole, lo spessore dell’aria, la relazione tra le cose, le storie dell’anima. Paradossali, surreali, spontanei. Trasformazioni che durano il guitto di un raggio di sole riflesso da uno specchietto sulla facciata di un edifici , o il lancio di un sassolino dentro la casella di una campana disegnata a terra. Altalene che dondolano ritmicamente come codice morse visuale. Un paesaggio nomade di soffi di vento imprigionati in capsule trasparenti. Gesti semplici, minimali, quasi intimi. Atti liberatori. Che svaniscono nel momento in cui si compiono. E tutti questi momenti andranno persi nel tempo come lacrime nella pioggia…
URBANFIELDS 08-12
INTRUSIVE ROLLS
HUMAN BASED SCREEN
FLOATING CITY
28 Maggio 2008 Via del Corso, Roma
16 Giugno 2008 Piazza di Spagna, Roma
21 novembre 2008 Viadotto di Corso Francia, Roma
Concept di:
Concept di:
Concept di:
Michela Ammassari Flaminia Mazzi con Daniele Mancini
Andrea Cattabriga Daniele Mancini con Dimitri Liakatas
Daniele Mancini
Performance a cura di:
Performance a cura di:
Performance di:
Michela Ammassari Flaminia Mazzi
Michela Ammassari Flaminia Mazzi
Studenti del Corso di Allestimento 2009 FacoltĂ di Architettura di Roma La Sapienza
e gli studenti del Corso di Comunicazione Visiva2008 FacoltĂ di Architettura di Roma La Sapienza
HOUSE LIKE MYSELF
GROUNDSKETCHING From A to B
BLOWING IN THE WIND Swinging
3 dicembre 2008 Viadotto di Corso Francia, Roma
17 dicembre 2008 Viadotto di Corso Francia, Roma
2 febbraio 2009 Viadotto di Corso Francia, Roma
Concept di:
Concept e performance di:
Concept e performance di:
Studenti del Corso di Allestimento 2009 Facoltà di Architettura di Roma La Sapienza
Studenti del Corso di Allestimento 2009 Facoltà di Architettura di Roma La Sapienza
Daniele Mancini
Performance di: Studenti del Corso di Allestimento 2009 Facoltà di Architettura di Roma La Sapienza
GROUNDSKETCHING The Shape of the Sun
BLOWING IN THE WIND Reflectin
ALIENS IN MILANO Landing
17 dicembre 2008 Viadotto di Corso Francia, Roma
2 febbraio 2009 Viadotto di Corso Francia, Roma
23 aprile 2009 Piazza Duomo, Milano
Concept di:
Concept di
Concept e performance:i
Daniele Mancini
Daniele Mancini
Performance di:
Performance a cura di:
Margherita Cardoso, Sylvain Bourreau, Romain Cascio, Helene Degousee, Daniele Mancini, Charles Mariambourg, Agathe Rosa
Daniele Mancini con gli Studenti del Corso di Allestimento 2009, FacoltĂ di Architettura Roma La Sapienza
Studenti del Corso di Allestimento 2009 FacoltĂ di Architettura di Roma La Sapienza
ALIENS IN MILANO Ca(nd)ll Home
ALIENS IN MILANO Urban Pop Stick
ALIENS IN MILANO Pleiades M45 Star Cluster
23 aprile 2009 Milano
23 aprile 2009 Zona Tortona, Milano
23 aprile 2009 Monte Stella, Milano
Concept di:
Concept di:
Concept di:
Andrea Cattabriga Daniele Mancini
Fresh Paris e Daniele Mancini
Daniele Mancini
Performance a cura di:
Performance a cura di:
Andrea Cattabriga
Fresh Paris (Pauline Cabouret, Caroline Delolmo, Julien Vever) e gli Studenti del Corso di Allestimento 2009 FacoltĂ di Architettura di Roma La Sapienza
Performance di: Giulia Peruzzi, Stella Passerini, Bendetto Turcano
MYSPACE.IED Tutto in una notte
DA CIASCUNO SECONDO CAPACITÀ A CIASCUNO SECONDO NECESSITÀ
BIG BABOL FOR AN INFLATABLE WORLD
15-16 maggio 2009 IED Roma
29 maggio 2009 Civita Castellana
13 aprile 2010 Milano
Concept di:
Concept di
Concept di:
Daniele Mancini
Daniele Mancini e Katia Millozzi
Daniele Mancini
Workshop con l’aiuto di:
Workshop con l’aiuto di:
Workshop con l’aiuto di:
Studenti del Corso di Allestimento 2009 Facoltà di Architettura di Roma La Sapienza
Michela Ammassari, Margherita Cardoso, Katia Millozzi, Stella Passerini, Benedetto Turcano, e gli studenti dell’Istituto d’Arte di Civita Castellana
