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Antonio Vallardi Editore s.u.r.l. Gruppo editoriale Mauri Spagnol www.vallardi.it Per essere informato sulle novità del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita: www.illibraio.it www.infinitestorie.it Titolo originale: Willpower Copyright © Roy T. Baumeister and John Tierney, 2011 All rights reserved Copyright © 2012 Antonio Vallardi Editore, Milano Traduzione di Ornella Ciarcià Tutti i diritti riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta, archiviata in sistemi server o trasmessa in nessuna forma e con nessun mezzo elettronico o meccanico, su cassetta, né fotocopiata, registrata o altro, senza il permesso scritto dell’editore. Ristampe: 9 8 2016
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ISBN 978-88-7887-823-5
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Sommario
Introduzione ................................................................................9 Il declino della volontà....................................................... 14 La volontà ritorna in auge ................................................. 19 Evoluzione e bon ton ......................................................... 24 Perché leggere questo libro? .............................................. 27
1. La forza di volontà è più di una semplice metafora? .............................................................................. 29 L’esperimento dei rapanelli ............................................... 29 Che nome dare a questo processo? ................................. 35 Il mistero dei calzini sporchi ............................................. 40 Risultati sul campo e in laboratorio ................................. 43
2. Da dove proviene l’energia della forza di volontà? .................................................... 47 Il carburante del cervello ................................................... 49 La sindrome premestruale ................................................. 57 La forza di volontà vien mangiando ................................. 61
3. Breve elenco delle cose da fare, da Dio in poi ....................................................................... 67 In principio c’era l’elenco .................................................. 67 Quali obiettivi? .................................................................... 72 Flessibilità o precisione? .................................................... 76 Il metodo di David Allen .................................................. 79
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L’effetto Zeigarnik .............................................................. 83 Il punto zero ....................................................................... 87
4. La fatica decisionale ........................................................ 91 Attraversare il Rubicone..................................................... 95 Il dilemma del giudice (e l’ansia del carcerato) .............. 99 Scelte di comodo .............................................................. 105 Meglio l’uovo o la gallina? ............................................... 108
5. Consapevolezza dell’essere e autoquantificazione .................................................... 111 La consapevolezza dell’essere .......................................... 113 L’autoquantificazione ....................................................... 116 Confronti edificanti ......................................................... 119
6. Si può potenziare la forza di volontà? ................... 123 Allenare la forza di volontà ............................................. 125 Aumentare la resistenza ................................................... 129 L’impresa più difficile in assoluto ................................... 133
7. Giocare d’astuzia nel «cuore di tenebra» ............ 135 L’identificazione empatica ................................................ 137 Impegni vincolanti ............................................................ 141 Il pilota automatico del cervello ..................................... 144 Forza di volontà ed egoismo .......................................... 148
8. È stata un’entità soprannaturale ad aiutare Eric Clapton a smettere di bere?.............................. 153 Il mistero di Alcolisti Anonimi ...................................... 156 La pressione del gruppo ................................................... 160 L’autocontrollo sacro......................................................... 164 Regole inflessibili ............................................................. 169
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Sommario
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9. Autostima o autocontrollo?...................................... 173 Dall’autostima al narcisismo ......................................... 175 L’eccezione asiatica ......................................................... 178 Autoritarismo o autorevolezza? .................................... 183 Regole per bambini e adolescenti ................................. 185 La sorveglianza genitoriale ............................................ 190 Giocare per vincere......................................................... 194
10. Le catastrofi delle diete .............................................. 199 L’effetto «chi se ne frega» ............................................... 204 Il circolo vizioso delle diete .......................................... 207 Pianificare la battaglia .................................................... 213 Monitorare il peso e le calorie....................................... 217 Mai dire mai..................................................................... 220
Conclusione: risultati migliori con meno stress.... 225 Il test della scadenza....................................................... 228 La forza di volontà, prima lezione: riconoscere i propri limiti.............................................. 231 Fate caso ai sintomi ........................................................ 232 Scegliete le vostre battaglie............................................ 234 Elencate le cose da fare, o almeno di quelle da non fare ...................................................................... 236 Gli errori di pianificazione ............................................ 237 Non dimenticate le cose fondamentali (come cambiarvi i calzini) ............................................. 238 La procrastinazione virtuosa ......................................... 240 L’alternativa dell’inazione (e altri trucchi) .................. 241 Sorvegliarsi ..................................................................... 243 Premiatevi spesso ........................................................... 244 Il futuro dell’autocontrollo ............................................ 246
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Introduzione Il successo, in qualunque modo lo si intenda – una famiglia felice, amici sinceri, una carriera soddisfacente, una salute di ferro, la sicurezza economica, la libertà di dedicarsi alle proprie passioni – solitamente si basa su un paio di presupposti. Identificando le caratteristiche individuali che lasciano presagire buone prospettive future nella vita, gli psicologi s’imbattono costantemente in due elementi: l’intelligenza e l’autocontrollo. Allo stato attuale, i ricercatori non sono in grado di aumentare il livello di intelligenza in maniera permanente, ma hanno scoperto, o meglio riscoperto, che si può migliorare il controllo di sé stessi. Questo libro scaturisce dalla convinzione che gli studi sulla forza di volontà e sulla padronanza di sé possono essere il contributo maggiore della psicologia al benessere dell’umanità. La forza di volontà ci consente di modificare noi stessi e la nostra società in maniera micro e macroscopica. Nell’Origine dell’uomo, Charles Darwin1 scrisse che lo stadio più elevato dell’etica si raggiunge quando ci si rende conto che occorre controllare i propri pensieri. In seguito, però, il concetto ottocentesco di forza di volontà fu rinnegato al punto che alcuni psicologi e filosofi novecenteschi arrivarono a dubitare della sua esistenza. Inizialmente scettico, il professore Roy F. Baumeister ha tuttavia avuto modo di osservare, nei suoi noti esperimenti condotti in laboratorio, Charles Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale (Newton Compton, 2007).
