UpsideTown U.S.A. - Aprile 2010 - n°1

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L’editoriale “Vi chiederò di aiutarmi a ricostruire questa nazione: mattone su mattone. Sarò sempre onesto con voi: vi ascolterò, anche se la penseremo diversamente. Il cammino davanti a noi sarà duro e ci sarà bisogno di stare uniti.” Barack Obama Queste le parole pronunciate dall’attuale presidente statunitense solo pochi mesi fa. Questo il monito ad una nazione che lo ha portato alla Casa Bianca e che sembra ora mettere in discussione molte delle proposte presentate, dal salvataggio dell’economia alla riforma del Sistema Sanitario. I successi ottenuti finora da Obama sembrano essere il frutto di una sfida continua a quell’opinione pubblica che non gli risparmia critiche dure e accuse gravi. Una sfida in cui il presidente ha messo in gioco più di una volta il suo prestigio personale, uscendo vincitore da battaglie dure e senza esclusione di colpi al limite del proibito. E’ difficile prevedere se Obama sarà o meno l’inquilino della Casa Bianca anche nei prossimi anni, di certo però si può dire che già nel primo mandato della sua presidenza è riuscito dove molti altri prima di lui hanno fallito: scrivere una pagina importante nella Storia degli Stati Uniti d’America. Simone Comi

POLITICA

SUMMARY

La riforma della Sanità per entrare nella Storia

POLITICA • La nomina del nuovo ambasciatore in Siria non cancella alcuni attriti

Con l’approvazione della riforma sanitaria Barack Obama è entrato nella Storia. Ha raggiunto un obiettivo ambizioso, mai raggiunto dai presidenti Democratici che lo hanno preceduto alla Casa Bianca. Obama ha vinto forse la sua battaglia più importante. Riusciranno ora i Democratici a confermare la maggioranza al Congresso, conquistata nelle elezioni del 2008?

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• A rischio l’alleanza tra Washington e Tel Aviv? > pag. 3

ECONOMIA • Il valore dello yuan minerà i rapporti tra Washington e Pechino? > pag. 4

• Boeing vs EADS, gli Stati Uniti preferiscono il “Made in U.S.A.” >pag. 5

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ECONOMIA

ECONOMIA

La Casa Bianca rilancia il nucleare civile

Tra Stati Uniti e Brasile scoppia la guerra del cotone

CULTURA • Al largo di Okinawa > pag. 8

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L’aumento dei dazi sulle importazioni deciso dal governo di Brasilia, con l’autorizzazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, rischia di portare ad uno scontro commerciale tra i due paesi protagonisti della scena economica del continente americano. La Casa Bianca deciderà di cancellare i sussidi ai produttori di cotone statunitensi per evitare tensioni con l’esecutivo brasiliano? > PAG.4

POLITICA Nuove centrali in Georgia, Carolina del Sud, Texas, Maryland e Illinois. Ingenti stanziamenti per il rilancio del nucleare per scopi civili. Obama è pronto a sacrificare lo sviluppo e la produzione di energia da fonti alternative: una scelta dolorosa ma necessaria, nelle parole del presidente, per poter fare passi avanti nella diversificazione delle fonti d’approvvigionamento energetico. La politica lanciata da Obama porterà ad una nuova corsa nucleare civile? > PAG.5

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Discorso dell’ Ambasciatore David Thorne al Senato della Repubblica

Si allontana il terrore nucleare Con la firma del Trattato Start 2 si allontana il terrore nucleare. Lo smantellamento di testate e vettori non porterà alla completa libertà dalla deterrenza atomica, ma sembra essere un passo in avanti verso un sostanziale miglioramento delle relazioni tra Washington e Mosca. Riusciranno Obama e Medvedev a colmare la distanza che ancora separa le due nazioni protagoniste di una Guerra Fredda durata mezzo secolo?

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POLITICA

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Aprile 2010

La riforma della Sanità per entrare nella Storia Alla fine Barack Obama ce l’ha fatta, ha mosso il suo primo passo nella Storia. Con la “doppia approvazione” del pacchetto di riforma del sistema sanitario votata dal Congresso, è riuscito a garantire l’ampliamento della copertura sanitaria ai cittadini statunitensi. Iniziativa di portata storica dati i precedenti, la riforma del sistema presentata dall’amministrazione Democratica è la più ampia iniziativa in campo sociale da cinquant’anni a questa parte e di fatto chiude un cammino iniziato all’inizio del secolo scorso. Fu infatti il Repubblicano Theodore Roosevelt, rimasto alla Casa Bianca dal 1901 al 1909 , il primo presidente statunitense a ventilare l’ipotesi di riforme progressiste di tale portata. Ci sono voluti cento anni e tentativi

da parte di tutti, o quasi, i presidenti Democratici, ma il solo a riuscirci è stato Barack Obama. Al termine della prima votazione, il presidente ha dichiarato:” Abbiamo dimostrato che siamo ancora un popolo capace di fare grandi cose”. In realtà, Obama ha dovuto lottare proprio contro quell’elettorato che gli ha consentito di approdare alla Casa Bianca, ma che si è scoperto poi troppo conservatore per appoggiare la riforma voluta dal presidente. Grandi onori dovranno essere tributati anche a Nancy Pelosi, la coraggiosa Madame speaker della Camera, capace di gestire una situazione caratterizzata da incertezze. E’ stata lei a mediare con i Blue Dogs, i Democratici conservatori, inserendo alcune norme contro il sostegno pubblico

