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369 mensile anno XL luglio 2021
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Lo sbarco a terra dei big del mare
SE IL COMMITTENTE È L’ARMATORE La disorganizzazione nei terminal
SCALO CHE VAI CODA CHE TROVI Dubbi ed effetti di un oligopolio
LA TRIPLICE ALLEANZA
I GIGANTISMI NEL TRASPORTO CONTENITORI: CAUSE E CONSEGUENZE
I PREZZI PAZZI DEI CONTAINER NUMERO MONOGRAFICO UeT21_LUGLIO_COVER.indd 1
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Daniele di Ubaldo
EDITORIALE
di
Mensile di informazione politica e tecnica. Pubblicazione dell’Associazione professionale di categoria Organo del Gruppo Federtrasporti - gruppofedertrasporti.it
369
Anno XL - luglio 2021 Direttore responsabile Daniele Di Ubaldo (d.diubaldo@uominietrasporti.it)
Vice direttore Patrizia Amaducci (p.amaducci@uominietrasporti.it)
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Foto Alfonso Santolero, Francesco Vignali
Hanno collaborato Gabriele Bolognini (g.bolognini@uominietrasporti.it), Luca Regazzi (l.regazzi@uominietrasporti.it) Massimiliano Barberis, Elisa Bianchi, Umberto Cutolo, Anna De Rosa
Editore Federservice Soc. Coop.
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CONCENTRATI IN UN CONTAINER Malcolm McLean aveva il bernoccolo degli affari. A farglielo spuntare era stata soprattutto la difficoltà ad accettare le attese. Nato nel 1913, alla fine degli anni Trenta acquisì nella Carolina del Nord un distributore di carburante, convinto che fosse un’attività dal futuro fiorente. Fino a quando non scoprì che il camion con cisterna che lo riforniva di benzina e gasolio, caricati in un deposito ad appena 45 chilometri di distanza, percepiva più dollari di quelli che lui guadagnava in una settimana. A quel punto si convinse ad aprire un’azienda di autotrasporti. Gli affari andavano bene. Troppo bene, perché la domanda di trasporti cresceva a un ritmo più veloce rispetto allo sviluppo delle infrastrutture. Così, strade inadeguate a far viaggiare camion sempre più numerosi divennero teatro di continue code. McLean provò a saltarle: un giorno, costeggiando l’Atlantico per andare a scaricare a New York, pensò che se avesse percorso via mare quell’intasato tratto avrebbe risparmiato tempo e stress. E tanto fece, dopo aver fatto realizzare apposta robuste passerelle con cui imbarcare i camion sulle navi. L’intuizione gli sembrò talmente vincente che quando il governo americano mise in vendita a prezzi stracciati le petroliere utilizzate per la Seconda guerra mondiale, pensò bene di acquistarne un paio. Ma questa rincorsa dell’intermodale spiccò il volo quando un giorno, recatosi con il camion a prelevare un carico di cotone in un porto del New Jersey, trascorse in inutile attesa un’intera giornata, provando una sensazione simile a quella che i trasportatori italiani vivono quotidianamente per accedere al porto di Genova. A lui quel tempo congelato solleticò però un’intuizione geniale: «Ma perché – pensò – invece di scaricare la merce un pezzo alla volta, una scatola alla volta, una cassa alla volta, non la stipiamo tutta in un grande contenitore? Ma soprattutto perché non fare in modo che quel contenitore, sceso dalla nave, non possa essere appoggiato direttamente sul rimorchio del camion?». La risposta trovò forma il 26 aprile 1956, quando una delle due petroliere convertite partì da Newark per trasportare a Houston 58 contenitori di acciaio tutti uguali, lunghi poco più di 10,5 metri. Quel giorno non soltanto nacque il container, ma il commercio internazionale trovò una spinta eccezionale, perché il costo di trasporto passò da quasi 6 dollari a tonnellata ad appena 15 centesimi. Le radici materiali della globalizzazione e quindi della delocalizzazione erano piantate. McLean, spirato nel 2001, non riuscì a vederle fiorite. In realtà, il trasporto containerizzato già all’epoca aveva preso piede e veniva utilizzato per quasi l’80% degli scambi mondiali. Non si era ancora affermato, invece, il cascame più pericoloso della containerizzazione, letteralmente esploso negli anni a venire sotto forma di concentrazione. I numeri lo dicono in modo inequivocabile. Quando morì McLean le prime dieci compagnie di trasporto container detenevano poco più del 10% del mercato mondiale, oggi sfiorano il 90%. Insieme alle loro quote sono cresciute le dimensioni delle navi, funzionali a generare maggiori economie di scala e di conseguenza a far lievitare i loro utili. Ma soprattutto si è allargato a dismisura il perimetro del loro business, che dalle stive delle navi è sceso a terra, acquisendo prima i terminal e poi pezzi crescenti dell’offerta di trasporto ferroviario e stradale, così da assestare un duro colpo agli equilibri del mercato. Ciò che invece stenta a crescere è il livello delle imposte versato da queste compagnie, pari a circa un quarto, forse un quinto rispetto a quanto paga il più misero portuale italiano. Senza considerare che una parte delle imposte corrisposte da quel portuale spesso vengono destinate all’allargamento delle banchine o al dragaggio dei fondali dei porti, in modo da consentire l’attracco alle mega portacontainer. Senza considerare che spesso quella spesa, sostenuta in una stagione, è vanificata in quella successiva, quando cioè la compagnia, dopo aver scelto un porto come hub di riferimento, decide per propri interessi di trasferirsi altrove. Uno scenario ricco tanto di concentrazioni quanto di contraddizioni complicate da sciogliere. E adesso non c’è nemmeno più McLean a poter suggerire una soluzione.
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DOPOLAVOROPRODOTTOPROFESSIONE SOMMARIO
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EDITORIALE Concentrati in un container
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NUMERI PER CAPIRE Trend e prospettive di trasporto e logistica. Il container impazzito
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SULLE STRADE Le big del mare triplicano i noli, ma agli autotrasportatori non arriva nulla. Se il committente è l'armatore
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SULLE STRADE Firmato solo da committenti e autotrasportatori un primo verbale container. Un primo passo verso il contratto
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SULLE STRADE Disorganizzazione dei terminal, infrastrutture carenti, documenti mancanti. Scalo che vai, coda che trovi
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SULLE STRADE Parla Patrizio Loffarelli, direttore Consorzio Autotrasportatori Civitavecchia. «Troppo squilibrio tra nave e piazzale»
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SULLE STRADE Cosa chiede l’autotrasportatore al telaio con cui trasporta i cassoni. Leggero e flessibile: ecco il portacontainer dei desideri
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SULLE STRADE Quali telai si vendono di più e perché. Dal porto alla porta
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SULLE STRADE Telai portacontainer: l’offerta di prodotto. Il catalogo delle scatole
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NEI PORTI Il traffico container – con o senza Covid – è bloccato a 10,5 milioni di Teu. Quanto è profondo il porto
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NEI PORTI Cresce costantemente la presenza delle grandi compagnie dentro gli scali. Armatori, terminalisti o tutto?
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NEI PORTI L’intervento di Sergio Bologna nel podcast K44 La voce del trasporto. «Gigantismo? Ci vuol un limite»
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NEI PORTI Si moltiplicano le esperienze di guida autonoma nelle aree portuali. I robocamion alla conquista dei porti
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SULL'OCEANO Le maggiori compagnie, riunite in tre grandi associazioni, fanno prove tecniche di cartello. La triplice alleanza
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SULL'OCEANO L’analisi di Bloomberg sulla carenza di materiali prodotta dalla pandemia. «Il mondo è a corto di tutto»
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SULL'OCEANO Parla Silvia Moretto, presidente Fedespedi, l’associazione degli spedizionieri. «Deve muoversi l’Europa»
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SULL'OCEANO Tutte le conseguenze dell’incaglio della Ever Given. Suez, un test per le megacarrier
NON DI SOLO TRASPORTO 64
Me l'ha detto un camionista: La Tavernetta
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Voci on the road. 10 domande a… Monika Kesselring
ALL'INTERNO 33
L'Agenda del mese. Novità normative
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Sotto L'ombrello. La corretta valutazione di rischi e opportunità
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Un mese in pillole. Giugno
IL TRASPORTO IN VOCE E IN VIDEO CON UN CLIC
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NUMERI PER CAPIRE
TREND E PROSPETTIVE DI TRASPORTO E LOGISTICA
IL CONTAINER +319% È l’incremento del costo di trasporto di un container da 40 piedi da Shanghai a Genova tra il marzo 2020 e il marzo 2021. World Container Index di Drewry
NOLI: SOTTO IL SEGNO DEL CAOS Prezzi dei noli quadruplicati, cassoni vuoti introvabili, rotte cancellate, ritardi sulle consegne: il mondo del trasporto container si affaccia alla fine della pandemia sotto il segno del caos. E non è (tutta) colpa pa del Covid. Tutti gli operatori – spedizionieri e trasportatori per primi mi – puntano il dito contro gli armatori: le principali compagnie mondiali nd si sono alleate in tre mega consorzi che fanno il bello e il cattivo a tempo. Approfittando della pandemia, che ha rallentato la produzione u mondiale, hanno cancellato alcune rotte, riducendo la capacità a di stiva e determinando il forte aumento dei noli. Prima della pan ndemia, n ia, spedire un container dal Far east all’Europa costava 1.200 dollari, a ottobrre 2020 era arrivato a 3 mila, ad aprile 2021 era schizzato a 8 mila e ai primi prim di giugno, con il blocco del porto di Yantian, fermato da un fo foc colaio c olaio di d Covid-19, aveva superato i 10 mila.
5,8 Sono i miliardi di dollari di utile netto aggregato nel quarto trimestre 2020 delle prime 11 compagnie marittime di trasporto container del mondo. Blue Alfa Capital
400 Sono le partenze di portacontainer annullate dalle tre principali alleanze armatoriali tra marzo e settembre 2020, pari al 10% della capacità nominale di unità per TEU. Blue Alfa Capital
IL DISTRATTO ANTITRUST ALL’EUROPEA Americani e cinesi se ne sono accorti e sono corsi ai ripari, impugnando le loro norme antitrust che hanno frenato il fenomeno. L’Europa, invece, non solo concede agli armatori facilitazioni fiscali (il 7% contro il 27% richiesto agli spedizionieri), ma ad aprile ha anche rinnovato fino al 2024 l’esclusione dei carrier dal divieto di concentrazioni societarie.
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IMPAZZITO LO SBARCO A TERRA DEI GRANDI ARMATORI Da qualche tempo le grandi società armatoriali stanno cannibalizzando la filiera, acquisendo società terminaliste e assoldando direttamente autotrasportatori. Con un codicillo tutto italiano: far pagare una maggiorazione di prezzo (surcharge) agli imprenditori che, anziché appoggiarsi ai servizi a terra controllati dall’armatore, vogliono scegliere autonomamente i loro fornitori.
174 Sono i milioni di TEU movimentati nel mondo nel 2020 con un calo dell’1,08% rispetto al 2019. World Container Index di Drewry
L’AUTOTRASPORTO IN RETROMARCIA Per l’autotrasporto l italiano di container che movimenta la gran par parte dei cassoni presenti sul territorio (solo una piccola quota si s muove su ferrovia) significa non solo vedere diminuire il lavor oro, ma anche accettare compensi più bassi (per consentire all’arm matore di offrire un pacchetto competitivo), affrontare impro rovvisi cambiamenti di programma (per la cancellazione di rotte e o il ritardo degli arrivi), farsi carico dei disservizi che questa situ uazione comporta.
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Sono i milioni di TEU movimentati nei principali porti italiani nel 2020 con un calo dello 0,9% rispetto al 2019. Confetra, Almanacco della Logistica 2021
Sono i milioni di TEU movimentati nei principali porti gateway italiani nel 2020 con un calo dell’8,3% rispetto al 2019. Si tratta di quasi tutti cassoni trasportati su camion, dal momento che la quota di container su ferro è intorno al 10%. Confetra, Almanacco della Logistica 2021
L’ACCORDO DI SETTORE E I TEMPI DI ATTESA Lo scorso 3 giugno committenti e trasportatori hanno firmato il nuovo contratto: è un accordo di programma che arriva a 16 anni dal precedente, sottoscritto nel 2005. Questa volta non c’è (ancora) la firma di terminalisti, spedizionieri e autorità portuali. Ma è un primo passo con cui cercare l’accordo generale, soprattutto sul nodo ancora irrisolto: quello dei tempi di attesa. Che le carenze del servizio fornito dalle alleanze di grandi carrier non può che dilatare. Chissà che questa situazione non finisca per mettere d’accordo tutta la filiera, per trovare comuni strumenti di difesa dalla cannibalizzazione degli armatori.
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LE BIG DEL MARE TRIPLICANO I NOLI, MA AGLI AUTOTRASPORTA T
SE IL COMMITT È L’ARMAT di Umberto Cutolo
N I play player yer più strutturati reggono reggo ono m ma se lavorano in subvezione per un armatore, si trovano in una posizione sempre meno di controllo, e alla fine qualche pezzo della tariffa lo devono lasciare per strada. Giuseppe Tagnochetti, ett coordinatore Trasportunito sportu unito Liguria
egli ultimi mesi la domanda che si fanno tutti gli autotrasportatori del settore container è una, espressa in vari modi, ma sostanzialmente sempre la stessa: «Ma se i noli sono triplicati e le grandi compagnie stanno registrando utili da favola, perché all’autotrasporto non arrivano neanche le briciole?». La risposta più immediata, che cioè tra le multinazionali del mare e l’autotrasportatore ci sono una serie di passaggi intermedi (agente marittimo, spedizioniere, magari primo vettore) che assottigliano i margini, non è né convincente, né risolutiva, anche perché ormai gli armatori stanno sempre più «sbarcando a terra», ingaggiando direttamente gli autotrasportatori e, dunque, eliminando un paio di livelli che dovrebbero accorciare la filiera e lasciare ricavi più ampi per remunerare il trasportatore. «Macché», scuote la testa Giuseppe
Tagnochetti, coordinatore di Trasportounito per la Liguria e quindi Genova, il maggior porto gateway italiano. «La merce sicuramente ha pagato gli extra costi del Covid – aggiunge – peccato che a noi non arrivi nulla. Anche per quanto riguarda l’aumento del costo del gasolio, siamo sicuri che i committenti lo abbiano riconosciuto, ma poche compagnie hanno contrattualizzato l’adeguamento del prezzo ai trasportatori. Noi siamo l’anello debole a cui quale non arrivano gli extra costi, perché l’armatore porta a casa tutto». Di questo «anello debole», per di
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A TORI NON ARRIVA NULLA
T ENTE T ORE
I margini per le tariffe degli autotrasportatori nel settore container sono stretti a causa della lunghezza e della complessità della filiera. Ma adesso che le grandi compagnie marittime offrono alle industrie pacchetti comprensivi del trasporto terrestre, ingaggiando autotrasportatori in subvezione, la supply chain si accorcia, però i compensi non aumentano. Come mai? più – nel Paese in cui le stime hanno ormai preso il posto delle statistiche – non si conosce né il numero degli operatori, né quello dei veicoli impiegati. Certo sono entrambi rilevanti se
24 mila Sono i cassoni, lunghi 6 o 12 metri, che ogni giorno vengono trasportati in Italia da un porto a un deposito (o a un’industria o a un hub logistico) o viceversa.
si pensa ai container che sbarcano ogni anno nei nostri porti. Anche qui è una stima, ma una stima ragionata e dunque abbastanza vicina al vero. Nel 2020, secondo i dati del Centro studi Fedespedi, negli scali italiani sono stati movimentati 10,68 milioni di TEU, ma se si escludono quelli in transhipmet che sono finiti su una nave più piccola per riattraversare il
Mediterraneo verso altre direzioni, il numero di cassoni sbarcati o imbarcati scende a 6,614 milioni (il dato è dell’Almanacco della Logistica Confetra, 2021). Escludendo dal computo un 10% (stima Confetra) che esce dal porto su ferrovia – soprattutto a La Spezia, dove nel 2020 sono stati movimentati 327 mila TEU, in pratica la metà del trasporto container nazionale su rotaia – ne restano 6 milioni che ogni anno finiscono su semirimorchi trainati da una motrice e circolano sulle strade italiane. Divisi per le giornate lavorative significa che, ogni giorno, 24 mila cassoni lunghi 6 o 12 metri, vengono traspor-
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6 milioni È il numero di container che ogni anno, dopo essere stati sistemati su appositi semirimorchi circolano sulle strade italiane. tati da un porto a un deposito (o a un’industria o a un hub logistico) o viceversa.
SUBVETTORI DELLE AGENZIE A differenza delle altre filiere del trasporto su gomma – che hanno specificità, ma alla fine si risolvono nel rapporto vettore-committente – quella del computer è estremamente complessa ed è difficile stabilire margini di intervento e responsabilità dei singoli operatori. Il modello «classico» – lo spedizioniere che organizza il viaggio e ingaggia il trasportatore – consente margini abbastanza stretti: sulle distanze medio-brevi più di 50, ma meno di 100 euro a viaggio per il trasportatore. «Io non mi posso lamentare», racconta un padroncino che opera in Liguria e chiede l’anonimato come la maggior parte degli autotrasportatori quando si tratta di parlare dei loro committenti, «ma mi ritengo fortunato nella mia nicchia con due spedizionieri che mi portano il lavoro. Altri colleghi se la passano peggio, perché devono sottostare a sub agenzie – spesso a livelli di subvezione vietati dalla legge – che erodono ulteriormente quel
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compenso».Che ci siano problemi al limite della legalità lo ha detto chiaro e tondo a K44 Risponde, il videocast di Uomini e Trasporti e Trasporto Europa, anche il presidente della FAI di Genova, Gioacchino D’Andria: «La causa principale delle difficoltà economiche è l'impossibilità di lavorare seguendo tutte le regole, in presenza di aziende che non lo fanno e si muovono illegalmente». Come? Per esempio, inserendosi nella filiera e acquisendo il diritto al trasporto con un solo camion da iscrivere all’Albo: i viaggi che non riesce a fare li subappalta, mantenendo una percentuale del compenso. Sono situazioni limite, perché la legge consente un solo livello di subvezione, ma spesso è sufficiente per allungare ulteriormente la supply chain del container, riducendo le tariffe finali.
LO SBARCO DEGLI ARMATORI Ma neppure l’irruzione degli armatori sul mercato del trasporto container, pur accorciando la catena, ha migliorato la situazione per l’autotrasporto. Premesso che in tutto il mondo la tendenza delle big del mare è sempre più palesemente quella di «cannibalizzare la filiera», aggiungendo al trasporto via mare anche la movimentazione portuale e il trasporto terrestre, in Italia il protagonista di questa strategia è la società italo-svizzera Mediterranean Shipping
Company, multinazionale da 28 milioni di dollari di fatturato e secondo vettore mondiale di container. Fondata da Gianluigi Aponte, campano di nascita, svizzero di matrimonio e d’adozione, MSC oltre a controllare, direttamente o indirettamente, sette terminal italiani, si muove sul trasporto terrestre con Medlog (ma anche su quello ferroviario insieme a Medway, società mirata esclusivamente all’intermodale), che in Italia ha esordito due anni fa presentando una serie di trattori con livrea gialla e sigla MSC, ma appoggiandosi alla Vincenzo Miele Autotrasporti di Napoli che metteva a disposizione uomini e mezzi. Il problema è che l’offerta degli armatori, per essere competitiva, deve ridurre comunque i costi: offrire ai committenti il pacchetto completo del trasporto della merce, dall’origine al destino, significa mettere insieme una serie di passaggi i cui costi devono essere necessariamente compressi. Perciò le big del mare premono sui loro committenti perché scelgano il pacchetto completo, praticando sconti per chi lo sceglie (o, a seconda dei punti di vista, aumentando le tariffe per chi non lo fa), il che vuol dire comunque presentare sul mercato un’offerta più bassa di quella tradizionale. «Sempre più produttori», lamenta perciò Federico Brini, della Transmodal di Venezia, «si affidano alle grandi compagnie
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marittime anche per la scelta del trasportatore e questo mette in difficoltà le aziende di autotrasporto più piccole che non riescono a difendersi da tale processo. Noi cerchiamo di differenziarci continuando a offrire un servizio di alta qualità, non soggetto alle politiche di quantità, ma questa situazione non ci fa vivere sereni». E non parliamo solo di padroncini. «I player più strutturati reggono», conferma Tagnochetti, «ma se lavorano in subvezione per un armatore, si trovano in una posizione sempre meno di controllo, e alla fine qualche pezzo della tariffa lo devono lasciare per strada». C’è anche, tuttavia, chi si è trovato una nicchia calda. Sotto il consueto anonimato, un piccolo vettore del Centro Italia, ammette che con lo spedizioniere si riesce a spuntare una tariffa superiore che non con l’armatore. «Ma non bisogna ragionare sulla singola tratta», aggiunge, «perché nel momento in cui entri nel circuito delle compagnie alla fine hai profitti più alti». E spiega che, certo, devono esserci le condizioni favorevoli, come un viaggio breve, un deposito vicino allo scalo, la possibilità di un secondo viaggio. «Magari per le singole tratte sono pagato meno», conclu-
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de, «ma, se sei bravo, nel complesso guadagni anche il 40% in più».
IL NODO RESTANO LE ATTESE Gira gira, insomma, la lingua batte sul solito dente che duole: i tempi di attesa. Se nell’autotrasporto in genere sono un problema, nel settore container sono un dramma. La complessità della filiera ne crea a ogni piè sospinto. E non solo quando ci sono di mezzo altri soggetti. Per esempio, la fase di carico e scarico è doppia. E doppia è l’attesa: «Noi abbiamo il contenitore e la merce», ha spiegato a K44 Risponde Enrico Bossa, vice presidente di FAI Genova. «Tanto è vero che io preferisco definire ’carico e scarico’ solo l’operazione che riguarda il contenitore e parlare di ’riempimento e svuotamento’ per la merce contenuta nel cassone». Una questione linguistica? No, perché fotografa in quella difficoltà di identificare ruoli e responsabilità lungo la filiera, la cui confusione alla fine pesa sulla remunerazione dell’autotrasportatore, che è la maglia terminale della catena. «Sono elementi da normare», ha aggiunto Bossa, «e bisogna introdurre anche qualche deterrente importante perché tutta la
Sempre più produttori Sempre si affidano f alle grandi compagnie marittime anche per la scelta del trasportatore e questo mette in difficoltà le aziende di autotrasporto più piccole che non riescono a difendersi da tale processo. Federico Brini, Transmodal di Venezia enezia a filiera si faccia carico dei vincoli strutturali e normativi che l’autotrasporto deve rispettare». L’allusione è al nuovo accordo di settore. Raggiunto ai primi di giugno, a 15 anni dall’ultimo contratto – ma solo tra committenti e autotrasportatori – ora attende una verifica con il resto della filiera, magari sotto l’auspicio del governo. Ma in giro non c’è molto ottimismo. «Una regolamentazione di mercato è difficile», ammette Tagnochetti. E aggiunge quasi con rassegnazione, di fronte a una constatazione ovvia, che è sotto gli occhi di tutti: «Perché gli armatori hanno una forza economica straordinaria».