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che la forza di volontà può dare la motivazione per andare avanti, che le persone perdono l’autocontrollo quando la loro forza di volontà si esaurisce e che questa energia mentale è alimentata dal glucosio presente nel flusso sanguigno. Inoltre, lui e i suoi collaboratori hanno scoperto che la forza di volontà è un po’ come un muscolo che, da un lato, si affatica con lo sforzo eccessivo, ma dall’altro si irrobustisce con l’allenamento costante. Da quando gli esperimenti di Baumeister ne hanno dimostrato l’esistenza, la forza di volontà è diventata uno dei soggetti più studiati nell’ambito delle scienze sociali e i suoi esperimenti sono attualmente fra i più citati in psicologia. Ricercatori di tutto il mondo hanno scoperto che migliorare la forza di volontà è la strada più sicura per vivere più serenamente. Ci si è resi conto che buona parte dei principali problemi personali e sociali deriva dalla mancanza di autocontrollo: shopping compulsivo, impulsi violenti, scarsi risultati scolastici, procrastinazione sul lavoro, abuso di alcolici e di stupefacenti, disturbi dell’alimentazione, mancanza di esercizio fisico, ansia cronica, accessi di collera. La scarsa padronanza di sé può essere causa di traumi individuali di ogni genere, dalla perdita delle amicizie al licenziamento, dal divorzio al carcere. Provate a chiedere alle persone che conoscete di enumerare le loro virtù principali e vedrete che citeranno soprattutto l’onestà, la cortesia, la simpatia, la creatività, il coraggio e persino la modestia, ma non l’autocontrollo, che è risultato all’ultimissimo posto fra le virtù prese in esame da interviste condotte su centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Su una ventina di punti di forza elencati nei questionari, l’autocontrollo si è rivelato quello meno citato in assoluto. Per contro, la mancanza di autocontrollo è risultata al primo posto nell’elenco dei difetti personali.
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Introduzione
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Oggigiorno, la gente si sente sopraffatta da una quantità enorme di tentazioni incessanti. Anche se arrivate fisicamente al lavoro puntuali, la vostra mente può evadere in qualsiasi istante grazie al computer o al telefono. Potete rimandare qualsiasi compito controllando la posta elettronica o Facebook, navigando in rete o facendo un videogioco. Il classico utilizzatore del PC consulta più di una trentina di siti Web al giorno e può provocare danni tali in 10 minuti di shopping on line da mandare in fumo il suo budget per il resto dell’anno. Spesso si crede che la forza di volontà sia una dote straordinaria alla quale fare appello in casi di emergenza, tuttavia non è quello che hanno scoperto di recente Baumeister e i suoi colleghi monitorando un gruppo di oltre duecento uomini e donne della Germania centrale. Tali persone erano munite di un avvisatore acustico che nel corso di una giornata entrava in azione sette volte a intervalli casuali, sollecitandole a riferire eventuali desideri provati in quel momento o poco prima. Grazie a quello studio meticoloso sono stati registrati oltre diecimila desideri momentanei nell’arco di tutta una giornata. Il desiderio si è quindi rivelato la norma, non l’eccezione: nel momento in cui l’avvisatore acustico suonava, metà delle persone stava provando almeno un impulso e un quarto ne aveva provato uno pochi minuti prima. Si è notato che molti erano desideri ai quali le persone si sforzavano di resistere. Sulla base di questi dati, i ricercatori hanno concluso che per circa un quinto delle ore di veglia (da tre a quattro al giorno) si cerca di resistere a tentazioni di vario genere. Da un altro punto di vista, se interrogaste cinque persone in un momento qualsiasi della giornata, scoprireste che una di loro sta facendo uso della propria forza di volontà per resistere a un desiderio. Tra l’altro, questo uso non include nemmeno tutte le circostanze in cui si esercita la forza di volontà per altri scopi, come prendere decisioni.