all’aborto nel pacchetto di riforma. E’ stata lei a scontrarsi con il capo di gabinetto Rahm Emanuel, accusandolo di voler tradire la riforma presentando una proposta annacquata da trattative segrete con i rappresentanti delle ali conservatrici del Partito. La Pelosi è stata in questi mesi un esempio perfetto di esperienza e fiuto politico. Alla fine la vittoria di Obama è, quindi, un successo anche suo. Una vittoria che rimarrà nella storia del paese, tanto che lo stesso Obama ha dichiarato: “Questa sera abbiamo risposto all’appello della storia come tanti americani hanno fatto prima di noi. Non siamo sfuggiti alle nostre responsabilità, le abbiamo affrontate. Non abbiamo avuto timore del nostro futuro”. Resta da verificare se il trionfo

ottenuto dalla Casa Bianca riuscirà a trasformarsi in una conferma alle prossime elezioni perché, in caso di pesante sconfitta, il presidente, e i Democratici, rischiano di trovarsi a dover lottare per aggiungere gli altri mattoni a quel sogno americano che hanno saputo descrivere così bene al popolo statunitense. I Repubblicani hanno votato compatti contro l’approvazione del piano sanitario, hanno costretto il Congresso ad una seconda votazione dopo aver scovato errori procedurali in due emendamenti inseriti nel primo testo e sono pronti ad una campagna elettorale spietata. Come si dice di solito in questi casi: mettetevi pure comodi, ne vedremo e sentiremo delle belle. Simone Comi

Si allontana il terrore nucleare

Si è chiuso a Praga dopo mesi di trattative serrate il percorso negoziale che ha portato Barack Obama e Dmitri Medvedev a siglare il nuovo trattato sul disarmo nucleare, che andrà a sostituire lo START 1 rimasto in vigore dal 1991 al 5 dicembre scorso. La data ed il luogo della firma hanno avuto per la Casa Bianca un alto 2

valore simbolico, oltre che pratico. Nell’ aprile di un anno fa, proprio a Praga, Barack Obama annunciò di voler lavorare affinché il mondo fosse libero dall’incubo della distruzione nucleare. Avendo posto successivamente tra le priorità della sua agenda la dismissione degli armamenti atomici, il presidente statunitense

potrebbe presto annunciare che un primo, fondamentale, passo avanti è stato fatto. La sfida lanciata sarebbe quindi stata vinta e i due paesi ridurranno il numero delle testate in loro possesso, con un tetto massimo di 1500 testate operative e 800 vettori nucleari. I missili, da terra e da sottomarino, e i bombardieri saranno quindi dimezzati. Per Barack Obama la firma del trattato è un successo personale di non poco conto, un segnale forte ai suoi detrattori: la pragmaticità finora dimostrata nell’approccio alle questioni di politica internazionale può portare frutti importanti. La scelta è stata strategica anche per motivi di opportunità politica. Il 12 aprile si aprirà infatti a Washington la Confe-

renza sul nucleare: quale miglior palcoscenico, in un momento in cui il presidente ha un disperato bisogno di rilanciare il proprio appeal sul fronte della politica interna, per presentare un accordo così importante? La creazione di una commissione bilaterale consultiva garantirà la realizzazione degli obiettivi e dei punti dell’accordo. Nel Trattato non è stato fissato in forma giuridicamente vincolante il legame tra armi offensive e difensive, aspetto inserito in una serie di appendici al protocollo che verrà discusso dopo la firma e lascia liberi i due paesi di prendere decisioni unilaterali . Il riferimento è ovvio e si chiama Scudo Spaziale Europeo:

lanciato dal Repubblicano George W.Bush e sostanzialmente confermato dal suo successore, preoccupa ancora l’establishment moscovita. Mantenere l’equilibrio strategico va bene agli Stati Uniti, almeno in questo momento, ma legarsi le mani includendo una clausola di questo tipo potrebbe rivelarsi troppo oneroso. Rimane da verificare quale sarà l’atteggiamento del premier russo durante le discussioni con la controparte statunitense: solo allora si capirà se Mosca è realmente pronta a creare ulteriori tensioni o se le richieste del Cremlino si riveleranno un semplice tentativo per ottenere quanto più possibile in sede negoziale. S. C. UPSIDETOWN


POLITICA

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La nomina del nuovo ambasciatore in Siria non cancella alcuni attriti Gli Stati Uniti continuano la loro opera di riavvicinamento alla Siria nel tentativo di normalizzare i rapporti con i Paesi mediorientali, con l’obiettivo di dirimere le controversie che destabilizzano la regione, prime tra tutte quella legata al negoziato con l’Iran sul suo processo di arricchimento dell’uranio e il conflitto arabo-israeliano. Barack Obama ha nominato Robert Ford ambasciatore a Damasco, dopo 5 anni di rottura di rapporti diplomatici ufficiali. Subito dopo la nomina, che apre un nuovo canale di dialogo con Damasco e, nelle speranze di Washington, tra la Siria e lo Stato di Israele, vi sono stati incontri tra i vertici della Sicurezza dei due Paesi, guidati da Daniel Benjamin, coordinatore per l’antiterrorismo

del Dipartimento di Stato. Anche il Sottosegretario di Stato William J. Burns si è recato a Damasco e ha discusso con il Presidente siriano Bashar al-Assad circa gli sviluppi più importanti nella regione. In particolar modo l’incontro si sarebbe concentrato sulla necessità che il Libano, attuale membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e nel cui governo è presente Hezbollah, grazie a cui la Siria ancora eserciterebbe la propria influenza nel paese, non si astenga dall’appoggiare eventuali sanzioni che saranno votate contro Teheran. Dopo tali incontri, Damasco ha immediatamente mostrato la sua volontà di continuare a perseguire una politica autonoma nella regione arrivando a creare una piccola crisi diplomatica.