Una delle protagoniste dello sbarco a terra degli armatori è la società italo-svizzera Mediterranean Shipping Company, multinazionale da 28 milioni di dollari di fatturato e secondo vettore mondiale di container. Fondata da Gianluigi Aponte, campano di nascita, svizzero di matrimonio e d’adozione, MSC oltre a controllare, direttamente o indirettamente, sette terminal italiani, si muove sul trasporto terrestre con Medlog.
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FIRMATO SOLO DA COMMITTENTI E AUTOTRASPORTATORI UN P
UN PRIMO PASSO VERSO IL CONTRATTO Introdotto un meccanismo di variazione automatica per il costo del gasolio, regolata la responsabilità sull’integrità dei cassoni, ma per le attese, gli indennizzi e il tracciamento delle operazioni si chiede al governo di coinvolgere porti, spedizionieri e terminalisti
Lo
hanno firmato giovedì 3 giugno, ma si guardano bene dal chiamarlo «contratto», anche solo nel linguaggio parlato. La stessa intestazione recita «Verbale di accordo volontario di diritto privato», ma è nei soggetti firmatari che si capisce perché tanta cautela nel misurare le parole. In calce ci sono le firme di Assarmatori, Assologistica, Confitarma e Federagenti, raggruppati sotto la denominazione di «committenza» e quelle di undici associazioni dei vettori (praticamente tutte) indicate come «autotrasporto». Ma non quelle dei terminalisti, degli spedizionieri, dei caricatori e delle stesse Autorità portuali, come ha fatto subito osservare il quotidiano della Confindustria, il Sole 24 Ore. D’altra parte, probabilmente, era l’unico modo per cercare di sbloccare una situazione che dura da 16 anni, dal momento che l’ultimo contratto di settore risale al 20 dicembre 2004 e da allora si è andati avanti navigando a vista, finché il caos di Genova, dopo il crollo del ponte Morandi e l’avvio dei lavori di manutenzione autostradale, ha indotto committenti e trasportatori a sedersi intorno a un tavolo e a delineare una strategia comune. Che
consiste nell’accordarsi su una serie di punti e sollecitare il ministero delle Infrastrutture a convocare le altre parti e a cercare una mediazione conclusiva.
QUATTRO PUNTI L’accordo, in vigore dal 1° luglio, è articolato in quattro punti e una premessa, nella quale i firmatari concordano che «le indennità relative alle prestazioni accessorie vadano riequilibrate sulla base degli effettivi costi sostenuti dall’autotrasporto». E in questo senso l’ultimo punto prevede un sistema di variazione automatico dell’incidenza del costo del gasolio da applicare in caso di variazioni superiori al 2%. Gli altri punti concreti riguardano l’assimilazione delle condizioni di mercato dei cassoni da 20' a quelle per i 40' quando il peso sia superiore a 1.200 kg e l’affidamento ai terminalisti (che però non erano presenti alla trattativa) della responsabilità sullo stato materiale e l’integrità dei container, limitando quella del vettore al solo esame visivo possibile. Più complessa l’articolazione degli altri due punti che toccano il nervo dolente dei rapporti di filiera: tempi di attesa e loro remunerazione. Il primo
punto, infatti, è denominato «Disciplina della tracciabilità e registrazione dei cicli operativi dei camion nei bacini portuali, accordi di programma e regimi degli indennizzi» (da definire attraverso accordi di programma) e chiede al ministero di intervenire sulle Autorità portuali e gli operatori interessati per arrivare – anche attraverso un tracciamento delle operazioni – alla definizione di tempi certi, un
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N PRIMO VERBALE CONTAINER
po’ sul modello di La Spezia dove si
LA PALLA AL MINISTERO
sta per sperimentare una tempistica
Qualunque nome gli si voglia dare, questo testo è un modo per rinviare la palla (o il cerino acceso) al ministero. Se il segretario di FAI-Conftrasporto, Andrea Manfron, si limita a sottolineare la necessità di chiederne l’intervento, il responsabile del settore container di Assotir, Patrizio Loffarelli, è più specifico, parlando di «inaccettabile sordità» del ministero, ma soprattutto delle autorità portuali che dovrebbero «vigilare sulle capacità tecnico-organizzative dei loro concessionari». «Occorrerà continuare a premere», conclude Loffarelli, «anche al fine di riprendere e concludere, come auspicato da tutti i sottoscrittori del Verbale di accordo, il lavoro del tavolo dei container». Per arrivare magari ad affidare all’Autorità di Sistema portuale il ruolo di quella che Enrico Bossa, vice presidente di FAI Genova, definisce «un’autorità sovra ordinata che proceda al riconoscimento del maggior costo generato dalla maggiore attesa necessaria». Un compito, quello del ministero, non facile. Assiterminal non ha neppure atteso che l’inchiostro sul verbale si asciugasse per scrivere a Maria Teresa Di Matteo, direttore generale del ministero per il Trasporto marittimo, per rifiutare il ruolo di capro espiatorio dei ritardi generati dalla complessità delle operazioni portuali: «Individuare in un unico soggetto
a seconda del numero di operazioni: 45 minuti in caso di solo carico o solo scarico, 90 in caso di entrambi. Il secondo riguarda direttamente i tempi d’attesa ed è strettamente legato al precedente, ma è talmente delicato – coinvolgendo tutte le altre parti, anche quelle assenti al tavolo – che è stato rinviato e gli sono state dedicate solo tre righe: «L’argomento relativo alla regolamentazione delle attese al carico e allo scarico a stabilimento viene tenuto in sospeso e verrà trattato dalle parti dopo la definizione della disciplina della tracciabilità nei bacini portuali, che condiziona l’intera filiera operativa del trasporto containers».
Sono gli anni trascorsi dalla sigla dell’ultimo contratto di settore avvenuta il 20 dicembre 2004. Oggi, a muovere le acque sono stati il crollo del ponte Morandi e i lavori di manutenzione autostradale che hanno creato problemi tali, da indurre committenti e trasportatori (ma non le altre parti) a sedersi intorno a un tavolo e ad accordarsi su alcuni di punti. il collettore di responsabilità di queste dinamiche può essere quantomeno riduttivo e fuorviante, nonché – spesso – non corretto». Ma non ha neppure chiuso la porta. Il presidente dell’associazione, Luca Becce, ha detto all’assemblea del 6 giugno, di avere preso l’iniziativa di proporre alle «altri parti» che hanno stipulato il contratto «di effettuare prossimamente un compiuto esame sui vari istituti del contratto e sulle prospettive del lavoro portuale in un’ottica che garantisca il rispetto delle regole e il perseguimento di traguardi di efficienza ed efficacia».
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SULLE STRADE
di Elisa Bianchi
DISORGANIZZAZIONE DEI TERMINAL, INFRASTRUTTURE CARE
SCALO CHE VAI, CODA CHE TROVI
Sono numerosi i tentativi di risolvere i problemi del carico e scarico dei container. A Genova si punta sulla digitalizzazione. A La Spezia si contingentano i tempi massimi. A Napoli la situazione è definita «drammatica». Un po’ meglio a Venezia, ma solo perché i traffici sono in calo
G
li autotrasportatori che devono entrare nei terminal italiani si trovano di fronte sempre la medesima situazione: code chilometriche e tempi di attesa che sembrano dilatarsi sempre di più. E questi ritardi si riverberano poi sull’intero ciclo logistico e finiscono anche per esasperare gli animi. «Tardare in porto», spiega Giuseppe Tagnochetti, coordinatore di Trasportounito Liguria, «significa arrivare a destino in ritardo e fare un’ulteriore coda allo stabilimento. In questo modo si perde capacità produttiva, di consegna e di fatturazione del veicolo e in più si genera uno stress enorme per il personale viaggiante che deve rincorrere il tempo per effettuare il proprio lavoro». Soprattutto, una coda troppo lunga significa perdere l’opportunità di un secondo viaggio nella stessa giornata. Franco D’Artizio, segretario della FAI genovese, ha spiegato al videocast K44 Risponde, che «spesso le aziende si trovano davanti a servizi che sono convenienti solo se possono essere raddoppiati: se da Genova vado a Pavia non riesco a coprire i costi, ma se ci sono attese troppo lunghe un secondo viaggio è impossibile».
GENOVA: SPERANDO NEL DIGITALE
zione o gli ordini di scarico non siano
Ed è al porto di Genova che si concentrano i tre macro-temi che generano attese, code e disagi. «In primis», elenca Tagnochetti, «i problemi di capacità dei terminal di dare servizi adeguati all’autotrasporto: ci si ritrova con intere aree bloccate e attese fuori dai gate che arrivano a sfiorare anche le cinque ore. Il nuovo terminal di Genova, per esempio, non è organizzato adeguatamente per dare servizio agli autotrasportatori, così come a Vado Ligure, dove attualmente non ci sono ancora attese, ma con l’aumento dei traffici potrebbero sorgere dei problemi. Il secondo ordine di problema riguarda elementi infrastrutturali che a volte continuano a non essere adeguati. Le banchine spesso non sono realizzate in maniera funzionale e la responsabilità è anche delle Autorità di Sistema portuale che hanno competenza a regolare questi aspetti». Infine, c’è il tema della mancanza dei documenti. «Capita spesso», continua Tagnochetti, «che nonostante il committente abbia comunicato al trasportatore di presentarsi al terminal, manchi parte della documenta-
programmazione e genera ulteriori
stati trasmessi. Questo ostacola la attese ai terminal. Se gli uffici chiudono, poi, l’attesa si protrae per l’intera notte. Al terminal di PSA Genova Pra, per esempio, i tempi di attesa sono generati anche dai cambi di turno,
Al terminal di PSA Genova Pra, per esempio, i tempi di attesa sono generati anche dai cambi di turno, perché il personale non è organizzato in maniera tale da garantire una continuità
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E
NTI, DOCUMENTI MANCANTI
di organizzazione interna dei no pochi carrelli e poco personale e quindi si dà priorità alle navi si formino file di diversi chilometri rasportatori restino in attesa ttesa fino a re per poter accedere all termi termin inal non è organizzada garantire una ema, però, spiega
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torità di Sistema portuale, presieduta da Mario Sommariva, con cui sono definiti i livelli minimi di servizio ai camion e fissati come tempi massimi di attesa nel terminal per ogni carico/scarico del container rispettivamente 45 e 90 minuti per una o due operazioni. «Sarebbe bellissimo, ma
rebbero verificare i documenti in fase di arrivo dei camion, velocizzando così la procedura. A Genova si stanno adottando sistemi di tracciabilità del ciclo dei camion nei terminal dal get-in al getout, l’Autorità di Sistema Portuale dispone quindi dei dati delle attese e, sulla base di questi, possono sviluppare livelli di servizio adeguati. La digitalizzazione può aiutare a semplificare, ma il terminal deve mettere uomini, strumenti e organizzazione affinché tutto funzioni in modo efficiente».
Qui Rotterdam
I CONTAINER GESTITI CON TECNOLOGIA BLOCKCHAIN Si parla tanto di blockchain e in pochi capiscono cosa sia. Il porto di Rotterdam da qualche mese la mette in pratica, tramite un progetto in cui i container vengono movimentati e rilasciati senza codice PIN, sostituito da una nuova applicazione, la Secure Container Release, che al suo posto utilizza un più sicuro (e meno soggetto a frodi) segnale digitale. Lo scopo, infatti, non è solo quello di rendere più efficiente la gestione dei container, ma anche di movimentarli in modo più sicuro. Tra i partecipanti al progetto ci sono CMA-CGM, Hapag-Lloyd, MSC, ONE-Line, Hutchison Ports ECT Rotterdam, Rotterdam Fruit Wharf, Milestone Fresh, VTO, Portmade e lo sviluppatore di applicazioni T-Mining. Ogni anno a Rotterdam vengono scaricati milioni di container per essere poi inoltrati verso le destinazioni finali. Raccoglierli e smaltirli è un processo complicato e rischioso. Per semplificarlo – spiega Emile Hoogsteden, direttore del Commercio dell’Autorità Portuale di Rotterdam – «i diversi partecipanti del progetto utilizzeranno un’applicazione blockchain che consente di organizzare in modo sicuro ed efficiente la procedura di rilascio seguita dalle varie parti della catena». Per capire l’innovazione vediamo come il flusso procedeva in precedenza. Fino a ieri gli autisti di camion che dovevano ritirare un container presso il terminal dovevano disporre di un titolo per
il ritiro, ovvero di un’autorizzazione rilasciata da una compagnia di navigazione. Lo spedizioniere ordinava poi alla società di trasporto di ritirare il container al terminal. Il diritto a ritirare veniva confermato al terminal tramite un codice PIN, procedura che richiede una serie di azioni manuali da parte di diversi soggetti e proprio per questo esposta a errori e frodi. Il nuovo progetto cambia sistema applicando una tecnologia blockchain. In pratica, l’autorizzazione a ritirare i container invece che su un codice PIN viaggerà su un token digitale con l’aiuto di un’applicazione basata su una blockchain. A Rotterdam, per spiegare come funziona, lo paragonano a una sorta di staffetta: il token è una sorta di testimone digitale che passa senza problemi da una mano all’altra. La tecnologia blockchain impedisce che tale autorizzazione sia rubata o copiata lungo il percorso. E questo rende il processo di rilascio più sicuro per tutti i membri della catena che sono coinvolti nel processo. L’operatore del terminal può essere sicuro che il contenitore sia rilasciato al conducente corretto, visto che c’è un solo token valido. Inoltre, la procedura non rivela chi ha trattato il token in precedenza e quindi eventuali terzi non hanno accesso a informazioni riservate sulle relazioni commerciali.
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SULLE STRADE
Stiamo assistendo a un aumento dei carichi di lavoro, ma la configurazione del porto è molto diversa, ci sono due terminal di cui uno dedicato alla consegna dei container pieni, quindi il lavoro è più fluido e i tempi inevitabilmente minori
DISORGANIZZAZIONE DEI TERMINAL
è molto improbabile», commenta il presidente provinciale di Assotir, Sandro Spinetta, perché esiste «un problema strutturale del porto, dotato di poco spazio in confronto alla mole di lavoro, anche se si sta lavorando per allargare le banchine e aumentare lo spazio dedicato ai container, attualmente tenuti anche in quinta fila. Ciò significa che, nel caso in cui un trasportatore debba ritirare un cassone a terra, il gruista ne deve spostare prima altri quattro, operazione che richiede tra i 20 e i 25 minuti, e così i tempi si accumulano. Il risultato è una media di quattro ore di attesa. Quando si perde troppo tempo al mattino poi non si riesce a tornare a scaricare la sera e si rimanda al giorno dopo, ma la situazione è la medesima. In pratica, è come un cane che si morde la coda».
ci sono pochi carrelli e poco personale per lo scarico e quindi si dà priorità alle navi lasciando che si formino file di diversi chilometri e che gli autotrasportatori restino in attesa fino a tre o quattro ore per poter accedere al terminal». Spostandosi sul lato adriatico, invece, qualcosa cambia, «ma non per merito o eccesso di efficienza, bensì perché negli ultimi anni abbiamo visto una riduzione dei volumi che transitano su Venezia», spiega Federico Brini della Transmodal, azienda di trasporto con focus sui container, attiva su Trieste, Venezia e Genova. «Fino a tre o quattro anni fa la situazione era invivibile, oggi le congestioni di una volta non ci sono più se non in circostanze particolari come scioperi o arrivi di navi che si sovrappongono». A Trieste, invece, «stiamo assistendo
MEGLIO SULL’ADRIATICO
a un aumento dei carichi di lavoro, ma
Anche a Napoli, la situazione è «drammatica», così la definisce un autotrasportatore che preferisce l’anonimato: «Il problema è prevalentemente di organizzazione interna dei terminal:
la configurazione del porto è molto diversa, ci sono due terminal di cui uno dedicato alla consegna dei container pieni, quindi il lavoro è più fluido e i tempi inevitabilmente minori».
Digitalizzazione al porto di Anversa
QUANDO IL CONTAINER SI RILASCIA CON… L’IMPRONTA DEL DITO Nel porto di Anversa, nel corso 2020, si è toccato un piccolo record nei container, toccando quota 139 milioni di tonnellate di carichi pari a 12 milioni di teu, l’1,3% in più rispetto al 2019. Per gestire questa marea montante di contenitori adesso si adotta un sistema nuovo, un processo digitale pensato appositamente per il rilascio e definito Certified Pick up (CPu), con cui si abbandona l’identificazione basata sui scomodi codici PIN per adottare un sistema Alfapass e la semplice scansione del dito. Lo scopo del sistema, oltre a rendere il processo più sicuro e trasparente, serve a rendere il rilascio dei
container d’importazione, molto più veloce. In realtà quella iniziata il 1° luglio è la seconda fase del CPu, una piattaforma dati che collega tutti coloro che entrano a far parte del processo di importazione dei container. Nella prima fase, iniziata a gennaio 2021, il sistema è servito a segnalare la procedura di avanzamento del container tramite una serie di “semafori verdi”. Lo stesso direttore del porto di Anversa, Jacques Vandermeiren, ha spiegato che il nuovo processo serve a garantire un «rilascio rapido e ottimizzato dei container in arrivo, che poi lasceranno il porto per ferrovia, per navigazione interna o per camion».
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SULLE STRADE
di Umberto Cutolo
PARLA PATRIZIO LOFFARELLI, DIRETTORE CAC
«TROPPO SQUILIBRIO TRA NAVE E PIAZZALE»
Ripercorriamo la giornata dell’autotrasportatore di container, tra ore in coda al terminal, cassoni contestati per rotture invisibili o per cattivi odori, ma soprattutto un’organizzazione che privilegia lo scarico dalla nave, creando attese e ingorghi a terra
S
embra facile la vita dell’autotrasportatore di container. La mattina, di buon’ora, al terminal portuale, all’interporto o al deposito per ritirare i cassoni, vuoti o pieni che siano. Poi il viaggio fino a destino e, se ha tempo di lavoro giornaliero residuo, si riparte per un altro viaggio. Sembra facile, appunto. Ma, ripercorrendo con Patrizio Loffarelli, direttore Consorzio autotrasportatori Civitavecchia (CAC) e rappresentante di Assotir per il settore, la giornata tipo del trasportatore di container, i problemi spuntano come funghi, a cominciare dal principale: le attese.
LE ATTESE AL TERMINAL «Succede soprattutto nei porti, quando c’è anche la nave che scarica», spiega Loffarelli, «perché le operazioni rallentano e dato che la priorità viene data alla nave, il trasportatore è costretto ad attese che vanno dai 30 minuti alle quattro ore». In porto non è il solo problema. No. C’è anche quello dei documenti. Noi possiamo solo sperare che quelli inviati dallo spedizioniere siano corretti, altrimenti, dopo ore di file, dobbiamo perdere altro tempo per mettere a posto la documentazione. Mettiamo che tutto vada liscio, ripartite… Però già abbiamo bruciato una buona parte del tempo di lavoro giornaliero previsto dalla legge, che in ogni caso non può superare le 10 ore. Però, una volta arrivati a destino, anche lì – soprattutto negli stabilimenti più grandi
– ricominciano le attese. Il fatto è che i traffici di origine portuale non hanno un chilometraggio talmente esteso da consumare nel viaggio tutte le ore giornaliere disponibili. Ma quando torniamo indietro nel porto, ci troviamo davanti allo stesso problema iniziale: una lunga fila che a volte può pregiudicare proprio la fine delle ore d’impegno. Noi ci mettiamo in coda con la speranza di posare il container in tempo e magari di ritirarne un altro. Ma se il ritiro è in un altro terminal del porto, la fila raddoppia. Però, per le attese, avete una sorta di indennità. C'è una legge che prevede due ore di franchigia, dopo di che scatta un indennizzo di 40 euro l’ora. Ma vale solo per il carico e scarico merci presso le aziende, nei porti è complicato applicarla. E comunque è poca roba rispetto alla possibilità di scaricare nel più breve tempo possibile e di ripartire per un altro servizio.
I CONTAINER ROTTI «Un altro problema», continua Loffarelli, «riguarda i container vuoti, che ritiriamo in porto e consegniamo alle imprese per la merce da esportare. Capita spesso che uno di questi container sia danneggiato e che l’autotrasportatore non sia nelle condizioni di poterne verificare l’integrità, sia per problemi visivi (il container all’interno è buio e, se c’è un piccolo foro, anche chiudendo le porte non si vede passare la luce, né se c’è un pavimento in legno che dopo il primo bancale cede) che per problemi oggettivi, come un danneggiamento sul tet-
to del container non riscontrabile se il terminal non è fornito di uno specchio. In questi casi, quando arriva alla ditta che l’ha noleggiato glielo respingono e il trasportatore è costretto a riportarlo indietro senza essere pagato, perché al momento del ritiro è costretto a firmare un documento – chiamato Interchange – in cui dichiara che il cassone è in perfette condizioni». È un bel problema… È un grosso, grosso, grosso problema che stiamo provando ad affrontare anche con le associazioni di categoria, perché dovrebbe essere il terminalista ad avere la responsabilità di fornire container idonei e non il trasportatore, che fa un altro mestiere, a verificarli. Poi ci sono i cattivi odori… Infatti. I container ce li respingono anche quando sono maleodoranti a causa, probabilmente, di prodotti chimici contenuti nel viaggio precedente, ma non
Il terminalista deve scaricare la nave entro un tempo prestabilito, altrimenti deve pagare una penalità chiamata “controstallìa”. Invece le attese dei camion non le paga nessuno, perché non c’è un contratto diretto: l’autotrasportatore lavora per lo spedizioniere che se ne lava le mani
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SULLE STRADE
Capita spesso che uno di questi container sia danneggiato e che l’autotrasportatore non sia nelle condizioni di poterne verificare l’integrità… E quando arriva alla ditta che l’ha noleggiato, glielo respingono ed è costretto a riportarlo indietro senza essere pagato, perché al momento del ritiro è costretto a firmare un documento – chiamato Interchange – in cui dichiara che il cassone è in perfette n pe fette condizioni condiizioni è un aspetto contestabile come il danno materiale. Anzi, talvolta è successo che alcuni caricatori hanno usato questo espediente perché la merce non era pronta e, per evitare di pagare la sosta, hanno respinto il container.
L’ORGANIZZAZIONE PORTUALE Come se ne esce? È un problema infrastrutturale o organizzativo? O tutt’e due? A livello logistico, i terminal portuali, anche per la loro natura, svolgono un’attività molto intrecciata con la burocrazia e richiedono un sistema di carico e scarico molto complesso che prevede investimenti in infrastrutture importanti. Ma il vero problema è che se si continua ad
PARLA PATRIZIO LOFFARELLI, DIRETTORE CAC
avere un forte sbilanciamento delle priorità a favore della nave piuttosto che del piazzale, avremo un'ottima resa allo scarico e una pessima logistica da ciglio banchina a destino. Dunque, un problema di norme? Sostanzialmente io la vedo come una mancata regolazione dell'attività portuale terminalistica. Nella legge 84/94 che regola le attività portuali, i terminalisti hanno, tra i requisiti richiesti per la concessione dall'Autorità di sistema, l’obbligo di una capacità tecnica e organizzativa che deve corrispondere comunque all’attività dell'intera filiera. Quindi è il terminalista che deve essere ugualmente operativo sia sul fronte nave che sul piazzale. In caso di picchi, poi, deve intervenire la compagnia portuale a integrare la mancanza di operatività. E perché questo non accade? Perché il terminalista deve scaricare la nave entro un tempo prestabilito, altrimenti deve pagare una penalità chiamata «controstallìa». Invece le attese dei camion non le paga nessuno, perché non c’è un contratto diretto: l’autotra-
sportatore lavora per lo spedizioniere che se ne lava le mani. Come al solito siamo l’anello debole della catena. Il 3 giugno committenti e autotrasportatori hanno firmato l’accordo per il settore container. Con questo in mano dovreste confrontarvi con terminasti, spedizionieri e Autorità portuali per completare l’accordo di filiera. In quella sede potranno essere risolti questi problemi? Mi auguro di sì. Soprattutto se il confronto avverrà in una sede neutra come il ministero per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibili. Lì il ragionamento si potrà anche ampliare alla tracciabilità dei bacini portuali e quindi al monitoraggio del flusso degli automezzi. Questo è un passaggio importante. Già nel 2019 proposi all’Autorità di Sistema portuale di Civitavecchia una «Carta dei servizi» per definire i tempi delle operazioni e migliorare l’intera filiera. Lo dico non tanto pro domo dell’autotrasporto, ma a vantaggio della portualità italiana, perché se riusciamo a individuare, tutti insieme, i dati oggettivi su cui ragionare, tutto il resto diventa relativo.
