Optima Salute Gold - Marzo 2017

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N. 255 ANNO XXVI

Marzo 2017

Dossier

Speciale

I bambini e il dentista

L’energia di primavera con l’aiuto di sport alimentazione e multivitaminici

Alimentazione La colazione perfetta



Sommario

Anno XXVI n. 255 Marzo 2017

Direttore responsabile Claudio Sampaolo Coordinamento editoriale Roberta Stagno Grafica e impaginazione Enrico Marinelli email: info@studiorocchetti.com Redazione Studio Rocchetti Comunicazione Strada Lacugnano Giardino, 3 06132 Perugia e mail: redazione@studiorocchetti.com Tel. 075 5170247 Fax 075 5171430 Marketing e pubblicità Francesca Capalbo Tel. 06 41481370 Fax 06 41481383 Gabriele Iannella Tel. 06 41481292 email: optima@comifar.it

Collaboratori Francesca Aquino, Chiara Baldetti, Benedetta Ceccarini, Stefano Ciani, Pompeo D’Ambrosio, Melissa Finali, Francesco Fioroni, Andrea Giordano, Maria Mazzoli, Roberto Moraldi, Simona Peretti, Maria Pia Pezzali, Giuseppe Rinonapoli, Rolando Rossi, Gelsomina Sampaolo, Filippo Tini Consulente scientifico Dottor Pompeo D’Ambrosio Fotografie AGF Creative - Fotolia - iStock Illustrazioni Sabrina Ferrero Editore Comifar Distribuzione S.p.a. Via Fratelli Di Dio, 2 20026 Novate Milanese (MI) Registrazione del Tribunale di Milano n.727 del 04/12/2008 Fotolito e Stampa Charterhouse in collaborazione con Rotolito Lombarda S.p.A. Via Sondrio, 3 20096 - Seggiano di Pioltello (MI) Prezzo per copia € 1,00 Costi di abbonamento: copie 50 € 250,00 copie 100 € 365,00 copie 150 € 505,00 copie 200 € 655,00 copie 300 € 950,00 copie 500 € 1.545,00 Rivista ceduta esclusivamente in abbonamento attraverso il canale Farmacia Info e abbonamenti: www.optimasalute.it

omaggio del tuo farmacista

Post-it

Rubriche

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Post-it Pro-memoria della salute

di Francesca Aquino

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Hobby House Cinema, musica e libri

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Ultima pagina Oroscopo, ricette, appuntamenti, curiosità

di Gelsomina Sampaolo

Testata associata

www.optimasalute.it

OPTIMASALUTE

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Sommario

Anno XXVI n. 255 Marzo 2017

Dossier

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L’igiene dentale dei bamabini Come insegnare ai figli i “fondamentali” per salvaguardare i denti e familiarizzare col dentista: dalla prima visita all’apparecchio ortodontico. I consigli del dottor Evangelista Giovanni Mancini, Presidente dell’Associazione Nazionale Dentisti A cura di Maria Mazzoli

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Allergie e raffreddore da fieno In arrivo le riniti: sintomi, terapie e test per individuare gli allergeni colpevoli di Francesca Aquino

Quando arriva la dismenorrea… Il ginecologo: terapia estroprogestinica, antidolorifici e integratoridi di Gelsomina Sampaolo

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Il nostro peso ideale Come calcolarlo e tenerlo sotto controllo con formule e…buon senso

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Parto in casa, scelta rischiosa In aumento le donne che decidono di seguire questa antica pratica

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di Pompeo D’Ambrosio

La colazione perfetta Sì a pane integrale, marmellata, yogurt, frutta. No a brioche e merendine

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di Benedetta Ceccarini

di Melissa Finali

Pelle a primavera: 4 passi di salute I prodotti giusti per proteggere viso, mani e corpo di Gelsomina Sampaolo

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Come diventare “SuperAnziani” Stupire il cervello, ecco il segreto dei nonni energici e con una memoria di ferro

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La depressione post-parto Ne soffre il 15% delle puerpere e può comportare rischi anche per il bambino

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La leggenda dei gatti dispettosi Comportamenti a volte incomprensibili sono il segnale di profondi disagi

di Filippo Tini

di Francesco Fioroni

di Chiara Baldetti



Post-it salute

di Francesca Aquino

La prima ibernazione 50 anni fa

La prima ibernazione della storia è avvenuta il 12 gennaio del 1967, 50 anni fa. Il Prof. James Bedford, deceduto a 73 anni, è tutt’ora conservato nelle strutture della Alcor Life Extension Foundation (una delle tre aziende al mondo ad offrire questo servizio). I primi a richiedere la crioconservazione morirono improvvisamente di cause naturali e fu impossibile provvedere tempestivamente al congelamento per conservarne i corpi, mentre quello di Bedford, morto a causa di un tumore, è stato conservato in un contenitore sotto vuoto e in azoto liquido prima a Glendale, in California, poi a Phoenix, in Arizona, ed infine nelle strutture della Alcor a Scottsdale, sempre in Arizona. Dall’ultimo esame effettuato sul corpo nel 1991 risultava “un maschio ben nutrito che appare più giovane dei suoi 73 anni”.

I rischi dei selfie

Un uso compulsivo del cellulare potrebbe indurre gravi disturbi psichiatrici, secondo quanto osservato nei due principali ospedali dell’India, su sei persone, per lo più giovani, affetti da ‘selficidio’. Secondo quanto dichiarato dal dott. Nand Kumar dell’ospedale Aiims i pazienti in questione “sentivano il bisogno impellente di mettersi in posa davanti allo smartphone” e per questo “avevano sviluppato una patologia conosciuta come ‘disordine dismorfico del corpo’ (continuo pensiero ad un proprio difetto fisico, ndr.) che li ha portati ad un disordine compulsivo ossessivo”. Secondo l’Associazione psicologica americana (Apa), circa il 60% delle donne che soffrono di questa patologia ossessiva non se ne rendono conto.

Figli in provetta da 3 genitori

In Gran Bretagna è stato dato il via libera alla sperimentazione della tecnica di concepimento dei ‘bambini con tre genitori’. Questa procedura, secondo quanto affermano i ricercatori coinvolti, mira a evitare la trasmissione di alcune malattie rare ereditate per via materna. Consiste nel sostituire il DNA contenuto nei mitocondri della madre portatrice del ‘difetto’ ereditario con quello di una donna sana. Il primo parto è atteso a Newcastle entro l’anno.

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Post-it salute

Test dell’HIV casalingo

Basterà una piccolissima puntura sul polpastrello, un quarto d’ora di attesa e si potrà sapere se si è affetti da HIV nella privacy di casa propria. Dal 1 dicembre 2016, Giornata mondiale contro l’Aids, infatti, sono disponibili nelle farmacie italiane i primi test per l’autodiagnosi dell’Hiv. Il prodotto non necessita di ricetta medica per tutti i maggiorenni. Questo test mira al calo delle diagnosi tardive da Hiv (in Italia si stimano da 6.500 a 18.000 persone sieropositive non diagnosticate), con una conseguente diminuzione del rischio collettivo. Il costo del test si aggira attorno ai 20 euro.

Mamma, ho mal di pancia!

Quando vostro figlio lamenta un mal di pancia sospetto, ci sono dei test che potete eseguire a casa, consigliati dal pediatra, per verificare la gravità della situazione. Non si tratta di niente di grave se: il dolore è intermittente (non dura mai più di mezz’ora e si alterna a periodi di benessere), il bambino si agita, il dolore è localizzato vicino all’ombelico. Si potrebbe trattare di qualcosa di serio se invece: dura oltre la mezz’ora, il bambino sta fermo perché il movimento causa dolore o ha difficoltà a muoversi, o il dolore è lontano dall’ombelico.

Un miliardo di ipertesi

Negli ultimi 40 anni il numero di persone ipertese nel mondo è quasi raddoppiato, raggiungendo 1,13 miliardi. È quanto emerge da un ampio studio pubblicato su The Lancet dai ricercatori della Non Communicable Disease Risk Factor Collaboration. L’aumento è associato ad un’alimentazione poco salutare, ricca di calorie, grassi saturi e povera di frutta e verdura. Oltre la metà degli ipertesi vive in Asia e, globalmente, gli uomini sono ipertesi più delle donne. Per quanto riguarda l’Italia, il confronto tra le due indagini dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare/Health Examination Survey (1998-02 e 2008-12) mostra che, nel decennio considerato, nella fascia di età 35-74 anni il valore medio della pressione arteriosa sistolica è sceso in entrambi i sessi, mentre quello della diastolica è sceso solo nelle donne e lo stato del controllo dell’ipertensione è migliorato in entrambi i sessi.

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Post-it salute

La chirurgia estetica nel 2017

Secondo le stime del sito Estetica24.com, gli interventi più richiesti quest’anno saranno la mastoplastica additiva e la rinoplastica. La previsione si basa su 600 richieste ricevute nel mese di dicembre sul portale, incrociate con i dati dell’ultimo anno. Le aree geografiche con maggior numero di richieste per la mastoplastica additiva saranno Campania, Lazio, Emilia Romagna e Lombardia. Per quanto riguarda invece la rinoplastica, in testa troviamo sempre la Campania, seguita da Puglia, Umbria e Sardegna.

Le noci del buonumore

Secondo una ricerca della University of New Mexico, pubblicata sulla rivista Nutrients, la chiave del buonumore potrebbe risiedere in una manciata di noci al giorno. Ma l’effetto positivo vale solo per i giovani, studenti universitari, in special modo i maschi. Gli studiosi, infatti, hanno preso in esame 64 studenti, tra i 18 e i 25 anni invitandoli a mangiare tre fette di ‘banana bread’ (un plumcake alla banana) al giorno per 16 settimane. Per 8 settimane sono state aggiunte noci all’impasto, per altre 8 no. Al termine dell’esperimento, è stato misurato l’umore, con un apposito test, Profiles of Mood States (Poms) e si è notato “un significativo 28% di miglioramento del tono dell’umore nei giovani - spiega l’autore della ricerca, Peter Pribis - mentre gli stessi miglioramenti non hanno riguardato le ragazze, ma non sappiamo il perché”.

Adolescenti: un voucher per la salute

La Società italiana di medicina dell’adolescenza (Sima) ha proposto l’idea di un carnet di voucher da usare per le visite specialistiche in strutture convenzionate del Sistema sanitario nazionale, per far fronte all’enorme richiesta di cure in questa fascia di età. Secondo i dati Istat 2015, in Italia sono oltre 300mila i pazienti che soffrono di almeno una patologia cronica tra i 15 e i 17 anni. Circa il 13% di questi è affetto da malattie allergiche, mentre solo l’1,3% soffre di disturbi nervosi. Per gli esperti, nei prossimi 8 anni saranno circa 900mila gli adolescenti affetti da malattie croniche.

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Allergie e raffreddore da fieno A primavera esplodono le riniti, dalle alimentari a quelle causate da pollini e acari. Le terapie più efficaci, i sintomi, ed i test per individuare gli allergeni colpevoli di Francesca Aquino

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italiano su quattro soffre di patologie allergiche, con in testa la rinite (meglio conosciuta come “febbre da fieno”) che colpisce il 25% della popolazione, mentre l’asma è al 5-6%. E all’interno della “categoria” riniti un ruolo preponderante lo svolgono le cosiddette allergie alimentari, che riguardano il 7-8% dei bambini di età inferiore a 3 anni, mentre nell’adulto arrivano al 5-6%. Una fetta di connazionali non eccezionale, eppure quasi il 50% degli italiani è convinto di essere

un soggetto allergico o intollerante. Perché questo allarme? Sul tema si sono confrontati allergologi e immunologi durante il Congresso Nazionale dell’AAIITO (Associazione degli Allergologi e Immunologi Territoriali e Ospedalieri Italiani) e sia la dottoressa Beatrice Bilò (presidente AAIITO) che il dottor Antonino Musarra (presidente eletto AAIITO) hanno detto parole importanti, cercando di fare chiarezza e spiegando che “le innovazioni del settore sono tutte orientate verso una ‘medicina di

precisione’ che cerca di costruire per il singolo paziente il suo specifico percorso diagnostico-terapeutico”. Di fatto il tema è assai dibattuto e non da oggi, se è vero che già nel 1991 il professor Allen P. Kaplan, allergologo di fama mondiale, definì le intolleranze “allergie non allergiche” spiegando che, in effetti, sia le allergie tradizionali che le intolleranze alimentari indicano un identico squilibrio generale del sistema immunitario che una persona può avere. L’allergia classica

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Solo i test per lattosio e glutine hanno una validità ha delle reazioni esplosive, immediate (shock anafilattico, reazione da orticaria…); le reazioni da allergia ritardata, invece, quelle che una volta si chiamavano da intolleranza, sono in realtà legate a una specie di accumulo della stessa sostanza, è un modo di reagire all’esterno. I sintomi possono talvolta essere identici, con gravità diverse. Per l’allergia abbiamo una reazione acuta immediata, difensiva, per le altre modalità di reazione l’organismo prende il suo tempo per conoscere l’ambiente intorno a sé e quindi fa una riflessione più lunga prima di reagire. È bene ribadire, però, che la difficoltà di stabilire con esattezza a quali alimenti si è allergici ha consentito alla medicina convenzionale di evidenziare intolleranze solo nei casi del lattosio e del glutine (celiachia), per le quali, comunque, occorre procedere con cautela per evitare i molti casi di falsi positivi, dovuti a test ritenuti troppo “disinvolti”. Uno studio della Società italiana di Allergologia e immunologia clinica dimostrò, dati alla mano, che rispetto ad un 20% di intervistati che dichiarava di soffrire di qualche problema allergico o di intolleranza ai cibi, le analisi cliniche verificarono che solo il 2% di queste persone aveva realmente un

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problema medico. Le conseguenze di quello che viene definito “falso positivo” possono portare a gravi effetti, specialmente quando vengono tolti dalla propria alimentazione anche cibi fondamentali come il latte e le uova: questo è tanto più grave quanto più viene attuato nei confronti di soggetti in giovane età. Per questo è fondamentale affidarsi a medici e centri specializzati. “Infatti, quello delle intolleranze alimentari - conferma la dottoressa Bilò - è un problema che risulta sempre più avvertito, spesso in maniera esagerata. Un fenomeno in crescita, con numeri raddoppiati nell’arco di cinque anni. Il problema è che spesso questa percezione, quella di essere intollerante o allergico a qualcosa, non corrisponde a realtà. Quelli che si sottopongono più frequentemente a controlli sono le donne, soprattutto quelle tra i 40 e i 50 anni ed i sintomi, effettivamente, sono spesso di difficile interpretazione: problemi intestinali, cefalea, prurito e stanchezza vengono facilmente etichettati come causati da allergie. Gli alimenti responsabili della stragrande maggioranza delle reazioni allergiche sono: latte, uova, arachidi, pesci, frutta secca, soia nei bambini e, negli adulti, arachidi, noci, pesci, crostacei,

soia, verdura e frutta”. Ma quali sono i test più affidabili? “Sono pochissimi - aggiunge il dottor Musarra, quelli che hanno un reale valore scientifico: solo quelli per lattosio e intolleranza al glutine sono stati riconosciuti ufficialmente validi. Ed è facile accorgersi dell’approssimazione di questi test: a volte basta ripeterli dopo pochi giorni per avere valori totalmente opposti. Fra tutti ricordiamo il test citotossico, eseguito sul sangue, che esamina le modificazioni dei globuli bianchi a contatto con un alimento; il test kinesiologico, che valuta le variazioni di forza muscolare; il Vega test, che analizza le variazioni di conduttanza della cute. La convinzione comune è che queste allergie/intolleranze alimentari possano provocare disturbi di vario tipo, che spaziano dai problemi gastrointestinali a quelli cutanei, dalle alterazioni umorali all’aumento di peso, e se è pur vero che l’eliminazione di alcuni ingredienti dalla nostra dieta potrebbe indurre un’apparente sensazione di benessere e di leggerezza, questo non significa che la diagnosi sia corretta. Non è un caso che le prime sostanze che vengono eliminate dalla dieta sono proprio le amine e il grano, che spesso provocano, appunto, disturbi e pesantezza”.



I SINTOMI PIÙ COMUNI DELLE REAZIONI AL CIBO APPARATO GASTRO INTESTINALE

Meteorismo, eruttazioni, diarrea, nausea, gastrite, reflusso gastroesofageo, epigastralgia, colite, sindrome del colon irritabile, dispepsia, sensazione di pesantezza, dolori addominali, malassorbimento, malattie infiammatorie intestinali (come Morbo di Crohn o rettocolite ulcerosa), appetito ridotto o aumentato, crampi.

SISTEMA RESPIRATORIO

Riniti, sinusiti, bronchiti, asma, tosse, difficoltà di respirazione, tendenza a ripetere forme infettive, faringite o laringite, raucedine, poliposi nasale e sinusale, russamento (roncopatia), ostruzione nasale, olfatto ridotto o aumentato.

CUTE

Eruzioni cutanee, eczema, orticaria, acne, dermatiti, prurito cutaneo, ritenzione idrica e linfedema, lesioni vasculitiche, eritema solare, psoriasi e dermatite atopica.

SISTEMA NERVOSO

Cefalea ed emicrania, astenia, difficoltà di concentrazione, torpore mentale, sonnolenza, vertigini, affaticamento, sbalzi d’umore, sindrome da stanchezza cronica, alcune forme d’insonnia, manifestazioni epilettiche con aura; in relazione a studi recenti che coinvolgono la neurochimica cerebrale, anche aspetti nevrotici, tendenza depressiva, ansia, iperattività e altri sintomi classicamente neurologici oggi possono essere aiutati anche da un controllo alimentare.

APPARATO GENITOURINARIO

Cistiti, vaginiti, infezioni, sterilità, dismenorrea, candidosi, cistiti abatteriche (in cui non sembra esserci alcun microbo responsabile), ripetizione frequente di queste patologie, enuresi, mestruazioni abbondanti, dolorose o irregolari, endometriosi, supporto alla fecondazione assistita, controllo di alcune delle condizioni patologiche della gravidanza.

SISTEMA MUSCOLARE E ARTICOLARE

Artrite reumatoide, mialgie, crampi, tendenza agli strappi, dolori articolari, artriti in genere, comprese quelle reattive e psoriasiche, spasmi, tremore, rigidità muscolare.

METABOLISMO, DIABETE E OBESITÀ

È stata osservata I’esistenza di una forte relazione tra infiammazione da cibo e sovrappeso. Controllando l’assunzione degli alimenti non tollerati si può ottenere una riduzione dei radicali liberi e un miglioramento della sensibilità insulinica, con effetti a cascata sul metabolismo.

ALTRO

Edemi, gonfiore delle palpebre, del volto o delle gengive, congiuntiviti, infezioni ricorrenti, afte, difficoltà di deglutizione, ronzio auricolare, perdita di udito, aumentata sensibilità ai suoni, angina, palpitazioni, tachicardia, infiammazioni venose o arteriose, vasculiti, anemia, leucopenia, riduzione delle piastrine. È ormai accertato che I’interferenza sul sistema immunitario può contribuire alla genesi di molte malattie autoimmuni o reumatologiche, quali artrite reumatoide, crioglobulinemia, LES e alcuni casi di diabete e sindrome di Cushing.

