N. 251 ANNO XXV Novembre 2016
Dentista
Tutti i vantaggi dell’implantologia
Bellezza
Mani in inverno? Igiene, creme e guanti
Alimentazione
I benefici della papaya frutto della salute
Dossier
Conoscere la menopausa
in questo numero
L’ADERENZA ALLE TERAPIE
IN MOLTI NON SEGUONO LE PRESCRIZIONI MEDICHE: TUTTE LE CONTROINDICAZIONI
Sommario
Anno XXV n. 251 Novembre 2016
Post-it
Direttore responsabile Claudio Sampaolo Coordinamento editoriale Roberta Stagno Grafica e impaginazione Enrico Marinelli email: info@studiorocchetti.com Redazione Studio Rocchetti Comunicazione Strada Lacugnano Giardino, 3 06132 Perugia e mail: redazione@studiorocchetti.com Tel. 075 5170247 Fax 075 5171430 Marketing e pubblicità Francesca Capalbo Tel. 06 41481370 Fax 06 41481383 Gabriele Iannella Tel. 06 41481292 email: optima@comifar.it
Collaboratori Francesca Aquino, Chiara Baldetti, Benedetta Ceccarini, Stefano Ciani, Pompeo D’Ambrosio, Melissa Finali, Francesco Fioroni, Andrea Giordano, Maria Mazzoli, Roberto Moraldi, Simona Peretti, Maria Pia Pezzali, Giuseppe Rinonapoli, Rolando Rossi, Gelsomina Sampaolo, Filippo Tini Consulente scientifico Dottor Pompeo D’Ambrosio Fotografie AGF Creative - Fotolia - iStock Illustrazioni Sabrina Ferrero Editore Comifar Distribuzione S.p.a. Via Fratelli Di Dio, 2 20026 Novate Milanese (MI) Registrazione del Tribunale di Milano n.727 del 04/12/2008 Fotolito e Stampa Charterhouse in collaborazione con Rotolito Lombarda S.p.A. Via Sondrio, 3 20096 - Seggiano di Pioltello (MI) Prezzo per copia € 1,00 Costi di abbonamento: copie 50 € 250,00 copie 100 € 365,00 copie 150 € 505,00 copie 200 € 655,00 copie 300 € 950,00 copie 500 € 1.545,00 Rivista ceduta esclusivamente in abbonamento attraverso il canale Farmacia Info e abbonamenti: www.optimasalute.it
omaggio del tuo farmacista
Rubriche
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Attualità in Farmacia La hit parade delle novità
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Post-it Pro-memoria della salute
di Francesca Aquino
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Hobby House Cinema, musica e libri
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Ultima pagina Oroscopo, ricette, appuntamenti, curiosità
di Gelsomina Sampaolo
Testata associata
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OPTIMASALUTE
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Sommario
Anno XXV n. 251 Novembre 2016
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Dossier
Conoscere la menopausa È forse il disturbo più temuto dalle donne, compare attorno ai 50 anni e spesso provoca notevoli traumi psicologici. Eppure esistono delle linee guida per affrontarla al meglio, prevenendola con un diverso stile di vita e seguendo terapie mediche apposite a cura di Benedetta Ceccarini
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Benedetta adrenalina Aiuta a superare le difficoltà derivanti da situazioni di paura, pericolo o stress di Pompeo D’Ambrosio
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Papaya, il frutto della salute Supporta il sistema immunitario e aiuta nei periodi di stress fisico e mentale
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La febbre (benedetta) dei bambini Se non è alta può proteggere e rinforzare l’organismo. E occhio agli antibiotici
di Melissa Finali
di Chiara Baldetti
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di Gelsomina Sampaolo
Tutti i vantaggi dell’implantologia Una affidabile soluzione alternativa per sostituire i denti naturali mancanti
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Quelle gelide manine Quattro utili consigli per proteggerle e nutrirle in vista dell’inverno
di Maria Mazzoli
Germi e batteri? Cercateli in casa Cellulari, pc, auricolari o lenzuola possono esporci al rischio di infezioni di Gelsomina Sampaolo
Attualità in Farmacia
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
Le novità e i prodotti in vendita in Farmacia
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Post-it salute
di Francesca Aquino
Troppo lavoro, meno affetto
A lungo andare l’ossessione per il lavoro causa sintomi di malessere affettivo, irritabilità, ansia, depressione e anche un’elevata pressione sanguigna. Lo affermano tre studiosi italiani (i professori Cristian Balducci, associato di Psicologia del lavoro dell’Università di Bologna, Lorenzo Avanzi, Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, e Franco Fraccaroli, Università di Trento) con il loro recente studio pubblicato sul Journal of Management. Lo studio è stato condotto dai ricercatori su due fronti: un campione di 311 fra liberi professionisti, dirigenti e imprenditori, ed un gruppo di 235 lavoratori dipendenti.
Che lingua parlano i neonati?
Anche i vagiti dei neonati variano a seconda della nazionalità. Questo è il risultato di una ricerca condotta da un gruppo di scienziati tedeschi e cinesi e coordinata dall’Università di Wurzburg, apparsa sulla rivista Speech, Language and Hearing. Tonalità e suoni dei pianti dei bebé, infatti, sono influenzati dalla lingua parlata dalla mamma e dall’ambiente circostante. Così un neonato cinese emette suoni particolarmente melodici, mentre uno europeo libera il pianto a pieni polmoni. La “lingua” dei neonati potrebbe subire addirittura le situazioni ambientali, come sottolinea una ricerca pubblicata qualche tempo fa sulla rivista dell’Accademia Americana delle Scienze Pnas, che mostra come le lingue tonali siano più diffuse nelle aree del pianeta con un più elevato tasso di umidità mentre le inflessioni sarebbe molto più limitate nelle zone maggiormente secche.
Una Apple al giorno…
La società Apple pare concentrarsi sempre più sul settore salute. Secondo il Wall Street Journal, infatti, l’azienda ha appena acquisito Gliimpse, una start up che ha creato un’app per gestire e condividere con facilità i dati sanitari, da integrare con le funzionalità del nuovo Apple Watch. Apple ha già sviluppato, nello stesso ambito, piattaforme come HealthKit e CareKit destinate proprio alla gestione dei dati sanitari, oltre a ResearchKit specificatamente dedicata ai test clinici.