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COSA CHIEDE L’AUTOTRASPORTATORE AL TELAIO CON CUI T
LEGGERO E FLESSIBILE:
di Luca Regazzi
ECCO IL PORTACONTAINER DEI DESIDERI Oggi gli operatori cercano chassis leggeri, che rispettino le altezze complessive e permettano operazioni semplici e veloci. Ma nel caso di carichi pesanti, anche la flessibilità – garantita dall’allungabilità del telaio – diventa una caratteristica irrinunciabile al riguardo, quelle di Awes Botello, direttore acquisti e terminal e fleet manager della Ambrogio Trasporti, azienda che da oltre 50 anni ha esperienza di trasporti intermodali, interpretati in modo puro, senso che ritira porta a porta dai clienti le unità e le trasporta ai terminal, dove sono caricate sui carri ferroviari di proprietà e da lì inoltrate in tutta Europa. «La caratteristica che cerchiamo è la leggerezza – ci spiega Botello – La mia azienda trasporta contenitori telonati abbastanza leggeri da essere caricati e scaricati con la gru su carri tasca. Quindi l’azienda cerca sul mercato casse mobili di 3.7003.800 kg massimo e un pianale o uno chassis che arrivi da 3.700 a
3.900 kg. Poiché poi viaggiamo in tutto il Continente, cerchiamo di non andare oltre i 4 metri di altezza, sapendo che, nei Paesi nordici soprattutto, è l'altezza massima consentita, mentre in Italia, Francia o Spagna esistono deroghe che permettono di arrivare anche a 4,20 m. Un semirimorchio più leggero significa un trasporto più semplice e una notevole velocizzazione delle operazioni». Per la Ambrogio il lavoro è facilitato anche dal fatto di trasportare unità standard di 45’, non container da 20 o 30’ o da 40-45' High-Cube. Chi invece ha a che fare con container dimensionalmente diversi avrà necessità di veicoli più flessibili e allungabili (manualmente o con prolungamento pneumatico). Cosa che
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a quando è nato il semirimorchio portacontainer è sempre stato un veicolo destinato a facilitare il trasporto intermodale, con cui trasferire senza (o quasi) rottura di carico container o casse mobili da un mezzo stradale a uno ferroviario o marittimo. Proprio per questo la struttura del mezzo non ha subito nel tempo modifiche radicali e gli upgrade si sono concentrati su soluzioni in grado di rendere i passaggi tra le diverse modalità di trasporto più veloci e meno costosi. Con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza l’intermodalità oggi acquista visibilità e diventa oggetto di investimenti. È quindi il momento di sentire quali siano le aspettative degli operatori. Abbiamo raccolto,
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I TRASPORTA I CASSONI
de Botello – credo che in futuro un passo ulteriore potrebbe essere quello di togliere ancora più peso, privilegiando la scelta di materiali alternativi più leggeri che non vadano però a detrimento della sicurezza. Si
potrà poi lavorare sul design e sulle forme, ma in realtà i portacontainer oggi funzionano egregiamente e quindi non penso dovrebbero subire un domani stravolgimenti significativi».
Chi ha a che fare con container dimensionalmente diversi avrà necessità di veicoli più flessibili e allungabili (manualmente o con prolungamento pneumatico). Che nel trasporto intermodale significa avere a disposizione un'estensibilità del trailer per adattare la distribuzione ottimale del carico a semirimorchi a due o a tre assi.
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nel trasporto intermodale significa avere a disposizione un'estensibilità del trailer che consenta di adattare la distribuzione ottimale del carico a semirimorchi a due o a tre assi. «Nel caso di trasporto di merce molto pesante – aggiunge il direttore acquisti – si cercano invece due cose. Innanzitutto, un semirimorchio che possa montare pneumatici ribassati, in modo da ridurre l’altezza del piano d’appoggio, garantendo così la conformità con l’altezza esterna consentita dalla legge anche quando quella di carico è sfruttata completamente. La seconda esigenza è di avere maggior luce interna, in modo da aumentare le possibilità di effettuare trasporti voluminosi». Proprio sulla base di queste caratteristiche è facile capire come i semirimorchi portacontainer abbiamo raggiunto un livello tecnologico consolidato, difficilmente migliorabile allo stato attuale delle conoscenze tecniche. Quindi cosa si potrebbe fare di più? «Anche se abbassare maggiormente la tara appare difficile – conclu-
Diminuire il consumo di carburante e le emissioni di CO2 con la nuova EcoGeneration La forma aerodinamica del rimorchio EcoGeneration riduce la resistenza aerodinamica. Il tetto posteriore regolabile dei modelli EcoFLEX ed EcoVARIOS può essere adattato in modo flessibile al volume di carico. La soluzione EcoGeneration assicura una riduzione del consumo di carburante fino al 5%, in particolare in caso di trasporto di merci pesanti. Maggiori informazioni alla pagina www.cargobull.it
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SULLE STRADE
QUALI TELAI SI VENDONO DI PIÙ E PERCHÉ
DAL PORTO ALLA PORTA
di Massimiliano Barberis
Fissi scheletrati e allungabili si dividono il mercato. A seguire i tankcontainer e i ribaltabili. Le ragioni di questa spartizione del mercato nelle parole dei costruttori
Il
mondo gira attorno alle scatole. Tutto è impacchettato o caricato sfuso, quindi immagazzinato in un container e poi imbarcato. Alla fine, dal porto il container o il loro contenuto va diretto in fabbrica o sulla porta di casa accompagnato da mezzi stradali adatti a trasportarli. Non stupisce quindi che il settore dei portacontainer sia il terzo in termini di immatricolazioni di semirimorchi in Italia, dopo centinati e isotermici. Ogni anno il mondo dell’autotrasporto tricolore ne assorbe poco più di 800, quantifica Alberto Maggi della Multitrax di Cremona, che da anni importa in Italia dall’Olanda il marchio leader D-Tec. «Il problema – puntualizza – è che nelle statistiche di settore finiscono telai che non sono portacontainer e falsano le cifre. In ogni caso, gli estensibili arrivano a fatica a 400 pezzi all’anno. In un mercato normale i fissi toccano i 100-150 esemplari, le versioni tank per la chimica saranno circa 150 e il resto riguardano le versioni ribaltabili». La cosa importante, prima di acquistare un portacontainer, è di focalizzare il
tipo di lavoro a cui è destinato, il committente a cui si forniscono servizi e il contesto territoriale delle missioni che si affronteranno. Roberto Mollo, managing director di Viberti, lo dice in maniera netta: «il portacontainer è un veicolo molto specifico e se si acquista quello sbagliato si rischia di non lavorare». Ma come scegliere? «Innanzi tutto – risponde Mollo – ci sono i vettori attivi per grandi gruppi che trasportano container e che quindi sono obbligati ad acquistare determinati veicoli, quasi sempre scelti dal gruppo. In più bisogna valutare se il lavoro si esaurisce sul territorio nazionale o prosegue fuori». Chi fa internazionale, infatti, deve restare con il container entro i 4 metri di altezza, mentre in Italia esiste una deroga per arrivare fino a 4,20m. «Ecco perché nella maggiore parte dei casi – conclude Mollo – il portacontainer più richiesto è il dritto, in quanto ci si appoggia il contenitore in modo semplice e veloce. Però, se il cliente dalla nave scarica container da 40’ high cube da portare all’estero, diventano necessari mezzi
con il collo d’oca e magari da equipaggiare con pneumatici 385/55, se non 375/55, leggermente ribassati». Se invece il trazionista non è legato a un grande trasportatore di container, l’opzione migliore è l’allungabile, in quanto permette di muovere qualsiasi tipo di container e di ogni cubatura nella posizione ideale, mentre il fisso rischia di esporre a problemi con le altezze se si percorrono tratte in Europa. Analizzando invece le possibili combinazioni di carico, Maggi sottolinea che «lo scheletrato fisso lungo 12,60 m, con il telaio piatto è il veicolo per caricare due container da 20’ fino al 45’, il 20’ e il 30’ centrale e il 30’ davanti o dietro: è un veicolo da battaglia, ma non consente di fare un 20’ a filo posteriore per problemi di sbalzi. Quindi, non va in ribalta, mentre è il telaio più usato nei porti». La sua quota di mercato è intorno al 30%. Poi vi sono i telai semi estensibili, con collo davanti, che allungano solo la coda e trasportano due container da 20, i 40 e 45 high cube, lunghi 11,5 m circa. Offrono il vantaggio di sistemare un 20’ in coda, «ma essendo trailer piuttosto lunghi – precisa Maggi – non tengono molto la strada. In Olanda, che è tutta piatta, vanno benissimo, in Italia, dove ci sono montagne e curve, si rischia di perdere aderenza e trazione. Ecco perché è poco commercializzato».
Se bisogna caricare container da 40’ high cube da portare all’estero diventano necessari mezzi con il collo d’oca, magari da equipaggiare con pneumatici ribassati per non superare i 4 metri di altezza.
Infine, ci sono gli estensibili che si aprono davanti e dietro e permettono di fare tutte le combinazioni, oltre al 20’ a filo posteriore. Di conseguenza – secondo Maggi «è il portacontainer più apprezzato dalla maggioranza del mercato». Vale a dire circa il 70%.
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IL MERCATO Il settore dei portacontainer è il terzo in Italia, dopo centinati e isotermici. Ogni anno se ne immatricolano poco più di 800: quasi 400 estensibili, 100-150 fissi, 150 tank per la chimica e il resto le versioni ribaltabili
AUMENTO DELL’ISOLAMENTO DAL CONCETTO ROAD ALLA REALTÀ
PRESERVAZIONE DELL’AMBIENTE
INTELLIGENZA CONNESSA
- Crédit photo : Photothèque Chereau.
IL MERCATO DI RIFERIMENTO
FROM ROAD TO REAL, È L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELLE ATTUALI INNOVAZIONI SUL PROGETTO COLLABORATIVO ROAD ATTRAVERSO LE QUATTRO NUOVE GAMME CHEREAU
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SULLE STRADE
TELAI PORTACONTAINER: L’OFFERTA DI PRODOTTO
IL CATALOGO DELLE SCATOLE
di Massimiliano Barberis
Un mercato importante con costruttori animati da diverse strategie, alcuni specializzati, altri con offerta allargata. Accanto alla panoramica di prodotto, emerge il problema contingente: la carenza di materie prime, i prezzi in aumento, i tempi di consegna più lunghi
S
ono tanti, seppure non tantissimi i costruttori attivi sul mercato dei telai portacontainer. Alcuni sono specializzati in alcuni modelli, altri offrono un ventaglio che li copre tutti. In questo frangente stanno vivendo una situazione complicata, dettata soprattutto dalla carenza di materie prime e dai ritardi nelle consegne. Andiamo a scoprire cosa propongono e come stanno affrontando l’attuale contingenza. Viberti ha un listino molto ampio, con sette modelli in vendita e due in rampa di lancio entro l’anno. Il managing director Roberto Mollo stima l’immatricolato del marchio in circa 100 pezzi. «L’anno scorso siamo usciti con la gamma General cargo, quindi pianale, centinato e cassone. Quest'anno ci concentreremo sulla gamma portacontainer, e una delle due novità sarà il restyling del mezzo allungabile». Nuovo sarà anche l’allungabile pro-
Allungo meccanico per container da 20, 30, 2x20, 40, 45 piedi e casse mobili da 6 metri a 13,60 UIC. Lunghezza chiuso 8.970 mm, lunghezza sfilato 13.565 mm (45 h.c. con tunnel). Tara 5.360 kg.
Box Liner eLTU 40 Light Traction. Peso netto 4.200 Kg, carico utile 36.160 kg, altezza collo 147 mm. La distanza del perno di sterzo all’estremità posteriore misura 11.025 mm. L’allungo in coda utilizza un nuovo motore pneumatico, durevole e robusto, che aziona l'estensione posteriore in modo uniforme. L'alloggiamento del motore pneumatico è resistente all'acqua salata.
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posto da OMT. Alberto Quinto, responsabile commerciale della casa di Tortona, spiega che in «questo ultimo anno e mezzo abbiamo sospeso la produzione dei portacontainer, data la situazione mondiale legata alla pandemia, concentrandoci sulle cisterne per carburanti, ma quest’anno abbiamo
ripreso la produzione a pieno ritmo per lanciare il restyling dell’allungabile meccanico per container da 20, 30, 2x20, 40, 45’ e casse mobili da 6 a 13,60 metri UIC. Come immatricolato ci assestiamo a circa 50 mezzi all’anno». Assoluta protagonista del mercato è poi la veneta Zorzi. Giovanni Zorzi disegna un’offerta di prodotto molto ampia, ora entrata nel listino Menci: «Abbiamo una gamma che copre dalla ralletta a 3 assi da 6 m al 7,80 per il 20’ piedi bilanciato standard e per la cassa mobile, dal 7,80 light per chimici, al 9 m per il 30’ e al 12,40 per il 40’, fino al 13,10 m». La produzione si indirizza in due direzioni: «Per le grandi commesse si va a Castiglion Fiorentino, nella sede Menci, dove le linee sono altamente robotizzate. Per le commesse personalizzate e sartoriali si rimane a Treviso». In totale l’immatricolato si è attestato sui 300 mezzi nel 2020 e sui 140 nel 2019. Il problema adesso è gestire questo ampio listino, dando per assodato
Il modello definito 38S078EPCL è pensato per il trasporto di tank container da 20’. Il suo punto di forza è la tara di 3300 kg ottenuta grazie al ricorso a un acciaio ad alto limite di resistenza come il Domex S700. La testata anteriore è sagomata rispetto alla classica dritta usata in tutti i porta container. Il telaio, in configurazione base, è allestito con assi fissi e sospensioni integrali BPW, eco-air, disco grande da 430 e off-set 0. La testata posteriore è aperta per consentire di alloggiare al centro la vaschetta inox per recupero liquidi e nei lati le scalette di risalita.
Port 45 Triplex. Nella dotazione di base lo chassis ha una tara di 4.450 kg, peso complessivo di 41.000 e carico sulla motrice di 14.000. Può trasportare 2 container ISO da 20’, un container ISO da 30, un container highcube da 40' oppure un container highcube da 45' con Short Tunnel. Con tutte le estensioni si può caricare anche un container highcube Eurocorner da 45’. C’è anche in versione alleggerita a 4.220 kg.
– come puntualizza Zorzi – che «avere mezzi a stock è complicato perché il mercato muta in fretta». Ecco perché la difficoltà principale attuale è proprio «reperire la materia prima e definire un prezzo corretto. Ma con le consegne allungate, si fa fatica». Michele Mastagni, a capo di Kögel Italia, concorda sul fatto che «i prezzi stanno aumentando: abbiamo preso tantissimi ordini con consegne troppo lunghe. I frigo arrivano al 2022, furgonature e centinati a dicembre, come pure i portacontainer. È una situazione a cui non siamo abituati. Comunque, cercheremo di crescere proprio nei portacontainer perché ci interessa il prodotto: l'abbiamo perfezionato e faremo a breve un’attività commerciale mirata. Anche se i tempi di consegna lunghi ci frenano: oggi c’è più attenzione alla pronta consegna che non alla marca
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SULLE STRADE
L’LS Disline è un telaio multifunzionale, con cui è possibile trasportare i container: 20ft, 2x 20ft, 30ft, 40ft, 45ft e 13,60m gli high cube. Il telaio è allungabile in coda e al centro con un sistema molto intuitivo e di facile esecuzione, mentre per la parte in coda è svolto da una leva che agisce su una cremagliera. È stato alleggerito fino alla tara di 4.800 kg. Nell’altra foto, il modello fisso con 1° asse sollevabile e 3° asse sterzante, idoneo al trasporto di 1 x 20' - incluso trasporto di 1 tank 7.82 bilanciato. Tara: 3.200 kg.
TELAI PORTACONTAINER: L’OFFERTA DI PRODOTTO
del trailer, quindi se qualcuno ha mezzi in stock trova gioco facile nel vendere, dato anche di mezzi usati sono molto pochi nei piazzali». Anche Alberto Maggi di Multitrax fa sua questa considerazione: «Il momento è complicato: le consegne si allungano e i prezzi aumentano. Ma le consegne lunghe non dipendono da vendite numerose, quanto da capacità produttiva ridotta. E così il problema raddoppia». Altro straniero di peso è Krone, che ha già una produzione vastissima di casse mobili in uno stabilimento appena ampliato. Ha in listino ben 10 modelli della gamma Box Liner, dai modelli da 20’ fino agli estensibili da 45’. In Italia sono distribuite dalla Real Trailer di Suzzara (Mn), che importa il marchio tedesco da oltre 20 anni e sta amplian-
Monta 12 twistlook, per caricare container da 45, 40, 30, 20, 2 casse da 20, un 20 a filo post. e i tank. Pesa 5.250 kg. L’estensione anteriore è fatta dal movimento del carrello, quella posteriore è munita di un cilindro pneumatico.
do il proprio mercato nazionale presentando i modelli più richiesti, come gli allungabili.
Un veicolo da 8 metri di lunghezza, per cisterne da 20’ e casse mobili da 7,15 a 7,82 in Adr. La Casa belga lo alleggerisce con una struttura scatolata, 150 mm di altezza sotto ralla e con intagli circolari nei longheroni. Portata complessiva Kg. 39.000. Pesa 3.300 kg. Il fisso Bx invece è per tutte le combinazioni con il 20 in posizione centrale o a filo posteriore.
Sono disponibili tre varianti del telaio con il design Goosenek per il trasporto ottimale di container che vanno da 40 a 45: S.CF 45; S.CF 45 Light e S.CF 40 LX. Tutti i telai sono caratterizzati da facilità d'uso, bassa manutenzione e alta disponibilità. Pesano rispettivamente 5.600, 4.250 e 4.980 kg.
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mo nei nostri listini tutta una rinnovata serie di telai fissi ed estensibili da 20 a 45’». Anche per questo KOE ha di recente completato, nella parte asiatica del paese, a Mersin, un avveniristico stabilimento che – stando a quanto comunicato dal presidente Kaan Saltik – «è costato 60 milioni di euro, ha una estensione totale di 312.000 m2, di cui 78.000 coperti. Siamo in grado di
Sono numerosi anche i veicoli offerti dal più grande costruttore europeo, la Schmitz Cargobull, che li fa produrre in Turchia su propri progetti dal gruppo Koluman Otomotiv Endüstri (KOE), con cui ha stretto una joint venture per estendere, perfezionare e, soprattutto, produrre ed esportare in tutta Europa la gamma di telai portacontainer S.CF. Il presidente Andreas Schmitz ne è convinto: «In tre anni reintegrere-
produrre 15.000 mezzi all’anno con 511 addetti». Il volume di produzione per i portacontainer raggiungerà le 1.000 unità annue entro il 2021. E Schmitz precisa che siccome «il processo di produzione è progettato al 100% secondo i nostri standard per garantire la qualità richiesta, i nostri clienti acquisteranno veicoli originali Schmitz Cargobull». Sono sempre turchi i portacontainer
L’allungabile monta solo assali Saf, è disponibile anche con il 3° asse sterzante. Ha un disegno ottagonale della trave allungabile che prende ispirazione dagli sfili delle gru edili, e permette un funzionamento e una durata migliori. Pesa 5.130 kg ed è lungo da 9.485 mm a 13.960. Il modello fisso pesa 4.960 kg.
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TELAI PORTACONTAINER: L’OFFERTA DI PRODOTTO
VBERTI
SULLE STRADE
I semirimorchi portacontainer Viberti presentano un telaio in acciaio alto resistenziale S700 e possono trasportare nella maggior parte dei casi ogni tipo di container (20’, 20’+20’, 30’, 40’ Iso, 40’ HC, 45’ Iso e 45’ HC e, in alcuni modelli, i 20’ Tank). La tara è contenuta (si va dai 3.700 kg del M626.65 ai 5.500 kg del M642.60) per un minor consumo di carburante, mentre il PPT è fissato a 38 ton (escluso l’M626.65 con 34,5 ton). La gamma prevede mezzi fissi o estensibili: questi ultimi possono avere lunghezza da 12.567 a 12.850 mm (M651.64) oppure da 8.970 a 13.677 mm (M642.60). Tra i vari tipi spicca l’M651.61 – tara di 4.900 kg e lunghezza di 12.412 mm – che esibisce un telaio in acciaio tipo collo d’oca con baricentro ribassato e particolare stabilità.
Il Bi-Train è un portacontainer capace, grazie a un dolly centrale, di portare due casse da 20’, come un trailer da 13,60 m, e un 20’ nella lunghezza da 25,25 m. Le versioni allungabili permettono il trasporto di tutta la gamma di container ISO. L’allungamento anteriore avviene tramite il trattore. L’allungamento posteriore è attivato con l’azionamento del pistone pneumatico. La parte estensibile posteriore è in acciaio zincato e le parti anteriori scorrevoli sono protette da acciaio inox. Il bloccaggio dell’allungamento anteriore e posteriore avviene tramite cilindri pneumatici.
Seyit Usta importati dalla OneTrailer, casa specializzata anche nei ribaltabili Van Holl e fondata da Iacopo Giop che conferma la difficoltà del momento: «Il centinato dura tutto l’anno – spiega – il frigo ha picchi nei primi mesi e a giugno, il portacontainer ha un co-
stante flusso altalenante di acquisto e, per quanto ci riguarda, esiste una concentrazione di ordini verso l’autunno». È turco-tedesco anche il marchio Kässbohrer che Andrea Alberti con Gianluca Cusumano della Multiservice di Brescia, importano assieme ad altri brand europei. «Il modello allungabile è il più richiesto dai clienti italiani – sostiene Alberti – abbiamo in produzione anche porta container fissi e light per diverse tipologie di contenitori e il porta tank dedicato ai container cisterna. Come vendite dopo un periodo tra lo scorso anno e l’inizio di questo molto tranquillo, la richiesta ha iniziato a farsi sentire, prima per gli usati e ora anche per unità nuove, purtroppo l'aumento dei prezzi dovuto alle materie prime e l'allungamento dei tempi di consegna non stanno aiutando le vendite». Merita una menzione anche l’olandese Broshuis, distribuita in Italia da più concessionari. E non tanto per l’MFCC, un telaio per container multifunzionale dotato del brevettato Easy Select, sistema che consente all’autista di uscire dal camion solo una volta per posizionare il telaio nella giusta posizione, quanto per il 2Connect, composto da due telai portacontainer da 20’, dotato della caratteristica unica di disporre di numerose opzioni di carico e scarico grazie alla possibilità di scollegare le parti del telaio l'una dall'altra: in pratica la parte anteriore, quella posteriore o entrambe possono essere posizionate davanti a una banchina di carico o scarico. Da citare infine i trailer siciliani della Chiavetta di Nevio Chia-
vetta, molto personalizzati e spesso dotati di rotocelle; i ribaltabili della bresciana Sansavini che ha inglobato i modelli della cremonese Piacenza; i modelli turchi importati dalla lombarda Kita; gli spagnoli Lecitrailer e i belgi Renders importati da Bartoli, con le gamme Euro da 100 a 500 per i fissi e le gamme Euro 900-920-925 come allungabili che offrono infinite possibilità di carico.