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Lo studio succitato ha rivelato che l’impulso a cui si cerca di resistere più frequentemente è quello di mangiare, seguito da quello di dormire e poi dal desiderio di distrarsi, per esempio prendendosi una pausa sul lavoro facendo un giochino al computer invece di scrivere una relazione. In questa classifica dei desideri a cui si cerca di resistere più spesso seguono subito dopo gli impulsi sessuali, e poi altri tipi di interazione, come controllare la posta elettronica e i social network, navigare in rete, ascoltare musica e guardare la televisione. Per allontanare le tentazioni, le persone intervistate avevano riferito di usare varie strategie, la più comune delle quali era sviare il pensiero o intraprendere un’altra attività, ma anche reprimere direttamente l’impulso o resistere a tutti i costi, con risultati molto eterogenei. Nel complesso, i soggetti avevano ceduto a circa un sesto delle tentazioni. Si è visto che per parecchie persone è abbastanza facile resistere al sonno, agli stimoli sessuali e all’impulso di spendere, ma è meno facile rinunciare al cibo e alle bevande. Infine, chi aveva cercato di resistere alle lusinghe della televisione o di Internet e di altri mezzi di comunicazione, aveva ceduto circa la metà delle volte. Questi dati sembrano scoraggianti e i tassi di fallimento sono piuttosto alti se rapportati al passato. È vero che non abbiamo modo di sapere fino a che punto i nostri avi fossero dotati di autocontrollo in epoche in cui non esistevano né i cicalini né la psicologia sperimentale, tuttavia sembra probabile che fossero meno stressati. Nel Medioevo la gente comune lavorava tutto il giorno nei campi, ingurgitando ettolitri di vino (o birra), ma non puntava a promozioni sul lavoro o a salire di qualche gradino lungo la scala sociale, quindi non esistevano premi e incentivi e non c’era nemmeno una grande necessità di mantenersi sobri. I villaggi non offrivano altre tentazioni evidenti oltre all’alcol, al sesso e al puro e
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Introduzione
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semplice ozio e la virtù era generalmente frutto del desiderio di evitare la pubblica ignominia, piuttosto che dell’aspirazione alla perfezione umana. Nell’ambito della Chiesa cattolica medievale la salvezza dipendeva più dall’appartenenza al gruppo e dallo svolgimento di determinati riti che da una forza di volontà eroica. Nell’Ottocento, però, i contadini cominciarono a urbanizzarsi e quindi a essere meno condizionati dalle pressioni sociali e religiose delle campagne e da credenze fino ad allora considerate universali. La riforma protestante aveva reso la religione più individualistica, mentre l’Illuminismo aveva minato la fede cieca in qualsiasi tipo di dogma. I vittoriani, dal canto loro, erano convinti di vivere in un’era di transizione segnata dal decadimento delle certezze morali e delle rigide istituzioni dell’Europa medievale. In effetti, un frequente argomento di discussione era se l’etica potesse sopravvivere in assenza della religione. Così, molti vittoriani dubitavano dei principi religiosi sul piano teorico, ma continuavano a fingersi osservanti perché ritenevano fosse loro pubblico dovere salvaguardare la moralità. Oggi ridiamo della loro ipocrisia e del loro moralismo, per esempio dell’abitudine di coprire persino le gambe dei tavoli come forma di pudore, ma se leggessimo i loro fervidi sermoni su Dio e il dovere, o le loro strambe teorie sul sesso, capiremmo perché quella gente cercasse un minimo di sollievo nella filosofia di Oscar Wilde, che diceva: «Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni». Considerate tutte le nuove tentazioni dell’epoca, non si può dire che fosse anormale cercare nuove fonti dalle quali attingere energia. Angustiati com’erano per il decadimento morale e per i mali sociali concentrati nelle città, i vittoriani cercavano qualcosa di più concreto della grazia divina: una forza interiore in grado di proteggere anche gli atei.
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Si iniziò a usare la definizione forza di volontà a causa della credenza popolare che equiparava tale forza interiore all’energia del vapore che alimentava la rivoluzione industriale. La gente cercava di migliorare il proprio destino seguendo le esortazioni dell’inglese Samuel Smiles2, il cui volume, Chi si aiuta, Dio l’aiuta, ebbe ampia divulgazione nell’Ottocento anche oltre Atlantico. «Il genio è pazienza», rammentava l’autore ai lettori spiegando il successo di personaggi del calibro di Isaac Newton come il risultato dell’abnegazione e di una perseveranza inesauribile. Per il ministro americano della stessa epoca, Frank Channing Haddock, la forza di volontà era un’energia che si poteva aumentare quantitativamente e sviluppare qualitativamente, concetto condiviso anche dal ben più illustre Sigmund Freud, il quale ipotizzava che l’io dipendesse da attività mentali che comportavano un trasferimento di energia. Tuttavia, il modello di Freud basato sull’energia fu ampiamente ignorato dai ricercatori successivi ed è stato solo in tempi recenti, nel laboratorio di Baumeister, che gli studiosi hanno cominciato a cercare sistematicamente tale fonte di energia. Fino ad allora e per buona parte del Novecento, psicologi, pedagoghi ed esperti d’ogni risma avevano continuato a trovare mille motivi per negarne l’esistenza.
Il declino della volontà Che scartabelliate annali accademici o sfogliate manuali di auto-aiuto, noterete subito che il concetto ottocentesco di «formazione del carattere» è passato di moda da un pezzo. Nel Novecento l’interesse per la forza di volontà era scemato in Samuel Smiles, Chi si aiuta, Dio l’aiuta, ovvero storia degli uomini che dal nulla seppero innalzarsi ai più alti gradi (Editori della biblioteca utile, 1867).
