Optima Salute Gold - Giugno 2017

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N. 258 ANNO XXVI

Giugno 2017

Alimentazione

Dossier

Salute

I bugiardi della dieta

Una estate al sole: la giusta prevenzione per proteggere pelle, occhi e capelli

Identikit dell’endometriosi

Allenamento Il test della forma

Cuore Convivere con la bradicardia



Sommario

Anno XXV n. 258 Giugno 2017

Direttore responsabile Claudio Sampaolo Coordinamento editoriale Roberta Stagno Grafica e impaginazione Enrico Marinelli email: info@studiorocchetti.com Redazione Studio Rocchetti Comunicazione Strada Lacugnano Giardino, 3 06132 Perugia e mail: redazione@studiorocchetti.com Tel. 075 5170247 Fax 075 5171430 Marketing e pubblicità Francesca Capalbo Tel. 06 41481370 Fax 06 41481383 Gabriele Iannella Tel. 06 41481292 email: optima@comifar.it

Collaboratori Francesca Aquino, Chiara Baldetti, Benedetta Ceccarini, Stefano Ciani, Pompeo D’Ambrosio, Melissa Finali, Francesco Fioroni, Andrea Giordano, Maria Mazzoli, Roberto Moraldi, Simona Peretti, Maria Pia Pezzali, Giuseppe Rinonapoli, Rolando Rossi, Gelsomina Sampaolo, Filippo Tini Consulente scientifico Dottor Pompeo D’Ambrosio Fotografie AGF Creative - Fotolia - iStock Illustrazioni Sabrina Ferrero Editore Comifar Distribuzione S.p.a. Via Fratelli Di Dio, 2 20026 Novate Milanese (MI) Registrazione del Tribunale di Milano n.727 del 04/12/2008 Fotolito e Stampa Charterhouse in collaborazione con Rotolito Lombarda S.p.A. Via Sondrio, 3 20096 - Seggiano di Pioltello (MI) Prezzo per copia € 1,00 Costi di abbonamento: copie 50 € 250,00 copie 100 € 365,00 copie 150 € 505,00 copie 200 € 655,00 copie 300 € 950,00 copie 500 € 1.545,00 Rivista ceduta esclusivamente in abbonamento attraverso il canale Farmacia Info e abbonamenti: www.optimasalute.it

Post-it

Rubriche

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Attualità in Farmacia La hit parade delle novità

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Post-it Pro-memoria della salute di Francesca Aquino

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Hobby House Cinema, musica e libri

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Ultima pagina Oroscopo, ricette, appuntamenti, curiosità

di Gelsomina Sampaolo

omaggio del tuo farmacista

Testata associata

www.optimasalute.it OPTIMASALUTE

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Sommario

Anno XXV n. 258 Giugno 2017

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Dossier

Abbronzatissimi. Ma con giudizio… Il sole è un nostro amico, fornisce la vitamina D e ci fa sentire più belli e abbronzati. Ma a patto di usare la giusta prevenzione, per proteggere pelle, occhi e capelli dall’eccesso di raggi ultravioletti e infrarossi a cura di Maria Mazzoli

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Il mio cuore batte lento Bradicardia: vantaggi per gli sportivi e sintomi da tenere sotto controllo

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Il test della forma Sei facili prove per scoprire e valutare forza, resistenza e flessibilità

di Pompeo D’Ambrosio

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Identikit dell’endometriosi I consigli del ginecologo per una diagnosi precoce e terapie ad hoc di Gelsomina Sampaolo

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di Roberto Moraldi

Menopausa & Sport Come riprendere a muoversi e ottenere benefici dopo i 50 anni di Francesca Aquino

I bugiardi della dieta Un nuovo test delle urine per “scoprire” chi bluffa col nutrizionista

di Gelsomina Sampaolo

Gatto vs divano Tutti i trucchi per evitare danni, a partire dall’acquisto di un tiragraffi

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di Chiara Baldetti



Attualità in Farmacia

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

Le novità e i prodotti in vendita in Farmacia

La cura dei piedi per il benessere di tutto il corpo con la linea Timodore

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Una silhouette snella, nella semplicità di un gesto... Somatoline Cosmetic Use&GoTM Olio Snellente Spray

I mesi che anticipano l’estate sono fondamentali per preparare la pelle e il corpo alla bella stagione e altrettanto indispensabili sono i prodotti specifici che scegliamo come alleati. Purtroppo però il tempo per dedicarsi alla cura del proprio corpo spesso è molto ridotto: lo stile di vita frenetico ci impedisce di ritagliarci momenti per la nostra beauty routine. Fortunatamente Somatoline Cosmetic ci viene in aiuto: il nuovo Use&GoTM Olio Snellente Spray agisce mentre molte donne vivono la loro vita indisturbate. L’innovativa formula multitasking in olio spray combina l’azione snellente e drenante in 4 settimane*, grazie all’esclusivo ReduxOil-complex™, con la facilità d’utilizzo e offre inoltre un sensazionale effetto beauty sulla pelle, rendendola più elastica, tonica e compatta. Questo olio ricco di attivi specifici, è ideale anche dopo la doccia, quando la pelle è più recettiva e assorbe meglio i principi attivi snellenti e tonificanti. *Azione cosmetica durante l’uso. Non comporta perdita di peso. Test clinico vs placebo condotto su 86 donne con adiposità superficiale, di grado lieve-moderato.

La formula del solare perfetto

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Fruvis Multi-Vegetalfruit: concentrati di frutta e verdura pronti da bere

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S.O.S Pelle®, la crema lenitiva contro arrossamenti e prurito

La nostra pelle è costantemente a contatto con fattori esterni come sbalzi di temperatura, punture d’insetto o l’esposizione al sole, che possono provocare irritazioni cutanee, arrossamenti e prurito. La crema S.O.S Pelle® Dr. Ciccarelli, sfruttando le spiccate proprietà lenitive dei principi attivi naturali estratti dalle piante mediterranee del cappero, dell’olivo e del fico d’India, offre una soluzione rapida ed efficace contro eritemi solari, punture d’insetto, irritazioni da depilazione e rasatura ma anche dermatiti da pannolino. La sua formulazione è senza parabeni e può essere applicata anche più volte al giorno sulla parte interessata. In Farmacia. OPTIMASALUTE

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Post-it salute

Depressi quasi 4 milioni di italiani

Quasi 4 milioni di italiani, per l’esattezza 3,7 milioni, corrispondenti al 6,2% della popolazione presentano sintomi legati alla depressione. Questi i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità dopo l’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in occasione dell’ultima Giornata Mondiale della Salute. Scendendo nel dettaglio, sopra la media nazionale risultano: Emilia-Romagna (7,5%), Liguria (7,5%), Molise (10,2%), Sardegna (9,4%) e Umbria (8,7%). Con un dato migliore della media: Basilicata (3,4%), Marche (4,8%), la provincia autonoma di Bolzano (4,6), quella di Trento (4,2%), Puglia (4,4%) e Veneto (5,6%).

Una retina artificiale sperimentata a fine anno

Un’innovativa retina artificiale è stata messa a punto da una equipe italiana di ricercatori. Gli esperimenti, effettuati per ora solo sui topolini di laboratorio portatori di una mutazione in uno dei geni legato alla retinite pigmentosa, hanno evidenziato la rinnovata capacità di orientarsi alla luce e altre attività legate alla funzionalità degli occhi. La prima sperimentazione sull’uomo è prevista nella seconda metà di quest’anno. I ricercatori impegnati sono stati quelli dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, del Centro di Nanoscienze e Tecnologie (CNST) di Milano, del Dipartimento di Oftalmologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), dell’Innovhub-SSI Milano e dell’Università dell’Aquila.

Osteopatia-boom: 10 milioni di clienti

In Parlamento si discute il riconoscimento dell’osteopatia come professione sanitaria, ma gli italiani vi fanno già ampiamente ricorso se, secondo un’indagine demoscopica realizzata per Registro degli Osteopati d’Italia (Roi) dall’Istituto di ricerca Eumetra Monterosa, un italiano su 5 (ben 10 milioni) si è rivolto almeno una volta a questa figura professionale. Inoltre più di uno su 3 lo ha fatto su consiglio di un medico. Il 70% di chi si è rivolto all’osteopata lo ha fatto per curare dolori muscolo-scheletrici; il 90% si dichiara molto o abbastanza soddisfatto. Se la professione fosse riconosciuta dalla riforma prevista nel Ddl Lorenzin, potrebbero attivarsi detrazioni fiscali, copertura da parte del Servizio Sanitario Nazionale e copertura assicurativa delle cure.

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Post-it salute

Il gene del gufo

Non riuscite mai ad andare a letto presto e la mattina fate fatica ad alzarvi? Potreste avere quello che i ricercatori della Rockefeller University chiamano il “gene del gufo”, ovvero un DNA che ritarda l’orologio che regola il ciclo sonno/veglia. Questo gene, il cui nome scientifico è ‘CRY1’, determina una vera e propria sindrome definita “del sonno ritardato” e già ampiamente diagnosticata negli USA. Questa mutazione genetica sarebbe piuttosto diffusa, colpendo 1 persona su 75. Le prossime ricerche verteranno sul come trattare questa sindrome e ritrovare il sonno regolare.

Alcol fuori pasto per 3,7 milioni di italiani

Il fenomeno è noto col nome inglese di “binge drinking”, ovvero l’abitudine di bere alcolici fuori misura, specialmente lontano dai pasti ed è in netto aumento in Italia. Sono quasi 3,7 milioni i bevitori, soprattutto giovanissimi, secondo l’ultima relazione su alcol e problemi correlati, trasmessa dal Ministero della Salute al Parlamento. Il fenomeno è stato in aumento tra il 2014 e il 2015, soprattutto tra gli uomini, mentre si registra un calo nel decennio 2005-2015, dal 69,7% al 64,5%. “L’alcoldipendenza - ricorda il Ministero - è un fenomeno che continua a necessitare di grande attenzione per le implicazioni sanitarie e sociali che ne derivano”.

La glicemia si misura con la lente a contatto

In un futuro prossimo potremo misurare il glucosio nel sangue attraverso lenti a contatto trasformate in biosensori per la glicemia. Il sistema è stato messo a punto dai ricercatori della Oregon State University e presentato all’ultimo congresso dell’American Chemical Society. Questa lente-sensore si servirà della stessa tecnologia impiegata per rendere più vividi gli schermi degli smartphone; il suo pH cambierà in presenza di glucosio, modificando anche la corrente elettrica che attraversa il transistor alla base del sistema. In questo modo sarà possibile diagnosticare il diabete di tipo 1 tramite le informazioni estratte dalle gocce delle lacrime negli occhi.

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Post-it salute

Gravidanza? Occhio a zuccheri e grassi

Le donne incinte devono mangiare per due e rispondere alle cosiddette “voglie”, ma occhio a non indulgere troppo in zuccheri e grassi, poiché potrebbero danneggiare la futura vita del bambino. Lo illustra uno studio pubblicato sul Journal of Physiology che sottolinea come durante la gravidanza il metabolismo della mamma tende verso l’insulino-resistenza e la scarsa tolleranza al glucosio perché così limita il proprio utilizzo di questo zucchero lasciandolo a disposizione del feto. Se la dieta eccede in grassi e zuccheri, si rischia l’aumento della probabilità di diabete di tipo 2, obesità e malattie cardiovascolari per il nascituro.

Leggere con i peluche

Un team di studiosi giapponesi ha provato scientificamente l’importanza per i bambini di avere un animale di peluche, che con la sua compagnia stimola l’apprendimento. Raccontare le favole ai peluche, infatti, oltre che la fantasia stimola anche la lettura e i comportamenti sociali. L’esperimento è stato fatto su 42 bambini di età prescolare, in una sorta di pigiama party in biblioteca. I bambini mostravano maggior curiosità nella lettura se motivati dal poter raccontare ai loro giocattoli le storie nei libri. I ricercatori hanno anche fotografato i peluche intenti a leggere i libri ed è bastato questo per risvegliare nei bambini la voglia di leggere.

L’origine dell’Alzheimer

Uno studio coordinato dal prof. Marcello D’Amelio (associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma) ha individuato l’area di origine dell’Alzheimer, che si troverebbe nella zona cerebrale associata ai disturbi dell’umore e non, come si credeva finora, a quella della memoria. La depressione, in sostanza, potrebbe essere un campanello d’allarme della malattia e non viceversa. La ricerca, condotta in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e del CNR di Roma, ha evidenziato come la morte di neuroni deputati alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell’ippocampo, causandone il ‘tilt’ che genera la perdita dei ricordi.

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Il mio cuore batte lento Se la frequenza cardiaca a riposo è molto bassa, siete bradicardici. Ma niente paura: i vantaggi per gli sportivi e i sintomi da tenere sotto controllo a cura di Pompeo D’Ambrosio medico sportivo, cardiologo

s

A volte l’utilizzo di parole “difficili” o comunque con cui si ha poca dimestichezza può creare problemi di comprensione o indubbio disagio nella pronuncia e nella scrittura. Oggi ne prendiamo in considerazione una che cela molti di questi aspetti: si tratta del termine “bradicardia”, che tutti nella vita abbiamo pronunciato o sentito almeno una volta. Per sgomberare il campo da equivoci partiamo dall’etimologia, che ci riconduce immediatamente al greco antico; il termine è composto da due parole, “bradi” e “cardia”: sul se-

condo non dovrebbero insorgere problemi, in quanto stiamo parlando di cuore, mentre sul primo qualche dubbio viene subito alla luce. Niente paura, “bradi” significa lento, pertanto, tornando alla parola originaria, si comprende che bradicardia significa cuore lento, o, tradotto in maniera ottimale, battito lento. Aggiungiamo un altro concetto, che sicuramente eviterà brutte figure: parliamo di bradicardia e non di brachicardia come spesso (molto più di quanto sia immaginabile, e, duole dirlo, anche da parte di chi non dovrebbe) si sente dire.

La parola alternativa (cioè “brachicardia”) teoricamente esiste, e letteralmente starebbe per “cuore corto”, che non significa però assolutamente nulla. Una lettera soltanto fa la differenza? Certo, basta cambiarne una per passare da gonna a donna o da sommo a sonno, ma la diversità appare subito macroscopica. Questo errore potrebbe forse derivare dall’assonanza con la parola opposta a bradicardia, cioè “tachicardia”, che nella parte obsoleta ha una “c”. Tachicardia sta per “battito accelerato”, bradicardia per battito lento. Come mai parliamo di OPTIMASALUTE

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bradicardia? Perché quando avviene un fatto di cronaca coinvolgente un personaggio famoso, l’argomento che lo riguarda viene sviscerato dai mass media, a volte anche a sproposito. In questo caso, la morte di Carme Chacón, ex ministro della difesa del governo di Zapatero e portatrice di una malformazione cardiaca associata anche alla bradicardia (come lei stessa dichiarò in un’intervista), ha portato alla ribalta il problema: “il cuore lento” non deve essere più considerato come una prerogativa ottimale degli atleti che eccellono negli sport di resistenza, ma addirittura rappresenta una caratteristica negativa che in certi casi può portare alla morte? Come la mettiamo allora, sosterrà qualcuno, con il fatto che

Coppi e Bartali avevano il cuore che batteva lentamente e sono stati entrambi campioni, mentre Franco Bitossi (altro famoso ciclista degli anni ‘60) veniva definito “cuore matto” perché, durante lo sforzo, la frequenza cardiaca accelerava improvvisamente e lo costringeva talvolta perfino al ritiro? Questi vecchi appassionati di ciclismo (ma di esempi se ne trovano in quantità nello sport e in ogni altro campo della vita) hanno sicuramente la loro parte di ragione: il battito lento può essere associato a grandi prestazioni sportive e quello accelerato a disturbi e defaillance, ma è vero anche il contrario. Un cuore che batte lentamente a riposo ma non riesce ad aumentare adeguatamente la frequenza quando necessario è

un dato negativo. Viceversa, la capacità di aumentare nel corso di uno sforzo estremo le proprie pulsazioni fino a raggiungere valori altissimi, fuori scala, permette di ottenere prestazioni sconosciute ad altri atleti. Dove sta la verità? Cerchiamo di fare chiarezza. Per sintetizzare, il cuore è un muscolo che ha il compito di pompare sangue verso gli organi e i muscoli per assicurare il giusto apporto di ossigeno. Il numero dei battiti al minuto rappresenta la frequenza cardiaca, che in condizioni normali è regolata da un segnapassi (o pacemaker) che sta nell’atrio destro e si chiama nodo seno atriale. Lo potremmo definire una sorta di direttore di orchestra, che rallenta o accelera il ritmo a seconda delle necessità.