Zoom Evolution S3P381GJ Evo 4 è in grado di trasportare con sfili, in coda e centrali, container da 20’ a 45’ e tank in posizione centrale e casse mobili da 13.60. Ha il telaio sfilabile in 3 sezioni, costruito in acciaio ad alto limite di snervamento. Ha sfilamenti meccanici delle parti telescopiche, mediante trattore, in 5 posizioni anteriori e 3 posteriori con bloccaggi pneumatici. La lunghezza totale massima è di 13.830 mm. La minima di 8.870 mm.
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l’Agenda di luglio 2021
SOMMARIO
L'A
• ART: Il recupero dell'acconto
• Le modifiche al codice ambientale
• Pillole del nuovo CCNL
• Circolazione in Italia di veicoli esteri
• Fermo amministrativo di veicolo estero
• Nuovo rinvio per il DUC
A cura di Anna De Rosa
ART: IL RECUPERO DELL’ACCONTO Autorità di Regolazione dei Trasporti. FAQ pubblicata sul sito dell’Autorità torità di Regolazione dei Trasp Trasporti rti Con FAQ pubblicata nel proprio sito, l’Autorità di Regolazione dei
ancora dovuto per gli anni 2019 e 2020;
Trasporti (ART) ha dato istruzioni per permettere alle imprese
• l’ART non effettuerà il rimborso in favore delle imprese che
di autotrasporto il recupero dell’acconto 2021 versato entro lo
non siano in regola con gli obblighi relativi alle dichiarazioni
scorso 30 aprile, come previsto da norma introdotta in sede di
per gli anni 2019 e 2020, ma attenderà l’esito del regolare
conversione del D.L. “Sostegni” (L. n. 69/21) che per le imprese del settore ha escluso l’obbligo di contribuzione per l’anno 2021 nei
adempimento; o 2019 un apposito modello • l’ART ha reso disponibile per l’anno
confronti dell’ART.
ppresentante co n firma pdf, che va sottoscritto dal legale rappresentante con
Vediamo le principali indicazioni:
pia del documento di digitale o autografa e corredato da copia
• l’ART provvederà d’ufficio al rimborso integrale di quanto versato, comprensivo di interessi legali, nei confronti delle imprese che abbiano regolarmente adempiuto agli obblighi dichiarativi e contributivi per gli anni 2019 e 2020; • l’ART provvederà d’ufficio al rimborso della somma versata, comprensiva degli interessi, al netto di quanto eventualmente
ia PEC all’indirizzo: identità, che l’impresa dovrà trasmettere via autofinanziamento@pec.autorita-trasporti.it. ichiar • l’ART ha indicato che per l’annualità 2020 la dichiarazione re trasmessa, entro il 29 ottobre 2021, tramite debba essere servizio on-line messo a disposizione dall’Autorità all’indirizzo: https://secure.autorita-trasporti.it. //secure.autorita-trasporti.it.
PILLOLE DEL NUOVO CCNL Rinnovo CCNL del 18.5.2021 Con la sottoscrizione del 18 maggio, le parti sociali hanno
Per il calcolo del valore mensile si devono considerare gli effettivi
predisposto un rinnovo esclusivamente economico del CCNL
mesi di carenza, determinati in riferimento esclusivamente ai
logistica, trasporto merci e spedizione, riservando distinte
mesi di calendario:
contrattazioni per la parte normativa. Vediamo le principali
• 12 mesi per l’anno 2020 (Il CCNL è scaduto il 31.12.2019),
novità.
• 5 mesi per l’anno 2021 (il rinnovo del CCNL è stato siglato in
Aumenti sui minimi tabellari
data 18 maggio 2021).
Stabilito un aumento da riparametrare a regime sui minimi
Ne risultano 17 mesi di carenza; per determinare il valore del
tabellari pari a 90 euro lordi, stanziato secondo precise modalità
rateo mensile di una tantum occorre dividere questa per 17,
temporali:
così ottenendo euro 13,52 quale valore da erogarsi ai lavoratori
• 15 euro ad ottobre 2021
proporzionalmente alla loro presenza in servizio per i mesi
• 25 euro ad ottobre 2022
cui l’una tantum si riferisce. Il criterio adottato è analogo alla
• 20 euro ad ottobre 2023
maturazione dei ratei, se il rapporto di lavoro inizia o finisce nel
• 30 euro a marzo 2024
mese e ha meno della metà di copertura, si esclude il diritto a
Copertura carenza contrattuale una tantum
percepire la corrispondente quota di una tantum.
Per coprire il periodo di carenza contrattuale ovvero quel periodo
Tabella esemplificativa
nel quale il CCNL è scaduto, viene erogato ai lavoratori in servizio
• Lavoratore in forza a tempo pieno per l’intero periodo
alla data di sottoscrizione dell’accordo collettivo (18 maggio 2021) un importo forfettario lordo di 230,00 euro, maturato in quote mensili o frazioni in relazione alla durata del rapporto nel periodo di riferimento e scadenzato in 3 tranche: • 100 euro con la mensilità di luglio 2021,
di carenza: euro 230,00 • Lavoratore in forza a tempo parziale (50%) per l’intero periodo di carenza euro 115,00 • Lavoratore assunto al 10 novembre 2020: 7 quote di una tantum (13,52 x 7) euro 94,64
• 50 euro con la mensilità di ottobre 2021
• Lavoratore cessato prima del 18 maggio 2021 euro 0,00
• 80 euro con la mensilità di aprile 2022)
• Lavoratore assunto dal 19 maggio 2021 euro 0,00
Il calcolo dei mesi di carenza serve per stabilire correttamente
• Lavoratore che cessa dal 19 maggio ma che era attivo
l’importo che viene erogato una tantum.
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nell’intero periodo euro 230,00
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L'A Per i lavoratori che nel periodo hanno modificato l’orario, va
è diverso e indica «entro luglio 2021»; si ritiene comunque che
riproporzionata l’una tantum in relazione alla dimensione del
anche questa parte vada erogata con il cedolino di luglio 2021.
rapporto di lavoro nel periodo interessato dalla copertura.
EDR. L’accordo prevede che dal mese di gennaio 2022,
Ai lavoratori assenti nel periodo con copertura retributiva a
venga erogato un importo a titolo di Elemento Distinto della
vario titolo, per esempio per maternità o infortunio, spetta l’una
Retribuzione (EDR), privo d’incidenza su qualsiasi istituto tuto
tantum.
contrattuale, pari a 10,00 euro mensili per 13 mensilità per il 3°
Ai lavoratori in aspettativa non retribuita, l’una tantum non va
livello Super per il personale non viaggiante e per il livello B3 per il
erogata per i mesi del periodo di carenza nel quale non avevano
personale viaggiante, con relativa rimodulazione per tutti gli altri tri
diritto alla retribuzione.
livelli contrattuali e secondo le seguenti indicazioni:
Tassazione delle somme erogate una tantum
• l’EDR va riproporzionato in caso di rapporto di lavoro ad orario
In forza di una norma (art. 17 comma 1, lettera B) del T.U.I.R., si prevede l’applicazione della tassazione separata per gli emolumenti riferiti ad anni precedenti e percepiti
ridotto; • l’EDR viene erogato per 13 mesi e NON incide su nessun istituto contrattuale;
successivamente: le due tranche da erogare nel 2021 sono
• l’EDR è utile al calcolo del TFR.
riferibili al 2020, mentre la terza da stanziare ad aprile 2022 si
Nell’elaborazione del cedolino paga l’EDR entra nel corpo del
riferisce alla porzione di carenza del 2021.
cedolino e non negli elementi di testata.
Tempi di erogazione dell’una tantum
Valori per la bilateralità
Nell’accordo di rinnovo, per la seconda e terza porzione si fa
La quota di 4 euro per la bilateralità di cui 2,5 euro a Sanilog
riferimento specifico al tempo di erogazione «con la retribuzione
e 1,5 euro a Ebilog sarà erogata da gennaio 2022. Gli enti
del mese di» per cui deve essere presente nel cedolino del mese
bilaterali contrattuali ricevono i versamenti nel valore pieno
cui si fa riferimento (per ottobre sarà quindi nei primi giorni di
per ogni lavoratore, senza riproporzionare l’importo per i
novembre), invece per la prima porzione da erogare il riferimento
lavoratori part time.
FERMO AMMINISTRATIVO DI VEICOLO ESTERO Ministero dell’Interno. Circolare del 4.6.2021 Un camion con targa estera viene fermato, controllato e
ritorno nel proprio Paese di immatricolazione, adottando
multato. Poi, come sanzione accessoria, scatta il fermo
in tal modo una sorta di «interdizione alla circolazione sul
amministrativo (art. 207 CdS) di tre mesi. Per prassi, però, se
territorio nazionale». Una prassi che adesso, una circolare
dall’estero l’azienda proprietaria del veicolo paga la sanzione
del ministero dell’Interno del 4 giugno 2021, definisce «non
pecuniaria o la cauzione, determinata dalla contestazione
suffragata da nessuna disposizione». E quini ribadisce che
degli artt. 26 (esercizio abusivo dell’autotrasporto) o 46
«il veicolo estero deve essere depositato in un luogo ubicato
(trasporto abusivo) della Legge 298/74, la polizia stradale
in Italia per il periodo di durata del fermo amministrativo,
tende concede al veicolo estero sottoposto a fermo di fare
che è pari a 3 mesi».
LE MODIFICHE AL CODICE AMBIENTE Decreto-legge 31.5.2021, n. 77 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 31.5.2021 Con l’entrata in vigore il 4 giugno scorso del decreto
Istanza di interpello ambientale
legge sulla «Governance del Piano nazionale di rilancio e
Vengono introdotte modifiche al D.Lvo 3 aprile 2006, n. 152
resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture
(codice ambiente) mediante l’aggiunta dell’articolo (3-septies)
amministrative e di accelerazione e snellimento delle
che prevede la possibilità per le associazioni di categoria
procedure» (DL semplificazioni) vengono affrontati tra gli
rappresentate nel CNEL, oltre agli Enti locali, di presentare istanza
altri, aspetti di natura ambientale. Vediamo i principali
di interpello al Ministero della transizione ecologica – MITE al fine
punti.
di porre quesiti di ordine generale riguardanti l’applicazione della
IL TUO FORNITORE DI SERVIZI E SOLUZIONI RIMBORSO IVA E ACCISE | PEDAGGI E TUNNEL | SALARIO MINIMO | PRENOTAZIONI TRAGHETTI E TRENI | CARTE CARBURANTE VIALTIS è un gruppo indipendente dedicato esclusivamente alle società di trasporto internazionale. Dal 1982 abbiamo sviluppato rapporti commerciali di lunga data con piccoli e grandi trasportatori in tutta Europa.
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L'A normativa nazionale in materia ambientale.
o le ARPA erano tenute a trasmettere al MITE a seguito dei
Il Ministero riscontra tempestivamente gli in interpelli nella
controlli realizzati sugli impianti autorizzati caso per caso e della
sezione “Informazioni ambientali” del proprio si sito istituzionale,
procedura di controlli successivi, sulle procedure autorizzative
ersonali degli istanti. Le garantendo la protezione dei dati personali
“end of waste”. Spetta comunque all’ISRA un potere di controllo
nterpretativi per pe indicazioni fornite rappresentano criteri interpretativi
successivo, a campione.
l’esercizio delle attività di competenza della P.A. in materia ambientaleeconsentonoaglioperatori,attraversoleassociazioni
Viene mantenuto presso il MITE il registro nazionale per la
mministrazione per una imprenditoriali, di confrontarsi con l’amministrazione corretta interpretazione della disciplina ambientale e dunque an anche di evitare sanzioni. Cessazione della qualifica di rifiuto ontrolli e nuove disposizioni sui controlli
raccolta delle autorizzazioni rilasciate in materia di “end of wa waste”, utile sia ai controlli dell’autorità sia ai privati per verificare gli im impianti abilitati a trattare determinati materiali ai fini del loro recupe recupero. Misure di semplificazione
Abrogato in più parti l’articolo sulla cessazione della qualifica di rifiuto (art. 184-ter del D.Lvo 3 aprile 2006, n. 152 Codice ambiente) è introdotto il «previo parere obbligatorio e vincolante
p per la p promozione dell’economia circolare
dell’ISPRA o dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale territorialmente competente».
o smaltimento. Viene inoltre modificato l’allegato D sulla
Ciò significa abrogazione della comunicazione che l’ISPRA
e riportato nell’Allegato III del Decreto.
È stata introdotta una norma che elimina il certificato di avvenuto sma smaltimento, sostituito da un’attestazione di avvio al recupero classificazione dei rifiuti, non più allineato alla nomenclatura UE
CIRCOLAZIONE ZION IN ITALIA DI VEICOLI ESTERI Ministero dell'Interno. Circolare i del 31.5.2021 Con questa circolare, la Direzione centrale della Polizia stradale
quale l'impresa esercita stabilmente una o più attività.
ha inteso dare chiarimenti in materia di circolazione in Italia
Il conducente non deve dimostrare l'esistenza di una sede
di veicoli immatricolati all’estero, rilevanti per le imprese di
secondaria in Italia
autotrasporto sottoposte a sempre più numerosi controlli su
Per verificare l'esistenza di una sede secondaria o di un'unità
strada. Vediamo le principali indicazioni.
locale sul territorio nazionale - per le quali è prevista la
Sede secondaria e altra sede effettiva
registrazione – va consultato il Registro Imprese e la sezione
La Polizia stradale in caso di controllo su strada di un veicolo
REA, in quanto il conducente non ha l’onere di esibire la
immatricolato all'estero, con conducente residente in Italia da
documentazione probatoria di tale requisito. Se il controllo
oltre 60 giorni anche se veicolo concesso in leasing o in noleggio
su strada vuole verificare il requisito della sede in un Paese UE
senza conducente o in comodato da parte di un'impresa con
o SEE, basterà accertare lo Stato di stabilimento attraverso il
sede in un Paese UE o SEE (Islanda e Norvegia), deve accertare
documento relativo al titolo e alla durata della disponibilità del
che l'impresa non abbia una sede secondaria o altra sede
veicolo (contratto di locazione, leasing o comodato) nel quale
effettiva in Italia. Per quanto riguarda la sede secondaria,
devono esser indicate eventuali sedi operative, sedi secondarie
come la sede principale, necessita di registrazione presso il
e unità locali, anche se costituite in uno Stato diverso da quello
REA, Repertorio delle notizie Economiche e Amministrative
di stabilimento.
della CCIAA. Per «altra sede effettiva» si intende il luogo dove
In caso di mancato riscontro idoneo a verificare se l'impresa
si concentrano i poteri di direzione e amministrazione e dove
estera abbia sul territorio nazionale una sede secondaria o
vengono effettivamente prese le decisioni operative dell'ente, a
vi svolga le proprie attività amministrative o di direzione, la
prescindere dal posto in cui sono situati i beni dell'impresa. Una
circolazione del veicolo dovrà essere considerata legittima.
sede effettiva è tale se svolge un'attività e non semplicemente
Veicolo intestato ad impresa appartenente a un gruppo
delle formalità legate alla sua costituzione o stabilimento, a
aziendale
prescindere dalla registrazione. Una forma di registrazione
Se poi un veicolo è intestato a impresa con sede in un Paese UE
è richiesta per la costituzione dell'unità locale, cioè il luogo
o SEE che fa parte di un gruppo aziendale, all'interno del quale
operativo o amministrativo, subordinato alla sede legale e
vi siano una o più imprese aventi sede principale, secondaria
ubicato in luogo diverso da quello della sede principale, nel
o altra sede effettiva in Italia, bisogna prima di tutto stabilire
VIALTIS Italia S.R.L | Via Roma, 317/E | 59100 Prato | T: +39 0574 63 08 43 | italia@vialtis.com | www.vialtis.com
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L'A possa legittimamente circolare. Si è in presenza di un gruppo di
LA LA FEBBRE FEBBRE DEL DEL GASOLIO GASOLIO
cosa si intenda per “gruppo di imprese” per capire se il veicolo
ANDAMENTO PETROLIO BRENT A 3 MESI
imprese quando «una società esercita un'attività di direzione APRILE
e coordinamento nei confronti di altre società, attraverso
MAGGIO
GIUGNO
75
un'influenza dominante sull'amministrazione e un collegamento tra gli organi direttivi per garantire l'armonizzazione delle
70
rispettive attività e obiettivi».
65
Le imprese del gruppo, direttamente collegate tra loro sul
60
piano finanziario e amministrativo, devono essere considerate giuridicamente distinte ed indipendenti l'una dall'altra sia
PREZZI EXTRARETE
tendenza
sul piano organizzativo che su quello patrimoniale. Quindi, l'impresa estera intestataria del veicolo è del tutto autonoma e
NORD
CENTRO
SUD E ISOLE
indipendente da quella che, appartenente al medesimo gruppo, GASOLIO EURO/ 000L
ha sede principale, secondaria o altra sede effettiva in Italia. Pertanto, la circolazione del veicolo immatricolato all'estero
min
max
min
max
min
max
1096
1100
1101
1107
1112
1114
e intestato all'impresa con sede in uno Stato UE o SEE deve rilevazione del 18.6.21
considerarsi legittima.
NUOVO RINVIO PER IL DUC Legge 17.5.2021, n.75 pubblicata su G.U. n.126 del 28.5.2021 È stato prorogato nuovamente, alla data del 30 settembre
trasporto, con uno o più decreti definisce le modalità
2021 il termine del 30 giugno 2021, relativo all’entrata in
e i termini per la graduale utilizzazione, da completare
vigore del documento unico di circolazione e proprietà.
comunque entro il 30 settembre 2021, delle procedure
Le modifiche introdotte al documento demandano al MITE
telematiche per il rilascio del documento unico, specificando
previo accordo con le organizzazioni, la definizione di
anche le cadenze temporali delle fasi di verifica delle
nodi e termini delle procedure telematiche per il rilascio
funzionalità da effettuare presso gli Sportelli telematici
del documento unico. La norma prevede che il ministero
dell’automobilista (STA) appositamente individuati dal
delle Infrastrutture «sentiti l’ACI e le organizzazioni
medesimo ministero. L’inosservanza delle modalità e dei
maggiormente rappresentative delle imprese esercenti
termini indicati nei decreti di cui al primo periodo determina
l’attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di
l’irregolare rilascio del documento».
CASSONATO |
Trattore + semirimorchio P.T.T. 44 t, prezzo di acquisto € 130.000; consumo 2,9 km/litro. Costi di Gestione (€/km)
Km/ Anno
Totale
Costi personale (€/km)
Totale
Ammortamento
Gasolio (+IVA)
Lubrificanti
Pneumatici
Manutenzione
Collaudi/ tassa di possesso
Assicurazioni
Autostrade
40.000
0,6500
0,4060
0,0250
0,0910
0,0480
0,0210
0,2830
0,1250
60.000
0,4330
0,4060
0,0250
0,0910
0,0320
0,0140
0,1890
0,1250
80.000
0,3250
0,4060
0,0250
0,0910
0,0240
0,0110
0,1420
0,1250
1,1490
0,5100
0,1030
1,7620
100.000 0,2600
0,4060
0,0250
0,0910
0,0190
0,0080
0,1130
0,1250
0,0470
0,4080
0,0820
1,5370
CISTERNATO |
Costi di Gestione (€/km) Gasolio (+IVA)
Straord Trasf.
1,6490
1,0200
0,2050
2,8740
1,3150
0,6800
0,1370
2,1320
Trattore + semirimorchio P.T.T. 44 T, prezzo di acquisto € 192.000; consumo 3,1 km/litro.
Km/ Anno
Ammortamento
Autista
Lubrificanti
Pneumatici
Totale
Manutenzione
Collaudi/ tassa di possesso
Assicurazioni
Autostrade
Costi personale (€/km) Autista
Straord Trasf.
Totale
40.000
0,8000
0,3800
0,0250
0,0910
0,0720
0,0590
0,3600
0,1340
1,9210
1,1730
0,2050
3,2990
60.000
0,5330
0,3800
0,0250
0,0910
0,0480
0,0390
0,2400
0,1340
1,4900
0,7820
0,1370
2,4090
80.000
0,4000
0,3800
0,0250
0,0910
0,0360
0,0290
0,1800
0,1340
1,2750
0,5870
0,1030
1,9650
100.000 0,3200
0,3800
0,0250
0,0910
0,0290
0,0240
0,1440
0,1340
1,1470
0,4690
0,0820
1,6980
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COSTI DI GESTIONE MAGGIO 2021 Il mese di riferimento ha visto proseguire il già annotato trend crescente del prezzo del gasolio che ha mostrato un nuovo aumento registrato sia in termini assoluti che anche su valori ponderati. La situazione descritta, come conseguenza, ha evidenziato la costante crescita dall’inizio del 2021 del costo del carburante per l’impresa di autotrasporto. Le altre voci di costo non hanno presentato variazioni.