Tutte le forme di riniti, una per una Abbiamo poco sopra parlato di test allergologici. Al di là della specificità della rinite di origine alimentare, e tornando alle riniti in senso generale, gli otorinolaringoiatri consigliano, sul loro sito di riferimento, questi test: Prick test: si applicano sulla cute dell’avambraccio, sospensioni acquose delle sostanze da

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testare (pollini, acari, derivati epidermici di animali). Si valutano le reazioni della cute (rossore, gonfiore). Test di provocazione nasale specifica: si fanno inalare al paziente per via nasale sospensioni in polvere delle sostanze da testare (pollini, acari). Si valutano le reazioni (comparsa di ostruzione

nasale, di prurito, di starnuti e di secrezione). Test su siero: si eseguono mediante un prelievo di sangue. Con essi si possono valutare: • IgE totali (PRIST): misura la quantità complessiva degli anticorpi dell’allergia (IgE). • IgE specifiche (RAST): misura la quantità degli anticorpi (IgE) per


I sintomi più frequenti sono prurito al naso, starnuti e bruciori

ogni singola sostanza (inalante, alimentare, farmacologica). Cerchiamo a questo punto di allargare lo zoom e fare un po’ di chiarezza sulle riniti che possiamo classificare in allergiche (associate a reazioni allergiche o simil-allergiche), idiopatiche non allergiche (rinite vaso-motoria), virali e batteriche o di altri tipi (iatrogene, ormonali, da cause meccaniche…). La rinite allergica, come detto, è scatenata da allergie ai pollini di alcuni alberi in primavera, delle graminacee in estate, di diversi tipi di erbe in autunno. I sintomi più frequenti sono: prurito al naso, starnuti, idrorrea nasale (scolo di siero dal naso), naso “tappato” e bruciori. La diagnosi viene formulata solo sulla storia riferita dai pazienti (anamnesi). I test diagnostici (test cutanei e sierologici) confermano e dettagliano il tipo di allergia. La rinite perenne o aperiodica, invece, è provocata da allergie ad allergeni domestici come

acari, polveri, insetti e derivati epidermici di animali (peli del cane e del gatto, piume). I sintomi sono simili a quelli delle forme stagionali, ma durano per tutto l’anno. Molto meno conosciute e diffuse sono invece: la rinite perenne legata a reazioni simil-allergiche con incremento di eosinofili nelle secrezioni nasali (sono cellule del sangue associate alle allergie); la rinite vasomotoria e ipertrofia dei turbinati nella quale il paziente reagisce in modo anomalo (iper-reattività) al caldo e al freddo, alle variazioni di umidità, al fumo di sigaretta e a stimoli emozionali. Ancora: la rinite virale, causate da Rhinovirus, virus influenzali e para-influenzali e quella batterica, susseguente quasi sempre ad un raffreddore comune virale di cui costituisce una complicazione. La rinite farmacologica o rinopatia iatrogena non è altri che l’effetto secondario più conosciuto derivante dall’uso prolungato di spray o gocce nasali decon-

gestionanti che contengono vasocostrittori. Chiedete sempre consiglio al medico o al farmacista di fiducia che vi spiegheranno come l’utilizzo di questi farmaci, molto utili per brevi periodi nel raffreddore (non oltre 6-7 giorni), va incontro ad un fenomeno di tipo tossico, che si esplica a livello della mucosa nasale cagionando un aumento di volume dei turbinati (ipertrofia). Abbiamo ancora le riniti provocate da cause meccanicoostruttive, come la deviazione del setto nasale o causate da adenoidi ipertrofiche, che gonfiandosi bloccano entrambe le fosse nasali creando un importante ristagno di secrezioni. Le riniti in gravidanza sono invece legate agli elevati livelli ormonali, che però scompaiono quasi sempre dopo il parto; solo nel 10 % dei casi sono necessarie ulteriori terapie. Infine, una rinite cronica può comparire in stati non trattati di ipotiroidismo (diminuzione della funzione della tiroide).

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La terapia farmacologica L’obiettivo principale è di ridurre i sintomi utilizzando, quando è possibile, farmaci facilmente tollerabili. I più usati sono: Sintomatici: hanno attività antiinfiammatoria e agiscono su tutti i sintomi (congestione nasale, rinorrea, sternuti, prurito). I più attivi sono quelli a base di acido acetilsalicilico e i FANS (Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei) come, per esempio, ibuprofene o diclofenac. Decongestionanti: sotto forma di spray o gocce nasali, utili a ridurre sensibilmente tutti i sintomi. Non devono essere utilizzati per più di 7-8 g. Lavaggi nasali: si eseguono con prodotti a base di acqua marina distillata e sterilizzata con lo scopo di asportare le particelle che sono state inalate

(polveri e pollini). Aerosol terapia: da eseguire con l’ausilio di idonei strumenti nei quali inserire farmaci e/o acque termali, che hanno una efficace attività antiinfiammatoria, mucolitica e “rivitalizzante” sulle mucose ed agiscono bene soprattutto nelle riniti croniche e nelle sinusiti. Balsamici: prodotti a base di principi attivi ricavati da varie tipi di erbe e piante, migliorano il flusso respiratorio nasale. Polivitaminici: da usare soprattutto nelle forme virali recidivanti. Utilizzano farmaci a base di complessi vitaminici idrosolubili. Antinfluenzali: i farmaci “antivirali”. Possono essere utili contro le forme rinitiche influenzali e similinfluenzali causate da virus simili a quello dell’in-

I decongestionanti vanno utilizzati al massimo per 7-8 giorni

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fluenza (rhinovirus, adenovirus, ecc…). Antistaminici: adatti per le riniti allergiche, utili nel ridurre il prurito nasale, le crisi di starnuti e le secrezioni nasali (idrorrea). Possono provocare effetti collaterali fastidiosi (sonnolenza, secchezza della bocca, ritenzione urinaria). Corticosteroidi ad uso topico (endonasale): spray nasali che agiscono efficacemente su tutti i sintomi. Corticosteroidi sistemici: si somministrano per via orale o parenterale (iniezioni intramuscolari o endovenose). Agiscono in modo estremamente efficace e completo su ogni sintomo, ma si possono utilizzare solo per brevi periodi (non più di 15/20 giorni di terapia). n



Quando arriva la dismenorrea... I suggerimenti del ginecologo per prevenire e attenuare i periodi di crisi: visita specialistica, terapia estroprogestinica, antidolorifici e integratori di Gelsomina Sampaolo

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dolori mestruali sono un problema che affligge moltissime donne, con la comparsa del ciclo, in maniera piuttosto indiscriminata tra aree geografiche, età e status sociale. Il termine medico esatto è “dismenorrea” (dall’unione del prefisso negativizzante dis- e la

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parola “menorrea” che indica il flusso mestruale) e comprende tutta una serie di disturbi più o meno intensi, a livello generalizzato e localizzato nell’area pelvica. I dolori prettamente mestruali sono identificati da crampi nel basso ventre (che possono

irradiarsi anche nelle zone circostanti, come interno cosce e schiena), ma spesso la dismenorrea può accompagnarsi ad altri sintomi come dolore lombare, diarrea, nausea, tensione mammaria, mal di testa e nervosismo. Per comprendere a fondo cause e rimedi a questi fastidiosi dolori


(ancora oggi una delle principali cause di assenza da scuola e dal lavoro per molte donne) abbiamo interpellato il dottor Saverio Arena, ginecologo e dirigente medico della Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Perugia. Dottor Arena, quali possono essere le cause di questi dolori che si ripetono ad ogni mestruazione? “Dovremmo fare intanto una distinzione e suddividerli in base al periodo in cui insorgono. Accanto a quelli che definiamo “mestruali” abbiamo una sintomatologia non meno fastidiosa e non meno importante che insorge nel resto del ciclo. In maniera estremamente canonica dividiamo la dismenorrea in una forma primaria ed una secondaria. La forma primaria è essenzialmente sine causa. Le forme secondarie sono invece

imputabili a cause specifiche. In letteratura ritroviamo fondamentalmente endometriosi, fibromi uterini, adenomiosi, cisti ovariche. In questo caso sarebbe opportuno fare un distinguo importante ma ovviamente la sede non lo consente. Possiamo però affermare che chiudere cosi la cosa sarebbe sicuramente riduttivo. L’endometriosi non si manifesta sempre con dolori ed anche quando li provoca possono essere non facili da collegare. Spesso una chiacchierata con un ginecologo “esperto” della patologia apre una serie di scenari che la sola diagnostica strumentale (ecografia ad esempio) non consente di vedere. Per i fibromi uterini non sempre c’è la comparsa di dolore. Spesso ad esempio sono responsabili di dismenorrea le forme sottomucose, ovvero che occupano la cavità. Ma anche in questo caso le dimensioni dell’utero legate all’età della

donna e al numero di gravidanze avute possono incidere sulla sintomatologia. L’adenomiosi occupa uno spazio importante. È patologia spesso misconosciuta e poco considerata, ma che forse è la principale causa di dismenorrea secondaria. Spesso, inoltre, questa sintomatologia è quella più difficile da gestire”. I dolori possono essere il sintomo di anomalie? “Ovviamente sì. Immaginiamo che la cavità uterina sia come una bottiglia capace di contenere più o meno liquido. È ovvio che però la sintomatologia verrà generata dalle dimensioni della bottiglia, dalla quantità di liquido ma anche dalla caratteristica della bottiglia stessa intesa come costituzione della parete e morfologia. Un utero con una maggiore componente fibrotica nella sua struttura sarà sicuramente meno estensibile e indurrà più dolore. Così come un organo anomalo

A volte è meglio una chiacchierata con uno specialista rispetto ad una indagine strumentale

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potrà generare una sintomatologia più importante (insellamento uterino, utero unicorne, corni rudimentali, etc.). Non dimentichiamo poi che tutta la sintomatologia varia la sua caratteristica in base all’interessamento neurologico che porta, e a come le fibre nervose conducono il dolore (ma qui dovremmo aprire le porte ad un’altra discussione)”. I crampi, tipici della dismenorrea primaria, hanno una causa specifica? “La forma primaria o idiopatica non trova cause che la inducono. La causa dovrebbe essere identificata in un’aumentata produzione di prostaglandine (grande famiglia di mediatori chimici di molte funzioni del nostro organismo) che indurrebbe una maggiore e incontrollata contrattilità della muscolatura uterina con conseguente insorgenza di dolore. Solitamente in questa categoria rientrano le forme più giovanili di dismenorrea. In questo caso il volume ancora di dimensioni contenute del corpo uterino non farebbe altro che aumentare la sintomatologia dolorosa”. Quando si manifesta generalmente la dismenorrea? “Dipende molto dalla causa che la genera. Le forme primitive insorgono prevalentemente qualche giorno prima dell’inizio del ciclo per poi migliorare nei giorni successivi. Le forme secondarie sono molto variabili e possono avere una correlazione con la fase mestruale o esserne totalmente scollegate come spesso succede con la sintomatologia da endometriosi”. Ci sono dei soggetti maggiormente a rischio? “Bella domanda! Diciamo che se potessimo identificare preventivamente i soggetti a rischio, soprattutto delle forme secondarie avremmo risolto una buona fetta delle problematiche della donna e non solo intesa come dolore. In realtà, non è semplice fare

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una previsione. Sicuramente un’opportuna gestione già dai primi sintomi ci può permettere di affrontare nei modi migliori la condizione ed eventualmente aggredire precocemente le patologie più subdole quali l’endometriosi”. Come si arriva ad una diagnosi di dismenorrea? “Solitamente viene fuori dalla conversazione con la paziente. Uno specialista attento e “paziente” riesce sicuramente a guidare la donna nella descrizione della sintomatologia. Il passo successivo è andare eventualmente a cercare i punti più dolorosi in caso di lesioni da endometriosi ad esempio”.

Una gestione oculata fin dai primi sintomi può attenuare nel migliore dei modi il dolore Una volta accertata la presenza di una dismenorrea primaria, quali possono essere i trattamenti? “La scelta di una terapia passa sempre attraverso il momento della vita che la donna attraversa. Ovviamente, soprattutto nelle ragazze più giovani, sempre ben accetti i rimedi della nonna quali la borsa dell’acqua calda sulla pancia. Poi… forse una terapia estroprogestinica, la pillola anticoncezionale, a lungo termine ha una resa migliore rispetto al trattamento spot con antidolorifici. Specialmente nelle ragazze più giovani eliminare i giorni del dolore in maniera costante apre le porte ad una migliore qualità della vita e non impone di dover prevedere quando iniziare a prendere

un antidolorifico per evitare che il dolore sia ingestibile... Poi ovviamente gli antidolorifici. Ogni donna riferirà sicuramente di avere una buona risposta ad uno piuttosto che ad un altro. Esiste poi una ampia gamma di integratori a base di magnesio, agnocasto, acido alfa-lipoico che possono essere inseriti in una gestione cronica dei sintomi”. E in caso di dismenorrea secondaria, come dobbiamo comportarci? “Dipende dalla patologia ovviamente e dalla fase della vita in cui ci troviamo. Per fase della vita dobbiamo anche considerare a che distanza siamo dal desiderio di una gravidanza. Ove possibile una terapia farmacologica che permetta di posporre un eventuale intervento chirurgico è sempre indicata, specie nell’endometriosi in cui il rischio di una nuova chirurgia è sempre dietro l’angolo. Bisogna avere l’obiettività di capire cosa possa essere importante per la donna che è davanti a noi e soprattutto cosa siamo in grado di fare chirurgicamente”. Qual è la casistica di incidenza di questi dolori, secondo la sua esperienza? “Importante, ma dobbiamo anche tener presente che molte donne convivono con questi sintomi e preferiscono una gestione self del problema”. Ci sono dei comportamenti consigliati e/o sconsigliati in caso si soffra di dismenorrea? “Il consiglio è quello di affrontare la cosa con uno specialista. Farsi guidare anche in questa condizione è importante non solo per gestire i sintomi ma anche per identificare le cause. Patologie come l’endometriosi e l’adenomiosi possono essere responsabili anche di infertilità per cui la loro gestione è fondamentale nella pianificazione di una vita”. n




Il nostro peso ideale Esistono formule e sistemi per calcolarlo, compresi i parametri relativi a massa grassa e magra. Ma movimento e corretta alimentazione sono sempre carte vincenti Nei mesi scorsi abbiamo molto parlato del nostro peso, anzi del sovrappeso, specialmente se abbinato ad una attività sportiva. Che si parli di professionisti (“il peso corporeo eccessivo, anche tenendo conto delle relative specifiche variabili legate a ogni attività sportiva è sicuramente uno svantaggio per qualsiasi disciplina”) o di neofiti i problemi sono sempre in agguato. Fermo

restando che tutto è soggettivo, chi è in sovrappeso modesto, più o meno fino al 10% rispetto al suo valore teorico, non corre alcun pericolo, chi è oltre tale soglia dovrebbe, quantomeno, evitare di iniziare un’attività come la corsa e preferire camminare. In questa terza puntata il dottor D’Ambrosio conclude la sua analisi parlando specificatamente di peso ideale.

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di Pompeo D’Ambrosio medico sportivo, cardiologo

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Peso,

pesante sono termini di uso comune, che usiamo quotidianamente anche più di una volta. Ogni cosa ha il suo peso, ogni parola può essere leggera o pesare come un macigno. Come si vede, le potenzialità sono molteplici, infinite direi. Il concetto può avere una valenza positiva o negativa, dipende dal contesto. “L’aria che si respira in questa stanza è pesante”, per spiegare come ci sia un clima di imbarazzo, comunque ad alta tensione (contesto negativo). “Il gol segnato dal nostro attaccante è stato davvero pesante”, per affermare come l’evento sportivo è stato risolto a proprio favore (contesto positivo). Pertanto il concetto, di per sé molto importante, può far virare la situazione verso una conclusione positiva o negativa a seconda delle circostanze. In definitiva, che cosa rappresenta il peso? Da un punto di vista strettamente fisico, è la forza cui è sottoposto un corpo da parte di un campo gravitazionale. Difficile? No, basta spiegarci bene. Nella formula “P = m x g”, P è il peso, m è la massa del corpo, g è la forza di gravità, Nel nostro caso, dato che viviamo sulla Terra, la forza di gravità è pari ad un’accelerazione di 9,81 metri al secondo, e corrisponde alla forza con cui un corpo è attratto dal centro della Terra; la massa di un corpo è sempre la stessa, che ci si trovi al mare o in montagna, sulla Terra o sulla Luna. Già, la Luna... Qui il concetto cambia, perché se ci si sposta dal nostro ad un altro corpo celeste, si modifica la forza di attrazione, cioè la gravità; un corpo di una determinata massa avrà perciò un peso diverso, pur non modificando la massa. È immediato il ricordo degli astronauti che passeggiano sulla luna. Sembrava rimbalzassero o fossero quasi sospesi nel vuoto, così

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come quando si muovono all’interno della navicella, sempre senza l’effetto della forza di gravità, in locali dove tutto galleggia, dai loro corpi agli oggetti di uso comune: piatti, bicchieri, eccetera. A cosa è servita questa dotta elucubrazione? A spiegare che, sia pure in maniera differente, tutto “ha un certo peso” e che, dato che sulla terra la forza di gravità è più o meno dappertutto sempre la stessa, per stare bene, cioè godere delle migliori condizioni possibili di sa-

lute, è necessario che “la massa del nostro corpo” sia adeguata. Pertanto, il primo obiettivo di una corretta alimentazione dovrebbe essere quello di tendere al peso corporeo corretto o, nel caso questo fosse stato già raggiunto, di mantenerlo invariato. Semplificando al massimo, il peso di una persona rappresenta il risultato finale di un bilancio tra entrate e uscite: se le calorie introdotte sono maggiori di quelle consumate, il peso incrementa, nel caso contrario diminuisce.



Le scuse-standard Nella maggior parte dei casi è assolutamente questo il meccanismo che regola la questione; spesso però, per furbizia, ignoranza, malafede o eccessivo candore vengono tirati in ballo i più svariati meccanismi per giustificare un peso eccessivo; già, perché nel 99,99% dei casi il problema non sta nel cercare di aumentare il proprio peso corporeo, ma di diminuirlo. Ecco allora che vengono citati, in un ordine sparso ma sempre costante: 1) Metabolismo basale alterato, per cui il consumo calorico per vivere è più basso del normale. 2) “Costituzione”: termine improprio che racchiude nel contempo inadeguatezza a svolgere attività fisica, eredità di qualsiasi fattore che impedisca una corretta alimentazione, malattie immaginarie

(stipsi, meteorismo, eccetera). 3) Mancanza di specchi all’interno dell’abitazione, sì da considerare come ideale l’immagine proiettata sul mondo del proprio corpo (questa è una nota dell’autore, che sintetizza l’insieme delle risposte più curiose e strampalate ascoltate nel corso di una professione ultratrentennale). La realtà non è esattamente questa, e se si facessero sforzi effettivi la situazione tenderebbe sicuramente a migliorare. Da un punto di vista teorico la situazione è certamente migliorata nel corso degli ultimi 30 anni, ma sicuramente non in maniera del tutto sufficiente. Dietro un peso smodatamente eccessivo spesso sono presenti risvolti di tipo psicologico (ansia e/o depressione, stress) o psichiatrici (bulimia, psicosi vere e proprie); anche una magrezza

eccessiva a volte è espressione di patologie più o meno gravi (dai semplici disturbi del comportamento alimentare, comunque da non sottovalutare, fino alla drammatica anoressia, che può anche portare all’annientamento del proprio corpo e alla morte). Tutto ciò, però, non deve essere la giustificazione per una resa incondizionata o per una perdita delle iniziali e scarse motivazioni per raggiungere una condizione ideale. Questo aggettivo dovrebbe essere interpretato non nel suo significato iniziale: “ideale”, nel senso letterale del termine, esprime un qualcosa che non esiste nella realtà, ma rimane confinato al mondo delle idee, del teorico. Invece, nel nostro caso, l’idea iniziale, raggiungere un corretto peso, dovrebbe essere cercata, perseguita e raggiunta.