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Post-it salute
Rumori del traffico e infarti
Vivere vicino a una strada trafficata potrebbe aumentare il rischio di morire prematuramente. Lo afferma la Technical University di Dresda, in Germania, secondo cui l’esposizione costante al rumore del traffico può mettere sotto stress il corpo, aumentando il rischio di subire un attacco cardiaco. Studi precedenti hanno già provato che il rumore aumenta il rischio ictus e morte prematura, mentre questo studio ha dimostrato nello specifico una correlazione tra l’esposizione al rumore del traffico stradale, ferroviario e aereo (questo con un rischio minore degli altri), e un attacco di cuore.
Vitamina D e allattamento
La vitamina D è essenziale nelle primissime fasi della crescita, per il calcio e il metabolismo delle ossa. Ecco perché le neomamme che allattano hanno bisogno di questa integrazione, che potrebbe essere decisiva anche per evitare fenomeni come il rachitismo (una malattia che rende le ossa fragili) nei neonati. In una ricerca dell’Università di Otago, Nuova Zelanda, pubblicata su Journal of Nutrition sono state prese in esame 90 donne ed è emerso un aumento significativo dei livelli di vitamina D nel sangue dei neonati le cui madri hanno assunto la dose più alta.
Tablet, sedativo preoperatorio
I medici francesi dell’EPICIME, Hospital mere enfant, Hospices Civils di Lione hanno presentato una ricerca innovativa all’ultimo Congresso mondiale di anestesiologia di Hong Kong. Analizzando in maniera randomizzata un campione di 115 bambini tra i 4 e 10 anni hanno scoperto che gli effetti dell’uso di un tablet prima di un intervento sono simili a quelli di un tranquillante pre-anestetico (midazolam, una benzodiazepina ad azione rapida regolarmente utilizzata come sedativo). Dalle analisi dell’ansia effettuate sui bambini divisi in due gruppi (tablet vs sedativo) è emerso che i due metodi portavano a pari risultati. Non solo: sia gli adulti che i bambini del gruppo tablet avevano trovato “maggiore soddisfazione”.
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Benedetta adrenalina
È l’ormone che entra in circolo quando si verifica una situazione di paura, pericolo o stress ed aiuta l’organismo a superare difficoltà ritenute insormontabili di Pompeo D’Ambrosio medico sportivo, cardiologo
s
Si cerca sempre di spiegare tut-
to e di dare un significato ad ogni cosa, ma non sempre è così facile. Per esempio: “Perché, dopo un temporale, nel cielo compare
l’arcobaleno?”. Subito i cosiddetti sapienti cominciano a chiamare in causa l’elettricità dell’aria, la storia che la luce... ecc. E poi: “Come mai le lucciole si illuminano ritmi-
camente?”. Anche in questo caso è tutto uno sciorinare competenze più o meno presunte, chiacchiere da bar o spiegazioni da “Superquark” o da lettori di “Focus”.
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Effettivamente, però, certe realtà sono, per così dire, inspiegabili e non si riesce, utilizzando le conoscenze usuali, a dare un significato a tutto. Sarà capitato sicuramente ad ognuno di meravigliarsi di certe capacità fisiche improvvisamente tirate fuori dal cilindro, al momento giusto, come se niente fosse, e in grado di trasformare una persona normale in supereroe, almeno per qualche momento. Senza giungere a tanto, ricordo personalmente il giorno di tanti anni fa quando, dopo una sbornia colossale della notte precedente non del tutto smaltita, andai allo stadio di atletica a vedere la gara di un mio amico. La bocca ancora impastata dal sonno e dai fumi dell’alcol, la testa che scoppiava dal dolore, mi aggiravo sul prato all’interno della pista per cercare di seguire meglio la competizione; improvvisamente, si trattava di una gara con degli ostacoli, il mio amico, messo un piede in fallo, è caduto, sbattendo violentemente la coscia sul bordo in cemento. Sin qui, niente di strano, una caduta è sempre in agguato. Visto che però non accennava a rialzarsi, mi sono avvicinato per incitarlo a riprendere la corsa: la posizione era buona, e avrebbe potuto ancora correre in un tempo sotto il suo personale. Vedevo la gente intorno a lui, a terra, che si agitava, e non ne comprendevo il motivo. Dopo essermi accostato ancor più alla scena e aver guardato meglio, ho cominciato a capire: con la caduta, aveva sbattuto violentemente il femore contro il cordolo, e l’osso si era fratturato, a giudicare dall’immediato gonfiore della coscia (in pochi minuti quasi il doppio dell’altra) e dalle sue urla. Altro che continuare la gara, c’era da gestire i soccorsi. Come per miracolo (non sto
scherzando), in un solo istante erano pressoché scomparsi malessere generale e mal di testa, e le mie gambe diventate da malferme dritte ed efficienti: ho iniziato a correre per trovare un telefono e chiamare l’ambulanza, e nel frattempo pensavo a come coordinare la situazione. Ho tamponato la ferita, sono salito sull’ambulanza e, insomma, in poche parole sono riuscito a comportarmi meglio di quello che teoricamente mi avrebbero permesso le mie conoscenze del momento (ero ancora uno studente di medicina alle prime armi). Fino al momento in cui non sono tornato a casa, a notte inoltrata, non c’è stato un attimo di cedimento psicofisico, fatto del tutto inspiegabile al momento. Ripeto, ognuno di noi potrebbe raccontare episodi analoghi, senza saper bene perché questo accada. Mamme che per salvare un figlio in pericolo sono in grado di esprimere picchi di forza inimmaginabili, persone che, coinvolte in situazioni di pericolo, di panico, o semplicemente sotto stress, sono capaci di comportamenti e risposte inspiegabilmente al di sopra delle loro possibilità. Naturalmente al bar c’è sempre una spiegazione per tutto, e, come vuole la tradizione, ogni tentativo deve però essere vago, incompleto, inesatto. In questo caso, la parola chiave, detta dal saggio di turno, è “l’adrenalina mi fa sentire bene!”. C’è poi l’imbecille che, per giustificare la guida a 200 all’ora, magari di notte e a fari spenti, se ne esce con “ho bisogno di una “botta” di adrenalina”.