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LA CORRETTA VALUTAZIONE DI RISCHI E OPPORTUNITÀ
COSA C’ENTRA
IL TITANIC
Perito assicurativo
di Luca Zaratin
SOTTO L'OMBRELLO
CON IL PESO DEI CONTAINER
Ricordo che non troppo tempo fa il peso dei container veniva dichiarato semplicemente dal caricatore. Oggi invece per ottenere lo stesso dato esistono procedure più complesse e articolate. Cosa ha portato a questo cambiamento? Giancarlo P_La Spezia
«M
illecinquecento persone finirono in mare quando il Titanic sparì sotto i nostri piedi. C'erano 20 scialuppe nelle vicinanze, solo una di loro tornò indietro... Una! Sei persone furono salvate dall'acqua... una di queste ero io. Sei su millecinquecento. In seguito, le settecento persone sulle scialuppe non poterono far altro che aspettare. Aspettare di morire... Aspettare di vivere. Aspettare un perdono... che non sarebbe mai arrivato». Così raccontava nel celebre film Titanic la protagonista Rose. Correva l’anno 1912 quando il transatlantico britannico più famoso al mondo si inabissava al largo di Terranova. Una tragedia che per molti aspetti poteva essere prevista: il Titanic, infatti, era dotato di solo 20 lance di salvataggio, per una capacità totale di 1.178 posti a fronte di 2.223 persone imbarcate fra equipaggio e passeggeri. La normativa dell’epoca, però, promulgata nel 1886 e basata sulla stazza dell'allora nave più grande del mondo, il «Lucania», obbligava solamente a installare un minimo di 16 lance. Poiché l’uomo è portato ad analizzare e a valutare in maniera approfondita i rischi solamente al verificarsi di eventi tragici, fu necessario il naufragio del Titanic per chiarire alla comunità internazionale la necessità di emanare delle norme che tutelassero la vita delle persone in mare, siano essi marittimi o passeggeri. Fu così che nel 1914 i rappresentanti di 162 paesi si riunirono a Londra, sottoscrivendo la convenzione internazionale SOLAS, Safety Of Life At Sea. Tramite le successive modifiche avvenute nel corso del tempo, oggi tale convenzione disciplina svariati aspetti relativi alla sicurezza e alla tutela della vita in mare che spaziano dalla costruzione della nave, ai mezzi antincendio e di salvataggio, ai trasporti di merci. Una delle ultime disposizioni adottate nella versione della convenzione SOLAS 74 del 2016, ma effettivamente applicata solamente dal 2020 a seguito di una cir-
Og Ogni gni tras trasportatore d ovreb essere dovrebbe sempre a conoscenza del peso della merce trasportata e, se non presente nei documenti di trasporto, richiederlo con massima sollecitudine al proprio cliente per poterne valutare lo stivaggio e etto provvedere al corr corretto ico fissaggio del cari carico colare del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e del Comando Generale delle Capitanerie di Porto, è la previsione del certificato VGM (Verified Gross Mass) che attesta l’effettiva massa lorda della merce, nel linguaggio comune impropriamente definito come «peso». In passato – come scrive giustamente il lettore – il peso dei container veniva semplicemente dichiarato dal caricatore causando, in caso di errori od omissioni più o meno volontarie, un potenziale pericolo per la stabilità stessa della nave durante la navigazione. I carichi con massa maggiore caricati nella parte alte di stive, container ma anche veicoli, alzando il baricentro aumentano le possibilità di capovolgimento (nel caso di navi) o di ribaltamento (nel caso di veicoli). Conoscere il peso reale della merce contenuta nei container permette di stivare i carichi di maggior peso nella parte bassa della nave, aumentando così
la stabilità e la sicurezza nella navigazione. Con la normativa VGM vige in capo al caricatore “shipper” l’obbligo di determinare e certificare l’esatta pesatura avvenuta attraverso l’uso di bilance calibrate e certificate, utilizzate presso i propri magazzini o presso operatori logistici terzi. La pesatura può essere fatta attraverso due differenti modalità: 1. pesatura dell’intero container, dopo che è stato caricato e sigillato; 2. pesatura di ogni singolo collo da caricarsi nel container, a cui va aggiunto il peso del materiale di imballaggio e fissaggio del carico e la tara del container rilevabile dalla targa CSC sulla porta del container. L’utilizzo del secondo metodo, però, è consentito unicamente a imprese in possesso di adeguate certificazioni o di un sistema di gestione della qualità che preveda procedure aziendali per lo svolgimento di attività di pesatura. Una volta effettuata la pesatura e ottenuto il certificato il caricatore ha l’obbligo di inoltrare il documento al proprio spedizioniere che lo trasmette alla Compagnia Marittima. Quanto avviene nel trasporto marittimo deve essere di stimolo anche per quanto riguarda la cultura del rischio nel trasporto stradale. Ogni trasportatore dovrebbe infatti essere sempre a conoscenza del peso della merce trasportata e se non presente nei documenti di trasporto, richiederlo con massima sollecitudine al proprio cliente per poterne valutare lo stivaggio e provvedere al corretto fissaggio del carico. Precauzioni che, oltre a evitare sanzioni per inosservanza delle disposizioni di legge in tema di portata massima e fissaggio del carico, permettono soprattutto di salvaguardare la vita delle persone.
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NEI PORTI
IL TRAFFICO CONTAINER - CON O SENZA COVID - È BLOCCATO A 10,5 MI L
QUANTO È PROFONDO IL PORTO
di Umberto Cutolo
Gli scali si stanno attrezzando per far attraccare le mega carrier da 24 mila TEU, anche approfittando del Recovery Plan. Ma non è solo un problema di fondali. Per attirare le merci dirette verso il centro Europa, bisogna portare i binari in banchina, far partire i valichi ferroviari. E tagliare i tempi burocratici
S
e i porti container sono la chiave di lettura della ripresa, c’è poco da ridere. Negli ultimi tre anni, secondo i dati del Centro Studi Fedespedi, il numero di TEU movimentati negli scali italiani non si schioda – nel bene e nel male – dai 10,5 milioni (circa) di unità, praticamente quanto il solo porto di Rotterdam. 10,606 nel 2018, 10,770 nel 2019, 10,608 nel 2020, segno che neppure il Covid è riuscito a intaccare l’atarassia dei nostri porti container, riducendola di un misero 0,8%. Certo, se escludiamo il transhipmentt (dove Gioia Tauro è cresciuto del 26,4%, grazie al trasferimento di traffici deciso dal nuovo armatore-terminalista MSC, che vuol dire 700 mila pezzi in più), il quadro è più comprensibile: i porti gateway (dati dell’Almanacco della Logistica Confetra 2021) hanno perso l’8,3%, scendendo a 6.614.306 TEU, ma con un andamento altalenante da scalo a scalo. A parte il balzo (forte in percentuale, ma marginale in numeri: +172,1% per un totale di 145 mila TEU) di Savona-Vado Ligure, dovuto anche in questo caso da uno spostamento deciso da un altro armatore-terminalista, Maersk, e il dimezzamento di Cagliari dopo l’abbandono del terminalista Contship, le variazioni oscillano tra i 10 punti percentuali in più e in meno.
Una sorta di portualità a macchia di
LAVORI IN CORSO
leopardo che si spiega – almeno in
E proprio, a Livorno – in attesa della Piattaforma Europa, un’ampia area attrezzata da 1,3 miliardi di euro che permetterà l’attracco di portacontainer della classe Megamax-24 (di ultima generazione da 24.000 TEU), ma rischia di restare sulla carta, essendo stata esclusa dai fondi del Recovery Plan – il terminal Lorenzini si prepara ad accogliere in banchina navi fino a 11 mila TEU, grazie all’aumento del pescaggio, che sarà portato a 13 metri con l’ennesimo investimento (1,5 milioni di euro) dell’Autorità di Sistema portuale del
parte – con il grande fervore di attività che le 16 Autorità di Sistema portuale che amministrano i 57 porti di rilievo nazionali e gli stessi operatori di scalo stanno mettendo in campo per attrezzare i fondali a ricevere sempre di più le gigantesche portacontainer che solcano gli oceani. Marco Mignogna, amministratore delegato del Terminal Darsena Toscana, di Livorno, la questione del pescaggio la sintetizza così: «Ogni dieci centimetri in più, aumenta di mille tonnellate il potenziale carico».
Sol Trieste Solo h e La Spezia hanno quote modali ferroviarie paragonabili a quelle dei porti nord europei pari a circa il 56% per Trieste e 33% per La Spezia (anno 2019). Gli altri porti hanno quote rro ari modali ferroviarie e più basse b nettamente
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MI LIONI DI TEU
I PORTI GATEWAY ITALIANI 2020
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Mar Tirreno Settentrionale. A Trieste stanno partendo i lavori del Marine Terminal per ampliare la banchina del Molo VII e dragare i fondali in modo da poter accogliere contemporaneamen-
12 13 14 15
te due navi da 20 mila TEU. La Spezia ha deciso di aumentare il pescaggio
16
fino a 14 metri, per consentire entro l’anno l’accosto di portacontainer fino a 16 mila TEU. Ravenna punta ad arrivare fino a 12,4 metri con un escavo di 5 milioni di metri cubi di sedimenti.
17 18 19
A Genova il problema non sono i fondali. Dal 2016 quelli di PSA Voltri-Pra – alzatisi per l’accumulo della sabbia
20
Genova La Spezia Napoli Venezia Livorno Trieste Salerno Ravenna Ancona Savona, Vado Ligure Civitavecchia, Fiumicino, Gaeta Marina di Carrara Bari Catania Cagliari Palermo T.Imerese Trapani Monfalcone Chioggia Monopoli, Manfredonia, Barletta
145.087
+172,1%
106.695
-4,9%
86.332
+6,4%
71.233 62.177 57.844
-13,8% -1,6% -50,2%
13.294
-5,7%
10.580 694 46
-16,5% -23,1% -17,9
15
+50%
provocata nel tempo dalle eliche delle navi – sono stati riportati ai 15 metri originari. Ma la vecchia diga foranea, lunga quasi due chilometri e larga quattro metri e più che centenaria, è ormai insufficiente a proteggere l’attracco di mega carrier da 400 metri di lunghezza. A marzo è stato scelto il progetto di una nuova diga: i lavori partiranno il prossimo gennaio e dovrebbero essere completati entro il 2028, per un costo di un miliardo e 300 milioni, la metà dei quali dovrebbero provenire dal Recovery Plan. L’analisi costi-benefici sostiene che in assenza della nuova diga «il porto di Genova si troverà
giocoforza escluso dai traffici contenitori extra Mediterraneo», mentre realizzarla permetterà «di non avere limiti allo sviluppo dei traffici». Un fervore d’opere, sicuramente ravvivato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, con 3,8 miliardi di euro destinati all’ammodernamento e al potenziamento dei porti, ma che aveva già dato qualche risultato negli ultimi tempi, come, appunto, i 15 metri dei fondali di Genova Pra o i 13,5 raggiunti a Civitavecchia che ai primi di giugno hanno permesso l’attracco di una mega carrier da 12 mila TEU, la MSC Siya B da 12,7 metri di pescaggio.
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Confetra, Almanacco della logistica, 2021
2.068.046 1.104.335 634.191 529.064 513.399 494.329 365.745 192.523 158.677
var % 2019 -10% -13,4% -5,0% -10,8% -8,2% +1,9% -8,9% -11,5% -9,9%
(TEU)
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NEI PORTI
IL TRAFFICO CONTAINER - CON O SENZA COVID - È BLOCCATO A 10,5 MI L
70%
È la quota di traffico portuale che rimane legata al mercato interno. LE STROZZATURE IN USCITA Ma, come Genova insegna, non è solo un problema di fondali. Né soltanto di ingresso in porto. Quel tetto di 10 milioni e mezzo di TEU che non si riesce a superare, quella stabilità nella buona e nella cattiva sorte sono indice di un’infrastruttura satura che, una volta scaricati i container, non riesce a portarli troppo lontano, perché nelle aree portuali i binari sono assenti o insufficienti. Secondo uno studio dell’Isfort – datato 2019 – «solo Trieste e La
Spezia hanno quote modali ferroviarie paragonabili a quelle dei porti nord europei pari a circa il 30% per Trieste (anno 2016) e 27% per La Spezia (anno 2015). Gli altri porti hanno quote modali ferroviarie nettamente più basse rispetto a Trieste e La Spezia: i porti di Genova e di Livorno hanno una quota modale ferroviaria, relativa ai container, che nel 2016 è stata pari, rispettivamente, al 12% e 13%». Tendenza confermata anche in anni successivi visto che Trieste nel 2019 il 56% dei contenitori sbarcati o imbarcati ha usato la ferrovia, mentre a La Spezia, dove sono entrati in servizio anche treni da 750 metri – lo standard attuale dell’Unione europea – siamo intorno al 32-33%. Addirittura, continua lo studio dell’Isfort «dei 14 porti italiani inseriti all’interno dei corridoi europei (TEN-T) e quindi definiti Porti Core, ben quattro non sono collegati alla rete ferroviaria, mentre ve ne sono altri cinque che pur non facendo parte del network TEN-T sono comunque connessi alla rete ferroviaria». È evidente, in questa situazione, che i container sbarcati in Italia non riescono ad andare lontano: solo la ferrovia, infatti, garantisce un trasporto di lunga distanza per un gran numero di cassoni contemporaneamente. Il camion non regge al con-
Confetra, Almanacco della logistica, 2021
I PORTI TRANSHIPMENT ITALIANI 2020 (TEU)
var % 2019
Gioia Tauro
3.193.364
+26,6%
Genova
284.723
-10,0%
Trieste
281.693
-7,4%
Livorno
202.834
-11,9%
La Spezia
69.325
-48,3%
Salerno
12.141
-5,5%
Cagliari
10.562
-70,1%
Napoli
9.349
-34,2%
Taranto
5.512
n.d.
Ravenna
2.345
+268,1%
Savona, Vado Ligure
994
-18,3%
fronto sulle tratte internazionali, ma riesce a spendere la sua flessibilità su scala regionale.
IN GIRO PER L’ITALIA «I container movimentati per il territorio», conferma Rosario Pavia, già ordinario di Urbanistica all’università di Pescara, in un Commentary per l’Istituto per gli studi di politica internazionale, «rappresentano il 70% del totale», aggiungendo che «analisi più approfondite potranno attestare che una parte del movimento ha origine e destinazione nei Paesi di oltralpe, ma il grosso del traffico portuale è legato ancora al mercato interno, ai rifornimenti energetici, ai processi produttivi, all’import-export, ai consumi». Lo dimostra anche il report 2021 di Contship-SRM su «Corridoi ed efficienza logistica dei territori», rilevando che il 90% dei collegamenti porto-azienda nelle tre Regioni più produttive – Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna – che detengono il 53% dell’interscambio con l’estero, avviene su strada, mentre il combinato strada-rotaia raccoglie il 9% e il trasporto ferroviario puro si ferma all’1%.
BINARI IN BANCHINA Dati che il governo, proprio utilizzando il Recovery Fund vorrebbe correggere, puntando – in chiave sostenibilità – sul rilancio dell’intermodalità, favorendo sia la creazione di Zone economiche speciali (ZES) e di Zone logistiche semplificate (ZLS) da collegare ai porti, sia soprattutto la realizzazione dell’ultimo miglio ferroviario nei porti di Venezia, Ancona, Civitavecchia, Napoli e Salerno. Non è un caso che nell’elenco manchino i due principali gateway italiani. «Trieste – spiega Pavia – è il porto che ha investito con più successo nella logistica intermodale, non solo relativamente ai contenitori, ma anche per il trasferimento su treno di semirimorchi, casse mobili e camion. Ma se Trieste si propone come porto di riferimento per l’Europa Centro-Orientale, Genova si prepara a interagire con il versante europeo occidentale (l’apertura del Terzo Valico, attesa nel 2023 e la ultimazione del tunnel del Ceneri in Svizzera, connetteranno Genova direttamente Rotterdam)». In altre parole, perché i porti italiani possano attirare
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MI LIONI DI TEU
container destinati al ricco mercato del centro Europa, bisogna attendere che siano pronti i valichi ferroviari, dal momento che quelli stradali – peraltro condizionati da divieti e limitazioni – sono al limite della saturazione e utilizzare il tempo per realizzare quelle infrastrutture, per portare i binari in banchina. Ma è una sfida difficile. «Per realizzare con efficienza il trasferimento su treno dei contenitori – ricorda Pavia – occorrono piazzali di grandi dimensioni in grado di consentire la formazione di convogli di almeno 600-750 metri (ma l’orientamento internazionale è utilizzare convogli ancora più lunghi). Al gigantismo delle navi – conclude con quella che non è una battuta – si aggiunge ora quello dei treni».
Sono i procedimenti amministrativi, facenti capo a 17 enti diversi, con cui si controllano le merci in ambito portuale. Una complessità che comporta una perdita di 20 mila ore di lavoro all’anno e un costo extra dell’11% per le imprese italiane di logistica rispetto alla media europea.
BUROCRAZIA E DIGITALIZZAZIONE Eppure, anche portare i binari nei porti e attrezzare le banchine potrebbe non bastare. La competitività dei nostri scali è condizionata – oltre che da carenze infrastrutturali – anche da inefficienze diffuse, lentezza delle procedure doganali, costi elevati del trasporto, lunghi tempi di consegna, senza contare la scarsa qualità ambientale, proprio quando l’Unione europea pone la questione dei porti green al centro dell’agenda. Tutti fattori negativi che nel 2020 hanno confermato l’Italia al 44° posto del Global Competitiveness Index, l’indice calcolato dal World Economic Forum che valuta ogni anno la competitività di 137 Paesi sulla base di 114 parametri. Preoccupa soprattutto la burocrazia, causa principale della gran parte dei ritardi che ci penalizzano. Mario Mattioli, presidente di Confitarma ha ricordato di recente che «sono 177 i procedimenti amministrativi per i controlli della merce in ambito portuale facenti capo a 17 amministrazioni pubbliche diverse. Tale inefficienza logistica comporta una perdita di 20 mila ore di lavoro all’anno nei porti italiani e, secondo i dati di Cassa Depositi e Prestiti, un costo extra dell’11% per le imprese italiane della logistica rispetto alla media europea, nonché un gap logistico-infrastrutturale valutato in circa 70 miliardi di euro, di cui 30 imputabili a oneri burocratici e ritardi digitali». Eppure, sono anni che si parla di Sportello unico doganale. È stato previsto dalla legge finanziaria per il 2004, «è stato attivato
nel luglio 2011», come afferma ancora oggi con involontario umorismo il sito dell’Agenzia delle Entrate, «con le modalità transitorie previste dal decreto attuativo», ma ancora a metà 2020 – dopo nove anni – Giulio Schenone, amministratore delegato del terminal Sech di Genova dichiarava, palesemente irritato: «Lo Sportello unico doganale deve diventare realtà operativa nel più breve tempo possibile. Punto. È ormai un’esigenza indifferibile». Nel frattempo, il governo si sta muovendo verso la digitalizzazione delle procedure che permetterebbe non solo lo sdoganamento, ma l’espletamento di tutte le pratiche di trasporto quando il container è ancora in mare, accelerando così enormemente i tempi burocratici. Ma siamo ancora al delineamento dell’architettura informatica e ai primi accordi tra le Autorità di Sistema portuale e DigITAlog (ex UIRNet), l’ente preposto dal governo, per uniformare il linguaggio telematico e le procedure di comunicazione. Ai primi di giugno l’Autorità dei Porti di Roma (Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta) ha sottoscritto il suo protocollo d’intesa. È solo un inizio. Ci vorrà tempo perché i passaggi burocratici si accorcino effettivamente, perché i finanziamenti diventino infrastrutture, perché i porti italiani diventino competitivi. «Qualsiasi misura di supporto», osservava Schenone, «deve essere poi implementata in maniera rapida sul territorio per essere efficace. Se mi promettono soldi ma non riesco ad accedere a questi fondi per motivi di burocrazia è come non averli mai avuti».
Perch Perché hé i porti po italiani possano possano at attirare container destinati al ricco mercato del centro Europa, bisogna attendere che siano pronti i valichi ferroviari, dal momento che quelli stradali, condizionati da divieti e limitazioni, sono al limite della saturazione e utilizzare il tempo per realizzare quelle infrastrutture, perr portare porta are i binari in banchina a luglio 2021
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NEI PORTI
CRESCE COSTANTEMENTE LA PRESENZA DELLE GRANDI COMPAGNIE
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ARMATORI, TERMINALISTI O TUTTO? Le big del mare ormai movimentano il 43% dei container nei porti italiani in terminal sotto il loro controllo. La parte del leone la fa MSC che ne gestisce un terzo. E con due società – MedLog e MedWay – offre anche servizi di trasporto terrestre, su strada e su ferrovia
C
osa succede se le compagnie marittime iniziano a giocare a Risiko con i terminal, canniba-
lizzando l’intera filiera? Non occorre
guardare molto lontano per trovare la risposta: da qualche tempo – lo abbiamo detto anche in apertura di questo numero – le grandi società armatoriali del trasporto container stanno acquisendo sempre più società terminaliste. Succede ovun-
que, anche in Italia dove – secondo la ricostruzione a cura di Uomini e Trasportii – quasi il 43% dei container movimentati nei terminal è nelle mani di grandi società tra cui Maersk e Cosco (prima e terza al mondo per teu trasportati), che insieme gestiscono l’APM Terminals Vado Ligure di Savona, la francese CMA CGM che controlla il Molo Polisettoriale di Taranto, ma soprattutto il Gruppo MSC (secondo al mondo) – presente in alcuni scali tramite società quali Marinvest o Terminal Investment Limited – che da solo gestisce un terzo del totale dei container movimentati nei terminal italiani, aggiudicandosi il titolo di player dominante a livello nazionale.
SETTE TERMINAL TARGATI MSC
41,41 % È la percentuale di contenitori imbarcati e sbarcati nei porti italiani, in termini assoluti 4,42 milioni di teu su un totale di 10,68, passata attraverso terminal controllati da MSC
Stando agli ultimi dati dell’Almanacco della Logistica di Confetra 2021 relativi all’anno della pandemia da Covid-19, infatti, il 41,41% dei contenitori imbarcati e sbarcati nei porti italiani, ossia 4.425.427 teu su un totale di 10.687.148, è passato attraverso terminal controllati da MSC. Per la precisione, attualmente sono sette, tre dei quali sono in proprietà (Calata Bettollo a Genova,
TIV a Venezia e RTC a Civitavecchia) e quattro partecipati (CONATECO a Napoli, Lorenzini a Livorno, TMT a Trieste, CICT a Cagliari). A notevole distanza i primi terminalisti «puri»: PSA, che ha movimentato 1.943.965
IL PRIMO TRIMESTRE 2021 NEL
Traffico container nei principali porti itali an Città
Paese
1
Shanghai
Cina
2
Singapore
Singapore
3
Ningbo
Cina
4
Shenzen
Cina
5
Qingdao
Cina
6
Guangzhou
Cina
7
Long Beach
USA
8
TianJin
Cina
9
Hong Kong
Cina
10
Rotterdam
Paesi Bassi
… E IN ITALIA 1
Genova
2
La Spezia
3
Trieste
4
Livorno
5
Napoli
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E
DENTRO GLI SCALI Il traffico container in Italia
UN 2021 ALL’INSEGNA DELLA BONACCIA Trattandosi di maree non si può che parlare di bonaccia. È il clima che caratterizza il traffico container nei porti italiani nei primi tre mesi del 2021, l’anno che, con l’uscita dalla pandemia, dovrebbe segnare la ripresa dei traffici. Mentre il resto del globo festeggia e le grandi compagnie marittime internazionali e i terminalisti di tutto il mondo stappano champagne, in Italia la movimentazione portuale dei container resta sempre la stessa e le previsioni su base annua lasciano intendere che ancora una volta la movimentazione complessiva si aggirerà intorno ai soliti 10 milioni e mezzo di teu. Basta scorrere le tabelle dell’Outlook di Fedespedi per rilevare come tutti gli scali stranieri siano in positivo, spesso a due cifre, con un rialzo complessivo dei traffici del 13,1%, trainata dai porti americani e soprattutto cinesi che sono cresciuti del 18,4% (58,4 milioni di TEU contro i 43,3 del primo trimestre 2020). Dati sui quali non ha evidentemente influito il caos creato dall’incidente di Suez a marzo e sulla cui proiezione annua probabilmente non influirà eccessivamente neppure lo stop del porto cinese di Yantian, bloccato a giugno da un nuovo focolaio di Covid-19. È vero che le percentuali hanno come base di confronto i dati del 2020 ribassati dalla pandemia, ma in Italia il traffico
teu, pari al 18,19%, e Contship Italia con 1.104.825 teu, pari al 10,34%. Il restante 30% è diviso tra gli altri operatori. Una crescita, quella di MSC, che sembra inarrestabile sul piano globale:
L
MONDO...
ali ani e stranieri (TEUx1000) 1° T 2020
1° T 2021
var %
9.330
11.430
21,5%
9.279
9.308
0,3%
6.150
7.690
25,0%
5.333
7.216
35,3%
5.040
5.550
10,1%
4.740
5.550
17,1%
3.637
4.782
31,5%
3.710
4.470
20,5%
4.100
4.198
2,4%
3.550
3.709
4,5%
439
402
-8,6%
309
328
6,1%
163
175
7,8%
186
173
-7,0%
102
101
-0,5%
container nel primo trimestre 2021 ha registrato 1,3 milioni di TEU movimentati: una cifra sostanzialmente invariata rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. E con il solito quadro variabile da scalo a scalo. Crescono La Spezia con 328 mila TEU (+6,1%) e Trieste con 175 mila (+7,8) che - guarda caso - sono i due porti dove il trasbordo su ferrovia funziona meglio. Cresce ancora (su cifre più basse) Savona con 30 mila TEU - che significano quasi raddoppiare la movimentazione (+93,2%) del periodo - grazie al nuovo terminal APM di Vado Ligure (partecipato cinese del 49,9%), con ondati da 17,25 metri e binari che hanno permesso fin dall’inizio (luglio 2020) cinque treni settimanali. Stabili, invece, Napoli (101 mila TEU, -0,5%) e Salerno (66 mila TEU, -1,8%), mentre perdono quota Livorno (186 mila TEU, -7%) e, soprattutto Genova (402 mila TEU - 8,6%). Il principale scalo gateway italiano, tuttavia, ad aprile ha rialzato la testa con 229.704 container movimentati, pari al 30,4% in più dell’aprile 2020, recuperando il calo dei primi tre mesi e portando in positivo il quadrimestre a +5,9%, grazie soprattutto alla movimentazione di container pieni sia in imbarco (+37,6% rispetto al 2020) che in sbarco (+22,4%). Un segno di risveglio?
nell’ultimo decennio il Gruppo ha registrato un incremento del 209,8% in termini di milioni di teu movimentati passando dai 16,4 del 2009 ai 50,8 nel 2019, preceduta solo dalla International Container Terminal Services, che ha visto un incremento del 227,8% passando da 3,6 a 11,8 milioni di teu movimentati. In generale, tutte le grandi società sono cresciute nel decennio 2009-2019: Cosco Shipping si conferma leader mondiale con un incremento del 199,2% pari a un totale di 109,8 milioni di teu movimentati nel 2019, seguita da PSA + 53,8% (84,8 milioni di Teu), Maersk +48% (84,2 milioni di teu), Hutchison Ports +28,7% (82,6 milioni di teu), DP World +53,5% (69,4 milioni di teu), CMA CGM +125% (26,1 milioni di teu) e infine SSAMarine +68,8% (13 milioni di teu; tutti dati Confetra). Nel solo 2019, dunque, Cosco Shipping, Maersk, MSC e CMA CMG hanno movimentato da sole il 41,9% dei container nei porti (il 12,2% in più rispetto a dieci anni prima, dati Fedespedi).