Le vecchie bilance... Già, ma come possiamo interpretare il peso ideale? Si diceva poc’anzi di come siano mutati nel corso degli ultimi decenni i canoni di riferimento in proposito. Basta pensare alle bilance automatiche, quelle che ormai si vedono solo in alcuni ospedali, negli aeroporti o in farmacia. Sono un lontano ricordo di chi è nato prima degli anni 90. Bene, questi ingombranti strumenti, con cui, al prezzo di 50 lire, veniva misurata la “forza-peso” (breve ripasso: è uguale al prodotto della massa per la forza di gravità), insomma il peso corporeo, riportavano, nel frontespizio, una tabella con il peso “ideale”, calcolato in base all’altezza e al sesso; andan-

do a rileggere quelle tabelle, viene da sorridere: uomini di 30-40 anni, alti 1 metro e 75, avrebbero dovuto pesare dai 78 agli 82 kg; donne di 1 metro e 65, di 30 anni, erano nel peso giusto fino a 6870 kg. La situazione è lievemente migliorata con l’introduzione delle variazioni legate alla costituzione corporea: concetti come brevi, normo e longilineo portarono con sé l’idea che chi era “ossuto” e di caviglia fina dovesse avere un peso ridotto rispetto a chi possedeva una muscolatura maggiore e una corporatura più robusta. Non basta. Si è capito che l’età gioca un brutto scherzo anche nei confronti del peso: da un lato, con il passare degli anni, cala il

metabolismo basale (questo perciò comporta che, per avere lo stesso risultato, in termini di peso, bisogna introdurre con l’alimentazione meno calorie) e dall’altro si assiste alla perdita della massa muscolare, cioè all’ipotrofia (che deve essere combattuta con una maggiore attività fisica, anche con l’aiuto di piccoli sovraccarichi). Gli studi sui grandi numeri della popolazione hanno portato a concludere che un peso minore rispetto agli standard di un tempo si identifica con uno stato di salute migliore, e si è perciò introdotto su vasta scala il termine di BMI, acronimo che sta ad indicare “indice di massa corporea” (letteralmente sarebbe body mass index,


dalla lingua anglosassone). Cosa si intende? Rappresenta il rapporto tra il peso (in kg) e il quadrato dell’altezza (espressa in metri): valori tra 20 e 25 rappresentano la normalità, al di sotto e al di sopra si entra rispettivamente nel mondo della magrezza patologica e del sovrappeso, con diverse sottocategorie che esprimono maggiore o minore gravità. Tutto risolto? Neanche per sogno. Un primo appunto va fatto proprio

alla eccessiva semplicità. Facciamo un esempio: un uomo alto 2 metri e del peso di 100 kg ha un BMI di 25 (100 diviso 4, a sua volta determinato da 2, l’altezza in metri, elevata al quadrato), quindi appena entro i confini della normalità; lo stesso risultato si ottiene con un soggetto alto 1 metro e 65 con un peso di 68 kg: se la matematica non è un’opinione (in questo caso sì), pur avendo lo stesso valore di BMI, le due per-

sone non sono assolutamente paragonabili, e il soggetto più basso, lo si intuisce anche senza avere grossa competenza in materia, è sicuramente più grasso, a parità di costituzione, rispetto a quello alto 2 metri. Questo per evidenziare come non ci sia un metodo semplice (o semplicistico) per determinare a priori il peso ideale di una persona, con la conseguenza che le valutazioni devono essere fatte caso per caso.

C’è massa e massa (corporea) Un ulteriore passo in avanti è stato fatto con l’introduzione del concetto di massa grassa e massa magra. Tornando alla legge fisica da cui siamo partiti, cioè “P = m x g”, dobbiamo sempre considerare g come una forza non modificabile (almeno sulla terra), mentre m, la massa, nel caso del corpo umano può grossolanamente essere suddivisa, come detto, nelle due sottocategorie: è

evidente come la massa magra, costituita da ossa e muscoli, abbia un valore molto più positivo rispetto al grasso. I metodi per calcolare i due tipi si sono fatti sempre più specifici e sofisticati, ed hanno contribuito a fare sempre maggiore chiarezza sul concetto di peso corretto. Cerchiamo di esprimere alcuni punti: • la massa grassa non dovrebbe

essere superiore al 20-25% del totale. • la donna ha percentualmente più massa grassa dell’uomo (tessuto mammario, diverso metabolismo legato a fattori ormonali, eccetera). • al di sotto del 7-8% la donna in età fertile non ha più il ciclo mestruale, come se la natura ponesse un limite fisiologico al concetto di magrezza eccessiva.

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• la massa magra è metabolicamente più attiva, nel senso che 1 kg di muscolo determina un dispendio energetico maggiore di un kg di grasso. Oggi esistono vari metodi per calcolare la massa, dalla plicometria (determinazione attraverso la misurazione di diverse pliche cutanee messe in relazione con la circonferenza degli arti, addominale, eccetera) alla bioimpedenziometria (basata sulla differente capacità di condurre una corrente elettrica da parte dei diversi tessuti corporei), fino all’uso di strumenti più complicati e anche molto costosi (macchine utilizzate finora solo per la determinazione della densità ossea). Le cose semplici sono anche le migliori per un impatto produttivo su larga scala. Per rimanere nel campo della medicina, ma senza il bisogno di utilizzare calcoli astrusi, ci viene in soccorso il metro, sì, il vecchio strumento utilizzato dai sarti fino ai venditori di stoffe e agli ingegneri. Si è detto fino alla noia che il grasso, quando in eccesso, è portatore di malattie, o è comunque associato a situazioni sfavorevoli. Ma, anche dal punto di vista metabolico, c’è grasso e grasso. Ad esempio quello che si deposita a livello dell’addome è certamente molto più pericoloso di quello che si accumula nei glutei, nel torace o nelle cosce. È un grasso “attivo”, in grado di svolgere un’ulteriore azione negativa a livello dell’apparato cardiovascolare. Per meglio quantificare la situazione, si è coniato il termine di “sindrome metabolica”. Quando la circonferenza addominale è superiore a 102 cm nell’uomo e 88 cm nella donna, bisogna verificare altri dati; in particolare, se sono presenti almeno due tra i seguenti fattori, può essere fatta diagnosi di sindrome metabolica: • ipertrigliceridemia superiore a 150 mg/dl; • colesterolo HDL inferiore a 40

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mg/dl nell’uomo e 50 nella donna; • pressione arteriosa maggiore di 130/85 mm/Hg (o soggetto in terapia antipertensiva); • glicemia a digiuno maggiore di 100 mg/dl (o 110 secondo altre teorie). Questo dimostra una volta di più come il peso in eccesso non sia mai una buona cosa, e al tempo stesso come una situazione compromessa rappresenti in parte la figura del “cane che si morde la coda”. Ci spieghiamo meglio. Il peso, si è detto più volte, rappresenta in maniera semplificata ma sostanzialmente esatta il risultato finale del bilancio energetico tra calorie introdotte con il cibo e quelle consumate con l’attività fisica.

Il grasso che si deposita a livello dell’addome è pericoloso perché svolge un’azione negativa a livello cardiaco Entro certi limiti, meno si mangia e più ci si muove, meglio è. Il difficile è però far coincidere i due programmi, soprattutto a livello del consumo. Se è vero che una restrizione calorica comporta sempre una perdita di peso, è l’attività che determina il mantenimento della struttura muscolare; in poche parole, digiunando si perde peso, ma anche massa magra. D’altro canto, un eccesso di peso esercita una duplice componente sfavorevole: da una parte la fatica insorge più precocemente,

limitando perciò la possibilità di esercizio, dall’altra le articolazioni, i tendini e le strutture ossee, quando la situazione è particolarmente sfavorevole (per tornare al discorso precedente, quando l’indice di massa corporea è di molto superiore al fatidico 25, che rappresenta il limite superiore del peso corretto), sono sottoposti a un carico che può portare a un’usura precoce (o comunque a un carico eccessivo, che alla lunga determina un infortunio). Estremizzando, possiamo sostenere che non esiste (quasi) alcun motivo per accettare un eccesso ponderale. Se a questo aggiungiamo la solita e immancabile conclusione che anche il cuore è un muscolo e come tale, se stressato in maniera impropria, può andare incontro ad una lesione (ischemia, infarto, scompenso), la risposta adeguata ed immediata dovrebbe essere un rapido ripensamento dello stile di vita, che rappresenta il primo e più importante mezzo che abbiamo per combattere la battaglia contro il nemico, la patologia in generale. Due possono essere le eccezioni a quest’ultima considerazione: 1. A partire da un periodo più o meno lontano nel tempo, che può anche essere collocato nell’infanzia, queste semplici regole di vita sana sono state perseguite con successo, per cui non c’è alcun bisogno di raccomandazioni. 2. “P = m x g” è stato modificato. Fermo restando che la massa è sempre la stessa, è diminuito il peso, in conseguenza di una riduzione della forza gravitazionale. In che modo? Vivendo in un simulatore in cui è stata abolita del tutto la gravità, oppure, più probabilmente, imbarcati di nascosto in una sonda lanciata nello spazio, è stata cambiata la residenza: da terrestre a… lunare! Con tutti i rischi legati all’osteoporosi. n



Parto in casa, scelta rischiosa

In aumento le donne che scelgono questa pratica. Allarme dei neonatologi: strada da evitare o percorsa con tutte le indicazioni di sicurezza del caso di Benedetta Ceccarini

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Secondo le ultime rilevazioni utili,

riferite al 2015, in Italia, sono nati circa 500 bambini tra le mura domestiche. Una percentuale minima rispetto ai nascituri totali (485.780, in calo comunque rispetto ai 502.596 del 2014), ma, come vedremo, una pratica che comporta dei rischi. Per saperne di più abbiamo interpellato il dottor Piermichele Paolillo, Direttore della UOC Neonatologia, Patologia Neonatale e Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Casilino di Roma, nonché consigliere della SIN (Società Italiana di Neonatologia).

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Dottor Paolillo, su quali numeri si sta ragionando? “Diciamo che le donne che decidono di partorire in casa sono in aumento. Anche se la percentuale è ancora molto bassa rispetto al totale dei neonati (0,1%) la tendenza è in crescita e lo scorso anno si stima siano venuti alla luce tra le mura domestiche circa 500 bambini. Un numero senza dubbio inferiore a quello reale e approssimativo, difficile da determinare per mancanza di dati completi e a cui vanno aggiunti anche i bambini di donne di altre etnie,

come i Rom, che tradizionalmente partoriscono presso le proprie dimore, donne non in regola con il permesso di soggiorno, le nascite ‘clandestine’, eccetera...”. È una scelta considerata rischiosa? “La maggior parte delle donne sane ha un parto fisiologico e una gravidanza a termine senza problemi, pertanto la gran parte delle nascite potrebbe realizzarsi senza la necessità di interventi medici. C’è sempre però da considerare il fattore rischio. Anche nelle condizioni ideali non è possibile esclu-


dere, con assoluta certezza, la possibilità che si presentino delle complicazioni, che metterebbero a rischio la salute di mamma e bambino e che implicherebbero, nel caso del parto a domicilio, un necessario ed immediato trasferimento in ospedale, anch’esso di per sé rischioso. Il trasferimento è un evento particolarmente frequente nelle nullipare (donne che non hanno mai partorito; ndr) con un’incidenza di circa il 40%, meno frequente (10%) nelle pluripare (più di un parto). Occorre anche considerare che per quanto il rischio assoluto possa essere basso, per il parto in casa è prevista una variabile associata ad un aumentato rischio di patologie neonatali, se confrontato con parto programmato in ospedale”. Perché si decide di partorire in casa? “Tra le ragioni che spingono a scegliere di partorire in casa, c’è il fatto che l’ambiente domestico è sentito dalla donna come più intimo e confortevole, rispetto a quello ospedaliero, trattandosi di un evento naturale come la nascita. La SIN è da anni impegnata in attività tese a demedicalizzare l’evento parto, per garantire questa “intimità” anche in ospedale così da instaurare sin da subito un contatto tra neonato e genitori. Negli ultimi anni i Centri nascita pubblici e privati hanno fatto grandi passi avanti affinché il parto, sia per la mamma che per il bambino, possa avvenire il più possibile in un ambiente “familiare”, prevedendo la presenza di entrambi i genitori, diminuendo al minimo la permanenza nella struttura sanitaria e mettendo in atto il rooming in, ovvero il bambino in camera con la mamma. Il parto è un evento naturale e come tale deve essere vissuto. Condividiamo le ragioni di chi vorrebbe partorire presso la propria casa, ma la situazione del nostro sistema sanitario ci obbliga a sconsigliare vivamente questa scelta. Tra le mura domestiche, in-

fatti, non sono garantite le misure di sicurezza necessarie in caso di problemi che possono subentrare. Ad esempio non c’è una rete capillare di ambulanze e, quando questa è garantita, bisogna fare i conti con la vicinanza e raggiungibilità di Terapie Intensive Neonatali”. Com’è la situazione nel resto del mondo? “Proprio per questo, in molte aree del mondo, è forte la convinzione che, allo scopo di offrire le migliori condizioni di sicurezza per la mamma ed il neonato, sia più sicuro partorire in ospedale. Tuttavia, il parto in casa è ancora ampiamente diffuso in diversi paesi come ad esempio l’Olanda in cui, anche con un trend decrescente negli ultimi 10/15 anni, avviene con una percentuale del 25%.

Occorre essere informati dei rischi che si corrono In Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito diverse associazioni ostetriche e ginecologiche supportano la pratica del parto a domicilio in donne sane, correttamente selezionate, la cui gravidanza sia senza complicazioni ed a basso rischio e se adeguatamente assistite durante il parto. Non ci sono, attualmente, studi definitivi sulla pratica del parto in casa, ma analisi osservazionali che sono affette da limitazioni metodologiche: piccola dimensione del campione, mancanza di un gruppo di controllo adeguato, difficoltà a distinguere tra parti in casa pianificati e non, l’eterogeneità nelle competenze e nella formazione dell’assistente al parto. Le donne che vogliono partorire in casa devono essere adeguatamente informate sui rischi e su tutti gli aspetti orga-

nizzativi e medici previsti sul loro territorio rispetto ad altre realtà. Risultati derivanti da studi su una specifica popolazione, infatti, non possono essere applicati automaticamente ad altri paesi o regioni, aventi un diverso sistema medico e organizzativo di assistenza alla maternità”. Cosa consiglia la SIN alle donne che scelgono comunque il parto a domicilio? “Noi, come del resto l’American Academy of Pediatrics e l’American College of Obstetricians and Gynecologists, continuiamo a sostenere che l’ospedale è il posto più sicuro dove partorire, ribadendo che partorire in casa espone mamma e neonato a rischi maggiori e imprevedibili. Tuttavia, qualora una donna decida di optare per il parto a domicilio, la SIN fornisce delle indicazioni per affrontare la nascita nelle condizioni di maggiore sicurezza possibile, sulla base anche dell’organizzazione sanitaria di riferimento. 1. La donna deve essere correttamente informata sui rischi del parto a domicilio e sull’organizzazione dello stesso nella città dove intende partorire. 2. Deve esservi un presidio ospedaliero attrezzato facilmente raggiungibile. 3. Deve essere garantito un trasporto rapido in ospedale per mamma e neonato ad opera di personale esperto ed addestrato nelle manovre di rianimazione. 4. Occorre pre-allertare l’Ospedale con Terapia Intensiva Neonatale più vicino. 5. La futura mamma deve rivolgersi a un’ostetrica con training appropriato nell’assistenza sia in ospedale sia a domicilio e che abbia documentata capacità nelle manovre rianimatorie neonatali. 6. È necessario garantire al neonato ed alla mamma, nelle ore immediatamente dopo il parto, tutti i controlli necessari e di routine”. n

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INSERTO MARZO 2017

L’energia di primavera A fine marzo le ore di luce a disposizione diventano 12, ma non tutti ne traggono benefici. Ecco terapie e consigli per chi accusa l’immancabile mal di stagione (ansia, mal di testa, gastrite...). L’aiuto dei multivitaminici, di sport e alimentazione a cura della redazione di Optima Salute


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C’è chi aspetta l’arrivo dell’ora legale, previsto per la notte fra sabato 25 e domenica 26 marzo un po’come la manna dal cielo, e non solo perché porterà 60 minuti supplementari di luce ogni giorno. Ormai la fine di questo mese è diventata quasi come lo sparo dello starter per l’inizio di un periodo importante nella vita di ognuno di noi, uno spartiacque tra il lungo inverno, il risveglio di primavera e l’esplosione dell’estate. Intanto avremo a disposizione della nostra vita sociale, sportiva, lavorativa oltre 12 ore di luce (alba 7,01 e tramonto alle 19,29). Basti pensare ad appena tre mesi fa, al solstizio d’inverno del 21 dicembre (alba alle 7,36 e tramonto alle 16,41) per rendersi conto delle appena 9 ore disponibili. Insomma, per gli amanti del sole e del caldo inizierà il conto alla rovescia che ci porterà al 21 giugno, quando la forbice si allargherà ancora e le ore di luce diventeranno ben 15 (alba alle 5,35, tramonto alle 20,48). Le ore di luce in più sono importanti anche per il

nostro fisico, visto che si tratta dell’elemento meteorologico che maggiormente influenza la nostra vita, agendo direttamente sull’orologio biologico dell’organismo, comandato dalla melatonina, l’ormone prodotto dalla ghiandola pineale incuneata nel cervello che regola il ciclo sonno-veglia. È noto che intensità e durata della luce solare condizionano la secrezione della melatonina, per cui la presenza nel sangue diminuisce in primavera e in estate, inducendo surplus di impegno (lavoro o hobby) e generando alla fine un naturale senso di affaticamento. Ma in questo periodo dell’anno la luce induce anche un considerevole aumento del metabolismo basale, dovuto ad una maggiore attività della funzione “simpatica” del sistema nervoso autonomo. In poche parole: consumiamo più calorie e sfruttando questo “dono della natura” , praticando una regolare attività fisica all’aria aperta, potremo perdere il peso in più accumulato durante il letargo invernale.

Meteoropatici e mal di stagione Naturalmente il cambio di stagione non sarà accolto da tutti con i fuochi d’artificio, visto che a cavallo tra inverno e primavera rispunteranno puntuali i disturbi tipici del periodo: nervosismo e apatia, mal di stomaco, insonnia e molto altro. Tutti quei meccanismi, cioè, che il nostro corpo mette in atto per superare i cambiamenti climatici. In genere si tratta di patologie reversibili, visto che i sintomi migliorano al susseguirsi degli sbalzi del clima, proprio perché il corpo impara a “regolare” i suoi tempi, la sua vita, proprio in relazione alla nuova situazione ambientale. I meteoropatici, per esempio, vedono aggravarsi malattie preesistenti, solitamente croniche, che peggiorano a causa del tempo, tipo mal di testa, disturbi del sonno, ipotensione, insonnia, irritabilità, ansia, depressione, malinconia, cefalea, difficoltà di concentrazione o altri disagi a carico di tutto l’organismo. Alla base di queste vere e proprie sindromi sembra esserci l’eccessiva produzione di alcuni ormoni da parte dell’ipotalamo (in particolare della serotonina, il principale mediatore chimico dello stress), dell’ipofisi, della tiroide (la tiroxina), e del surrene (le catecolamine, altri mediatori chimici che entrano in gioco nei periodi di sovraffaticamento o di stress). I fenomeni meteorologici esercitano quindi influssi di vario tipo sull’organismo, risentiti in modo particolare da alcuni individui, particolarmente sensibili in rapporto a fattori costituzionali, capacità di reazione dell’organismo, condizioni di salute. Alterazioni dello stato di benessere che si possono manifestare appunto con senso

di spossatezza, facile suscettibilità, eccitazione, senso di torpore. L’astenia e il nervosismo sono i sintomi più frequenti che si manifestano nei cambi di stagione, soprattutto in questo periodo e spesso coincidono con forme di allergia stagionale, prevalentemente alle graminacee ma anche ad altre fioriture, e ad un ricambio metabolico dell’organismo. È ovvio che le persone predisposte a subire in maniera maggiore gli sbalzi di temperatura e l’aumentata presenza di luce nell’arco delle 24 ore, siano le più a rischio, indipendentemente dal sesso e dall’età. Si tratta di individui particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici, della pressione atmosferica, dell’umidità (che incide sui disturbi reumatici) a cui si aggiunge una ricaduta di forme virali tra cui prevalentemente quelle gastroenteriche (ulcera, gastrite, reflusso gastroesofageo, colite). L’organismo, superato l’inverno, viene quindi sottoposto a maggior stress che si ripercuote sui sistemi di adattamento e metabolico. In genere, si diventa meteoropatici dopo i 50 anni, perché le difese dell’organismo cominciano a rallentare e anche per il fatto che, di norma, si è più sottoposti a stress. Ma anche persone più giovani e soprattutto le donne possono risentire del cambiamento meteo, anche con forme caratterizzate da problematiche essenzialmente di carattere psicologico, come astenia, nervosismo, irritabilità, cefalea muscolo tensiva, disturbi del sonno, che vengono ad essere aggravati con risvegli notturni precoci dovuti al ritorno dell’ora legale e del cambio del ritmo sonno-veglia.


