N. 243 ANNO XXV Marzo 2016
Alcol in gravidanza Un divieto assoluto che in poche rispettano
Propoli miracolosa
Le tante qualitĂ del prodotto delle api
Herpes e asma
Riconoscere e curare le malattie di stagione
Dossier
Sos Cervicale
in questo numero
QUANDO CAMBIA LA STAGIONE COME AFFRONTARE I TANTI MALANNI DI PRIMAVERA
Sommario
Anno XXV n. 243 Marzo 2016
Direttore responsabile Claudio Sampaolo Coordinamento editoriale Roberta Stagno Grafica e impaginazione Enrico Marinelli email: info@studiorocchetti.com Redazione Studio Rocchetti Comunicazione Strada Lacugnano Giardino, 3 06132 Perugia e mail: redazione@studiorocchetti.com Tel. 075 5170247 Fax 075 5171430 Marketing e pubblicità Francesca Capalbo Tel. 06 41481370 Fax 06 41481383 Gabriele Iannella Tel. 06 41481292 email: optima@comifar.it Collaboratori Francesca Aquino, Chiara Baldetti, Benedetta Ceccarini, Stefano Ciani, Pompeo D’Ambrosio, Francesco Fioroni, Andrea Giordano, Maria Mazzoli, Roberto Moraldi, Simona Peretti, Maria Pia Pezzali, Giuseppe Rinonapoli, Rolando Rossi, Gelsomina Sampaolo, Filippo Tini Consulente scientifico Dottor Pompeo D’Ambrosio Fotografie AGF Creative - Fotolia - iStock Illustrazioni Sabrina Ferrero Editore Comifar Distribuzione S.p.a. Via Fratelli Di Dio, 2 20026 Novate Milanese (MI) Registrazione del Tribunale di Milano n.727 del 04/12/2008 Fotolito e Stampa Rotolito Lombarda S.p.A. Via Sondrio, 3 20096 - Seggiano di Pioltello (MI) Bringing ideas to life = Charterhouse marketing services from konica minolta Prezzo per copia € 1,00 Costi di abbonamento: copie 50 € 250,00 copie 100 € 365,00 copie 150 € 505,00 copie 200 € 655,00 copie 300 € 950,00 copie 500 € 1.545,00 Rivista ceduta esclusivamente in abbonamento attraverso il canale Farmacia Info e abbonamenti: www.optimasalute.it
omaggio del tuo farmacista
Post-it
Rubriche
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Attualità in Farmacia La hit parade delle novità
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Post-it Pro-memoria della salute
di Francesca Aquino
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Hobby House Cinema, musica e libri
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Ultima pagina Oroscopo, ricette, appuntamenti, curiosità
di Gelsomina Sampaolo
Testata associata
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OPTIMASALUTE
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Sommario
Anno XXV n. 243 Marzo 2016
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Dossier
Sos cervicale
Almeno una volta nella vita tutti hanno lamentato problemi alla parte alta della colonna vertebrale, quella fastidiosa sensazione di avere il collo attorcigliato e dolente. Scopriamo le possibili cause, le forme di prevenzione e le giuste terapie da adottare a cura di Pompeo D’Ambrosio
Un toccasana chiamato propoli Antisettico, antivirale, cicatrizzante: le tante qualità del prodotto delle api
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di Benedetta Ceccarini
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Labbra a prova di herpes Consigli e strategie contro il peggior nemico della bellezza
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Asma: se la conosci, guarisci Tosse, raffreddore e tutti i sintomi da tenere sotto controllo
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di Benedetta Ceccarini
I pericoli dell’alcol in gravidanza Nonostante i rischi per il nascituro, molte gestanti non rinunciano a bere
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di Francesca Aquino
Meno muscoli? Più pesi! Come contrastare la riduzione della massa muscolare negli over 50 di Pompeo d’Ambrosio
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Alle radici della depressione Colpisce oltre 7 milioni di italiani: l’importanza della terapia medica
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di Francesca Aquino
di Filippo Tini e Francesco Fioroni
Dormiamo insieme? In compagnia di un animale più relax e qualità del sonno di Chiara Baldetti
Attualità in Farmacia
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
Le novità e i prodotti in vendita in Farmacia
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Controlla i picchi glicemici, riducendo l’accumulo di grassi e il senso di fame
La fibra alimentare, specialmente quella solubile, contribuisce alla regolazione dei picchi glicemici che si generano dopo il pasto rendendo la concentrazione di glucosio e insulina nel sangue più costante. Ripetendo questo effetto con regolarità riduciamo l’accumulo di grasso migliorando la condizione di sovrappeso e prevenendo il rischio di complicanze metaboliche (diabete, lipemia, ecc.) anche negli individui normopeso. La fibra alimentare, poi, aumenta il senso di sazietà e porta a mangiare meno. Associando complessi di fibra derivati da differenti fonti vegetali queste azioni possono essere amplificate e standardizzate, ottenendo risultati significativi e duraturi. Un ottimo modo per sperimentare questo effetto è abituarsi a iniziare il pasto con un piatto abbondante di verdure/ortaggi assortiti.
Be-total Immuno Plus! Il giusto mix di vitamina B a sostegno del sistema immunitario
Be-Total Immuno Plus è l’integratore della linea Be-Total che aggiunge alle Vitamine B lo Zinco, l’Echinacea e l’Acerola per aiutare l’organismo ad adattarsi all’arrivo della stagione fredda e per rafforzare le difese immunitarie. Le Vitamine B agiscono come supporto concreto nella trasformazione dei principi nutritivi del cibo in energia, ma anche come sostanze determinanti per la salute e l’efficienza generale del sistema immunitario. Lo Zinco, l’Echinacea e l’Acerola sostengono le nostre difese naturali rinforzandole per prevenire o rendere meno aggressivi gli attacchi dei più comuni fastidi stagionali. Be-total Immuno Plus: una sinergia formulativa che unisce all’azione delle Vitamine del Gruppo B una specifica attività sul sistema immunitario rendendolo più efficace nel contrastare le malattie di stagione.
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Post-it salute
di Francesca Aquino
Mal di schiena tra i giovanissimi
Il Journal of American Academy of Orthopaedic Surgeons, l’Accademia dei chirurghi ortopedici americani, nei mesi scorsi ha denunciato con forza che il mal di schiena è diventato una minaccia concreta anche per ragazzi e bambini, solitamente non colpiti da questo disturbo. Tra le cause principali il peso eccessivo degli zaini, allenamenti sportivi troppo ravvicinati, posizioni scorrette assunte davanti alla tv, al computer o al tablet. I dati dicono che quasi un adolescente su tre oggi soffre di mal di schiena, ma per quasi due terzi dei pazienti adolescenti, l’esame clinico e la diagnostica per immagini non riescono a fotografare con certezza la causa del dolore.
Una tassa sullo zucchero
Fa discutere la proposta del governo britannico di applicare una tassa sullo zucchero, su bibite gassate e altri dolciumi per scoraggiarne l’abuso. L’allarme è dato dal fatto che il Regno Unito presenta oggi uno dei tassi di obesità più alti al mondo. L’idea è stata ispirata dal successo ottenuto in Messico (Paese con il più alto tasso di obesità al mondo) dove la nuova tassa del 10% sulle bibite gassate e zuccherate ha visto il loro consumo diminuire del 12% in pochi mesi.
Alzheimer: sperimentato nuovo farmaco
Un gruppo di ricercatori della University of Southampton (Regno Unito) in uno studio pubblicato sulla rivista ‘Brain’ ha presentato un nuovo farmaco in grado di bloccare la produzione di nuove cellule immunitarie, responsabili dell’infiammazione del cervello, riducendo i problemi di memoria tipici nel morbo d’Alzheimer. Viene così avvalorata l’ipotesi secondo cui sarebbe proprio l’infiammazione cerebrale la causa della malattia. È bene ricordare che si tratta ancora di sperimentazioni sui topi e gli studiosi sono in attesa di trovare un farmaco sicuro e adatto a test sugli esseri umani.
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Post-it salute
Stile di vita e tumori
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature da studiosi della Stony Brook University di New York, il cancro sarebbe soprattutto il risultato di fattori esterni al corpo umano, come fumo e radiazioni Uv. Ambiente e stili di vita influiscono cioè per il 70-90% nello sviluppo dei principali tumori. I fattori interni, il modo in cui il corpo funziona e il rischio di mutazioni casuali del Dna delle cellule staminali, hanno invece un peso solo del 10-30%.
L’App che traduce il pianto
Quanti genitori, vedendo il proprio bimbo che piange, si scervellano per scoprirne il perché? Cerca di dar loro una risposta un’App di recente invenzione, ‘Infant cries translator’, realizzata al National Taiwan University Hospital Yunlin. La App, grazie a un database di circa 200mila pianti, promette di capire, dopo una registrazione di 10 secondi, se il pianto del bimbo è dovuto a una delle quattro più comuni cause: necessità di cambio del pannolino, dolore, sonno o fame. Il risultato arriva dopo 15 secondi. Secondo il feedback degli utenti, l’accuratezza della App può raggiungere il 92 per cento in neonati sotto le due settimane di vita, mentre nei bimbi sotto uno o due mesi arriva fino all’84-85 per cento e anche a quattro mesi tocca il 77 per cento. Resta sempre più che mai valido, comunque, il sano istinto materno.
La dieta del Dna
Nel nostro futuro (5-10anni) potremmo seguire una dieta studiata e calibrata in base al nostro Dna. Lo afferma un rapporto dell’università del Texas firmato dalla ricercatrice Molly Bray. Studi precedenti avevano già dimostrato che uno stesso pasto viene metabolizzato in maniera diversa da diverse persone e che particolari variazioni nel Dna erano legate ad una maggiore o minore propensione a mangiare in modo sregolato. L’incrocio dei dati sul Dna e di quelli ottenuti dai sensori di attività fisica e livelli di stress potrebbero a breve creare regimi alimentari per perdere peso e non riprenderlo più.
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Post-it salute
Ricetta elettronica… nazionale
Nel 2016 è entrato in vigore il decreto che regolamenta il passaggio dalla prescrizione cartacea a quella elettronica, dando il via libera alla possibilità di ottenere farmaci prescritti con ricetta elettronica in tutte le farmacie italiane convenzionate. La novità sta nel fatto che, quando sarà pronto un software per il calcolo dei diversi ticket regionali, potremo ottenere il farmaco prescritto dal nostro medico anche al di fuori dei nostri confini regionali.
Occhio pigro? Bicicletta!
Fare sport, e soprattutto andare in bicicletta, aiuta la forma fisica, ma a quanto pare anche la vista. Lo ha rivelato uno studio di due ricercatori dell’Università di Pisa e dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr pisano che ha scoperto come l’attività motoria agisca anche sui processi di plasticità cerebrale, cioè la capacità dei circuiti del cervello di adattarsi in risposta agli stimoli ambientali. La ricerca, pubblicata su Current Biology, riguarda in particolare la cosiddetta rivalità binoculare (ovvero la percezione di segnali diversi dei due occhi) testata su soggetti seduti o mentre pedalavano su una cyclette. È emerso che i soggetti che svolgevano attività motoria mostravano una maggiore risposta agli stimoli presentati all’occhio che era stato chiuso rispetto all’analoga risposta osservata quando erano stati a riposo. Questi risultati hanno importanti applicazioni in campo clinico per una patologia molto diffusa e incurabile, l’occhio pigro o ambliopia.
Italiani, malati di stress
Secondo una ricerca di Assosalute per 8 italiani su 10 lo stress è tale da causare lievi disturbi di salute. I più diffusi sono mal di testa (44%), insonnia (37%) e mal di stomaco (35%), oltre a dolori muscolari (20%), herpes labiale (14%) e acne (9%). Tra le principali cause dello stress, a sua volta, troviamo problemi economici (30%), preoccupazioni di lavoro (23%) e la mancanza di tempo (22%).
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Un toccasana chiamato propoli Il “miracoloso” prodotto delle api ha innumerevoli proprietà terapeutiche: antisettico, antivirale, cicatrizzante e molte altre. Come usarlo e quando di Benedetta Ceccarini
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Albert
Einstein, come sempre, aveva ragione. Anche quando decise di occuparsi di api, scrivendo, testualmente: “se si estinguessero, all’uomo resterebbero 4 anni di vita”. E parlando dei prodotti dell’alve-
are, in questo mese ancora attraversato da influenze e malattie da raffreddamento, non si può fare a meno di concentrarsi sulla propoli, cioè la sostanza resinosa che le api raccolgono dalle gemme e dalla corteccia delle pian-
te e poi elaborano aggiungendo cera, polline ed enzimi prodotti dal loro stesso organismo. Il nome deriva dal greco pro-polis, ovvero “davanti alla città”, termine usato in senso figurato sia da Aristotele che da Plinio il vecchio per
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indicare questa resina usata dalle api per difendere la loro città (l’alveare). Le api, infatti, utilizzano la propoli come materiale da costruzione, isolante e rivestimento protettivo per tutte le superfici interne dell’alveare (ad esempio per le pareti interne delle celle dove depongono le uova, per chiudere le piccole fessure e per rivestire, mummificandoli, i cadaveri di animali uccisi all’interno dell’alveare). E proprio per queste sue speciali proprietà si è rivelato un validissimo aiuto terapeutico per gli esseri umani.
La composizione
La propoli è costituita essenzialmente da composti aromatici e fenolici, uniti a molte altre sostanze, come acidi grassi, terpeni, aminoacidi, vitamine, sali minerali ecc... la cui percentuale varia in base alle stagioni, e al tipo di vegetazione a cui sono esposte le api che la producono. Questa eterogeneità ed estrema variabilità nella composizione della propoli rappresenta una delle maggiori difficoltà dal punto di vista clinico, poiché rende difficoltosa ogni seria sperimentazione. I primi ricercatori che analizzarono la propoli suddivisero i principali costituenti in base alla loro solubilità in alcol etilico ed etere di petrolio. Secondo questa analisi la propoli risulterebbe costituita essenzialmente da: • 50-55% resine e balsami • 25-35% cera • 5-10% sostanze volatili, di cui lo 0,5% olii essenziali • 5% polline • 5% circa materiali organici vari tra flavonoidi, vitamine del gruppo B, vitamina C ed E. (Fonte: Apicoltura2000.it)
L’aspetto
A causa dell’estrema variabilità della sua composizione chimica, la propoli può presentarsi sotto svariate forme fisiche in cui colo-
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re, aroma e sapore cambiano anche sensibilmente. A seconda delle fonti di raccolta il colore della propoli varia dal giallo-verde (prevalenza di pini) a rossastro (prevalenza di pioppi) fino a nero (prevalenza di betulle) con tutte le sfumature possibili tra i diversi colori. Così anche l’odore e il sapore cambiano a seconda delle sostanze resinose presenti. La consistenza dipende invece dalla temperatura: a freddo è dura e friabile, mentre diventa duttile appena la si manipola, e la sua malleabilità aumenta man mano che la temperatura si avvicina ai 30° C. A temperature superiori diventa appiccicosa e viscosa, a 65-70° C fonde.
È ricca di flavonoidi che aiutano fondamentali funzioni metaboliche Le proprietà terapeutiche
Le molteplici proprietà terapeutiche naturali della propoli erano note già agli Egizi, che usavano questa sostanza per la pratica della mummificazione (nei libri di storia viene chiamata semplicemente “resina”). Ma è stata poi impiegata come vernice dai mastri liutai, compreso Stradivari, e solo in seguito è stata sviluppata la disciplina dell’apiterapia, medicina alternativa che sfrutta la produzione delle api a scopi curativi. Tra le azioni più note e sfruttate della propoli troviamo: • Antimicrobica-antifungina: una delle peculiarità è la sua ricchezza di flavonoidi, che le conferiscono gran parte delle sue proprietà antimicrobiche. I flavonoidi sono pigmenti vegetali la cui funzione nelle piante è an-
cora poco nota ma che con molta probabilità svolgono una duplice azione di protezione e di stimolo di fondamentali funzioni metaboliche. Oltre ai flavonoidi nella propoli si ritrovano anche altre sostanze con spiccate proprietà antimicrobiche come l’acido benzoico e l’acido ferulico e alcuni esteri dell’acido caffeico e lo xanterolo, dotati di attività antifungina. • Antibatterica: la capacità della propoli di inibire lo sviluppo di vari ceppi batterici è stata dimostrata da numerose sperimentazioni. • Antivirale: la propoli svolge un’azione di inibizione nei confronti di alcuni tipi di herpes, il corona virus e circa 10 tipi di infezioni virali. • Cicatrizzante: è stata impiegata sin da tempi antichi come unguento cicatrizzante grazie alla notevole capacità di stimolo della rigenerazione dei tessuti in caso di ferite e piaghe. Per questo viene usata anche per curare le punture di insetti. • Immunostimolante: secondo alcuni studi l’impiego della propoli potenzierebbe l’azione dei vaccini. • Vasoprotettiva: sempre grazie ai flavonoidi la propoli svolgerebbe un’azione di prevenzione della permeabilità e fragilità capillare. • Antiossidante: i fenoli presenti nella propoli aiuterebbero anche nella conservazione degli alimenti e, se assunta per via interna, migliorerebbe la secrezione dei succhi gastrici, avrebbe effetti diuretici, favorirebbe l’assimilazione della vitamina C e sarebbe un ottimo antiossidante e attivante dei complessi enzimatici.