Alle richieste del Segretario di Stato Hillary Clinton di prendere le distanze dall’Iran, infatti, il Presidente siriano ha risposto in modo chiaro, invitando a Damasco il Presidente iraniano Ahmadi-Nejad. Nel corso della visita, Assad ha ribadito il sostegno siriano al programma nucleare di Teheran e i due Paesi hanno firmato un accordo che prevede la libera circolazione delle persone tra le due frontiere. Si è tenuto inoltre un incontro, sponsorizzato dalle agenzie governative siriane, tra i due Presidenti ed il leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah. In questo modo, Damasco cerca di porsi come attore autonomo nel contesto mediorientale, allo stesso tempo sottolineando quanto sia importante il proprio ruolo nei rapporti tra l’Occiden-

Questione armena: nuovi screzi nei rapporti turco-statunitensi

L’approvazione della risoluzione sul genocidio armeno ha portato nuove tensioni tra Washington ed Ankara. I Rappresentanti sembrano aver voluto lanciare un monito a Barack Obama, restio ad accettare proposte sulle riforme che potrebbero mettere in dubbio i seggi di molti Democratici alle elezioni di mid-term. Secondo fattore che ha determinato UPSIDETOWN

il voto favorevole riguarda i rapporti tra i due paesi. A Washington è tornata a farsi sentire la voce dell’ANCA (Armenian National Comitee of America), che ha chiesto al Congresso di ristabilire quella che per gli armeni è una realtà storica. Lobbysti e parlamentari turchi hanno fatto visita ai loro parigrado con l’obiettivo di bloccare la possibile

approvazione. L’iniziativa ha però fatto difetto nell’approccio e gli argomenti utilizzati, riduzione dei traffici commerciali e rottura delle relazioni diplomatiche, sono sembrati minacce. La risposta della Commissione Esteri è stata chiara: Ankara non può pensare di intimorire l’(ormai ex?)alleato. I rapporti tra i due paesi sono quindi congelati, in attesa del voto dell’aula e di un appoggio più convinto dell’esecutivo statunitense alle posizioni turche. Le condizioni saranno rispettate: la Casa Bianca non può permettersi di aprire una pericolosa crisi diplomatica con Ankara. Non per una questione che tutto pare essere per gli Stati Uniti, fuorchè fondamentale. Simone Comi

te (con gli Stati Uniti in prima linea) e l’Iran. Tale politica spiega perché, nonostante gli indubbi miglioramenti nei rapporti con Washington, quest’ultima nutra ancora delle riserve, come sottolineato dalla conferma delle sanzioni economiche da parte del Presidente Obama lo scorso maggio, imposte per la prima volta da Bush jr. nel 2004. Stefano Torelli

A rischio l’alleanza tra Washington e Tel Aviv? Restano particolarmente tese le relazioni tra Stati Uniti ed Israele. La visita del premier Netanyahu a Washington è servita per puntualizzare la posizione di Tel Aviv rispetto alla costruzione di nuovi insediamenti a Gerusalemme est. Le posizioni sono distanti, forse troppo per continuare a discutere. Parlando davanti all’American Israel Public Affairs Commitee (AIPAC) il leader israeliano ha sottolineato che Gerusalemme non è un insediamento ma la capitale dello stato di Israele. Una dichiarazione capace di incendiare la platea dell’AIPAC e gelare la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato. Quanto successo negli ultimi giorni lascia pensare che ci sarà un ulteriore slittamento delle trattative di pace israelo-palestinesi, ferme dal dicembre del 2008. La situazione di stallo sembra essere difficilmente recuperabile: di certo non basteranno formule di amicizia per cancellare un confron-

to caratterizzato da momenti di tensione. Resta da verificare se gli Stati Uniti decideranno di appoggiare le richieste israeliane sul tema del nucleare iraniano, anche se al momento pare improbabile un arretramento di Washington sulla questione. La Clinton ha espresso la volontà di far approvare al Consiglio di Sicurezza dell’ONU nuove sanzioni contro Teheran, definendo l’opposizione all’Iran un tassello di un’alleanza bilaterale solida come una roccia. Il termine di paragone appare quanto mai azzeccato: se una roccia è difficile da spaccare con un colpo netto, il tempo e gli agenti esterni tendono ad eroderne la superficie lentamente ma inesorabilmente. Proprio questo potrebbe essere il destino delle relazioni tra Stati Uniti ed Israele, due paesi legati da un’alleanza che pare ora soffrire dell’effetto erosivo degli attriti diplomatici. S.C. 3