Il mal di stomaco colpisce soprattutto gli Over 40

Naturalmente tutti coloro che sono a rischio di presentare patologie correlate al cambio di stagione dovrebbero adottare forme di prevenzione, come per esempio assumere, 48-24 ore prima dell’arrivo della perturbazione, un antiallergico associato a un sedativo vegetale come biancospino, tiglio o valeriana (mai benzodiazepina, il principio attivo contenuto negli psicofarmaci con proprietà ansiolitiche). Questo perché i meteoropatici, come i neurolabili, spesso soffrono di allergopatie, soprattutto da smog e da polveri sottili. E purtroppo le allergopatie sono

in aumento perché anche l’inquinamento atmosferico sale di livello. L’altra forma di prevenzione della meteoropatia è quella di curarne la causa, cioè la depressione o la neurolabilità. Nelle forme croniche o francamente depressive è fondamentale una diagnosi specialistica e un precoce trattamento con l’utilizzo di antidepressivi di nuova generazione. In quelle neuroasteniche (senso di spossatezza, astenia) sono utili i complessi vitaminici associati al magnesio, in particolar modo nel sesso femminile.

Attacco alla gastrite: sintomi e terapie Una delle “sentinelle” del cambio di stagione, forse la principale, è considerato lo stomaco. Basta pensare che di problemi che riassumiamo sempre per facilità con il termine “gastrite” soffre ogni anno il 35% della popolazione, con focus chiaramente su chi ha malattie correlate come la malattia del reflusso gastroesofageo o l’ulcera peptica ed in particolare sugli Over 40, separati o divorziati, chi abusa di farmaci, è stressato e in sovrappeso. Ciò è dovuto all’aumento della secrezione acida, che storicamente trova origine nel cambio di alimentazione praticato dall’uomo nel passaggio dall’inverno alla primavera e provoca il temuto “bruciore” . I disturbi, se sono rari (una volta ogni 15 giorni - un

mese) semplicemente si possono prevenire facendo attenzione all’alimentazione, evitando tutti quei cibi che possono irritare maggiormente l’esofago e lo stomaco. Per esempio agrumi, alimenti piccanti o grassi, menta, cioccolato, caffè, alcol, gran parte dei formaggi. Da bandire anche sigarette e farmaci gastrolesivi (tipo acido acetilsalicilico). Sono invece consigliati cereali, legumi, frutta e verdura, pesce, olio di oliva. Chi ha picchi di acidità molto più frequenti dovrà interpellare il proprio medico che prescriverà la terapia più appropriata. Quella standard si basa su farmaci che frenano la produzione di acido cloridrico da parte delle cellule della mucosa gastrica, farmaci che


creano una “pellicola” di protezione sulla mucosa danneggiata, aiutandone la cicatrizzazione ed eventuale terapia antibiotica nel caso venga riscontrata la presenza dell’Helicobacter pylori. In particolare, i farmaci antiacido vengono utilizzati per curare la sintomatologia dell’iperacidità gastrica, per la terapia di ulcere peptiche e per il reflusso gastroesofageo. Il più conosciuto ed efficace contiene idrossido di alluminio e idrossido di magnesio, che hanno un effetto opposto (lassativi i sali di magnesio, costipanti quelli di alluminio). Altri antiacidi altrettanto utilizzati sono a base di carbonato di sodio e potassio, di sodio bicarbonato con acidi malico e citrico ed infine a base di salicilato di bismuto. Parallelamente vanno indagate anche cause relative allo stress, che non influisce sulla secrezione acida ma direttamente sulla motilità dello stomaco, che gioca un ruolo fondamentale anche sull’intestino e sul colon. Il risultato temuto sarà una difficoltà digestiva e di conseguenza un peggioramento del reflusso gastroesofageo.

Tutti fuori: è ora di camminare (e correre) Qual è la prima cosa che avete fatto da bambini, quella che vi ha dato più soddisfazione? Beh, non ve lo ricordate ma chi c’era (i vostri genitori) ha un’idea precisa: il giorno in cui avete cominciato a camminare. Cioè la cosa più naturale e più facile di questo mondo. Dunque, che siate adolescenti pigri, maturi quarantenni o settantenni pantofolai, è ora di ricominciare a fare quello che avete fatto a 12 mesi. Camminare. Poi, pian piano, scoprirete che correre piano è più gratificante e meno noioso che camminare alla svelta e finirete per diventare dei podisti in erba. Ma senza fretta. Già iniziando con una camminata veloce di 20 minuti al giorno vedrete che alla sera vi sentirete meglio, con addosso quella benefica stanchezza che vi farà riposare meglio. E non preoccupatevi per i piccoli dolorini dei primi giorni. Quelli passano da soli, perché i muscoli sono intelligenti e ricordano che una volta, tanto tempo fa, anche loro avevano una vita molto, ma molto attiva. Ora qualche piccolo consiglio: 1) Come detto: iniziate lentamente, non cercate di fare i fenomeni perché il vostro corpo se ne accorgerà subito e vi farà inevitabilmente fermare dopo pochi minuti, con il cuore che bussa per uscire dal petto, il respiro affannoso, le gambe di legno. Quanto di peggio possa succedere per considerare l’attività sportiva una cosa che non fa per voi, fermarsi e buttare le scarpette. 2) L’approccio moderato esige anche disciplina. Se

fate sport solo nel fine settimana, il fisico non si adatterà mai e vi alzerete dal letto, nei giorni successivi con il mal di gambe ed il terrore di dover ricominciare. Per ottenere dei benefici è invece fondamentale cominciare con almeno due-tre uscite settimanali, distribuite in modo regolare e strategico, tipo lunedì, mercoledì, venerdì oppure martedì, giovedì e sabato/ domenica. 3) Chi abita in città dove esistono percorsi-vita, faccia magari un piccolo sacrificio prendendo l’auto (o la bici se ci sono comode piste ciclabili) ed eviti di camminare/correre sull’asfalto e in mezzo al traffico. Se proprio non avete alternativa alla strada, memorizzate la più elementare norma di prudenza: andate sempre in direzione opposta al senso del traffico, in modo da vedere le auto davanti a voi, mai alle spalle. Anche gli automobilisti vi vedranno meglio. 4) Preferite una superficie morbida come erba o sentieri sterrati, anche piste di atletica se ne avete una fruibile. Nel caso che scegliate sterrati, fate molta attenzione alle insidie nascoste: buche, avvallamenti del terreno, radici scoperte, aghi di pino che possono far scivolare, sassi sporgenti. Chi ha la fortuna di potersi muovere lungo una spiaggia eviti di seguire la pendenza del bagnasciuga. All’inizio potreste non farci molto caso, ma se la cosa si ripete con continuità, il modo di muoversi innaturale, con il corpo spostato tutto da una parte ed il peso caricato su una sola gamba o su una parte del piede (esterna o


interna) potrebbe darvi seri problemi. 5) Quando inizierete a correre con continuità, l’obiettivo sarà quello di riuscire a tenere per almeno 30’ senza fermarsi mai, evitando salite, scalinate e percorsi troppo vallonati. 6) Come accennato, mettete in conto indolenzimenti muscolari alla parte anteriore delle cosce, a polpacci, articolazioni delle caviglie, delle ginocchia e delle

anche. Tutti malanni che dovrebbero cessare non appena il vostro corpo si sarà adattato a questo nuovo tipo di sforzo. Un buon antidoto, oltre a 15’-20’ di stretching a fine corsa, è quello di fare un bagno caldo. Se i dolori persistono rivolgetevi ad un medico sportivo o ad un preparatore: potreste sbagliare l’appoggio dei piedi, lo stile di corsa o, molto più probabilmente, il tipo di scarpette che avete comperato.

Vitamine forever: fate il pieno! In primavera, più che in altre stagioni, occorre un leggero “rinforzo” per colmare carenze vitaminiche e minerali, soprattutto se non si riesce a seguire una alimentazione corretta. Inoltre, fattori come smog e fumo possono aumentare la produzione dei radicali liberi, le tossine prodotte dall’organismo che aggrediscono le cellule, accelerandone l’invecchiamento. In questi casi minerali con proprietà antiossidante (magnesio, zinco, ferro, calcio, potassio…) e multivitaminici (A, B, C…) possono tornare utili. Mai abusarne, naturalmente, e scegliere sempre prodotti di alta qualità, consultando il medico prima dell’uso. Questo per evitare interferenze nei meccanismi di azione di eventuali altri farmaci assunti contemporaneamente, determinando a volte un potenziamento o una diminuzione dell’efficacia. Oppure evitare il rischio di allergie e intolleranze nei confronti di

ingredienti specifici del prodotto. Evitare inoltre di assumere contemporaneamente diverse tipologie di integratori salvo diversa prescrizione medica. In linea generale i miglioramenti sono riscontrabili nel tono dell’umore, nell’aumento delle difese immunitarie, nella protezione dagli stress ambientali e più in generale nel contribuire alla salute della pelle e delle ossa. I multivitaminici e i multiminerali sono i più diffusi ed utilizzati per integrare la propria dieta alimentare, quando questa non è equilibrata. Per evitare una dose eccessiva di un singolo componente, però, è importante assumere un solo integratore multivitaminico o multiminerale alla volta ed essere a conoscenza dei suoi ingredienti prima di affiancarlo ad un altro prodotto. In sostanza, gli integratori alimentari producono effetti benefici sulla salute a patto che vengano assunti con criterio e non con superficialità.


Sos insetti: i pericoli per gli animali domestici Con il ritorno delle belle giornate anche i nostri animali domestici torneranno ad uscire più spesso, ad essere più vivaci di quando se ne stavano apparentemente annoiati a pisolare beatamente raggomitolati nella loro cuccia o nel cuscino preferito (pensate solo a quanto dormono i gatti in inverno...). Ma tutta questa maggiore libertà di manovra, questo ritorno all’aria aperta, comporta il doversi difendere da un quartetto di insetti, apparentemente innocui come pulci e zanzare o pungitori come i pappataci e le zecche, parassiti della famiglia dei ragni, che invece, tutti assieme, costituiscono un quartetto temutissimo, visto che ognuno di loro, preso singolarmente, è capace di devastare anche in maniera irreparabile i nostri animali domestici, il cane in prima fila. A questo proposito è fondamentale, specialmente con l’arrivo della primavera, il trattamento con prodotti antipulci (collari, spray, shampoo, pasticche...), secondo il dosaggio e i tempi di somministrazione specifici per ogni animale. Analisi più approfondite vanno sempre prescritte da un veterinario qualificato e quando curate il vostro animale, secondo la terapia concordata, va fatta particolare attenzione nell’uso dei corticosteroidi topici (pomate, soluzioni, emulsioni...), potenzialmente dannosi anche per la salute del padrone. Ricordatevi dunque di usare sempre i guanti per evitare l’assorbimento tramite contatto cutaneo.

Pulci e dermatite

La dermatite da allergia causata dalle pulci è il disturbo cutaneo più diffuso tra cani e gatti. Ma attenzione, la maggior parte della popolazione parassitaria (uova, larve e pupe) sono da individuare non sull’animale, bensì nell’ambiente in cui esso vive, quindi in casa o in giardino. In passato i veterinari e i padroni dovevano controllare le pulci disinfestando l’ambiente in cui viveva l’animale, per debellare anche gli stadi primordiali dei parassiti. Questo approccio, molto utile se effettuato correttamente, è però molto faticoso e richiede un lavoro continuo con ripetuti controlli. Oggi, fortunatamente, i veterinari hanno a disposizione degli ottimi prodotti per il controllo delle pulci, altamente efficaci, di lunga durata e sicuri.

Zanzare e filariosi

Le punture di zanzara possono avere risvolti patologici anche gravi per i cani, causati dalla trasmissione di un parassita, la Dirofilaria Immitis, noto come filaria, che può passare da un cane ad un altro tramite il pungiglione di una zanzara. La pericolosità di questo parassita deriva dal fatto che nella forma larvale vive nel sistema circolatorio,

mentre da adulto (dopo 6 mesi circa) risiede nel cuore e nelle arterie polmonari degli animali che ne vengono colpiti e si riproduce molto velocemente. Ne derivano due malattie: la filariosi cardio-polmonare e la filariosi sottocutanea (in cui i parassiti adulti si localizzano nella sottocute del cane infestato). La forma sottocutanea può colpire anche l’uomo (zoonosi) e la sua incidenza risulta aumentata significativamente negli ultimi anni. Una zanzara, inoltre, può trasmettere contemporaneamente entrambe le filariosi.

In Primavera è fondamentale il trattamento con prodotti antipulci


La filariosi cardiopolmonare si può prevenire con vari prodotti, come: compresse o tavolette appetibili (una volta al mese da maggio a novembre compreso), fialette (da applicare sulla cute una volta al mese) o iniezioni (per una protezione completa che dura tutto l’anno). Pur se in misura minore, anche i gatti possono essere colpiti da filariosi cardiopolmonare. Si stima che le filarie adulte, nel gatto, rimangono più piccole del normale e vivono meno (2-3 anni, a differenza dei 5-7 del cane) e che alcuni gatti riescono perfino a liberarsi spontaneamente dell’infestazione, divenendo immuni alla filaria. Ma quando il parassita attecchisce nel gatto, anche allo stato larvale, i rischi sono maggiori, a causa delle ridotte dimensioni cardiache dell’animale. Per questo la prevenzione è ancora più importante che nel cane, con l’uso di prodotti specifici (fialette, tavolette appetibili) da maggio a novembre, somministrati una volta al mese.

Zecche e ehrlichiosi

Parliamo di un aracnide, grande circa 1 centimetro, appartenente alla stessa famiglia di ragni, acari e scorpioni, dunque abilissimo ad attaccarsi con forza e ostinatamente alla pelle dell’animale, succhiando il suo sangue anche per giorni. Non è facile accorgersene, se non ci si abitua ad “ispezioni” regolari, perché il morso solitamente non è doloroso e non causa prurito (a parte una lesione locale), ma solo piccoli fastidi raramente seguiti da sintomi generali. Le zecche provengono da altri animali domestici, oppure dagli arbusti del sottobosco ed è importante fare controlli e regolari spazzolature specialmente quando si torna da passeggiate all’aperto. Passate le dita delle mani leggermente contropelo alla ricerca di piccoli noduli e/o sporgenze, per verificare la presenza delle zecche; questa abitudine è molto importante perché la trasmissione del parassita e la sua moltiplicazione avviene solo se la zecca resta attaccata almeno per 48 ore di seguito alla sua vittima. La malattia conseguente prende il nome di Ehrlichiosi, evolve rapidamente e nel giro di pochi giorni si può passare dalla forma acuta a quella cronica, fino ad essere letale. Se invece si individua subito la zecca, è opportuno toglierla senza indugi, perché tanto maggiore è il tempo che resta attaccata alla pelle, tanto più aumentano i rischi di contrarre l’infezione. Utilizzando quindi una pinzetta (ne esistono anche specifiche) si deve afferrare l’ospite il più vicino possibile alla pelle del cane, operando una torsione vicino alla pelle, e staccarla con una leggera trazione verso l’esterno, senza strappare per evitare che il parassita si spezzi e che quindi il suo apparato boccale rimanga attaccato alla pelle del cane. Una volta staccata, la zecca non va buttata per terra e schiacciata, perché non faremmo altro che per-

petuare il suo ciclo naturale, visto che per partorire si stacca dall’animale, fa nascere oltre 500 uova, e muore. Invece la zecca va bruciata o immersa nell’alcool e la parte dove si è attaccata va disinfettata e trattata con una pomata antisettica.

Flebotomi e leishmaniosi

I flebotomi, noti anche come pappataci a causa del loro volo silenzioso durante la ricerca dell’animale da pungere (e del suo sangue…), sono insetti pungitori che assomigliano alle zanzare e la loro pericolosità per gli animali domestici deriva dalla capacità di trasmettere malattie virali, batteriche e protozoarie, tra le quali la leishmaniosi è la più temibile. Si tratta di insetti molto piccoli (lunghi 2-3 millimetri), abituati a palesarsi prevalentemente di notte, mentre durante il giorno si nascondono in zone ombreggiate, preferibilmente in vicinanza di abitazioni, cucce di animali, cantine e sottoscala, lungo la riva degli stagni, nei prati, tra le foglie. Oltre all’adozione di misure igieniche generali per impedire la costituzione di nuovi focolai dove è possibile lo sviluppo dei flebotomi (per esempio in prossimità di centri di raccolta delle immondizie), bisognerebbe tenere l’animale all’interno della casa durante le ore notturne, specialmente nella stagione calda e nelle zone dove la malattia risulta endemica. Il cane punto dal pappatacio e infettato si mostrerà abbattuto, sanguinante del naso, con le articolazioni dolenti e gonfie, dimagrimento e inappetenza, perdita di pelo nella parte interessata, persino crescita anomala delle unghie. La diagnosi si effettua con un test sanguigno che fornisce l’esito in meno di dieci minuti.



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L’igiene dentale dei bambini

La prima visita, la paura, l’apparecchio ortodontico. Consigli ai genitori del dottor Evangelista Giovanni Mancini, Presidente dell’Associazione Nazionale Dentisti a cura di Maria Mazzoli

Certamente è importante che i bambini si lavino i denti, che lo facciano bene e con uno spazzolino e un dentifricio adeguati, che l’igiene dentale sia quotidiana. Ma questi sono solo i primi passi della prevenzione per una sana dentatura, insieme ad una corretta alimentazione. Accanto alle buone pratiche giornaliere, infatti, è fondamentale che ogni genitore si ricordi di inserire in agenda un appuntamento per una visita dal dentista. La diagnosi precoce di carie, gengiviti, malocclusioni è basilare per conservare in forma la bocca. Fin da piccoli. Gli stessi adulti, con alcuni semplici compor-

tamenti e abitudini, rivestono un ruolo determinante per la futura salute dei denti dei bambini. Dall’insegnare loro, anche attraverso il gioco, come lavarseli in modo corretto, soprattutto dopo i pasti, al prendere confidenza con il dentista, accompagnandoli nello studio molto presto così che possano curiosare tra gli attrezzi, salire e scendere dalla poltrona, bere l’acqua dalla fontanella che riempie il bicchiere usa e getta. Tutte piccole strategie con l’obiettivo di far capire che il signore in camice è “nostro amico”, così da ottenere la sua fiducia. Ma chi meglio di un esperto dentista, può farci capire quanto, quando e come

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Dossier sia importante mettere in moto la prevenzione fin da piccoli? Ecco perché abbiamo approfondito l’argomento con il dottor Evangelista Giovanni Mancini, presidente della Fondazione ANDI onlus (Associazione Nazionale Dentisti Italiani), medico chirurgo spe-

cialista in Odontostomatologia e Ortognatodonzia. È con lui che stiliamo questo approfondimento a tutto tondo, utile anche per orientarsi nel mondo della correzione ortodontica: quando e come fare uso dell’odioso apparecchio.