I prodotti a disposizione
Curarsi con la propoli, quindi, non è solo possibile, ma anche efficace e semplice. In commercio, infatti, sono disponibili numerosi preparati e dispositivi medici. Le formulazioni più frequenti sono: l’estratto idroalcolico o tin-
tura, l’estratto secco sotto forma di capsule, le tavolette masticabili o pastiglie, spray nasali o per la gola, sciroppi, lozioni, creme e anche stick labbra e chewinggum. Questi dispositivi vengono utilizzati secondo dosi e tempi
di somministrazione che variano a seconda della composizione e dello scopo, in ogni caso una buona tintura dovrebbe contenere sempre dal 50 al 70% di propoli. I disturbi più trattati con la propoli sono: malattie laringo-
iatriche (infiammazioni di bocca e gola, raffreddori, sinusiti, otiti...), problemi alle vie respiratorie (riniti e bronchiti), malattie all’apparato urogenitale (cistiti, infiammazioni, nefriti), malattie dermatologiche (psoriasi, herpes, acne, ustioni...).
E se avete la gola in fiamme… Non è infrequente, anche a marzo, imbattersi in mal di gola, tosse e più in generale malattie da raffreddamento come sinusiti, otiti, riniti. Per tutti questi malanni, la propoli può dare immediati benefici. Per esempio può alleviare il fastidio di una gola infiammata usando delle spennellature di estratto glicolico, oppure facendo sciogliere in bocca caramelle con un’alta percentuale di propoli. Oppure si può usare in gocce, versandone da 20 a 100 (secondo
il consiglio del vostro farmacista) in un bicchiere di acqua calda, al quale aggiungere un cucchiaio di miele e il succo di mezzo limone. Utile per raffreddori, tosse, bronchite, raucedine e tutte le affezioni causate da raffreddamenti. Chi è alle prese con tonsilliti, laringiti e faringiti può usare la propoli per fare gargarismi (20 gocce in un po’ di acqua), ma anche per l’aerosol, miscelando nell’ampollina 40 gocce di prodotto specifico per questo utilizzo, anche diluite in acqua distillata. n
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Labbra a prova di herpes Non è solo il peggior nemico della bellezza, ma anche un campanello d’allarme per la nostra salute: i consigli e le giuste strategie per prevenirlo e curarlo di Benedetta Ceccarini
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Herpes, basta la sola parola a scatenare reazioni scomposte soprattutto tra le esponenti del gentil sesso. Altrimenti noto come Herpes simplex o “febbre delle labbra”, è una delle patologie più diffuse al mondo: in Italia una persona su tre ne ha sofferto almeno una volta nella vita e il 15% degli adulti ne ha sperimentato una recidiva. Ma come mai dobbiamo temerlo?
E di cosa si tratta esattamente? Seguiteci e lo scopriremo passo dopo passo.
Identikit
Si tratta di un virus di tipo 1 noto come HSV-1 di cui il 90% di noi è portatore sano. Ne esiste anche una seconda variante (HSV-2) rintracciabile però solo nel 2% dei casi e che interessa i genitali. Il virus Herpes Simplex quando
infetta una persona per la prima volta, causa la cosiddetta infezione primaria erpetica, dopodiché non sparisce completamente, anche se i sintomi vengono curati e debellati, ma resta nell’organismo in fase latente, pronto a scatenarsi di nuovo in particolari condizioni (ad es. di stress o calo delle difese immunitarie). La sua incubazione dura 10 giorni, dopodiché si può manifestare
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attraverso febbre, faringite e con una eruzione cutanea che interessa il cavo orale e le labbra con la comparsa di vescicole pruriginose. In caso di una seconda infezione, questa sarà sicuramente più blanda e meno dolorosa della prima e quasi sempre limitata solo alle labbra.
Come si manifesta
Nel caso in cui l’infezione si manifesti in maniera sintomatica, ciò avviene attraverso una “gengivostomatite erpetica” in 4 fasi: 1. Fase prodromica: il soggetto avverte pizzicore, prurito, bruciore e dolore su un punto arrossato del labbro. 2. Fase delle vescicole: nel giro di poche ore, questa sensazione lascia il posto a una chiazza eritemato-edematosa di modeste
dimensioni che, in breve tempo, si ricopre di vescicole del diametro di 2-3 millimetri, raccolte a grappolo, ripiene di un liquido giallognolo. Il contenuto, inizialmente limpido, poi si fa torbido. La confluenza di più vescicole può dar luogo ad una lesione simil-bollosa e a un fastidioso bruciore locale. 3. Fase ulcerosa: le vescicole scoppiano e vanno a formare un’unica grande ulcera dolente e grigiastra. 4. Fase della crosta: la crosticina formatasi sull’ulcera si indurisce e diventa di colore rosso scuro. Può causare prurito e dolore dovuto al sanguinamento. Solo in questa fase il soggetto non è più contagioso.
Cause
È stato appurato che il primo con-
tatto con il virus HSV-1 avviene per l’80-90% delle persone nei primi cinque anni, ma solo nel 50% dei casi si manifesta durante la vita. Questo virus è capace di sopravvivere per sempre all’interno delle cellule (senza dare alcun sintomo) ed è refrattario a qualsiasi farmaco. Penetrato nell’organismo, può rimanere silente oppure manifestarsi periodicamente quando trova una delle seguenti condizioni ideali: • stato di malessere dell’organismo, in particolare se accompagnato da un abbassamento delle difese immunitarie; • febbre o malattia influenzale; • inizio delle mestruazioni o gravidanza; • stress psichico e/o fisico particolarmente intenso;
Precauzioni da adottare Una volta appurato che si è contratto l’herpes, i pericoli più temibili sono: la diffusione a naso, occhi, genitali, la sovrainfezione o la trasmissione da mamma a figlio durante o dopo la gravidanza. Per questo motivo una corretta gestione terapeutica e comportamentale è essenziale. Alcune regole chiave: • non grattare le vescicole, né all’inizio né per togliere la crosticina: in quest’ultimo caso il rischio di lesionare la pelle creando una cicatrice è molto alto; • lavare spesso le mani con acqua e sapone, e soprattutto cercare di fare attenzione a non strofinarsi gli occhi; • durante la manifestazione cutanea, evitare alimenti troppo caldi o troppo freddi che possono provocare fastidio alle aree lesionate; • se già in passato si è sofferto di que-
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sto disturbo, usare la crema specifica prescritta dal medico, contenente una sostanza antivirale, da applicare sul punto delle labbra in cui si stanno formando le vescicole dell’herpes. Prima si inizia a usarla e più è efficace: ai primi sintomi di formicolio e bruciore quando si formano le bolle; • consigliabile l’uso di creme ammorbidenti e protettive specifiche per le labbra che possono aiutare a lenire il fastidio temporaneo; • durante le prime esposizioni stagionali al sole, proteggere le labbra con un filtro solare ad alto fattore di protezione ed evitare di sostare sotto i raggi per ore; • evitare metodi “casalinghi” come la pasta dentifricia o il succo di limone che, oltre a non dare risultati efficaci e sicuri, possono irritare ulteriormente la zona.
L’aiuto indispensabile del make-up La comparsa dell’herpes labialis prima di una serata, un incontro importante, un esame, ecc... è un vero e proprio fulmine a ciel sereno, in grado di rovinare la giornata, soprattutto a chi tiene in particolar modo all’aspetto esteriore. Soprattutto le donne che non sanno rinunciare a burro cacao, lucidalabbra e rossetto, però, possono tirare un sospiro di sollievo perché esiste anche il make-up che maschera l’herpes. Basterà avere a portata di mano del correttore fluido, una matita e un rossetto dal colore opaco (o un lucidalabbra leggero). In linea generale è sconsigliato applicare cosmetici sulle vesciche causate dall’herpes, ma nel caso in cui non se ne possa fare a meno potrete provare a nasconderlo per qualche ora tamponando innanzitutto le labbra con un batuffolo di cotone. • prolungata esposizione alla luce del sole; • assunzione di particolari cibi contenenti arginina, un aminoacido presente soprattutto in noci, mandorle, arachidi, cioccolato e in alcuni tipi di vino rosso. Alcune persone sostengono di andare più frequentemente incontro all’herpes a seguito di un consumo eccessivo di alimenti grassi, ricchi di spezie, o a base di gelatina, o cibi con alte dosi di vitamina C.
La terapia
Il trattamento più efficace e più diffuso per combattere l’herpes è costituito da un agente antivirale in grado di bloccare la moltiplicazione del virus, contribuendo ad abbreviare i tempi di guarigione ad un massimo di 10 giorni. Le due sostanze più usate, sotto vari nomi farmaceutici, sono aciclovir (più efficace nella prima fase) e penciclovir (più utile nella
Dopo averle asciugate e pulite in questa maniera, potremo passare all’applicazione del correttore con le dita (lasciate da parte i pennelli, altrimenti saranno infettati e dovrete gettarli dopo l’uso). Se lo desiderate, poi, potrete definire il contorno labbra con la matita e truccare la bocca con un rossetto opaco che aiuta a nascondere le imperfezioni. Anche in questo caso applicate il prodotto con le dita e ripulite bene la matita dopo l’uso. Un’alternativa recente è quella del patch adesivo, che accelera la guarigione e protegge le lesioni sulle labbra mentre si indossa. Con il cerottino di ultima generazione è possibile sia mangiare che bere tranquillamente e anche applicare creme, rossetti e lucidalabbra purché siano usati sopra di esso e non entrino in contatto diretto con le labbra.
fase di sviluppo delle vescicole) ad uso topico. La terapia topica può essere svolta anche attraverso cerotti imbevuti dei principi attivi antivirali, trasparenti e autodissolventi, che si applicano direttamente sulla lesione e la curano proteggendola dagli agenti esterni (vedi box). Se si soffre spesso di recidive erpetiche il medico può consigliare di ricorrere ad un antivirale sistemico. Esistono anche dei rimedi naturali, la cui efficacia però varia da persona a persona e non sono consigliabili in caso di recidive frequenti. In questi casi si consigliano impacchi con estratto di equiseto o foglie di melissa (per lenire il prurito e il dolore), succo di limone o aceto di vino (per velocizzare la cicatrizzazione), olio essenziale di geranio, eucalipto, Tea tree e
pomate a base di echinacea (immunostimolante e antinfiammatorio naturale).
L’alimentazione
Anche nel caso di herpes labiale curare l’alimentazione è fondamentale. Tra i cibi raccomandati per rinforzare il sistema immunitario compromesso, ovviamente, via libera a frutta e verdura contenenti vitamine e sali minerali, ma anche integratori naturali come pappa reale e propoli. Per il loro contenuto di lisina (un elemento che aiuta la rigenerazione dei tessuti) è consigliato anche il consumo di legumi come fagioli, ceci, lenticchie e soia. Vanno invece evitati cibi calorosi e ricchi di arginina (responsabile a quanto sembra di riattivare il virus latente) come cioccolato, frutta secca, caffè, alcolici e bibite gassate. n
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Asma: se la conosci, guarisci Tosse e raffreddori persistenti, difficoltà respiratorie, oppressione al torace i sintomi da tenere sotto controllo di Francesca Aquino
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Tosse incontrollabile? Raffreddore che non se ne va? Insofferenza alla polvere? Non sottovalutate questi sintomi, potreste avere l’asma, cioè una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree, caratterizzata da un’ostruzione, generalmente reversibile, dei bronchi. Si tratta di un disturbo piuttosto diffuso nel nostro paese, poiché colpisce il 5% della popolazione e il 10% dei bambini, senza tenere conto dei casi non diagnosticati. L’ostruzione asmatica è causata
dall’infiammazione delle vie aeree inferiori, a sua volta ascrivibile, come appena accennato, a varie ragioni: fumo, polveri, allergeni, ma anche virus e batteri possono essere tra le cause scatenanti. Ma come facciamo a sapere se soffriamo di asma? Riepiloghiamo quali possono essere i sintomi più frequenti, che consigliano l’immediato ricorso al medico di base: • accessi di tosse (generalmente secca o con poco catarro con eccessi notturni);
• senso di oppressione sul torace; • difficoltà respiratoria con rumori (respiro sibilante), soprattutto in fase espiratoria; • difficoltà all’attività fisica e nelle forme più gravi, difficoltà all’eloquio e alla risata; • peggioramento dei sintomi in presenza di allergeni (pollini, polveri, peli, funghi...), esercizio fisico, infezioni respiratorie virali (mal di gola, raffreddore), fumo; • sintomi persistenti e non legati alle stagioni; • sintomi del raffreddore persi-
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stenti oltre i 10 giorni. In presenza di tali sintomi è necessario valutare e accertare la presenza di asma mediante alcuni test: prove di funzionalità respiratoria per valutare il grado di ostruzione bronchiale e la sua reversibilità (spirometria), test allergologici cutanei (Prick test) e visita pneumologica da uno specialista. Vediamoli uno per uno.
Spirometria
La spirometria (ovvero “misurazione del respiro”) consiste nel misurare la funzionalità dei polmoni respirando nell’apposito macchinario (spirometro) secondo le istruzioni indicate dal personale sanitario. Generalmente si tratta di un esame molto semplice, in cui al paziente viene chiesto di inspirare quanto più profondamente riesce a fare, quindi di espirare nel sensore il più forte possibile e per un tempo il più a lungo possibile (almeno 6 secondi). Durante l’esecuzione della prova viene utilizzato uno stringinaso morbido per evitare che l’aria possa sfuggire attraverso le narici. Il risultato della spirometria è sintetizzabile secondo 4 diagnosi: quadro normale, ostruttivo, restrittivo e misto (ostruttivo e restrittivo). Ciascun quadro patologico viene abitualmente classificato come lieve, moderato, grave o molto grave. La spirometria può anche far parte di un test di provocazione bronchiale più complesso che prevede anche uno sforzo fisico intenso, l’inalazione di aria fredda/secca, oppure l’inalazione di un agente farmaceutico irritante come la
metacolina o l’istamina.
Prick Test
Si effettua nel caso si sospetti una causa allergica dell’asma. Si tratta di un test allergologico cutaneo che consiste nel posizionare sulla pelle dell’avambraccio alcune gocce di allergeni purificati tra i più diffusi (graminacee, acari, pelo di gatto e cane...) e successivamente scalfire la cute con una lancetta sterile. Dopo circa 15-20 minuti si valuta la reazione cutanea ottenuta in corrispondenza di ogni allergene. Una reazione positiva è caratterizzata da un pomfo (simile ad una puntura di zanzara) pruriginoso e da un alone di eritema; l’intensità dell’allergia viene valutata in base alle dimensioni del pomfo, secondo una scala di riferimento. Questi test vengono poi valutati e convalidati dallo specialista, con una visita pneumologica che ha generalmente una durata breve (20/30 minuti) e che inizia con l’anamnesi attraverso varie domande al paziente per ricostruire la sua storia clinica e stile di vita. Il medico poi procederà con l’auscultazione dei polmoni mediante l’utilizzo dello stetoscopio e, infine, emetterà la sua diagnosi e prescriverà la terapia migliore o ulteriori esami, se necessario. Il medico, in base ai risultati ottenuti, potrà classificare il tipo di asma (intermittente, persistente, acuta o cronica) e certificarne la presenza. Questo consentirà al paziente di richiedere presso l’anagrafe sanitaria di appartenenza l’esenzione ticket che permette di
non pagare i farmaci per l’asma e alcune analisi periodiche raccomandate.
Terapia
Può variare a seconda del tipo di asma di cui si soffre e a seconda della risposta a test e farmaci. Si può trattare di una terapia regolare quotidiana o solo da usare nelle fasi critiche o nelle riacutizzazioni del disturbo (attacchi). Secondo molti specialisti il miglior approccio è quello progressivo, a step crescenti, a seconda della risposta del paziente alla quantità e al tipo di farmaco usato. Proprio per questo è fondamentale un monitoraggio costante (si consiglia una visita specialistica ogni 3 mesi inizialmente, poi anche ogni 6) ed un rapporto di fiducia tra medico e paziente. I farmaci attualmente disponibili per la terapia dell’asma sono i corticosteroidi per via inalatoria, i Beta2-agonisti a breve e a lunga durata d’azione e gli antagonisti dei recettori dei leucotrieni, molecole responsabili del processo asmatico. Altri farmaci sono utili in sottocategorie di pazienti. Tra questi troviamo i corticosteroidi per via orale per gestire le fasi acute o più gravi, anche in associazione alla normale terapia; un anticorpo monoclonale che riconosce e “neutralizza” le immunoglobuline E (IgE), responsabili della risposta allergica in pazienti con asma allergica e la teofillina, come terapia aggiuntiva nei pazienti non ben controllati con i farmaci più comunemente usati.