La frequenza ottimale a riposo è tra 60 e 100 In condizioni di riposo, la frequenza è compresa tra 60 e 100/ minuto, al di sotto di 60/minuto si parla di “bradicardia”, sopra le 100 pulsazioni al minuto di tachicardia. Questi valori, di per sé, non esprimono nulla di particolare, ma, rapportati a situazioni specifiche, permettono di estrapolare alcuni dati e spiegare molte cose. Prendiamo in esame la bradicardia. In condizioni di riposo è comu-

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ne trovare valori inferiori a 60 battiti al minuto, abbastanza comune sotto 50, mentre invece è raro imbattersi in frequenze al di sotto dei 40. C’è di che allarmarsi? Certamente no, perché il fenomeno dei battiti lenti è spesso associato alla pratica di attività sportive per lo più di tipo aerobico, cioè di resistenza. La bradicardia rappresenta un meccanismo di adattamento allo sforzo dopo un periodo di al-

cuni mesi di allenamento. Il cuore risparmia il numero di contrazioni necessarie per apportare la stessa quantità di ossigeno in periferia, perché ad ogni battito è in grado di pompare una maggior quantità di sangue con il semplice aumento della forza di contrazione. Questo costituisce un meccanismo di risparmio energetico. Oltre che meccanismo di adattamento conseguente alle sollecitazioni fornite



da un adeguato allenamento, la bradicardia può anche essere indipendente dalla pratica di attività fisica e rappresentare una carat-

teristica genetica di un individuo: in questo caso la bradicardia starebbe semplicemente ad indicare che, sin dalla nascita, il soggetto

è naturalmente predisposto per le attività di resistenza (o quantomeno non ha caratteristiche tipiche di chi ha invece qualità di potenza).

L’esempio di Coppi e i valori sotto sforzo Non bisogna però semplificare eccessivamente né sposare a priori la teoria secondo cui “atleta bradicardico uguale atleta che eccelle nella resistenza”. Si diceva in precedenza del luogo comune, in parte realistico, ma non valido in assoluto, che “Coppi e Bartali avevano il battito cardiaco a riposo inferiore a 40 al minuto”. Che significa? Semplicemente che in condizioni basali l’attività cardiaca punta al risparmio, ottenuto con una quota maggiore di sangue spinta in circolo ad ogni battito, il che permette una minor frequenza per conseguire lo stesso risultato. Per parlare di eccellenza nel campo della resistenza ciò che conta, però, è quanto accade nel corso di uno sforzo, quando cioè la frequenza cardiaca deve necessariamente aumentare per fare fronte a una maggiore richiesta di ossigeno da parte dei muscoli. È allora che si vede la reale predisposizione alla resistenza del soggetto: se la natura lo ha

dotato di questo talento, avrà un minore incremento di frequenza cardiaca rispetto agli altri, a parità di carico. Questo permette di avere a disposizione una specie di riserva, ma inoltre un ulteriore vantaggio può derivare anche dalla possibilità di raggiungere, al massimo dello sforzo, valori di frequenza cardiaca molto elevati. Facciamo un esempio pratico: l’automobile ideale dovrebbe consumare una quantità irrisoria di carburante a basse velocità, e avere contemporaneamente un motore così elastico da consentire, man mano che le prestazioni aumentano, ancora bassi consumi pur con un aumento della velocità. Non basta. Il numero di giri del motore dovrebbe essere così alto, al massimo delle prestazioni, da permettere all’auto di erogare ancora potenza quando le altre, a parità di cilindrata, sono costrette a rallentare pena la rottura del motore. Riferendo queste prestazioni al cuore, ciò significa che la bradi-

cardia a riposo è sì importante, ma a maggior ragione lo è anche la possibilità di arrivare, al massimo dello sforzo, a valori di frequenza cardiaca molto alti, anche oltre 200 battiti al minuto, in modo da avere a disposizione sempre una ulteriore riserva rispetto agli altri. Questa caratteristica è genetica ed indipendente dall’allenamento, che invece può influenzare l’intervallo tra la frequenza minima e massima di un soggetto: più si è allenati correttamente, minore è l’incremento dei battiti a parità di lavoro. Questo consente di risparmiare energia, perché ogni aumento di velocità determina solo un piccolo aumento della frequenza, apportando potenzialmente vantaggi molto maggiori rispetto a chi ha frequenze a riposo più alte o comunque non ha grandi differenze tra i valori minimi e massimi. In realtà il meccanismo sarebbe un po’ più complesso, ma con questa affermazione non ci si discosta molto dalla realtà.

Tenere sotto controllo tutta l’attività cardiaca Abbiamo fin qui imparato che un cuore “lento” è bradicardico, così come un’attività frenetica (cioè al di sopra di 100/m’) è tachicardica. Sull’attività cardiaca influiscono due tipi di nervi: • il simpatico aumenta la fre-

quenza; • il vago rallenta invece il numero dei battiti. La bradicardia è caratterizzata da una prevalenza vagale rispetto a quella simpatica, o, meglio, da una depressione dell’attività del

simpatico. Ma avere pochi battiti a riposo è sempre un vantaggio? Teoricamente sì, in quanto si risparmia energia, se però tutto funziona a dovere. Ciò che conta difatti è l’efficienza dell’attività cardiaca in


toto, perché un cuore bradicardico deve anche essere in grado di accelerare quando la situazione lo richiede, altrimenti ciò che è un vantaggio può trasformarsi in un danno. Si è visto come l’attività elettrica del cuore abbia origine dal nodo del seno, una piccola zona dell’atrio destro. Se però questa parte non funziona a dovere, non c’è la possibilità di adeguare la frequenza alle varie situazioni che la vita quotidiana, non solo sportiva, richiede. Questo può verificarsi sin dalla nascita o nel corso degli anni, per una sorta di invecchiamento del nodo del seno, non più in grado di soddisfare le esigenze. Un danno a questo “sistema elettrico” può accadere anche in modo acuto, ad esempio con un’ischemia o un infarto che impediscono il normale apporto di ossigeno nel nodo del seno. Bisogna anche vedere quanto accade quando l’attività cardiaca rallenta ulteriormente, come nel corso del riposo notturno: a volte bradicardie estreme, di giorno poco superiori a riposo

a 30/m’, arrivano durante la notte a valori anche inferiori a 20/m’. In questo caso, pur se si tratta di atleti molto allenati e dotati, bisogna valutare se la situazione è realmente fisiologica o sconfina nella patologia, perché in questo caso l’apporto di sangue ad organi nobili come il cervello potrebbe essere compromesso. L’esasperazione della bradicardia può portare alla necessità di intervenire con l’impianto di un pacemaker artificiale, una specie di vigile sentinella che interviene solamente in caso di necessità, cioè quando la frequenza cardiaca si abbassa al di sotto di un certo valore che viene programmato dall’aritmologo, cioè un cardiologo specialista nel trattamento delle aritmie. In fondo la bradicardia, anche fisiologica, è pur sempre una deviazione dal normale ritmo, e viene considerata un’aritmia (pur benigna) “ipocinetica” (letteralmente “a bassa velocità”). Come dobbiamo comportarci in caso di bradicardia? Normalmente, nel senso che se non dà segni

di sé attraverso giramenti di testa o svenimenti (sincopi), spesso non ci si accorge nemmeno di essere bradicardici e la prima scoperta avviene casualmente nel corso del primo elettrocardiogramma, che può essere effettuato come routine in caso di intervento chirurgico, di visita medico sportiva o altra occasione. La cosa importante è valutare l’efficacia e la funzionalità del nodo seno atriale, il pacemaker naturale di cui si è detto in precedenza; questo può essere verificato attraverso un elettrocardiogramma da sforzo, in cui il cuore viene sollecitato al massimo, generalmente sul tapis roulant o il cicloergometro. Se la frequenza cardiaca aumenta in modo adeguato e non compaiono altre aritmie, significa che il sistema elettrico funziona in modo soddisfacente e si può concludere solamente che il soggetto è naturalmente avvantaggiato nel corso di sforzo prolungato; in caso contrario verrà valutato con altre metodiche che non staremo qui a menzionare. OPTIMASALUTE

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Il decalogo del cuore 1) La normale frequenza cardiaca a riposo è compresa tra 60 e 100 battiti al minuto. 2) La tachicardia è una frequenza superiore a 100/minuto. 3) la bradicardia è una frequenza inferiore a 60/minuto. 4) La bradicardia può essere presente sin dalla nascita o comparire come meccanismo di adattamento a sforzi di resistenza; occorrono però almeno alcuni mesi prima che questo si manifesti. Una volta instaurato, questo meccanismo rimane ugualmente alcuni mesi prima di scomparire, anche in caso di avvenuta sedentarietà. 5) Un cuore bradicardico, se sano, è un organo che risparmia lavoro (manda in circolo una maggiore quantità di sangue ad ogni battito). 6) Il soggetto con un cuore bradicardico è tendenzialmente più idoneo ad eccellere nelle attività di resistenza. 7) Il punto precedente non è una verità assoluta, perché è importante anche il valore di massima frequenza cardiaca che un cuo-

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re può raggiungere: è proprio la differenza tra frequenza cardiaca massima e a riposo a determinare chi è fisiologicamente più predisposto alle attività aerobiche. 8) Un soggetto con un cuore bradicardico non dovrebbe mai accusare sintomi come vertigini, sensazioni di svenimento, sincopi; in caso contrario la situazione dovrebbe essere valutata da un cardiologo attraverso un esame clinico completato da indagini mirate. 9) Viceversa, in situazioni particolari, possono essere considerati normali soggetti che di notte raggiungono anche frequenze inferiori a 20 battiti al minuto. 10) Anche il cuore invecchia; a volte, con il passare degli anni, il nodo del seno (il nostro pacemaker naturale) non è in grado di accelerare il numero dei battiti, e la bradicardia non è più un vantaggio, ma un problema. Concludendo, l’affermazione più corretta a proposito della bradicardia, è che “rappresenta un ottimo mezzo a disposizione dell’organismo per risparmiare lavoro (non fatica), a patto di avere tutto il sistema in ordine...”. n




Il test della forma Bastano un tappetino e un po’ di buona volontà per scoprire e valutare forza, resistenza e flessibilità. In pochi minuti con sei facili prove di Roberto Moraldi

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Nei primi mesi di caldo avete preso la rincorsa verso una nuova avventura, ora ci siamo: giugno, luglio e agosto sono da sempre i mesi preferiti per buttarsi capofitto in un’attività sportiva. Nuova o vecchia che sia. Perché, diciamocelo tra di

noi, a tutti fa piacere rimettersi in forma, essere più tonici; non solo al lato “vanesio” della nostra personalità (“ti trovo proprio bene”, sono parole magiche per l’autostima) ma anche alla parte salutare. Meno fiatone quando si fanno le scale, meno chili

da portarsi appresso, le analisi del sangue che migliorano magicamente. Fin qui tutto bene, ma sul versante opposto c’è in agguato un temibile nemico: il sovrallenamento, cioè una patologia difficile da estirpare che trasforma le persone in automi OPTIMASALUTE

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un po’ fissati con allenamenti, ripetute, cronometro, cardiofrequenzimetro. Una specie di rigidità militare che non porta ad un aspetto sano. Quante volte avete visto dei vostri amici iperallenati, smunti, dimagriti da far paura? E allora, proprio per sapere a quale categoria appartenete, prima che ve lo dicano gli altri, vi sottoponiamo un test abbastanza facile per mettervi alla prova nelle varie componenti del fitness (capacità cardiovascolare, distribuzione del grasso corporeo, flessibilità, forza e resistenza muscolare) e scattare una sorta di istantanea dei vostri punti de-

boli e di quelli di forza, valutando così l’efficacia del vostro attuale regime di allenamento. Chi si occupa di motivare persone agli inizi di un’attività sportiva o, all’opposto, chi dopo tanto tempo sente un’effettiva carenza di stimoli per andare avanti, spiega che a volte anche dei semplici numeretti possono aiutare dal punto di vista psicologico, in quanto vengono percepiti come più obiettivi e realistici rispetto al semplice sentirsi in forma, avere un aspetto sano o sentirsi a proprio agio. Ecco come procedere con il nostro test. Prendete nota dei risultati, poi tornate al vostro normale programma di allena-

mento, seguitelo per un po’ e controllate i vostri progressi. Continuate così per 4-6 settimane. Se vi allenate regolarmente già da un po’, i progressi saranno più lenti e quindi potrete attendere dalle 8 alle 16 settimane prima di ripetere il test. Ricordatevi di ripetere il test esattamente nelle stesse condizioni, così da avere un quadro più preciso dei vostri progressi. Se non vi siete mai allenati prima o avete più di 40 anni, consultate prima un medico sportivo. Per cominciare ad avere una vita fisicamente più attiva partendo da zero o quasi occorre andare con i piedi di piombo.

Primo passo: tutti i problemi di cuore Test 1 Battito cardiaco a riposo

Scopo: migliorare la forma e la resistenza cardiovascolare porta come conseguenza l’abbassamento del battito cardiaco a riposo, grazie all’aumento della quantità di sangue pompata dal cuore ad ogni battito. Come: prendete il polso il mattino, prima di alzarvi dal letto. Contate per un minuto oppure per 30 secondi e poi moltiplicate per due. Parametri: la frequenza cardiaca media per un uomo è di circa 70 battiti al minuto, ma tra i 60 ed i 100 possiamo parlare di un range “normale”. Di solito, una forma aerobica migliore corrisponde ad un polso sotto i 60 battiti. Limiti: alcune persone possiedono un battito cardiaco elevato, a prescindere dalla loro forma fisica. Viceversa, se iniziate con un battito relativamente lento è possibile che non notiate alcun miglioramento in questo senso. L’utilità principale di questo test sta nel controllo del sovrallenamento: se notate un aumento di 10-15 battiti al minuto, è possibile

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che non riusciate a recuperare a fondo dalle sedute precedenti.

Test 2 Camminare cercando... l’ossigeno

Scopo: misurare l’efficienza cardiaca in base al VO2Max, ovvero alla quantità di ossigeno che il corpo riesce ad utilizzare in un minuto durante l’esercizio. Più alto è il VO2Max e maggiore sarà la resistenza, ovvero la capacità di fare attività per un periodo di tempo prolungato. Il metodo che vi proponiamo, uno dei tanti esistenti, si chiama RFW, Rockport Fitness Walking. Come: riscaldatevi camminando e facendo stretching per circa 400 metri, quindi camminate per circa 1.600 metri, il più velocemente possibile. Una volta completato il miglio, rallentate continuando a camminare. Prendetevi il polso per 10 secondi e moltiplicate il risultato per 6. Tenete a mente il polso ed il tempo che avete impiegato a completare il miglio, quindi fate defaticamento per 5 minuti. Si può eseguire anche sul treadmill.

Parametri Per calcolare il VO2Max è necessario fare alcuni calcoli. Partendo dal numero fisso 139,168 dovrete togliere la somma di A+B+C+D, ottenuti secondo questi parametri: A: moltiplicate la vostra età per 0,388; B: moltiplicate il vostro peso per 0,169; C: moltiplicate i minuti impiegati per il miglio per 3,265; D: moltiplicate i battiti al minuto per 0,156. Esempio: un uomo di 40 anni, che pesa 70 chili, impiega 16’ per percorrere un miglio ed ha 115 battiti, otterrà questo risultato. A: 40 x 0,388 = 15,52 B: 70 x 0,169 = 11,83 C: 16 x 3,265 = 52,24 D: 115 x 0,156 = 17,94 Totale = 97,53 VO2Max: 139,168 - 97,53 = 41,63 Seguendo la tabella successiva sappiamo ora che il nostro soggetto-tipo ha una buona efficienza cardiaca.