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parte per reazione agli eccessi vittoriani e in parte a causa dei cambiamenti economici e delle due guerre mondiali. Il prolungato spargimento di sangue della Grande Guerra sembrava quasi una conseguenza di un senso del dovere portato agli estremi da parte di troppi gentiluomini tutti d’un pezzo. Gli intellettuali propagandavano una visione della vita più rilassata sia in America sia in buona parte dell’Europa occidentale, ma sfortunatamente non in Germania, dove invece avevano sviluppato una «psicologia della volontà» che guidasse il paese durante gli anni durissimi del primo dopoguerra. Tale tema era stato abbracciato dai nazisti, il cui raduno del 1934 era stato oggetto del famigerato film propagandistico di Leni Riefenstahl, Il trionfo della volontà. Il concetto nazista di obbedienza di massa a un sociopatico non coincideva affatto con l’idea ottocentesca di forza morale individuale, ma la differenza passò inosservata. Se il nazismo rappresentava il trionfo della volontà, allora quel film, fortemente voluto e appoggiato da Hitler in persona, è un esempio perfetto di pessime PR. Il declino della volontà non sembrava, quindi, un fatto negativo, tanto più che dopo la guerra erano intervenute altre forze a indebolirla. Il progresso tecnologico aveva reso più accessibili i beni materiali e migliorato il livello di benessere generale, per cui alimentare i consumi era diventato vitale per l’economia e, a tale scopo, ci si cominciò ad affidare a strumenti pubblicitari nuovi e sofisticati che sollecitavano all’acquisto immediato. I sociologi identificarono una nuova generazione di persone influenzate dagli altri piuttosto che da forti convinzioni etiche personali. I severi manuali di auto-aiuto ottocenteschi ormai erano considerati superati ed egotistici, mentre i nuovi best-seller erano volumi pratici come il libro del 1936 di Dale Carnegie, Come trattare gli altri
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e farseli amici3, e quello del 1952 di Norman Vincent Peale, Il pensiero positivo4. Carnegie dedicava ben sette pagine all’arte del sorriso, nella convinzione che il sorriso giusto lasciasse una buona impressione e garantisse il successo, mentre Peale e altri autori escogitarono un sistema ancora più facile. Secondo Peale, l’elemento principale della psicologia sarebbe il desiderio realizzabile, per cui chi dà per scontato il successo è già sulla buona strada per ottenerlo. Napoleon Hill ha venduto milioni di copie di Pensa e arricchisci te stesso5 invitando i lettori a stabilire la quantità di denaro desiderata, a scrivere la cifra su un pezzo di carta e poi a considerarsi già in possesso del denaro. I libri di quei guru hanno fatto scuola per tutto il secolo e hanno ampiamente diffuso la filosofia spicciola riassunta dallo slogan: «Credici e avrai successo». Il cambiamento nel carattere delle persone fu notato da uno psicanalista di nome Allen Wheelis, il quale, a fine anni Cinquanta, rivelò un piccolo quanto imbarazzante segreto della sua professione: le psicoterapie freudiane non funzionavano più come prima a causa proprio di un cambiamento strutturale del carattere. Gli appartenenti alla classe media ottocentesca, che formavano il grosso dei pazienti di Freud, possedevano una forza di volontà ferrea, per cui gli psicoterapeuti facevano fatica a superare le loro difese e il loro rigido senso dell’etica. Le terapie freudiane puntavano a sfondare tali muri difensivi e a far capire ai pazienti i motivi delle loro nevrosi e dei loro malesseri, perché una volta effettuato questo lavoro di introspezione ci si poteva modificare abbastanza facilmente. Tuttavia, verso metà Novecento, il carattere delle persone era cambiato e il lavoro di introspezione 3 4 5
Dale Carnegie, Come trattare gli altri e farseli amici (Bompiani, 2001). Norman Vincent Peale, Il pensiero positivo (Armenia Edizioni, 2001). Napoleon Hill, Pensa e arricchisci te stesso (Gribaudi, 2003).
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era diventato più veloce, ma poi spesso le terapie fallivano o arrivavano a un punto morto. Privi della risolutezza tipica dell’epoca vittoriana, i pazienti non avevano la forza di agire sulla base dell’introspezione e di modificarsi. Wheelis utilizzava termini freudiani per illustrare il declino del Super-io nella società occidentale, ma in pratica parlava di un indebolimento della forza di volontà, prima ancora che arrivassero i figli dei fiori degli anni Sessanta a proporre stili di vita alternativi e dedicati alla ricerca del piacere. Mentre la generazione degli anni Settanta celebrava l’autocompiacimento, i sociologi, il cui numero e la cui influenza erano aumentati vertiginosamente verso fine Novecento, presentavano nuove tesi contro la forza di volontà cercando le cause dei disturbi comportamentali al di fuori dell’individuo: povertà, privazioni, oppressione e altri guasti prodotti dall’ambiente o dai sistemi politico ed economico. Cercare fattori esterni è spesso più comodo per tutti, in particolare per i numerosi professionisti che temono di cadere nell’errore politicamente scorretto di incolpare la vittima e di ipotizzare che i problemi delle persone derivino da cause interne. Inoltre, i problemi sociali sembrano di più facile soluzione di quelli caratteriali, almeno per i sociologi che propongono nuovi approcci per affrontarli. Il concetto stesso di autocontrollo consapevole è sempre stato considerato con sospetto dagli psicologi. I freudiani affermavano che il comportamento adulto era in larga parte frutto di forze e processi inconsci. In Oltre la libertà e la dignità6, il comportamentista americano Burrhus Frederic Skinner scrive che per capire la natura umana bisogna andare al di là dei valori ormai superati citati nel titolo del libro. Molte delle teorie di Skinner sono state respinte, tuttavia 6
Burrhus Frederic Skinner, Oltre la libertà e la dignità (Mondadori, 1973).