Occhio a pollini, acari, muffe e animali domestici Nell’asma bronchiale allergica a causare l’infiammazione cronica delle vie respiratorie è una risposta immunologica anomala. Questo stato infiammatorio continuo, poi, provoca un’iper-reattività
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bronchiale che persiste anche quando le cause allergiche scatenanti si allontanano. La maggior parte degli allergeni è rappresentata da sostanze comunemente presenti nell’ambiente e
che entrano nell’organismo principalmente con la respirazione (allergeni da inalazione) e, anche se meno frequentemente, con l’ingestione (allergeni alimentari). Tra gli allergeni da inalazione più
comuni troviamo i pollini (come quelli di graminacee, urticacee, composite, cupressaceae e altre piante ad alto fusto), ma anche gli acari della polvere, i derivati epidermici di animali domestici (cane e gatto) e alcune muffe. Gli allergeni alimentari possono essere potenzialmente qualsiasi alimento ingerito e anche alcuni farmaci. Tra le manifestazioni delle reazioni allergiche alimentari, infatti, possono esserci anche sintomi asmatici, oltre alle più comuni reazioni del sistema gastrointestinale e cutaneo. Oltre alla terapia prescritta dal vostro medico curante, in caso di asma allergica è bene tenere a mente alcune buone abitudini come: allontanare per quanto possibile la fonte dell’allergia o evitare di entrarci in contatto, usare dispositivi come mascherine e adottare le basilari norme igieniche per la casa (soprattutto in caso di allergia a polvere e pollini) come: aerare gli ambienti, spolverare, usare spray specifici e dispositivi anti-acaro, pulire spesso i filtri di termoconvettori e condizionatori. Sintetizzando, l’Ospedale San Raffaele di Milano ha stilato degli step da tenere bene a mente nel caso di asma allergica, cioè:
ad esempio pollini, acari della polvere, muffe, epiteli di animali, presenti abitualmente nell’ambiente e innocue per i soggetti sani. È dimostrato da numerosi studi clinici che l’immunoterapia specifica permette di ridurre il consumo di farmaci e il rischio di evoluzio-
ne in asma, migliorando in modo significativo la qualità di vita dei pazienti; 4. individuazione e trattamento di più patologie (es. rinite e rinosinusite, obesità ecc.) che possano aggravare l’asma.
Test online Il sito www.viviasma.it mette a disposizione online un test veloce e semplice che tramite alcune domande specifiche è in grado di valutare il vostro grado di asma. Scegliendo la risposta che più vi si confà a domande come “nelle ultime 4 settimane per quanto tempo l’asma le ha impedito di fare tutto ciò che avrebbe fatto di solito al lavoro, a scuola o a casa?”, oppure “nelle ultime 4 settimane quanto spesso ha avuto il fiato corto?” o “nelle ultime 4 settimane quanto spesso ha usato l’inalatore di emergenza o il farmaco per aerosol (come salbutamolo)?” otterrete un punteggio calcolato automaticamente che vi dirà quanto sotto controllo è il vostro asma in questo momento. Trovate il test all’indirizzo http://www.viviasma.it/risorse/asma-test/.
1. individuazione e allontanamento dell’allergene responsabile;
2. prescrizione di farmaci di sintesi: broncodilatatori e corticosteroidi inalatori o somministrati per via sistemica, a seconda della gravità del quadro clinico; 3. prescrizione di immunoterapia specifica con estratti allergenici (ITS o terapia desensibilizzante): questa è l’unica terapia in grado di agire all’origine della malattia allergica, modulando gradualmente la risposta del sistema immunitario che, nei soggetti allergici, reagisce in modo sbagliato nei confronti di sostanze (allergeni), quali
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Cosa fare durante gravidanza e allattamento Le pazienti che soffrono di asma assistono ad una maggiore instabilità della malattia durante la gravidanza. Infatti, circa un terzo di loro va incontro a riacutizzazione e l’asma che prima era stata classificata come moderatasevera può aggravarsi maggiormente. Ciò avviene a causa dei forti cambiamenti ormonali, soprattutto durante il secondo e il terzo trimestre. Solitamente, però, a tre mesi dal parto, l’asma torna alle condizioni precedenti la gravidanza. Gli inconvenienti che comporta sono associati ad un maggiore rischio di pre-eclampsia (o gestosi, che colpisce sia la madre che il feto), basso peso alla nascita, parto prematuro e mortalità perinatale. In questo delicato momento della vita di una donna e in quello successivo
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(allattamento), perciò, anche l’assunzione di farmaci per la terapia dell’asma va tenuta maggiormente sotto controllo. In linea generale è consigliabile prescrivere il farmaco più efficace per la paziente e con i minori rischi maternofetali, somministrare i farmaci di cui si ha maggior esperienza clinica (es. da più tempo in commercio) e al più basso dosaggio efficace, assumere il farmaco in monoterapia. I farmaci assunti nella terapia asmatica, poi, possono essere suddivisi in farmaci di fondo, assunti quotidianamente per migliorare la funzione polmonare e prevenire le riacutizzazioni, e farmaci sintomatici, per il trattamento di sintomi acuti come il respiro sibilante, il senso di costrizione toracica e la tosse. n
I pericoli dell’alcol alcol in gravidanza
Nonostante suggerimenti e raccomandazioni della classe medica oltre il 50% delle gestanti non rinuncia a bere. Eppure i rischi per il nascituro sono tanti e ben documentati di Francesca Aquino
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I luoghi comuni, i passaparola, le
usanze tramandate dalle nonne. Tutto duro a morire, a volte senza conseguenze, altre in modo pericoloso. Prendiamo l’alcol in gravidanza. Ancora oggi, nel Terzo Millennio, c’è chi pensa che non faccia male e si concede tranquillamente un bicchiere ogni tanto, senza nemmeno porsi il problema dei danni che sta facendo al bambino che porta in grembo, spesso contravvenendo ai consigli del ginecologo. Per essere molto chiari: secondo dati consolidati il consumo di alcol in gravidanza è un fattore
di rischio di successivi problemi del nascituro, anche a dosi inferiori ad un bicchiere alla settimana. Ad alte dosi ripetitive, invece, la probabilità che il feto sviluppi la sindrome feto-alcolica (difetti di crescita, dismorfismi craniofacciali specifici, ritardo mentale, problemi comportamentali ed altre anomalie maggiori) aumenta considerevolmente. Se le dosi di alcol sono ripetitive ma moderate, esiste un rischio definito “effetti alcolici”, quali moderata disabilità intellettiva, disturbi della crescita ed anomalie del comportamento; in caso di
consumo saltuario di elevate dosi di alcol, cioè sballi o ubriacature nel weekend o simili, il bambino corre il rischio di moderati deficit intellettivi. Inoltre è stato dimostrato che questi fenomeni si verificano sia in donne che bevono durante la gravidanza sia in quelle che si sono astenute dal bere durante la gestazione, ma che avevano abusato di alcol precedentemente. Nel mondo occidentale l’uso di alcol in gravidanza è la principale causa prevenibile di ritardo mentale nel bambino e l’astensione totale appare l’unica modalità di
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prevenzione dei suoi effetti teratogeni. La verità, come dicevamo, è che molte donne in gravidanza sono convinte di poter consumare vino, birra, aperitivi alcolici, amari o superalcolici “moderatamente” e nonostante le evidenti controindicazioni ancora oggi il 50-60% di loro ignora questo avvertimento. È stato anche dimostrato, per esempio, che le donne che bevono abitualmente una o più volte al giorno presentano una maggior frequenza di aborti soprattutto durante il secondo trimestre di gravidanza. Ciò sarebbe imputabile ad un’azione tossica esercitata dall’alcol sul feto anche dopo assunzione di dosi modeste. È
quindi importante smettere di bere già durante il periodo in cui si programma la gravidanza per poter proteggere efficacemente il bambino. Infatti, gli organi vitali, quali cuore, cervello, scheletro si formano durante i primi 10-15 giorni dopo il concepimento e spesso ciò avviene prima di sapere che si è in gravidanza. Il rischio è concreto perché l’alcol attraversa la placenta e arriva direttamente al feto ad una concentrazione praticamente equivalente a quella della madre che ha assunto la bevanda alcolica. E parliamo di un feto “inerme”, che non essendo dotato di enzimi capaci di metabolizzare l’alcol ne subisce gli
effetti dannosi a livello cerebrale e sui tessuti in via di formazione. Tale azione negativa interferisce sui normali processi di sviluppo fisico (provocando malformazioni) e intellettivo (generando ritardo mentale) in maniera più o meno grave in funzione dei livelli di consumo. Elevati livelli di consumo alcolico materno determinano, inoltre, carenze vitaminiche che hanno ripercussioni sullo sviluppo del nascituro. Il neonato, spesso prematuro, può presentare condizioni generali che variano dalla presentazione di sintomi o disturbi definiti alcolici sino alla sindrome alcolico-fetale conclamata, irreversibile e spesso progressiva.
Sindrome alcolico-fetale: gli effetti nocivi per il feto Come abbiamo accennato, la sindrome alcolico fetale (conosciuta come Fas, acronimo che sta per Fetal alcohol sindrome) è la più grave delle patologie del feto indotte dal consumo di alcol durante la gravidanza. È generalmente accettato il fatto che per causare la FAS sia necessario un consumo cronico ed eccessivo di alcol (più di 3 o 4 unità alcoliche al giorno). Una unità alcolica corrisponde ad una birra (330 ml), ad un bicchiere di vino (125 ml) o ad un bicchierino di superalcolico (40 ml). Come sottolinea in un suo report il “Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps)” che fa capo all’Istituto superiore di sanità: “a parità di statura, il corpo delle donne contiene una minore percentuale di acqua rispetto agli uomini, per cui, dopo aver bevuto un uguale quantitativo di una bevanda alcolica la concentrazione di alcol nel sangue delle donne è maggiore rispetto a quella degli uomini. I tempi di eliminazione dell’alcol, già lunghi nella donna,
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sono per il feto ancora più dilatati. Se una donna incinta consuma bevande alcoliche, l’alcol e, soprattutto, l’acetaldeide (prodotto della metabolizzazione dell’alcol) giunge direttamente nel sangue del nascituro attraverso la placenta. Il feto non essendo in grado di metabolizzare l’alcol come un adulto, viene di conseguenza esposto più a lungo ai suoi effetti nocivi”. Per questo, si legge ancora nel documento: “le donne fertili, sessualmente attive, che consumano più di 7 bevande a settimana e non usano contraccettivi efficaci, rischiano una gravidanza esposta all’alcol e di dare alla luce un bambino con deficit intellettivi, cognitivi e psicosociali. La probabilità di danneggiare il feto aumenta proporzionalmente al consumo di alcol da parte della madre: ad alto rischio sono i bambini la cui madre ha consumato almeno 80 grammi di alcol puro al giorno. Tuttavia anche l’assunzione abbondante, ma sporadica, di alcol rappresenta un pericolo per lo sviluppo del feto, poiché può in-
fluire sul suo sviluppo in ogni momento della gravidanza”. Ecco alcuni esempi in base al periodo di gestazione: 1) Le dismorfologie facciali e i problemi cerebrali si devono all’esposizione all’alcol durante il primo trimestre di gravidanza. 2) Il deficit di crescita è legato all’esposizione durante la seconda metà della gestazione. 3) L’alterato sviluppo del cranio è dovuto all’effetto dell’alcol nella quarta settimana di gravidanza. 4) I difetti congeniti più gravi di norma subentrano nei primi tre mesi di gravidanza, periodo in cui si sviluppano gli organi del bambino e durante il quale spesso le donne sono ancora inconsapevoli del proprio stato. I sintomi fisici Il Centro nazionale di epidemiologia ci spiega nel dettaglio anche quali sono le peculiarità fisiche specifiche che manifestano i bambini affetti da Fas, concentrate soprattutto nella testa e nel volto. “Segni caratteristici nel viso sono: pieghe agli angoli degli occhi, fessure oculari strette, strabi-
smo, naso corto e piatto, labbro superiore sottile e vermiglio, solco naso-labiale allungato e piatto, fronte lunga e stretta, ipoplasia mascellare e mandibolare. Le anomalie oculari indicano che gli occhi sono particolarmente sensibili all’alcol durante la fase dello sviluppo: ai segni visibili si associano ipoplasia del nervo ottico, aumentata tortuosità dei vasellini retinici e capacità visive ridotte. Anche il sistema scheletrico subisce le conseguenze dell’esposizione all’alcol. È stato osservato un ritardo rilevante nell’età ossea media, che continua negli anni dell’adolescenza, ravvisabile nei valori inferiori alla media di altezza, peso corporeo e circonferenza cranica. Altra manifestazione clinica comunemente associata alla Fas è la presenza di un grado variabile di microcefalia, ovvero una ridotta circonferenza del cranio, che rappresenta anche la più sicura evidenza della presenza di un danno cerebrale. Le altre anomalie registrate a livello cerebrale
sono legate alla riduzione nella dimensione della volta cerebrale e cerebellare, dei gangli basali e del diencefalo. Sono presenti anche malformazioni cardiache, in particolar modo rappresentate dai difetti del setto ventricolare”. I disturbi psicologici e neurologici Un’alta percentuale di pazienti, esposti a quantità elevate di alcol durante la gestazione - spiega ancora il report del Centro nazionale di epidemiologia - manifesta significativi deficit comportamentali e cognitivi. In particolare disturbi del sonno, riflesso di suzione ridotto, per ritardo dello sviluppo mentale, deficit intellettivo, disturbi dell’attenzione, della memoria, della motricità fine, dell’eloquio e dell’udito, iperattività e impulsività. Le anomalie comportamentali e cognitive possono essere rilevate attraverso test psicometrici specifici per età, eseguiti generalmente dopo i 5 anni, utili non solo per stabilire la diagnosi ma anche per organizzare un piano di tratta-
mento ad hoc. La diagnosi Una diagnosi attendibile della Fas è possibile se l’eccessivo consumo di alcol della madre è documentato e se si verificano i seguenti tre casi: 1) ritardo pre e postnatale della crescita; 2) peculiarità fisiche specifiche, soprattutto della testa e del volto; 3) disfunzioni del sistema nervoso centrale e danni conseguenti. La diagnosi finale combina la valutazione psicologica, i segni fisici e la storia prenatale, richiedendo lo sforzo congiunto di genetisti, psicologi clinici, logopedisti e neuropsicologi. La Fas solitamente viene diagnosticata tardi nell’infanzia, sebbene la diagnosi precoce risulti fondamentale per garantire al bambino l’accesso a programmi educativi e servizi sociali costruiti intorno a lui e alla sua famiglia. I bambini affetti da Fas che ricevono un’educazione speciale hanno infatti maggiori probabilità di sviluppare
Ad alto rischio i bambini la cui madre ha consumato almeno 80 grammi di alcol puro al giorno
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pienamente il proprio potenziale. Per i nascituri è invece possibile identificare la Fas attraverso la diagnosi ecografica prenatale incentrata su: ritardo di crescita intrauterino, specifico dismorfismo facciale, malformazioni del corpo calloso, dei tessuti oculari e renali. Terapie Fermo restando che la miglior
cura è sempre la prevenzione, attuabile con il supporto di terapie specifiche (farmaci che dissuadono dal bere) e psicoterapia individuale e familiare, attualmente non esiste una cura specifica per i bambini affetti da Fas, ma la diagnosi precoce consente di fornire una assistenza mirata. Dal punto di vista strettamente medico ven-
gono suggerite alcune indicazioni generali su cosa far assumere. Per esempio antiossidanti (vitamina E, C e beta-carotene), nell’ipotesi che l’alcol determini il danno attraverso la generazione di radicali liberi, uso di fattori antiapoptosici (folati, Vitamina B12, Xeronina), acido retinoico per favorire il normale sviluppo dell’embrione.
Cosa mangiare prima, durante e dopo il parto
Ribadito l’allarme sul consumo di alcol, è opportuno sottolineare che la qualità dell’alimentazione è uno dei fattori che può influenzare in maniera significativa la salute della gestante e quella del nascituro. È quindi opportuno prestare attenzione all’alimentazione della futura mamma, già a partire dal periodo pre-concezionale, cioè prima del concepimento, fino a tutto il periodo in cui il bambino verrà allattato al seno. Ecco una serie di consigli alla donna in gravidanza per mangiare bene e in modo sano, suggeriti dal Ministero della Salute.