ECONOMIA

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Tra Stati Uniti e Brasile scoppia la guerra del cotone L’approvazione da parte di Brasilia di dazi commerciali sulle importazioni di prodotti “Made in U.S.A.” come ritorsione ai sussidi stanziati dalla Casa Bianca, a sostegno di produttori ed esportatori nazionali di cotone, rischia di scatenare una guerra commerciale senza precedenti tra i due paesi. L’iniziativa è stata autorizzata dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) dopo una prima approvazione preventiva giunta dopo anni di contenziosi mai risolti. I dazi imposti dal governo guidato da Lula riguardano 102 prodotti e il WTO ha concesso ai due paesi 30 giorni per riuscire a negoziare la possibilità di una soluzione riparatoria. Gary Locke, Segretario al Commercio, e Michael Froman, vice consigliere per la Sicurezza Nazionale con delega al Commercio, hanno già incontrato i funzionari brasiliani per avviare trattative il cui nodo fondamentale è proprio il rapporto dazi-sussidi. Secondo un rapporto presentato dai funzionari brasiliani, le sanzioni farebbero aumentare i dazi su prodotti e derivati del cotone del 100%,

un aumento di non poco conto se si tiene conto che erano finora fermi tra il 6% ed il 35%. Oltre al cotone, saranno aumentati anche i dazi sui prodotti di bellezza, dal 18 al 36%, e sui prodotti per la casa, che passeranno dal 20 al 40%. Più contenuto l’aumento dei dazi sulle autovetture, che passeranno dal 35 al 50%. Il WTO ha fatto sapere che il Brasile ha diritto ad un risarcimento che ammonterebbe all’incirca a 829 milioni di dollari: la cifra che otterrà il governo di Lula con l’incremento dei dazi è però sensibilmente più bassa, intorno ai 591 milioni di dollari, ma secondo i funzionari governativi sarebbe importante in primis il segnale politico lanciato verso Washington.

Secondo Marcio Cozendey, direttore del Dipartimento economico del Ministero degli Esteri brasiliano, questo potrebbe essere il primo passo per frenare eventuali iniziative protezionistiche della Casa Bianca nel prossimo futuro. Il WTO ha più volte condannato il sostegno dell’amministrazione statunitense ai produttori nazionali di cotone, ma le sentenze in cui veniva denunciato il rischio di turbative sulla concorrenza e sui prezzi internazionali non hanno mai sortito alcun effetto a Washington. Nel 2008, ad esempio, l’amministrazione guidata da George W. Bush ha approvato un nuovo piano da 300 miliardi di dollari riguardante il settore agrico-

lo, con il chiaro obiettivo di riportare in vigore e porre sotto tutela alcune norme di stampo protezionistico in particolare proprio sulla produzione di cotone. Il Brasile, oltre alla possibilità di aumentare i dazi, avrebbe ottenuto il diritto ad applicare sanzioni sulle proprietà intellettuali, i brevetti farmaceutici, tecnologici e sui servizi del settore media per una cifra che oscilla intorno ai 238 milioni di dollari. Solo una trattativa tra i funzionari dei due paesi potrebbe evitare in extremis un duro scontro commerciale, anche se non sono ancora chiari i reali margini di manovra dei negoziatori. Secondo quanto dichiarato dal Ministero degli Esteri brasiliano, infatti, gli inviati

statunitensi non avrebbero nessuna proposta concreta da presentare al governo di Brasilia e sono in molti ad aspettarsi che la decisione di inviare speditamente i due funzionari in Sud America sia solo un modo per tentare di rimandare sine die l’entrata in vigore delle norme sui dazi. Al momento la situazione sembra essere molto delicata: toccherà alla Casa Bianca fare un passo verso le posizioni brasiliane per non rischiare di provocare tensioni diplomatiche oltre che commerciali. La decisione del WTO, che già nel 2002 condannò gli Stati Uniti per aver concesso agevolazioni fiscali alle multinazionali che operavano oltreoceano, sembra non lasciare scampo a Washington. Barack Obama dovrà agire in fretta, rischiando di alienarsi le simpatie dei produttori statunitensi, se vorrà evitare che questa situazione sia presa a modello da altri paesi, che potrebbero attaccare le decisioni delle passate amministrazioni statunitensi e chiedere ora la compensazione di danni spesso ingenti. Simone Comi

Il valore dello yuan minerà i rapporti tra Washington e Pechino? Secondo molti analisti questo sarà un mese decisivo per delineare quelle che saranno le prossime relazioni economico-commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina. Il Congresso sta infatti esercitando forti pressioni affinché il Dipartimento del Tesoro dichiari nella prossima relazione periodica che la Cina sta manipolando il cambio per ottenere vantaggi commerciali. La dichiarazione ufficiale aprirebbe quindi 4

la strada a possibili ritorsioni da parte statunitense, eventualità che la Casa Bianca cercherà di evitare con tutte le forze per non compromettere ulteriormente i rapporti diplomatici con Pechino. Dalla Cina fanno sapere infatti che la rivalutazione della moneta non è un tema in discussione al momento e né lo sarà nei prossimi mesi. Inutile quindi parlarne. La tensione resta palpabile: alimentata dal fallimento delle

aste dei Treasure Bond (i titoli di Stato) e dalla fatica del governo statunitense di finanziarsi sul mercato. Sebbene molti siano convinti che i cinesi stiano aspettando migliori rendimenti, quello a 10 anni viaggia ora al 4% rispetto al 6,25% di quello greco ad esempio, altri non mancano di sottolineare che le tensioni diplomatiche rischiano di tener lontani gli investitori asiatici anche nel prossimo futuro. S. C. UPSIDETOWN