SPOSTARE I CONTAINER C’è un ulteriore elemento da tenere in considerazione: là dove le grandi compagnie entrano in gioco vi sono
forti ripercussioni anche sull’andamento del terminal stesso. Per intenderci, se a causa della pandemia nel 2020 tutti i principali porti italiani hanno movimentato lo 0,8% in meno rispetto all’anno precedente (per un totale di 10,68 milioni di teu), solo Gioia Tauro (che però fa solo transhi-
pment) e Savona, passati nelle mani rispettivamente di MSC il primo e
41,9 % È la percentuale di traffico container nei porti gestita nel 2019 da appena quattro società: Cosco Shipping, Maersk, MSC e CMA CMG. Rispetto a dieci anni fa, si tratta del 12,2% in più (Fedespedi) luglio 2021
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NEI PORTI
CRESCE COSTANTE LA PRESENZA DELLE GRANDI COMPAGNIE
altri scali nazionali. Non è tutto. Le grandi società marittime non si limitano ad acquisire le società terminaliste, ma offrono anche servizi di trasporto su rotaia e su strada. MSC opera nel trasporto terrestre in Italia (ma non solo) con due società, MedLog e MedWay, la seconda delle quali offre esclusivamente servizi ferroviari, mentre la prima dispone anche di una flotta di camion e, quando non bastano, ricorre a sub vettori.
la crisi economica, vedremmo che i
È l’incremento fatto registrare dal porto di Savona (Vado Gateway) IL NODO FISCALE nel 2020 – partendo però da «È assolutamente vero che l’armamento a livello globale si sta verticasoli 65 mila teu – grazie allo lizzando e sta internalizzando anche spostamento di parte dei altri anelli della catena logistica come loro traffici delle compagnie la gestione di alcuni hub, tra cui i porproprietarie, vale a dire Maersk, ti, ma dipende da come si leggono i Cosco e Quindao Port International dati che abbiamo a disposizione»,
tori. L’unica differenza è il tema del
167,8 %
Maersk, Cosco e Quindao Port International il secondo, non solo hanno subìto alcuna flessione, ma hanno incrementato i traffici rispettivamente del 26,4% e del 167,8% (ma su una base di soli 65 mila teu) proprio perché le grandi compagnie proprietarie hanno trasferito su di loro parte dei loro traffici, spostandoli spesso da
precisa Alessandro Ferrari, direttore di Assiterminal. «Per esempio, per MSC parliamo di numeri elevati in termini assoluti, ma in realtà buona parte di questi riguardano operazioni in transhipment, a Gioia Tauro, che non è un terminal collegato alla logistica produttiva. Se prendessimo in considerazione un arco temporale più ampio, fino a prima del 2008 e del-
contenitori movimentati erano più di quanti non se ne siano movimentati nel 2019. E dobbiamo ancora recuperare il gap pre-crisi». Ma il vero nodo è la concorrenza con i terminalisti «puri». E anche su questo Ferrari ha qualcosa da dire: «Le grandi società tendono oggi a gestire l’intero processo logistico, ma queste dinamiche di verticalizzazione avvengono ormai in tutti i setregime fiscale: se un armatore fa utili legati al business del trasporto marittimo è legittimo che il trattamento fiscale sia quello della Tonnage Tax (una tassazione forfettizzata per le imprese marittime, NdR), ma questo meccanismo non va applicato alle attività accessorie perché se così fosse si creerebbe un regime distorsivo dal momento che nessuna Industry terrestre riuscirà mai a essere altrettanto competitiva. Ci deve essere quindi parità nelle regole di ingaggio, così che tutti possano essere in grado di fare attività imprenditoriale in base a regole fiscali uguali a quelle dei competitor».
La burocrazia dietro al cambio turno dei terminalisti a Genova
LA VESTIZIONE DEL TERMINALISTA È uno dei momenti più temuti dagli autotrasportori che – magari per l’ennesimo ingorgo, per la centesima deviazione, il millesimo incidente sulla rete autostradale che circonda Genova – si trovano ad arrivare in porto al momento della «vestizione». Dietro questa definizione formale che evoca scenari pontifici, in realtà si nasconde il cambio di turno: quando termina il suo orario di lavoro una squadra di terminalisti e ne subentra un’altra. Un accordo sindacale prevede che, all’interno dell’orario di lavoro, i singoli addetti abbiamo a disposizione mezz’ora per cambiarsi, sia in entrata che in uscita. «Chiediamo da tempo il cambio a caldo», ha spiegato al videocast K44 Risponde, il segretario della FAI di Genova, Franco D’Artizio, «e cioè di fare in modo che quando un addetto esce per andarsi a cambiare prima di concludere il suo turno, un altro – già in tuta – gli subentri, senza interruzione del lavoro. Abbiamo proposto che i turni vengano anticipati di un'ora in modo da evitare questi tempi d'attesa, ma finora né sia l’Autorità di Sistema portuale, né gli operatori portuali sono riusciti a trovare soluzioni, probabilmente per problemi sindacali.
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DA UN ALTRO MONDO JOST KKS – Aggancio e sgancio con un pulsante
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NEI PORTI
L’INTERVENTO DI SERGIO BOLOGNA NEL PODCAST K44 LA VOCE DEL T
«GIGANTISMO? CI VUOLUN LIMITE»
Le mega carrier sono figlie della finanziarizzazione dello shipping, ma le economie di scala toccano solo i privati. Nel conto vanno messi anche i costi pubblici. E i rischi per la sicurezza: l’incidente di Suez non è né il primo, né l’unico. È accaduto anche ad Amburgo sull’Elba
S e r g io B o lo g n a
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a ha senso scavare, scavare, scavare, abbassare i fondali, ristrutturare banchine, tracciare binari per accogliere portacontainer sempre più grandi? E a quali costi? E fino a che punto? La rincorsa dei porti italiani alla ricerca di appeal per le mega carrier incontra anche qualche critica. Il dibattito pubblico aperto sulla nuova diga foranea di Genova ne ha messo in evidenza alcune, legate peraltro alla vivibilità della città, alle difficoltà per il contiguo aeroporto, alla necessità di una programmazione più dettagliata. Ma sono osservazioni di dimensione locale. Chi mette in discussione l’intera strategia è invece Sergio Bologna, triestino, 84 anni vissuti controcorrente. Docente di storia in varie università in Italia e in Germania, finché non ne è uscito, sce-
gliendo la professione del consulente: è stato coordinatore del settore merci del Piano generale dei Trasporti e della Logistica (1998-2000), membro del Comitato scientifico per il Piano nazionale della Logistica (2010-2012) ed esperto del Cnel sui problemi marittimo-portuali, forte di una formazione maturata negli anni Settanta, oltre che negli studi, in mezzo alle proteste dei camalli, i portuali genovesi. I titoli dei suoi ultimi libri fanno comprendere meglio gli ambiti e l’impostazione della sua critica: Le Multinazionali del mare (2010), Banche e crisi. Dal petrolio al container (2013), Tempesta perfetta sui mari (2016). Intervistato da K44 La voce del trasporto o, il podcast di Uomini e Trasportii e di Trasporto Europa a, Bologna ha subito messo in chiaro che per capire quel che sta accadendo nel settore dei container, bisogna leggerne gli aspetti finanziari. «Oggi il mondo della finanza è dominato dalle Financial leasing companies cinesi – ha spiegato – che naturalmente hanno degli strumenti e delle tecniche di finanziamento più flessibili rispetto a quelle delle tradizionali banche commerciali. Per di più, ogni grande cantiere del Far
East dispone di una società di leasing. In questo modo il costruttore è il soggetto che finanzia la nave, permettendo a chi la gestisce – le grandi compagnie marittime – di disporre di mezzi nuovi senza grandi investimenti. Risultato: oggi abbiamo il 50% circa di navi di proprietà e il 50% noleggiate».
MA QUALI SONO I COSTI PUBBLICI? È da questa premessa – che vede il mondo dello shipping diviso a metà, con la finanza nelle mani del Far East e la gestione in quelle dell’Europa – che bisogna partire, secondo Bologna, per comprendere il fenomeno del gigantismo navale. Ma Bologna ha ricordato gli interventi di Olaf Merk, k esperto dell’International Transport Forum m che opera sotto l’egida dell’OCSE, che hanno dimostrato come il gigantismo generi – è vero – «delle economie di scala, ma queste economie di scala diminuiscono sempre di più». Senza considerare che, ha osservato il professore triestino, «in molti casi è stata calcolata l’economia di scala, dimenticando che in realtà l’economia principale l’aveva fatta il prezzo del carburante per
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L TRASPORTO
Il mondo della finanza è dominato dalle Financial leasing companies cinesi che hanno tecniche di finanziamento flessibili. Per di più, ogni grande cantiere del Far East dispone di una società di leasing. In questo modo il costruttore è il soggetto che finanzia la nave, permettendo a chi la gestisce – le grandi compagnie marittime – di disporre di mezzi nuovi senza grandi investimenti. Risultato: oggi il 50% circa di d navi è di proprietà e il 50% % noleggiate noleg ggiate le navi». Perciò non solo «la questione delle economie di scala diventa un argomento sempre meno plausibile», ma per di più c’è da chiedersi «qual è il costo che questa situazione impone ai porti e quindi alla pubblica amministrazione e ai cittadini?». Il riferimento ai costi pubblici è esplicito e richiama subito alla mente il miliardo e 300 mila euro di costo preventivato della diga foranea di Genova. «Vorrei sapere», ha osservato a questo proposito Bologna, «come fanno gli spedizionieri di Genova che hanno probabilmente sottoscritto il documento della Clecat (l’associazione europea degli spedizionieri, NdR) contro il gigantismo navale, a voler
poi la diga». Una situazione che, secondo Bologna, non può continuare. E a chi obietta che queste mega carrier ormai ci sono e bisogna tenersele, ricorda che «il gigantismo non è nato nel container, il gigantismo è nato nelle petroliere. Siamo arrivati a fare petroliere da mezzo milione di tonnellate e così come sono state fatte, poco dopo sono state anche dismesse. Quindi se l’interesse pubblico va in una certa direzione, io credo, anzi pretendo che l’interesse pubblico abbia la preminenza sull’interesse privato». Oltretutto sono navi a rischio: l’incidente di Suez è stato il più clamoroso, ma non è l’unico. «Per entrare in un porto come Amburgo
non so quante miglia marine bisogna percorrere sull’Elba – sostanzialmente un canale – per giungere in porto. Se una nave si mette di traverso in quel tratto, come è già accaduto qualche anno fa, si paralizza una città, si paralizza un’economia, si paralizza un Paese. Sono rischi che non possiamo correre. Né possiamo dire ogni volta “allora allarghiamo, scaviamo e così via”. Un limite deve essere posto e, a questo punto, devono farlo gli organismi internazionali: sono loro a dover agire in prima persona. A cominciare dall’Interna-
tional Maritime Organisation».
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Martino Consulting S.R.L. Sede Legale: Via Montenapoleone, 8 - 20121 Milano MI luglio 2021 Società di brokeraggio assicurativo, iscritta nella sezione B del RUI con il numero B000499178 dal 04.11.2016, responsabile dell’attività di intermediazione 47 assicurativa Angela Giordano iscritta nella sezione B del RUI con il numero B000499179 dal 18.09.2014, soggetto alla vigilanza dell’IVASS - Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni.
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NEI PORTI
GUIDA AUTONOMA. SI MOLTIPLICANO LE ESPERIENZE NELLE AREE
I ROBOCAMION ALLA CONQUISTA DEI PORTI In Svezia come in Cina, a Singapore come in California i veicoli senza autista vengono già utilizzati per scaricare e trasportare i container, in zone intermodali chiuse e controllate, anche con l’aiuto della tecnologia 5G
La
guida autonoma all’interno dei porti è ormai realtà. Se l’autopilot appare ancora un’ipotesi piuttosto remota sulle strade pubbliche (zone in cui l’interazione con altri veicoli rende più complicato l’utilizzo di mezzi senza autista), nelle aree deli-
mitate e controllate come quelle dei porti il “robomezzo” trova la sua collocazione ottimale, specie laddove sono presenti andirivieni consolidati di container, operazioni di navettamento e così via. Le esperienze proseguono un po’ dappertutto nel mondo: dalla Cina (porti di Tianjin,
Laem gapor Califor rati Ar zo in a zione test in South
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PORTUALI
Sospeso il piano per il trasporto senza equipaggio di container
MA ROTTERDAM FA MARCIA INDIETRO Alla guida autonoma c'è anche chi dice no (almeno per oggi). Il porto di Rotterdam, ad esempio, ha annunciato la sospensione della procedura di gara per la selezione di trasporti senza equipaggio su una strada dedicata di 15 km, la Container Exchange Route, che collega i terminal container nell'area di Maasvlakte. «Una soluzione a guida autonoma sufficientemente competitiva presenta oggi troppe incognite e incertezze – hanno spiegato le autorità portuali – La proposta è tecnicamente fattibile, ma non copre adeguatamente i rischi operativi e finanziari».
DUBAI Guida autonoma per potenziare l’operatività interna Nel porto di Jebel Ali (Dubai) una flotta di AITV (Autonomous Internal Terminal Vehicles) verrà prodotta per essere impiegata all’interno dell’area portuale, a seguito di un accordo tra la multinazionale logistica DP World, gli Emirati Arabi Uniti e lo specialista di intelligenza artificiale
DGWorld. L’obiettivo è quello di introdurre digitalizzazione e tecnologie moderne come nuovo standard globale per le tradizionali operazioni portuali e le catene di fornitura e commerciali. DGWorld integrerà la propria tecnologia di guida autonoma nella flotta esistente di ITV in più fasi.
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NEI PORTI
GUIDA AUTONOMA. SI MOLTIPLICANO LE ESPERIENZE NELLE AREE
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PORTUALI
La nuova gamma di veicoli attua una direttiva che allunga i mezzi per trasporto container
DAF, I PRIMI VEICOLI CON DIMENSIONI MAGGIORATE Il camion che vedete in questa foto è il primo che
quello cioè di incrementare la sicurezza del veicolo,
usufruisce della possibilità offerta dalla direttiva
migliorandone in particolare la visibilità, ma anche il
europea 2015/719 di allungare le dimensioni dei
comfort dell’autista, a cui vengono dedicate una serie
veicoli. Una direttiva coerente, giacché ammette che
di coccole di varia natura. Tutte cose che vedremo più
non ha molto senso richiedere ai veicoli di contenere
in dettaglio nel prossimo numero. La ragione per cui
progressivamente le emissioni e poi consentire una
ci interessa in questa sede il camion DAF la si trova
loro lunghezza massima che, volendo ottimizzare i
nell’art. 10 quater della stessa direttiva, quello in cui si
carichi (perché di trasporto merci si parla), finisce con
parla di trasporto container e si consente di allungare
il limitare le dimensioni delle cabine in 2,35 metri nel
il veicolo impegnato in tale segmento di 15 cm oltre i
caso degli autotreni (18,75 m consentiti meno i 16,40
limiti attuali. Per quale ragione lo chiarisce la stessa
di lunghezza del carico trasportato), ma soprattutto
direttiva, laddove spiega che i container da 45 piedi
con il far viaggiare dei muri verticali, che stabiliscono
sono sempre più utilizzati, soltanto che nelle tratte
un rapporto con l’aria tutt’altro che amichevole. Ecco
stradali delle operazioni di trasporto intermodale
perché DAF ha preso il coraggio a quattro mani e, una
possono essere usati solo se gli Stati membri e i vettori
volta tanto, ha prodotto uno scatto in avanti lungo la
osservano gravose procedure amministrative o qualora
strada dell’innovazione. Perché questi veicoli (in realtà
tali container siano dotati di angoli smussati brevettati
è un’intera gamma, visto che accanto all’XF compaiono
dai costi proibitivi. Aumentando di 15 cm la lunghezza
gli inediti XG e XG+) cambiano la linea aerodinamica
dei veicoli che trasportano i container, diviene quindi
frontale, più affusolata e arrotondata, ma soprattutto
possibile – spiega la direttiva – «eliminare tali procedure
conquistano 15 cm circa sul frontale e circa 35 cm sul
amministrative per i vettori e facilitare le operazioni di
retro. E con tutto questo spazio in più riesce a portare
trasporto intermodale», senza rischi per l'infrastruttura
a casa altri due vantaggi indicati dalla stessa direttiva,
stradale o per gli altri utenti della strada.
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SULL’OCEANO
LE MAGGIORI COMPAGNIE, RIUNITE IN TRE GRANDI ASSOCI A
LA TRIPLICE ALLEANZA
di Umberto Cutolo
Gli armatori hanno approfittato della pandemia per accordarsi, tagliare le capacità di stiva e aumentare i noli, realizzando guadagni iperbolici. Ora tentano di occupare tutta la filiera diventando anche terminalisti, sostituendosi agli spedizionieri, ingaggiando trasportatori. E in Italia e Spagna applicano sovrapprezzi. Mentre USA e Cina reagiscono, l’Europa li favorisce
S
edici miliardi di dollari sono una cifra spropositata: fanno venire in mente il deposito di zio Paperone. Invece sono soltanto il guadagno delle grandi compagnie di traporto container via mare nel 2020, anno della pandemia. Anzi, nonostante la pandemia, che ha rallentato la produzione mondiale, ma non i profitti di Maersk (utile netto vicino ai tre miliardi) o di Hapag Lloyd (margine operativo lordo cresciuto di 2,7 miliardi), tanto per segnalarne un paio. Il broker globale Blue Alpha Capital, che ha stimato in 15,8 miliardi di euro il profitto netto delle undici maggiori compagnie, ha fatto notare che questa cifra è più del doppio dei 7 miliardi di profitti registrati dagli stessi vettori nei cinque anni precedenti. Crescita che non accenna a fermarsi. Nel primo trimestre 2021, la cinese Cosco, terzo gruppo armatoriale al mondo, ha registrato un utile
15,8
miliardi di Euro
È il profitto netto incamerato dalle undici maggiori compagnie di trasporto container nel 2020, più del doppio dei 7 miliardi di profitti registrati nei cinque anni precedenti
di 2,36 miliardi di dollari; la tedesca Hapag-Lloyd si è fermata a 1,2, ma è la miglior trimestrale della sua storia, con un incremento del 4.000% su base tendenziale. E la società di consulenza inglese Drewry ritiene che gli utili record continueranno per tutto il 2022.
