ANCHE IO VOLEVO IL CAMION
INTERVISTA A LAURA MIHAES
DALLA PASSIONE ALLA DELUSIONE Coltiva da bambina, guardando il padre autista, il sogno di guidare camion. Ma la vita la porta altrove. Otto anni dopo, con un matrimonio alle spalle e un figlio da crescere, Laura prende le patenti e diventa camionista. Agli inizi di maggio un po’ gli insulti di colleghi, un po’ il taglio della retribuzione la costringono a fare un passo indietro. Sperando sia momentaneo
P
remessa: siamo convinti che tramite la presenza femminile si potrebbe fornire una soluzione alla carenza di autisti. Ma siamo pure convinti che, affinché ciò avvenga, è necessario rimuovere una diffusa cultura maschilista, improntata sulle discriminazioni di genere. La storia di Laura Mihaes dimostra entrambe le cose: perché questa donna, giunta in Italia nove anni fa dalla Romania, è riuscita in effetti a diventare autista di camion, come aveva sempre sognato. Ma poi ha dovuto fare un passo indietro determinato anche dai giudizi di colleghi dalle vedute tutt’altro che larghe. Ma partiamo dal principio, quando Laura inizia a cullare il sogno di diventare camionista osservando il padre. «La mia passione e – ci spiega – nasce da bambina. Mi piaceva salire sul camion di papà. Quando finivo la scuola volevo sempre andare in giro con lui». Maggiore di sei figli, Laura ricorda quell’epoca con gli occhi spalancati: «Papà guidava un vecchio Saviem con cui trasportava materiali per l’edilizia. Ricordo quando, nel cortile di casa, me lo fece guidare per la prima volta: mi dovevo aggrappare con tutte e due le mani sulla leva del cambio per riuscire a cambiare marcia». Gli anni passano, Laura si diploma in ragioneria e in casa pretendono che orienti il suo sguardo verso qualcosa di diverso rispetto al camion. «Papà non voleva che facessi
l’autista: esigeva che mi cercassi un altro lavoro perché, secondo lui, non era per me una vita possibile. Così litigammo e andai via di casa per raggiungere i miei zii in Italia. Avevo 19 anni». Una volta a Roma Laura trova prima un impiego come barista e poi come aiuto pasticcera. In questa fase conosce l’uomo che diventerà suo marito, un pizzaiolo di origini rumene: «Quando ho compiuto 21 anni ci siamo sposati. Sono rimasta incinta e ho avuto il mio bambino. Le cose fra me e mio marito, purtroppo, non funzionavano. Uno dei problemi era proprio il mio desiderio di fare la camionista: non voleva assolutamente. Alla fine ci lasciammo». Con i soldi messi da parte Laura si iscrive a scuola guida e prende le tanto desiderate patenti. «Mi misi a cercare lavoro e paradossalmente, mentre qualcuno diceva che ero senza esperienza o che il lavoro non era adatto a una ragazza, altri erano disposti a lasciarmi un bilico tra le mani senza neanche una spiegazione! Poi trovai una ditta seria impegnata nel trasporto frigo. Mi affidarono a un autista anziano che mi accompagnò per i primi viaggi spiegandomi tutto. Dopo tre mesi ho iniziato a fare la linea da sola. Caricavo frutta ai mercati generali di Roma e la distribuivo al nord Italia. Mi piaceva molto» ». Rimaneva il problema di conciliare il lavoro con gli impegni familiari. Per darle una mano arriva la mamma
dalla Romania. Laura le è riconoscente: «Mio figlio oggi ha sette anni e, grazie a sua nonna, sono riuscita a iniziare a lavorare sui camion. Poi, scoppiata la pandemia, ho trovato una ditta attiva nella distribuzione regionale e così, per rientrare a casa tutte le sere, ho deciso di cambiare» ». All’inizio Laura è contenta: rifornisce i supermercati di Roma e provincia di provviste alimentari e prova orgoglio nel fare qualcosa di utile per le persone. Poi a metà maggio iniziano i problemi. Inizialmente si manifestano sotto forma di autisti ignoranti. «C’erano alcuni colleghi – rumeni (ahimé) anche loro – che mi tormentavano. Non facevano altro che dirmi che le donne devono stare a casa, a cucinare e a rammendare calzini. Oppure che in momenti di crisi non è giusto rubare lavoro agli uomini. Una collezione di luoghi comuni insopportabili, condita con insulti e parolacce» ». Poi, la doccia fredda: l’azienda le propone di portare la retribuzione a 70 euro l’ora. «Lo so, il momento è difficile, ma con quella cifra – dice Laura – vado a fare la cameriera: almeno non mi sveglio alle due di notte per andare a caricare!». Così, demotivata da questo uno-due, Laura rassegna le dimissioni: «È stata una repulsione: spero in futuro di trovare un’altra ditta con cui tornare a fare l’autista. Adesso è complicato» ». È anche la nostra speranza e, siamo sicuri, presto diventerà realtà.
giugno 2020
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