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La Casa Bianca rilancia il nucleare

Per la prima volta dal 1970 il governo di Washington torna a dare il via libera alla costruzione di centrali nucleari e un ulteriore incremento nel numero degli impianti potrebbe giungere a breve, soprattutto se si pensa che la costruzione dei due impianti in Georgia contribuirà anche allo sviluppo economico dello Stato. In Carolina del Sud, Texas e Maryland sarebbero già in fase avanzata alcuni studi di fattibilità per la costruzione di centrali di ultima generazione, i cui costi di realizzazione sono già coperti dai prestiti federali già approvati. Quasi otto miliardi e mezzo di dollari in investimenti, tremila

cinquecento posti di lavoro, di cui circa novecento permanenti, energia per un milione e mezzo di utenti e trentadue milioni di tonnellate di CO2 in meno nell’atmosfera. Queste le prime cifre presentate dalla Casa Bianca dopo l’approvazione dei prestiti garantiti per la costruzione delle nuove centrali nucleari in Georgia. Con il piano energetico presentato da Obama, gli Stati Uniti sembrano quindi tornare con decisione sulla strada del nucleare abbandonata nel 1979, dopo l’incidente di Three Miles Island in Pennsylvania. Lo stesso presidente ha lanciato un messaggio importante alla nazione dichiarando

che, a fronte di opinioni differenti, gli Stati Uniti non possono permettersi di non fare passi avanti nel campo della diversificazione delle fonti d’approvvigionamento energetico. Durante la campagna per le presidenziali Barack Obama si era dichiarato contrario ai nuovi progetti per il nucleare sostenuti dalla precedente amministrazione Repubblicana. Una svolta importante, quella decisa dal presidente, che sembra portare l’attuale amministrazione Democratica sulla strada della continuità con il recente passato, a costo di rinnegare alcune delle promesse elettorali fatte durante l’ultima campagna per le presidenziali. Il plauso ottenuto alcuni mesi fa da parte degli ambientalisti e da molti rappresentanti del Partito Democratico si è ora trasformato in critiche dure, che non sembrano comunque poter ostacolare i progetti della Casa Bianca. Il rilancio dell’opzione nucleare potrebbe costare molto, in termini politici, ad un presidente arrivato allo Studio Ovale anche grazie alla promessa di cambiamento d’approccio ad alcune questioni, tra cui quelle ambientali. Le ga-

ranzie sull’assoluta sicurezza degli impianti e la gestione dei rifiuti non sembrano convincere coloro che si erano schierati a fianco del Senatore dell’Illinois convinti da un programma che prometteva l’introduzione e lo sviluppo di fonti energetiche alternative. Barack Obama ha spiegato che la questione energetica potrebbe condizionare fortemente il futuro andamento dell’economia e la sicurezza degli Stati Uniti. Una scelta che appare quindi essere per certi versi dolorosa, ma senza dubbio necessaria. Un programma di politica interna, quello presentato dalla Casa Bianca, che potrebbe però avere ricadute importanti anche a livello internazionale. Dato lo stato attuale della situazione nella zona asiatica, la decisione di avviare la costruzione di nuovi impianti negli Stati Uniti potrebbe infatti mettere in difficoltà i negoziatori impegnati nelle trattative con l’Iran. Resta da verificare quale tattica utilizzerà Washington per riuscire a gestire a livello diplomatico una situazione che sembra farsi ora ancor più delicata. Negare all’Iran la possibilità di avviare la costruzione di impianti

nucleari per scopi civili, dopo aver presentato un programma energetico il cui punto centrale è proprio l’utilizzo dell’energia atomica, potrebbe infatti apparire agli occhi dell’opinione pubblica mondiale una decisione ipocrita. Obama rischia di trovarsi a dover gestire una situazione doppiamente insidiosa: in patria potrebbe veder scemare ulteriormente il sostegno di un’opinione pubblica che stenta a riconoscere in lui il candidato capace realizzare le promesse di cambiamento, a livello internazionale l’accostamento al suo predecessore sarebbe ancora più semplice di quanto lo sia già ora. Solo il tempo potrà dire se la decisione di rilanciare l’opzione nucleare si rivelerà la scelta migliore per l’approvvigionamento energetico statunitense, di certo nel breve periodo la scelta della Casa Bianca ha già portato grandi novità: anche lo Stato dell’Illinois ha infatti rimosso il bando per la costruzione di nuove centrali. Segnale che la politica lanciata da Obama inizia a dare i primi frutti e porterà probabilmente ad una nuova corsa al nucleare civile. Simone Comi

Boeing vs. EADS, gli Stati Uniti preferiscono il “Made in U.S.A.” Una gara d’appalto durata nove anni, chiusasi dopo due ricorsi e la vittoria di Boeing, gruppo industriale statunitense facente parte di quel comparto aeronautico asfittico e in grave crisi di commesse. La sostituzione dei Kc-135, capaci di rifornire in volo i caccia dell’Air Force, e la commessa collegata, tra i 35 e i 40 miliardi di dollari nei prossimi dieci o quindici anni, sarà quindi affidata

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ad un’azienda statunitense. La franco-tedesca EADS, che aveva proposto un aeromobile tecnicamente superiore per capacità di carico, raggio d’azione e prezzo, è stata bloccata dai nuovi capitolati del Pentagono e dalle faide politiche interne al sistema statunitense. Senza dimenticare che anche la crisi economica ha pesato sulla decisione, bisogna sottolineare che la compagnia europea,

dopo essersi alleata con la statunitense Northrop, ha appoggiato John McCain nell’ultima campagna elettorale. Boeing, che ha sede a Chicago, è stata invece una delle maggiori finanziatrici della campagna dei Democratici: investimento che ha portato i frutti sperati e che assicurerà all’azienda “Made in U.S.A.” la possibilità di rilancio nei prossimi anni. S. C.