Valori di riferimento (VO2Max) DONNE Età

Molto scarso

Scarso

Medio

Buono

Ottimo

Eccellente

13-19

<25.0

25.0 - 30.9

31.0 - 34.9

35.0 - 38.9

39.0 - 41.9

>41.9

20-29

<23.6

23.6 - 28.9

29.0 - 32.9

33.0 - 36.9

37.0 - 41.0

>41.0

30-39

<22.8

22.8 - 26.9

27.0 - 31.4

31.5 - 35.6

35.7 - 40.0

>40.0

40-49

<21.0

21.0 - 24.4

24.5 - 28.9

29.0 - 32.8

32.9 - 36.9

>36.9

50-59

<20.2

20.2 - 22.7

22.8 - 26.9

27.0 - 31.4

31.5 - 35.7

>35.7

60+

<17.5

17.5 - 20.1

20.2 - 24.4

24.5 - 30.2

30.3 - 31.4

>31.4

UOMINI Età

Molto scarso

Scarso

Medio

Buono

Ottimo

Eccellente

13-19

<35.0

35.0 - 38.3

38.4 - 45.1

45.2 - 50.9

51.0 - 55.9

>55.9

20-29

<33.0

33.0 - 36.4

36.5 - 42.4

42.5 - 46.4

46.5 - 52.4

>52.4

30-39

<31.5

31.5 - 35.4

35.5 - 40.9

41.0 - 44.9

45.0 - 49.4

>49.4

40-49

<30.2

30.2 - 33.5

33.6 - 38.9

39.0 - 43.7

43.8 - 48.0

>48.0

50-59

<26.1

26.1 - 30.9

31.0 - 35.7

35.8 - 40.9

41.0 - 45.3

>45.3

60+

<20.5

20.5 - 26.0

26.1 - 32.2

32.3 - 36.4

36.5 - 44.2

>44.2

Secondo passo: distribuzione del grasso corporeo Test: rapporto vita-bacino

Scopo: l’obesità nella parte superiore del corpo è un fattore di rischio cardiaco. Come: con un metro da sarto, state in piedi davanti allo specchio e misuratevi la circonferenza della vita, nel suo punto più stretto (di

solito 5-7 cm sopra l’ombelico). Dividete il valore per la circonferenza del bacino o quella del punto in cui i glutei sporgono di più, comunque del valore maggiore. Parametri: il quoziente medio per gli uomini dai 17 ai 39 anni è di 0,9. La tabella che segue vale come in-

dicazione per il rischio coronarico. molto basso basso medio sopra la media elevato molto elevato

< 0,85 0,85-0,89 0,90 0,91-0,99 1,00-1,10 >1,10 OPTIMASALUTE

25



Terzo passo: quanto siete flessibili? Test 1 flessione dell’anca

Scopo: valutare il range di movimento delle anche e l’eventuale rigidità dei posteriori della coscia. Meno flessibili sono queste aree, maggiore è il rischio di stress eccessivo a carico della regione lombare, con conseguenti traumi o dolori, e prima di quanto possiate immaginare. Tenete comunque sempre presente che qualsiasi test per la flessibilità è specifico della sua articolazione. Potreste quindi essere flessibili in quest’area e rigidi in altre parti, come la schiena. Esercizio A Come: sdraiatevi sulla schiena, gambe distese. Chiedete ad un amico/a di tenervi giù la gamba sinistra e contemporaneamente di sollevarvi la destra. Non arrivate a provare dolore nella regione lombare, nel gluteo o nella parte interna dei posteriori, e non piegate il ginocchio (se provate un dolore abbastanza intenso nella regione

lombare, consultate un medico). Alternate le gambe. Parametri: la gamba dovrebbe sollevarsi dagli 80 agli 85 gradi, per un normale range di movimento. Un valore minore indica rigidità nei posteriori. Esercizio B Come: tenendo la regione lombare piatta, aderente al pavimento, afferrate con entrambe le mani l’interno del ginocchio sinistro e tirate verso il petto. Poi cambiate gamba. Parametri: se la gamba che non viene portata al petto resta piatta a terra, la flessibilità è nella media. Se tende a sollevarsi, significa che i flessori sono rigidi o accorciati.

Test 2 flessibilità della spalla

Scopo: nuoto, tennis, atletica leggera (giavellotto, peso, disco...), baseball ed in generale sport in cui si lanciano oggetti richiedono delle spalle ben sciolte, la cui ar-

ticolazione non sia compromessa. Come: da posizione in piedi portate il braccio destro dietro la testa, piegando il gomito, ed appoggiando il palmo tra le scapole. Eseguite la stessa manovra col sinistro, ma salendo da sotto, col palmo in fuori, e cercate di toccarvi le punte delle dita delle due mani. Ripetete con la spalla opposta. Fate almeno 10 minuti di stretching ogni volta che vi allenate, concentrandovi su posteriori, regione lombare, e spalle, tutte aree importanti per mantenere una postura corretta e prevenire i traumi. Parametri: flessibilità

caratteristiche

buona

le dita si toccano

sufficiente

le dita non si toccano ma arrivano ad almeno 5cm di distanza

scarsa

le dita distano più di 5 cm

Quarto passo: forza e resistenza muscolare Test 1: piegamenti sulle braccia

Scopo: forza, resistenza e definizione muscolare nella parte superiore del corpo (tricipiti, deltoidi anteriori e pettorali) sono importanti per diverse attività sportive e per la prevenzione dei traumi. Come: iniziate con le mani distanziate a terra dell’ampiezza delle spalle. Una ripetizione è completa quando il petto arriva a circa 10 cm dal pavimento e tornando alla posizione di piena estensione delle braccia. Riposatevi solo nella posizione superiore e contate le ripetizioni che riuscite a completare prima di affaticarvi completamente.

Età

20-29

30-39

40-49

>36

>30

>22

sopra la media

29-35

22-29

17-21

media

22-28

17-21

13-16

sotto la media

17-21

12-16

10-12

scarsa

<16

<11

<9

Età

<35

35-44

<45

ottimo

60

50

40

buono

45

40

25

marginale

30

25

15

scarso

15

10

5

ottima

Test 2: crunch a ginocchia piegate

Scopo: la forza e la resistenza degli addominali sono importanti per la postura, le prestazioni atletiche e persino per l’aspetto estetico. Come: incollate due strisce di nastro adesivo a terra, parallele a circa 8 cm l’una dall’altra, perpendicolari alle gambe. Dopo esservi riscaldati bene, sdraiatevi a terra con le ginocchia piegate a circa 90 gradi. Poggiate le mani a terra lungo i fianchi, con le punte delle dita sulla prima striscia di nastro; la testa va leggermente sollevata da terra. Ad un ritmo di circa 3 secondi per eseguire la flessione, piegate la spina dorsale verso le ginocchia fino a toccare con le dita la seconda striscia di nastro, tenendo la regione lombare ben schiacciata a terra. Tornate alla posizione iniziale e fate il maggior numero possibile di ripetizioni senza fermarvi, per un massimo di 435.

OPTIMASALUTE

27


E adesso scoprite la vostra vera età Come sono andati i test? Vi sentite sfiancati nonostante siate aitanti 40enni? In perfetta forma anche se la carta d’identità pende verso i 70? Forse la vostra età anagrafica non corrisponde esattamente con quella biologica. Chiaramente il titolo di questo paragrafo è un po’ provocatorio, non tanto e non solo perché ad una certa età tendiamo tutti (non solo le donne) a toglierci qualche annetto rispetto alla carta d’identità, ma perché, in effetti, esistono numerose ricerche e persino test “fai-da-te” che consentono, sempre approssimativamente e con un minimo di beneficio d’inventario, di conoscere la nostra età reale, quella cosiddetta biologica. E non parliamo di aspetto solo

esteriore (lì spesso incide il DNA, o se volete Madre Natura), ma di dati su livello di colesterolo, pressione arteriosa, vista, udito e tanti altri parametri. Di fatto gli esami sulla vera età sono proliferati come funghi e vengono usati dalle molte cliniche che propongono cure antiage (o antinvecchiamento). Pionieri, in questo campo, sono stati medici e ricercatori dell’Istituto di gerontologia del King’s College di Londra, dove esiste un affollatissimo master sullo studio dell’invecchiamento. Gli studiosi hanno elaborato un pacchetto di esami specifici, attraverso i quali si scoprirebbe non solo l’età biologica, ma anche eventuali patologie subdolamente nascoste

dietro un aspetto fisico gradevole, oppure per fornire consulenza alle agenzie di assicurazione che stipulano contratti-vita. Uno dei test-base prevede, oltre ad un’accurata anamnesi individuale, che comprenda anche lo stile di vita del paziente e dei suoi familiari anche i parametri relativi a colesterolo, peso, circonferenza della vita, capacità polmonare, vista, udito, odorato, elasticità della pelle, equilibrio, prontezza dei riflessi, caduta e grigiore dei capelli, forza nell’impugnare un oggetto. Se avete voglia e un po’ di tempo potete provare anche voi, sempre un po’ empiricamente, a scoprire come siete messi con l’età biologica.

1) Prova dell’equilibrio

2) Prontezza di riflessi

3) Occhio di falco

Posizionatevi in piedi sulla gamba sinistra, mentre la destra va piegata all’indietro a 45°. Mani ai fianchi, occhi chiusi. Quando siete pronti fate scattare il cronometro e misurate per quanto tempo riuscire a restare in posizione senza perdere l’equilibrio. Ripetere per tre volte il test e poi confrontare con la tabella il risultato migliore ottenuto.

Per questo test occorre una riga di 45 centimetri ed un aiuto. Chiedete dunque ad un amico/a di tenere la riga dritta, in verticale, sopra la vostra mano tesa in avanti. Al vostro via la riga viene lasciata e voi dovrete afferrarla, prendendola tra il pollice e le altre dita, il più vicino possibile all’inizio. Controllate a quale altezza (centimetri) l’avete afferrata, rifate il test per tre volte e poi controllate la tabella.

Prendete la riga che avete appena usato e posizionatela appoggiata ad una guancia, proprio sotto l’occhio, perpendicolare al viso. Ora appoggiate un biglietto da visita sul righello, il più lontano possibile, e poi avvicinatelo gradualmente verso il viso finché non riuscite a leggere distintamente. Misurate la distanza in centimetri dall’occhio e confrontate il risultato.

Secondi

Età Biologica

70 (e oltre) 60 50 40 30 20 10

20 30 40 50 60 70 80

28 OPTIMASALUTE

Centimetri Centimetri

Età Biologica

5 10-20 25-30 30-35 38-45

20-30 30-40 40-50 50-60 60-70

0 -10 10 -18 18 -30 30-50 50-80 oltre 90

Età Biologica 20 30 40 50 60 70 n




L’identikit endometriosi dell’endometriosi Si tratta di una patologia molto diffusa, ma di cui ancora si parla troppo poco, che colpisce 3 milioni di donne. I consigli del ginecologo per diagnosi precoce e terapie di Gelsomina Sampaolo

s

Colpisce 3 milioni di donne in Italia (150 nel mondo, secondo l’ONU), provoca dolore e danni a lungo termine, anche sulla fertilità, ma si tratta di una patologia ancora troppo poco nota. Stiamo parlando dell’endometriosi, malattia che interessa le donne in età fertile e che solo recentemente è rientrata nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti tra i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza. Se anche voi non siete informate sul tema, se siete mamme di ragazze adolescenti o semplicemente pensate che quei dolori

mestruali e non solo siano troppo forti per essere “normali”, è bene essere al corrente di ogni dettaglio. Per questo abbiamo interpellato il Dott. Saverio Arena, ginecologo e dirigente medico della Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’azienda ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Perugia. Dottore, iniziamo con una domanda “facile”: cos’è l’endometriosi? Una malattia? Un morbo? Facciamo un po’ di chiarezza... “L’endometriosi è una patologia cronica caratterizzata dalla pre-

senza di tessuto endometriale (lo strato più interno dell’utero che ogni mese si prepara ad accogliere la gravidanza e che poi si rigenera con la mestruazione) al di fuori della cavità uterina. Come il normale endometrio è tessuto sensibile alla ciclicità degli ormoni e di conseguenza persiste nella responsività alle varie fasi del ciclo ovarico. In sede ectopica, ovvero fuori dalla sua normale localizzazione, presenza di tessuto endometriosico favorisce però la formazione di raccolte piccole o grandi (a seconda delle sedi) di sangue, aree nodulari che coinOPTIMASALUTE

31


volgono le strutture più vicine. A seconda delle sedi potremo avere un coinvolgimento dell’ovaio, delle tube, del solo peritoneo, ma anche della vescica, degli ureteri o dell’intestino per considerare solo gli elementi in causa nella pelvi. È importante però sottolineare come la malattia abbia una particolare attrazione per le componenti nervose, motivo per il quale la malattia si manifesta spesso con il dolore o alterazione della funzionalità degli organi coinvolti. A parlarne così sembrerebbe però che si sta ragionando su una malattia che è facilmente diagnosticabile. Purtroppo la sua particolarità è quella di renderla subdola e spesso silenziosa. Colpisce mediamente il 2-10% delle donne in età fertile, ma la difficoltà più importante è proprio quella di poter identificare le pazienti asintomatiche”. Quando si presenta e come? “Bella domanda... è una patologia dai tanti “effetti”, ma dalle poche certezze. Non ha un percorso clinico tipico e un meccanismo di insorgenza “classico”. Non è possibile definire un’età di esordio perché può manifestarsi anche molto precocemente o restare asintomatica per molto tempo. Solitamente siamo abituati a identificare tre tipologie di sintomi: 1) il dolore che nella maggioranza delle volte è asincrono rispetto alla fase mestruale, ovvero inizia subito prima o dopo; 2) dolori associati a rapporti sessuali, all’intestino o disturbi urinari; 3) infertilità, ovvero la difficoltà ad avere una gravidanza. Non stiamo prendendo in considerazione, per non creare troppa confusione, tutte quelle forme extra pelviche. La sintomatologia però varia notevolmente anche nell’intensità dei sintomi. Ogni donna ne ha una sua e non esiste una caratteristica che le accomuna tutte indistintamente”. Può essere ereditaria? “La patologia è geneticamente determinata e vi è una componente ereditaria che viene stimata intorno al 40% dei casi. In realtà, se

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andiamo ad indagare nella storia familiare delle nostre pazienti notiamo spesso una sintomatologia da riferire ad endometriosi nelle mamme o nelle sorelle. Dobbiamo però tener presente che veniamo anche da un passato (purtroppo anche molto recente) in cui la nostra conoscenza della patologia era estremamente superficiale. Di solito le signore ci riferiscono di mamme con fasi mestruali molto dolorose o di interventi per cisti ovariche”. È vero che esistono diversi tipi di endometriosi? “Potremmo parlare di una patologia unica con moltepleci aspetti o di forme differenti da caso a caso. In realtà, alcune localizzazioni della patologia non si associano tra loro. Non tutte le forme di endometriosi nascono con lo stesso meccanismo e questo potrebbe giustificare le differenti modalità di manifestazione. Esistono ad oggi differenti teorie sulla patogenesi della malattia ed ognuna di esse potrebbe essere responsabile di una delle varie forme di localizzazione e manifestazione. Ad esempio, l’endometriosi vescicale difficilmente si associa ad un coinvolgimento dell’uretere. Così come esistono forme che interessano solo l’ovaio o solo l’intestino. La causa verosimilmente è da cercare nella localizzazione di partenza e nella modalità di esordio. Non tutte le forme di endometriosi nascono con lo stesso meccanismo e questo potrebbe giustificare le differenti modalità di manifestazione. Esistono ad oggi differenti teorie sulla patogenesi della malattia ed ognuna di esse potrebbe essere responsabile di una delle varie forme di localizzazione e manifestazione”. Qual è il rapporto tra endometriosi e sterilità della donna? “È un rapporto importante e purtroppo anche molto subdolo. La patologia può portare a difficoltà nel concepimento in diversi modi: alterando la funzionalità dell’ovaio, quella delle tube, o anche in-

staurando un ambiente a livello pelvico in cui mal sopravvivono sia gli spermatozoi che gli ovociti. Inoltre, la presenza di alterazioni degli organi (utero, ovaie, tube e intestino principalmente) e dei rapporti tra loro può compromettere anche i tentativi di fecondazione assistita”. È vero che una gravidanza non migliora la situazione? “Una volta (e purtroppo spesso anche oggi) si diceva: fai un figlio che passa tutto! In realtà, questa cosa non è vera. La gravidanza instaura uno stato ormonale che riduce temporaneamente la progressione della malattia ma non la annulla o sconfigge. È poi da tener presente che la gravidanza non può essere considerata una terapia per due motivi fondamentali: innanzitutto non possiamo imporre ad una ragazza di 25 anni di avere un figlio per terapia e, in secondo luogo, prima di poter pensare che la gravidanza sia una terapia dobbiamo avere la certezza che la nostra paziente possa concepire senza problemi. L’ideale sarebbe quello di pianificare con le nostre pazienti un percorso orientato al lungo periodo e che permetta di organizzare la propria vita negli anni. Uno degli obiettivi è sicuramente quello di avere una gravidanza, ma dobbiamo cercare di collocarlo nel periodo più ideale per la paziente, facendolo precedere da un’adeguata terapia farmacologica e dalle giuste scelte chirurgiche. È però doveroso da parte nostra sensibilizzare adeguatamente le pazienti in modo che possano essere consapevoli della situazione e non affrontare, nei limiti delle possibilità, l’argomento gravidanza in un’età troppo avanzata”. Esiste un qualche tipo di prevenzione o abitudini corrette da adottare per non incorrere in questa patologia? “L’unica prevenzione che possiamo fare è quella di iniziare a valutare le pazienti il più precocemente possibile ed individuare quelle a ri-