Giacomo Bevanati, Margherita Cardoso, Stella Passerini, Benedetto Turcano
MY JOURNEY TO SCHOOL
THE GREEN VILLAGE
GIBIGIANA
aprile 2008 Roma
2010-2011 Via Appia Nuova, Roma
26 giugno 2012 MAXXI, Roma
Concept di:
Concept di:
Concept di:
Daniele Mancini
Daniele Mancini con Francesco Rosati, Guido Maciocci
Daniele Mancini, Michele Mancini, Agostino Mancini
Esplorazioni a cura di:
Contenuti e allestimento:
Performance di:
Studenti del Corso di Comunicazione Visiva e Multimediale 2008, Facoltà di Architettura Roma La Sapienza
con la collaborazione degli studenti IED Roma
Adrián Castelló, Giacomo Bevanati, Daniele Mancini, Michele Mancini, Giada Spera, Benedetto Turcano,Flavia Verre
House like Myself
PLA STI C SHE ET
Floating City
PLA STI C SHE ET
GroundSketching
GroundSketching
From A to B
CHALK POWDER
GroundSketching
The Shape of the Sun
CHALK POWDER
Blowing in the wind
Blowing in the wind
Swinging Up and Down
Blowing in the wind
Reflecting the sunligh
Blowing in the wind
Air Thinkness
R
PAPE
Intrusive Rolls
Human Based Screen
IO NON paura io HnoOn ho PAURA SMS
Matrice Urbana 6 x 7 per visualizzare messaggi in tempo reale spediti via sms dai tuisti di Piazza di Spagna
My Jouney to School
Ci sono molte maniere diverse di raccontare un viaggio da casa a scuola. Si può tracciare il percorso su una mappa, si può scrivere in sequenza la lista dei luoghi che si attraversano o delle cose che si vedono, oppure si possono fare delle fotografi . Cosa succede quando la descrizione cartografica si sovrappone a contenuti discreti e piÚ narrativi?
Aliens in Milan
Aliens in Milan
Urban Pop Stick
Aliens in Milan
Swinging
Aliens in Milan
Can(nd)ll Home
Il candeliere è l’interfaccia per comunicare con mondi ultragalattici per alieni che vivono tra di noi sotto false sembianze. Uno strano dialetto, un codice morse. Si inseriscono i soldi nell’offertorio, si accendono le candele e il tamburo della chiesa comincia ad emettere segnali luminosi nello spazio infinito
Aliens in Milan
Pleiades M45
Un osservatorio all'aperto, nell'unico luogo rialzato della zona nord-ovest di Milano, in cui fermarsi in cerca di un bagliore alieno nel cielo notturno. Ăˆ un insieme di punti di aggregazione, tracciati a terra riproponendo l'ammasso stellare delle Pleiadi nei sui elementi piĂš rilevanti, che permettono di sedersi o sdraiarsi per scrutare l'arrivo di forme di vita aliena. Ăˆ una performance che permette di unire, collaborare, meditare, osservare e stare in silenzio; Ăˆ come il passaggio di una cometa. Ci si prepara, la si vive, la si ricorda‌
MySpace.IED
Tutto in una notte, workshop sul magico mondo dei gonfi bili con gli studenti IED di Roma sultema del MySpace...
A ciascuno secondo necessitĂ , da ciascuno secondo capacitĂ
Pratiche relazionali e partecipative ai giardinetti di via San Gratiliano a Civita Castellana: appropriazione della dimensione pubblica come pratica etica ed estetica per defini e il proprio spazio minimo di (r)esistenza
Big Bubble for an Infl table World
Un workshop per essere introdotti alle strutture gonfi bili. Semplici, economiche, dai risultati sempre di grande effetto. Per il Compasso di Latta organizzato da NABA e Triennale di Milano come evento collaterale al Salone del Mobile 2010
Gibigiana
Seguire raggi di sole che rivela se stesso riflet tendo su piccole superfici è un gioco che accomuna umani e animali. Gibigiana è stato esattamente questo, un gioco, una attività ludica del tutto innocente...
Green Village
From Bud to Flowers
Green Village
Virtual Gardener
Green Village
Under Control
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