La “scarica” che dà carica
Come si vede, ce n’è per tutti i gusti. Bisogna aggiungere che, a bruciapelo, la giustificazione della scarica di adrenalina non è sba-
gliata, anche se usata in modo improprio e talora a sproposito. Vediamo di procedere con ordine. Adrenalina e noradrenalina sono due sostanze molto simili, che vengono sintetizzate nelle ghiandole surrenali (stanno effettivamente sopra il rene, da qui il nome) in situazioni particolari. A volte viene usato il termine di catecolamine: si tratta delle stesse sostanze, così definite solo per la struttura chimica. Possiamo considerarle degli ormoni (perciò secrete dalle ghiandole) messi in circolo tutte le volte che si verifica una situazione “non normale”, cioè di paura, pericolo, stress. Ed è allora che l’organismo fa ricorso a queste sostanze: del resto perché stupirsi, quando nei momenti di massima difficoltà, Superpippo ingoiava le supernoccioline (spagnolette), Braccio di Ferro gli spinaci, e in definitiva ogni supereroe trova il suo potere in qualcosa di particolare (Sansone e i suoi capelli)? Per lo meno, anche senza la necessità da parte dei protagonisti di trasformarsi in eroi, le catecolamine hanno una portata “popolare”, in quanto sono presenti nell’organismo di chiunque e possono essere liberate nel sangue di ogni persona nelle situazioni che abbiamo visto. Tra adrenalina e noradrenalina c’è qualche piccola differenza, come vedremo poi. Nel frattempo quello che si deve tener presente è essenzialmente la causa scatenante, cioè una situazione particolare richiedente una reazione immediata e significativa: è per questo motivo ad esempio che, anche se svegliati di soprassalto o in totale rilassamento psicofisico, l’organismo si appresta a reagire in modo adeguato e nel minor tempo possibile. L’istinto, a volte definito di conservazione o sopravvivenza,
si basa proprio su questa valutazione immediata della situazione anomala. In base al calcolo fatto, la reazione, per usare un termine semplicistico ma molto conosciuto e in voga, sarà essenzialmente di due tipi, tra loro opposti: combattimento (fight) o fuga (flight). Non c’è scampo e, soprattutto, non c’è alternativa. L’organismo fa partire in ogni caso il segnale e c’è un’immediata liberazione di catecolamine nel sangue. A questo punto finiscono le conoscenze e le conseguenti spiegazioni degli “esperti del bar”: è vero, c’è stata
la “scarica di adrenalina”, ma che significa? Perché avviene una reazione così concitata? Questo si può spiegare prima di tutto con il meccanismo di azione dell’adrenalina, che si traduce in un aumento della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e della forza e velocità di contrazione del cuore, che così riesce ad aumentare anche la quantità di sangue pompata in circolo ogni minuto (portata cardiaca). Inoltre c’è una ridistribuzione del flusso sanguigno, spostato da organi meno importanti in quel momento (apparato gastrointesti-
nale) ad altri come muscoli, cuore, fegato, reni e cervello, che hanno invece maggior necessità. Ci sono effetti anche sull’apparato respiratorio, con una dilatazione dei bronchi, e sul metabolismo, con un aumento della capacità di utilizzare il glucosio e i grassi. Se osserviamo con attenzione questi effetti, non dobbiamo stupirci più di tanto: per far fronte al pericolo, tutte queste azioni considerate, sia separatamente che in un contesto globale, indirizzano verso la via finale comune, rappresentata proprio dall’istinto di sopravvivenza.
Fattori scatenanti: ansia, dolore e... piacere C’è però un punto fondamentale di cui tener conto. L’adrenalina, come anche la noradrenalina, possono esercitare i loro effetti, una volta che sono state immesse in circolo, solo grazie alla possibilità di agire sugli organi “bersaglio”, cioè su quelle strutture che sono oggetto del loro campo di azione. Questo avviene per merito del “recettore”: si tratta di una proteina che si lega con una sostanza (interna all’organismo, o esterna, come ad esempio un farmaco) modificando la struttura e permettendo così di provocare un cambiamento. Nel nostro caso l’adrenalina e la noradrenalina hanno due tipi di recettori, alfa e beta, a loro volta distinti in alfa 1 e 2 e beta 1 e 2. Sono distribuiti in modo differenti nei vari organi, permettendo così risposte diverse, e anche la loro sensibilità nei confronti delle due sostanze cambia. Senza entrare in particolari troppo specifici, possiamo perciò sostenere che avvengono queste azioni in una cascata successiva e rapidissima. Quali sono i fattori che determinano una risposta quasi immediata dell’organismo attraverso il meccanismo della secrezione delle catecolamine?