La prima visita entro i 12 mesi di vita Dottore, quando consiglia di effettuare la prima visita dentistica e poi le successive? “Secondo le più recenti raccomandazioni cliniche non solo nazionali ma internazionali, la prima visita va eseguita all’eruzione del primo dente e non più tardi dei 12 mesi di vita. In seguito è importante programmare una certa periodicità dei controlli. Un concetto generale da far presente ai genitori è l’importanza di far sì che il bambino si abitui sin da piccolo a vivere la visita odontoiatrica alla stregua di una visita pediatrica generale e, possibilmente, in assenza di patologie e dolore in fase acuta. La tempestività e regolarità dei controlli permette di attuare corrette misure preventive che aiutano decisamente a migliorare lo stato di salute orale e generale e ad evitare costi gravosi per terapie odontoiatriche più estese e complesse”. Perché è importante farla? “Gli elementi di valutazione di una visita di controllo in odontoiatria pediatrica sono: • lo stato generale di salute e di crescita • numero e morfologia dei denti presenti • presenza di dolore dentale e non • condizioni dei tessuti molli dentro e fuori la bocca • movimenti di apertura e chiusura della bocca • livello di igiene orale e salute delle strutture di sostegno del dente • occlusione • rischio cariogeno • comportamento del bambino”. Con quale cadenza dovrebbero essere eseguite le visite successive? “La periodicità dei controlli dovrebbe avere una cadenza di 8/12 mesi, ma sempre tenendo presenti le fasi evolutive e le diverse esigenze di valutazione di ognuna di esse. La visita deve “finalizzare” il piccolo paziente e i suoi genitori a dare adeguata rilevanza alle condizioni di salute della bocca stimolando l’adozione di comportamenti corretti sul piano della prevenzione, dell’igiene orale, dell’alimentazione”. Come “tranquillizzare” invece un bambino che ha paura del dentista? “La maggioranza dei bambini che si reca dal dentista per una visita di controllo non ha particolare paura e ansia se non si è in presenza di dolore acuto o di un evento traumatico che ha comportato dolore. L’ansia può essere involontariamente “trasmessa” dai genitori che, invece, dovrebbero essere gli inso-

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stituibili alleati dell’odontoiatra. La tranquillità, dunque, è data dal comportamento corretto del papà e della mamma che devono astenersi dall’annunciare la visita di controllo come un momento temibile e pericoloso e ovviamente anche il dentista deve porsi in modo adeguato nei confronti del piccolo paziente. Inutile insistere e forzare i bambini, soprattutto per i più piccoli la visita deve essere quasi un gioco o comunque un momento in cui scoprire e capire tanti aspetti che li riguardano. Un ulteriore aiuto può arrivare dall’ambiente in cui si effettua la visita, ad esempio l’ausilio di immagini colorate o di disegni da colorare in sala d’aspetto prima di entrare, la presenza di giochi o libri adeguati all’età, farlo assistere alla visita di un fratello, di un amichetto o di un altro piccolo paziente...”.


Problemi più frequenti: alimentazione e... apnea Quali sono i problemi più frequenti che si presentano? “Ancora oggi il primo e più frequente problema, sin dai primi anni di vita, è motivare i genitori a educare e sorvegliare i figli perché sia attuata correttamente l’igiene orale. È frequente il riscontro di patologie cariose anche in età prescolare, ma purtroppo vale ancora il concetto che siccome i denti da latte saranno sostituiti si possa prestare meno attenzione nei loro confronti. A questo si aggiunge l’assunzione diffusa di bevande con alto contenuto in zuccheri come i succhi di frutta, tè dolcificato e l’impiego di snack dolci (spesso anche per sedare i bambini nel corso della giornata) che facilitano ulteriormente l’insorgenza di patologie con un duplice danno: il ricorso a terapie estese con il rischio di perdita precoce di alcuni denti e l’instaurarsi di comportamenti alimentari inadeguati e nocivi non solo per la salute orale, ma anche generale. Altra condizione frequente è legata alle conseguenze dei traumi dentali e del volto. Sempre più numerose sono le situazioni a rischio: le attività sportive, quelle scolastiche, la mobilità in auto e non solo, le situazioni domestiche con scarsa sorveglianza, a volte, purtroppo, anche casi di maltrattamenti. I traumi possono essere causa di gravi compromissioni del cavo orale con conseguenze funzionali ed estetiche e l’adozio-

ne di misure preventive come l’impiego diffuso del paradenti nelle attività sportive più a rischio è fondamentale. Un importante e rilevante capitolo, poi, è legato a condizioni che possono indurre stati di apnea ostruttiva del sonno.

Non bisogna mai sottovalutare le carie, anche se si presentano sui denti da latte Nei bambini, oltre alle patologie infettive delle prime vie aeree con adeno-tonsilliti, possono trovare riscontro anche condizioni di alterata morfologia come un palato stretto e contratto, che possono portare dalle forme lievi di russamento ad aggravare o essere causa di apnea ostruttiva con conseguenze rilevanti non solo sulla crescita, ma sul comportamento e lo stato di benessere generale del piccolo”.

L’importanza di fluoro e sigillanti Sempre più spesso consigliati dai dentisti, quando si parla di prevenzione si sente parlare di sigillanti. Ma cosa sono? Utili per creare una barriera altamente efficace contro le carie, sono rivestimenti di resina fluida e sottile che si applicano alla superficie masticatoria dei denti permanenti posteriori del bambino, dove si formano la maggior parte delle carie. Applicare il sigillante non è doloroso e può essere fatto dal dentista in una sola seduta. L’assunzione di fluoro rappresenta invece uno dei modi migliori per prevenire le carie. È un minerale natura-

le che aiuta a rinforzare lo smalto dei denti. In molti acquedotti pubblici ne viene aggiunta la quantità necessaria a garantire un corretto sviluppo dei denti. Volete sapere quanto ne contiene la vostra acqua del rubinetto? Telefonate all’acquedotto e fatevi fornire le quantità o consultate i siti internet delle aziende erogatrici della vostra zona. Se l’acqua non contiene fluoro, o non ne contiene abbastanza, il vostro pediatra o dentista potrebbero consigliarvi prodotti (gocce o collutori) da usare in aggiunta al normale dentifricio al fluoro.

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I consigli utili per mamma e papà Quali consigli pratici possiamo dare ai genitori per accorgersi di problemi vari e malformazioni? “Il primo e principale consiglio da dare è quello di controllare e osservare la bocca dei propri bambini. Monitorare la progressione dell’eruzione dentaria, controllare che i denti siano puliti e nei primi anni pulirli come qualsiasi altra parte del corpo. La bocca è luogo di contatto con il mondo esterno e tra questo e l’organismo del bambino, quindi è importante che non ci siano situazioni a rischio di ingestione accidentale di oggetti, di contatto con elementi non proprio puliti, ecc… Lo spazzolino da denti deve essere lo strumento di reale detersione dei denti e delle gengive e non solo un giocattolo. Quando compare dolore verificare le condizioni dentarie e delle mucose. Non aspettare che le condizioni peggiorino per andare dal dentista, una piccola carie può essere curata con calma e senza traumi psicologici per il piccolo paziente”. E sull’uso del ciuccio, cosa ci dice? “Il succhiotto non è fonte di patologia se è di forma corretta, ma lo diventa, per esempio, si commette l’errore di intingerlo nel miele o nello zucchero per far addormentare prima il bambino”. Dunque, passiamo alla fase “prevenzione mirata” “Sì, la prevenzione è fondamentale: accanto a corretti comportamenti alimentari e di igiene orale è

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utile la somministrazione regolare di fluoro, non in compresse da ingerire ma con l’impiego di dentifrici e collutori che lo contengono. Questo perché il fluoro è importante per denti e bocca ma non per il resto del nostro organismo. Le sigillature dei solchi delle superfici masticanti dei denti permanenti appena erotti (che cioè hanno perforato la mucosa orale, ndr) sono un importante presidio di prevenzione. È necessario che i genitori capiscano però che le sigillature non sono una corazza definitiva contro la carie: vanno controllate periodicamente dall’odontoiatra e ogni due-tre anni possono necessitare di rifacimento. Capitolo a parte è rappresentato dalle malformazioni: numerose sono le condizioni congenite legate sia a patologie primitive a carico del distretto dento-facciale sia a patologie sistemiche con conseguenze a carico della bocca. Ogni dubbio deve essere affrontato con l’aiuto dello specialista”. E invece, parliamo di piccoli disturbi risolvibili con l’automedicazione “In odontoiatria pediatrica possiamo considerare come automedicazione la gestione dei traumi. Più esattamente, oltre alla prevenzione va spiegato come gestire un trauma a livello della bocca: in caso di perdita completa per trauma di un dente deciduo non serve ed è addirittura dannoso il suo reimpianto. Nel dubbio è sempre bene conservarlo e recarsi dal dentista per la valutazione; è sufficiente tenerlo in un fazzoletto dopo averlo lavato con acqua. Controllare quando possibile che non ci siano frammenti dentari o di altro nelle labbra, controllare il sanguinamento con una garza”. Se il dente perso è uno di quelli permanenti? “Nel caso, bisogna cercare di recuperare il dente, conservarlo tenendolo in ambiente umido (esempio: soluzione fisiologica - come il liquido di conservazione delle lenti a contatto -, latte, saliva) e cercare di recarsi entro 2 ore dal dentista per una adeguata valutazione sull’opportunità del reimpianto. Se il trauma ha coinvolto il mento può essere utile richiedere un accertamento radiografico con una panoramica per escludere fratture dell’articolazione temporo-mandibolare”. E per le afte, spesso frequenti nei più piccoli? “Le lesioni aftose, ricorrenti in alcuni bambini, causano dolore e incapacità ad assumere cibo: numerosi sono i medicamenti disponibili in farmacia che però possono solo lenire il dolore. Il decorso è, comunque, sempre di 10-15 giorni”.


Le regole per prevenire carie & C. Insegnare ai più piccoli, fin dai primi anni di vita, a prendersi cura dei loro denti è un’abitudine quotidiana ma anche un investimento per la futura salute orale. Si può iniziare spiegandogli l’importanza di prendersi cura dei propri denti trasformando l’igiene orale in un momento piacevole, divertente, come lavandosi i denti insieme al bambino o lasciandogli scegliere lo spazzolino che più gli piace. Gesti quotidiani utili per rimuovere la placca, mentre il tartaro, una volta che si è formato, può essere eliminato solo con una pulizia professionale presso lo studio del dentista. Per aiutare il bambino a proteggere i propri denti e gengive e a ridurre sensibilmente il rischio di carie, occorre fare in modo che segua abitualmente queste regole: Lavarsi i denti due volte al giorno, dopo i pasti principali, con un denti-

fricio al fluoro per rimuovere la placca (la pellicola vischiosa presente sui denti che rappresenta la causa prima delle carie). Usare il filo interdentale quotidianamente per eliminare la placca tra i denti e sotto il margine gengivale, prima che si indurisca, trasformandosi in tartaro. Seguire una dieta alimentare bilanciata che limiti i cibi ricchi di zucchero e amido, che producono gli acidi della placca, causa di carie. È consigliato mangiare questo tipo di alimenti durante il pasto e non da soli come spuntini. La quantità extra di saliva prodotta durante i pasti, infatti, aiuta a rimuovere i residui di cibo dalla bocca. Usare prodotti per l’igiene orale contenenti fluoro, incluso il dentifricio. Portare il bambino regolarmente dal dentista per i controlli.

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Quando e perché mettere l’apparecchio Al giorno d’oggi pare non ci sia bimbo che non porti, prima o poi, l’apparecchio. Ma il discorso vale anche per gli adulti: difficile che una volta nella vita non si debba mettere o servirci di un ausilio per “arginare” qualche difetto della malocclusione dei denti. A questo serve l’ortodonzia, una disciplina (odontoiatrica) che si occupa di correggere l’errato posizionamento dei denti, prendendosi cura proprio del loro allineamento. Si tratta di un fattore molto importante poiché permette una giusta masticazione del cibo, e determina le proporzioni armoniche del viso, ma, soprattutto, incide sulla postura, evitando dolori a partire dal collo fino ai piedi, compresi i fastidiosi ronzii nelle orecchie. L’ortodonzia cosiddetta “intercettiva” per i bambini serve ad individuare e correggere, qualora fossero presenti, anomalie nei denti e nelle ossa del cavo orale, come ad esempio il morso inverso o profondo

o aperto, le arcate strette, la mancanza di spazio tra i denti, la mandibola arretrata o avanzata rispetto all’arcata superiore, prima che possano generare gravi conseguenze funzionali o estetiche. Una visita specialistica consente di monitorare attentamente la crescita e lo sviluppo dei denti per iniziare l’eventuale terapia ortodontica al momento giusto e con un impatto sempre meno invasivo grazie alle moderne soluzioni offerte dall’innovazione tecnologica al mondo dell’odontoiatria, che permette di risolvere problemi sia nei bambini che negli adulti, in cui le arcate dentarie e le basi ossee sono già formate. Quello che occorre sottolineare è che l’ortodonzia non ha finalità estetiche ma mediche, volte a restituire anche una migliore struttura della muscolatura orale. Con questo tipo di ortodonzia specifica per i problemi dei più piccoli è possibile curare anche parti del corpo come la lingua.

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Dossier Tutto questo per dirvi che ci sono alcuni comportamenti nei bambini che non vanno sottovalutati perché possono nascondere, per l’appunto, problemi ai denti. Tra questi alcuni vizi della postura, mal di testa frequenti, problemi di respirazione, bruxismo (ovvero quando nel sonno il bambino digrigna i denti), malocclusione (che si può notare da un’asimmetria nella chiusura dell’arcata superiore e quella inferiore). Per questo sarà bene osservare attentamente il modo in cui il vostro bambino dorme, mastica e respira, l’allineamento dei denti e il suo profilo. Tenerlo sott’occhio per intervenire tempestivamente, non facendo autodiagnosi, ma recandosi quanto prima da uno specialista per una consulenza. Dottor Mancini, c’è chi dice di aspettare che cadano tutti i denti da latte e chi consiglia di agire il prima possibile. A che età è consigliabile una visita ortodontica? E in quali casi è necessario mettere l’apparecchio? “La prima visita a fini ortodontici va eseguita entro e non oltre il compimento dei 6 anni, questo in assenza di malformazioni congenite o acquisite che prima dei

6 anni richiedono attenta valutazione e programmazione terapeutica. Ad esempio le malformazioni del labbro superiore e della zona verso il naso chiamate schisi labio-palatine, l’assenza di alcuni denti da latte e/o permanenti, le alterazioni della deglutizione, le alterazioni del linguaggio. Le terapie ortodontiche ovvero l’applicazione di un “apparecchio” rimovibile o fisso, vanno valutate dall’odontoiatra o dallo specialista in ortodonzia e dipendono dalla fase evolutiva, dalla fase di permuta dentaria, dall’alterazione accertata. In linea generale è importante intercettare precocemente quelle situazioni che di per sé perpetuano e aggravano l’alterazione di partenza: per esempio una mandibola, un mento troppo prominente richiedono un accertamento e un trattamento precoci. Lo stesso vale in presenza di un palato stretto e con i denti che non combaciano o addirittura chiudono al contrario. La perdita precoce di un secondo molare da latte può creare gravi problemi per la gestione dello spazio necessario all’eruzione del secondo premolare e per la comparsa di una scorretta chiusura dei denti”. E cosa rispondiamo a chi sostiene che l’ap-

Visite gratis e obiettivo sorriso Un’iniziativa promossa e voluta da ANDI (Associazione nazionale dentisti italiani) per informare i cittadini sull’importanza della salute orale, il “Mese della prevenzione dentale” è, ad oggi, l’unico programma di prevenzione odontoiatrica attivo sull’intero territorio nazionale. Dal 1980, ogni anno ad ottobre, grazie alla collaborazione dei dentisti Andi, è possibile per tutti i cittadini effettuare una visita di controllo gratuita, un’occasione importante per valutare lo stato di salute orale di tutta la famiglia e ricevere consigli ad hoc per tutti i componenti. Anche grazie a questa iniziativa e all’efficacia del modello assistenziale basato sul dentista libero professionista, oggi la salute orale degli italiani è fra le migliori in Europa.

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Il “Mese della prevenzione dentale” ha contribuito in larga misura a diffondere un messaggio consapevole ai cittadini italiani: l’importanza di regolari visite di controllo, fondamentali sia per curare i disturbi del cavo orale che per evitare l’insorgenza di complicanze che possono compromettere la salute in generale. Preservare il proprio sorriso, uno dei gesti più spontanei ed espressivi che si possano compiere, significa prevenire. Un sorriso sano e bello, capace di comunicare, emozionare e catturare l’attenzione, va curato fin dai primi anni di vita. E va mantenuto crescendo, non c’è dubbio. Per effettuare una visita gratuita il prossimo ottobre e trovare il dentista aderente all’iniziativa più vicino è sufficiente visitare il sito www.obiettivosorriso.it.


Massima attenzione all’igiene, anche quando si porta l’apparecchio

parecchio prima si mette e meglio è? “Un altro principio importante è anche quello di evitare di iniziare troppo precocemente le terapie ortodontiche per non sottoporre il paziente a periodi di trattamento inutilmente e inefficacemente prolungati. Per questo è importante che ci sia sempre una corretta diagnosi con valutazione della fase di crescita e una corretta valutazione prognostica. Considerando soggetti in età pediatrica abbiamo spesso due possibili alternative: una detta terapia a due fasi ovvero la prima in epoca precoce fino a 8/10 anni in dentizione mista seguita da una seconda fase a 13-14 anni in dentizione permanente; l’altra possibilità è attendere il completamento della permuta dentaria e attuare direttamente la terapia finale. Le considerazioni da fare sono molteplici e complesse e richiedono, comunque, accertamenti diagnostici adeguati. Ancora oggi, non ci sono studi scientifici definitivi per accreditare una della due come opzione migliore”. Che importanza ha la “contenzione”, cioè portare un apparecchio mobile per un periodo, solo durante la notte, in modo tale da consolidare nel tempo il risultato raggiunto? “Iniziando le terapie precocemente, ma anche nell’adulto, la contenzione finale è fondamentale per la stabilizzazione del risultato. Soprattutto nei pazienti

che hanno completato un trattamento ortodontico prima della fine della crescita ovvero prima dei 1820 anni è importante che la contenzione sia attuata scrupolosamente fino a questa età. Il motivo è che le nostre strutture ossee e i nostri denti subiscono un continuo rimaneggiamento per tutto il corso della vita e quindi, per prevenire recidive o comunque ridurne l’entità, oltre a eseguire correttamente il trattamento ortodontico è importante la contenzione finale che consiste nell’utilizzo di presidi rimovibili solitamente per l’arcata superiore e di presidi fissi linguali per l’arcata inferiore”. Apparecchio e igiene quotidiana: come orientarsi? “In corso di terapia ortodontica, soprattutto se con dispositivi fissi, è fondamentale un’accuratissima igiene orale quotidiana. Gli apparecchi ortodontici non sono responsabili di danni e lesioni a carico di denti e gengive, ma lo sono le assenti o incongrue manovre di igiene. In commercio sono disponibili numerosi presidi che oltre allo spazzolino standard o elettrico comprendono anche gli scovolini interdentali”. Cure e attenzioni che, anche se hanno il loro costo (e richiedono costanza), rappresentano un investimento sulla salute futura. Con il risultato, che un bel sorriso rende tutti più felici e contenti. n

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La colazione perfetta È il pasto più importante della giornata, e deve essere sano ed equilibrato. Sì a pane integrale, marmellata senza zucchero, yogurt, frutta. No a brioche e merendine di Melissa Finali biologa, nutrizionista

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Cosa potremmo dire della colazione che non è già stato detto? Sappiamo già abbondantemente che si tratta, come spesso viene autorevolmente ribadito, del pasto più importante della giornata, quello che ci permette di mettere il carburante adeguato nel nostro

corpo e che ci aiuterà ad affrontare al meglio una buona parte della giornata. Decidere cosa mettere in tavola è importante, una scelta che non va presa sottogamba. Ma allora perché gran parte degli italiani preferisce saltare questo pasto o uscire di casa con il clas-

sico caffè e un misero biscotto, lamentandosi poi di non rendere abbastanza sul lavoro o a scuola e di avere cali energetici? E anche la classica colazione al bar con cornetto e cappuccino non è certo migliore: la qualità è importante e sicuramente non la troveremo in

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un pasto di questo tipo, per quanto possa soddisfare il palato. Chiariamoci quindi un po’ le idee e vediamo quali sono le cose più importanti da sapere per cominciare la giornata con il piede giusto. Innanzitutto, il nostro fabbisogno energetico giornaliero va suddiviso in cinque pasti: colazione (20%), merenda mattutina (5%), pranzo (40%), merenda pomeridiana (5%) e cena (30%). Salta subito all’occhio quanto non ci sia grande differenza tra il primo pasto del giorno e di due pasti principali, pranzo e cena.