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Discorso dell’ Ambasciatore statunitense David Thorne al Senato della Repubblica Come tutti voi sapete, il sostegno ai diritti umani rappresenta l’elemento centrale sia per il buon funzionamento di ogni democrazia, in America come in Italia, sia per il miglioramento della stabilità politica ed economica globale. [...] Vorrei approfittare di tale occasione per discutere con voi di nuovi modi attraverso i quali sia gli Stati Uniti che l’Italia possano riconsiderare il loro approccio nei confronti dei diritti umani e, di fatto, ciò che si intende per essi. [...] Eppure, riconosciamo che gli Stati Uniti hanno commesso degli sbagli in questo campo, e sicuramente c’è ancora molto lavoro da fare. Ma la nostra è una storia in continua evoluzione, fatta di continuo progresso. È la speranza del nostro Presidente e mia personale che noi possiamo continuare a compiere importanti progressi in questo campo sia nel nostro Paese che nel mondo intero. [...] Uno dei sistemi più efficaci che abbiamo a disposizione per arrivare ad un cambiamento è rappresentato dalle istituzioni multilaterali.[...] Siamo quindi tornati a fare parte del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, poiché riteniamo che la partecipazione ad esso rappresenti un’eccellente opportunità per esercitare un’influenza positiva. Nella nostra prima sessione, abbiamo sostenuto la risoluzione sulla libertà di espressione, una vigorosa di6

chiarazione di principio in un momento in cui la libertà è compromessa da nuovi sforzi per limitare la pratica religiosa [...] e da tentativi di criminalizzare la diffamazione della religione […]. Il Consiglio per i Diritti Umani è l’unico organismo che abbia la capacità di riunire i Paesi in cui viene affrontato un serio e costruttivo dibattito in merito alle

revisione un’intrusione nelle questioni interne, è nostra speranza che tutti i Paesi aderiranno a questa pratica secondo lo spirito con cui è stato concepito. I nostri Paesi possono fornire una guida, esaminando quelle aree che vengono sottoposte alla nostra attenzione e lavorando per migliorare costantemente la vita di tutti coloro che vivono entro

i miei colleghi americani, in quanto gli Stati Uniti sono un Paese giovane, ma che vanta una lunga storia di immigrazione ed integrazione. L’immigrazione è di fatto un elemento essenziale dell’identità del mio Paese. Sebbene gli Americani nutrano una sorta di venerazione nei confronti di una cultura millenaria come quella italiana, ritengo tutta-

violazioni dei diritti umani, basato su fatti concreti e che sia lungimirante. [...] Attraverso le Nazioni Unite, gli Stati Uniti parteciperanno alla Revisione Periodica Universale dei risultati raggiunti nel nostro paese nel campo dei diritti umani, ed incoraggiamo le altre nazioni a fare altrettanto. L’Italia lo ha fatto. Questo forum è un’opportunità per ogni Paese di allinearsi con quelli che cercano di proteggere i diritti umani nel mondo. […] Invece di adottare un approccio difensivo e superficiale, considerando tale

e fuori i nostri confini. Passando ora dal contesto internazionale alla scena nazionale, vorrei fare alcune riflessioni su un tema con cui l’Italia sta iniziando a confrontarsi e che esula un poco dal tradizionale dominio dei diritti umani. Con un numero crescente di immigrati di seconda generazione che diventano maggiorenni, molti italiani riconoscono l’importanza fondamentale di soddisfare i bisogni degli immigrati e di coloro che sono nati da genitori immigrati. Questo problema ha una rilevanza particolare per me e per

via che alcuni dei nostri crescenti sforzi per lo sviluppo di una società multi-culturale possano essere esempi utili per Paesi come l’Italia, che si trovano oggi ad affrontare lo stesso fenomeno. Ovviamente non abbiamo tutte le risposte. Anzi, siamo convinti che la migliore soluzione a questo problema debba venire dall’Italia stessa. Tuttavia, è mia ferma convinzione che, per utilizzare al meglio le idee e la vitalità dei nuovi arrivati, sia necessario spostare il fulcro del dibattito nazionale dalla questione se consentire o no

l’immigrazione, a quale sia il modo migliore per integrare gli immigrati. [...] La nostra esperienza americana in materia d’immigrazione, che vanta più di duecento anni, ci ha insegnato che solo quando gli stranieri sono accolti dalla società, allora essi contribuiscono pienamente al suo sviluppo. Invece di essere considerati come un problema, gli immigrati iniziano a partecipare e contribuire alla crescita del Paese. Mi fa piacere sentire che questo messaggio è entrato nel dibattito pubblico sull’immigrazione, e posso solo incoraggiare lei, come gli altri governanti, a favorire la sua diffusione. L’ignoranza è una malessere che spesso genera la violazioni dei diritti umani. L’antidoto più efficace contro l’ignoranza è l’informazione. Al giorno d’oggi, per essere informati, dobbiamo partecipare agli scambi e alla discussione globale accessibile attraverso Internet. [...] In un periodo incredibilmente breve, questa tecnologia è nata come una curiosità e si è trasformata in uno strumento essenziale mediante il quale milioni di persone comunicano attraversando frontiere geografiche, culturali e ideologiche. [...] Tuttavia, malgrado la crescita fortissima della connessione, dobbiamo anche riconoscere che queste tecnologie presentano degli inconvenienti. Le stesse reti che consentono di organizzare azioni per la libertà possono UPSIDETOWN