schio. La prevenzione deve essere assolutamente di tipo ormonale e dovremmo ridurre i passaggi chirurgici al minimo indispensabile e solo se necessari. Va considerato che dopo un trattamento chirurgico la patologia ha una fase di “stordimento” che apre solitamente una finestra di benessere in cui può essere ideale pensare ad una gravidanza. Per questo motivo dovremmo, nella nostra pianificazione, cercare di portare la chirurgia a ridosso del desiderio di un figlio per non dover esser sottoposti a più di un intervento nel corso degli anni. È naturale che questo percorso possa essere considerato in alcuni casi utopico, ma dovrebbe essere l’obiettivo da perseguire. Troppe volte incontriamo pazienti che si sono sottoposte ad un numero elevato di interventi in un periodo di tempo molto breve. Sarebbe opportuno chiedersi in questi casi dove finisca la problematica dovuta alla malattia e dove inizi quella legata al nostro intervento”. Come viene fatta la diagnosi? Che tipo di esami prevede? “Devo ammettere che il più delle volte la diagnosi la paziente se la fa quasi da sola. Durante il colloquio ci dà le indicazioni che poi portano a sospettarla. Per

questo il dialogo con le pazienti è importante, in modo particolare per quelle affette da endometriosi. Una paziente sensibilizzata ti permetterà di avere le giuste note sulla patologia e ovviamente di poter agire di conseguenza. Una paziente disinformata che brancola nel buio sarà più difficile da gestire. Poi ovviamente c’è la visita, che spesso è il punto più importante della diagnostica. Se eseguita correttamente permette di percepire le aree patologiche, di poterle valutare con la paziente e di poter di conseguenza capire quale sia il percorso clinico migliore. Nella diagnostica per immagini l’ecografia transvaginale è l’esame più importante. Un’ecografia eseguita secondo i canoni ti permette di individuare i noduli endometriosici, studiarne la sede, i rapporti, le dimensioni e la sintomatologia. La risonanza magnetica, poi, è un altro passaggio importante. Ci sono anche altri esami, a seconda dell’esperienza del singolo operatore, ma personalmente considero il dosaggio del Ca125 poco utile”. Esistono terapie efficaci contro l’endometriosi? “Non esiste una terapia che possa sconfiggere la patologia, ma

solo rallentarla. Diffidiamo sempre da chi dice ‘ti ho guarito!’. Ha la stessa valenza di chi ci dice ti ho guarito dal diabete o da altre patologie croniche. In questo il trattamento farmacologico e chirurgico dovrebbero camminare in maniera combinata. La farmacologia è costituita prevalentemente dalla terapia ormonale. La patologia è ormonosensibile e di conseguenza gli estroprogestinici ed in particolare alcuni progestinici contenuti nella pillola ne consentono un controllo. Poi per la gestione del dolore entrano in gioco differenti livelli di antidolorifici”. Infine, l’OMS ha lanciato l’allarme prevenzione, soprattutto per i più giovani. È emerso che trascurano troppo la salute sessuale, aumentando il rischio di contagi, sterilità e tumori. Nella sua esperienza quanto è grave la situazione? Quali potrebbero essere le misure per rimediare? “Qui la risposta rischia di diventare un capitolo a sé. Mi limiterò a dire che è importante per l’endometriosi, come per tutte le patologie, una corretta precocità nella cura di sé stessi e nei controlli periodici. A maggior ragione tra i più giovani”.

Colpite 150 milioni di donne nel mondo •150 milioni le donne affette da endometriosi nel mondo (Fonte: ONU); •14 milioni le donne affette da endometriosi in Europa (Fonte: ONU); •3 milioni le donne affette da endometriosi in Italia (Fonte: ONU); •30 miliardi di euro la spesa sociale annua in Europa

Italia (Fonte: Comunità Europea); •33 milioni le giornate di lavoro annue perse in Italia (Fonte: FIE); •126 milioni di euro la spesa annua per farmaci a carico dell’SSN

(Fonte: Comunità Europea);

te: dati Agenzia per i servizi sanitari Regionali);

(Fonte: dati Agenzia Italiana del Farmaco);

•54 milioni di euro la spesa annua in Italia per il trattamento chirurgico (Fon-

•22,5 miliardi di euro di oneri annuali •20 mila le procedure chirurgiche anper congedi malattia in Europa (Fonte: nue a carico del Servizio Sanitario NaComunità Europea); zionale (Fonte: dati Agenzia per i Servizi Sanita•6 miliardi di euro la spesa sociale in ri Regionali). (Fonte: blog.endometriosi.it) n OPTIMASALUTE

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INSERTO GIUGNO 2017

Autodiagnosi, test e automedicazione Sempre piĂš italiani si affidano a farmaci di auto-medicazione o comprano self-test, per individuare gravidanze, presenza di droghe o alcol, fino a Hiv, nicotina e intolleranze. Per ogni singolo prodotto sono fondamentali i consigli del vostro farmacista di fiducia a cura dei farmacisti Valore Salute


s

Sarà capitato a molti di voi di sentire parlare di OTC

e SOP, il primo acronimo inglese di Over The Counter (letteralmente significa “sopra il banco”) il secondo molto più praticamente “Senza Obbligo di Prescrizione”. In poche parole: sono entrambi termini che indicano farmaci venduti senza necessità di ricetta medica e appartengono prevalentemente alla fascia “C”, in quanto a totale carico del cittadino, ma mentre gli OTC possono essere teoricamente acquistati direttamente dal paziente senza l’intervento di mediazione del farmacista (non a caso vengono anche definiti “farmaci self service”) i SOP debbono necessariamente passare per i fondamentali consigli e i suggerimenti del farmacista stesso. L’automedicazione è, infatti, molto utile e praticata nel nostro Paese, ma ovviamente richiede il rispetto di alcune regole importanti. Prima fra tutte: va usata per curare esclusivamente piccoli disturbi passeggeri, forme lievi di dolore, localizzato o diffuso come mal di testa, nevralgie, dolori mestruali, dolori muscolari, mal di schiena, mal di denti. Oppure anche sintomi influenzali come febbre, raffreddore, tosse; occasionali stitichezza, bruciori e iperacidità di stomaco, alterazione della microflora intestinale a causa di febbri o dissenteria. Come accennavamo, in tutto questo “percorso” un ruolo importante lo svolge il farmacista, per informare e consigliare al meglio sia il farmaco di automedicazione più appropriato che il modo in cui usarlo. Ma quali sono i “principi attivi” più diffusi? In generale gli antipiretici-analgesici contenenti parace-

tamolo, gli spray nasali decongestionanti a base di nafazolina, i farmaci usati per curare disturbi dell’apparato digerente, come lassativi e probiotici, ma anche antiacidi, antidiarroici e i prodotti per la cura del fegato.

L’automedicazione va usata per curare piccoli disturbi passeggeri e forme lievi di dolore Proseguendo troviamo gli antinfiammatori non steroidei (meglio conosciuti come Fans, tipo ibuprofene) con spiccate proprietà analgesiche, utilizzati per il trattamento di dolori muscolari, dismenorrea, mal di testa, e gli antispastici, con un totale di più di 60 milioni di confezioni vendute. Considerevole il consumo di farmaci dermatologici, che comprendono gli antimicotici, quelli per la cura delle ferite, rimedi contro le irritazioni cutanee, ma anche per il trattamento dell’herpes simplex e delle impurità cutanee. Rilevanti anche quelli contro i disturbi dell’apparato circolatorio.


I più venduti in Farmacia Questo l’elenco dettagliato dei prodotti senza obbligo di prescrizione più venduti in farmacia, secondo la banca dati del Ministero della Salute. 1) Vasocostrittore e decongestionante nasale

15) Pomata ginecologica anti-candidosi

2) Paracetamolo: antinfiammatorio e antidolorifico

16) Detossicante contro acidità gastrica, stati chetonemici, nausea gravidica

3) Ripristinante dell’equilibrio della flora batterica intestinale

17) Acido acetilsalicilico con vitamina C

4) Antinfiammatorio e antireumatico

18) Soluzione rettale per combattere la stitichezza

5) Antiossidante naturale a base di bioflavonoidi, protettivo dei capillari

19) Crema antifungina ad azione dermatologica

6) Fermenti lattici

20) Decongestionante nasale

7) Antidolorifico. Principio attivo ibuprofene

21) Gel per trattamento di insufficienza venosa e fragilità capillare

8) Evacuatori intestinali monodose

22) Disinfettante orale

9) Mucolitico fluidificante

23) Antistaminico

10) Pomata antinfiammatoria e antidolorifica, principio attivo diclofenac

24) Antispastico per dolori addominali e crampi

11) Lassativo

25) Pomata antinfiammatoria per contusioni, distorsioni, mialgie, strappi muscolari e torcicollo

12) Acido acetilsalicilico

26) Compresse per trattamento venoso e stati di fragilità capillare

13) Tampone contro acidità gastrica

27) Collutorio per trattamento sintomatico di stati irritativo-infiammatori del cavo orofaringeo.

14) Pomata anti-emorroidaria

Le 10 regole d’oro da rispettare Occorre sempre tenere presente che, sebbene siano di automedicazione, gli OTC e i SOP sono pur sempre farmaci e richiedono un utilizzo responsabile. Per questo è bene ricordare alcune regole fondamentali di comportamento. 1) L’automedicazione va fatta esclusivamente con medicinali acquistabili senza ricetta medica identificabili dal bollino riportato sulla confezione, mentre non si devono assumere di propria iniziativa medicinali acquistabili solo con ricetta medica. 2) Quando si assume un medicinale di automedicazione è importante seguire con attenzione le istruzioni di impiego contenute nel foglietto illustrativo. Se si hanno dubbi e non si comprende esattamente il significato di alcuni termini, rivolgersi al medico o al farmacista. 3) Quando si chiede al farmacista un medicinale di automedicazione è bene segnalare se si stanno assumendo altri farmaci o se si soffre di particolari al-

lergie o malattie croniche (es. asma, diabete, ecc.). Il vostro farmacista saprà consigliarvi per evitare le interazioni negative tra i diversi farmaci assunti. 4) L’automedicazione deve sempre essere limitata nel tempo. Evitare dunque il ricorso prolungato: se un disturbo non si risolve entro 24-48 ore o tende a ripresentarsi di frequente è bene interpellare il medico. 5) In genere questo tipo di farmaci sono sicuri se impiegati in modo appropriato. Essendo comunque dei farmaci possono provocare effetti indesiderati in persone particolarmente sensibili o se utilizzati in modo scorretto: dosi eccessive, vie di somministrazione improprie, allergie ai componenti, assunzione per prolungati periodi di tempo. Per capirci: assumere due o più farmaci da banco che hanno le stesse indicazioni, come due analgesici diversi, porta solo ad una somma di effetti collaterali, senza alcun beneficio in più. Un medicinale di automedicazione può essere somministrato ai bambini, senza consiglio del medico, solo se è


espressamente indicato nel foglietto illustrativo. 6) Tutti i farmaci, anche quelli di automedicazione, durante la gravidanza vanno utilizzati solo se i benefici superano i possibili rischi per il feto e, tassativamente, solo su consiglio del medico.

Somministrare ai bambini, senza consiglio medico, solo se è espressamente indicato nel foglietto illustrativo 7) I farmaci vanno conservati in un luogo asciutto, al riparo dalla luce o, se indicato, in frigorifero e comunque sempre ben lontano dalla portata dei bambini. Quelli che hanno la confezione o il nome simili e che possono trarre in inganno vanno tenuti separati come anche vanno separati quelli per i bambini da quelli per gli adulti. È buona abitudine conservarli nelle proprie confezioni, integri con il

foglietto illustrativo: non lasciare i blister sparsi, ci si può sbagliare facilmente tra un farmaco e l’altro. Per colliri, sciroppi e soluzioni in flaconi multidose, è utile annotare sulla confezione la data della prima apertura e la data dell’ultima utilizzazione. 8) Non assumere farmaci di automedicazione su consiglio di persone non qualificate: ogni cura va adattata alle esigenze di ogni singolo individuo. 9) Imparare a distinguere i farmaci non solo in base al nome commerciale, ma al principio attivo, cioè alla sostanza che contengono. In questo modo si eviterà di assumere, senza accorgersene, quantità di principio attivo superiori a quelle consigliate. 10) Prima di assumere un farmaco controllate sempre la scadenza e la giusta conservazione osservando eventuali cambiamenti di colore e/o odore. Non lasciateli mai in auto, specie nel periodo estivo. Durante l’estate, se si è in viaggio, i medicinali che richiedono una determinata temperatura di conservazione, vanno tenuti in una busta termica e/o con ghiaccio sintetico; se si viaggia in aereo portare sempre i farmaci con sé (informandosi di quelli che possono essere imbarcati come bagaglio a mano e di quelli che necessitano di prescrizione in base alle normative sulla sicurezza in volo).


Che cos’è un farmaco? Quando parliamo di farmaci, cioè dei nostri principali alleati della salute e del benessere, non dobbiamo mai dimenticare di utilizzarli correttamente e con consapevolezza, solo in caso di reale necessità, dietro prescrizione medica o, in caso di farmaci di automedicazione - quelli cioè vendibili senza obbligo di ricetta - dietro il consiglio del vostro farmacista di fiducia, per evitare di incorrere in problematiche, anche gravi, e in spiacevoli effetti collaterali. Imparare a conoscere i farmaci, quando prenderli, come assumerli e come funzionano e interagiscono con il nostro organismo è il modo migliore per ottimizzarne la funzione e potersi giovare del loro beneficio. Un breve ripasso anche su che cosa è un farmaco. Parliamo di “ogni sostanza, o associazione di sostanze, presentata come aventi proprietà

curative o profilattiche delle malattie che può essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica”. Un farmaco è formato da due componenti: il principio attivo e gli eccipienti. Il principio attivo è “l’ingrediente fondamentale”, ovvero la molecola che nel nostro organismo svolge l’azione contro la malattia che si vuole combattere o, più in generale, modifica una funzione organica con lo scopo di curare o prevenire una malattia. Gli eccipienti, invece, sono sostanze inerti, che hanno il compito di contenere o indirizzare il principio attivo verso la sua sede d’azione, o a rendere più gradevole l’aspetto e il sapore del medicinale.


Leggete attentamente il foglio illustrativo Quante volte vi avranno fatto o vi sarà capitato di sentire questa raccomandazione? Tantissime: in tivù, alla radio, sui mass media in generale, dal vostro farmacista che spesso supplisce alla poca voglia di addentrarsi nei meandri del foglio illustrativo. E tutto questo “movimento” ha fatto sì che siano aumentate la consapevolezza e la conoscenza dell’argomento. Il foglio illustrativo, che deve essere ovviamente presente in ogni confezione, è una preziosa guida all’uso del farmaco, contenendo tutte le informazioni re-

lative alla composizione del farmaco, alle patologie per le quali è indicato, alle modalità di somministrazione e di conservazione, ai rischi che potrebbero verificarsi in caso, ad esempio, di sovradosaggio o di interazione con altri farmaci che si stanno assumendo. Tuttavia, è importante ricordare che la lettura del foglietto illustrativo non sostituisce la consultazione del medico. Ecco le principali informazioni contenute nel foglietto illustrativo:

INFORMAZIONE

USO

Il nome commerciale del medicinale, la composizione (principio attivo + eccipienti), il dosaggio e la forma farmaceutica

Servono a identificare univocamente il prodotto e non correre il rischio di assumere un farmaco o un dosaggio errato. Inoltre l’elenco degli eccipienti consente di evitare il rischio di reazione allergica a uno di loro.

La categoria farmacoterapeutica o il tipo di attività e le indicazioni terapeutiche

Indicano le diverse malattie (o i gruppi di malattie) per cui il farmaco è indicato.

Le controindicazioni

Indicano le condizioni per le quali il farmaco non deve essere assunto.