Più qualità ed energia

Questo non significa che la necessità sia quella di imbandire la tavola con una quantità importante di cibi, ma come sempre di puntare sulla qualità e scegliere alimenti veloci da preparare e gustare (visto che spesso il tempo che si dedica alla colazione è poco), ad alta densità energetica, che conferiscano una certa sazietà e soprattutto che siano a lento rilascio energetico, in modo da essere coperti per una buona par-

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te della giornata. Facciamo degli esempi pratici: la cosa più veloce che possiamo scegliere è la classica fetta di pane, che magari conserviamo già tagliato in freezer e mettiamo a scongelare la sera prima in modo che sia pronto la mattina. Attenzione però, è bene che il pane sia integrale, magari preparato con lievito madre, perché è solo l’integrale che ci assicura una distribuzione adeguata e lenta dell’energia nel corso della giornata, scongiurando il senso di fame improvviso che spesso accompagna il consumo di ogni prodotto raffinato. Il raffinato infatti non è altro che zucchero e coprirà le nostre necessità energetiche solo per un lasso di tempo molto breve. Sulla nostra fetta di pane integrale possiamo spalmare dell’ottima marmellata senza zucchero o del miele per darci lo “sprint” iniziale se siamo amanti del dolce, ma non è detto che non si possa optare per una colazione salata, ottima per esempio per i diabetici e per chi presenta resistenza all’insulina. Possiamo accompagnare

la fetta di pane con un sottile strato di ricotta biologica di pecora o capra o di malga (per chi può) che essendo ricca di proteine non ci farà sentire la fame nelle successive ore della giornata; le proteine infatti agiscono sulla grelina, un ormone che stimola il senso di fame, riducendolo e aumentando invece l’azione del peptide YY, che stimola il senso di sazietà. Nel caso in cui si scelga il pane con la marmellata, sarebbe bene completare la colazione con uno yogurt magro, proprio perché ricco di proteine, oppure scegliere una semplice colazione composta da yogurt, frutta (tagliata al momento) e fiocchi di avena, ad esempio. Possono inoltre venirci in aiuto la frutta secca a guscio (noci, mandorle, nocciole, ecc.) o anche le relative creme spalmabili, senza zuccheri aggiunti, s’intende, che danno sazietà, attivano il metabolismo e tengono sotto controllo l’azione dell’insulina. La mattina, infatti, è proprio il momento giusto per inserire questi alimenti ad alto tenore energetico perché dopo il digiuno notturno, al mattino è attivo un ormone chiamato glucago-


ne, che aiuta le nostre cellule adipose (gli adipociti) ad eliminare i grassi accumulati. E per fare questo dobbiamo appunto strutturare la nostra colazione seguendo i principi appena accennati. Non dimentichiamoci di abbinare ai cibi della nostra colazione una buona bevanda calda senza zucchero, come un tè o una tisana, che ci aiuta a stimolare il riflesso gastrocolico e ci farà cominciare la giornata nel modo giusto; del resto, ormai si sa, l’intestino è considerato il nostro secondo cervello, pertanto bisogna metterlo nelle condizioni di dare il massimo sin dalle prime ore della giornata. È importante anche ricavare il glucosio necessario al

funzionamento del nostro cervello dai carboidrati, altrimenti l’organismo porterà all’utilizzo e alla trasformazione delle proteine e aminoacidi muscolari in glucosio, non trovandone la fonte principale; il risultato sarà perdita di massa muscolare e riduzione del metabolismo. È fondamentale quindi rispettare i ritmi biologici anche attraverso la scelta di cibi adeguati in base alla fascia della giornata. A questo punto, il concetto risulta abbastanza semplice: chi non fa colazione al mattino o fa una colazione di scarsa qualità, tende a mangiare molto di più nel corso della giornata, con il rischio di incorrere in tutta una serie di squilibri fisiologici.

Crema Budwig, ricetta salutare Per chi ha volontà e fantasia ecco la ricetta della salute: la Crema Budwig. Ingredienti: • 120 g di yogurt magro (yogurt di soia, quark, ricotta); • mezza banana (o 1 cucchiaio di miele); • 1,5 cucchiai di semi di lino appena macinati; • 1 cucchiaio di semi oleosi crudi non tostati (noci, nocciole, mandorle, semi di sesamo, semi di girasole, semi di zucca ...); • 1 cucchiaio di cereali crudi finemente macinati al momento (riso, grano saraceno, avena, miglio, orzo evitando il grano...); • 1 frutto di stagione (100 g o più); • il succo di mezzo limone. Procedimento: Mettete lo yogurt in una ciotola capiente, aggiungete la banana sminuzzata, il succo di limone ed un frutto di stagione. Poi tritate i semi e i cereali (il metodo veloce consiste nell’avere un macinacaffè elettrico e frullarli finemente fino ad ottenere una sorta di farina). Aggiungete la farina al resto. Se vi sembra troppo consistente aggiungete un po’ di succo di mela o latte vegetale (es: riso o soia).

Cosa evitare o ridurre

Ma cosa sappiamo di quegli “alimenti” che, ahinoi, la fanno da padroni in moltissime colazioni, ma che andrebbero messi da parte o visti con un occhio critico proprio per lo scarso apporto nutrizionale? Andiamo per punti: • Brioches: hanno un eccesso di grassi saturi, contenendo molto spesso sia burro che uova che latte. Decisamente troppo! • Merendine: basta leggere l’etichetta nutrizionale di una qualsiasi confezione di merendine per rendersi conto che c’è qualcosa di sbagliato. A parte la lunghezza spropositata dell’elenco degli ingredienti, troverete con molta probabilità molte componenti ripetute, in particolare zuccheri, che oltre ad essere in posizione molto alta nell’elenco, quindi presenti in grandi quantità, hanno anche il ruolo di additivo alimentare. • Cornflakes: sottoposti a trattamenti termici che ne alterano le proprietà nutrizionali, si tratta per lo più di cereali raffinati, ovvero privati delle loro componenti essenziali quali fibre, vitamine, grassi “buoni” e proteine salutari. Anche qui, tra l’altro, gli zuccheri non mancano. • Dolci “vestiti” da cereali: le classiche barrette, per esempio, che sono tutto fuorché dietetiche. Alcune di esse contengono addirittura il 30% di zuccheri, oltre che grassi saturi e sale. Proprio per questo dovrebbero essere classificate come dolciumi. • Succhi di frutta: bevande in cui della frutta rimane molto poco, iper-zuccherati e con livelli bassissimi di vitamina C che viene deteriorata proprio dalla presenza eccessiva di zucchero. Meglio una bella spremuta fatta in casa. • Fette biscottate: hanno un contenuto calorico superiore al pane (circa 100-150 kcal in più ogni cento grammi) a causa del maggior contenuto lipidico che favorisce la tostatura. L’attenzio-

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ne in questo caso va posta proprio sulla qualità dei grassi impiegati nella lavorazione che va attentamente valutata prima dell’acquisto. Se tra gli ingredienti compaiono elementi come “margarina”, “grassi vegetali idrogenati”, “olio di colza” o “oli tropicali” meglio cambiare prodotto. • Biscotti: sono buoni, su questo niente da eccepire, ma iper-

calorici e poco sazianti. Ne bastano davvero pochi grammi per raggiungere le 500 calorie, così come per le merendine. È bene dunque imparare a leggere e decifrare le etichette nutrizionali dei prodotti che consumiamo. Ecco alcune caratteristiche su cui focalizzare l’attenzione: in linea generale il contenuto calorico dovrebbe essere inferiore

alle 300 Kcal per 100 grammi di prodotto, la presenza di fibra dovrebbe superare i 15 g su 100 g e tra gli ingredienti non dovrebbero comparire diciture tipo “grassi vegetali idrogenati” e/o “oli tropicali” e/o la sigla E seguita da un numero che indica l’impiego di additivi alimentari. Bene invece per l’assenza di conservanti e l’impiego di farine integrali.

Il menù dei bambini Sicuramente dovremo avere un occhio di riguardo nella scelta della colazione per i più piccoli, viste le percentuali di sovrappeso e obesità che si sono registrate in Italia, considerando che tra le principali cause c’è proprio una colazione assente o inadeguata. È necessario perciò organizzarsi alzandosi magari 10 minuti prima per permettere ai nostri figli di dedicarsi, ma soprattutto abituarsi alla colazione, leggere sempre le etichette dei prodotti che scegliamo per questo pasto, congelare il pane a fette in modo da averlo pronto all’occorrenza, avere sempre in casa frutta fresca e marmellata senza zucchero ed evitare di acquistare dolciumi. Secondo il Ministero della Salute

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queste sono le linee guida per una corretta colazione dei bambini: • Sì ad una tazza di latte o di te. • Sì ai biscotti, ma in numero adeguato, superiore a 2 e inferiore a 10. • Ottimi alimenti da consumare al mattino sono: il latte, lo yogurt, il pane o delle fette biscottate spalmate con poca marmellata o miele, ma anche biscotti e cereali. • Mai far mancare un frutto, meglio se di stagione. • Non far mancare poi una bella manciata (ma non di più) di frutta secca come mandorle, noci o nocciole. Relativamente al latte vaccino, va però detto che le nuove linee di indirizzo del Ministero della Salute sull’alimentazione nella prima infanzia ne sconsigliano il consumo

nel primo anno di vita e consigliano cautela a partire dal secondo anno. Possono perciò essere un’ottima alternativa le bevande vegetali, ricche di proteine, magari alternandone tipi diversi piuttosto che concentrandosi su un unico tipo. Inoltre tra 1 e 3 anni d’età l’apporto energetico, secondo le indicazioni dei “Livelli di Assunzione di Riferimento ed Energia per la popolazione” (Larn) 2014, dovrebbe derivare per il 50% dai carboidrati, per il 40% dai grassi e solo per circa il 10% dalle proteine. Purtroppo la tendenza ad aumentare il consumo di proteine, come capita ad esempio con l’abuso di latte vaccino, può condizionare l’aumento di problemi metabolici e obesità. n




Pelle a primavera: 4 passi di salute I prodotti giusti per affrontare al meglio il cambio di stagione e proteggere viso, mani e corpo dagli effetti negativi di smog, riscaldamento, polveri e pollini di Gelsomina Sampaolo

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L’inverno pare ufficialmente finito, è il momento di uscire dalle tane e porre fine al letargo, valutando i “danni” di mesi di clausura, abiti pesanti, malanni di stagione e riscaldamenti accesi. Sorvegliata speciale in questo cambio di stagione è sicuramente la pelle: del viso, delle mani, del

corpo, la nostra cute avrà bisogno di un occhio di riguardo per affrontare al meglio l’arrivo della primavera e prepararsi nel modo giusto all’estate. Ma cosa comporta, a livello pratico, l’arrivo della stagione dei fiori? Innanzitutto una maggiore esposizione al sole e ai suoi raggi UV,

dai quali è necessario proteggersi sempre e comunque, ma ancora di più man mano che andiamo verso la stagione calda. Tradotto: se durante l’inverno ci siamo prese cura della nostra pelle con creme più grasse e nutrienti, ora possiamo passare a formulazioni più leggere (a base

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di acido ialuronico o acqua, ad esempio) ma con un fattore di protezione solare almeno di 50, mentre nei mesi freddi poteva bastare un SPF 30. Secondo elemento di cui tenere conto sono i pollini e le polveri che in questo momento riempiono l’aria. A seconda dei soggetti la pelle può essere più o meno sensibile a questi fattori, ma sempre meglio proteggerla con uno scudo contro tutto ciò che potrebbe intaccarne la salute. Infine, anche l’attività sebacea col caldo riprende e tende a portare di nuovo a galla problemi quali acne e dermatiti. Vediamo dunque i 4 passi da compiere e i prodotti fondamentali per aiutare questo dolce risveglio primaverile.

1) Anzitutto detersione

La corretta detersione della pelle è un’abitudine che tutte noi dovremmo imparare sin da piccole. Crescendo, poi, il semplice gesto dello sciacquare la faccia mattina e sera diventerà leggermente più complesso, includendo struccanti, tonici e creme scelte in base al nostro tipo di pelle e alle esigenze del momento, ma si tratterà comunque di un gesto fondamentale per la salute cutanea. Come avviene con tutti gli altri prodotti, anche i detergenti andrebbero “alleggeriti” con l’arrivo della bella stagione. Vi consigliamo di passare dal latte detergente cremoso ad una formulazione in gel o a base acquosa per evitare di ingrassare troppo la pelle, che in estate oltre a trattenere l’acqua tende già naturalmente alla lucidità. Gli esperti consigliano di imparare a contare fino a 60 mentre si spalma il detergente sul viso, compiendo un massaggio con movimenti circolari e cercando di non tralasciare nessuna zona: fronte, zigomi, naso, mento e collo. Sempre in tema di pulizie, approfittate del cambio stagione an-

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che per fare una bella selezione nell’armadietto del bagno: buttate via tutti i prodotti che avete acquistato oltre sei mesi fa, la continua apertura e chiusura di barattoli e tubetti può essere un invito ai batteri che si annidano su creme e trucchi e che rischiate di spalmarvi in faccia, con conseguente comparsa di eruzioni cutanee, punti neri e imperfezioni varie. Anche i pennelli e le spugnette da trucco andrebbero cambiati con una certa frequenza per evitare germi e virus. Se non volete cambiarli, potete comunque lavare i pennelli del fard con normale sapone per le mani e asciugarli subito con il phon.

2) Esfoliazione, che passione

A differenza di quanto si potrebbe pensare, una pelle che esce dall’inverno è spenta e secca ed ha un tremendo bisogno di essere esfoliata. In questo modo rimuoverete la patina di grigiore che vi ha accompagnato fino a febbraio, insieme ad impurità e cellule morte, per dare nuova vita al vostro viso. L’esfoliazione, infatti, grazie alla rimozione meccanica dello strato di pelle più superficiale e allo stimolo della microcircolazione sottocutanea, ci aiuta ad ossigenare i tessuti e drenare i liquidi di ristagno, per ottenere una pelle visibilmente più luminosa e dall’aspetto più sano. Per quanto riguarda il viso, concentrate la vostra azione sulla cosiddetta zona T, cioè fronte, naso e mento, dove si annidano la maggior parte delle impurità. Evitate di esfoliare le parti più delicate, come labbra e contorno occhi, dove la pelle è più sottile e potrebbe risentire del movimento meccanico che comporta l’esfoliazione. Se la vostra pelle è particolarmente delicata o sottile, potete optare per la versione “light” dello scrub, il cosiddetto gommage, solitamente effettuato con polveri

più sottili (come quella di riso o di avena) e per questo ritenute più adatte alle pelli sensibili. Per le pelli che necessitano di un trattamento più intensivo, invece, si consiglia un peeling che comporta l’uso di elementi chimici (es. acido glicolico) e deve obbligatoriamente essere svolto da personale specializzato (medico o estetista) per una pelle compatta e levigata. È anche possibile preparare esfolianti fai-da-te in casa, usando ad esempio olio d’oliva o miele uniti a farina di cocco, di riso, zucchero di canna o sale da cucina.

3) Belle... toniche

Non tutte siamo abituate ad utilizzarlo, ma un buon tonico dopo la detersione del viso può risultare essenziale, soprattutto per chi sta molto tempo all’aperto o chi espone la propria pelle a impurità e fattori esterni potenzialmente dannosi (smog, riscaldamento, polveri, pollini…). Il tonico non deve contenere tracce di alcol (dannoso anche per le pelli grasse) e va applicato ogni sera prima di andare a dormire sul viso con un batuffolo di cotone. Noterete non solo una pelle più pulita e priva di residui di sporco e trucco, ma anche più distesa e meno gonfia, energizzata insomma. Esistono diversi tipi di tonici, da quelli nutrienti a quelli lenitivi, dai riequilibranti a quelli per pelli grasse o impure, scegliete quello che fa per voi e non dimenticatevi mai di usarlo. Se non siete a casa potete provare le pratiche salviettine usa e getta con funzione 3 in 1: struccante, idratante e tonificante.

4) Il giusto nutrimento

Come abbiamo detto all’inizio di questo articolo, la cura della pelle comprende anche la nutrizione, sia dall’esterno, con prodotti specifici, che dall’interno, attraverso l’alimentazione. Per quanto riguarda il primo punto, imparate a leggere l’Inci, la


lista degli ingredienti dei prodotti cosmetici: evitate elementi derivati dal petrolio e prediligete quelli biodegradabili, di derivazione vegetale e dermocompatibili. Oltre ai vari grassi vegetali che abbiamo ormai imparato a conoscere (karitè e olio di oliva ad esempio), esistono anche ottimi prodotti di sintesi, come ceramidi, colesterolo e glicerina, che nutrono la pelle senza danneggiarla. Per quanto riguarda la nutrizione in senso più stretto, la regola base per la salute della pelle resta il mantenimento di una corretta idratazione, bevendo la giusta quantità di acqua ogni giorno. Ma quant’è questa giusta quantità? Tenete presente che il tessuto

connettivo contiene mediamente ben 8 litri di acqua, quindi se l’organismo non ne riceve abbastanza la pelle si disidrata, diventa rigida e aumentano le rughe. Secondo gli esperti la formula per capire di quanta acqua necessita il nostro corpo quotidianamente è: sommare peso e altezza e dividere per 100 (es. 1,70m + 70 kg = 240/100 = 2,4 litri d’acqua al giorno). Dopodiché, per quanto riguarda i cibi, facciamoci aiutare da Madre Natura con quello che ha da offrire in questa stagione: arance, kiwi, limoni, mele e pompelmi per centrifughe e succhi energizzanti e asparagi, bietole, carciofi, broccoli, finocchi e spinaci per nutrire

e illuminare la pelle attraverso gustose ricette “green”. Tra gli altri cibi “salvapelle” troviamo: frutti rossi per aumentarne l’elasticità e la tonicità; pesce crudo e alghe con effetto detox; legumi e prodotti integrali ricchi di fibre ad effetto purificante; curcuma (curry) contro il fotoinvecchiamento; cavolo, cavolfiore e broccoli per proteggere la riserva di collagene; ortaggi a foglia verde, peperoni e pomodori con effetto rigenerante; semi oleosi e frutta secca contro le rughe. Un aiuto ulteriore, infine, può arrivare anche dagli integratori, in special modo quelli contenenti vitamine del gruppo B, omega 3, 6 e 9 e vitamina E.