In generale • Segui una dieta quotidiana il più possibile varia e contenente tutti i principi nutritivi; • Fai 4-5 pasti al giorno; • Mangia lentamente, l’ingestione di aria può dare un senso di gonfiore addominale; • Bevi almeno 2 litri di acqua al giorno, preferibilmente oligominerale, non gasata. Da preferire • Alimenti freschi per mantenerne inalterato il contenuto di vitamine e minerali; • Carni magre consumate ben cotte; • Pesci tipo sogliola, merluzzo,
nasello, trota, palombo, dentice, orata cucinati arrosto, al cartoccio, al vapore o in umido; • Formaggi magri tipo ricotta scremata; • Latte e yogurt, preferibilmente magri; • Verdura e frutta di stagione, ben lavata, ogni giorno. Da limitare • Caffè e tè: preferisci i prodotti decaffeinati o deteinati; • Sale: preferisci quello iodato; • Zuccheri: preferisci i carboidrati complessi, come pasta, pane, patate; • Uova: non più di 2 a settimana, ben cotte; • Grassi: preferisci l’olio extravergine di oliva. Il caffè, come tutte le bevande contenenti le cosiddette sostanze “nervine” (tè, bibite tipo cola, cioccolato), va assunto con moderazione perché la caffeina attraversa la placenta. Inoltre, durante questo particolare periodo il metabolismo della caffeina è rallentato di 15 volte e le future mamme sono più sensibili ai suoi effetti. Un consumo elevato di sale aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e ipertensione. Preferisci il sale iodato, anche perché, durante la gravidanza e l’allattamento, il fabbisogno di iodio è maggiore. Da evitare Bevande alcoliche. n
INSERTO GOLD MARZO 2016
Cambio di stagione e... d’umore
Con l’arrivo della primavera acquisteremo più ore di luce, più tempo da passare all’aperto, ma anche una serie di disturbi come spossatezza, suscettibilità, eccitazione, torpore, astenia, nervosismo e mal di stomaco. Ecco come attuare la giusta prevenzione e le corrette terapie per venirne a capo a cura della redazione e del team medico di Optima Salute
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questi giorni che ci accompagneranno verso la primavera oltre a tre ore di luce in più da sfruttare rispetto all’inverno (senza tralasciare l’ora legale che tornerà nella notte tra il 26 e il 27 marzo) rispunteranno puntuali quei disturbi più o meno seri derivanti dal cambio di stagione: nervosismo e apatia, mal di stomaco, insonnia e molto, molto altro. Tutti quei meccanismi, cioè, che il nostro corpo mette in atto per superare i cambiamenti climatici. In genere si tratta di patologie reversibili, visto che i sintomi migliorano al susseguirsi degli sbalzi del clima, proprio perché il corpo impara a “regolare” i suoi tempi, la sua vita, proprio in relazione alla nuova situazione ambientale. I meteoropatici, per esempio, vedono aggravarsi malattie preesistenti, solitamente croniche, che peggiorano a causa del tempo, come mal di testa, disturbi del sonno, ipotensione, insonnia, irritabilità, ansia, depressione, malinconia, difficoltà di concentrazione o altri disagi a carico di tutto l’organismo. Alla base di queste vere e proprie sindromi sembra esserci l’eccessiva produzione di alcuni ormoni da parte dell’ipotalamo (in particolare della serotonina, il principale mediatore chimico dello stress), dell’ipofisi, della tiroide (la tiroxina), e del surrene (le catecolamine, altri mediatori chimici che entrano in gioco nei periodi di sovraffaticamento o di stress). I fenomeni meteorologici esercitano quindi influssi di vario tipo sull’organismo, risentiti in modo particolare da alcuni individui, più sensibili in rapporto a fattori costituzionali, capacità di reazione dell’organismo, condizioni di salute. Alterazioni dello stato di benessere che si possono
manifestare appunto con senso di spossatezza, facile suscettibilità, eccitazione, senso di torpore. L’astenia e il nervosismo sono i sintomi più frequenti che si manifestano nei cambi di stagione, soprattutto in primavera e spesso coincidono con forme di allergia stagionale, prevalentemente alle graminacee, ma anche ad altre fioriture, e ad un ricambio metabolico dell’organismo. È ovvio che le persone predisposte a subire in maniera maggiore gli sbalzi di temperatura e l’aumentata presenza di luce nell’arco delle 24 ore, siano le più a rischio, indipendentemente dal sesso e dall’età. Si tratta di quelle persone che risentono maggiormente di cambiamenti climatici, pressione atmosferica, umidità (che incide sui disturbi reumatici) a cui si aggiunge una ricaduta di forme virali tra cui prevalentemente quelle gastroenteriche (ulcera, gastrite, reflusso gastroesofageo, colite). L’organismo, superato l’inverno, viene quindi sottoposto a maggior stress che si ripercuote sui sistemi di adattamento e metabolico. In genere, si diventa meteoropatici dopo i 50 anni, perché le difese dell’organismo cominciano a rallentare e anche per il fatto che, di norma, si è più sottoposti a stress. Ma anche persone più giovani e soprattutto le donne possono risentire del cambiamento meteo, anche con forme caratterizzate da problematiche essenzialmente di carattere psicologico, come astenia, nervosismo, irritabilità, cefalea muscolo tensiva, disturbi del sonno, che vengono ad essere aggravati con risvegli notturni precoci dovuti al ritorno dell’ora legale e del cambio del ritmo
sonno-veglia. A questa condizione generale, nei meteoropatici si aggiunge una riacutizzazione di quasi tutte le forme depressive, in particolar modo quelle croniche, caratterizzate da uno stato d’ansia persistente. Spesso queste riacutizzazioni sono determinate dalla sospensione dalla terapia antidepressiva, abbandonata durante i mesi invernali. Un errore da non commettere mai. Tutti coloro che seguono un trattamento devono evitare sospensioni della terapia senza le indicazioni del medico o specialista. Naturalmente tutti coloro che sono a rischio di presentare patologie correlate al cambio di stagione dovrebbero adottare forme di prevenzione, come per esempio assumere, 48-24 ore prima dell’arrivo della perturbazione, un antiallergico associato a un sedativo vegetale come biancospino, tiglio o valeriana (mai benzodiazepina, il principio attivo contenuto negli psicofarmaci con proprietà ansiolitiche).
Questo perché i meteoropatici, come i neurolabili, spesso soffrono di allergopatie, soprattutto da smog e da polveri sottili. E purtroppo le allergopatie sono in aumento perché anche l’inquinamento atmosferico sale di livello. L’altra forma di prevenzione della meteoropatia è quella di curarne la causa, cioè la depressione o la neurolabilità. Nelle forme croniche o francamente depressive è fondamentale una diagnosi specialistica e un precoce trattamento con l’utilizzo di antidepressivi di nuova generazione. In quelle neuroasteniche (senso di spossatezza, astenia) sono utili i complessi vitaminici associati al magnesio, in particolar modo nel sesso femminile. Importante è sottoporsi ad uno screening delle allergie e delle eventuali intolleranze alimentari. E impegnarsi sia a modificare la dieta (vedi box a parte) sia a dedicare un po’ di tempo all’attività fisica, come camminare tutti i giorni, anche per pochi minuti.
Mal di stomaco: ne soffre il 35% degli italiani Ad ogni cambio di stagione, specialmente in primavera, si riacutizza, in una nutrita pattuglia formata da milioni di italiani, il famigerato “mal di stomaco”, sia esso identificato con problemi di acidità, di reflusso o di dolore sordo e ripetitivo nell’arco della giornata. Solo una questione psicologica dovuta ad ansia e stress? Anche, ma non solo. Secondo teorie consolidate, i disturbi riassumibili grossolanamente sotto il termine “gastrite”, colpiscono il 35% della popolazione, in particolare Over 40, separati o divorziati, chi abusa di farmaci, è stressato e in sovrappeso. Ciò è dovuto all’aumento della secrezione acida, che storicamente trova origine nel cambio di alimentazione praticato dall’uomo nel passaggio dall’inverno alla primavera. Questo brusco passaggio porta ad una maggior sollecitazione della fase digestiva e quindi ai piccoli malanni ai quali si accennava all’inizio. Naturalmente, trattandosi di un problema derivante essenzialmente da una alimentazione spesso errata, chi soffre di questa patologia sa bene come prevenirla o attenuarne gli effetti. Questo si ottiene eliminando i cibi che possono irritare l’esofago e lo stomaco: alimenti ricchi di grassi, caffè, condimenti piccanti, cioccolato, agrumi, alcol, gran parte dei formaggi; da bandire anche sigarette e farmaci gastrolesivi (come acido acetilsalicilico). Sono invece consigliati cereali, legumi, frutta e verdura, pesce, olio di oliva. La terapia standard della gastrite si basa su farmaci che frenano la produzione di acido cloridrico da parte delle cellule della mucosa gastrica, farmaci che
esofageo. Chi soffre di queste patologie, oltre che alla terapia medica tradizionale, può anche avvalersi di rimedi offerti dalla fitoterapia.
Liquirizia:
ha un’azione antispasmodica e antinfiammatoria sulla muscolatura liscia dello stomaco, si utilizza un estratto secco titolato in glicirrizina (minimo 4%); la posologia giornaliera va da 6 a 8 mg di estratto per chilo di peso corporeo in due somministrazioni, una al mattino al risveglio e l’altra tra le 16 e le 17. La liquirizia può provocare aumento della pressione arteriosa, non va usata, quindi, da soggetti ipertesi; è controindicata, inoltre, da chi assume contraccettivi orali. Non devono assumerla neppure le persone diabetiche e va presa con precauzione dai nefropatici. È vietata, infine, in gravidanza e allattamento e nei bambini di età inferiore ai 12 anni (in questi casi l’estratto titolato di liquirizia non va usato, mentre la liquirizia pura o il succo nelle varie forme, in quantità modeste, è tollerato).
Camomilla e melissa:
creano una “pellicola” di protezione sulla mucosa danneggiata, aiutandone la cicatrizzazione ed eventuale terapia antibiotica nel caso venga riscontrata la presenza dell’Helicobacter pylori. In particolare, i farmaci antiacido vengono utilizzati per curare la sintomatologia dell’iperacidità gastrica, per la terapia di ulcere peptiche e per il reflusso gastroesofageo. Il più conosciuto ed efficace contiene idrossido di alluminio e idrossido di magnesio, che hanno un effetto opposto (lassativi i sali di magnesio, costipanti quelli di alluminio). Altri antiacidi altrettanto utilizzati sono a base di carbonato di sodio e potassio, di sodio bicarbonato con acidi malico e citrico ed infine a base di salicilato di bismuto. Non esiste una correlazione specifica tra stress e aumento della secrezione acida, ma certamente ha un’influenza importante sulla motilità dello stomaco, causando difficoltà digestive e reflusso gastro-
la camomilla viene impiegata sotto forma di infuso (3 g di fiori per tazza 3-4 volte al giorno); allevia spasmi ed infiammazioni del tratto gastrointestinale; la melissa, oltre ad avere una blanda azione di tipo sedativo ed ansiolitico (consigliabile nei soggetti stressati e ansiosi), ha una valida azione spasmolitica sulla muscolatura liscia del tratto digerente dovuta all’olio essenziale e ai flavonoidi. Si possono assumere infusi (2-3 g di parti aeree in una tazza d’acqua 2-3 volte al giorno) oppure, meglio, estratti titolati in acido rosmarinico al 2%. La posologia è di 5-7 mg di estratto per chilo di peso corporeo al giorno, suddivisi in due somministrazioni lontano dai pasti. Sia la camomilla che la melissa possono provocare in soggetti sensibili allergie cutanee; la melissa, poi, non va usata da ipotiroidei, in gravidanza e nell’allattamento.
Zenzero:
è molto utile in caso di nausea o vomito, sotto forma di estratto di 19-12 mg/kg di peso corporeo, in due somministrazioni, preferibilmente a stomaco vuoto. Lo zenzero potenzia l’effetto degli antiaggreganti (aspirina) e degli anticoagulanti. Secondo studi recenti, può essere usato anche in gravidanza. Da ricordare infine il peperoncino rosso, che per la presenza di capsaicina (il principio dal sapore piccante) ha un effetto benefico sulla mucosa gastrica. Altre erbe note per l’azione lenitiva sono quelle che contengono mucillagini capaci di formare uno strato protettivo sulla mucosa gastrica: l’altea, la malva e il lichene islandico.
Melatonina contro l’insonnia Abbiamo imparato tutti ad apprezzare la melatonina, integratore pressoché fondamentale come coadiuvante nel trattamento della sindrome da jet lag, difficoltà a dormire, insonnia lieve, stato di affaticamento e stress. Perché se è vero che in questo periodo dormiamo meno, non si può ricondurre tutto ad un problema esclusivamente psicologico. Come abbiamo visto, infatti, le variazioni climatiche di temperatura, umidità e pressione potrebbero influenzare i neurotrasmettitori implicati nella sfera dell’umore, mentre la maggiore esposizione alla luce fa diminuire la secrezione da parte del cervello della
melatonina, l’ormone prodotto dalla ghiandola pineale, la cui produzione regola il ciclo sonno-veglia. Durante i cambi di stagione l’orologio interno dell’organismo deve adeguarsi alle modificazioni dell’orologio solare, un processo lento e faticoso che viene reso ancora più difficile dal passaggio all’ora legale. Oltre alla melatonina, sono considerati molto efficaci anche integratori alimentari a base di estratti secchi come la valeriana, utile per rilassarsi e facilitare le prime fasi del sonno, il biancospino, dall’azione sedativa e miorilassante, la passiflora che migliora la qualità e la durata del sonno stesso.
Fate il pieno di vitamine In primavera, più che in altre stagioni, occorre un leggero “rinforzo” per colmare carenze vitaminiche e minerali, soprattutto se non si riesce a seguire una alimentazione corretta (pasti ridotti, consumati in fretta, una dieta non varia e non equilibrata con poca frutta e verdura, molti grassi e carboidrati). Inoltre, fattori come smog e fumo possono aumentare la produzione dei radicali liberi, le tossine prodotte dall’organismo che aggrediscono le cellule, accelerandone l’invecchiamento. Tutte condizioni che mettono sotto stress l’organismo, specialmente nei periodi di lavoro intenso, sia fisico che mentale. In questi casi minerali con proprietà antiossidante (magnesio, zinco, ferro, calcio, potassio...) e multivitaminici (A, B, C...) possono tornare utili. Mai abusarne, naturalmente, e scegliere sempre prodotti di alta qualità, consultando il medico prima dell’uso. Questo per evitare interferenze nei meccanismi di azione di eventuali altri farmaci assunti contemporaneamente, che determinano a volte un potenziamento o una diminuzione dell’efficacia. Oppure evitare il rischio di allergie e intolleranze nei confronti di ingredienti specifici del prodotto. Evitare inoltre di assumere contemporaneamente diverse tipologie d’integratori salvo diversa prescrizione medica.
In linea generale i miglioramenti sono riscontrabili nel tono dell’umore, nell’aumento delle difese immunitarie, nella protezione dagli stress ambientali e più in generale nel contribuire alla salute della pelle e delle ossa. I multivitaminici e i multiminerali sono i più diffusi ed utilizzati per integrare la propria dieta alimentare, quando questa non è equilibrata. Per evitare
una dose eccessiva di un singolo componente, però, è importante assumere un solo integratore multivitaminico o multiminerale alla volta ed essere a conoscenza dei suoi ingredienti prima di affiancarlo ad un altro prodotto. In sostanza, gli integratori alimentari producono effetti benefici sulla salute a patto che vengano assunti con criterio e non con superficialità.
La dieta depurativa per eliminare le tossine invernali Nei mesi scorsi abbiamo accumulato molte tossine aumentando la circolazione dei radicali liberi, che aggrediscono le cellule, e l’invecchiamento. Ecco alcuni consigli per una dieta primaverile che aiuti l’organismo a recuperare l’equilibrio. Evitare anzitutto carni grasse, salumi, fritture, dolci e snack industriali, in pratica tutti gli alimenti ricchi di lipidi e di zuccheri. Sì a frutta e verdure di stagione, anzitutto. Per esempio carciofi, cavoli, carote e bietole che svolgono un’azione decongestionante sul fegato e migliorano lo smaltimento delle sostanze grasse, oppure agretti (contengono 200 ml di calcio ogni 100 grammi) e fagiolini. Ottimo anche il tarassaco, che stimola il flusso biliare con effetto detossicante per il fegato. Preferire cereali integrali (quello con più evidenti doti depurative è il riso, che agisce beneficamente sulle
fermentazioni e microinfezioni batteriche dell’intestino), legumi possibilmente freschi, noci, mandorle e semi di zucca, tutti ricchi di antiossidanti (vitamine C, E, betacarotene) fondamentali per proteggere le cellule dall’attacco dei radicali liberi.
Frutta e verdura di stagione svolgono un’azione decongestionante sul fegato
Ipotizzando un menù tipo, disintossicante, magari solo per un giorno ogni tanto, si può partire con cereali e yogurt magro a colazione; pesce, insalata e ricotta a pranzo, minestra di legumi oppure riso (rosso o nero) con verdure miste a cena. Per gli spuntini puntare sempre su frutta e verdura, oppure sulla frutta secca. È consentita una fetta di pane a pasto e persino un quadrato di cioccolata fondente assieme al caffè. Ogni tanto gratificarsi con un piatto di pasta, ma condita con olio e parmigiano oppure con sugo di pomodoro molto semplice e un filo di olio extravergine. A seguire uno schema dietetico dettagliato, da ritagliare e appendere al frigo.
Colazione: spremuta di agrumi, yogurt bianco magro con fiocchi di cereali oppure pane integrale tostato con marmellata senza zuccheri. Preferibilmente tè verde. Spuntino mattina: yogurt magro naturale oppure un frutto. Pranzo: riso integrale condito con olio e sugo di pomodoro, insalata di carciofi crudi o di altre verdure crude con olio e limone, una fetta di pane, preferibilmente integrale. Spuntino pomeriggio: frutta o verdura cruda (carota, finocchio...), tè verde o tisana. Cena: minestra di cereali e legumi oppure creme di verdure, pesce o ricotta magra, verdure cotte al vapore condite con olio e spezie varie.
Analisi, check-up e... autoanalisi “È primavera, svegliatevi bambine...” è molto di più del ritornello di “Mattinata fiorentina”, che Alberto Rabagliati cantava negli anni ‘50. È quasi un incitamento positivo al ritorno all’aperto, al sentirsi meglio, fare cose nuove, rimettersi in forma. E dunque anche ad effettuare tutti i controlli del caso, check-up stagionali o periodici che ci consentano di non rischiare nulla in fatto di salute. Per esempio, se si hanno valori alterati relativamente a colesterolo totale, Hdl, Ldl, trigliceridi e glicemia a digiuno e si è pure affetti da ipertensione arteriosa, ci troviamo di fronte alla più diffusa patologia del terzo millennio, almeno nei paesi occidentali, pericolosa per il rischio elevato di contrarre malattie cardiova-
scolari: la sindrome metabolica, cioè è una patologia multifattoriale che coinvolge più organi ed apparati. La terapia relativa è legata, oltre che alla cura delle singole patologie, anche e soprattutto a una modificazione dello stile di vita. In questo ambito assume importanza fondamentale l’attività fisica e una diminuzione delle calorie introdotte con il cibo: in generale si può affermare che assumere una quota di 1000 kcal settimanali in meno comporti una significativa diminuzione della mortalità, (anche se non è ancora ben chiara la dose ottimale, condizionata com’è da sesso, età, eventuali patologie concomitanti, e componenti genetiche e psichiche).