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1) ansia 2) freddo 3) minaccia fisica 4) forti rumori 5) luce intensa 6) elevata temperatura ambientale 7) dolore 8) traumi 9) sforzi fisici 10) ipotensione 11) paura 12) ipercapnia (aumento della concentrazione di anidride carbonica nel sangue) 13) piacere intenso 14) fame. Pensateci bene: cosa hanno in comune tutte queste situazioni? Lo stress! Riassumendo la questione in poche parole, possiamo pertanto dire che, in seguito a queste sollecitazioni, il sistema nervoso simpatico agisce sulle ghiandole surrenali, che per tutta risposta mandano in circolo adrenalina e, se lo stimolo persiste, sia come durata che come intensità, anche noradrenalina. Questo comporta, grazie alla immediatezza dell’in-
tervento, che gli organi bersaglio (quelli cioè su cui agisce lo stimolo delle catecolamine) siano chiamati in causa grazie ai recettori presenti in superficie di membrana e agiscano tempestivamente. Ecco allora la fulminea risposta che determina il comportamento, di fuga o di combattimento (fight or flight, a seconda della necessità e del carattere del soggetto), altrimenti inimmaginabile in situazioni di presunta normalità. I due ormoni vengono secreti dalle ghiandole surrenali anche nel corso di un qualsiasi sforzo fisico, ad esempio di tipo aerobico: anche in questo caso è l’adrenalina ad agire per prima, quando il VO2 max (massimo consumo di ossigeno) raggiunge il 60%; la noradrenalina, viceversa, interviene ad uno stadio successivo, intorno al 75-80% dello sforzo, e riveste un ruolo più importante nel potenziare l’attività cardiocircolatoria. A questo punto, però, è da parte mia che sorge spontanea una domanda: “Ma voi, in situazioni di emergenza, vi comportereste da combattenti o fuggitivi?”. P.S. spero che questo mio interrogativo non stimoli una eccessiva risposta... “adrenalinica”. n
Papaya, il frutto della salute Sono innumerevoli i benefici apportati da questo autentico “gioiello” che supporta il sistema immunitario ed è un ottimo coadiuvante nei periodi di stress fisico e mentale di Melissa Finali biologa, nutrizionista
s
La papaya è una pianta della famiglia delle Caricacee i cui frutti, di consistenza piuttosto delicata e di color verde, giallo, arancio o rosa, possono pesare fino a 9/10 kg. È una pianta originaria del Centroamerica ma oggi si coltiva anche in molti Paesi di altri continenti, come Asia e Africa. Vive in
ambienti le cui temperature non scendono sottozero, per evitare che i frutti marciscano. Per questo motivo le piante crescono bene anche al Sud Italia. La papaya matura soprattutto nei mesi più caldi, anche se l’albero produce i frutti in altre stagioni, ecco perché si può trovare con una certa faci-
lità. Attualmente in tutto il mondo se ne coltivano 50 varietà diverse. Le più conosciute sul mercato italiano sono: Solo, Hortus Gold, Cera, Kagdum, Semangka. Ha diversi appellativi che ne lasciano intuire le potenzialità: “frutto della vitalità”, che ne richiama le proprietà toniche e rivitalizzanti,
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“frutto degli angeli”, secondo la definizione appresa da Cristoforo Colombo quando approdò nel Nuovo Mondo, “albero d’oro, dell’eterna giovinezza”, così descritta dal navigatore portoghese Vasco De Gama e infine “melone dei caraibi”. Dalla papaya si estrae un principio attivo, noto come papaina, che ha funzione proteolitica, ovvero favorisce la digestione delle proteine, per questo viene utilizzata nelle insufficienze gastriche e duodenali, ma questo non significa che favorisca il dimagrimento, come si sente dire negli ultimi tempi. Anzi, vi consiglio di prestare sempre molta attenzione alle diete strampalate della papaya o dell’ananas o dello zenzero che dir si voglia: non hanno fondamento scientifico e potreste rimanere delusi. Sono piuttosto alimenti che hanno ragione di essere inseriti in un regime alimentare salutare. Per intenderci, l’azione proteolitica conferisce alla papaya le stesse proprietà della pepsina, un enzima gastrico fondamentale per la digestione e in particolare per quella delle proteine. Ma a
differenza della pepsina, che per svolgere la sua funzione ha bisogno dell’acido cloridrico presente sempre nello stomaco, la papaina è attiva anche in ambiente neutro o basico. Questa caratteristica lo rende un frutto indicato, per esempio, alla fine di un pasto abbondante. Parlando di proprietà nutritive, la papaya è composta principalmente da acqua, ha quindi proprietà rimineralizzanti e diuretiche, oltre ad una buona quota di carboidrati più che altro semplici (zuccheri). Contiene tanta vitamina C e poi ancora vitamina A, vitamina E, vitamina K, acido folico, magnesio, potassio, rame, flavonoidi. È quindi un’ottima fonte di antiossidanti e ha un ottimo potenziale anti-aging, cosa che la rende un alimento di grande aiuto, soprattutto fermentata, per le patologie cronico-degenerative che vanno incontro a un grande stress ossidativo, come il Morbo di Parkinson. Basti pensare che dopo che il premio Nobel per la medicina Luc Montagnier lo regalò a papa Giovanni Paolo II (malato di Parkinson), il suo costo come integratore scese del 30%
per i malati di Parkinson, ma anche per i malati di Hiv, vista anche la capacità di incidere in meglio sulle difese immunitarie. L’effetto antinvecchiamento ad opera della papaya c’è soprattutto quando è matura al punto giusto, e aiuta anche come protezione dai tumori e dai disturbi cardiovascolari; alleata della salute del cuore, previene l’ossidazione del colesterolo che può portare alla formazione delle placche aterosclerotiche, causa di infarti e ictus. Per non parlare delle fibre, di cui questo frutto tropicale è ricchissimo, che aiutano a ridurre i livelli di colesterolo LDL (quello “cattivo”) nel sangue e ne riducono l’assorbimento a livello intestinale. Ovviamente le fibre contenute nella papaya aiutano anche la regolarità dell’intestino, che non guasta, e secondo alcuni studi scientifici, pare che queste fibre abbiano la capacità di legarsi alle tossine cancerogene del colon tenendole lontane dai tessuti sani; pertanto grazie a questa caratteristica e alle già citate proprietà antiossidanti, possiamo considerare la papaya un valido aiuto nella prevenzione del
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tumore al colon. Ma la vera rivelazione, grazie alla cultura giapponese, è stata, come accennato poco fa, la papaya fermentata, la cui trasformazione porta, da un lato, al profondo cambiamento del contenuto di proteine e carboidrati presenti nel frutto fresco e, dall’altro, alla capacità di generare delle nuove sostanze, chiamate betaglucani, che aiutano il sistema immunitario (da qui l’applicazione anche nei confronti dei malati di Hiv) e di proteggere il corpo dai radicali liberi. La fer-
mentazione avviene grazie a un lievito (Saccaromyces Boulardii) e al glucosio tramite un processo biotecnologico. Pertanto si può affermare che la papaya fermentata è un ottimo coadiuvante nei periodi di stress fisico e mentale. La modalità d’assunzione più diffusa per gli integratori a base di papaya fermentata è quella in bustine contenenti polvere solubile. La dose consigliata è piuttosto generica, in ogni caso, si consiglia di assumerne una bustina da 3 g al giorno. Anche se non ci
sono abbastanza approfondimenti a riguardo, alcuni studi hanno dimostrato una certa sensibilità all’integrazione alimentare di papaya fermentata nei pazienti con diabete mellito, che grazie agli antiossidanti sembrerebbe limitare lo stato infiammatorio generale oltre a favorire la riduzione della glicemia. Va sottolineato però che questi studi sono stati effettuati solo su pazienti malati che hanno spesso stili di vita e condotte alimentari abbondantemente da rivedere.