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alcuni aspetti del suo approccio hanno trovato un seguito presso gli psicologi convinti che il livello conscio è assoggettato all’inconscio. La volontà è diventata un elemento così trascurabile che nelle moderne teorie sulla personalità non è più nemmeno citata o quantificata. Alcuni neurologi affermano di averne addirittura dimostrato l’inesistenza, mentre molti filosofi si rifiutano di usare tale termine. Se vogliono discutere della classica questione filosofica del libero arbitrio, preferiscono parlare di libertà d’azione e non di volontà perché dubitano della sua stessa esistenza. In tempi recenti alcuni studiosi hanno addirittura proposto di aggiornare il sistema giudiziario eliminando i concetti superati di libero arbitrio e di responsabilità. Agli esordi della sua carriera di psicosociologo negli anni Settanta, Baumeister condivideva lo scetticismo generale nei confronti della forza di volontà. All’epoca i suoi colleghi si concentravano sull’autostima piuttosto che sull’autocontrollo e Baumeister era diventato uno dei primi sostenitori di questo approccio, perché dimostrava che le persone più sicure delle proprie capacità e del proprio valore tendevano a essere più felici e più realizzate. Di conseguenza, per aiutare le persone a realizzarsi era sufficiente trovare il modo per aumentare la fiducia in loro stesse. Per gli psicologi e per le masse che acquistavano manuali divulgativi sull’autostima sembrava un obiettivo più che ragionevole, tuttavia i risultati degli esperimenti condotti all’interno e all’esterno dei laboratori si erano rivelati deludenti. Mentre i sondaggi internazionali indicavano che gli studenti di matematica americani nutrivano un’altissima autostima per le loro capacità, i test dimostravano che giapponesi, coreani e altri studenti dotati di minor autostima ottenevano risultati decisamente superiori. Negli anni Ottanta alcuni ricercatori hanno ricomincia-
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to a interessarsi all’autocontrollo. Tuttavia, la resurrezione di tale concetto non è stata opera dei teorici, i quali erano ancora convinti che l’autocontrollo fosse un bizzarro mito ottocentesco, anche se nel corso di esperimenti condotti in laboratorio o sul campo continuavano a imbattersi in qualcosa che vi assomigliava molto.
La volontà ritorna in auge In psicologia, le teorie geniali si sprecano e la gente crede che i progressi ottenuti in questo campo siano merito di qualche nuova quanto straordinaria intuizione, ma di solito non funziona così. Il difficile non è escogitare nuove idee: tutti hanno una specifica teoria sul perché ci comportiamo in un certo modo, il che spiega il motivo per cui gli psicologi sono stufi di sentirsi dire che le loro rivelazioni non sono niente di diverso da quello che dicevano le nostre nonne. In generale, i progressi non derivano dalle teorie ma dalla scoperta di sistemi intelligenti per dimostrare tali teorie, come aveva fatto lo psicologo austriaco Walter Mischel. Quest’ultimo e i suoi colleghi non solo non avevano elaborato teorie sull’autocontrollo, ma non avevano nemmeno discusso dei loro risultati in termini di autocontrollo o di forza di volontà se non molti anni dopo. Allo scopo di studiare in che modo un bambino impara a rinunciare alla gratificazione immediata, avevano escogitato un sistema nuovo e creativo per osservare tale processo nei bambini di quattro anni. I ricercatori accompagnavano i bambini, uno alla volta, in una stanza dove mostravano loro una caramella e facevano loro una proposta prima di lasciarli da soli. I bambini potevano mangiare la caramella quando volevano, ma se avessero resistito fino al ritorno del ricercatore avrebbero ricevuto altre due o tre caramelle. Alcuni
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mangiavano subito la caramella, altri cercavano di resistere ma non ci riuscivano, ma certi bambini riuscivano ad aspettare la ricompensa maggiore per tutto il quarto d’ora necessario. Avevano più successo quelli che trovavano il modo di distrarsi, il che, all’epoca dell’esperimento negli anni Sessanta, era sembrata una scoperta abbastanza interessante. Tuttavia, molto più avanti Mischel aveva capito qualcosa di diverso grazie a un colpo di fortuna. Poiché sua figlia frequentava la stessa scuola dove si era svolto l’esperimento della caramella, per parecchio tempo Mischel aveva avuto modo di sentire i discorsi della bambina a proposito dei suoi compagni di scuola. Così aveva potuto notare che i bambini che non erano stati capaci di aspettare sembravano più propensi a cacciarsi nei guai sia a scuola sia nella vita. Per capire se ci fosse veramente una connessione, Mischel e i suoi colleghi avevano rintracciato centinaia di soggetti dell’esperimento e scoperto che coloro che avevano dimostrato maggior forza di volontà all’età di quattro anni in seguito avevano ottenuto voti e risultati migliori, erano i più apprezzati dai compagni e dagli insegnanti, in età adulta percepivano retribuzioni superiori, avevano un indice di massa corporea inferiore, tendevano a non ingrassare con il passare degli anni e sembravano meno inclini all’uso di stupefacenti. Tali risultati erano sbalorditivi, in quanto si riteneva rarissimo riuscire a prevedere fin dall’infanzia e su base statistica significativa determinati sviluppi dell’età adulta. Tuttavia, esaminando tale letteratura negli anni Novanta, lo psicologo statunitense Martin Seligman aveva concluso che praticamente non esistevano prove convincenti a dimostrazione che le esperienze dell’infanzia avrebbero un effetto sull’adulto, con le sole eccezioni dei traumi gravi e della malnutrizione. Le pochissime correlazioni significative che aveva notato fra valutazioni effettuate durante l’infanzia e nel