Le precauzioni d’uso

Indicano in quali casi il farmaco può essere assunto ma con attenzione.

Le interazioni con altri medicinali e sostanze

Indicano quali medicinali o alimenti possono modificare l’effetto del medicinale.

Le avvertenze speciali

Informazioni sull’utilizzo in casi particolari.

La posologia, il modo e il tempo di somministrazione

Indicano il dosaggio, la frequenza e la durata della somministrazione. Talvolta, se necessario, è espresso anche il momento appropriato in cui il medicinale può o deve essere somministrato (prima o dopo i pasti, per esempio).

Sovradosaggio

Vengono descritti i sintomi per riconoscere gli effetti dell’assunzione di una dose eccessiva di farmaco e le misure di primo soccorso.

Effetti indesiderati

Indicano i possibili effetti negativi che si possono verificare anche con il normale uso del medicinale e le misure da adottare. Fonte: Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco)


Farmacie dei servizi: test di autodiagnosi Parole come “diagnosi”, “analisi”, “test”, “prestazioni sanitarie”... fanno pensare subito ad ambienti ospedalieri freddi e asettici, a lunghe attese, code e risposte fumose, da far interpretare al medico prima di capire realmente se siamo malati o no e come dobbiamo comportarci. Per prenderci cura in prima persona della nostra salute, però, negli ultimi tempi, aziende farmaceutiche e farmacie hanno cominciato a venire sempre più incontro al paziente, diventando dei veri e propri centri diagnostici o, secondo la definizione data dal Ministero della Salute, “farmacie dei servizi”. Ma quali sono questi servizi? E perché dovremmo usufruirne?

Secondo quanto riportato nel Decreto del 16 dicembre 2010 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 57 del 10 marzo 2011) le farmacie possono offrire ai propri clienti test “autodiagnostici”, gestibili direttamente dai pazienti in funzione di autocontrollo a domicilio, o che possono, in caso di condizioni di fragilità di non completa autosufficienza, essere utilizzati mediante il supporto di un operatore sanitario, presso le farmacie territoriali pubbliche e private. Traducendo: esiste tutta una categoria di analisi dette di “autodiagnosi” che è possibile svolgere da soli, nella comodità di casa propria, o in farmacia, senza code né costi esorbitanti, seguendo i consigli del vostro farmacista di fiducia.

Le prestazioni offerte Il Ministero fa una distinzione tra le cosiddette prestazioni analitiche di prima istanza (effettuabili in farmacia) e i servizi di secondo livello tramite dispositivi strumentali.

Le prime sono: • test per glicemia, colesterolo e trigliceridi;

• test per misurazione in tempo reale di emoglobina, emoglobina glicata, creatinina, transaminasi, ematocrito; • test per la misurazione di componenti delle urine quali acido ascorbico, chetoni, urobilinogeno e bilirubina, leucociti, nitriti, ph, sangue, proteine ed esterasi leucocitaria;


In farmacia anche test per glicemia, colesterolo e trigliceridi, misurazione pressione, spirometria e molto altro • test ovulazione, test gravidanza, e test menopausa per la misura dei livelli dell’ormone FSA nelle urine; • test colon-retto per la rilevazione di sangue occulto nelle feci.

I servizi di secondo livello erogabili con dispositivi strumentali sono invece: • dispositivi per la misurazione con modalità non invasiva della pressione arteriosa; • dispositivi per la misurazione della capacità polmonare tramite auto - spirometria; • dispositivi per la misurazione con modalità non invasiva della saturazione percentuale dell’ossigeno; • dispositivi per il monitoraggio con modalità non invasive della pressione arteriosa e dell’attività cardiaca in collegamento funzionale con i centri di cardiologia accreditati dalle Regioni sulla base di specifici requisiti tecnici, professionali e strutturali; • dispositivi per consentire l’effettuazione di elettrocardiogrammi con modalità di tele cardiologia da effettuarsi in collegamento con centri di cardiologia accreditati dalle Regioni sulla base di specifici requisiti tecnici, professionali e strutturali. Sempre a proposito di strumentazioni, la farmacia può essere munita di defibrillatore semiautomatico, il cui uso in situazioni di emergenza è consentito anche al personale sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardio-polmonare. Le farmacie, sia pubbliche che private, hanno l’obbligo di effettuare tali prestazioni e l’assistenza ai pazienti in spazi dedicati e separati dagli altri ambienti, che consentano l’uso, la manutenzione e la conservazione delle apparecchiature dedicate in

condizioni di sicurezza (oltre che la necessaria privacy per svolgere queste prestazioni). Oltre a queste prestazioni di base, nello stesso Decreto ministeriale viene regolamentata anche l’attività degli operatori sanitari in farmacia. Infatti, alcune offrono prestazioni di diagnosi e terapia, anche a domicilio, tramite la professionalità di infermieri e fisioterapisti (che devono sempre essere in possesso di titolo abilitante ed iscritti al relativo Collegio professionale laddove esistente). È responsabilità del farmacista titolare o del direttore della farmacia accertare il possesso di tali requisiti. Queste figure professionali possono svolgere attività quali:

Per l’infermiere • provvedere alla corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche; • offrire supporto alle determinazioni analitiche di prima istanza, rientranti nell’ambito dell’autocontrollo; • effettuare medicazioni e di cicli iniettivi intramuscolo; • svolgere attività concernenti l’educazione sanitaria e la partecipazione a programmi di consulting, anche personalizzato; • partecipare ad iniziative finalizzate a favorire l’aderenza dei malati alle terapie.

Per il fisioterapista (sempre dietro prescrizione medica) • definizione del programma prestazionale per gli aspetti di propria competenza, volto alla prevenzione, all’individuazione e al superamento del bisogno riabilitativo; • attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie e cognitive e viscerali utilizzando terapie manuali, massoterapiche e occupazionali; • verifica delle rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale. C’è infine un ulteriore Decreto, quello dell’8 luglio 2011, che prevede anche l’attività delle farmacie come canali di accesso al Sistema CUP per prenotare prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale presso le strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, per il pagamento dei ticket a carico del cittadino ed il ritiro dei relativi referti.


I self-test più richiesti: droga, alcol e Hiv Parliamo ora dei test di autodiagnosi o self-test. Questo tipo di test, acquistabile in farmacia, ci consente di avere una risposta rapida e altamente attendibile, avvalendosi dell’autodiagnosi. Si tratta di pratici dispositivi monouso che con un semplice procedimento, che non richiede strumentazione al di fuori di quella fornita nella confezione del test stesso, rispondono ai nostri dubbi di salute. Questi dispositivi sono sempre più frequentemente utilizzati anche in ambienti lavorativi, soprattutto per quelle mansioni in cui è richiesta particolare lucidità, come: autisti, piloti, manovratori, agricoltori che guidano trattori e macchine movimentatrici, chi lavora con idrocarburi, gas o fuochi, addetti al lavoro in cave o miniere, chi svolge attività sanitarie, ecc... Per tutti questi lavoratori svolgere questi test periodicamente è buona norma (in alcuni casi d’obbligo), ma queste strumentazioni di autodiagnosi sono disponibili a tutti in farmacia, anche solo per un check-up casalingo. Alcol test e droga test Sicuramente i self-test più richiesti e diffusi al momento sono quelli per l’individuazione di droghe o alcol in campioni di saliva o sangue. Il funzionamento è semplice e rapidissimo: basta umettare il dispositivo con saliva o poche gocce di sangue, attendere qualche minuto e leggere il proprio risultato.

HIV test Ma oltre a droga e alcol test, in farmacia possiamo trovare una gamma ben più ampia e variegata di strumenti per l’autodiagnosi il più recente dei quali è il test rapido per HIV, vendibile ed eseguibile da chiunque, purché maggiorenne. Anche questo test funziona come illustrato sopra e ad un prezzo contenuto si ha una risposta positiva o negativa chiara entro pochi minuti. Altri test di autodiagnosi Tra gli altri test di autodiagnosi più utili e richiesti da svolgere nelle quattro mura di casa troviamo: test dello streptococco, test della nicotina, test per il sangue nelle feci, test del pH vaginale o per malattie sessualmente trasmissibili (clamidia, candidosi…), test della conta spermatica/fertitlità maschile, test del tetano, test dell’influenza, mononucleosi, rotavirus e H. Pylori. Sono sempre più diffusi, infine, i test di autodiagnosi per intolleranze alimentari, come quello per la celiachia e l’intolleranza al lattosio. Una cosa però va sempre ricordata e tenuta presente: nel caso di risultati positivi è sempre necessario interpellare il proprio medico curante o uno specialista, per effettuare analisi più approfondite per confermare l’esito e, in caso di conferma, determinare l’eventuale terapia da seguire. Autodiagnosi sì, insomma, ma auto-terapia no.


L’autodiagnosi del mondo femminile Sicuramente, oltre a quanto già detto, le prestazioni più richieste in farmacia sono quelle legate alle patologie più diffuse soprattutto tra la popolazione anziana, come: diabete, colesterolo alto, sbalzi di pressione, ecc… ma anche quelle relative alla popolazione femminile. Esaminiamoli uno per uno: Gravidanza/menopausa/ovulazione. Basta una valutazione della presenza di alcuni ormoni per determinare con chiarezza queste fasi nella vita di una donna. L’ormone HCG indica una gravidanza, i livelli dell’ormone FSA determinano uno stato di pre-menopausa, mentre il test di ovulazione individua l’estrogeno e l’ormone luteinizzante (LH), i 2 principali ormoni associati alla fertilità. In particolare, il test di gravidanza oltre a rilevare la presenza dell’or-

mone dal giorno in cui sono attese le mestruazioni, indica anche da quante settimane si è verificato il concepimento, ma questi dispositivi sono talmente sensibili che si possono eseguire 5 giorni prima del primo giorno di ritardo delle mestruazioni (ossia 4 giorni prima del giorno in cui sono previste le mestruazioni). Il risultato comparirà entro 3 minuti sullo schermo con le parole “Incinta” o “Non incinta”. Importante, sempre e comunque, seguire attentamente le istruzioni. Altrettanto affidabile e utile è il test di ovulazione che indica i 2 giorni più fertili di ogni ciclo, misurando i cambiamenti dei livelli di ormone luteinizzante (LH), fondamentale per la fertilità nell’urina. Anche in questo caso i risultati appariranno chiaramente sul display digitale.

A cosa servono le altre autoanalisi Glicemia

La concentrazione nel sangue del glucosio, uno zucchero di fondamentale importanza per l’equilibrio energetico dell’organismo, serve ad evidenziare precocemente alterazioni del metabolismo degli zuccheri (diabete) o mantenere controllata la terapia generale del diabete.

Colesterolemia

Determinare il valore del colesterolo (grassi presenti nel sangue) totale, HDL (buono) e LDL (cattivo) serve per valutare il rischio di aterosclerosi determinato dal deposito di grassi lungo le pareti interne delle arterie. Il test può essere utile anche per verificare l’efficacia di diete o terapie per abbassare il colesterolo.


Trigliceridemia

I trigliceridi sono i costituenti principali dei grassi naturali e degli oli. Concentrazioni elevate nel sangue rappresentano un fattore di rischio per l’integrità delle pareti dei vasi e monitorarne la quantità ci aiuta a valutare il grado di rischio di malattie cardiovascolari e Sindrome Metabolica.

Emoglobina

L’emoglobina è una proteina che veicola l’ossigeno dai polmoni ai tessuti e se è troppo bassa può essere indice di una malattia o di importanti carenze nutrizionali.

Creatinina

La creatinina è una sostanza chimica di rifiuto prodotta principalmente dal nostro metabolismo muscolare. La sua produzione è legata al metabolismo della creatina, sostanza fondamentale per i nostri muscoli. Se è alta può indicare pressione alta o diabete mellito; mentre la gravidanza è una delle cause più comuni della creatinina bassa.

Transaminasi

Le transaminasi sono sostanze enzimatiche (pro-

teine) che stanno all’interno delle cellule del fegato. Il loro valore è utile per valutare il corretto funzionamento del fegato ma anche lo stato di salute del cuore e dell’apparato scheletrico.

Ematocrito

L’ematocrito è il rapporto percentuale tra i globuli rossi e la componente fluida del sangue, ossia il plasma. Valori troppo alti possono indicare patologie cardiovascolari, polmonari, renali, disidratazione, ma anche tumori polmonari o epatici. Se è basso può essere un sintomo di anemia, cirrosi epatica, emorragia, un’infezione, ma anche lo stato di gravidanza.

Test delle urine

L’analisi delle urine viene prescritta dal medico in caso di dolori addominali, bruciori o dolori quando si urina; ma anche in caso di urine schiumose e rossastre e per controllare l’evoluzione di malattie e l’efficacia di particolari farmaci. Dall’analisi dell’urina è possibile determinare la presenza di infezioni in atto, danni o alterazioni renali, evoluzioni del diabete, malattie del fegato, calcoli...

I dispositivi detraibili Secondo quanto determinato dal decreto legislativo n.332 del 2000 anche i Dispositivi Medico Diagnostici in Vitro (IVD) fanno parte delle spese mediche detraibili. Non esiste

un elenco esaustivo che li comprenda tutti, ma sul sito del Ministero della Salute si legge che possono essere inclusi nella dichiarazione dei redditi (con relativo scontrino o fattura):

• Contenitori campioni (urine, feci)

• Test autodiagnostici

• Test di gravidanza • Test di ovulazione • Test menopausa • Strisce/Strumenti per la determinazione del glucosio • Strisce/Strumenti per la determinazione del colesterolo totale, HDL e LDL • Strisce/Strumenti per la determinazione dei trigliceridi

per le intolleranze alimentari • Test autodiagnosi prostata PSA • Test autodiagnosi per la determinazione del tempo di protrombina (INR) • Test per la rilevazione di sangue occulto nelle feci • Test autodiagnosi per la celiachia.



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Abbronzatissimi. Ma con giudizio...

Il sole è un nostro amico, fornisce la vitamina D e ci fa sentire più belli e abbronzati. Ma a patto di usare la giusta prevenzione, per proteggere pelle, occhi e capelli dall’eccesso di raggi ultravioletti e infrarossi a cura di Maria Mazzoli

Non solo la pelle del viso, del collo e delle mani, ma anche gli occhi e i capelli possono subire i danni causati da una cattiva esposizione ai raggi Uva e Uvb, e quindi invecchiare ancora prima del tempo. La bella stagione alletta a sdraiarsi sotto il sole, a scoprire le parti del corpo, ma espone anche la vista ad un riverbero maggiore, e stressa la chioma tra bagni e lavaggi frequenti. Ecco allora che torna utile rispol-

verare alcune attenzioni, consigli e soluzioni, con un occhio a ciò che potremmo tenere a portata di mano, nell’armadietto del bagno o nel beauty case (sempre pronto per l’uso), e uno a ciò di cui potremmo avere bisogno per le emergenze. Tenendo sempre a mente che i raggi del sole, se ben dosati (e gestiti), possono essere alleati di bellezza e salute, poiché stimolano la vitamina D, rinforzante per le ossa.

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Dossier

Capelli: come averli corposi, morbidi e lucenti Partiamo dalla testa. A meno che non siate bersaglio della calvizie (per cui dovrete fare attenzione a non scottarvi, usando un cappello e una buona crema solare), potete contare sul fatto che in commercio esistono prodotti ottimi per difendere la struttura del capello, protezioni specifiche per contrastare le aggressioni causate appunto dall’esposizione solare. I capelli decolorati, o tinti, sottoposti comunque a trattamenti cosmetici, sono molto più sensibili. Il capo è del resto anche la parte del corpo maggiormente esposta alle radiazioni solari, sia d’estate che d’inverno, non dimentichiamolo, ma anche la più sottovalutata nel calcolare il tempo di esposizione. Con la stagione estiva, l’aumento della frequenza dei lavaggi, i raggi Uv, la salsedine e il cloro, creano un mix deleterio per la struttura del capello, che diventa più fragile: risponde in maniera meno efficace ai trattamenti cosmetici (dalla messa in piega alla tintura) e subisce un maggior danno se sottoposta a quelli chimici. Ecco perché, dopo la bella stagione, il capello si presenta secco,

debole e opaco: un vero e proprio SOS bellezza! Però lozioni, spray e maschere, per la cura durante e dopo l’esposizione, possono essere utili per garantire il ritorno ad una chioma idratata e protetta. Consigliati prodotti a base di olio di jojoba, mais, monoi, vitamina E antiossidante che contengono filtri solari che schermano i raggi Uv, così da svolgere una azione protettrice, riparatrice ed emolliente. Le formule resistenti all’acqua rendono i capelli leggeri e straordinariamente lucenti, anche basandosi su formulazioni innovative, disponibili in comode versioni per un uso senza risciacquo, che garantiscono protezione pure sul fronte del colore, impedendone lo sbiadimento. Oppure si può puntare sulle maschere all’olio di argan che, senza ungere, avvolgono i capelli di un filtro protettivo che oltre ad ammorbidire, nutre la chioma secca, sfibrata e crespa. Hibiscus, vitamina C e flavonoidi sono invece gli ingredienti perfetti per tutti i tipi di capelli, poiché svolgono un’azione rinfrescante, antiossidante e rivitalizzante.