IL BLANK SAILING Una contraddizione, confrontando questi numeri con la movimentazione mondiale, scesa nel 2020 da 176 a 174 milioni di teu, dopo dieci anni di crescita ininterrotta. Ma come sono riusciti gli armatori a trasformare un segno negativo in uno positivo così clamoroso? Semplice. Hanno sfruttato l’occasione della pandemia, con gli ordini cancellati, l’incertezza sui tempi, la mancanza di container per sfruttare al massimo il ricorso al blank sailing g, la cancellazione di partenze o di rotte, o alla messa in disarmo o in rada (più economico) delle portacontainer. «Quando la diffusione della pandemia è stata evidente a tutti – spiega John McCown, fondatore di Blue Alpha Capital – gli operatori hanno intrapreso un’azione immediata e aggressiva per ridurre la capacità delle navi, sopprimendo le partenze». Per comprendere le dimensioni dell’operazione, tra marzo e settembre 2020 sono stati annullati 400 viaggi, pari al 10% dalla capacità di teu e a giugno del 2020, secondo dati Alphaliner, società di consulenza francese specializzata nel trasporto containerizzato, è stato fermato l’11,6% della flotta con una diminuzione di 2,72 milioni di container. E questa riduzione della capacità di stiva ha fatto alzare la domanda rispetto all’offerta e ha provocato
2,72
milioni
È il numero di container che sono stati fermati nel solo mese di giugno 2020, pari all’11,6% della flotta. Una riduzione della capacità di stiva, utile a far impennare la domanda e quindi i noli un’impennata dei noli che lo Shanghai Export Containerized Freight Index, indice di controllo dei prezzi dei noli, ha registrato come un balzo da poco meno di 1.000 punti (fine 2019) a oltre 2.500 (fine 2020). Per capire meglio le cifre, il trasporto dall’Asia all’Europa di un container da 40 piedi che prima della pandemia costava tra 1.200 e 1.300 dollari, a ottobre 2020 era arrivato a 3 mila dollari e a gennaio 2021 era schizzato addirittura a 6-7 mila. Ad aprile, sulla rotta Shanghai-Genova servivano 7.655 dollari per trasportare un feu (fourty-foot equivalent unitt, il doppio del teu, twenty-foot equivalent unitt): il 319% in più rispetto a un anno prima e sulla Shanghai-Rotterdam se ne pagavano addirittura quasi 8 mila. Ai primi di giugno, il record storico. Un piccolo rigurgito di pandemia nel Guan-
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I AZIONI, FANNO PROVE TECNICHE DI CARTELLO
DIECI COMPAGNIE, TRE ALLEANZE LE COMPAGNIE
TEU min
Navi
Maersk
Danimarca
4,1
708
Mediterranea Shipping Company
Italia Svizzera
3,8
560
Cosco
Cina
3,1
507
CMA CGM
Francese
2,7
502
Hapag-Lloyd
Germania
1,7
248
Ocean Network Express
Giappone
1,5
224
Evergreen
Taiwan
1,2
333
Orient Overseas Container Line
Cina
0,7
104
Hyundai Merchant Marine
Sud Corea
0,7
110
Yang Ming
Taiwan
0,6
95
2M
8,6
1.268
Ocean Alliance
7,7
1.446
The Alliance
3,8
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LE ALLEANZE
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SULL’OCEANO
dong (100 casi) ha messo in allarme il governo di Pechino che ha bloccato il terminal di Yantian, nel porto di Shenzhen, uno dei più importanti del paese e il terzo del mondo per movimentazione container, dove in pochi giorni si sono fermate in rada in attesa di attraccare una cinquantina di navi. È bastato per lanciare l’allarme di una crisi più grave di Suez e far schizzare il trasporto di un container in Europa a oltre 10 mila dollari. In cambio, il servizio peggiora di giorno in giorno. Non è soltanto la cancellazione improvvisa di rotte, ma anche la puntualità delle compagnie che, secondo uno studio della rivista Global Liner Performance, redatto sulla base dell’analisi di 34 rotte e più di 60 operatori, nel mese di dicembre 2020 ha subito un declino del 44,6% rispetto al mese precedente, toccando il livello più basso mai registrato dal 2011, quando l’indice è stato introdotto.
LE TRE ALLEANZE Aumenti in cambio di disservizi è un paradosso che solo gli armatori si possono permettere. E che praticano
LE MAGGIORI COMPAGNIE, RIUNITE IN TRE GRANDI ASSOCI A
grazie a una strategia di alleanze che da anni concentra mezzi e capitali per spartire il mercato tra i big. Dal 2017 si sono create tre grandi consociazioni tra le prime dieci compagnie internazionali: la 2M (Maersk e MSC, le maggiori del mondo, per un totale di oltre 8 milioni di teu), Ocean Alliance (Cosco, CMA CGM, Evergreen, Orient Overseas Container Line, quasi 8 milioni di teu) e The Alliance (Hapag-Lloyd, Ocean Network Express, Yang Ming, circa 4 milioni di teu). Tutte e tre rappresentano l’80% del traffico container globale e il 90% delle navi portacontainer. Dopo anni di concorrenza spietata, all’insegna di quella che in matematica è definita la Teoria dei giochi, finalizzata al massimo guadagno anche tramite prezzi concorrenziali, le tre Alleanze di fronte alla minaccia pandemica, hanno fronteggiato il pericolo con la collaborazione. Insieme hanno programmato e attuato la strategia che ha non solo salvato le compagnie, ma ha anche rimpinguato le loro casse, proprio facendo leva sulla crisi globale. In parole più dirette hanno fatto cartello.
7% È la percentuale di tassazione imposta alle grandi compagnie armatoriali dalle normative comunitarie, integrata anche dall’esenzione alle norme antitrust dell’Unione europea IL MONDO REAGISCE, L’EUROPA NO Non appagati dalle cifre iperboliche entrate nelle loro casse, le big del mare stanno da anni ampliando i loro interessi, sbarcando a terra per gestire i terminal portuali e occuparsi del trasporto terrestre su gomma e su ferro, togliendo così spazio agli spedizionieri e trattando direttamente con i
O CAPITAN, C’È IL CAOS IN MEZZO AL MARE Da due anni le portacontainer fanno su e giù per il mare, all’inseguimento delle rotte di volta in volta più redditizie, ma soprattutto tra Cina e Stati Uniti. Una storia che comincia dai dazi di Trump ed esplode con pandemia e riduzione di stive degli armatori. E i container non si trovano Ma dove sono finiti i container? Dove sono, soprattutto,
componenti necessarie alla produzione, in quei sei mesi
quelli vuoti che servono come il pane per esportare merci
fanno incetta di spazi e container per garantirsi scorte.
a un’industria che esce dalla pandemia e ricomincia a
Per rispondere all’aumento della domanda americana
tirare? È presto detto: in mezzo al mare. Da due anni sono
(e incassare l’aumento dei prezzi che ha provocato), le
letteralmente sballottati qua e là, soprattutto fra Cina
compagnie dirottano i container destinati all’Europa verso
e Stati Uniti, all’inseguimento dei mercati (e dei prezzi)
gli USA, dove i noli sono quadruplicati. E i container vuoti
più favorevoli, di volta in volta che le manovre daziarie, i
cominciano ad allontanarsi dal nostro continente.
lockdown nazionali e le riduzioni di stiva delle compagnie ne
Poi
hanno orientato la direzione. Che comunque difficilmente
le stive per tenere alti i noli, ma la Cina a marzo
era l’Europa dove la carenza dei contenitori (vuoti) mette in
2020 è pronta a ripartire, dovendo spedire molta
difficoltà un’industria di nuovo in corsa.
produzione arretrata. E i container tornano verso il
scoppia
l’epidemia,
le
compagnie
riducono
Far East per caricare e ripartire, ma quando arrivano
DUE ANNI DI SBALLOTTAMENTI
(a primavera inoltrata 2020), i porti di destinazione –
È l’esito di una tempesta perfetta raccontata dal direttore
americani ed europei – sono chiusi per i lockdown nazionali.
generale di Spediporto, associazione spedizionieri di
Centinaia di migliaia di container restano bloccati su navi
Genova, Giampaolo Botta, al Sole 24 Ore. In sintesi, le
ammassate fuori dei porti in attesa di sbarcare, proprio
ostilità le apre nel 2019 l’allora presidente degli USA,
mentre l’industria cinese marcia a pieno regime e chiede a
Donald Trump, minacciando – ad aprile – di imporre –
gran voce il ritorno dei container vuoti per riempirli di merci.
da ottobre – dazi alla Cina, con la conseguenza che le
«È il caos – ha concluso Botta – e i prezzi dei noli salgono in
industrie americane, spaventate dal rischio di non ricevere
tutte le principali rotte commerciali europee».
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I AZIONI, FANNO PROVE TECNICHE DI CARTELLO
subvettori. La chiamano «integrazione verticale», ma per i loro avversari è la «cannibalizzazione della filiera» ed è un fenomeno mondiale. Secondi i dati dell’Almanacco della logistica 2021 di Confetra, quattro compagnie (Cosco, Maersk, MSC e CMA CGM) hanno movimentato nel 2019 il 41,9% dei container nei porti, contro il 29,7% di dieci anni prima. Un’avanzata che fa drizza-
re le antenne alle organizzazioni internazionali. L’Ocse denuncia da anni che questi cartelli alterano la concorrenza nel trasporto mercantile, creando forti distorsioni del mercato. E lo scorso aprile la Conferenza delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo ha rilevato che «nel 2020, durante la pandemia, i vettori hanno registrato profitti a due cifre» e che, dunque, è importante
«assicurarsi che le autorità nazionali garanti della concorrenza possano monitorare le tariffe di trasporto e il comportamento del mercato». Ma, soprattutto, si sono svegliati Cina e USA. Il ministero dei Trasporti di Pechino sta indagando sull’eventualità di accordi restrittivi della concorrenza da parte delle compagnie e ha bloccato il nuovo aumento delle tariffe
Un caos al quale la Cina – dove nasce l’85% dei container
dallo shipper o dallo spedizioniere – c’è una finestra
di tutto il mondo – ha risposto incrementando la
temporale di ritiro che potrebbe pregiudicare il controllo
produzione, per dare sfogo all’impetuosa domanda
dei vuoti, rischiando maggiormente la sorpresa della
interna di cassoni. Il principale costruttore, la China
mancanza del container». In pratica è il Carrier Haulage
International Marine Containers, che causa Covid aveva
che costituisce un ulteriore tassello verso il controllo
ridotto il personale, a settembre 2020 ha assunto 5
di tutta la filiera da parte degli armatori. E neppure
mila persone, ha portato gli orari di lavoro da 8 a 11 ore
risolutivo. Paolo Federici, titolare della società di
giornaliere e ha cominciato a lavorare prima al ritmo di
spedizioni Fortune International, ha raccontato sul
300 mila container trimestre, per salire – da gennaio – a
suo blog che, nel novembre scorso, una società di
440 mila.
navigazione ha accettato la prenotazione di uno slot su una nave che partiva il giorno 6 e ha comunicato
IL CARRIER HAULAGE
la disponibilità al ritiro di dieci container nuovi per il
Ma non bastano a soddisfare la domanda interna
giorno 16. Quando la portacontainer sarebbe stata già
ormai
in alto mare.
squilibrata
dalla
tempesta
perfetta.
Né che,
Anche per episodi come questo, gira gira, la filiera
dopo aver ridotto le stive per alzare i noli, ora
finisce con il puntare il dito contro gli armatori. «Quello
spingono
vuoti.
che gli operatori economici chiedono alle compagnie
Alice Arduini, managing director della società di
– chiosa Botta – è una presa di coscienza di aver fatto
spedizioni Etex Logistic, spiega che «avendo il giorno
previsioni errate un anno fa e di aver avuto miliardi di
preciso di ritiro e di carico del container come dato
dollari di margini senza aver provato a migliorare la
oggettivo, le compagnie possono avere un controllo
situazione. Ci deve essere una riorganizzazione dei
diretto sugli equipment ed evitare la sorpresa della
servizi, per migliorarne l’affidabilità, fino ad arrivare ad
mancanza del vuoto. Invece nel posizionamento
una stabilità dei noli nel medio lungo termine che possa
in merchant – a cura del trasportatore nominato
permettere di fare impresa nell’interesse di tutti».
è
risolutiva per
la
risposta controllare
delle il
compagnie
viaggio
dei
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SULL’OCEANO
annunciato lo scorso ottobre dalla compagnia di Stato, Cosco, mentre negli USA è stata aperta un’indagine sui vantaggi dei colossi del mare a danno degli altri soggetti della filiera e il nuovo presidente della commissione federale marittima, Daniel Maffei, appena insediato da Joe Biden ha detto chiaro e tondo che «mentre la maggior parte dei partecipanti alla catena di approvvigionamento sta facendo del suo meglio per far fronte al boom delle importazioni senza precedenti, ci sono segnalazioni di linee di navi portacontainer e operatori terminalisti che approfittano ingiustamente della situazione o negano il servizio agli esportatori in un modo che potrebbe violare lo Shipping Act». L’Europa, sempre attenta a bollare come aiuti di Stato qualunque intervento pubblico che emani il minimo odorino di violazione del libero mercato, per gli armatori, invece, ha un trattamento di riguardo, giustificandolo con il loro ruolo di pubblica utilità. E non solo consente una tassazione favorevole (intorno al 7% contro la media del 27% degli spedizionieri), ma ha introdotto un regolamento, il Consortia Block Exception Regulation (CBER), che consente loro di godere dell’esenzione alle norme antitrust dell’Unione europea. A marzo questa esenzione scadeva, ma nonostante le vibrate proteste di tutte le associazioni della filiera (spedizionieri, terminalisti, operatori portuali, rimorchiatori, caricatori) che
LE MAGGIORI COMPAGNIE, RIUNITE IN TRE GRANDI ASSOCI A
chiedevano un’indagine simile a quel-
un surcharge tra i 20 e i 40 euro su
la americana, la Commissaria alla con-
ogni container proveniente dal Far
correnza, la danese Margrethe Vesta-
East in entrata e in uscita (Lo-Lo Char-
ger, ha prorogato il regolamento fino
ge), applicato – come afferma la co-
al 2024.
municazione di addebito di Cosco (40 euro), ma lo stesso fanno Hapag-Lloyd
E IN ITALIA C’È IL SURCHARGE
(40 euro), Maersk (25 euro) e Msc (20
La conseguenza è che le big del mare,
autonomamente la movimentazione
nonostante in molti le accusino di
dei suoi contenitori (Merchant Hau-
euro) – soltanto a chi decide di gestire
praticare la «cannibalizzazione della
lage) e non a chi lascia che dell’intera
filiera», stanno «scendendo a terra»,
filiera si occupi la compagnia di navi-
ricorrendo a metodi disinvolti, come
gazione (Carrier Haulage). Stefano
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I AZIONI, FANNO PROVE TECNICHE DI CARTELLO Trasportare in versi
IL DIVINO CONTAINER A volte un verso composto con giusto ritmo e adeguata metrica riesce a esprimere di più di una lunga inchiesta. Paolo Federici, autore del blog «La nave dei sogni», ci è riuscito e non a caso. Dispone infatti sia di una minuziosa conoscenza del trasporto marittimo, frutto di una lunga esperienza professionale maturata nel settore, sia la capacità di navigare tra le parole, visto che ha dato alle stampe almeno una decina di volumi di vario argomento. Leggete questa poesia e capirete.
Nel mezzo dell’oceano tante navi Con tanti teus in stiva ed in coperta Ma teus cosa vuol dire? Fate i bravi Spiegatelo a persona non esperta Che ha solo un venti piedi da spedire E vuole aver da voi la vostra offerta. Ma dimmi come te lo devo dire Che il prezzo è una variabile complessa Dipende da quand’è che vuoi partire Il “transit time” poi dimmi, ti interessa? Che Incoterms son quelli pattuiti? Quant’è che pesa? Che merce c’hai messa? Mi servono un po’ tutti i requisiti. Quand’è che vuoi il posizionamento? E tu vuoi solo dei prezzi finiti.
E non ascolti proprio il mio lamento. Ti serve un dato, un numero soltanto E poi farai un bel confrontamento E inizierà la gara, non c’è santo E vincerà uno solo, chi fa meno. No, non mi piace e sono proprio affranto. Credevo di gestire quantomeno Trasporti coordinati per tuo conto Invece questo mondo è un mondo osceno Ti servo come mezzo di confronto Lavoro senza essere pagato Mi usi per tuo proprio tornaconto. Adesso veramente mi hai stufato La festa qui finisce te lo dico Arrangiati, io sono pensionato.
Brambilla, segretario generale Fe-
CGM ha annunciato un sovrapprezzo
di controllo sulla concorrenza si occu-
despedi, federazione nazionale spe-
sui container movimentati dai porti
pino della «posizione dominante che
dizionieri, ha spiegato all’Huffington
liguri, motivandolo con i ritardi cau-
i grandi gruppi armatoriali container
Post che tali rincari – per ora richiesti
sati dai cantieri intorno a Genova. Il
hanno acquisito sull’intera filiera logi-
solo in Italia e in Spagna – «non hanno
coordinatore ligure di Trasportounito,
giustificazione apparente, né vanno a
Giuseppe Tagnochetti, ha risposto
coprire un costo aggiuntivo sostenuto
per le rime, ritenendo la motivazio-
dai vettori, ma vengono applicati solo
ne poco credibile, dal momento che
in alcuni casi, ovvero quando lo spe-
gli extracosti di cantieri autostrada-
dizioniere vuole occuparsi da solo del
li, code, ritardi, nonché della ridotta
di viaggi al giorno». Cosa risponde Ro-
viaggio terrestre della merce che gli è
produttività sulle banchine ricadono
berto Rustichelli, presidente dell’Au-
stata affidata».
«sugli autotrasportatori e non sugli
torità garante della Concorrenza e del
A marzo la compagnia francese CMA
armatori» e ha chiesto che le Autorità
Mercato?
stica italiana, impadronendosi di Case di spedizione, compagnie ferroviarie e terminal, e gestendo quindi a loro esclusivo vantaggio migliaia e migliaia
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SULL’OCEANO
L’ANALISI DI BLOOMBERG SULLA CARENZA DI MATERIALI PR O
«IL MONDO È A CORTO DI TUTTO» Le forniture di microchip prodotti dal Far East hanno messo in crisi la produzione di tecnologie nel momento in cui smart working, webinar e DAD ne facevano aumentare la domanda. Ma la crisi più forte è quella delle materie prime, la cui mancanza ha fatto schizzare in alto i prezzi (l’acciaio è aumentato del 130%) mettendo in crisi intere filiere. A cominciare dall’edilizia e dall’automotive un’altra tempesta perfetta che si sta addensando sull’economia mondiale a causa degli squilibri causati dalla pandemia: la mancanza di materie prime, bloccate, sì, dalla carenza di container, ma anche da un’esplosione della domanda da parte dell’industria mondiale che sta riprendendo la marcia e, da una parte, cerca di recuperare rapidamente il terreno perduto dopo le chiusure dei lockdown, mentre dall’altra si affanna a fare scorte, nel timore che la pandemia torni a colpire.
C’è è
produzione di tecnologie, come la Silicon Valley, proprio nel momento in cui gli stessi lockdown facevano decollare la domanda di apparecchiature elettroniche per smart working, webinarr, didattica a distanza. Ne è stata colpita anche l’onnipotente Apple, costretta a riprogrammare la produzione dei nuovi iPad e MacBook, per privilegiare le componenti per il nuovo iPhone 13, in arrivo nel prossimo autunno. Ed è in difficoltà l’altrettanto potente Sony: la sua Playstation 5 a sei mesi dall’uscita sul mercato è ancora introvabile.
L’ALLARME PARTE DAI MICROCHIP
IN CRISI ANCHE L’AUTOMOTIVE
In questa situazione i primi segnali d’allarme sono arrivati con la ripresa di inizio primavera dal mondo dei microchip, quei microscopici dispositivi grandi qualche nanometro (un miliardesimo di metro) e fabbricati con i semiconduttori – semimetalli come il silicio, più resistenti dei conduttori, ma meno degli isolanti – che costituiscono il cervello di ogni apparecchio tecnologico, dal forno a microonde ai missili balistici, passando per decine di componenti delle automobili (finestrini, airbag, sensori, computer di bordo) e per gli smartphone. Nella produzione di microchip, ormai, il Far East ha superato gli USA, ma i lockdown n, alternandosi nelle varie parti del mondo, hanno sconvolto il sistema delle forniture e reso complicato farli arrivare in tempo in molte aree dove si concentra la
Inevitabili le ripercussioni sull’automotive. General Motors ha sospeso la produzione in tre stabilimenti negli USA e dimezzato quella in due impianti in Corea, Ford ha tagliato il 20% della produzione nel primo trimestre del 2021. Stellantis – la nuova creatura nata dal connubio tra i gruppi PSA e Fiat Chrysler Automobiles – ha fermato cinque centri di produzione tra USA, Canada e Messico e – per dieci giorni – quello di Melfi. Ma, come hanno scritto Brendan Murray, y Enda Curran e Kim Chipman, tre analisti della multinazionale dei media Bloomberg, «il mondo è a corto di tutto». Perché il fenomeno che ha colpito prima di tutti il settore dei semiconduttori, abituato a lavorare just in time e, per ridurre al minimo il magazzino e abbassare i costi, oggi sta dilagando in altri segmenti di
mercato – rame, ferro, acciaio, mais, caffè, grano, soia, legname, plastica, legname, resine – mettendo in difficoltà filiere complete e interi settori produttivi. Come la filiera della plastica. È sempre più difficile ricevere polipropilene, cloruro di polivinile e polietilene, proprio in un periodo in cui «la domanda di alcune materie prime utilizzate per articoli protettivi contro il Covid-19», ha sottolineato Ron Marsh, presidente della Polymers for Europe Alliance e, «è estremamente elevata». Un recente sondaggio tra le oltre 50 mila aziende europee di trasformazione della plastica ha dimostrato che oltre il 90% di loro è colpito dalla crisi degli approvvigionamenti e molti sono costretti a ridurre la produzione e a non accettare nuovi clienti per poter onorare gli accordi esistenti.
AUMENTI SPROPOSITATI Perché quando va bene si tratta solo di ritardare le consegne di un paio di mesi. «I tempi di sono allungati enormemente», ha spiegato al Sole 24 Ore il presidente di Federmeccanica, Alberto dal Poz, «anche di otto settimane rispetto agli standard. Inoltre la qualità media si è abbassata, talvolta arriva materiale inadeguato». Ma molto più spesso ai ritardi si aggiunge un costo che l’esplosione della domanda sta facendo decollare vertiginosamente. L’esempio più clamoroso è quello dei pomodori pelati: a metà estate rischiano di mancare del tutto le bobine di banda di stagnata per fabbricare le scatole di
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R ODOTTA DALLA PANDEMIA
L’esempio più clamoroso è quello dei pomodori pelati: a metà estate rischiano di mancare del tutto le bobine di banda di stagnata per fabbricare le scatole di latta (fatte di ferro e stagno) che li contengono. Non se ne trovano e il costo di quelle che si trovano è schizzato, rispetto al pre-Covid, da 400 a più di mille dollari a tonnellata.
latta (fatte di ferro e stagno) che li contengono. Non se ne trovano e il costo di quelle che si trovano è schizzato, rispetto al pre-Covid, da 400 a più di mille dollari a tonnellata. Nello stesso intervallo di tempo, il nichel e lo zinco sono aumentati del 51%, il rame del 47%, l’alluminio del 26%, il legno per pallet del 20%, la soia del 15%, il grano del 12%. Ma è soprattutto l’acciaio a preoccupare: nei primi tre mesi di quest’anno il prezzo è cresciuto «soltanto» del 40%, ma il balzo è stato del 130% tra novembre 2020 e febbraio 2021. Ne è colpita soprattutto l’edilizia, dove, gli aumenti medi di tutti i materiali impiegati è del 40%. L’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori, a fine marzo ha lanciato l’allarme, dettagliando le percentuali dei rincari. «Il caro materiali non è più sostenibile per le imprese», ha scritto al governo, sperando in una revisione dei prezzi degli appalti. «Con un aumento del 130% dell’acciaio, del 40% dei polietileni, del 17% del rame e del 34% del petrolio e, di conseguenza, anche la difficoltà di approvvigionamento, tanti cantieri pubblici e privati rischiano di bloccarsi con gravi ripercussioni economiche e sociali». Finora le imprese sono riuscite ad assorbire i rincari, ma prima questi o poi finiranno per scaricarsi sui consumatori finali. «Perfino il prezziario di riferimento per il superbonus 110», spiega paradossalmente Paolo Bassani, presidente degli edili di Confartigianato Veneto, per rendere l’i-
mo (perché lo vediamo che c’è una crisi) questo significa che dovranno abbassare i costi da un’altra parte, e quello è il lavoro. Una ristrutturazione che sarà molto legata all’andamento delle materie prime e questo è il paradosso del costo sociale di questa crisi». Una conferma di questa analisi viene dalle stime del Logistics Managers’ Index – un indice elaborato dalle università americadea della situazione, «è ormai inadeguato e a rischio è tutta la filiera collegata alle costruzioni e ristrutturazioni».
ne, con interviste mensili ai responsabili della logistica delle imprese USA – citato dai tre ricercatori di Bloomberg. «L’indice attuale è al secondo livello più alto nei re-
RISCHI PER LA RIPRESA
cord risalenti al 2016 e l’indicatore futuro
Quanto durerà? E quando gli aumenti si manifesteranno sul mercato? Il dibattito è aperto e discorde. Gli ottimisti vedono in questo squilibrio un segno della ripresa, ma sono in pochi. «In queste condizioni la ripresa è già compromessa», sostiene Fausto Bosa, presidente di Confartigianato Imprese Asolo Montebelluna, dove opera il più importante distretto italiano della calzatura sportiva. «Anzi», aggiunge, «stiamo attendendo il momento in cui si scaricherà a terra». Altrettanto pessimistico il ragionamento di Alessandro Plateroti, vice direttore del Sole 24 Ore, nel corso di un focus di Radio24: premesso che «prima o poi» gli aumenti andranno a finire sui prezzi al consumo, «è ovvio che avremo un aumento dell’inflazione. Ma c’è di peggio. Se le imprese non possono aumentare i prezzi al consu-
mostra pochi cambiamenti nel prossimo anno». Ad aprile 2021 le stime del Logi-
stics Managers’ Index parlavano di una ridotta capacità di trasporto, nonostante l’ulteriore aumento della domanda. Così i costi di trasporto delle aziende saliranno e le imprese potrebbero aumentare a loro volta i prezzi di vendita dei prodotti al consumatore e portare, di conseguenza, a un aumento dell’inflazione. Ma tra le cause dell’incremento dei costi dei trasporti, l’indice cita la difficoltà di produrre nuovi camion o nuove navi nel breve periodo, una difficoltà che la mancanza di materiali per l’automotive non fa che accentuare. E la crisi nata dalla pandemia più che una tempesta perfetta si rivela un pericoloso serpente. Un serpente che si morde la coda.