Occorre fare attenzione alle quantità Va detto però che, se il giusto sta nel mezzo, è importante non esagerare con determinate componenti di questo interessante frutto: i semi di papaya, che comunque sono da considerare all’interno della parte edibile, assunti quotidianamente dall’uomo, sono considerati un ottimo contraccettivo naturale, ma secondo alcuni studi scientifici condotti sugli animali, il loro uso prolungato potrebbe portare a infertilità maschile; non si sa ancora se questa infertilità sia reversibile, quindi nel dubbio meglio usare parsimonia. Le donne in gravidanza invece devono prestare attenzione al consumo di papaya; il frutto completamente maturo non è considerato rischioso, ma se è acerbo contiene molta più papaina e se è vero che ha delle meravigliose proprietà digestive, è anche vero che può indurre le contrazioni uterine. Inoltre non dimentichiamoci del suo contenuto di lattice che può provocare reazioni, anche gravi, nelle persone allergiche a questa sostanza. Pur essendo reperibile tutto l’anno, viste le sue proprietà sarebbe consigliabile consumarla soprattutto nella stagione fredda quando il sistema immunitario va maggiormente supportato. Esistono poi delle piccole accortezze da usare nel suo consumo,
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ovvero: se, comprandola, avete intenzione di consumarla in tempi brevi scegliete frutti dalla buccia giallo-arancia, morbidi al tatto; se invece l’acquistate con la buccia ancora verde e il frutto ha una consistenza dura, lasciatela maturare per un paio di giorni. Potete accelerare il processo di maturazione mettendola in un sacchetto di carta insieme ad una mela o una banana ma in tal caso è bene sapere che non svilupperà tutta la sua dolcezza. I punti neri che spesso si vedono sulla buccia non sono indice di marciume o eccessiva maturazione. Evitate invece di acquistare frutti troppo morbidi e ammaccati. Una volta a casa è bene conservarla in frigorifero chiusa in una busta, di plastica o
di carta. Di norma è consigliabile consumarla entro due o tre giorni, ma in genere una papaya matura si conserva in frigo anche una settimana. Per concludere, ecco un modo semplice, gustoso e sano per consumare questo frutto, magari a inizio pasto, prima della portata principale che sarebbe bene fosse un piatto unico: una fresca insalata di papaya, con finocchio, carote e cavolo cappuccio. Basta tagliare le carote e il cavolo cappuccio alla julienne o grattugiarli, tagliare il finocchio a piccoli cubetti e sbucciare la papaya tagliando anch’essa a cubetti. Versare gli ingredienti in un recipiente e aggiungendo una base di succo d’arancia, succo di limone, olio e buon appetito!
Calorie e valori nutrizionali 100 grammi di papaya contengono 43 kcal. Inoltre, per 100 g di prodotto abbiamo: • 0.3 g di grassi • 0 mg di colesterolo • 8 mg di sodio • 182 mg di potassio • 11 g di carboidrati (di cui 8 g di zucchero) • 1.7 g di fibre • 0.5 g di proteine. n
La febbre (benedetta) dei bambini Se non è alta è addirittura utile per proteggere e rinforzare l’organismo. Chi va all’asilo può prenderla anche dieci volte all’anno. E attenzione all’uso degli antibiotici di Chiara Baldetti
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l’abbassamento delle temperature è arrivata (o arriverà) anche la febbre. Un aiutino, quando è bassa, per chi vuol saltare qualche giorno di scuola o il tran-tran dell’ufficio, un malanno fastidioso quando si porta appresso tutta una serie di conseguenze indotte (dolori, spossatezza, problemi intestinali...), una preoccupazione vistosa, soprattutto per i genitori, se a far alzare la colonnina del mercurio sono i bambini, specialmente quelli più piccoli. Ma il consiglio dei pediatri, in questo specifico caso, è di non preoc-
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cuparsi troppo dell’“amica febbre” (che, anzi, li protegge e li rinforza), di gestirla, di prenderla per quello che è, cioè la risposta dell’organismo ad un’aggressione esterna, con innalzamento della temperatura corporea indotta da sostanze presenti nell’organismo (pirogeni endogeni) o introdotte dall’esterno (pirogeni esogeni), che vanno ad interessare il centro di termoregolazione dell’ipotalamo. In questo modo la temperatura sale e quando supera i 37 gradi comporta certamente disagio per il paziente, ma nel contempo impedisce la replica
di virus e batteri, che non riescono a moltiplicarsi. Un bambino sano, nella fascia di età tra 2 e 6 anni, può avere un rialzo termico anche 10 volte l’anno, specialmente chi frequenta gli asili nido. Molte febbri oltre che far passare notti insonni (ai genitori), aumentano anche gli anticorpi dei piccoli. Tra i falsi miti, bisogna escludere la teoria che la febbre alta provoca la meningite (semmai ne è solo un sintomo), o le convulsioni, così come l’eruzione dei primi dentini può provocare solo sbavamento
(scialorrea) e irritazione, non certo febbre. Vediamo di inquadrare, nel dettaglio, alcuni semplici consigli da seguire. Misurazione. Il valore della temperatura dipende in gran parte da dove viene “presa” e con quale strumento. Una considerazione basilare è che se viene misurata internamente (in bocca, nell’orecchio, nel sederino…) sarà alta, mentre inguine o ascella fanno registrare un valore più basso. Ancora: la sera e la notte è in genere più alta che nelle prime ore del giorno. Di sicuro, al di là di piccole variazioni, proprio per non disturbare troppo il bambino già abbondantemente infastidito dalla febbre, converrà usare un termometro elettronico digitale a bulbo, da
porre sotto l’ascella. I pediatri sconsigliano ormai la via rettale, anche se più precisa, perché non tutti i bambini dimostrano di gradire questo metodo ed anche per una questione di igiene: basta una piccola infiammazione locale o l’ampolla rettale piena per alterare i valori. Anche la misurazione orale può essere alterata, per esempio da una stomatite. Per andare sul sicuro è sufficiente togliere mezzo grado dalla temperatura ascellare per avere un risultato preciso. Terapie farmacologiche. Non sempre la comparsa della febbre è dovuta ad una infezione batterica e necessita del ricorso all’antibiotico, che in ogni caso va prescritto dal pediatra.