Il decalogo della pelle perfetta 1. Conosci la tua pelle. Di che tipo è? Grassa, normale o secca? Di cosa ha bisogno? Noti imperfezioni, pruriti o arrossamenti? Prima di iniziare qualsiasi trattamento prendi appuntamento col dermatologo. 2. Proteggila dai raggi UV. La regola aurea è: non è necessario il solleone di agosto, basta un raggio di sole per applicare la protezione. Scegli sempre un prodotto con SPF da 30 a 50 per proteggerti dai danni dei raggi ultravioletti, anche durante l’inverno. 3. Esfolia. Almeno una volta a settimana, per rimuovere impurità e ridonare luminosità alla pelle spenta. 4. Cambia trucco. Non solo per gettare via i prodotti scaduti o vecchi, ma anche per sfoggiare un aspetto più primaverile con colori pastello e fondotinta più leggeri. 5. Occhio all’equilibrio. La nostra pelle cambia col cambiare delle stagioni, soprattutto nel suo contenuto lipidico. Poiché produciamo più grassi durante la primavera, il dermatologo raccomanda di usare creme meno grasse e texture più

leggere. 6. Labbra protette. Non dimentichiamoci della pelle sottile e delicata delle labbra! Prima di uscire mettete sempre uno strato di balsamo o burrocacao e ripetete questo gesto ogni volta che ne sentite il bisogno. 7. Maschere di bellezza. Non si tratta di un rituale superfluo, bensì di una parte integrante della cura della pelle. Potete anche farle da sole in casa con ingredienti facilmente reperibili al supermercato (ad esempio farina d’avena e acqua tiepida o polpa di banana o di carote per nutrire a fondo). 8. Non dimenticate la cute. Anche la pelle della testa, benché nascosta dai capelli, merita la stessa cura di quella del viso. Da una cute non curata, infatti, può derivare un eccesso di sebo e forfora, che non fanno affatto bene alla pelle della fronte. 9. Idratate. Non importa se la vostra pelle è grassa, esiste un idratante per ogni esigenza e l’acqua è la base di una pelle sana. 10. Tonificate. Non dimenticatevi mai il tonico serale, per chiudere la giornata in purezza ed elasticità. n

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Come diventare “super-anziani” Stupire il proprio cervello, ecco il segreto dei nonni energici e con una memoria di ferro che fa concorrenza a quella dei teenager di Filippo Tini

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Avete

presente quel momento in cui cominciano a sfuggirvi le parole, confondete i nomi dei nipoti e non sapete più dove avete messo gli occhiali che avevate sul naso fino a pochi minuti prima? Si chiama invecchiare ed è un

evento piuttosto comune, specie nella nostra società moderna in cui si vive sempre più a lungo, ma non necessariamente meglio. Tra la popolazione anziana, però, non tutti sono smemorati o presentano le difficoltà cognitive tipi-

che dell’età avanzata. Gli americani, che hanno sempre un nome per tutto, si sono inventati un termine anche per gli ultra-settantenni che hanno saputo conservare incredibili abilità mnemoniche, li chiamano “supe-

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ragers”, i super-anziani. Oltre ai normali nonni, così, a volte ci troviamo ad avere a che fare con ottantenni che scrivono blog, sanno usare perfettamente lo smartphone, ricordano ogni dettaglio del lavoro che hanno svolto fino alla pensione e considerano poco più che una passeggiata battere i nipoti a sudoku.

Il test delle parole

I neuroscienziati del Massachusetts General Hospital, coordinati dalla psicologa Lisa Feldman Barrett, hanno deciso di indagare più a fondo per scoprire se il cervello di questi super-anziani è diverso da quello degli altri e, soprattutto, se sia possibile per tutti eguagliare le loro prestazioni attraverso l’esercizio e stili di vita diversi. I ricercatori hanno sottoposto a risonanza magnetica nucleare 40 adulti tra i 60 e gli 80 anni, 17 dei quali considerati super-agers, confrontandoli con 41 soggetti tra i 18 e i 35 anni. Sono così riusciti ad individuare una serie di regioni cerebrali diverse tra i due gruppi, di dimensioni più ridotte per gli anziani “normali” (risultato di un’atrofia legata all’invecchiamento) e di dimensioni pressoché identiche nei super-agers e nei giovani, come se il tempo non le avesse intaccate. Per fare un esempio, un normale adulto di circa 25 anni riesce a ricordare 14 parole su 16 in un test-base di memoria, mentre un 75enne ne ricorda solo 9. I superanziani, invece, ottenevano le stesse performance dei ragazzi in questo tipo di test e, a volte, riuscivano anche a fare meglio. Le aree cerebrali interessate non sono, come si potrebbe pensare, regioni cognitive, bensì emotive (come il giro cingolato che presiede al coordinamento tra afferenze sensitive ed elaborazioni emozionali e la corteccia insulare), a conferma del sospetto degli scienziati che non ci sia una di-

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stinzione netta tra cognizione ed emozione nel modo in cui opera il nostro cervello. Infatti, a differenza di ciò che si pensava fino a qualche decennio fa, la materia cerebrale umana non si è evoluta a strati distinti, ma piuttosto “come un’azienda: riorganizzandosi man mano che si espande”, afferma la Dott.ssa Feldman Barrett. “Alcune aree cerebrali ritenute emotive, come quella del sistema limbico, sono ormai considerate un centro nevralgico della comunicazione nel cervello.

In un test di memoria un 25enne riesce a ricordare 14 parole su 16, un 75enne solo 9. I super-anziani, invece, riescono anche a fare meglio dei giovani Sono importanti per molte funzioni, oltre quelle emotive, come il linguaggio, lo stress, la regolazione degli organi interni e anche il coordinamento dei cinque sensi in un’esperienza interconnessa”. Queste stesse aree, dunque, svolgono un ruolo fondamentale nell’invecchiare bene: maggiore è il loro spessore sulla corteccia cerebrale, migliori saranno le performance di memoria e attenzione del soggetto in questione.

Le prospettive per l’Alzheimer

Capire quali fattori prevengono il declino della memoria, potrebbe portare ad importanti passi avanti nella prevenzione e cura di malattie legate ai cali cognitivi e alle varie forme di demenza senile.

“Abbiamo un enorme bisogno di comprendere come questi settantenni, ottantenni e novantenni riescano a conservare una tale funzionalità cognitiva. Questo potrebbe aprire la porta ad importanti scoperte su come prevenire il declino mnemonico e cognitivo sperimentato dalla maggior parte delle persone nell’andare avanti con gli anni”, dice il Dott. Brad Dickerson, professore associato di Neurologia alla Harvard Medical School. Malattie come l’Alzheimer potrebbero essere combattute meglio e addirittura prevenute, se la ricerca continuerà in questa direzione. Recentemente, infatti, è stato evidenziato come i superagers che soffrono di Alzheimer non ne mostrano i sintomi. Le immagini diagnostiche evidenziano i tipici danni del morbo sulle placche cerebrali, ma la memoria non risulta intaccata, “come se questi individui fossero immuni in qualche modo alla malattia”, ha affermato il neurologo Changiz Geula della Northwestern University Feinberg School of Medicine presentando il suo studio. Questi risultati sono emersi grazie all’analisi post-mortem di 8 novantenni con capacità cognitive superiori alla media. In tre degli otto cervelli analizzati c’erano tracce caratteristiche di Alzheimer, ma i soggetti non ne mostravano affatto i sintomi. Analizzando anche i neuroni dell’ippocampo è emerso che erano ben conservati, rispetto a quelli di anziani coetanei con la stessa patologia, ma che ne mostravano i danni mnemonici.

L’allenamento del cervello

Ma è possibile allenare questa parte del nostro cervello per diventare tutti dei super-anziani? Per il momento la risposta è: sì, se lavoriamo duramente. Nello studio del Massachusetts General Hospital, pubblicato su The Journal of Neuroscience, i super-agers vengono addirittura


paragonati al corpo speciale dei Marines il cui motto è “il dolore è la sofferenza che lascia il corpo”, come a far intendere che maggiore è la fatica, maggiore sarà la ricompensa. Queste aree del cervello si potrebbero dunque rinforzare svolgendo esercizi faticosi, sia a livello mentale che fisico. Ricordate cosa dicevano i latini? Mens sana in corpore sano e non sbagliavano. Molti potrebbero desistere, sotto i colpi della frustrazione, della fatica o della semplice stanchezza, ma è proprio in questi momenti che i super-anziani si distinguono dagli altri, nella capacità di spingersi oltre i propri limiti. Ecco perché fare le parole crociate e una passeggiata di 20 minuti al giorno potrebbe non essere sufficiente per invecchiare meglio dei propri coetanei: dovrete

stancarvi e sforzarvi sempre di più per tenere la materia grigia in forma. Non fate solo le cose che vi fanno stare bene o a cui siete abituati, provate ad imparare qualcosa di nuovo: un hobby, uno sport, un’attività manuale, suonare uno strumento… si tratta, in pratica, di cambiare il proprio approccio alla vita, di allenare il cervello come un qualsiasi muscolo. Il canale televisivo americano CBS ha deciso di mostrare degli esempi concreti raccontando le storie di alcuni di questi superagers, tra loro Edith Stern, una signora che definire arzilla è limitato, con un aspetto fisico che non rispecchia i suoi 92 anni. Edith nell’intervista racconta che si occupa degli altri anziani che vivono nella sua stessa casa di riposo, fa la volontaria in un ne-

gozio di souvenir e afferma che “quando invecchiamo, tendiamo a concentrarci troppo su noi stessi. Andiamo dal dottore, ci lamentiamo dei vari acciacchi… ma nessuno è tanto importante da parlare solo di sé, meglio pensare un po’ anche agli altri”. Ed è notevole il fatto che anche altri super-anziani esaminati in studi analoghi mostrino questa capacità di altruismo e impegno rispetto alla maggioranza dei loro coetanei, segno che l’isolamento sociale non fa sicuramente bene alla nostra mente. Insomma, se vogliamo diventare super-anziani e invecchiare bene dobbiamo cominciare sin da subito a cambiare atteggiamento. Non sarà facile ma almeno vi ricorderete dove avete messo gli occhiali.

I nostri centenari? Stanno tutti bene Il nostro è un Paese sempre più anziano, come dimostrano le statistiche, in cui sembra più facile invecchiare che fare figli. I centenari sono già oltre 16mila, un numero che negli ultimi 10 anni è più che raddoppiato e a cui vanno aggiunti anche quelli che hanno superato i 110 anni di età. Si tratta di un fenomeno sempre più diffuso in molti paesi occidentali e destinato a crescere, a quanto pare. Molti centenari italiani sarebbero anche più in salute dei “giovani” 75enni, secondo quanto dimostra lo studio svolto da un gruppo di cardiologi dell’ospedale San Giuseppe di Milano. Prendendo in esame la salute cardiaca di un gruppo di soggetti con più di 100 anni attraverso un’ecocardiografia e paragonando i dati con un gruppo

di soggetti più giovani (tra i 75 e gli 85 anni) sono emerse differenze sostanziali a favore dei più anziani. Lo studio, eseguito tra il 2010 e il 2015, ha incluso 120 ‘grandi vecchi’ e 120 anziani più giovani: rispetto ai più giovani mostravano una prevalenza di diabete significativamente più bassa (19,1% contro il 41,7%), di fibrillazione atriale del 19,1% contro il 37,5% e meno della metà di malattie coronariche presenti nel 29,1% dei centenari rispetto al 56,7% dei più giovani. Inoltre i più anziani mostravano un minor diametro del ventricolo sinistro con un relativamente più alto spessore della parete muscolare e un minor volume dell’atrio sinistro. Che il segreto della longevità sia da ricercare nelle abitudini di vita del passato? n

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La depressione parto post-parto Il 15% delle puerpere manifesta timori, insicurezze e stanchezza, che insorgono all’improvviso e comportano rischi anche per il bambino. I sintomi e le terapie di Francesco Fioroni medico psichiatra, psicoterapeuta

s

Da un lato c’è un’emozione esaltante, quella di diventare madre, dall’altro un confronto importante: il nuovo ruolo, le diverse richieste del neonato e le

aspettative dei familiari. Ecco allora che la nascita di un figlio rappresenta una fusione tra sentimenti e cambiamenti, sia fisici che di stile di vita, significativi,

dove i livelli di estrogeni e progesterone, e degli ormoni prodotti dalla ghiandola tiroidea, possono subire un repentino abbassamento, influenzando l’umore

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e le condizioni di salute di una donna. Secondo i dati riportati dalla letteratura, a soffrire di depressione post partum è circa il 15% delle puerpere. Timori, insicurezze e stanchezza che insorgono all’improvviso, gettando ombre su quello stato di ideale felicità che ci si aspetta. Un quadro che ho visto più volte: di mamme in cerca di aiuto ne ho visitate diverse, e nei primi anni ‘90 eseguii una ricerca, in collaborazione con la clinica Ostetrica di Perugia, sulla correlazione tra puerperio e disturbi psicopatologici, dalla quale emerse che il 16% delle neo-mamme aveva presentato, successivamente al parto, un quadro depressivo di rilevanza clinica. Un “fantasma” (così lo hanno definito più volte le pazienti e i loro familiari) che entra in punta di piedi nel momento più emozionante della vita. Ma cos’è la depressione post partum? Cercherò di spiegarlo in questo articolo.

Inadeguatezza, stanchezza e pianto

Più che un sintomo è una sensazione di stanchezza, di inadeguatezza, di solitudine. L’umore si vela di tristezza, il pianto diventa facile e ci si sente abbattuti, privi di forze. Si cercano cure e attenzioni. Oggi, il termine che stiamo esaminando tende a sostituirsi con uno spettro di disturbi psicopatologici che insorgono nel puerperio: si va dalla maternity blues, alla baby blues, fino alle psicosi puerperali. Dunque, degna di nota deve essere non solo la patologia depressiva così detta post partum, che presenta il rischio di aggravarsi fino a gesti estremi, ma anche alcune forme ad esordio più subdolo a carattere psicosomatico, che prendono il nome di forme depressive mascherate. La cosiddetta maternity blues, la forma moderata di tristezza che compare con elevata frequenza nel-

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le puerpere e che si risolve nel giro di due settimane, colpisce anche oltre l’80% delle donne. La neo-mamma si ritrova tra le braccia un piccolo che non va solo coccolato: richiede attenzioni continue (mangiare, pulire, ecc.) che non sempre sono così esplicite, visto che il neonato comunica solo con il pianto; modifica lo stile di vita; necessita il rispetto di alcune esigenze, che diventano quindi primarie rispetto ai propri impegni.

Possono incidere negativamente sulla neo-mamma anche i consigli di suocera e madre. Gesti e suggerimenti che possono farla sentire inadeguata, o non all’altezza A tutto questo, si aggiunge il “concerto” di consigli che, solitamente, suocera e madre della mamma, puntualmente e insistentemente, tendono a suggerire per il ménage quotidiano delle cure al neonato. Gesti e suggerimenti che possono far sentire inadeguata, o non all’altezza, la nuova mamma.

Il periodo di insorgenza

Diversi autori hanno descritto il periodo a rischio per l’insorgenza dei disturbi mentali post-natale, definendolo “molto ampio” anche se estremamente elevato durante i primi mesi e comunque con la tendenza a rimanere alto per almeno tutto il primo anno

dopo la nascita. L’attenzione va comunque posta anche sul fatto che molte donne che sviluppano disturbi dell’umore nel dopo parto, potrebbero andare incontro a successivi, simili episodi, anche se non correlati alla gravidanza e al puerperio. Chiediamoci, allora, perché si verificano questi momenti di instabilità emotiva. Dal punto di vista psicologico, il periodo della maternity blues rappresenta il momento d’inizio della maternità e si decide per la sua elaborazione. Nei primi giorni dopo il parto, infatti, le angosce di separazione e di perdita sono vissute molto intensamente, l’orientamento affettivo della donna diventa piuttosto mutevole e l’incertezza sulle proprie capacità materne non ancora sperimentate si fa sentire in maniera pressante. Questo periodo, inoltre, costituisce un passaggio affettivo necessario per realizzare la rottura del legame fusionale con il feto, ed iniziare la relazione col bambino reale e i suoi bisogni. È importante identificare le donne con maternity blues, poiché il 20% di queste presentano un episodio depressivo maggiore nel primo anno dopo il parto.

Fattori di rischio e sintomi

Oltre alla depressione già manifestata precedentemente al parto, costituiscono fattori di rischio eventi particolarmente stressanti e uno scarso adattamento sociale. In particolare, sono esposte a maggior pericolo tutte quelle donne che presentano sentimenti ambivalenti nei confronti della propria madre. E, comunque, anche se ogni gravidanza è a sé stante, va ricordato che tra i fattori scatenanti c’è anche l’aver avuto una precedente storia di depressione durante la gravidanza o il post-partum. I segnali da tenere sotto controllo sono molteplici, perché dopo il parto, l’insorgenza della depressione può essere lenta, insidiosa


e “mascherata” da sintomi fisici come disturbi del sonno, dell’appetito e della libido, nonché dal prevalere di umore triste, irritabile, alternato a crisi di pianto facile, forte stanchezza e astenia. Nei mesi successivi alla nascita del bambino, quando una madre si sente depressa, i suoi sentimenti vengono spesso sottovalutati e considerati normali reazioni allo stress, associato al fatto che dover prendersi cura di un neonato richiede energie. A tutto ciò, potremmo aggiungere che coloro che si trovano a dover affrontare questo problema, provano vergogna mista a senso di colpa. La maggior parte delle madri riesce a superare questo momento critico, con risultati più o meno buoni, ma per molte altre il fatto che i loro problemi vengano ignorati o fraintesi può portare a difficoltà a lungo termine, con gravi conseguenze anche per il bambino e i loro familiari. Per questo, nulla va mai sottovalutato.

L’impatto sullo sviluppo del bambino

Appena dopo il parto, cioè al 4°5° giorno, circa il 40% delle primipare, cioè delle donne al primo figlio, sperimenta un moderato distacco o sentimenti negativi nei confronti del neonato, con un graduale intensificarsi dei sentimenti materni solo nelle settimane successive. La presenza di una patologia psichica materna interferisce con gli scambi comportamentali ed emotivi che sono oggi ritenuti necessari affinché si possa sviluppare un’interazione

efficace tra madre e bambino e condiziona lo stile di attaccamento. La depressione materna, in particolare la sua gravità e durata, sono state messe in relazione con lo strutturarsi nel bambino di uno stile di attaccamento insicuro, cioè evitante ed ambivalente, che può aumentare il rischio di futuri disturbi affettivi. Studi a lungo termine hanno dimostrato che difficoltà comportamentali e cognitive sono più comunemente presenti nei bambini le cui madri avevano sofferto di depressione postnatale.