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essere strumentalizzate da parte di governi per schiacciare il dissenso e negare i diritti umani. L’11 febbraio, il 31 ° anniversario della rivoluzione islamica in Iran, molte persone hanno cercato di radunarsi a Teheran e di affermare pacificamente il loro diritto di esprimersi, ma le autorità hanno bloccato Internet e le reti della telefonia mobile per soffocare la voce dell’opposizione. So che voi condividete la ferma convinzione del mio governo che il popolo iraniano debba essere in grado di manifestare le proprie opinioni e credenze senza pericolo di aggressione da parte di coloro che non rispettano i diritti umani. Blog, e-mail, reti sociali e SMS senza dubbio ci hanno aperto nuove vie di comunicazione ed hanno solleva-

to questioni importanti sui limiti della libertà di espressione su Internet. […] Una minoranza di utenti che abusa della libertà e dell’anonimato sul web non deve diventare il pretesto per i governi per emanare leggi che limitano l’accesso a Internet, o per imporre oneri irragionevoli su coloro che forniscono un mezzo attraverso il quale tutti noi comunichiamo. […] Il principio della libertà di Internet è fondamentale per le democrazie basate sulla libertà di espressione. […] Il Segretario Clinton ha manifestato la posizione degli Stati Uniti con chiarezza nel suo discorso del 21 gennaio sulla libertà di internet. Gli Stati Uniti hanno alle spalle una storia basata su un forte Primo Emendamento che protegge la libertà di espressione.

La nostra priorità è la libertà e non il controllo governativo. Anche noi abbiamo dovuto affrontare casi in cui una minoranza di utenti ha tentato di utilizzare internet per favorire l’odio e la violenza. Invece di applicare una regolamentazione governativa che limita il libero flusso di idee ed informazioni, abbiamo visto che la mobilitazione dei cittadini su internet, unitamente alla responsabilità delle imprese, è il modo migliore per affrontare queste sfide. […] Il Dipartimento di Stato americano sta già lavorando attivamente in più di 40 Paesi per aiutare individui che sono vittime di governi oppressivi. Ci stiamo impegnando affinché ciò diventi una priorità delle Nazioni Unite, avendo proposto l’inclusione del libero uso

di internet nella prima risoluzione introdotta in seguito al rientro nel Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU. Inoltre, stiamo sostenendo lo sviluppo di nuovi strumenti che consentono ai cittadini di esercitare il loro diritto alla libertà di espressione aggirando la censura politica. Stiamo lavorando a livello globale al fine di garantire che tali strumenti siano disponibili per tutti coloro che ne hanno bisogno, nella lingua locale e con la formazione necessaria per accedere ad internet in modo sicuro. […] Il Presidente Obama ci ha ricordato che i nostri valori fondamentali, quelli sanciti nella dichiarazione statunitense di indipendenza – i diritti alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità –, non sono solo la fonte

della nostra forza, ma rappresentano un diritto di ogni donna, uomo e bambino sulla terra. [...] L’Italia e gli Stati Uniti sono due nazioni che condividono una comune visione di un mondo in cui l’umanità possiede un enorme potenziale, un mondo in cui tutti i cittadini sono liberi di perseguire le loro speranze e i loro sogni, e non sono ostacolati da chi tenta di colpirli, sfruttarli e mantenerli nell’ombra dell’ignoranza. Grazie per la vostra collaborazione. Insieme, gli USA e l’Italia hanno ottenuto grandi cambiamenti nella condizione dei diritti umani e della democrazia in molti luoghi, non per ultimi in Afghanistan e Iraq.

Firmato Memorandum d’Intesa per combattere il terrorismo nucleare Il 29 marzo, alla presenza del Sottosegretario di Stato On. Enzo Scotti, l’Ambasciatore degli Stati Uniti d’America a Roma David H. Thorne ed il Dott. Giuseppe Peleggi, Direttore dell’Agenzia delle Dogane, hanno firmato presso il Ministero degli Affari Esteri, un Memorandum d’Intesa che avvia un programma di collaborazione tra Italia e Stati Uniti finalizzato a potenziare il contrasto al terrorismo nucleare tramite l’utilizzo nei porti italiani di scanner destinati alla individuazione di materiale nucleare. La firma odierna ribaUPSIDETOWN

disce la centralità strategica che Italia e Stati Uniti annettono al contrasto alle varie forme del terrorismo internazionale e testimonia lo sforzo congiunto di entrambi i governi per prevenire e combattere il fenomeno terroristico. L’Intesa avvia in Italia il programma denominato “MEGAPORTS”. Accordi in tal senso sono già stati siglati dagli Stati Uniti con 27 Paesi di cui 6 membri dell’Unione Europea.