Occhi: la difesa inizia dalle lenti a norma Mai come in questo caso si può iniziare con un’affermazione apparentemente scontata e di buonsenso, ma che, purtroppo, non è seguita da tutti: la difesa degli occhi comincia dall’uso di una buona lente. Lo confermano, da sempre, autorevoli ricerche scientifiche: l’eccesso di Uv danneggia parte del cristallino riducendone la trasparenza e provocando danni che possono aggravarsi con l’età. Come pure il riverbero, che rappresenta un altro elemento da cui difendere gli occhi, specie se sono chiari. Di fatto, c’è una correlazione fra l’esposizione agli Uv e le patologie oftalmiche a breve e a lungo termine. Tra i rischi a breve termine c’è la cheratite puntata, un disturbo molto doloroso che può manifestarsi subito dopo l’esposizione a una luce particolarmente accecante, causata dalla disidratazione della cornea. Tra i disturbi tipici estivi c’è anche la congiuntivite che insorge con prurito, senso di fastidio, bruciore e forte lacrimazione. Fastidi che vengono leniti con l’uso di colliri specifici che, ricordiamo, una volta aperti sono soggetti a stretta scadenza. Stare all’ombra non basta a proteggere gli occhi perché i raggi Uv vengono riflessi dal mare, dalla sabbia e da altre superfici. Per questo gli occhiali da sole sono uno strumento fondamentale da usare come schermo, purché abbiano determinati requisiti. Proprio come le creme solari, anche gli occhiali devono avere un

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filtro per gli Uv. Per avere maggiori garanzie di qualità e sicurezza è meglio acquistarli presso i negozi di ottica, scegliendo modelli certificati in base alle direttive della Comunità europea (debbono per questo avere il marchio Ce), da non confondere con il marchio China Export, un escamotage usato per importare occhiali di vario tipo. Una differenza quasi impercettibile: è nella sola distanza tra le lettere C ed E. Nel caso del marchio europeo, la distanza tra la C e la E è pari alla larghezza della C stessa; nel caso invece del marchio cinese le due lettere si trovano quasi attaccate tra di loro, senza lo spazio. Per legge, inoltre, gli occhiali a norma devono essere corredati di un libretto in cui viene indicato il grado di protezione da Uv che va da 1 a 5. Insomma, una lente non vale l’altra. Così anche il colore. Per i miopi si consiglia di puntare su quella marrone, per gli ipermetropi sul verde-grigio. Per chi ha dubbi su quale occhiale scegliere, arriva in aiuto anche la App “Sole Amico” creata dalla Commissione Difesa Vista con il patrocinio del Ministero della Salute. Si tratta di un’applicazione gratuita per tablet e smartphone che fornisce consigli utili per proteggere gli occhi. Basta qualche semplice click e in base al proprio fototipo (colore capelli, occhi e carnagione) e al luogo in cui ci si trova, l’App consiglia quale filtro usare sia per gli occhiali sia per le creme protettive.


Le zone più a rischio del corpo Come sappiamo, naso, labbra, orecchie, collo e cuoio capelluto sono le zone del corpo più sensibili, quelle fotoesposte per maggior tempo a causa della loro posizione per questo più frequentemente soggette a scottatu-

re solari. Esistono dei prodotti specifici ideati per queste zone, in comode confezioni stick o roll on, da tenere in borsetta o nella sacca da spiaggia, per rinnovare la protezione più volte al giorno, anche in città.

Schermare la pelle da ultravioletti e infrarossi Che la pelle vada sempre protetta con un solare ormai dovrebbe essere un’azione scontata, soprattutto per gli adulti, che poi lo insegneranno ai bambini, così da inculcare loro le buone azioni utili per difendersi da eventuali futuri melanomi. Fermo restando che quantità e qualità dei raggi ultravioletti, ma anche degli infrarossi, andrebbero dosati con scrupolo da tutti, per evitare complicanze o danni irreversibili. E a porre maggiore attenzione nello schermarsi la pelle devono essere quelli che ne hanno un tipo più sensibile di altri o chi soffre di qualche malattia cutanea. Partiamo dalla pelle diafana, quella super bianca, candida come la luna, che ha una minore resistenza ai raggi ultravioletti e

che i dermatologi distinguono con i due fototipi più alti, vale a dire l’1 e il 2. Due tipologie che in alcuni casi, addirittura, non dovrebbero neppure mettersi al sole, come il fototipo 1 (tra cui rientrano gli albini e coloro che hanno una storia ereditaria di malattie legate all’esposizione solare, carcinomi basocellulari) e il fototipo 2 (cioè le pelli chiare, lentigginose, che con l’esposizione solare rischiano, in età avanzata, melanomi, carcinomi basocellulari, carcinomi spinocellulari). Una particolare attenzione devono porla anche coloro che hanno i capelli rossi, quelli con fototipo tra 1 e 2, agli antipodi rispetto a chi appartiene al fototipo 3 (chi generalmente non si scotta) e 4 (chi ha la pelle scura). Chi rientra in

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Dossier questa categoria, non può che affidarsi a prodotti di qualità, scegliendo tra quelli proposti in farmacia, di marche selezionate, per evitare di arrecare danni alla pelle, perché messi in commercio da aziende specializzate (e consolidate) sotto il profilo dermatologico.

Couperose

Per chi soffre di couperose, il nemico numero uno è l’infrarosso più che l’ultravioletto, il raggio che scalda, che apporta calore sulla pelle, determinando la dilatazione della rete del microcircolo cutaneo, quindi una vasodilatazione, ovvero un affossamento e anche un peggioramento della sintomatologia legata alla couperose. Ma in questo caso non sempre il filtro solare riesce ad evitare l’arrivo dell’infrarosso, ed il calore colpisce comunque la pelle. Chi soffre di questa malattia, se si espone al sole dovrebbe farlo nelle ore meno calde, nella prima metà della mattinata, quando l’ultravioletto non si accompagna, o si accompagna molto meno, con l’infrarosso, evitando completamente di esporsi a mano a mano che il sole comincia a salire. Per la couperose esistono diverse formulazioni di creme, anche contenenti acque termali, da usare come creme da giorno, che fungono da base per il trucco, in modo tale da tenere la pelle sempre protetta, anche quando si cammina in città, perché, ricordiamolo, al sole si è sempre esposti. Molte aziende, nel foglietto illustrativo all’interno della confezione (oltre alle classiche raccomandazioni sulle esposizioni al sole) riportano la quantità esatta di

prodotto da utilizzare. Sembra una sciocchezza, ma è importante spalmare la dose corretta di crema solare per non ridurre il livello di protezione.

Rosacea

Dalla couperose passiamo alla rosacea, due malattie della pelle ben diverse, ma legate tra loro. Si tratta, infatti, di una complicazione della couperose: chi ne soffre può andare incontro alla rosacea, un’infiammazione della pelle del viso, in particolare della zona centrale, che si manifesta con una dermatosi, una dermopatia molto infiammata che, a priori, non vuole calore. Casi, questi, in cui l’ultravioletto non va proprio preso, perché se la pelle già infiammata viene colpita anche dai raggi caldi, si corre il rischio di andare incontro a delle complicanze abbastanza gravi. Solo nel momento in cui si è guariti viene consigliata l’esposizione moderata con un filtro solare, rispettando le regole di chi soffre di couperose: non esporsi mai nelle ore centrali della giornata, vale a dire dalle 11 alle 18.

Vitiligine

Altra categoria sensibile è quella con la vitiligine, una malattia che si manifesta con chiazze bianche di pelle, che anche se sottoposte allo stimolo dell’abbronzatura, quindi dei raggi ultravioletti, non presentano melanina. Anzi. Chi ne soffre evita in maniera scientifica i raggi solari perché più sole prende più sa che gli si nota la chiazza bianca, dato che la parte circostante si abbronza. Un effet-

Chi soffre di couperose deve temere più i raggi infrarossi rispetto agli ultravioletti

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Dossier to che si evidenzia molto su viso e mani, le zone più esposte, motivo per cui il comportamento istintivo più comune è quello di non mettersi proprio al sole. In realtà, studi abbastanza contrastanti, ma recenti e validati, sembrano dire che chi è affetto da vitiligine, se si espone ai raggi solari in maniera equilibrata, può avere qualche beneficio, sperare che questo determini la pigmentazione delle chiazze. Inizialmente, con la comparsa, all’interno della chiazza stessa, di piccoli punti di melanina, fino ad arrivare in alcuni casi alla guarigione. Esiste in realtà oggi un trattamento con raggi ultravioletti, a banda stretta, chiamata Narrow Band, che dà uno stimolo molto forte al melanocita per farlo ri-

cominciare a produrre il pigmento. In qualche caso si ottengono incoraggianti quadri di soluzione del problema. Quindi, secondo i consigli del dermatologo, il comportamento giusto è: non escludere l’azione dei raggi ultravioletti perché rappresenta uno stimolo valido. Si può perciò mettersi sotto il sole, non prolungatamente, ma con un filtro solare da applicare più volte nell’arco della giornata se l’esposizione dovesse prolungarsi per diverse ore. Anche in questo caso viene consigliato l’uso di creme con alti indici di protezione solare in grado di ridurre la possibilità di eritemi nelle aree più chiare, quindi più sensibili, senza rinunciare al beneficio dell’elioterapia.

Le regole del perfetto vacanziere 1.Regola numero uno: evitare l’esposizione eccessiva (e le conseguenti scottature) se si ha la pelle chiarissima, quindi di fototipo I o II. Chi si scotta frequentemente al sole incorre in maggiori possibilità di sviluppare il melanoma. 2.Esporsi gradualmente per stimolare la melanina. L’abbronzatura step by step riduce il rischio di scottature solari. Si può partire da 45/60 minuti il primo giorno, per poi aumentare fino a ottenere un’abbronzatura uniforme e duratura. L’utilizzo di creme solari facilita questo obiettivo. 3.Stop dalle 11 alle 15, evitando le ore centrali della giornata, quando si ha un maggiore irraggiamento e il grado di intensità delle radiazioni ultraviolette è massimo, poiché la quantità di radiazioni UV è collegata all’angolo di elevazione del sole. 4.Baby protezione: proteggere i bambini dalle scottature ed evitare l’esposizione diretta dei neonati fino a 1 anno. Le scottature solari in età pediatrica aumentano il rischio di sviluppare melanoma in età adulta. I neonati, infatti, pur avendo un nu-

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mero di melanociti pari agli adulti, hanno la pelle molto più sottile, pertanto più sensibile al danno da UV. I neonati fino a un anno di età non andrebbero mai esposti direttamente ai raggi solari, mentre ai bambini si consigliano creme solari a protezione molto alta, dai 50 in su. 5. L’efficacia delle creme solari contro i danni dei raggi dipende dalla quantità di crema che si applica sulla cute e dal numero di applicazioni. La quantità raccomandata a livello europeo è di 36 g/applicazione per un intero corpo adulto che corrisponde circa a 6 cucchiai colmi, ma nelle condizioni reali dell’uso quotidiano la quantità di prodotto applicato è nettamente più bassa. Non bisogna dimenticare che ogni crema, a causa del sudore o dell’acqua, si diluisce fino a scomparire. Pertanto è importante riapplicarla ogni 2-3 ore per evitare che perda la sua azione protettiva soprattutto in caso di sport all’aperto o dopo avere fatto un bagno in mare o in piscina. Attenzione alla data di scadenza.



Dossier

Nei

Altra fascia che non può sottrarsi alla protezione è quella dei soggetti con i nei (nevi nella terminologia tecnica dei dermatologi). Non c’è una netta corrispondenza tra la presenza di nei e l’esclusione dei raggi ultravioletti. Il problema è che il soggetto con i nei di tipo displastico (quelli cioè che cominciano a modificarsi), deve porre molta attenzione all’esposizione solare. Secondo quanto sostenuto dai dermatologi, non ci sono prove provate che irradiazioni solari su un neo possano determinare

l’insorgenza del melanoma, però è altrettanto vero che il sole può determinare, a sua volta, delle modificazioni del neo che già si sta trasformando in senso maligno. Il consiglio: è bene evitarlo. Chi ne ha molti dovrebbe, comunque, porre sempre una certa attenzione. E affidarsi ad un esperto dermatologo, l’unico in grado di poter suggerire i migliori prodotti per ogni specifico caso, sia in crema che in versione olio secco, una delle ultime tendenze spray formulata per garantire protezione senza ungere e di rapido assorbimento.

Dermatite atopica e pitiriasi: occhio ai bambini Passando ai bambini, dermatite atopica e pitiriasi sono le due patologie tipiche, degne perciò di attenzione, per due motivi fondamentali. Prima di tutto perché il bambino è un soggetto che ha una cute molto delicata, poiché non ha ancora totalmente sviluppati tutti i meccanismi di difesa che ci sono nell’adulto, a cominciare dalla produzione di sebo: le ghiandole sebacee, infatti, si sviluppano dopo la pubertà. Il sebo è una sostanza che si distribuisce sul piano cutaneo (è quello strato di lucido bistrattato da molte donne) che dona protezione alla pelle, perché crea una barriera molto forte verso l’ingresso di germi, funghi, agenti fisici e ambientali etc., raggi ultravioletti compresi.

La protezione va rinnovata anche più volte al giorno Priva quindi di schermo naturale, la pelle del bambino viene a diretto contatto sia con i raggi che con tutti gli agenti fisici, come il caldo e il freddo. Nella seconda infanzia, ma anche nella terza, fino all’età preadolescenziale, quando inizia ad avere una certa capacità di protezione, quindi fino a 6-8 anni, può avere dei problemi se lo si espone al sole in maniera non corretta e senza le dovute precauzioni. Che equivale a dire “prevenzione fin da piccoli”. Perché la crema solare da sola non fa miracoli. Occorre saper gestire i prodotti (rinnovando la protezione durante l’arco della giornata), ma anche l’esposizione, evitando le ore più calde. Nei casi in cui si ha a che fare con la dermatite atopica, che si manifesta anche dell’adulto, poiché è un quadro che si trascina più a lungo, dobbiamo prima fare un passaggio per capire cos’è. L’atopia, molto diffusa, è geneticamente determinata, quindi ci si nasce. Si manifesta nei primi anni di vita e si porta dietro fino alla pubertà, in qualche caso anche oltre. È una malattia in cui

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compare un eczema che, inizialmente, si localizza nelle pieghe della pelle (quindi dietro le ginocchia, all’interno del braccio, dietro le orecchie) e che, in alcuni casi, può diventare ben più grave. La cosa da evidenziare è che il bambino con dermatite atopica se va al mare guarisce. Non va quindi tenuto lontano dal sole, sia per il beneficio dell’azione dell’acqua sia dei raggi ultravioletti. Ma va sicuramente protetto in maniera corretta, rinnovando costantemente l’uso del prodotto solare. Come si affrontano, invece, i casi di pitiriasi? Non così rari, i casi di “pitiriasi alba”, una malattia che insorge nell’età prepuberale-preadolescenziale, presentano chiazze chiare vicino alla bocca, discromie cutanee che fanno subito allarmare le mamme pensando siano dei funghi. Somiglia grossolanamente alla vitiligine, ma non ha le stesse caratteristiche, dato che quest’ultima ha invece i margini molto netti, presentandosi quindi come un’isola bianca con limiti perfetti. La pitiriasi alba ha una manifestazione più sfumata, e il bianco non è madreperlaceo. Per quanti studi siano stati fatti, sia per accertare se fosse una malattia micotica (che è stato escluso) o microbica, quindi da batteri (escluso anche questo), si è arrivati a pensare si tratti di una malattia disreattiva (reazione alterata e abnorme; ndr) della pelle del bambino. La teoria più accreditata tra i dermatologi è che in alcune fasi, come quella della crescita, quando la cute si trasforma, iniziando ad assumere i caratteri adulti, si determini una situazione tale per cui la fisiologia della pigmentazione subisce modifiche. Si parla poi anche di pitiriasi delle regioni periorali, dove ci può essere anche un’azione topica esercitata da tanti fattori, come il cibo (a volte i piccoli si sporcano molto mentre mangiano), la saliva, etc., un insieme di fattori legati al comportamento del bambino, alla sua alimentazione, etc. che facilitano l’insorgenza di quadri di questo genere. Casi in cui l’azione dell’ultravioletto non è sconsigliata. Anzi, può essere addirittura risolutiva, anche se va molto moderata: è importante fare brevi esposizioni, ma sempre protette.