Prevenzione e terapie

Compito della prevenzione primaria è di attuare programmi di sensibilizzazione per un corretto svolgimento sia della gravidanza che del puerperio, che vengono affidati ai consultori organizzati con varie figure professionali di supporto. Compito della prevenzione secondaria è, invece, quello di individuare precocemente tutte le donne che possono presentare, sia durante la gravidanza che il puerperio, una psico-patologia particolarmente rilevante. Utili, a tal proposito, sono le schede ed i questionari di screening. In ultimo, compito della prevenzione terziaria (attribuibile ai servizi di psichiatria di consultazione presenti per lo più nei grandi centri clinici e/o centri universitari) è di prevenire le complicazioni psicopatologiche verso sindromi più gravi ed evitare le cronicizzazioni e le ricadute. Ma cosa bisogna fare appena ci si accorge del problema? È importante poterne parlare libera-

mente con il partner, un’amica o un familiare, così da esprimere le proprie sensazioni, una strada che porta già un certo sollievo. Se il problema persiste è bene però non sottovalutarlo e parlarne anche con il proprio medico di fiducia. Naturalmente, dopo attenta valutazione, ed analizzando il rapporto rischi-benefici durante la gravidanza o l’allattamento, il medico specialista può anche prescrivere antidepressivi, ansiolitici o stabilizzatori dell’umore. È prioritario, in conclusione, dare risposta a questa richiesta con un programma (che si può attivare fin dalla gravidanza) in grado di sviluppare nella madre strategie di adattamento (in gergo coping) che consentano di ridurre i sintomi della depressione postnatale, aumentare l’autostima, occuparsi delle difficoltà che possono insorgere nella coppia o tra madre e bambino e facilitare l’uso e lo sviluppo delle reti sociali esistenti. Per guarire dalla depressione post partum occorre anzitutto riconoscerla e poi affrontarla nel modo giusto, affidandosi a professionisti del settore. Il problema non si risolve da solo ignorandolo, nascondendolo, sottovalutandolo. Al contrario, una depressione a lungo trascurata è causa di grande sofferenza psichica sia per la donna che la vive, sia per il suo bambino che non riceve quella serenità nelle cure e nell’affetto di cui ha bisogno per crescere sano e tranquillo. Non dimentichiamo, che la serenità della madre determina quella del bambino. E viceversa.

I metodi diagnostici per scoprirla L’importanza della prevenzione resta ancora una volta l’arma fondamentale. Già durante i corsi pre parto andrebbe valutato l’aspetto emotivo delle future mamme, poi-

ché la componente psichica ha la sua influenza sull’evento “maternità”. Nella maggior parte dei casi, durante i nove mesi si fanno analisi cliniche su analisi, l’at-

tenzione è rivolta soprattutto alla madre (anche se poi si effettua l’amniocentesi sul feto), mentre una volta diventate effettivamente mamme tutto l’interesse si sposta

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verso il bambino. Delle emozioni e dello stato psicologico della puerpera ci si dimentica. Per questo, è stato anche portato avanti un progetto di screening per l’individuazione e la prevenzione della depressione post natale, denominato STRADE (Screening e trattamento precoce

Scala

della depressione post partum), coordinato dal reparto di Salute mentale del Cnesps-Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità, con il supporto del Ccm-Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie del Mini-

di depressione peripartum di

stero della Salute. Ma per scoprire se si soffre di depressione post partum, tra gli strumenti di screening, suggeriti anche dall’Istituto superiore di sanità, esiste l’Edinburgh Postnatal Depression Scale (vedi tabella), un questionario strutturato su 10 domande, concepito come stru-

Edimburgo (J. L. Cox, J. K. Olden, R. Sagowsky)

1) Sono stata in grado di ridere e vedere il lato divertente delle cose

q Come al solito q Non proprio come al solito q Assolutamente meno del solito q No, per niente

2) Mi sono posta in modo positivo verso gli eventi

q Tanto come al solito q Un po’ meno del solito q Assolutamente meno del solito q No per niente

3) Mi sono sentita colpevole senza motivo quando le cose non andavano bene

q Sì, la maggior parte delle volte q Sì, alcune volte q Non molto spesso q Mai

4) Sono diventata ansiosa o preoccupata senza motivo

q No, per niente q Quasi mai q Sì, qualche volta q Sì, molto spesso

5) Mi sono sentita spaventata o nel panico senza un buon motivo

q Sì, spesso q Sì, qualche volta q No, non molto q Mai

6) Mi sono sentita sopraffatta dalle cose che accadevano

q Sì, il più delle volte non sono in grado di affrontarle q Sì qualche volta non le affronto bene come al solito q No, il più delle volte le ho affrontate piuttosto bene q No, le ho affrontate bene come al solito

7) Sono così infelice che ho difficoltà a dormire

q Sì, la maggior parte delle volte q Sì, qualche volta q Non molto spesso q Mai

8) Mi sono sentita triste o avvilita

q Sì, la maggior parte delle volte q Sì, piuttosto frequentemente q Non molto spesso q Mai

9) Sono così infelice che ho pianto

q Sì, la maggior parte delle volte q Sì, piuttosto frequentemente q Solo occasionalmente q Mai

10) Il pensiero di farmi del male mi è venuto in mente

q Sì, piuttosto frequentemente q Qualche volta q Quasi mai q Mai Fonte: saperidoc.it

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mento per migliorare l’individuazione, adottato nel contesto dei servizi socio-sanitari, che può essere utilizzato anche da ricercatori che intendono raccogliere informazioni sui fattori che influenzano il benessere emotivo delle neomamme e delle loro famiglie. Dagli studi pubblicati risulta che il test, tradotto in oltre 20 lingue diverse, ha superato diversi studi di validazione relativi alla versione inglese e altrettanti sulle versioni

tradotte in diversi Paesi. L’EPDS è stato sviluppato negli anni Ottanta, in quanto l’esperienza clinica accumulata sia nei Paesi ricchi che in quelli poveri mostrava che la depressione unipolare, e in particolare la depressione postnatale, è un disturbo comune che causa molta sofferenza inutile alle donne e alle loro famiglie e che tale depressione poteva influenzare negativamente lo sviluppo e l’accudimento del

bambino, la continuità del matrimonio e l’economia della famiglia. L’EPDS non rileva il rischio di depressione futura, ma individua una depressione leggera che, se non trattata, potrebbe rapidamente evolvere in un disturbo grave e prolungato. A ogni donna che risulta positiva dovrebbe essere data l’opportunità di avere un colloquio clinico e un ulteriore approfondimento, generalmente entro 2 settimane.

“Fermi tutti sono incinta!” La gravidanza al cinema Tutte le problematiche della gravidanza in un libro, attraverso i film che le hanno rappresentate. “Fermi tutti sono incinta! - Cinema e Gravidanza” (ed. Falsopiano), scritto da Ignazio Senatore, psichiatra e psicoterapeuta dell’Università Federico II di Napoli, critico e saggista cinematografico, direttore del festival “I corti sul lettino”, è un’istantanea del mondo della maternità. Suddivisa in capitoli esplicativi che vanno da “Che bello sono incinta” a “È incinta, come è possibile”, da “Maledizione è incinta” a “Quasi, quasi dico che sono incinta”, da “Gravidanza isterica” a “Gravidanza e adolescenza” e così via, affronta anche le problematiche della gravidanza e psicosi, gravidanza immaginaria, gravidanza in ambientazione horror, proseguendo con il parto, l’aborto, frigidità e sterilità femminile e la figura del ginecologo, attraverso la loro raffigurazione sul grande schermo, analizzando 250 pellicole. Un’idea letteraria frutto dell’esperienza diretta mista a curiosità. «È nata - spiega Senatore - in ragione del

mio trentennale lavoro clinico come p s i ch i a t ra , dall’incontro con centinaia di donne che avevano bisogno di sostegno perché dovevano affrontare una IVG (interruzione volontaria di gravidanza) dopo i novanta giorni, affette da “depressione post-partum” o indecise se portare avanti una gravidanza difficile. In numerosi convegni, nel corso delle mie relazioni, ho mostrato dei frammenti di film che affrontavano i temi della gravidanza, del parto, dell’aborto, della sterilità e/o della frigidità femminile. E se è vero che un volume è un viaggio alla ricerca di qualcosa, il mio si muove all’interno del misterioso, sconosciuto ed affascinante mondo femminile». n

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La leggenda dei gatti dispettosi A volte comportamenti apparentemente incomprensibili e petulanti potrebbero essere la manifestazione di un disagio più profondo. Come capirlo in tempo di Chiara Baldetti

s

Nonostante il loro atteggiamento furbetto e, per alcuni, un po’ opportunista quella che i gatti facciano dispetti ai propri padroni è una leggenda metropolitana, un mito da sfatare. 62 OPTIMASALUTE

Spesso questi cosiddetti dispetti, come sporcare fuori dalla lettiera, farsi le unghie sui mobili o miagolare a sproposito, altro non sono che una maniera per dimostrare il proprio disagio e chiedere aiuto

al padrone. Vediamo allora quali possono essere le vere cause di questi problemi e come affrontarle perché non si ripetano. Quando un micio fa i propri bisogni al di fuori della cassetta


adibita si parla comunemente di “eliminazione inappropriata” ed è un problema comportamentale molto diffuso tra i gatti domestici. In questi casi, una volta sbollita la comprensibile rabbia, il padrone dovrà verificare innanzitutto che non ci siano problemi medici, portando il proprio gatto subito dal veterinario per una visita. Tra i disturbi principali che possono causare minzione su divani e angoli della casa troviamo la cistite o altri disturbi alle vie urinarie, causati da un’infezione o un virus. Una volta esclusi eventuali problemi di salute, possiamo passare ad analizzare i fattori ambientali. Quante cassette igieniche ci sono in casa? E quanti gatti le usano? La “regola aurea” delle lettiere è una per ogni felino, più una extra nel caso in cui i mici siano più di tre: ai gatti non piace condividere niente, figuriamoci un ambiente così intimo! In seconda battuta: quanto spesso cambiamo la sabbietta? Nel caso in cui sia sporca, infatti, il

gatto si troverà a disagio nell’usarla. Ricordatevi di togliere gli escrementi ogni giorno e cambiarla del tutto una volta a settimana. Terzo fattore sono le dimensioni della cassettina, dopo il primo anno di vita, infatti, il micio non è più un cucciolo e una cassetta nella quale entra con difficoltà (specie se si tratta di quelle chiuse con basculante per entrare) non gli renderà le cose facili. Per qualche gatto anche il tipo di sabbietta può fare la differenza: una volta abituato ad una certa dimensione e tipo dei sassolini (agglomerante piuttosto che in silicio) non conviene cambiarla perché la potrebbe vivere come un’imposizione non gradita e farvelo capire come può. Meglio scegliere una grana media, che non si attacchi o dia fastidio alle zampe e senza profumazioni che potrebbero essere gradite al vostro naso, ma certamente non al suo. La lettiera, poi, deve avere i bordi abbastanza alti da contenere uno strato di almeno 4 cm di

sabbia, per permettere al gatto di scavare prima e dopo i bisogni, come natura impone. Infine, prendete in esame anche la posizione in casa della lettiera: non dovrà trovarsi mai in un luogo di passaggio senza privacy né vicino ad acqua e cibo perché i gatti, proprio come noi, non amano essere osservati né confondere le varie funzioni biologiche. Se neanche il fattore lettiera sembra essere la causa delle eliminazioni inappropriate del vostro micio, si renderà necessaria la visita di un veterinario comportamentalista. Si tratta di uno specialista, una sorta di “psicologo del gatto”, in grado di stabilire se l’animale soffre di problemi di relazione (questo soprattutto nel caso in cui nello stesso ambiente convivono più gatti). Quello che è certo, comunque, è che le punizioni e le grida contro i gatti non funzionano ma, anzi, rischiano di peggiorare la situazione aumentando il loro grado di ansia.

I “desideri” del micio Ecco qui un breve vademecum delle soluzioni da adottare e dei comportamenti da evitare con il vostro “coinquilino” a quattro zampe. Fate conto che ve li abbia suggeriti “lui” direttamente...

riservato e tranquillo, lontano dal cibo; • provvedere a momenti di gioco e una vita attiva per quanto possibile; • coprire divani e letti con teli o incerate di plastica.

Cosa fare • portare il gatto dal veterinario per una visita, in modo da escludere eventuali patologie. È probabile che vi venga richiesto un campione di urina e/o feci; • aumentare il numero di lettiere (una per gatto + una extra in caso siano più di 3); • pulire quotidianamente la lettiera e cambiarla settimanalmente; • posizionare la lettiera in un ambiente

Cosa non fare • non sgridare il gatto, aumenterebbe la sua ansia; • non usare candeggina o ammoniaca per pulire; • non usare prodotti profumati per mascherare l’odore di urina; • non usare deodoranti ambientali forti; • non chiudere la porta della stanza dove si trova la lettiera; • non chiudere il gatto in bagno. n

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Hobby House

di Gelsomina Sampaolo

Libreria Bambini

Il filo emozionato

Il GGG

Sei quello che mangi

Essere mortale

Per la tristezza serve una carezza e la speranza che tutto passi. Per molta tristezza ci vuole un abbraccio. Per la rabbia si conta fino a dieci. Un filo per ogni emozione. Viola S.; Gribaudo; Euro 14,90

È l’Ora delle Ombre e una mano enorme strappa dal letto Sofia e la trasporta nel Paese dei Giganti. Per fortuna il Grande Gigante Gentile è vegetariano vuole fermare i giganti carnivori. Dahl R.; Salani; Euro 12,90

In Salute Il medico che ha creato NutritionFacts.org spiega come semplici interventi su stile di vita e nutrizione possano essere, spesso, più efficaci di altri approcci. Greger M.; Baldini e Castoldi; Euro 20,00

Il dott. Atul Gawande descrive e discute le principali difficoltà dei servizi assistenziali per gli anziani nell’Occidente industriale attraverso alcune storie vere. Gawande A.; Einaudi; Euro 19,50

Best Seller

Le notti bianche

Un giovane sognatore incontra nella notte di San Pietroburgo una ragazza piangente e sola che sarà per lui l’appiglio verso il concreto mondo diurno. Dostoevskij F.; San Paolo; Euro 5,90

Cinema I magnifici 7

Regia: A. Fuqua con D. Washington, C. Pratt, E. Hawke, V. D’Onofrio Trama: remake del classico western, stavolta in salsa multietnica. Giudizio: ottima prova di regia e recitazione, non fa rimpiangere l’originale.

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L’arte di essere fragili

Esiste un metodo per la felicità duratura? D’Avenia racconta il suo metodo per la felicità e l’incontro decisivo che glielo ha rivelato: quello con Giacomo Leopardi. D’Avenia A.; Mondadori; Euro 19,00

Musica L’amore e la violenza Baustelle

La band di Francesco Bianconi fa un passo indietro verso il pop delle origini, alternando sapientemente il serio e il faceto.



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ricette

Insalata di pollo • 500 gr. petto di pollo • 400 gr. di lattuga • 3 gambi di sedano • 100 gr di cipolline sottaceto • 2 carote • 50 gr di olive snocciolate • 4 cucchiai di olio di oliva • 2 cucchiai di aceto di vino bianco • succo di un limone e sale q.b. Preparazione Lessate il petto di pollo per circa 10 minuti, poi tagliatelo in piccoli pezzetti a piacere e lasciatelo raffreddare e marinare in sale, olio e succo di limone. A parte, in una insalatiera, preparate lattuga a listarelle, gambi di sedano a dadini, carote a fiammifero, olive a rondelle. Condite con aceto e sale, mescolate col pollo e servite.

W Oscar

Perdono strategico “Perdona sempre i tuoi nemici. Nulla li fa arrabbiare di più”. (Oscar Wilde)

Lo Sapevate?

Lo pneumatico inventato nel 1845 Lo pneumatico moderno è stato inventato dal 23enne inglese Robert William Thomson nel 1845. Si può considerare un vero genio autodidatta: lasciò la scuola a 14 anni, ma studiò chimica, elettricità e astronomia con l’aiuto di un amico. Prima dello pneumatico inventò un motore rotativo ellissoidale a vapore e un metodo per far detonare le cariche esplosive da cava con l’elettricità.

Web Zone

Chrome Todobook per non perdere tempo su internet Todobook è la nuova estensione ideata per Google Chrome che ci ricorda tutti i nostri impegni, prima di perdere troppo tempo sui social network e internet in generale. Quando si apre Facebook, Chrome mostra la propria “lista delle cose da fare” (personalizzabile), invitando l’utente a farne almeno una prima di mettere “like” ai post degli amici.

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Oroscopo Segno del mese Pesci 21/01 - 19/02

É il momento di estrarre dal cilindro il vostro indiscusso talento senza tante remore. Vi servirà per avere successo nel lavoro ed anche nella vita di coppia.

FB per i genitori Facebook ha dedicato ai genitori un portale nella sua sezione dedicata alla sicurezza. Dopo i “Primi passi su Facebook“, troviamo “Di’ a tuo figlio che le stesse regole si applicano online e offline” e “Connettiti subito con tuo figlio”. Presente anche una “Piattaforma di prevenzione contro il bullismo”, rivolta a genitori, adolescenti e educatori.

Ariete 21/03 - 20/04

La vostra proverbiale impulsività vi sarà d’aiuto. Ma non tiranneggiate troppo...

Toro 21/04 - 20/05

Siete sempre troppo frenati: mostrate il vostro vero volto.

Gemelli 21/05 - 21/06

L’impazienza non è buona consigliera. Ci vuole sangue freddo.

Cancro 22/06 - 22/07

L’entusiasmo vi porta ad accontentare tutti. Ma guai a restare in mezzo al guado.

Leone 23/07 - 23/08

I sogni non aiutano a vivere meglio. Barra dritta e concretezza, please.

Vergine 24/08 - 22/09

Relax e serenità sono indispensabili per programmare il futuro prossimo.

Bilancia 23/09 - 22/10

Il vostro carisma relazionale supplirà a tutti i possibili intoppi lavorativi.

Scorpione 23/10 - 22/11

Avrete una energia tutta primaverile. Ma non seguite troppo Marte!

Sagittario 23/11 - 21/12

L’individualismo connaturato in voi sarà finalmente apprezzato.

Capricorno 22/12 - 20/01

Uscite dal cono d’ombra, esprimete le vostre idee senza paura.

Acquario 21/01 - 19/02

Le riflessioni profonde non vanno sempre bene. Più concretezza.

Tweet modificabili Rendere i tweet modificabili è una delle richieste più insistenti degli utenti del social network. L’AD Jack Dorsey ci sta riflettendo ma, oltre al grande lavoro di programmazione che richiederebbe, verrebbe messo in dubbio anche il ruolo stesso di Twitter nel campo dell’informazione. Pensate semplicemente alla possibilità di modificare tweet scomodi.

CONCERTI

Le date del mese

Mario Biondi: 6 Genova, 8-9 Milano, 11 Cremona, 13 Bologna, 14 Torino, 16 Firenze, 17 Varese, 19 Udine, 20 Trieste, 22 Parma, 24 Brescia, 25 Sanremo, 27 Montecatini, 28 Trento, 30 Padova, 31 Bergamo. Giorgia: 19 Mantova, 22 Casalecchio di Reno, 24 Assago, 28 Genova, 30 Napoli. Modà: 3 Livorno, 6-7-10 Assago, 14 Conegliano, 16 Pesaro, 18 Torino. Litfiba: 29 Padova, 31 Assago. Carmen Consoli: 2-3-4 Roma, 5 Venezia, 8-9 Bologna, 11 Senigallia, 18 Pescia, 19 Genova, 20-21-22 Milano. J-Ax e Fedez: 11 Torino, 13 Casalecchio di Reno, 15 Firenze, 18-19 Roma, 28 Napoli, 31 Acireale. Ligabue: 3-4 Castelmorrone, 6-7 Perugia, 10-11 Livorno, 13-14 Assago, 17-18 Trieste, 20 Pesaro, 22-23 Firenze, 25-26 Genova, 28-29 Torino.




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