Abbassarla ricorrendo all’antipiretico allevia un fastidio e/o un malessere (mal di testa, dolori muscolari e articolari) ma comporta anche un allungamento delle condizioni infettive. Se il bambino ha la febbre, ma sta bene, corre, gioca, è vispo, non occorre somministrare l’antipiretico, generalmente paracetamolo sotto forma di sciroppo. Rimedi. Valgono sempre i vecchi consigli: riposo a letto, bere molto per evitare di disidratarsi (acqua, brodini, latte con miele...) e non coprirsi eccessivamente. Sintomi. Evitare, al primo accenno di febbre, di abbassare artificialmente la temperatura, perché una sua riduzione potrebbe mascherare altri sintomi e ritardare l’identificazione delle cause.
Batteri antibiotico-resistenti: i neonati a rischio Le infezioni costituiscono una delle principali cause di mortalità e morbilità in epoca neonatale, infatti, ogni anno nel mondo oltre un milione di neonati muoiono per questo motivo. Nel 2012 quasi sette milioni di neonati sono stati sottoposti a trattamento per patologie infettive batteriche. Gli antibiotici costituiscono la difesa più importante ed efficace a nostra disposizione per limitare le conseguenze a volte devastanti delle gravi infezioni, ma vengono spesso utilizzati in modo eccessivo e non sempre corretto, provocando così l’aumento di microrganismi multiresistenti. Per la Società Italiana di Neonatologia (SIN) la sempre più frequente presenza di microrganismi multiresistenti rappresenta un pericolo estremamente serio per i piccoli pazienti e trovare soluzioni adeguate è una delle sfide prioritarie del prossimo decennio, che necessita di un’azione su due fronti: impegno delle case farmaceutiche e rafforzamento della prevenzione, anche attraverso la regolamentazione dell’utilizzo
ospedaliero. La resistenza agli antibiotici dei batteri rappresenta una delle sfide più importanti della neonatologia per i prossimi anni, come spiega il dottor Mauro Stronati, Presidente della SIN: “la storia della scoperta di nuove classi di antibiotici ci insegna che l’emergere di resistenze avviene naturalmente non appena l’antibiotico viene utilizzato. Il quadro che emerge è quello di un mondo in cui “l’arsenale” per combattere i microrganismi è sempre più povero di mezzi: da un lato la difficile scoperta di nuove molecole, dall’altro la circolazione su scala mondiale di batteri resistenti a pressoché tutti gli antibiotici già in commercio. È necessaria una presa di coscienza individuale e collettiva sul fenomeno, ma principalmente l’adozione di un protocollo rigoroso all’interno degli Ospedali e nelle cure che prevedono l’impiego di antibiotici”. L’Italia è uno dei paesi più a rischio perché i batteri, a causa dell’uso massiccio, indiscriminato e sbagliato di antibiotici negli ultimi tre decenni, sono divenuti
più resistenti. Secondo l’European Centre for Disease Prevention and Control, infatti, il nostro Paese è al quinto posto per utilizzo giornaliero di antibiotici dopo Grecia, Francia, Lussemburgo e Belgio. È necessario quindi modificare il modo di trattare le infezioni e di utilizzare i farmaci antimicrobici che ancora si dimostrano efficaci. Secondo i Neonatologi italiani “il problema delle resistenze batteriche agli antibiotici va affrontato ad un duplice livello: locale e globale. È necessaria maggiore educazione alla prevenzione delle infezioni e alla prescrizione degli antibiotici; inoltre gli organi di controllo competenti devono promuovere politiche più efficaci nella prevenzione di pandemie da microrganismi pan-resistenti. È importante, inoltre, che la prescrizione degli antibiotici sia strettamente regolamentata. Tutti i presidi preventivi, primo fra tutti il lavaggio delle mani, dovrebbero essere massimamente incentivati negli ospedali”. Già nel 2013 la SIN aveva lanciato l’allarme sull’incidenza dei rischi
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infettivi per il neonato, classificando questo fenomeno come il “pericolo grigio”, che frequentemente si manifesta tardivamente, cioè dopo la dimissione, mettendo a repentaglio la salute del neonato. “L’approccio - continuano i neonatologi della SIN - deve essere basato su 4 principi da seguire. Innanzitutto il riconoscimento del problema da parte degli organi di controllo e dei governi. Da questo
punto di vista, in verità, l’Italia si è già attivata con il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin che recentemente ha confermato il riconoscimento di questa emergenza come una priorità di sanità pubblica, tra l’altro inserita nel macro-obiettivo del piano nazionale della prevenzione 2014-2018. In secondo luogo sarebbe utile avviare partnership tra pubblico e privato per la scoperta di nuovi
antibiotici. Il terzo, ma non meno importante, aspetto è la prevenzione delle infezioni con vaccini e misure d’igiene personale. Infine c’è la necessità di un programma nazionale di accesso agli antibiotici, con priorità ben definite: uso principalmente umano (limitando l’uso animale) e prescrizione basata sulla diagnosi certa, accesso agli antibiotici definito dai programmi regolamentati”.