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E tu, di che fototipo sei? Fototipo I

Fototipo II

Fototipo III

Fototipo IV

Fototipo V

Fototipo VI

Carnagione della pelle

Lattea/ rossastra

Molto chiara

Abbastanza chiara

Leggermente Scura scura/olivastra

Scurissima/ nera

SensibilitĂ al Sole

Molto elevata

Elevata

Media

Ridotta

Minima

NO

Colore degli occhi

Azzurri/verdi chiari

Azzurri/verdi

Azzurri scuri/ verdi scuri

Marroni normali o chiari

Marroni

Marroni scuri

Colore dei capelli

Rossi o biondi chiari

Biondi normali

Biondi scuri/ castani

Castani/ castani scuri

Neri

Neri

Lentiggini sulla pelle

Moltissime

Molte

Alcune

Pochissime

Nessuna

Nessuna

Scottature

Sempre

Molto spesso

Spesso

Talvolta

In casi rari

Mai

Tipo Inesistente di abbronzatura o quasi

Leggermente dorata

Dorata

Abbastanza intensa

Molto intensa

Intensissima

Tempo di abbronzatura

2 mesi circa

1 mese circa

1 settimana circa

2-3 giorni circa

1 giorno

50 (alto)

30 (alto)

20/15 (medio)

10 (basso)

6 (basso)

N.D.

SPF* per le 50+ prime esposizioni (molto alto)

SPF* a pelle giĂ abbronzata

50+/50 (molto alto o alto)

30 (alto)

20/15 (medio)

10 (basso)

6 (basso)

Nessuno (6 in caso di esposizioni prolungate o sotto elevato Indice UV)

* Solar Protection Factor (Fattore di Protezione Solare)

44 OPTIMASALUTE



Dossier

Il buon esempio di contadini e marinai italiani Proteggere la pelle fin da piccoli, dicevamo, è fondamentale. E mai come in questo caso bisogna guardare agli esempi, buoni e cattivi. Parlando subito dei comportamenti da non copiare, ci sono dati scientifici riferiti da studi epidemiologici condotti in Australia, il continente dove il melanoma della pelle è più diffuso: su 10mila abitanti, da noi si verificano 10-14 casi, in Australia 40-50. Un fenomeno che ha determinato una certa attenzione da parte della classe medica e dermatologica nel cercare di capire perché accade ciò. E ci si è accorti che in Australia, in ragione delle condizioni climatiche e ambientali, cioè la presenza del mare e di stagioni calde particolarmente lunghe, le famiglie australiane andavano in barca tutti i fine settimana per larga parte dell’anno. Si tratta di una popolazione, oltretutto, abbastanza ricca, per cui in molti possono permettersi la proprietà di un natante e di conseguenza passare giornate intere sotto il sole. Un comportamento a rischio che inizia fin dall’età di 4-5-6 anni, con dosi massive e concentrate nel tempo (nei due giorni del weekend) di raggi ultravioletti, così che, in molti, a 20 anni cominciano a manifestare il melanoma. La stessa cosa è accaduta ai figli dei contadini e dei marinai nelle nostre regioni mediter-

ranee, ma lì il melanoma non compariva. Perché? Perché si esponevano al sole da maggio a settembre continuativamente, non solo nel fine settimana e con dosi massive. Iniziavano l’esposizione con i primi soli, ad aprile, piano piano la pelle iniziava a produrre melanina, si proteggeva, e quando arrivava il sole di luglio-agosto il bambino era già protetto.

Esponendosi gradatamente al sole fin da aprile si aiuta la produzione di melanina In questi casi l’esposizione continua di raggi ultravioletti, per un arco di tempo sufficientemente lungo, non provocava danno, rispetto al bambino australiano la cui esposizione di due giorni provocava una ustione solare o comunque un attacco piuttosto forte degli ultravioletti.

Prevenzione dal melanoma Dici melanoma e corre un brivido: il tumore che deriva dalla trasformazione maligna dei melanociti, alcune delle cellule che formano la pelle, è in aumento. Colpisce soprattutto attorno ai 45-50 anni, anche se l’età media alla diagnosi si è abbassata negli ultimi decenni. In Italia, i dati Airtum (Associazione italiana registri tumori) parlano di circa 13 casi ogni 100.000 persone con una stima che si aggira attorno a 3.150 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 2.850 tra le donne. Inoltre, l’incidenza è in continua crescita ed è addirittura raddoppiata negli ultimi 10 anni. E pensare che il melanoma cutaneo rappresenta solo una piccola percentuale (circa il 5%) di tutti i tumori che colpiscono la pelle. Una sfilza di numeri per ricordare quanto la prevenzione sia fondamentale per contrastare questa patologia, il cui principale fattore di rischio è proprio l’esposizione eccessiva alla luce ultravioletta, che arriva fino a noi sotto forma di raggi Uva e Uvb, ed è principalmente rappresentata dai raggi del sole. La troppa esposizione al sole rappresenta un potenziale pericolo perché può danneggiare il Dna delle cellule della pelle e innescare la trasformazione tumorale. Secondo quanto riportato sul sito dell’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro),

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alcuni comportamenti possono ridurre il rischio di sviluppare tumori della pelle. È fondamentale innanzitutto esporsi al sole in maniera moderata fin dall’età infantile, evitando le ustioni. In generale bisogna proteggere la pelle evitando di esporsi durante le ore più calde (tra le 10 e le 16) ed evitando o riducendo al minimo l’uso di lampade o lettini abbronzanti. Sotto il sole è consigliabile indossare cappelli e occhiali da sole e usare creme protettive adeguate al proprio tipo di pelle, applicandole più volte in modo da assicurare una copertura continua. Attenzioni che vanno riservate soprattutto ai bambini, molto sensibili alle scottature: il processo di trasformazione tumorale è molto lungo e spesso può derivare da un’alterazione che è avvenuta in età pediatrica. È inoltre necessario controllare periodicamente l’aspetto dei propri nei sia consultando il dermatologo, sia autonomamente guardandosi allo specchio e facendosi guardare da un familiare nei punti non raggiungibili col proprio sguardo. La diagnosi precoce del melanoma cutaneo non dipende solo dal medico: un auto-esame periodico della propria pelle permette in molti casi di identificare cambiamenti o nei sospetti e di rivolgersi per tempo al dermatologo. n




Più sport in menopausa Dopo i 50 le donne tendono ad ingrassare e fare meno attività, ma non solo per pigrizia. Come riprendere a muoversi e ottenere benefici per la salute di Francesca Aquino

s

Nelle

donne dopo i 50 anni si verificano spesso due abitudini piuttosto comuni e niente affatto

casuali: la diminuzione dell’attività sportiva e la tendenza ad ingrassare e sviluppare disturbi connes-

si con l’aumento di peso (diabete di tipo 2, sindrome metabolica, malattie cardiovascolari, ecc...). OPTIMASALUTE

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Tutto ciò potrebbe essere direttamente connesso con l’avvento della menopausa, che si verifica nella stessa fascia di età per molte donne e che porta con sé parecchie conseguenze antipatiche: ansia, disturbi del sonno, vampate… Insomma, non si tratta di un momento particolarmente felice per le signore e voler dimagrire o fare sport spesso non sono tra le priorità, specie se pensiamo al fatto che nella società moderna una donna tra i 50 e i 55 anni è ancora molto attiva, sia sul piano lavorativo che su quello familiare ed ha quindi una vita piuttosto piena. Se anche voi preferite starvene ore sul divano a rivedere vecchi film, leggere un libro o cucinare piuttosto che fare una passeggiata o andare in palestra, quindi, non c’è nulla che non va, ma dovrete correre (letteralmente) ai ripari prima che sia troppo tardi. Le cause scientifiche di questa svogliatezza sono state indagate e presentate dalla dottoressa Victoria Vieira-Potter, docente di

Nutrizione e Fisiologia dello sport all’Università del Missouri, in uno studio condotto su cavie con e senza ovaie, che conducevano una vita più o meno attiva.

L’esercizio, anche leggero, può proteggere le donne in menopausa Nelle gabbie dei topolini è stata messa una ruota: i più attivi hanno corso per buona parte della giornata, mentre i più pigri hanno percorso un quinto della distanza fatta dagli altri. “Nei topolini sedentari è migliorata comunque la funzione metabolica e sono diminuiti i livelli di insulina, inoltre hanno perso il 50% del tessuto adiposo ed i risultati sono quasi

sovrapponibili a quelli riscontrati nei topi più sportivi”, ha affermato la ricercatrice. La dottoressa Vieira-Potter ha individuato una connessione tra l’aumento di peso e la perdita di estrogeni conseguente alla rimozione delle ovaie (calo che avviene anche nelle donne in menopausa) ed ha inoltre notato che le femmine di ratto prese in esame che erano attive prima della rimozione, non hanno acquisito peso in seguito. Ciò ha portato ad una conclusione: l’esercizio fisico, anche leggero, potrebbe proteggere le donne in menopausa dall’aumento di peso e dalle complicazioni per la salute che potrebbero derivarne. Questo non significa che dovrete passare da zero attività fisica ad andare in palestra ogni giorno o iscrivervi ad una maratona. Basta infatti un esercizio fisico moderato, calibrato in base alle proprie abitudini di vita e necessità, per trarne beneficio. Il calo di estrogeni conseguente alla menopausa, infatti, compor-

Ma ci sono anche piccoli rischi La dottoressa Dawn Lowe studia le correlazioni tra invecchiamento e attività fisica all’Università del Minnesota ed ha affrontato il problema della menopausa da un punto di vista opposto a quello della sua collega del Missouri, ovvero: come la salute delle donne influenza la loro attività fisica. Se infatti è vero e provato che lo sport sia benefico sotto numerosi punti di vista per la salute, è anche vero che l’avanzare dell’età e i disturbi della salute stessa possono influenzare negativamente lo svolgimento dell’attività sportiva. Un problema su tutti: l’incontinenza in momenti imprevisti,

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specialmente durante l’attività fisica. “Solitamente quando ci si invecchia ci si concentra sui problemi muscolari di braccia o gambe, ma non dimentichiamoci che anche il pavimento pelvico è un muscolo e perde la sua forza con l’avanzare dell’età” ha sottolineato la dottoressa Lowe. Questo calo del tono muscolare potrebbe essere indotto dal calo di estrogeni della menopausa. Il risultato può tradursi in incontinenza urinaria, specialmente durante il movimento, fenomeno che ha interessato il 40% delle donne analizzate nello studio.


Per tenere traccia dei vostri sforzi e sentirvi gratificate usate un contapassi o una app

ta anche un calo di dopamina, il neurotrasmettitore che trasmette i segnali della ricompensa e del piacere al cervello. Ciò significa che le ultracinquantenni potrebbero anche trarre meno soddisfazione dall’attività fisica e, pian piano, ridurne la frequenza, anche se in precedenza la svolgevano ben volentieri. Tenendo presente tutto questo, il modo più semplice per evitare l’aumento di peso connesso alla menopausa è quello di svolgere un’attività fisica blanda, come delle passeggiate a passo sostenuto, una nuotata in piscina, corsi di yoga o di danza (che aiutano anche a socializzare), purché si

tratti di attività svolte regolarmente. Soprattutto per chi non era abituata a fare sport prima della menopausa, però, l’ostacolo principale resta il primo passo: da dove cominciare? Se non siete tipi particolarmente socievoli, non avete tempo (o credete di non averne) o avete un’avversione per le palestre e gli spazi chiusi, vi consigliamo di cominciare con una passeggiata ogni giorno di almeno 20 minuti, anche da sole con la musica negli auricolari a farvi compagnia. L’inizio della bella stagione vi sarà sicuramente d’aiuto. Se invece vi sentite più motivate in compagnia, iscrivetevi ad un corso, uno qualsiasi: yoga,

ginnastica dolce, tai-chi, ballo latinoamericano, tango... purché vi faccia muovere dal divano almeno due volte a settimana. Per tenere traccia dei vostri sforzi e sentirvi gratificate, potete usare un contapassi, uno smart watch o una app da scaricare sullo smartphone per monitorare i vostri progressi. Ricordatevi infine di qualche semplice accorgimento che può però cambiarvi letteralmente la vita, come fare le scale invece che prendere l’ascensore, parcheggiare a qualche centinaio di metri dalla vostra meta, portare a spasso il cane o buttare la spazzatura come “scuse” per muovervi un po’ di più. n OPTIMASALUTE

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I bugiardi della dieta Quasi l’80% di chi segue un regime alimentare per dimagrire mente a sé stesso e al nutrizionista. Ma un nuovo test delle urine promette di smascherare tutti... di Gelsomina Sampaolo

s

Alzi la mano chi non ha mai men-

tito sulla propria dieta. Anche una bugia piccola (ad esempio: “Oggi ho mangiato solo un’insalata”), però, può influenzare i vostri risultati, specie se a seguirvi ci sono

figure professionali, come nutrizionisti o dietologi, che si fidano di voi e delle informazioni che gli avete dato durante la visita, usate per adattare il vostro regime nutrizionale. Per questo un gruppo di

ricercatori dell’Imperial College di Londra ha ideato un test delle urine per “smascherare” i Pinocchio della dieta. Basteranno 5 minuti per sapere quanti grassi, zuccheri, fibre e proteine si stanno assuOPTIMASALUTE

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mendo, ma anche quanta carne rossa e bianca, pesce, uova, verdure e frutta si stanno mangiando. Una tecnologia che permette di limitare i danni e le bugie, grazie agli innovativi “fitness trackers”, app e fitness watch, che controllano ogni nostro movimento e ci bacchettano a modo loro qualora non raggiungiamo gli obiettivi fissati alla fine della giornata. Per analizzare la situazione e stabilire lo stato dell’arte a seguito di queste innovazioni, abbiamo chiesto il parere della Dott.ssa Melissa Finali, nutrizionista di Optima Salute. Dottoressa, crede che quello inglese sia uno strumento utile più per i nutrizionisti o per i singoli utenti? “Sicuramente si tratta di un risultato interessante. Se l’esame delle urine fosse davvero così specifico e attendibile aiuterebbe noi nutrizionisti nell’anamnesi alimentare della prima visita, per capire come improntare la dieta, ma soprattutto nei controlli successivi, per fare un controllo incrociato tra quello che dice il paziente e quello che si evince dall’analisi”. Secondo i ricercatori londinesi sono circa il 60% le persone che mentono sul proprio regi-

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me alimentare. Secondo la sua esperienza, invece, quanti pazienti tendono a dire qualche piccola-grande bugia? “Anche di più! Direi circa l’80%”. Un bravo nutrizionista, calo del peso a parte, riesce a capire quando la persona che ha davanti non sta seguendo la dieta raccomandata? Quali sono i parametri da tenere sott’occhio, a parte la bilancia? “Certo. Un modo per capirlo è la bioimpedenziometria, che permette di capire lo stato delle frazioni corporee come massa grassa, massa cellulare attiva, liquidi intra ed extracellulari, che sono diretta conseguenza dello stile di vita (alimentazione e attività fisica). Se una persona segue anche solo la metà dei consigli nutrizionali ricevuti ci deve necessariamente essere una variazione di questi valori. L’uso di questo strumento è fondamentale, ad esempio, nei DCA (disturbi del comportamento alimentare): fa capire subito se il paziente mente”. I cosiddetti “fitness trackers” o le app per seguire un dato regime alimentare e sportivo, possono funzionare? Non c’è il rischio che si sostituiscano alle figure professionali reali

(dietologo, nutrizionista, personal trainer)? “Secondo me non c’è un rischio di sostituzione, sono pur sempre macchine, e nell’ottica di una dieta personalizzata non possono certo sostituirsi al cervello pensante e all’esperienza di un medico. Prova ne è il fatto che molti miei pazienti hanno provato prima queste tecniche in autonomia e poi sono venuti nel mio studio perché non ottenevano risultati. D’altra parte questi dispositivi possono certamente rivelarsi utili nel mantenimento dello stato di salute raggiunto dopo un percorso dal nutrizionista, perché in un certo senso fungono da promemoria delle buone abitudini”. Nel nostro mondo fatto di cibi sempre più biologici, controllati, free from, ha ancora senso seguire una dieta ferrea in cui si calcolano i grammi? “Ci sono ancora casi in cui una dieta “grammata”, per un certo periodo di tempo, è necessaria. Ma più in generale ciò che conta sono gli abbinamenti alimentari e la qualità dei cibi che ingeriamo, che devono essere il più possibile semplici e vicini al naturale, perché sono quelli che rispondono alle nostre esigenze nutrizionali.