Secondo le linee guida della società internazionale del diabete, la dose ottimale di attività fisica (prevalentemente aerobica) da svolgere è stimata in 3 sedute settimanali di 45-50’ oppure 5 da 30’. Questa sindrome rappresenta un notevole pericolo per la salute: ogni aumento di 5 cm della circonferenza addominale comporta un aumento dell’11,9% di possibilità di ammalarsi di patologie cardiovascolari. I controlli periodici relativamente a prestazioni analitiche di prima istanza rientranti nell’area dell’autocontrollo (test di glicemia, colesterolo, trigliceridi, emoglobina, ecc.) possono essere effettuati in “autoanalisi” anche in farmacia, cioè nel primo presidio della salute sul territorio. Bisogna, infatti, considerare che pur essendo i test suddetti un’importante fonte di informazione utile per controllare e mantenersi vigili sul nostro stato di salute, spesso tendiamo a rinviare l’appuntamento, essenzialmente per mancanza di tempo o per pigrizia. Oggi, invece, si può effettuare l’autoanalisi in farmacia, usando una semplice goccia di sangue capillare prelevata dal polpastrello. Misurando in questo modo facile e indolore importanti parametri, si passano preziose informazioni sul nostro stato di salute al medico di base o allo spe-
cialista, contribuendo sollecitamente a prevenire o scoprire una malattia, oppure semplicemente a controllare l’andamento di una terapia. Un’alterazione dei livelli di glucosio nel sangue (glicemia) può far suonare un campanello d’allarme per svariate condizioni patologiche: dal diabete a tumori e patologie acute o croniche del pancreas e del fegato, patologie endocrine dell’ipofisi, del surrene e della tiroide, insufficienza renale e infarto del miocardio e cerebrale. La maggior parte delle malattie che interessano le vie biliari e il fegato viene “annunciata” da un’alterazione dei valori di gamma glutamil-transferasi (GGT) e transaminasi (GPT e GOT), mentre un aumento della concentrazione di creatinina può essere indice di danno renale, così come possono esserlo aumentati valori di potassio e di acido urico. Altri due parametri molto importanti legati a rischio cardiovascolare, come abbiamo già accennato, sono il colesterolo e le sue frazioni (Hdl e Ldl) e i trigliceridi. Un calo della concentrazione di emoglobina nel sangue, con valori insufficienti ad assicurare la fornitura d’ossigeno alle cellule, invece, può essere sintomo di anemia.
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SOS cervicale
Almeno una volta nella vita tutti hanno lamentato problemi alla parte alta della colonna vertebrale, quella fastidiosa sensazione di avere il collo attorcigliato e dolente. Scopriamo le possibili cause, le forme di prevenzione e le giuste terapie da adottare a cura di Pompeo D’Ambrosio medico sportivo, cardiologo
s
“Tutti per uno, uno per tutti!”. Quanti di voi hanno riconosciuto questo famoso motto? Penso in tanti, e per coloro che hanno poca memoria fornisco un dettaglio, un suggerimento importante: Alessandro Dumas, autore del celeberrimo “I tre moschettieri”. Già, il titolo parla di tre protagonisti, ma, in realtà,
ad Athos, Portos ed Aramis si aggiunse ben presto D’Artagnan, il più conosciuto, cosicché, a dispetto del titolo, i moschettieri divennero quattro, come i tratti della colonna vertebrale (in realtà sono cinque, ma funzionalmente la parte lombare e sacrale si possono considerare unite). Che c’entra, direte voi?
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Dossier
C’entra, e vi spiego il perché. Il motto che univa i moschettieri stava a significare che erano una squadra, meglio un tutt’uno, e la loro forza consisteva proprio nel fatto che ognuno si sarebbe sacrificato per gli altri, come se i quattro fossero fusi in un unico individuo. Come i personaggi, anche la colonna è divisa in diverse parti, cervicale, dorsale, lombare, sacrale e coccigea. Ma, al pari del celebre motto, anche le sezioni, pur avendo una dignità individuale, sono pressoché in simbiosi, e per questo la colonna deve essere considerata come un unico elemento; se soffre una parte, irrimediabilmente tutta la colonna è compromessa, provocando dolore, impaccio, impossibilità a svolgere le più elementari azioni quotidiane fino alla vera e propria immobilità. Esistono tanti nomi per definire la stessa struttura, pertanto, per evitare errori, incomprensioni o equivoci, prendiamoli in considerazione: colonna (semplicemente), colonna vertebrale, rachide, spina dorsale (improprio, perché riferito a un tratto specifico). In ogni caso, si sta parlando dell’insieme di 33 ossa, le vertebre, separate da cuscinetti molli e gelatinosi (i dischi intervertebrali), tutte articolate tra di loro a formare una specie di tubo allungato che viene rinforzato da diversi tipi di legamenti. Il tubo, grazie a un mirabile gioco di puzzle, incastri e connessioni, è molto flessibile, e ciò gli consente movimenti circolari e rettilinei, quasi in tutte le direzioni. All’interno di questa struttura, nel canale vertebrale delimitato dalla sovrapposizione dei vari archi, è contenuta la struttura più nobile e importante del corpo umano, il midollo spinale, che si può considerare il cuore del sistema nervoso centrale. Esso
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è responsabile dell’attività sensitiva e motoria ed è per questo che si trova racchiuso e protetto nella colonna vertebrale. In realtà la colonna non è un tubo rigido e rettilineo, perché presenta delle curvature, se osservata di profilo (scientificamente si dice su un piano sagittale, che divide il corpo da davanti a dietro in due parti, destra e sinistra). Queste curve servono a rendere più elastica la struttura, e consentono di ammortizzare meglio gli urti e i contraccolpi che quotidianamente la colpiscono. Se la curva ha una convessità anteriore si parla di “lordosi”, posteriore di “cifosi”. Il rachide ha una lordosi nel tratto iniziale (cervicale) e finale (lombo-sacro-coccigeo) e una cifosi nella parte centrale (toracica). Sono curvature appena accennate, si definiscono invece lordosi o cifosi patologiche quelle accentuazioni che vanno oltre la norma fisiologica. In seguito vedremo il loro significato. A livello popolare, i disturbi più comuni che coinvolgono il rachide vengono riferiti alla parte iniziale e terminale, perciò si parla di lombalgia, sciatalgia e dolore alla cervicale. Vogliamo fare un po’ di chiarezza? Lombalgia e sciatalgia sono due termini generici, usati per definire un non meglio precisato dolore alla parte bassa della schiena, che si estende fino alla coscia nel primo caso e arriva a coinvolgere la gamba fino alle dita del piede nel secondo. Nell’accezione comune si tratta di eventi acuti, molto dolorosi, a insorgenza non ben precisata, che spaventano il paziente e che non gli permettono di condurre una vita di relazione normale nel periodo in cui si manifestano.
“Il tratto più delicato della colonna vertebrale” Diverso, nei modi e nei termini, il concetto che riguarda la “cervicale”, la quale è un po’ come un vicino di casa: tutti ce l’hanno o l’hanno avuta, tutti sanno che cos’è e come va trattata, molti sono in grado di dispensare consigli. Partiamo dal primo punto, l’etimologia: a differenza degli altri due termini (lombalgia e lombo sciatalgia), la parola non significa un bel nulla: “avere la cervicale” è un po’ come dire di possedere un ginocchio, un gomito, la bocca e via discorrendo. Però, anche prestando la minima attenzione ai discorsi ascoltati nei bar, difficilmente si sentirà qualcuno lamentarsi di un dolore al collo. Semplicemente, egli dirà: “Ho la cervicale!”. Diversamente, un dolore alla parte bassa della schiena scomoderà frasi come: “Ho una lombalgia” o “ho due ernie!” e via dicendo. Insomma, la cervicale ci accompagna quotidianamente in maniera più o meno silenziosa, più o meno dolorosa. Andiamo con ordine. Come appena accennato, il tratto cervicale rappresenta la parte più delicata
della colonna vertebrale. Cervicale non significa altro che “attinente alla cervice”, cioè la parte posteriore del collo; quando parliamo di cervicale intendiamo la nuca, o, nel caso degli animali come il nostro cane o gatto, la collottola. In senso lato, invece, il termine “cervicale” sottintende tutta una serie di disturbi che partono dal collo e possono coinvolgere altre zone del corpo.
Se il collo si irrigidisce bisogna intervenire per rimuovere la contrattura antalgica Non dimentichiamo quanto detto all’inizio, cioè che il tratto cervicale della colonna non è altro che una parte di essa, ma al tempo stesso è legato indissolubilmente alla zona toracica, lombare e sacro coccigea; pertanto, se a soffrire è un tratto specifico della colonna, prima o poi, irrimediabilmente, saranno interessate anche le altre parti: il collo trasmette il dolore alla parte medio bassa della schiena; ugualmente, da una lombosciatalgia i sintomi possono salire in alto e coinvolgere il collo. Teniamo presente il movimento sinuoso dei serpenti, che strisciano avanzando con una mirabile serie di movimenti di tutte le vertebre: una lesione che coinvolgesse un qualsiasi tratto del corpo precluderebbe tutto ciò. Non dissimile è il ragionamento a proposito dell’uomo, che, per un danno di qualunque parte del rachide, avrebbe una sofferenza a livello cervicale, primitiva (cioè a partenza dal collo) o secondaria (rispetto ai problemi delle altre zone). Al contrario della maggior parte degli animali, l’uomo è bipede e trascorre gran parte della sua vita in posizione eretta; in questo modo il peso del corpo grava, a partire dal tratto cervicale, in una sequenza che coinvolge le zone poste a valle. Le curvature fisiologiche della colonna, cui avevamo fatto cenno precedentemente, servono anche ad ammortizzare e a sostenere in modo più efficace l’impatto della forza di gravità.
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“Le tante cause del dolore al collo” individuo, anzi, più genericamente possiamo dire che in Italia il 60-70% della popolazione asserisce di soffrire o aver sofferto di male al collo. Come mai? Spesso si tratta di un irrigidimento della muscolatura, che avviene come meccanismo di difesa, per impedire movimenti di flessione, estensione o rotazione che possono accentuare la sensazione dolorosa. La natura, in pratica, blocca, “mette in pausa” i muscoli del collo in modo tale che la situazione si risolva positivamente in maniera autonoma. Se però non si interviene, individuando e rimuovendo la causa che ha provocato il dolore, si instaura quello che possiamo definire come un circolo vizioso: la contrattura “antalgica” diviene permanente, il collo si irrigidisce ancor più e il dolore non solo non scompare, ma diventa più acuto.
Torcicollo
Una situazione del genere è spesso alla base del “torcicollo”. Quello che apparentemente può sembrare solo una definizione popolare, in realtà è un termine medico, che esprime una “improvvisa, dolorosa e perdurante inclinazione della testa sul collo, effettuata in maniera involontaria”. Esiste anche una forma congenita di torcicollo, ma si tratta di una patologia importante che non si risolve mai spontaneamente. Tra leggende popolari e realtà conclamate, si può affermare che le cause sono varie: 1) Cattiva postura, per stanchezza, anomalie della vista non riconosciute, eccessivo lavoro al computer. 2) Traumi diretti o indiretti. 3) Improvvise variazioni della temperatura verso valori bassi, responsabili a loro volta di contratture dei muscoli del collo. In ogni caso, pur se i motivi sono diversi, anche qui il sintomo cardine è sempre il dolore, che rappresenta la manifestazione più importante come in altre patologie, in cui l’origine può essere varia.
Colpo di frusta Dopo questa presentazione passiamo al punto centrale, alla (sintomatologia dolorosa) cervicale. È chiaro che con questo termine si sottintende una serie di molteplici cause che possono portare alla via finale comune, il dolore.
Cervicalgia
Partiamo dalla situazione più vantaggiosa, cioè una cervicalgia (questo è il termine scientifico corretto per indicare genericamente il dolore al collo) non collegata a un danno anatomico. Un dolore non specifico compare almeno una volta nella vita di ciascun
Una situazione estremamente esemplificativa di quanto appena detto è il cosiddetto “colpo di frusta”, cioè un “violento movimento di flesso-estensione del collo che segue a un contraccolpo”. Una situazione che si verifica comunemente in auto, in seguito a un tamponamento, quando il capo viene sbalzato violentemente in avanti, poi indietro. La muscolatura locale, per limitare i danni, si comporta come un freno elastico e, con la contrattura (cioè una contrazione prolungata, senza il successivo rilasciamento) impedisce i successivi movimenti dolorosi del collo. Se l’impatto è stato oltre una certa misura, la risposta è immediata e marcata, e il risultato si traduce nella
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Dossier perdita della “fisiologica lordosi cervicale”. Tornando per un attimo alle curve della colonna vertebrale, in particolare a quella con la convessità anteriore della cervicale (la cosiddetta lordosi), possiamo dire che una radiografia successiva a un tamponamento metterebbe quasi sempre in evidenza un collo rigido, cioè privo della fisiologica curva in avanti (se vista di profilo).
Ernia
Un’altra causa è rappresentata da un’ernia del disco. Anche questa volta cerchiamo di semplificare le cose, pur fornendo un’impronta scientifica. Le vertebre, appoggiate l’una sull’altra con l’interposizione di un disco, formano un canale in cui è contenuto il midollo spinale. Da esso, attraverso specifici forami, escono le radici nervose (in particolare dal tratto cervicale, toracico e lombare, fino alla prima vertebra sacrale), responsabili dell’attività motoria e sensitiva dell’uomo. I dischi, che hanno una funzione protettiva per le vertebre, sono costituiti da una sostanza gelatinosa, elastica, contenuta in una specie di membrana che ha il compito di impedirne la fuoriuscita. Quando, per le cause più svariate, questo avviene, si parla di ernia, che non significa altro, per l’appunto, che “fuoriuscita”: a seconda della parte del corpo interessata, parliamo di ernia del disco, ernia inguinale, ernia muscolare, e via dicendo. In questo modo si vuole descrivere l’uscita di un organo o una parte di esso dalla sua sede naturale, con conseguenze variabili a seconda dei casi: nel nostro, l’ernia del disco comporta la compressione della radice nervosa che viene ad essere schiacciata nella sua sede all’interno del canale vertebrale. Il risultato, perciò, è un’irritazione, con una sintomatologia condizionata dalla sede. Un’ernia cervicale presuppone una fuoriuscita del disco intervertebrale compreso tra la prima e la settima vertebra, generalmente da C3 a C7, con conseguente compressione e irritazione della radice nervosa corrispondente a quel livello. Per questioni puramente geometriche, più stretto è il canale midollare, minore lo spazio a disposizione del sistema nervoso in quella sede, e di conseguenza è più facile l’irritazione della radice nervosa. I nervi hanno una duplice funzione, sensitiva (trasmettono al cervello informazioni sulla sensibilità, tattile, termica e dolorosa) e motoria (conducono gli impulsi per l’attività muscolare), pertanto la sintomatologia può coinvolgere l’una o l’altra area, o anche entrambe contemporaneamente, con conseguenze facilmente immaginabili. La zona interessata arriva fino alla punta delle dita della mano, anche bilateralmente, e i disturbi sensitivi consistono in perdita o alterazione della sensibilità tattile (con mancata percezione dello stimolo e pare-
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stesie), termica e dolorifica. Dal punto di vista motorio, la contrattura antalgica dei muscoli del collo, o il vero e proprio dolore che, partendo dalla nuca, può interessare le spalle e l’arto superiore, impedisce un corretto movimento; anzi, spesso, proprio per evitare posizioni o movimenti dolorosi, si assumono posizioni sbagliate, a loro volta responsabili di un aggravamento della sintomatologia: si instaura in questo modo un vero e proprio circolo vizioso.
Artrosi
L’artrosi della colonna cervicale può rappresentare un altro importante motivo di dolore al collo. È un processo degenerativo che colpisce le ossa, in questo caso le vertebre, che perdono la regolare forma, con compromissione dei rapporti tra di esse: si creano delle sporgenze, delle irregolarità, dei veri e propri “becchi” o “uncini”, detti osteofiti, che, con lo stesso meccanismo visto in precedenza, possono irritare le radici nervose e restringere lo spazio a disposizione nel canale midollare. L’artrosi non è arrestabile, in quanto fenomeno legato all’invecchiamento, ma è possibile limitarne gli effetti negativi; è sbagliato crogiolarsi negativamente sulla malattie e bisogna prendere gli opportuni provvedimenti. Vedremo poi quali e in che modo.
“L’importanza della diagnosi: gli esami da fare” La colonna cervicale possiamo definirla, in termini un po’ coloriti ma senz’altro efficaci, come una spugna presente nel nostro organismo, che raccoglie in modo diretto o indiretto colpi, traumi, stress, cattive posture, eccesso di lavoro, ansia, amplificandone le conseguenze e contribuendo così ad alimentare tutte le credenze e le leggende popolari di cui altrimenti non si discuterebbe nel bar, in piazza o dovunque ci sia un “esperto” del caso. Una volta inquadrato il problema dal punto di vista della definizione, del suo significato, delle potenziali cause e dei relativi sintomi, cerchiamo di spiegare come fare la diagnosi corretta per poi adottare le possibili strategie terapeutiche. Prima di tutto, per quanto detto precedentemente, qualche giorno di dolore o di “rigidità” al collo non si nega a nessuno, nel senso che un disturbo di questo tipo è comune, almeno una volta nella vita, a tutti coloro che hanno raggiunto la maggior età. Però, quando i sintomi perdurano più di qualche giorno o i disturbi compaiono con un intervallo sempre più breve, bisogna iniziare a prendere qualche decisione. Inizialmente potrà essere il medico curante a valutare clinicamente la situazione, poi, se il problema non trova soluzione, egli dovrà necessariamente proseguire nell’iter diagnostico, che dovrebbe seguire questo percorso.