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UPSIDETOWN Anno 2, numero 2. Inserto online del quotidiano Equilibri.net Registrazione presso il Tribunale di Firenze del 19 Gennaio 2004 numero 5320 SERVER LOCATION: C/O Telnet S.r.l., Via Buozzi, 5 27100 Pavia Equilibri S.r.l. è una società del gruppo Bridge That Gap. Bridge That Gap Group: Via Vigevano 39, 20144 Milano Tel. +39 028360642 Fax. +39 0258109661 DIRETTORE RESPONSABILE Daniele Bologna COORDINATORE SCIENTIFICO Simone Comi GRAPHIC DESIGN Gaia Minuzzo Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Stefano Torelli Gabriele Giovannini

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CULTURA Aprile 2010

UNITED STATES of AMERICA

Al largo di Okinawa articolo di Gabriele Giovannini

“Osservare con calma, consolidare la nostra posizione, affrontare le situazioni con tranquillità, celare le nostre capacità e aspettare il nostro momento, mantenere un basso profilo e non rivendicare mai la leadership”. Il testo si articola nell’analisi della competizione sino-statunitense in quattro settori cruciali: energetico, militare, economico e dell’ intelligence, dipingendo un Dragone sempre più competitivo. Per soddisfare la propria sete di idrocarburi e più in generale di materie prime, Pechino negli ultimi anni ha incrementato esponenzialmente gli investimenti nel continente nero: senza vincoli o politiche condizionate, le aziende cinesi stanno investendo principalmente nella rete in-

frastrutturale e si stanno legando saldamente ad un gran numero di stati africani. Tale tendenza ha portato ad un crescente isolamento di Taiwan ed all’istituzione del Comando Unificato per l’Africa (Africom) da parte dell’amministrazione statunitense guidata da George W. Bush. Pur non avendo ancora mostrato gli artigli, i movimenti del Dragone nel Pacifico hanno portato alcuni analisti a prevedere una nuova guerra fredda ed una conseguente necessità di contenimento attraverso il Pacom (U.S. Pacific Command). Sottolineata la grande disparità militare tra gli USA e la Cina, gli autori pongono l’accento su una strategia asimmetrica che vede Pechino impegnata ad individuare e sfruttare i punti deboli dell’avversario. In quest’ottica si possono leggere i recenti cambiamenti relativi all’esercito, agli arma-

menti e all’utilizzo spregiudicato dell’intelligence umana: sia la Power Paragon (un’industria specializzata in tecnologia avanzata per la propulsione dei sottomarini) che la Defense Security Cooperation Agency si sono rivelati penetrabili dagli informatori della RPC. La reazione di Washington è stata dura; l’ingegnere Chi Mak nel marzo del 2008 ha subito una condanna esemplare a 24 anni e sei mesi di reclusione. La posta in gioco è il futuro assetto del sistema internazionale e sembra assodato che la leadership cinese non lascerà facilmente carta bianca al neo presidente Barack Obama. “Costruire relazioni stabili, forti e di lungo termine tra Cina e Stati Uniti è funzionale agli interessi fondamentali dei nostri paesi e dei nostri popoli ed è di grande rilevanza per il mantenimento e la promozione della pace, della stabilità e

dello sviluppo del mondo”: ecco il messaggio di congratulazioni recapitato il 5 novembre 2008 ad Obama da Hu Jintao. Ecco un immediato avvertimento del legame inestricabile tra i due paesi ed un monito a non cedere alle “sirene del protezionismo”. Il nuovo inquilino della Casa Bianca, tuttavia, di fronte all’incalzare della crisi finanziaria globale non ha esitato ad accusare, per mezzo del Tesoro, la Cina di mantenere artificiosamente basso il renminbi. Gli scenari futuri sembrano quindi altamente incerti, ma inevitabilmente, secondo i due autori, se americani e cinesi non troveranno un metodo per agire in accordo la crisi attuale si prolungherà molto oltre il termine previsto ed il livello del conflitto potrebbe trasferirsi dalla competizione economica a quella militare: il drago potrebbe decidere di usare gli artigli.

Frost – Nixon, il duello

Bury my heart at Wounded Knee

di Ron Haward con Michael Sheen e Frank Langella

di Yves Simoneau con Adain Quinn e Adam Beach

Tratto dal testo di James Reston intitolato “Niente è illegale”, questo film è la storia di un’intervista trasformatasi in un duello. Una confessione, anzi, la confessione. Parole che hanno consegnato alla Storia una semplice intervista, diventata il processo all’ex presidente graziato da Gerald Ford dopo le dimissioni per lo scandalo del Watergate. Esempio lampante di come un semplice intervistatore possa ristabilire la verità storica ponendo le giuste domande e 8

mettendo all’angolo un uomo di potere che cerca di ripulire la sua immagine grazie alla televisione.

Trasposizione cinematografica degli ultimi due capitoli del libro “Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown, questo film per la televisione presenta alcune delle nefandezze dei visi pallidi alla conquista del continente nordamericano. Un film a tratti duro ma appassionante, che avrebbe dovuto, e potuto per quel che è la trama, intitolarsi “Gli ultimi giorni della Nazione Sioux”. Un senatore, un medico, un’insegnante e alcuni capi indiani tra cui il leggendario Toro Seduto sono i protagonisti di una pellicola da non perdere. Per capire quanto sangue e brutalità può costare la costruzione di una nazione. E quanto si rischia di perdere nello sterminio di un popolo le cui tradizioni risalgono ad un passato lontano, misterioso e spesso affascinante. Simone Comi

Simone Comi UPSIDETOWN


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