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SULL’OCEANO
PARLA SILVIA MORETTO, PRESIDENTE DI FEDESPEDI, L’ASSO C
«DEVE MUOVERSI L’EUROPA» L’aumento esponenziale dei noli danneggia le imprese che producono ed esportano e il caos sui mari mette in difficoltà gli spedizionieri. È la conseguenza delle strategie commerciali delle grandi compagnie sulle quali l’Unione europea deve intervenire, come già stanno facendo gli USA
A
Silvia Moretto, presidente di Fedespedi, l’associazione degli spedizionieri italiani, bastano poche parole per fotografare l’impazzimento del trasporto container via mare e ancora meno per descriverne le conseguenze. Le prime sono una premessa: «Nell’ultima settimana di maggio il nolo per un trasporto via mare di un container da 40 piedi da Shanghai a Rotterdam ha superato i 10.000 dollari, registrando un aumento pari al 485% rispetto al valore di un anno fa, secondo i dati diffusi da Drewry (World Container Index)). Un record mai toccato dal 2011, tanto più evidente se si considera che le rate di nolo tra 2016 e 2020 avevano oscillato su valori mai superiori ai 3.000 dollari». Le seconde, una spiegazione: «L’aumento esponenziale dei costi per il trasporto container tra Europa e Asia rischia di mettere in difficoltà i caricatori, le imprese che producono ed esportano». Tutte le imprese o solo quelle più deboli? Quelle di piccole dimensioni – che non producono volumi importanti e, dunque, non possono approfittare di economie di scala e si trovano in posizione di forte squilibrio contrattuale nei confronti dei carrier marittimi; ma anche quelle che producono ed esportano beni a basso valore le quali, oltre a dover affrontare grandi difficoltà nelle forniture di materie prime o semilavorati, vedono incidere fortemente il prezzo del trasporto sul prezzo finale del prodotto, rendendo antieconomica la scelta della nave. L’agen-
zia Bloomberg – che possiamo definire osservatore imparziale – ha usato queste parole per commentare il dato record: «La forte ripresa dei consumi e le scorte delle aziende, le interruzioni iniziate con il dal blocco del Canale di Suez a fine marzo, e la congestione dei porti stanno causando ritardi e maggiori costi per gli spedizionieri, mentre i vettori oceanici godono di profitti in aumento». Quali sono le ricadute di questa situazione sugli spedizionieri italiani? Per le aziende di spedizioni internazionali il problema più grosso, oltre ai costi, è rappresentato dall’inaffidabilità del servizio offerto dalle compagnie, calata al 35%. Non avere la certezza di tempi e costi rende il nostro lavoro di «registi» della supply chain n estremamente difficile; ed è diventato altrettanto complicato spiegare ai nostri clienti perché non siamo più in grado di assicurare se un carico è partito o partirà e quando arriverà a destino a fronte di costi sempre maggiori. A questa dinamica, che speriamo sia passeggera e che venga presto attenzionata e regolata dalle autorità competenti, in primis la Commissione Europea, come sta succedendo in USA con la Federal Maritime Commission n, in Italia se ne aggiunge un’altra, che merita anche più attenzione da parte delle istituzioni. Con la corsa al gigantismo navale, l’attrattività e l’efficienza dei porti in sé è un fattore sempre più relativo rispetto alla loro possibilità di successo: ci sono altre logiche che muovono i container. Sono le strategie commerciali delle grandi com-
pagnie di navigazione consorziate nelle tre alleanze che da sole muovono l’80% dei traffici a livello mondiale. Non solo: le prime tre compagnie (Maersk, MSC, Cosco) detengono una quota del 37% dei terminal portuali a livello globale. Quanto successo in Italia nel 2020 è una conseguenza di questa dinamica: tutti i porti sono in flessione, tranne quelli di Gioia Tauro (+26,4%) e di Savona (+167,8%). Il primo ha goduto del passaggio di proprietà del terminal Medcenter a MSC, che ha concentrato sul porto calabrese parte della sua attività di transhipment; il secondo del nuovo terminal gestito da Maersk, Cosco e Qingdao Port International. Il porto di Cagliari, viceversa, dopo l’abbandono di Hapag Lloyd, continua a registrare forti cali senza riuscire
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O CIAZIONE DEGLI SPEDIZIONIERI
a invertire la rotta. Il pericolo per l’Italia è proprio questo: spendere ingenti risorse pubbliche e private per adattare i porti alle esigenze di mega navi e carrier marittimi (tutti grandi colossi stranieri) con il rischio reale che, finito il loro interesse in quel porto o mutate le loro strategie commerciali, queste l’abbandonino trasformando scalo e infrastrutture in cattedrali nel deserto. Queste logiche ovviamente non sono certo funzionali alla crescita dell’economia italiana e, anzi, potrebbero portare a una sua progressiva marginalizzazione nel contesto dell’economia globale. Per questo come rappresentanti del settore riteniamo che l’Italia debba avere una strategia e una visione sulla logistica se vuole rimanere centrale nel panorama internazionale.
Il porto di Cagliari, dopo l’abbandono di Hapag Lloyd, continua a registrare forti cali senza riuscire a invertire la rotta
Lei ha detto che all’origine di questa situazione c’è una normativa europea, il Consortia Block Exemption Regulation – ad aprile prorogato fino al 2024 – che esenta dalle norme antitrust gli armatori, i quali già godono di una tassazione favorevole (il 7% circa contro il 27% degli spedizionieri) e di aiuti di Stato. Cosa contate di fare, come Fedespedi, per correggere queste anomalie? Fedespedi – insieme a Confetra a livello nazionale e al CLECAT, nostra associazione a livello europeo – è da anni molto attiva su questo dossier. La nostra azione si concentra su tre fronti. Il primo è fare informazione sull’argomento per le nostre imprese associate, che nell’operatività quotidiana devono affrontare ogni giorno problematiche di natura commerciale e legale nel rapporto con le compagnie marittime. Per questo abbiamo già prodotto sei pubblicazioni tra guide operative (i Quaderni di Fedespedi, frutto del lavoro di approfondimento degli Advisory Body Maritime e Legal, e del Centro Studi Fedespedi) e best practice FIATA sulle principali tematiche legate al trasporto container, oltre a organizzare webinar di approfondimento sui vari aspetti di interesse per le imprese di spedizioni internazionali (come Demurrage & Detention, Letters of Undertaking, merci abbandonate, trasporto e qualità dei container, Consortia Block Exemption Regulation). Il secondo è fare divulgazione, intervenendo a convegni e sulla stampa generalista e di settore, per dare il nostro punto di vista su questi temi e attrarre attenzione e interesse dei decision maker. Tuttavia, la partita decisiva si gioca a Bruxelles: per questo – ed è il terzo fronte, quello più importante – da anni appoggiamo il CLECAT nella sua attività di lobby e advocacy presso le istituzioni europee. Queste ultime, purtroppo, anche davanti alle recenti evoluzioni e storture presentate dalla supply chain marittima, continuano a preferire l’inazione, senza dare seguito ai numerosi appelli lanciati e incontri avuti con il CLECAT, che in questi anni è riuscito ad aggregare attorno a sé tutte le principali associazioni di categoria del trasporto e della logistica (penso a terminalisti e shipper, per esempio). C’è però una buona notizia: in autunno dovrebbe essere attivata una nuova consultazione da parte della Commissione europea.
Per le e aziende azien di spedizioni internazionali inter azio il problema più grosso, oltre ai costi, è rappresentato dall’inaffidabilità del servizio offerto dalle compagnie, calata al 35%. Non avere certezza di tempi e costi rende il nostro lavoro di «registi» della supply chain estremamente difficile; ed è altrettanto complicato spiegare ai nostri clienti perché non siamo più in grado di assicurare se un carico è partito o partirà e quando arriverà a destino a fronte di costi costti sempre maggiori L’obiettivo è raccogliere le proposte di modifica degli operatori all’attuale Regolamento sui Consorzi tra compagnie marittime. Lei ha dichiarato che gli spedizionieri sono gli «architetti del trasporto»: riducono le complessità di una filiera anche troppo spezzettata. Come pensate di poter esercitare questo ruolo nell’attuale contingenza del trasporto container? La complessità della supply chain marittima globale post pandemia ha dimostrato ampiamente come il supply chain management sia fondamentale per centrare gli obiettivi di produzione e di distribuzione per le imprese che producono ed esportano. La catena del trasporto a monte e a valle deve essere organizzata, diretta e gestita con competenza e professionalità da un solo soggetto che sia un consulente a 360° per l’impresa: questa figura è sempre stata interpretata nel settore logistico dagli spedizionieri internazionali e credo che – in condizioni di reale e libera concorrenza, con regole che valgano per tutti i soggetti attori del mercato – questo continuerà a essere il nostro ruolo anche in futuro. Non dimentichiamo che flessibilità, adattabilità, resilienza e innovazione sono il nostro DNA. Vorrei aggiungere che, più che gli architetti, oggi siamo chiamati a fare gli ingegneri, sviluppando modelli innovativi di supply chain, anche con il supporto delle tecnologie più evolute di analisi di dati e di scenari.
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SULL’OCEANO
TUTTE LE CONSEGUENZE DELL’INCAGLIO DELLA EVER GIVEN
SUEZ, UN TEST PER LE MEGACA R di Elisa Bianchi
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LA SCIA DEL GIGANTISMO NAVALE Capacità di TEU trasportati dalle portacontainer nell’anno di produzione
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lunghezza (m.)
217,00
287,70
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270,00
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larghezza (m.)
30,58
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stazza (t.)
27.407
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57.540
53.300
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compagnia
Hapag-Lloyd
Hapag-Lloyd
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nazionalità
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A RRIER
L’intraversamento della portacontainer e le conseguenze per tutta la catena logistica, compreso l’autotrasporto, sembravano la fine del gigantismo navale. Eppure, il Canale di Suez si allarga, si pensa ad aprire nuove vie e intanto a Civitavecchia fanno la loro comparsa le prime navi di nuova generazione
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276,02
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8.750
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150.853
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Maersk Line
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Hong Kong
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NON DI SOLO TRASPORTO
RECENSIONI, SVAGHI, CONSIGLI
PIETER VERMEER CONSIGLIA: Pieter Vermeer è un olandese di 42 anni, sposato con una ragazza italiana, che vive da 14 anni nel nostro Paese. Per 11 anni ha lavorato in ufficio con un’azienda di trasporto tricolore, che purtroppo è fallita, per cui Pieter si è riciclato come trasportatore per un’altra impresa olandese, la G. Van Doesburg, che fa trasporti intermodali. Ebbene, se chiedete al nostro amico ‘orange’ quale sia il suo ristorante preferito non ha esitazioni: «Quando sono in zona Cassino vado sempre alla Tavernetta, ma non solo perché si mangia veramente bene. Franco, il proprietario, ha questa capacità di accoglierti come se ti conoscesse da una vita. Anzi non solo lui, tutta la famiglia ti fa sentire a casa, magari dopo una settimana che sei stato in giro per la strada e ti è mancato il contatto umano». Pieter ha una vera e propria passione per le mozza-
relle di bufala, che il gestore di Villa Santa Lucia compra da un suo fornitore speciale, ma anche per la classica amatriciana, unitamente alle salsicce e salamelle di loro produzione e a un sugo di carne che viene cotto per 4-5 ore. Per farci capire meglio l’atmosfera familiare della Tavernetta, Pieter ci racconta che lo scorso Natale un suo collega, arrivando dalla Sicilia, non riusciva con la zona rossa a trovare un posto aperto: «Ma Franco mi ha detto di mandarglielo comunque. Per tre giorni gli ha dato cibo in asporto e il 25 dicembre l’ha addirittura accolto alla cena di famiglia. È capitato che mi abbia ospitato anche nel weekend quando si era in zona arancione e lui non aveva clienti. Nel mio Paese cose del genere non succedono mai. L’ho presentato anche a mia moglie, è diventato un amico».
ta gente, abbiamo comprato il forno per la pizza e le cose hanno cominciato a ingranare». Vicino al ristorante c’era infatti la fabbrica della Fiat e la Tavernetta è diventata così meta di tanti trasportatori piemontesi e lombardi che partivano da Torino per portare la ricambistica: «Il passaparola ha fatto il resto – spiega Franco – e il ristorante si è popolato di tanti amici. Anche oggi il 70-80% dei frequentatori sono trasportatori». Ecco che il nostro ristoratore mi conferma che la carta vincente della Tavernetta è l’aria di famiglia, il sentirsi a casa propria anche se si è a lavorare a centinaia di km di distanza: «Mi ricordo che un’estate un trasportatore ha rotto il semiasse e nel cambiare il pezzo si è sporcato tanto. Allora gli ho dato dei miei vestiti, mica poteva ripartire in quelle condizioni». Ma la gentilezza squisita della famiglia Pontoni (a proposito, il cuoco è il fratello Lucio, mentre moglie e cognata, Caterina e Rossana, preparano i dolcetti e aiutano in cucina e in sala) non deve mettere in secondo piano la convenienza della locanda e la qualità del cibo, cucina ciociara prevalentemente di carne (bistecche, braciole
e spezzatino). Per soli 15 euro alla Tavernetta si mangia antipasto, primo e secondo, contorno, dolce, amaro e caffè e nel prezzo sono compresi i servizi, tutti gratuiti, doccia inclusa. Alcune specialità adescano il palato dei commensali: la zuppa povera, il pollo alla cacciatora, gli involtini al sugo: «Se poi non piacciono porto altre cose, non c’è problema». Personalmente mi è venuta l’acquolina al solo pensiero, passerò sicuramente a trovarlo.
Questo «paradiso del trasportatore» è facilmente raggiungibile, a 1-2 minuti dall’uscita di Cassino sull’A1, e offre ai camionisti un ampio piazzale che può contenere 30-35 camion. Franco Pontoni (è questo il cognome), raggiunto al telefono, comunica subito una grande cortesia e simpatia: «Abbiamo aperto nel 1981 – racconta – Mio papà lavorava all’autogrill e mia mamma alla stazione ferroviaria di Cassino. Con tanti sacrifici abbiamo messo in piedi il locale, iniziando con i prodotti che facevamo in casa e quando qui era ancora tutta campagna. È arrivata tan-
RISTORANTE LA TAVERNETTA Strada Provinciale 275 03030 Villa Santa Lucia (FR) Tel. 339 864 4576 Fascia di prezzo: 10 - 15 euro Parcheggio: 30-35 posti
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LA TAVERNETTA
Servizi: gratuiti (doccia compresa Giorno chiusura: domenica (cena) Tipo cucina: tradizionale e ciociara Orari: ristorante aperto pranzo/cena dal lunedì al venerdì.
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CARTA D’IDENTITÀ Nome
Monika
Cognome
Kesselring
Soprannome
Monichina
Età
quella giusta!
Stato civile
Nubile
Punto di partenza
Vallecorsa (FR)
Anzianità di servizio
25 anni
Settori di attività
Trasporto frigo prodotti ortofrutticoli
di Gabriele Bolognini
Sei stata sempre camionista?
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La cosa che più ti ha colpito di Einstein?
No, dopo gli studi in economia ho trovato subito impiego presso una banca dove ho lavorato per un po’ di anni. Quel lavoro però non faceva per me, così mi sono messa a cercare altro e ho trovato lavoro presso l’azienda di distribuzione ortofrutta di Hape Waser, a Davos, dove lavoro attualmente e che ho rilevato tempo fa. Inizialmente mi occupavo di contabilità poi ho chiesto al mio capo se potevo occuparmi della distribuzione. Mi piaceva l’idea di viaggiare con il camion! A 30 anni ho preso le patenti e sono partita!
Un vecchio Volvo CH230 della ditta con il quale ho fatto anche la scuola guida.
Esatto, poi mi è stato assegnato un Volvo F10. Successivamente sono passata alla guida di un altro Volvo, un FH12, e infine è arrivato lo Scania R490, una motrice 8x2 con cassone refrigerato. Il mio amato Einstein.
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Ma certo, tranne in questo periodo a causa delle restrizioni dovute alla pandemia. Ma appena sarà possibile ricomincerò. È un mondo fantastico. Ci si conosce tutti e condividiamo la stessa passione per i camion. Si ride, si scherza e si sta tutti insieme.
Pensi di rimanere sempre sullo stesso settore di trasporto?
Una giornata di lavoro tipo?
Certamente. Quando il mio capo si è ritirato in pensione ha deciso di passarmi tutto, ditta e camion. Oggi sono molto orgogliosa della mia attività e, anche se in pensione, c’è sempre Hape Waser al mio fianco pronto a darmi una mano.
Generalmente mi alzo alle 02:15 di mattina, vado a comprare la merce al mercato ortofrutticolo di Zurigo, carico il camion e rientro alle 07:00 in magazzino per scaricare. Poi sbrigo le pratiche d’ufficio: contabilità, fatturazioni, ecc. A volte, se capita e se ho tempo, faccio anche trasporti conto terzi. Nei mesi invernali compro frutta e verdura in Italia per rivenderla qui in Svizzera.
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Ma perché proprio Einstein? Mi sono innamorata da subito di questo camion e volevo fosse dedicato a un personaggio famoso, una persona che tutto il mondo conoscesse e che avesse qualcosa in comune con la Svizzera. Così ho studiato due personaggi con questo profilo: Charlie Chaplin e Albert Einstein. Dopo di aver letto e approfondito le loro biografie ho scelto Einstein.
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Quella nasce dai numerosi raduni a cui ho partecipato. E poi non ho trovato metodo migliore per dedicare ad Einstein il mio camion se non imprimere la sua immagine e le sue formule nella carrozzeria. Così ho contattato, in accordo con il mio capo, Marcel Gerber che ha realizzato le stupende aerografie della cabina e del cassone. Partecipi ancora ai raduni?
Non sei più scesa dal camion da allora?
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Una sua citazione: «time is an illusion». Penso infatti che ogni tanto bisognerebbe fermarsi a riflettere e controllare l’orologio dell’universo magistralmente rappresentato sul cassone dall’artista svizzero Marcel Gerber, detto “Stingray”. La passione per le aerografie?
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Il primo camion?
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Un Unservizio serviziocompleto completo Un servizio completo per perlalatua tuaazienda! azienda! per la tua azienda!
Cosa non deve mai mancare in cabina?
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Ricostruzione Ricostruzione Ricostruzione
Delle scarpe con tacco 12, specie per quando si va ai raduni. Me ne sono fatta fare un paio su misura dello stesso colore del camion.
Assistance Assistance Assistance
AltaAlta Sartoria Sartoria Alta Sartoria luglio 2021
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UN MESE IN PILLOLE
GIUGNO 2021
POLTRONE E POLTRONCINE Pierluigi Di Palma è il nuovo presidente dell’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC), di cui era stato direttore generale dal 1998 al 2003. Assunzione di nuovo personale, cooperazione con la Libia, compensazione danni per aeroporti sono stati i primi temi affrontati dal nuovo presidente. Carlo Borgomeo, presidente di Gesac, società di gestione degli aeroporti di Napoli, è stato designato al vertice di Assoaeroporti con otto voti a favore, sette astenuti e nessun voto contrario. Borromeo sostituisce Fabrizio Palenzona.
31 maggio. Nuova proroga per l’entrata in vigore del Documento Unico di Circolazione e Proprietà. Non sarà più il 30 giugno, ma il 30 settembre 2021. 1 giugno. Rimodulate con decreto del ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili le risorse per gli incentivi alla rottamazione: 8 milioni e mezzo sono stati dirottati sull’acquisto di Euro6. 8 giugno. Le associazioni dell’autotrasporto hanno siglato con quelle della committenza un accordo sul trasporto di container. L’intesa arriva 16 anni dopo l’ultimo accordo di settore.
11 giugno. Dopo un incontro in Prefettura, le associazioni dell’autotrasporto ligure hanno sospeso il fermo previsto dal 15 al 19 giugno per protesta contro i disagi per i lavori autostradali.
IN Emanuele Remondini, fondatore del Gruppo Star Marcevaggi e presidente della FAI dal 1984 al 1990, è stato insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per il contributo allo sviluppo di trasporti e logistica in chiave intermodale.
Nulla sul delivery nel nuovo contratto della logistica. Ma è un accordo serio: non c’è niente da rider.
OUT Leonore Gewessler, ministro dei Trasporti e dell’Ambiente dell’Austria, nell’incontro dell’8 giugno con il ministro italiano Enrico Giovannini ha respinto ogni ammorbidimento della linea di divieti e limitazioni dei transiti di camion attraverso il suo Paese.
SEMBRA OGGI: LUGLIO 2001 In vigore le nuove norme ADR Entrano in vigore il 1° luglio le nuove norme ADR, pubblicate in 14 lingue (prima solo in inglese e francese) per essere comprensibili a tutti. L’esigenza di maggiore chiarezza e precisione è assai sentita a pochi mesi dalla riapertura del Monte Bianco dopo l’incidente del 24 marzo 1999 in cui l’incendio di un camion di margarina provocò 39 vittime.
GIRA SUL WEB
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...MA ANCHE QUESTO Camion sporchi trasformati in opere d’arte Un artista russo, Nikita Golubev, meglio noto come ProBoyNick usa gli autocarri ricoperti di polvere e fango che circolano per Mosca per tracciarvi sopra dei disegni artistici. Non è il primo caso. Qualche anno fa anche l’inglese Rick Minns, detto Ruddy Muddy, usava come tele per le sue opere i furgoni sporchi di Wicklewood, nei pressi di Norfolk.
visto su /www.123risate.it/immagini-divertenti
È SUCCESSO QUESTO...
PENSIERI DA TIR
ATTENTO ALL’ETILOMETRO…
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