Ad ogni sintomo, una diagnosi Consultare sempre il medico, specialmente se la febbre è elevata e accompagnata da altri sintomi, se dura per molti giorni o ha oscillazioni per lunghi periodi. Il medico può suggerire l’esecuzione di specifici esami per porre diagnosi appropriata. La febbre può essere il sintomo cardine di tante patologie, dalle più banali alle più gravi, pertanto è del tutto sbagliato, quando è molto alta, dura molti giorni o si accompagna ad altri sintomi, pensare di trascurarla o curarla da soli. Vediamo alcuni casi semplici da memorizzare: 1) Febbre elevata in un adolescente con mal di testa, dolore nucale e por-
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pora (puntini rossi molto piccoli): tutti disturbi che nel loro insieme potrebbero indicare anche una meningite. 2) Febbre e mal di denti: probabile ascesso dentario. 3) Febbre con affaticamento, mal di gola e linfonodi cervicali e ascellari ingrossati: sono sintomi spia della mononucleosi. 4) Febbre con diarrea ed eventualmente nausea e vomito: disturbi indicativi di una gastroenterite. 5) Febbre con dolore toracico, tosse, fiato corto: potrebbe trattarsi di polmonite. 6) Febbre accompagnata dal bisogno di urinare spesso, bruciore o stimolo urgente a urinare: probabile cistite. n
Quelle gelide manine
Quattro passi importanti per proteggere e nutrire la parte più esposta della nostra pelle durante i mesi più freddi dell’anno di Gelsomina Sampaolo
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Il
vento e il freddo, caratteristici di questo periodo, sono tra i peggiori nemici della nostra pelle, in particolare delle parti più esposte, come le mani. Il vento, infatti, aumenta la fisio-
logica perdita d’acqua dei tessuti, mentre il freddo incrementa la vasocostrizione per trattenere il calore corporeo. I vasi sanguigni, stringendosi, apportano meno nutrimento alla pelle, rallentando-
ne i processi metabolici, in primis la produzione di grasso in grado di trattenere l’acqua e proteggere la cute. Questa protezione naturale cutanea si chiama film idrolipidico, ed
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Mani screpolate? Calendula! Se vi sentite in vena di esperimenti cosmetici, vi diamo la ricetta per un’ottima crema idratante alla calendula. Per prepararla occorrerà una manciata di fiori di calendula essiccati. Ingredienti: 30 g di petali freschi di calendula, 100 g di lanolina (cera di lana, la trovate in farmacia), 1 tazza d’acqua. Preparazione: versate in una pentola l’acqua e i fiori freschi, facendo bollire dolcemente, mescolando di tanto in tanto finché l’acqua non sarà quasi del tutto evaporata. Successivamente aggiungete la lanolina, continuando a mescolare per incorporare bene il tutto. Ponete infine il composto in un canovaccio pulito di cotone (o anche in un vecchio fazzoletto), lasciate raffreddare a temperatura ambiente e poi strizzate energicamente. Ora la vostra pomata fatta in casa è pronta per essere utilizzata. Conservatela in un contenitore di vetro dotato di chiusura ermetica.
è una sorta di pellicola superficiale costituita da una componente idrofila (NMF) e da una liposolubile formata soprattutto di sebo (95%). La pelle delle mani, in particolare, ha una conformazione particolare: sui palmi è più spessa, con solchi, creste e priva di peli. Sul dorso, invece, si assottiglia ed è per questo che necessita di maggiori cure durante i mesi freddi. Inoltre, la pelle delle mani è scarsamente dotata di ghiandole sebacee (produttrici di grassi) e dunque maggiormente soggetta a screpolature e danni da freddo. Oltre ad impoverire il film idrolipidico, l’azione degli agenti atmosferici, può provocare l’accumulo di pigmenti in alcune zone, dando luogo a macchie cutanee. I danni alle mani possono essere prevenuti con alcuni semplici accorgimenti, oltre alla costante protezione con guanti nei mesi più freddi. Vediamoli insieme.
infatti, rischia di rompere quella barriera protettiva della pelle di cui abbiamo parlato poco sopra e aprire la strada a secchezza e screpolature. Il sapone deve essere delicato, a pH neutro, possibilmente arricchito con agenti idratanti e tensioattivi di origine naturale (es. olio di cocco, mandorle, riso, argan o calendula). In vista dell’inverno, poi, vi suggeriamo l’uso di oli detergenti e creme lavanti, privi di detergenti sintetici, poco schiumogeni (ovvero con pochi tensioattivi), magari arricchiti con sostanze emollienti e ristrutturanti come l’acido ialuronico, il burro di karitè o l’olio di argan.
1) Detersione
2) Idratazione
L’igiene viene prima di tutto, lo sappiamo, ma occhio a non esagerare! Un lavaggio troppo frequente o con prodotti aggressivi,
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La pelle delle mani screpolate presenta una scarsa quantità di sebo e di acqua negli strati superficiali dell’epidermide. Per ripristi-
nare questa componente, le creme idratanti sono la soluzione più indicata. In linea generale quelle presenti in commercio si possono suddividere in due categorie: le sostanze occlusive (che creano una sorta di effetto barriera, impedendo il passaggio di acqua all’esterno) e quelle umettanti (che trattengono acqua nei tessuti con meccanismi biochimici). Del primo gruppo fanno parte tutti i prodotti contenenti lanolina, olii minerali e derivati siliconici, mentre del secondo quelli che presentano tra gli ingredienti urea, acido ialuronico, sodio-lattato, glicerina, pantenolo, sorbitolo, ecc… Oltre alle creme sono in commercio anche dei trattamenti più intensivi, come le maschere da lasciare in applicazione qualche minuto prima di risciacquare. Gli ingredienti più utilizzati a questo scopo sono antiossidanti, pante-
nolo, ceramidi e sostanze antiage. Per scegliere l’idratante che fa per voi dovrete innanzitutto stabilire la condizione in cui versano le vostre mani: sono secche e screpolate? Presentano ferite o ragadi? Sono arrossate? Ci sono delle macchie o altre irritazioni? Chiedete consiglio al Farmacista o al vostro Dermatologo di fiducia in caso di dubbi e leggete sempre le etichette dei prodotti prima di procedere con l’applicazione.