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corso dell’età adulta potevano essere spiegate perlopiù come il riflesso di tendenze genetiche innate, come avere un brutto o un bel carattere. Però, la forza di volontà per resistere a una caramella poteva benissimo avere una componente genetica, ma poteva anche essere riconducibile all’educazione e all’ambiente, producendo un raro vantaggio infantile che avrebbe potuto rivelarsi proficuo a vita. Quel vantaggio era sembrato ancora più notevole una volta verificati i benefici globali dell’autocontrollo, come aveva concluso Baumeister nel 1994 scrivendo che l’incapacità di dominarsi è la principale patologia sociale della nostra epoca. Tutto ciò sarebbe dimostrato da numerose prove, secondo le quali la scarsa padronanza di sé contribuirebbe all’alta percentuale di divorzi, alla violenza domestica, all’aumento della criminalità e a tutta una serie di altri problemi. Questo aveva indotto a effettuare nuovi studi ed esperimenti e a elaborare una scala per misurare il grado di autocontrollo nei test sulla personalità. Confrontando i risultati scolastici con oltre trenta tendenze della personalità, i ricercatori avevano notato che l’autocontrollo era l’unico tratto che permetteva di prevedere il rendimento universitario, ancora più del quoziente intellettivo o del semplice caso. L’intelligenza allo stato puro era sicuramente un vantaggio, ma lo studio aveva dimostrato che l’autocontrollo era ancora più importante perché aiutava gli studenti a frequentare più assiduamente le lezioni, a dedicare più tempo allo studio e meno tempo alla televisione. Sul lavoro, i manager dotati di un elevato autocontrollo erano più apprezzati sia dai loro subordinati sia dai colleghi. In generale, le persone dotate di una buona padronanza di sé sembravano particolarmente capaci di creare legami soddisfacenti e duraturi con il prossimo, maggiormente in grado di capire gli altri e i loro punti di vista, più stabili emotivamente e meno soggetti ad ansia, depressione, para-
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noie, psicosi, comportamenti ossessivo-compulsivi, disturbi dell’alimentazione, alcolismo e altri mali. Si incollerivano meno frequentemente e tendevano a essere meno aggressive verbalmente e fisicamente. Per contro, le persone poco capaci di dominarsi erano più inclini a usare violenza contro il partner e a commettere ripetutamente tutta una serie di altri reati. Uno studio condotto su ex detenuti rintracciati dopo anni dalla scarcerazione aveva infatti dimostrato che quelli dotati di minor autocontrollo tendevano a commettere altri reati e di conseguenza a scontare altre condanne. Le prove più evidenti sono state pubblicate nel 2010, proprio mentre stavamo terminando la stesura di questo libro. Nel corso di uno studio meticoloso sul lungo termine, molto più vasto e approfondito di tutti quelli effettuati in precedenza, un’équipe di ricercatori di varie nazionalità aveva sorvegliato mille cittadini neozelandesi dalla nascita all’età di 32 anni. L’autocontrollo di ogni bambino era stato valutato in vari modi (tramite l’osservazione dei ricercatori, ma anche grazie alle relazioni di genitori, insegnanti e dei bambini stessi), ottenendo una misurazione particolarmente precisa. Questo aveva permesso di confrontare il punteggio ottenuto con un’amplissima gamma di eventi verificatisi nell’adolescenza e nell’età adulta dei soggetti. I bambini dotati di elevato autocontrollo erano diventati adulti con una salute fisica migliore, minori problemi di obesità, meno malattie a trasmissione sessuale e persino denti più sani (a quanto pare, un buon autocontrollo è associato al lavarsi regolarmente i denti e al passarsi il filo interdentale). L’autocontrollo è irrilevante nell’ambito della depressione nell’adulto, ma la sua assenza rende le persone più vulnerabili all’alcolismo e alle tossicodipendenze. I bambini incapaci di dominarsi, da adulti avevano tendenzialmente raggiunto un livello economico inferiore, percepivano retribuzioni relativamente bas-