Spesso basta aggiustare le abitudini per apprezzare buoni risultati, anche in termini di calo ponderale, senza per forza contare le calorie, cosa che tra l’altro, con la frenesia del Terzo Millennio, è diventata sempre più difficile”. Quali sono le regole base di una dieta sana, non necessariamente dimagrante? “Di base sono quelle della dieta mediterranea, quella vera, non quella che abbiamo interpretato a nostro piacimento: giornalmente frutta, verdura, cereali integrali, frutta secca; legumi almeno 3/4 volte a settimana (ma anche giornalmente in piccole porzioni), 30 g di fibra al dì, meno di 500 g di carne a settimana, eliminare la carne lavorata, preferire il pesce azzurro tra i cibi di origine animale, idratarsi bene... e usare il buonsenso!”. Tornando alle “bugie”, molti adducono come scusa ad una dieta sana una vera o presunta mancanza di tempo per cucinare i piatti in maniera più salutare. Esiste una dieta che prevede cibi veloci? “Esiste l’organizzazione: basta anche solo un giorno a settimana in cui si possono cuocere i legumi

e poi congelarli in monoporzioni piuttosto che metterli sottovuoto, così come si possono cucinare grandi quantità di cereali da conservare anche per 3 giorni.

Chi non può cucinare tutti i giorni prepari legumi e cereali una volta alla settimana Si possono usare pentole a pressione che dimezzano i tempi di cottura, si può prediligere la verdura cruda a quella cotta in modo da non dover “perdere tempo” nella preparazione… Diciamolo, spesso la mancanza di tempo è una scusa”. La dieta mediterranea è ormai osannata da tutti (ultimo in ordine di tempo il “Bloomberg Global Health Index”) come la migliore al

mondo. Si tratta davvero di una dieta perfetta? “È un ottimo vademecum per tutti, ma non si può pensare che sia una panacea, adatta a tutte le esigenze”. Nella classifica Bloomberg già menzionata, l’Italia è seguita da Islanda, Svizzera e Singapore dove i piatti tipici sono: pesce, patate e pecora (Islanda), formaggi, polenta e fegato (Svizzera) e pesce, riso e pollo con spezie (Singapore). Quali sono i vantaggi apportati da questi cibi? “Posto che il risultato di questa classifica mi trova un po’ scettica (ricordiamo che lo stato di salute degli italiani non è dei migliori, considerando che siamo al secondo posto in Europa per obesità e diabete), nel caso dell’Islanda il vantaggio è apportato dal pesce, con i suoi poteri antinfiammatori, così dicasi per l’ampio uso di spezie nei paesi orientali. Per quanto riguarda la Svizzera non mi concentrerei tanto su fegato e formaggi, bensì su altri piatti tipici più sani, come la polenta o le mele, protagoniste anche dei dolci d’Oltralpe”.

In Italia si mangia meglio Il Bloomberg Global Health Index ha passato in rassegna le abitudini alimentari di 163 Paesi e la top 10 è risultata questa: 1. Italia 2. Islanda 3. Svizzera 4. Singapore 5. Australia 6. Spagna 7. Giappone 8. Svezia 9. Israele 10. Lussemburgo

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Per Adam Drewnowski, direttore del Center for Public Health Nutrition dell’Università di Washington: “gli italiani sono molto più in forma degli americani (che si attestano al 34esimo posto), dei canadesi (17esimi) e dei britannici (23esimi), impegnati a combattere con pressione alta, colesterolo e problemi mentali. Il perché è da ricercare nel piatto: vegetali, frutta, olio di oliva, carne e pesce sono alla base della dieta. Tutti alimenti sani. A conferma di ciò il sesto posto di un’altra nazione mediterranea, la Spagna”. n




Gatto vs divano È una delle lotte più impari che si sviluppa in casa. Trucchi e consigli per evitare che il micio abbia la meglio sui mobili, a partire dall’acquisto di un tiragraffi di Chiara Baldetti

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Quando

si prende la decisione di adottare un micio e non si dispone di un giardino o di uno spazio all’aperto, il primo pensiero per la futura vita in famiglia del felino è: come si comporterà in casa? Dando per scontata la buona pratica della lettiera posta in un luogo appartato e tenuta costantemente pulita, i problemi maggiori possono venire dai “rapporti” tra il gatto e i mobili di casa. Farsi le unghie su stipiti, divani,

poltrone e quant’altro gli capiti a tiro, infatti, pare essere uno dei passatempi preferiti del gatto di casa, ma non si tratta di un dispetto né di un capriccio, bensì del semplice modo di esprimere la sua natura. Dare unghiate ai mobili, infatti, è il suo modo per marcare il territorio e affilare le uniche armi di cui dispone per difendersi e attaccare, come la sua natura felina impone. Scordiamoci dunque di “togliergli il vizio” e impariamo come salva-

re il salvabile con un unico, grande alleato: il tiragraffi. Si tratta di uno strumento preziosissimo, da acquistare insieme a tutto il corredo di base prima di portare a casa il micio. Ne esistono di varie dimensioni e tipi, tenete sempre a mente che deve permettere al gatto di distendersi per tutta la sua lunghezza e deve avere una base larga e solida che lo renda stabile. Posizionatelo vicino ai mobili che volete salvare (ad esempio in corOPTIMASALUTE

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rispondenza di un angolo del divano) o dove ha già cominciato a farsi le unghie, perché è proprio lì che il micio vorrà lasciare il segno. Ricordate che i gatti non amano i cambiamenti, quindi, se e quando deciderete di spostare il suo tiragraffi, fatelo molto gradualmente, di non più di 5 cm al giorno. Quando sarà rovinato per l’usura, poi, non buttatelo via: al gatto piace anche così. E se continua a preferire il divano nuovo? Usate dei deterrenti, come ad esempio: • coprite con del nastro biadesivo o isolante gli angoli dei divani (i gatti non amano le zampe appiccicose o che scivolano); • spruzzate essenze agli agrumi

Farsi le unghie su stipiti e poltrone è un modo per marcare il territorio o dissuasori spray appositi per gatti; • schizzategli qualche goccia d’acqua sul musetto quando si fa le unghie sul divano, difficilmente tornerà sul luogo del delitto; • acquistate prodotti specifici,

come ad esempio delle strisce adesive o tappetini in plastica appositamente ideati per essere applicati su tappeti, tende e altre superfici ampie che attirano i gatti; • adottate i cari, vecchi (e orribili) rivestimenti in plastica per coprire i mobili, almeno quando non siete in casa. Come extrema ratio qualcuno decide di tagliare le unghiette del gatto, ma non si tratta di una soluzione né piacevole per lui né duratura per voi. Addirittura sono state ideate una sorta di unghie finte di gomma dette “soft paws” da infilare sopra le unghie del gatto, ma attenzione: possono essere applicate solo dal veterinario ed hanno una durata di 3-6 settimane prima di dover essere sostituite.

Un mondo di tiragraffi Di tiragraffi ne esistono davvero di ogni tipo, forma e materiale, ma allora, come orientarsi nella scelta? Innanzitutto teniamo presente che il materiale deve essere naturale e ruvido, come la raffia, il legno, il sisal o il cartone. Questi ultimi sono generalmente i più economici, ma hanno vita breve, soprattutto con gatti giovani e atletici. Poi dovranno essere commisurati alle dimensioni del gatto, stabili per non cadere e divertenti. Molto dipende anche dallo spazio che avete a disposizione in casa e dal numero di gatti da “soddisfare”: potete scegliere un tiragraffi di pochi centimetri fino ad una struttura a più colonne e alta fino al soffitto. Alcuni sono talmente sofisticati da sembrare delle vere e proprie palestre per gatti, con nicchie, piattaforme, giochi, corde e cuscini per il riposo tra un esercizio e l’altro.

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Ce ne sono alcuni a forma di castello e altri, più discreti, di design che ben si possono integrare con l’arredamento di casa. Nel caso in cui il vostro sia un gatto molto giovane o, al contrario, molto anziano e non in grado di arrampicarsi, potrebbe bastare un graffiatoio, disposto in orizzontale, che occupa poco spazio e può essere riposto all’occorrenza. Ricordate che il tiragraffi, come tutti gli altri oggetti del vostro micio, dovrà essere pulito periodicamente, perciò la facilità di smontaggio e pulizia è un’altra caratteristica che potrebbe indirizzare la vostra scelta. Infine, se siete bravi con il fai-da-te, potreste anche costruirvene uno da soli. Vi serviranno assi e bastoni di legno, vecchi tessuti (es. jeans usati o tappeti), corda, vecchi cuscini o gomma piuma da rivestire e tanta fantasia! n



Hobby House

di Gelsomina Sampaolo

Libreria Bambini

Il gioco della luce

Un libro che contiene un magico gioco di luci. Al buio, accendi una torcia e vedrai i fiori crescere sul soffitto e i pesci nuotare sulle pareti! Tullet H.; Phaidon; Euro 9,95

Storie della buonanotte per bambine ribelli

Da Serena Williams a Malala, da Rita Levi Montalcini a Frida Kalo, da Margherita Hack a Michelle Obama, 100 donne raccontate e illustrate per sognare in grande. Cavallo F., Favilli E.; Mondadori; Euro 19,00

In Salute

La grande via

Cibo, movimento e meditazione sono le tre vie al benessere del “metodo Berrino”. Uno stile di vita diverso per combattere e prevenire le patologie croniche che affliggono la nostra società. Berrino F.; Mondadori; Euro 20,00

Ma tu chi sei?

Bette Ann Moskowitz narra con sguardo sensibile l’esperienza dell’invecchiamento e della malattia della madre. Un patrimonio di conoscenze anche pratiche per il lettore. Moskowitz B.A.; Exorma; Euro 14,50

Best Seller

Sete

Harry Hole, ormai vicino alla cinquantina, sembra aver trovato la pace e la forza per tenersi alla larga dai guai. Oslo, però, ribolle di violenza. Nesbø J.; Einaudi; Euro 22,00

Cinema Smetto quando voglio Masterclass

Regia: S. Sibilia con: E. Leo, V. Avrea, P. Calabresi, L. De Rienzo Trama: torna la banda di ricercatori universitari prestati al ‘crimine’ ma questa volta per una missione dall’altra parte della barricata. Giudizio: una commedia moderna ed esuberante, rara per il panorama italiano.

64 OPTIMASALUTE

Chi sta male non lo dice

Questa è la storia di Yannick e Ifem. Di mancanze, assenze, abbandoni, di come è difficile credere nella vita quando questa ti toglie più di quanto ti dà. Di Stefano A.; Mondadori; Euro 12,00

Musica Double Roses Karen Elson

Un’ottima prova di cantautorato al femminile dalla ex modella ed ex moglie di Jack White. Ricorda Joni Mitchell.



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ricette

Insalata di spinacini, arance e noci Ingredienti (per 4 persone) • 300 gr spinacini • 1/2 cipolla di Tropea • 4 noci tritate • 4 cucchiai di olio EVO • 1 cucchiaio succo di arancia • 4 arance • sale e pepe q.b. Mettete gli spinacini, ben lavati e asciugati, in una insalatiera con tutti gli altri ingredienti: noci tritate finemente, cipolla sbucciata e affettata, arance sbucciate a fatte a fettine. Condite con la vinaigrette ottenuta con olio extravergine, succo di arancia, sale e pepe. Servite subito per non perdere gli aromi.

Oroscopo Segno del mese Gemelli 21/05 - 21/06

Per voi è questo il mese di un totale ottimismo, sia nel lavoro che nella vita privata. Ma cercate di non esaltarvi troppo e mantenete più privacy attorno alle vostre relazioni.

Cancro 22/06 - 22/07

Liberatevi di un rapporto alienante e date sfogo alla vostra proverbiale gioia di vivere.

Leone 23/07 - 23/08

Un progetto importante sta per andare a segno, ma mediate un po’, non fissatevi sui particolari.

Vergine 24/08 - 22/09

W. Oscar

Autocritica “C’è una sorta di piacere nel rimproverare se stessi. Quando lo facciamo, sentiamo che nessun altro ha il diritto di criticarci”. (Oscar Wilde)

Lo Sapevate?

L’uomo più basso del mondo era alto 55 cm Secondo il Guinness dei primati l’uomo più basso del mondo è stato l’indiano Gul Mohammed, morto nel 1991 all’età di 40 anni, in seguito ad un infarto. Esaminato nel 1990 presso l’ospedale Ram Manohar Lohia di Nuova Delhi, la sua altezza è risultata pari a 55,88 centimetri.

Web Zone

Stop alle bufale L’obiettivo comune è quello di smascherare le notizie false sul web. Sia Google che Facebook ci provano con l’etichetta Fact Check (disponibile sia su Google News che nel motore di ricerca) che con una guida dedicata, nata dalla collaborazione con First Draft, segnala le notizie false che compaiono nella Home page del social network.

66 OPTIMASALUTE

I profili dopo la vita Da quando Facebook ha concesso il mantenimento dei profili attivi anche dopo la morte dei loro proprietari (tramite “lascito” ad una persona di fiducia che li gestisce al posto del defunto), sono già 30 milioni quelli appartenenti a persone scomparse (8mila decessi digitali al giorno). Si stima che entro il 2095 avverrà il sorpasso per cui ci saranno più account di utenti morti che vivi.

Siete in un momento di grande effervescenza e dinamismo. Occhio alle priorità.

Bilancia 23/09 - 22/10

Vi aspetta un periodo di felici cambiamenti, a patto che scendiate dalla… bilancia.

Scorpione 23/10 - 22/11

Siete sempre interiormente eccessivi e ultrasensibili. Provate a rilassarvi un po’.

Sagittario 23/11 - 21/12

State diventando importanti in ufficio. Non avete notato quanti consigli vi chiedono?

Capricorno 22/12 - 20/01

Siete formidabili analizzatori, ma evitate di essere troppo diretti e crudi.

Acquario 21/01 - 19/02

Tatto e savoir faire: la ricetta perfetta per rafforzare legami e amicizie.

Pesci 20/02 - 20/03

Realismo e sincerità, le armi per sistemare positivamente una importante relazione sentimentale.

Ariete 21/03 - 20/04

Il grande desiderio di indipendenza che è connaturato in voi va mediato dal realismo.

Toro 21/04 - 20/05

Creatività e strategie ben definite vi porteranno un bel successo nel lavoro.

Narcisi on-line LendEdu, un sito che si occupa di prestiti per studenti, ha svolto un sondaggio su 3.701 giovanissimi chiedendo loro quale sia l’app più vanitosa. Secondo il 64% degli intervistati è Instagram, che batte Facebook, Snapchat e Twitter. Questo è dovuto al fatto che Instagram funziona solo per immagini, in gran numero selfie, prova concreta del narcisismo degli utenti. Il 78% degli intervistati ha anche ammesso di conoscere persone che avevano rimosso la propria foto da internet solo perché non aveva ricevuto abbastanza “like”.

CONCERTI

Le date del mese

Ermal Meta: 3 Sanremo, 27 Verona. Depeche Mode: 25 Roma, 27 Milano, 29 Bologna. Tiziano Ferro: 11 Lignano Sabbiadoro, 16-17-19 Milano, 21 Torino, 24 Bologna, 28-30 Roma. Francesco Gabbani: 19 Verona, 20 Grugliasco, 25 Sogliano al Rubicone, 27 Carpi, 28 Brescia, 29 Sesto San Giovanni. Niccolò Fabi: 28 Carpi, 30 Napoli. Jethro Tull: 22 Pescara, 23 Roma, 24 Sogliano al Rubicone, 26 Brescia. The Cranberries: 23 Piazzola sul Brenta, 24 Firenze, 26 Roma, 27 Cattolica. Deep Purple: 22 Roma, 26 Casalecchio di Reno, 27 Assago.




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