Radiografia
Una radiografia in due proiezioni (cioè antero posteriore e laterale) è il primo passo da compiere. Questo esame permette di valutare l’anatomia delle singole vertebre e il rapporto tra di loro nell’architettura del tratto cervicale: a volte possono essere presenti delle anomalie congenite (dalla nascita), che determinano, dopo un periodo di quiescenza anche di decenni, il famoso dolore, spesso in seguito ad un trauma anche minimo in quella zona. I famosi becchi dell’artrosi (gli osteofiti cui si era fatto cenno) vengono visualizzati in modo inequivocabile con la radiografia, al punto che talvolta, nel caso di vertebre completamente fuse tra di loro per la completa degenerazione provocata dall’artrosi, ci si chiede come finora il paziente abbia goduto di relativo benessere nonostante l’allarmante quadro radiologico. La radiografia permette anche di stabilire se si è perduta o accentuata la famosa curvatura con la convessità in avanti (lordosi cervicale), a testimonianza che qualcosa di negativo si è abbattuto su quel tratto di colonna. Questo esame è il punto cardine anche quando, in seguito a un incidente stradale o a un evento traumatico che ha causato un colpo di frusta, si giunge al pronto soccorso per essere sottosti ai primi accertamenti.
TC e RMN
Un’indagine radiologica successiva, più sofisticata e mirata, consiste nella TC (tomografia computerizzata) o nella RMN (risonanza magnetica nucleare): nel primo caso radiazioni ionizzanti particolari permettono di ottenere immagini che riproducono strati o sezioni del corpo umano, con un’elaborazione quasi tridimensionale. La Tc è più indicata nello studio delle vertebre, a differenza della Risonanza Magnetica nucleare, più adatta a valutare le parti molli, nel caso specifico i dischi fibrocartilaginei interposti tra le vertebre. Anche una modesta fuoriuscita del disco dalla sua naturale sede (protrusione) viene mirabilmente evidenziata da questa indagine. Sarà il medico, sulla base del sospetto clinico, ad indirizzare verso l’uno o l’altro esame. Bisogna altresì specificare che, mentre la Tc sottopone il paziente a un’elevata esposizione di radiazioni, dannose per la salute, la Risonanza sembra allo stato attuale priva di rischi. La stratigrafia, un’indagine radiologica simile alla radiografia standard (con l’eliminazione però degli strati dell’osso al di sopra e al di sotto di quello che si vuole valutare), è riservata solamente a pochi casi ben definiti.
Elettromiografia
Si tratta di un ulteriore strumento a disposizione del medico, adatto a studiare la funzionalità del sistema nervoso periferico e dei muscoli sottostanti. Abbiamo visto come dal canale vertebrale fuoriescano le radici che conducono gli stimoli nervosi sensitivi e motori; nel caso di una compressione o di un’irritazione, si verifica un danno funzionale che può essere evidenziato da questo esame, in grado perciò di fornire informazioni precise sulle radici, sui nervi periferici e sui muscoli scheletrici che sono sotto il loro diretto controllo. Quando l’esame clinico e neurologico effettuato dal medico mette in evidenza un deficit del sistema nervoso periferico (diminuzione o assenza dei riflessi neuromuscolari, alterazioni della sensibilità nelle zone corrispondenti, riduzione della forza locale, ipotonia e ipotrofia dei muscoli), la procedura successiva prevede l’esame elettromiografico: consiste nell’introduzione di sottili aghi nel sottocute delle zone interessate, attraverso cui si inviano degli stimoli elettrici di opportuna intensità. Sulla base del successivo comportamento delle fibre muscolari e nervose all’erogazione di queste correnti si potrà effettuare una corretta diagnosi. Nel caso della colonna cervicale, l’elettromiografia esamina l’arto superiore, che può, a seconda dei sintomi, essere esaminato mono o bilateralmente.
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“Tutti i rimedi: riposo, farmaci, stretching e fisioterapia” Una volta che la valutazione clinica e le conseguenti indagini sono state completate, si può impostare un percorso terapeutico. Alcune procedure sono comuni, indipendentemente dalla patologia rilevata e dalla sua gravità. Vediamo di andare con ordine: 1) In fase acuta, qualunque sia la causa del dolore, il riposo è la cura più indicata. Attenzione, però, perché stiamo parlando di pochi giorni, altrimenti ciò che dovrebbe provocare un allentamento della tensione muscolare si traduce in un indebolimento della muscolatura stessa, con l’instaurarsi del circolo vizioso. Per questo può essere utile l’adozione di un collare cervicale, una specie di tutore che si applica al collo e che lo sostiene, facendo pertanto le veci della muscolatura. Un uso più prolungato è invece consentito, anzi consigliato, nel caso di traumi distorsivi della colonna, come accade dopo un tamponamento.
avendo però l’accortezza di non applicarlo più a lungo di 15-20’ per non più di 3-4 volte al giorno, con l’interposizione, sopra la pelle, di un panno di lana o cotone per limitare il pericolo di ustione.
2) Il riposo aiuta il rilassamento muscolare, che può essere potenziato abbinando una terapia farmacologica, a base di farmaci miorilassanti e di antinfiammatori; è puramente superfluo sottolineare che la prescrizione è esclusivamente di pertinenza medica.
4) In un secondo tempo la crioterapia (ghiaccio) può essere sostituita dal caldo, che provoca vasodilatazione e rilassamento muscolare.
3) Il ghiaccio, nelle prime fasi del dolore, è utile,
L’intervento manuale di un fisioterapista allenta la tensione muscolare
5) La terapia fisica, rappresentata da ionoforesi, correnti antalgiche, tecar e via dicendo, è, a nostro avviso, sopravvalutata e di poco aiuto. Spieghiamo
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Dossier il perché. Spesso il paziente si avvale di queste terapie con un atteggiamento passivo, riponendo tutte le speranze e le aspettative su di esse, senza un proprio coinvolgimento attivo, basato sull’adozione di azioni e comportamenti atti ad attenuare il problema. 6) Diverso invece è il giudizio nei confronti dei trattamenti fisioterapici: nel caso del dolore cervicale, molto importante, spesso risolutiva, è la tecnica del “pompage” effettuata manualmente da un fisioterapista o da un masso fisioterapista. Consiste nell’esecuzione manuale di trazioni del collo, effettuate in modo graduale e progressivo, al fine di provocare uno stretching dei muscoli della zona, un allentamento dei legamenti che rinforzano le articolazioni interapofisarie e una distensione del tratto cervicale in toto. Si ottiene un lavoro combinato sui muscoli e sulle articolazioni, alternando in modo ritmico la tensione muscolare e il successivo rilassamento. 7) Naturalmente esistono altre tecniche di fisiochinesiterapia, ma la nostra esperienza ci ha portato a credere nel pompage, come pure nello stretching auto praticato; basterebbe difatti un periodo di pochi minuti da dedicare alla propria cervicale per ottenere risultati strabilianti, specie nei periodi liberi da
tensione e dolore. Il mantenimento di posizioni fisse per 15-20 secondi, meglio se seduti e davanti a uno specchio (per guardare ed evitare di assumere posture scorrette o inefficaci), seguiti da circonduzioni del capo in un senso e nell’altro (effettuati in serie) portano a delle sensazioni benefiche e all’interruzione di quel maledetto circolo vizioso che abbiamo citato tante volte in questo articolo. Il web è sicuramente ricco di filmati che mostrano in modo chiaro ed inequivocabile gli esercizi da praticare. 8) Altra tecnica fondamentale, tra le armi a disposizione per risolvere il problema, consiste nelle manipolazioni della colonna cervicale. Bisogna fare un’opportuna premessa: questa tecnica è molto delicata e pericolosa, perché consiste in un violento e brusco movimento della colonna, operato da un chiropratico (letteralmente un operatore che lavora con le mani) o da un osteopata, al fine di resettare i cattivi rapporti delle vertebre tra di loro e che a volte sono il motivo delle contratture dolorose. Spesso non eliminano la causa sottostante, ma, come detto, aiutano a ripristinare la corretta posizione della colonna cervicale eliminando pertanto il sintomo. La manipolazione deve essere sempre effettuata dopo che si è fatta una diagnosi certa, con il supporto degli strumenti ricordati in precedenza.
Prevenzione: i comandamenti della salute Si è sempre detto che “prevenire è meglio che curare” e mai come in questo campo l’affermazione è vera. Peraltro, forniamo, sotto forma di simbolica tavola dei comandamenti, i principi basilari per sperare di non dover mai soffrire di cervicalgia in modo serio: 1. una vita sana, prevedendo il giusto alternarsi di lavoro e riposo; 2. una corretta movimentazione dei carichi per chi effettua lavori in cui si devono sollevare dei pesi. In particolare quell’approccio corretto che si deve usare per sollevare un peso (definito “carico”), cioè piegando le ginocchia per afferrare correttamente la cosa da prendere e portarla in alto;
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3. un’alimentazione controllata con il relativo peso corporeo corretto; 4. un opportuno e tempestivo controllo della vista (specie nei bambini); 5. una giusta attenzione (senza eccessi in un senso o nell’altro) ai dolori della colonna cervicale; 6. la regolare pratica di un’attività fisica; 7. l’abolizione di norme comportamentali basate sui luoghi comuni, sui “si dice”, sui consigli del vicino; 8. ricordare che è importante, per salvaguardare la cervicale, aver cura anche di tutti gli altri segmenti della colonna vertebrale, perché: “Tutti per uno, uno per tutti!”. n
Meno muscoli? Più pesi! Dopo i 50 anni tutti si imbattono nella sarcopenia, cioè la riduzione della massa muscolare che può arrivare al 70%. Prevenzione e attività fisica le armi per combatterla di Pompeo d’Ambrosio medico sportivo, cardiologo
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Siamo di nuovo alle prese con una parola apparentemente incomprensibile, la sarcopenia. Essa rappresenta invece uno stato, una situazione, un fenomeno con cui, una volta superati i 50 anni, avremo tutti più o meno a che fare; perciò, in un certo senso, è auspicabile poter riuscire a combattere contro questo nemico perché si-
gnifica che perlomeno a quell’età ci si è arrivati. Vogliamo ancora continuare ad essere così misteriosi? Direi di no, quindi possiamo passare a un’azione concreta, la definizione e la spiegazione della sarcopenia. Come sempre, pur essendo un termine coniato da uno studioso americano nel 1988, ha radici molto antiche nella sua
etimologia, radici greche. “Sarco” è riferito al tessuto muscolare scheletrico, cioè il muscolo della contrazione volontaria, e “penia” esprime il concetto di povertà, meglio di impoverimento: in sintesi, impoverimento della muscolatura striata. È questo un fenomeno che riguarda entrambi i sessi, anche se maggiormente quello
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maschile, che compare, in maniera variabile dopo la mezza età. In modo specifico, la sarcopenia può essere definita come la perdita della massa magra e della funzione muscolare con l’età. Da un punto di vista scientifico, la diagnosi si fa valutando tre funzioni: • misurazione della massa magra: può essere effettuata attraverso la densitometria ossea, l’antropometria, la bioimpedenziometria o per mezzo di formule standardizzate che calcolano la massa grassa, la massa magra e la quota di acqua; • misurazione della forza: il test più semplice valuta la forza di contrazione dei muscoli della mano, attraverso un dinamometro che la esprime in chilogrammi; • valutazione della funzione muscolare: avviene attraverso la “velocità di cammino (walking speed)”; quando questa è al di sotto di 0.8 metri al secondo siamo di fronte a un possibile problema. Se tutti i valori misurati sono normali, la patologia va esclusa. Se un solo valore è ridotto (massa muscolare) si parla di “presarcopenia”, mentre la sarcopenia viene definita conclamata o severa se, rispettivamente, oltre alla diminuita massa muscolare sono fuori norma un altro o entrambi gli altri parametri considerati. Si accennava all’età di comparsa: se è vero che a partire dalla sesta decade il fenomeno è pressoché
presente in tutti i soggetti, diversa è la velocità di progressione nel tempo. Grossolanamente si può dire che a 50 anni il 10% della massa muscolare è andato perduto, ma a 80 il fenomeno può aver coinvolto addirittura il 70% della muscolatura. Forza e massa muscolare non vanno in ogni caso sempre di pari passo, specialmente nella terza e quarta età: ad esempio l’attività fisica, di per sé fondamentale per la salute, accresce molto la forza muscolare ma non altrettanto la massa, al contrario ad esempio del testosterone e del Gh, ormoni che, se somministrati dall’esterno, aumentano la massa ma non la forza muscolare. La vecchiaia non è una malattia, ma solo un fenomeno perfettamente fisiologico, correlato all’età. Ciò non toglie che ad essa siano collegati sintomi e situazioni negative, che possono essere solamente ritardati come comparsa o attenuati come espressione. La sarcopenia è uno di questi: è indiscutibile che sia inarrestabile, però è anche sicuramente ritardabile. Questo ultimo concetto è fondamentale anche perché costituisce il più importante fattore di debolezza e fragilità dell’anziano. Ciò conduce irrimediabilmente all’invalidità, che comporta a sua volta uno scadimento delle condizioni generali e a una progressiva diminuzione della qualità della vita.
Scendere o salire le scale, portare un semplice peso come la busta della spesa, con il tempo diventano attività insostenibili se il fenomeno non viene combattuto tempestivamente. C’è da dire inoltre che la prevenzione della sarcopenia va iniziata precocemente, a partire dall’età adulta, intorno ai 40 anni. Avere a quell’epoca una massa muscolare ipertrofica e ipertonica contribuisce sicuramente a ritardarne la successiva comparsa, in quanto il punto di partenza della massa muscolare è più elevato. Inoltre questo è utile anche a contrastare un altro aspetto negativo legato alla terza e quarta età, l’osteoporosi, cioè la diminuzione della densità delle ossa, che diventano più fragili e con conseguente maggior rischio di fratture. L’esercizio fisico volto a contrastare la perdita muscolare ha contemporaneamente un’azione sinergica nei confronti dell’osteoporosi, in quanto riduce la perdita di minerale osseo e attenua il rischio di fratture. Si è visto che il miglior stimolo osteoblastico (che favorisce cioè l’aumento della densità ossea) è rappresentato dalla forza muscolare trasmessa dai tendini alle ossa durante la contrazione muscolare. Perciò l’attività fisica costituisce uno dei cardini fondamentali per una corretta lotta contro la sarcopenia. Non è però sufficiente solamente questo.
L’immobilità degli anziani: le strategie efficaci Procedendo con ordine, cerchiamo di mettere a punto quelle che sono le strategie più efficaci. Prima, però, vorremmo porre l’accento sul fatto che una ridotta massa muscolare comporta oltre a una perdita della forza di contrazione anche: • riduzione della produzione di energia, per un calo del metabolismo basale;
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• diminuzione della capacità di equilibrio, posturale e non; • alterazione della capacità di termoregolazione, con gravi pericoli durante le stagioni e con temperature estreme (sia minime che massime); • peggiore trofismo dell’osso: in particolare questo aspetto è stato trattato con un accenno all’osteoporosi.
Partendo da questi punti cardinali, possiamo allargare il campo non solo alla terza e quarta età, perché una marcata riduzione della massa muscolare, in altri periodi della vita, è collegata all’immobilità più o meno assoluta, protratta per un periodo di settimane o mesi, cui è costretto un individuo per malattia o comunque cause di forza maggiore.