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se, avevano conti bancari ridotti, raramente erano proprietari dell’abitazione in cui vivevano e in pochi casi avevano fatto investimenti per la vecchiaia. Inoltre, erano in maggior numero genitori single, presumibilmente perché facevano più fatica ad autodisciplinarsi e ad accettare i compromessi dei rapporti sul lungo termine. Per contro, i bambini dotati di un buon autocontrollo avevano tendenzialmente relazioni affettive stabili e i loro figli vivevano con entrambi i genitori. Ma soprattutto, i bambini dotati di scarso autocontrollo avevano da grandi scontato un maggior numero di pene carcerarie. Tra le persone meno in grado di dominarsi, oltre il 40% aveva subito una condanna penale prima dei 32 anni, contro il 12% di coloro che, in gioventù, si erano posizionati ai livelli più alti della scala dell’autocontrollo. Ovviamente, alcune di quelle differenze dipendevano dall’intelligenza, dalla classe sociale e dall’etnia, ciò nonostante i risultati si sono dimostrati significativi pur tenendo conto di tali fattori. In uno studio successivo gli stessi ricercatori avevano osservato gli altri figli delle stesse famiglie per poter confrontare bambini cresciuti in ambienti domestici analoghi. Anche in quel caso, i fratelli e le sorelle dotati di minor autocontrollo durante l’infanzia se l’erano cavata meno bene da adulti, erano diventati più poveri, meno sani e più inclini a commettere reati. Nel complesso, lo studio neozelandese si è rivelato il più convincente in assoluto, avendo misurato l’autocontrollo più precisamente e su un campione più vasto di popolazione, rispetto all’esperimento una tantum della caramella. Inoltre, il fatto di non essere stato condotto da ricercatori che volevano dimostrare una tesi sull’autocontrollo, lo rende più affidabile. I soggetti erano stati seguiti nel corso di parecchi anni e i dati, molto più obiettivi e non basati solo su resoconti soggettivi, erano stati raccolti durante un lungo arco di tempo. I risultati non po-
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tevano essere più chiari: l’autocontrollo è un’energia vitale e uno strumento formidabile di realizzazione personale.
Evoluzione e bon ton Mentre gli psicologi scoprivano i benefici dell’autocontrollo, antropologi e neurologi cercavano di capire come questo si evolve. Il cervello umano si distingue per la presenza di lobi frontali ampi e complessi, che sono la causa di quello che a lungo è stato considerato il vantaggio evolutivo cruciale: l’intelligenza per risolvere problemi ambientali. È abbastanza logico, dopotutto, che un animale più intelligente sia in grado di sopravvivere e di riprodursi meglio di un animale ottuso. Ma i cervelli di grandi dimensioni necessitano di maggiori quantità di energia. Il cervello umano adulto costituisce il 2% dell’organismo, ma consuma oltre il 20% della sua energia. Quindi la materia grigia in più è utile solo se consente all’animale in questione di procurarsi le calorie in più che servono ad alimentarla, ma gli studiosi non riuscivano a capire in che modo il cervello si sostentasse. Che cosa aveva permesso che cervelli sempre più grandi, dotati di lobi frontali straordinari, si diffondessero nel genere umano? Una delle prime spiegazioni riguardava le banane e altri frutti molto calorici. Gli erbivori non hanno bisogno di pensare troppo per trovare di che cibarsi, ma un albero carico di banane mature oggi, domani può essere già stato depredato o essere rimasto solo con frutti mosci, brunastri e poco invitanti. Chi si nutre di banane ha bisogno di un cervello più grande per ricordare dove si trovano i frutti maturi e tale cervello può essere alimentato dalle calorie delle banane, quindi la teoria del «cervello cercafrutta» sembrava molto sensata, ma solo in teoria. L’antropologo Robin Dunbar
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non aveva trovato alcuna convalida esaminando i cervelli e la dieta di animali diversi: le dimensioni del cervello non sono correlate al tipo di alimentazione. Dunbar alla fine aveva concluso che il cervello non si è ingrandito per affrontare l’ambiente fisico, ma per uno scopo ancora più cruciale per la sopravvivenza: la vita sociale. Gli animali dal cervello più grande formano rapporti sociali più ampi e complessi, il che ha suggerito un nuovo modo per comprendere l’Homo sapiens. Gli esseri umani sono i primati dotati dei lobi frontali più ampi perché fanno parte dei gruppi sociali più numerosi e, apparentemente, è per questo che hanno maggiormente bisogno dell’autocontrollo. Spesso si considera la forza di volontà come una dote che ci permette di migliorarci (seguire una determinata dieta, svolgere il proprio lavoro puntualmente, fare esercizio fisico, smettere di fumare), ma probabilmente non è questo il motivo principale per cui si è evoluta a tal punto nei nostri antenati. I primati sono animali sociali che devono dominarsi allo scopo di andare d’accordo con gli altri membri del gruppo di appartenenza, in quanto dipendono gli uni dagli altri per procurarsi il cibo di cui necessitano per sopravvivere. Al momento della condivisione del cibo, spesso è il maschio più grande e più forte a scegliere per primo cosa mangiare, mentre gli altri aspettano il loro turno in base alla loro posizione sociale. Per sopravvivere in un gruppo di questo genere senza scontrarsi fra loro, tali animali devono reprimere l’impulso di mangiare immediatamente. Scimmie e scimpanzé non potrebbero fare pasti in santa pace se avessero cervelli da galline e finirebbero per sprecare più calorie di quelle che assumono per contendersi il cibo. Altri primati possiedono le capacità mentali per rispettare un minimo di etichetta a cena, ma il loro autocontrollo è sempre microscopico rispetto a quello umano. Gli esperti
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ipotizzano che i primati non umani più intelligenti siano in grado di pianificare mentalmente un futuro di non oltre 20 minuti, il tempo necessario per lasciar mangiare il maschio dominante, ma non sufficiente per fare progetti per il dopo cena. Alcuni animali, come gli scoiattoli, sotterrano istintivamente il cibo per recuperarlo in seguito, ma questi sono comportamenti programmati e non progetti consapevoli di approvvigionamento. Nel corso di un esperimento svolto su scimmie alimentate una sola volta al giorno, si è visto che queste ultime non imparavano a mettere da parte il cibo per il pasto successivo. Pur potendo prendere tutto ciò che volevano durante il pasto di mezzogiorno, si limitavano a mangiare a sazietà, ignorando gli avanzi oppure sprecandoli e contendendoseli tra loro. Ogni mattina si svegliavano affamate perché non veniva loro in mente di accantonare una parte del cibo per uno spuntino serale o per la colazione. Gli esseri umani ci arrivano grazie al cervello di maggiori dimensioni sviluppatosi nei nostri antenati del genere Homo due milioni di anni fa. L’autocontrollo agisce in larga parte inconsciamente. Durante un pranzo di lavoro, non dovete certo trattenervi consapevolmente dal mangiare la carne dal piatto del vostro capo! Il vostro cervello inconscio vi aiuta costantemente a evitare i disastri sociali e lavora in maniera così sofisticata ed efficiente che alcuni psicologi arrivano a considerarlo il vero capo. L’infatuazione per i processi inconsci scaturisce da un errore fondamentale commesso da ricercatori che si ostinano a frammentare il comportamento in segmenti sempre più brevi, individuando reazioni che si verificano così rapidamente che non possono essere decise a livello conscio. Se si cerca la causa di un determinato movimento in un arco di tempo misurato in millisecondi, la causa immediata sarà l’attivazione delle cellule nervose che collegano il cervello ai muscoli. Questo processo non com-
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porta alcuna consapevolezza perché non ci si rende conto dell’attivazione delle cellule nervose. La volontà, invece, è da ricercare nel collegamento di vari segmenti nel corso del tempo, esaminando ogni situazione nell’ambito di uno schema generale. Fumare una sola sigaretta non danneggia la salute, così come assumere eroina una volta non crea dipendenza. Una fetta di torta non fa ingrassare e il mancato rispetto di una scadenza non rovina la carriera. Tuttavia, allo scopo di mantenersi sani e occupati bisogna considerare ogni episodio (o quasi) come il riflesso della necessità globale di resistere a tali tentazioni. È qui che entra in gioco l’autocontrollo, che determina la differenza fra il successo e il fallimento in quasi tutti gli aspetti della vita.
Perché leggere questo libro? Il primo passo per acquisire l’autocontrollo è stabilire un obiettivo, quindi vi illustriamo lo scopo di questo libro: cercare di sposare il meglio delle moderne scienze sociali con il buon senso pratico dell’Ottocento. Vogliamo spiegarvi perché la forza di volontà, o la sua mancanza, ha condizionato la vita dei grandi e dei meno grandi. Vogliamo raccontarvi la storia della riscoperta dell’autocontrollo e delle sue implicazioni sul campo. Quando hanno cominciato a notare i benefici dell’autocontrollo, gli psicologi si sono ritrovati di fronte a un nuovo enigma: che cos’è esattamente la forza di volontà? Che cosa spinge l’io a resistere a una caramella? Quando aveva affrontato tali interrogativi, Baumeister possedeva una conoscenza dell’io più o meno in linea con la visione convenzionale di allora, definita modello di elaborazione delle informazioni, per cui lui e i suoi colleghi parlavano della mente come di
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un piccolo computer. Tali modelli informatici della mente umana generalmente ignoravano i concetti di forza e di energia, ormai talmente fuori moda che nessuno si sognava più di contestarli. Baumeister non prevedeva di dover cambiare di colpo la sua visione dell’io, tantomeno quella degli altri, ma quando lui e i suoi colleghi avevano cominciato a effettuare esperimenti, le vecchie idee non erano più sembrate così datate. Il risultato di decine di esperimenti condotti nel laboratorio di Baumeister e di centinaia effettuati altrove è una nuova comprensione della forza di volontà e dell’io. Noi cercheremo di spiegarvi quanto abbiamo appreso sui comportamenti umani e come sfruttare tali conoscenze per cambiare in meglio. Acquisire l’autocontrollo non è così semplice come le tecniche illustrate nei moderni manuali di auto-aiuto, ma non è nemmeno quel processo repressivo e soffocante che aveva caratterizzato l’età vittoriana. Sostanzialmente, imparare a dominarsi aiuta a rilassarsi, perché rimuove lo stress e mette in grado di sfruttare la forza di volontà in vista degli impegni più importanti. Siamo convinti che questo libro può rendere la vostra vita non solo più produttiva e soddisfacente, ma anche più semplice e felice.
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