È sufficiente un allettamento anche di pochi giorni per provocare una riduzione generale della massa muscolare; scendendo nel pratico, in molti si sono potuti rendere conto, anche ad occhio nudo, del vistoso calo del tono e trofismo dei muscoli della coscia alla prima comparsa di un problema all’articolazione del ginocchio. Il problema è che, mentre nel giovane è sufficiente buona volontà per risollevare la situazione (e di conseguenza anche il volume muscolare), nell’anziano ciò non basta: in questo caso sono stati tirati in ballo stress ossidativi, che aumentano con gli anni, producendo i tanto famosi e altrettanto nocivi “radicali liberi”. Non basta! Con il passare degli anni, nei maschi, si ha un notevole calo della produzione di testosterone, un ormone che ha un effetto anabolizzante, cioè favorisce la crescita muscolare potenziando il metabolismo delle proteine, il mattone costitutivo del muscolo. Per questi motivi, pertanto, nell’anziano
si verifica questo “inarrestabile” problema. Si è detto che se non si può eliminare la malattia si può limitarne, anche di molto, la velocità di progressione. Vediamo come. 1) Prima di tutto, già nel corso della prima parte della vita, un’alimentazione equilibrata contribuisce a salvaguardare la struttura muscolare. Il muscolo è un tessuto connettivo specializzato costituito da proteine, che devono essere introdotte nell’alimentazione nella giusta misura per garantire un adeguato equilibrio tra sintesi e degradazione delle cellule muscolari. Con il passare degli anni il metabolismo rallenta, e con esso la produzione e la sintesi di tessuto muscolare: il processo di decadimento può essere rallentato anche con l’assunzione di integratori proteici e vitaminici specifici, che si affianchino a una adeguata alimentazione, corretta sia qualitativamente che quantitativamente. Peraltro essa non è più
sufficiente a ripristinare quanto perduto, una volta che inizia ad instaurarsi la sarcopenia. L’attività muscolare e la corretta alimentazione sono in stretta sinergia, cioè insieme danno migliori risultati di quanto si otterrebbe singolarmente. Bisogna anche tener conto che nell’anziano spesso l’alimentazione diventa monotona e ripetitiva, spingendo talvolta a una minor introduzione di cibo e a uno scadimento della qualità dello stesso. La difficoltà di reperire o preparare pietanze ricche di proteine o di sostanze antiossidanti (come frutta e verdure fresche) favorisce la progressione della sarcopenia, cui contribuisce a volte anche la difficoltà di masticazione. 2) La malattia determina una diminuzione del numero e delle dimensioni delle fibre muscolari, con una maggiore infiltrazione di grasso nelle cellule. È perciò molto importante, seguendo il famoso principio che “l’esercizio sviluppa l’organo”, tenere co-
Il rallentamento del metabolismo può essere attenuato anche con l’assunzione di integratori proteici e vitaminici specifici
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Scale a piedi, pesetti e saltelli Non rimane a questo punto che fare un intervento mirato su quello che deve essere il comportamento corretto per non perdere o, addirittura, cercare di aumentare la massa muscolare attraverso l’esercizio. Senza entrare in dettagli troppo complicati, possiamo grossolanamente dire che esistono tre tipi di fibre muscolari: veloci, lente e intermedie, abbreviate in FT (fast twitch, veloci) ST (slow twitch, lente) e FOG (fast oxidative glycolitic, intermedie). Contrariamente a quanto si credeva, sono le fibre veloci, le FT, che intervengono nella contrazione veloce ad alta intensità, le prime ad essere coinvolte nel decadimento muscolare legato alla sarcopenia. È proprio al loro recupero, perciò, che deve essere indirizzato il lavoro muscolare. 1. Bisogna inizialmente acquisire un buon grado di condizione generale, per cui un training basato sull’aumento della resistenza attraverso camminate, pedalate in bicicletta (o cyclette) o nuotate rappresenta il primo passo. 2. I sacri testi consigliano sempre, per un connubio ideale tra salute e attività fisica, una frequenza di almeno 3 volte la settimana per 45-50’, oppure 5 sedute da 30’. Trattandosi di una situazione particolare, il lavoro va adattato al singolo individuo, tenendo presente che una stimolazione quotidiana produce effetti più rapidi. 3. Una volta consolidata la resistenza generale, l’attività va integrata con esercizi più specifici: a questo proposito è indicato l’uso di modesti sovraccarichi, come pesi molto leggeri da utilizzare nel corso delle attività aerobiche (bilancieri nel corso delle camminate o pedalate, pinne nel nuoto). Una volta assimilata questa
nuova attività, il passo successivo potrebbe essere quello di dedicare una seduta o due alla settimana specificamente a questo; stiamo parlando naturalmente di anziani, in qualche caso anche defedati (cioè indeboliti dalle malattie), ma la componente della novità e dei progressi visibili sin quasi dall’inizio giocano un ruolo importante, da non trascurare. Questa attività può essere svolta da soli o in palestra, con l’aiuto di specifici trainer: la popolazione anziana è in costante aumento e viene posta sempre più attenzione ad essa, perciò la competenza e la preparazione degli istruttori è ormai molto elevata al riguardo. In ogni caso gli esercizi a disposizione sono infiniti: • Accosciati mantenendosi in equilibrio a una sbarra o una balaustra; • Salire le scale, cercando con il tempo di aumentare il numero dei gradini, il numero delle ripetizioni, la velocità di esecuzione; • Piccoli saltelli sul posto, a piedi uniti o a gambe divaricate. È importante la gradualità del carico somministrato, in modo tale che ne sia possibile la progressione nel tempo. 4 Un’ulteriore evoluzione consiste nell’introduzione di esercizi per il mantenimento o il ripristino dell’equilibrio; esso, per esprimersi, ha necessariamente bisogno del supporto muscolare, per cui, se i muscoli vanno in sofferenza, anche l’equilibrio ne risente. Logicamente bisogna coinvolgere la postura, l’equilibrio, la propriocettività: queste parole un po’ complicate presuppongono questa volta non il “fai da te”, ma l’utilizzo di persone competenti che svolgano una guida attraverso il percorso del recupero.
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stantemente in esercizio l’organismo. Si è sempre pensato che un organismo in pieno benessere ha bisogno quasi esclusivamente di attività fisica di tipo aerobico. Questo è sicuramente vero, ma in realtà l’affermazione non è del tutto corretta nel caso della sarcopenia: gli esercizi di resistenza sono utilissimi, ma la forza muscolare è legata anche al diametro della sezione trasversa del muscolo, per mantenere efficiente la quale sono necessarie attività contro resistenza, in cui cioè il muscolo deve sviluppare una tensione che serve a contrastare ed eventualmente a vincere la resistenza che gli si oppone. 3) Siamo in questo modo giunti ad un approccio di valutazione diverso: a) il muscolo deve essere nutrito bene; b) l’organismo deve invecchiare nel miglior modo possibile; c) questo può essere ottenuto, oltre che con un’adeguata attività aerobica, anche con un lavoro
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che tenda ad aumentare il tono e soprattutto il trofismo muscolare, il che si può ottenere grazie a contrazioni isometriche o eccentriche, in cui l’attività consenta un lavoro non di accorciamento ma a lunghezza costante o addirittura in allungamento delle fibre muscolari (lavoro isometrico o eccentrico): pensiamo nel primo caso a un peso che non riesca ad essere spostato nonostante gli sforzi impiegati, o, nel secondo, che venga spostato da una posizione alta rispetto ad una più in basso (un secchio pieno di acqua che da un tavolo venga afferrato per il manico ed appoggiato a terra). Da un punto di vista alimentare, pertanto, i consigli sono di mangiare poco e frequentemente, idratarsi a sufficienza, preferibilmente con acqua, evitando bevande zuccherate, evitare grassi saturi, utilizzando olio di oliva per condire gli alimenti, ridurre gli zuccheri raffinati, introdurre almeno tre volte la settimana proteine “nobili” (carne bianca,
pesce, grana, uova), valutare con il proprio medico la possibilità di assumere integratori proteici e antiossidanti, limitare il consumo di vino. Come indicazione non strettamente alimentare, ma indissolubilmente legata a quanto sostenuto finora, mantenere un’efficiente capacità di masticazione, con controlli periodici della dentizione, fissa o protesica. Per concludere, il messaggio che vorrei rimanesse ben impresso nel lettore è che non bisogna pensare alla sarcopenia come a un evento che non lo coinvolgerà mai o, viceversa, come a un qualcosa di insormontabile o di invincibile: più che una malattia, è un evento che si può e si deve contrastare, con una giusta condotta di vita che inizia già dai venti, o trenta, o quaranta, o cinquanta, o sessanta o settanta, o... Insomma, bisogna muoversi, partendo con il piede e nel modo giusto. PS.: anche stavolta avete imparato una parola nuova! n
Alle radici della depressione
Colpisce oltre 7 milioni di italiani con un costo sociale elevatissimo, ma per fortuna esistono i giusti rimedi. Basta ammettere di essere depressi… di Filippo Tini
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Depressione. Una patologia che mette paura solo nominarla, ma nonostante ne siano colpiti oltre 7 milioni di italiani, solo un paziente su tre ha coscienza del problema e si cura adeguatamente. Anche per questo il costo sociale sopportato dalla collettività è stato stimato in poco meno di 4 miliardi
di euro l’anno, calcolando le sole ore lavorative perse. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le malattie mentali colpiscono oggigiorno un cittadino europeo su quattro e la depressione, tra tutti i disturbi mentali, è responsabile da sola del 13,7% del carico di disabilità. Addirit-
tura, stime epidemiologiche che fanno sempre capo all’Oms prevedono che la depressione possa divenire, entro il 2020, la seconda malattia più invalidante al mondo dopo quelle cardiovascolari e nel 2030 la patologia cronica più frequente. Un allarme serissimo che ha sol-
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lecitato ancora una volta l’allarme degli psichiatri, convenuti a Roma, all’Accademia dei Lincei, in occasione del Forum “‘Un Viaggio di 100 anni nelle neuroscienze”, organizzato da The European House-Ambrosetti. Come accennavamo, un risvolto importante della patologia riguarda i costi per la collettività. Entrando nel dettaglio, quelli diretti, a carico del Servizio Sanitario Nazionale, per il trattamento di un paziente depresso (ricoveri, specialistica ambulatoriale, farmaci) ammontano mediamente ogni anno a 4.062 euro a testa. E siccome parliamo di circa il 12,5% della popolazione (circa 7,5 milioni di italiani) è facile fare i conti. A tutto questo vanno aggiunti i dati relativi all’impatto sociale: calcolando che per ogni paziente sono coinvolti almeno 2-3 familiari, occorre aggiungere al computo totale altri 4-5 milioni di persone coinvolte indirettamente dal disturbo depressivo. La depressione determina inoltre conseguenze pesanti soprattutto sul versante lavorativo: secondo la ricerca di IDEA (Impact of Depression in the Workplace in Europe Audit), che ha coinvolto in tutta Europa oltre 7.000 adulti fra i 16 e i 64 anni, lavoratori e dirigenti, ben il 20% degli intervistati aveva avuto una diagnosi di depressione e il numero medio di giornate di congedo dal lavoro durante l’ultimo episodio depressivo era stato di 36 giorni. E i problemi lavorativi si correlano anche al rischio doppio di disoccupazione, pensionamento anticipato, alla maggiore disabilità e all’alto rischio di vivere in condizioni di emarginazione e povertà. Un dirigente su 3 tra quelli intervistati ha ammesso di non avere risorse economiche o strumenti efficaci per affrontare il problema, mentre, addirittura, solo il 34,3% dei pazienti ha confermato di assumere regolarmente i farma-
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ci prescritti e il 50% dei pazienti che non ottiene risultati dal primo trattamento abbandona la terapia senza avere la pazienza di sperimentarne una più efficace. A tutto ciò si aggiunge che nonostante gli alti tassi di assenteismo indotti dalla depressione, solo il 25% di chi ha questa patologia l’ha comunicata al datore di lavoro e gran parte di loro hanno motivato questa scelta con il timore di perdere il posto.
La psicoterapia può essere utile nei casi di depressione conseguente ad eventi esistenziali negativi Dai dati tratti da alcuni studi scientifici, la depressione è clinicamente rilevante in oltre il 50% dei pazienti con dolore cronico, i quali riferiscono spesso sintomi fisici come il loro principale e unico problema clinico, senza alcune menzione di difficoltà psicosociali. Una tale presentazione dei sintomi può indurre molti medici a sottovalutare o non evidenziare diagnosticamente il problema depressivo sottostante. Circa il 30% dei pazienti con depressione sperimentano sintomi fisici, per più di cinque anni, prima di ricevere una corretta diagnosi. I medici di famiglia si confrontano, cioè, con pazienti depressi che riferiscono solo sintomi fisici e non disturbi emotivi, affettivi o psico-sociali. In uno studio è stato rilevato che il 69% dei pazienti, all’esordio della depressione, ri-
conosce nei sintomi fisici la sola ragione per chiedere una visita al medico, e circa l’11% di essi arriva a negare disturbi dell’umore anche dopo esplicita richiesta. Alla depressione si associano frequentemente disturbi cognitivi che tendono a manifestarsi per oltre il 94% del tempo nel corso degli episodi depressivi, rappresentati da difficoltà nell’attenzione, nella concentrazione e memorizzazione. Il rallentamento ideativo si traduce in incertezza e in alcuni casi in incapacità di prendere qualunque decisione, anche la più semplice, creando notevoli disagi e scadimento delle prestazioni. I sintomi di tipo cognitivo sono associati a peggiori esiti clinici e sociali della malattia. Sebbene i sintomi cognitivi della depressione siano spesso frequentemente associati alla depressione e causino problemi nelle funzioni e nella produttività sul lavoro, vi è una scarsissima consapevolezza al riguardo: quando si chiedeva di identificare i segni della depressione, solo il 33% degli intervistati menzionava la scarsa memoria, il 44% l’indecisione e il 57% la difficoltà di concentrazione. Da tutto ciò l’allerta di psichiatri e medici in genere: è necessario porre maggiore attenzione ad un fenomeno sociale che ha assunto dimensioni rilevantissime, anche dal punto di vista strettamente economico oltre che di salute pubblica. Chiara in questo contesto, come sottolineato durante il Forum, la posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui l’effetto del trattamento terapeutico di tutte le forme di depressione sui costi legati alla produttività del lavoratore fa ritenere che il risparmio generato da un minor assenteismo e da un maggiore rendimento lavorativo possa compensare le spese sostenute per il trattamento stesso.
Antidepressivi e Terza Età: è caduto un tabù di Francesco Fioroni medico psichiatra, psicoterapeuta
Nell’ultimo decennio il consumo di antidepressivi in Italia, secondo l’Agenzia italiana del farmaco, è aumentato del 4,5%, non solo tra i giovani ma anche tra gli anziani che non considerano più un tabù affidarsi a questa terapia. Al di là del quadro fornito dall’Aifa, segno evidente di un cambio di tendenza, la depressione in età avanzata non è cosa recente: le forme di sofferenza mentale senile sono uno dei temi che noi psichiatri abbiamo posto sotto la lente di ingrandimento ormai da anni. La differenza è che negli ultimi tempi gli anziani non provano più vergogna a farsi curare. Un tema delicato, sia perché la depressione viene spesso considerata (sbagliando) una componente “normale” dell’età avanza-
ta, sia perché in questa fase della vita non è così facile diagnosticarla. Tanto per far capire il fenomeno: si ritiene che solo il 50% delle depressioni senili vengano riconosciute correttamente e di queste solo il 50% venga curato in modo adeguato. Un disturbo con non poche sfaccettature: ci sono fattori di rischio, predisponenti e precipitanti. C’è la depressione maggiore e quella minore, quindi i quadri clinici particolari, come la depressione mascherata, psicotica, quella legata alla demenza, l’anoressia. Ci sono la distimia, la depressione atipica, il disturbo affettivo ad andamento stagionale, il disturbo dell’adattamento con umore depresso, la depressione caratteriologica, quella legata all’ipocondria, al
lutto. La depressione maggiore comporta addirittura il rischio di suicidio, soprattutto se associata a recenti perdite, all’abuso di alcol, psicosi, deterioramento cognitivo e malattie fisiche croniche. Quadri complessi, certo, ma poiché la depressione senile rappresenta uno degli ambiti diagnostici-terapeutici nei quali sono stati ottenuti i maggiori successi, l’argomento merita un approfondimento.
Sintomi
Partiamo dai sintomi, dunque: si riscontrano, fondamentalmente, tristezza persistente e calo di interesse nello svolgere qualsiasi attività quotidiana, ma anche alterazioni dell’appetito e del peso corporeo, del sonno, della stan-
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chezza. Si evidenziano ansia e agitazione, pensieri negativi, inadeguatezza, sensi di colpa. L’anziano depresso, più del giovane, può sviluppare sintomi come irritabilità, ostilità o anche sospettosità, sino a veri e propri deliri di persecuzione (anche di gelosia o di furto di oggetti personali). Altre espressioni depressive tipiche sono le lamentele eccessive sulla perdita di memoria o sulla presenza di dolori piuttosto vaghi e diffusi, che vengono a volte attribuiti a malattie inesistenti (ipocondria), o confusi con quelli di una patologia fisica reale. L’anziano depresso arriva a percepire la vita come non più meritevole di essere vissuta, nei casi più gravi di desiderare di porvi fine. La maggior parte degli studi epidemiologici ha evidenziato che il sesso femminile presenta un rischio circa due volte superiore a quello maschile di sviluppare un’alterazione dell’affettività. In genere, si ritiene che le donne, oltre a riferire un maggior numero di sintomi depressivi, presentino una maggior tendenza ad inibire l’emotività. Pur considerando le emozioni più importanti rispetto al sesso maschile, nasconderebbero i problemi affettivi mascherandoli con disturbi somatici. Una prevalenza che cresce in maniera rilevante all’aumentare dell’età. I fattori che incrementano il rischio di depressione in una persona anziana riguardano aspetti esistenziali, sociali, psicologici e biologici, variamente intrecciati tra loro nei singoli casi. I più documentati sono il sesso femminile, essere celibi/nubili o vedovi, la disabilità fisica (ad es. per malattia), un lutto recente e l’isolamento sociale. Va ricordato che gli anziani sono particolarmente esposti ad eventi di perdita, come la scomparsa di persone care, il pensionamento, la riduzione del ruolo sociale e delle risorse economiche, ecc. Altre condizioni che predispongono un anziano alla depressione posso-
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no essere la presenza continua di dolore fisico, una storia personale o familiare di depressione, l’abuso di alcol. Anche l’alterazione dei livelli ormonali sessuali, quindi menopausa e andropausa, hanno la loro incidenza. Sintomi depressivi sono anche riscontrabili in un ampio numero di patologie acute, comprese quelle oncologiche. A rivestire un ruolo importante, in età senile, è la vita affettiva, quindi le relazioni interpersonali. Non sono ancora però noti i rapporti di causalità: è difficile valutare se le interazioni sociali rappresentino la causa o piuttosto la conseguenza della depressione. I numerosi eventi negativi che accompagnano l’ultima parte della vita rendono ragione, sul versante psicosociale, della maggiore prevalenza della depressione in questa fascia di età.
Diagnosi
Nonostante tutto è complicato diagnosticare la depressione senile: la valutazione nell’anziano si fa più complessa perché astenia, facile faticabilità, disturbi del sonno, perdita di peso, sono gli stessi sintomi chiave che accompagnano l’invecchiamento, ma anche numerose patologie somatiche di cui l’anziano è spesso affetto. Gli anziani depressi, di fondo, tendono a sottovalutare la loro depressione e a non riferire spontaneamente sintomi importanti, come ad esempio il calo di interesse o di piacere nello svolgere ogni tipo di attività. Richiamano piuttosto l’attenzione del proprio medico curante sul loro corpo, riferendo dolori diversi, disturbi utilizzati come “mediatore” della comunicazione del disagio emotivo. A causa dei complessi meccanismi attraverso i quali si origina e instaura la depressione non sono ancora stati stabiliti dei metodi di prevenzione scientificamente provati. Obiettivo primario è un approccio preventivo cercando di identificare le persone anziane
a rischio, attraverso l’analisi dei fattori citati in precedenza. In anziani affetti da malattie croniche, per esempio, tecniche di tipo cognitivo, abbinate all’esercizio fisico, sono risultate efficaci nei confronti di iniziali, lievi, sintomi depressivi e ansiosi ed anche dell’insonnia. Un approccio “primario” di tipo biologico è considerato l’abbassamento dei fattori di rischio vascolare (ipertensione, fumo, ecc.). Informare gli anziani e i loro familiari circa la malattia depressiva ed i suoi possibili trattamenti è importante per aumentare il numero di persone che chiedono aiuto.
Terapie
Partiamo da un dato di fatto: se correttamente riconosciuta, la depressione può essere efficacemente curata nell’85% dei casi e ciò può evitare le gravi conseguenze che possono presentarsi se non opportunamente trattata. Principalmente occorre ridurre i sintomi psichici e fisici della depressione, migliorando le funzioni cognitive (attenzione, memoria, concentrazione, ecc.) e le capacità relazionali. Nei casi opportuni, va fornito anche un aiuto mirato a migliorare le capacità della persona di gestire la disabilità, eventi di vita negativi o situazioni relazionali conflittuali. I farmaci antidepressivi sono l’intervento di scelta nel caso di una depressione mediograve, da soli o in combinazione con una psicoterapia, mentre un intervento di supporto psicologico o una psicoterapia possono essere indicati, da soli, nei casi di depressione più lieve. Negli anziani in particolare, la ricerca ha dimostrato che i farmaci antidepressivi sono efficaci così come negli adulti giovani e che l’adeguatezza è tanto più evidente quanto più la depressione è clinicamente importante. Gli antidepressivi maggiormente impiegati negli anziani appartengono ai cosiddetti composti di “nuova ge-
Spesso i pazienti riferiscono solo sintomi fisici e non emotivi, affettivi o psico-sociali
nerazione” e vengono definiti con delle sigle quali “SSRI” e “SNRI” a seconda che incrementino nel Sistema Nervoso Centrale la trasmissione della sola serotonina o della serotonina e della noradrenalina insieme. Questi antidepressivi rappresentano oggi la prima scelta terapeutica rispetto ai composti “di vecchia generazione” quali i “Triciclici”. Il vantaggio dei farmaci più recenti non riguarda tanto l’efficacia terapeutica, quanto la maggiore tollerabilità, sicurezza e maneggevolezza, caratteristiche molto importanti per l’impiego in una popolazione “fragile” come quella anziana. I Triciclici riducono la capacità di fissare i ricordi, possono essere troppo sedativi e determinare brusche cadute della pressione arteriosa. I nuovi antidepressivi, anche se con alcune differenze,
offrono una migliore tollerabilità cardiovascolare e non determinano effetti negativi a carico dell’attenzione o della memoria, spesso già deficitarie in età avanzata. Alcuni dei farmaci più recenti sembrano, anzi, migliorare queste funzioni cognitive in modo indipendente dalla stessa azione antidepressiva. Il profilo di tollerabilità favorevole rende nel complesso più agevole l’impiego degli antidepressivi “di nuova generazione” anche in persone anziane con malattie fisiche, soprattutto cardiopatie, o affette da demenza. La concomitanza di una patologia fisica non costituisce quindi più una controindicazione alla cura della depressione, ma anzi un motivo in più per metterla in atto, dato l’effetto negativo che la depressione stessa esercita sulla prognosi delle malattie. Negli anziani i tempi di trattamento ap-
paiono prolungati rispetto a quelli degli adulti giovani, per la maggior durata degli episodi e per il maggior rischio di ricadute. Un accenno, infine, alla psicoterapia: gli interventi di tipo psicologico possono risultare utili nei casi di depressione conseguente, ad esempio, ad eventi esistenziali negativi e con aspetti di disadattamento e sofferenza. Raramente l’anziano richiede spontaneamente un intervento psicologico, in quanto ha difficoltà a riconoscere la propria sofferenza psichica e può vivere con vergogna (gli uomini più delle donne) il rimandare ad un estraneo i suoi bisogni di accoglienza e di ascolto. Per questa ragione la richiesta generalmente proviene da familiari o curanti, rendendo più complessa la costituzione di un’alleanza terapeutica tra medico e malato. n
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Dormiamo insieme? Secondo una recente ricerca la compagnia notturna di un animale domestico potrebbe aiutare a rilassarsi e ottenere una migliore qualità del sonno di Chiara Baldetti Illustrazioni Sabrina Ferrero
s
Sull’opportunità
di vivere con gli animali in casa esistono due scuole di pensiero ben precise: c’è chi crede che l’animale sia un ospite, ben accetto ma che a un certo punto debba uscire e vivere la maggior parte della sua vita all’aperto (giardino permettendo), e chi crede che sia un coinquilino/ compagno di vita con gli stessi diritti del padrone che può usufruire a suo piacimento di ogni stanza in ogni momento della giornata. Chi appartiene a questa seconda
corrente di pensiero sarà felice di apprendere i risultati della ricerca svolta dal Mayo Clinic College of Medicine di Scottsdale (Usa), pubblicata recentemente sulla rivista Mayo Clinical Proceedings, secondo cui chi dorme con il proprio animale domestico riposerebbe meglio degli altri. Per giungere a questa conclusione, gli autori dello studio hanno esaminato la quantità e la qualità del sonno di 150 persone, di cui il 49% (74) possedeva un animale
domestico. Il 56% di questi permetteva al loro amico a quattro zampe di dormire nella propria stanza. Secondo le interviste realizzate, la compagnia di cani e gatti disturbava soltanto il 20% dei proprietari, mentre il 41%, sosteneva non solo che non fossero fastidiosi, ma addirittura che la loro compagnia li aiutasse a riposare meglio. In che modo? La presenza degli animali faceva sentire i padroni più rilassati, sicuri e protetti du-
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rante la notte, migliorando così la qualità del sonno. Va aggiunto che questo vale soprattutto per le persone single o che dormono da sole. Secondo i ricercatori, poi, ci sono altri distinguo importanti da fare, che dipendono dal tipo di animale domestico con cui si convive. Per un sonno tranquillo e rilassato, infatti, i compagni di stanza migliori sarebbero i cani. Non a caso sarebbero i migliori amici dell’uomo, infatti, hanno un sonno costante, simile al nostro, che non disturba durante il corso della notte. Questo se sono comodi e tranquilli, perché in caso contrario abbaieranno e si lamenteranno
per far valere le proprie ragioni (ad esempio il desiderio di salire sul letto o di comunicare con altri cani fuori di casa). Sempre secondo lo studio dei ricercatori americani, i gatti non sarebbero altrettanto di buona compagnia. Chi li possiede sa bene come i loro orari da felini non coincidano esattamente con i nostri e che per questo alle 4 di notte tendono a gironzolare per casa e correre lungo il corridoio senza apparente motivo. Inoltre il sonno dei gatti non è costante ma fatto di tanti brevi sonnellini che permettono all’animale di reagire ad eventuali stimoli o minacce immediatamente (ecco perché
saltano su ad ogni rumore o spostamento che il nostro orecchio umano non percepisce neanche lontanamente). Ciononostante, alcuni proprietari di gatti dichiarano che dormire con loro rappresenti una preziosa fonte di relax. Magari per il riposino pomeridiano di circa un’ora. Infine i volatili e i roditori sembrano essere i meno adatti a questo scopo perché più rumorosi di cani e gatti, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Tuttavia, sono anche più gestibili, grazie alle loro pratiche gabbiette che possono essere coperte e spostate in altre stanze della casa.
Le posizioni del sonno canino Le sei posizioni più comuni nel sonno dei cani possono rivelarne anche il carattere o l’umore, eccole qui:
1. Sul fianco: è la posizione più diffusa e anche la più tranquilla e riposata. Se il vostro cane tende a dormire sul fianco, significa che si trova a proprio agio con l’ambiente circostante e si sente sicuro. I cani che dormono in questa posizione sono molto leali verso il padrone.
2. La volpe: si tratta della posizione arrotolati su sé stessi ed è anche questa molto comune. Le zampe sono nascoste sotto il corpo e la coda avvolta intorno fino a toccare il muso. Così il cane conserva il suo calore. I cani che dormono in questa posizione sono gentili, accomodanti, e hanno una disposizione naturalmente dolce.
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3. Superdog: con tutte le zampe stese e la testa perfettamente a terra, sembra che il vostro cane sia pronto a spiccare il volo. È la posizione tipica dei cuccioli e dei cani molto energici, e giocherelloni.
4. Zampe pazze: una posizione sicuramente stramba e apparentemente poco comoda, rivela che il cane è completamente a suo agio tanto da tenere i suoi arti esposti nella posizione più vulnerabile. Il cane si sente al sicuro con gli uomini e con l’ambiente, è tranquillo e indipendente.
5. Sul pancino: è una posizione poco rilassata, in quanto i muscoli sono in tensione. Può essere indice di nervosismo o di un carattere molto energico e avventuroso, sempre pronto all’azione!
6. Svenuto: è la posizione tipica dei cani che dormono in casa, perché consente di raffreddare il corpo più velocemente. I cani molto attivi, che spendono tante energie durante il giorno, tendono a dormire sulla schiena. Questa posizione indica un cane felice, sicuro e rilassato, che si adatta facilmente a situazioni nuove. n
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Hobby House
di Gelsomina Sampaolo
Libreria Bambini
La strada di cioccolato
Tre fratellini di Barletta una volta, camminando per la campagna, trovarono una strada liscia liscia e tutta marrone. Per saperne di più diedero una leccatina. Rodari G.; E.Elle; Euro 4,50
Una serie di sfortunati eventi, un infausto inizio
Primo episodio della saga di Lemony Snicket, da cui è tratto il film con Jim Carrey. Tre orfanelli devono liberarsi dell’individuo più viscido e malvagio del mondo. Lemony S.; Salani; Euro 12,00
In Salute
Aloe e propoli, gli elisir di lunga vita
Benefici, cenni storici e campi di utilizzo di aloe e propoli, antibiotici ed elisir naturali. Mazzanobile C.; Falco editore; Euro 15,00
Perchè i figli della playstation hanno i denti storti?
Perché un numero sempre maggiore di adolescenti ha i denti storti, nonostante i progressi in campo alimentare, igienico e ortodontico, e deve ricorrere ad apparecchi o altre cure dentistiche? Ovidi R.; Terra Nuova; Euro 13,00
Best Seller
Il magico potere del riordino
Oggetti di ogni tipo ci sommergono in abitazioni e uffici sempre più piccoli. Un metodo che garantisce l’ordine e l’organizzazione degli spazi vitali e anche la serenità spirituale. Kondo M.; Vallardi; Euro 13,90
Cinema Lo stagista inaspettato
Regia: N. Meyers con R. De Niro, A. Hahtaway Trama: un pensionato inizia uno stage per sfuggire alla noia. Giudizio: una commedia al passo con i tempi, che insegna l’importanza dei vecchi leoni.
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La ragazza nella nebbia Ad Avechot, fra le ombre delle Alpi, l’agente speciale Vogel, manovratore dei media senza scrupolo, ha un incidente e un caso irrisolto tra le mani. Carrisi D.; Longanesi; Euro 18,60
Musica Sound & Color Alabama Shakes
Un gruppo che riesuma il sound anni ’70 del rhythm&blues e le radici più profonde del soul con la voce inconfondibile di Brittany Howard.
Ultima pagina
ricette
Agnello “scottadito” • Olio • Rosmarino • Pepe • Sale • Limone • Vino bianco Pulite le costolette dal grasso in eccesso vicino all’osso e poi battetele con un tritacarne, quindi adagiatele a marinare in frigo per circa 30 minuti, in una pirofila con sale, pepe, olio di oliva, aglio tritato, limone, vino e rosmarino. Una volta terminato il processo di marinatura, cuocetele alla brace o in alternativa su una piastra di ghisa. Bastano 4 minuti per lato a fuoco vivace.
Leo dixit
Oroscopo
Segno del mese Pesci 20/02 - 20/03
È il momento di osare, nel lavoro e nella vita privata, gettando alle ortiche atavici timori. Potrete realizzare le vostre aspirazioni e incontrare chi vi farà felice o abbandonare una situazione ormai irrecuperabile.
Ariete 21/03 - 20/04
Prenderete decisioni importanti. Turbolenze in amore.
Inesperti “L’esperto è un signore che, a pagamento, ti spiega perché ha sbagliato l’analisi precedente”. (Leo Longanesi)
Toro 21/04 - 20/05
Lo Sapevate?
Fantasia e voglia di cambiare: quanti progetti avete fatto?
Siete comunicatori nati. Più dolcezza col partner.
Gemelli 21/05 - 21/06 Cancro 22/06 - 22/07
La Pasqua si calcola con la luna Per calcolare esattamente quando cadrà il giorno di Pasqua (convenzionalmente sempre di domenica), si parte dall’equinozio di primavera, che la Chiesa per semplicità considera sempre il 21 marzo. Da lì, come in un gioco dell’oca, si va alla “casella” del primo giorno di luna piena e poi alla domenica successiva, che viene eletta come giorno di Pasqua. La Pasqua può essere bassa (tra il 22 marzo ed il 2 aprile), media (313 aprile) o alta (14 aprile-25 aprile). Quest’anno cadrà il 27 marzo, nel 2017 il 16 aprile, nel 2018 il 1 aprile, nel 2019 il 21 aprile e nel 2020 il 12 aprile.
Smussate le vostre asperità, successi dietro l’angolo.
Web Zone
È arrivata l’ora di mutamenti di vita radicali.
Bimbi digitali Per uno studio dell’Università di Cork (Irlanda) i bambini già a 2 anni sanno usare le moderne tecnologie touchscreen, sanno sbloccare lo schermo, scorrere le pagine e anche usare alcune app di smartphone e tablet. Quel che si dice “nativi digitali”.
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Soffia il vento del cambiamento, ma in amore solo stabilità.
Leone 23/07 - 23/08
Sapete improvvisare e sedurre come pochi.
Vergine 24/08 - 22/09
Quanto sviscerate! Ma separate la vita professionale da quella privata.
Bilancia 23/09 - 22/10
La vostra proverbiale creatività illuminerà i tanti progetti in cantiere.
Scorpione 23/10 - 22/11 Sagittario 23/11 - 21/12
Capricorno 22/12 - 20/01
Ascoltate gli altri, nuovi progetti si realizzeranno.
Acquario 21/01 - 19/02
Meno sogni, più pragmatismo e novità in tutti i campi
Cosa facciamo su Facebook Il tasto preferito è “Mi Piace” (64% degli utenti), seguito da: visualizzazione dei video (50%), scambiare messaggi con un amico (48%), commenti a foto o video (47%), lettura di un articolo di una storia (46%), la condivisione di un post (43%).
Cosa facciamo su Twitter Primo posto per le news (41%), seguita a pari merito dallo scorrimento della home e dalla visita alla sezione dei Trending Topics (35%). A seguire: condivisione di un tweet rivolto ad un amico (34%), retweet di un contenuto (33%) e il “Mi piace” a forma di cuore ai tweet degli amici (31%).
CONCERTI
Le date del mese Baglioni-Morandi: 2-3-4 Napoli, 7 Roma, 11-12 Acireale, 14 Eboli, 16 Pesaro,18-19 Torino, 22-23 Casalecchio di Reno. Max Gazzè: 5 Brescia, 12 Riva del Garda, 19 Cerea, 25 Padova. Gianna Nannini: 20-21 Torino, 26 Sanremo. Stadio: 13 Bologna, 19 Assisi. Franco Battiato e Alice: 3 Cesena, 4-5 Ancona, 8-9-10 Milano, 12 Pescara, 14 Perugia, 16-17-19-20 Roma, 23 Napoli, 29 Reggio Emilia, 30-31 Bologna. Marlene Kuntz: 23 Roma. Francesco De Gregori: 5 Roma, 8 Napoli, 11 Catania, 12 Palermo, 15 Torino, 17 Firenze, 19 Genova, 20 Parma, 23 Milano. Eros Ramazzotti: 1 Eboli, 3-4 Roma, 6 Torino, 7 Assago, 11 Montichiari, 13 Conegliano. Daniele Silvestri: 10 Genova, 11 Aosta, 12 Senigallia, 18 Isernia, 19 Pescara, 21 Bari, 22 Napoli. Roberto Vecchioni: 12 Jesi. Nomadi: 6 Roma, 7 Perugia, 15 Catania, 16 Palermo, 24 Cagliari, 25 Sassari.