3) Nutrimento
Oltre all’idratazione specifica, la pelle delle mani va anche nutrita e ammorbidita per evitare danni più seri di una semplice secchezza. Hanno un effetto emolliente tutte le creme contenenti oli vegetali come quello di cocco, di jojoba, di karitè, di ricino o il burro di cacao. Anche la camomilla e la calendula vengono impiegate nelle composizioni naturali per combattere gli arrossamenti e le irritazioni. Rispettate sempre i tempi e modi d’uso delle creme, c’è un motivo se si fa distinzione tra quelle da giorno e da notte, perché le prime prevedono delle azioni quotidiane e le seconde un lungo periodo di posa e, quindi, di azione.
4) Invecchiamento
Anche questo è un fattore da tenere in considerazione parlando di salute delle mani. La pelle, quando invecchia, purtroppo lo fa su tutto il corpo, mani comprese. Per questo esistono formulazioni antiage anche per le mani, per curare le pelli mature o quelle che soffrono di invecchiamento precoce. Le formule più adatte possono contenere: ceramidi (ad effetto vellutante), vitamine A ed E (antiossidanti), enzimi ed estratti vegetali come l’olio di avocado (con proprietà protettive solari, antirughe e stimolanti del rinnovamento cu-
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taneo) e l’estratto di melograno (ricco di vitamine, polifenoli e flavonoidi). Per migliorare l’aspetto di eventuali macchie, i cosmetici più indicati sono gli
esfolianti per levigare la pelle e gli schiarenti. Prima di affidarsi a trattamenti intensivi, comunque, consigliamo sempre una visita da un dermatologo.
10 buone abitudini • Indossare sempre guanti nelle giornate più fredde. • Usare sempre guanti in lattice se si devono utilizzare detersivi, solventi ed altre sostanze irritanti (es. per il lavaggio dei piatti). • Evitare saponi o detergenti aggressivi, acidi o troppo sgrassanti. • Bere almeno 1,5 di litri d’acqua al giorno. • Assumere il giusto apporto di frutta e verdura (5 porzioni al giorno). • Prediligere i cibi che contengono vitamina A (contro i radicali liberi) come carote, zucche, rucola, pomodori, spinaci e albicocche. • Stimolare la microcircolazione delle mani con getti di acqua fredda e calda durante il lavaggio. • Applicare sempre una crema emolliente e idratante prima di uscire al mattino e prima di coricarsi la sera. • Non fumare. • Evitare per quanto possibile gli ambienti troppo inquinati o con aria troppo secca. n
INSERTO GOLD NOVEMBRE 2016
La “difficile” aderenza alle terapie Una cura si può definire “appropriata” se è stata ben calibrata ma soprattutto se il paziente vi “aderisce” perfettamente, seguendo scrupolosamente la prescrizione medica. Eppure in molti casi succede il contrario e le controindicazioni possono essere davvero pericolose a cura della redazione e del team medico di Optima Salute
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Molto spesso alcuni pazienti/clienti che entrano in Farmacia si lamentano, anche un po’ sconsolati, del fatto che la terapia prescritta o se vogliamo la medicina “x” non hanno prodotto i loro effetti. Ma basta fare due chiacchiere per scoprire, magari, che l’antibiotico è stato assunto per due giorni soltanto, che in molti scambiano una cura calibrata e dosata dal medico (anche negli orari ben precisi) per una “cosa” da prendere quando ci si ricorda o quando fa più comodo. Insomma che la “colpa” dell’esito più o meno efficace della terapia non è tanto e solo dipeso dalla prescrizione di medicine appropriate, quanto dall’avere pazienti che vi “aderiscono” in modo adeguato. Quando entriamo in questo campo, profilando chi ha scarsa coscienza nel “prendere” le medicine secondo dosaggi e frequenze ben definite, si pensa banalmente e immediatamente solo agli anziani, che per il naturale evolversi della vita umana, con tutte le sue patologie (dalla demenza senile all’Alzheimer) sono in prima fila tra coloro che alzano la media di chi non segue un percorso terapeutico lineare. Ma come vedremo questo problema non è ad esclusivo carico della popolazione più debole e indifesa, ma anche di altre categorie insospettabili. Un esempio per tutti? Chi tende a curarsi da solo, inseguendo il web e le sensazioni personali, che decide quando e come smettere una terapia o una cura: dal banale antibiotico agli antiipertensivi. Come potremmo ben definire una cura “appropriata”? L’Aifa, Agenzia Italiana del Farmaco, sintetizza così: “L’adeguatezza delle misure messe in pratica per trattare una malattia, risultato della convergenza di diversi aspetti: quelli relativi alla salute del malato e quelli concernenti un corretto impiego delle risorse”; o, in altri termini concreti “il coinvolgimento attivo, volontario e collaborativo del paziente, finalizzato a produrre un risultato terapeutico”. Gli inciampi nei quali si cade hanno tutti un denominatore comune, che - ad eccezione degli anziani di cui sopra - si chiama superficialità. Si passa dunque da chi cessa di curarsi “perché ormai si sente bene” (ma, per esempio, un colesterolo alto pur essendo asintomatico può determinare infarti o ictus), a chi ritiene la cura inutile ed a tutto pensa meno che a consultarsi col proprio medico (“la pressione non si abbassa, queste medicine non funzionano”) oppure, peggio ancora, chi pensa a possibili interiezioni tra varie terapie e decide da solo cosa tagliare o ridurre. “La scarsa aderenza alle prescrizioni del medico
- spiega chiaramente l’Aifa - è la principale causa di non efficacia delle terapie farmacologiche ed è associata a un aumento degli interventi di assistenza sanitaria, della morbilità e della mortalità, rappresentando un danno sia per i pazienti che per il sistema sanitario e per la società. Maggior aderenza significa, infatti, minor rischio di ospedalizzazione, minori complicanze associate alla malattia, maggiore sicurezza ed efficacia dei trattamenti e riduzione dei costi per le terapie”. Abbiamo già spiegato perché la popolazione anziana è quella più a rischio sotto il profilo dell’aderenza alle terapie, specie in compresenza di più patologie, ed essendo l’Italia al secondo posto in Europa per indice di vecchiaia, è facile intuire che le conseguenze sull’assistenza sanitaria, a causa del numero elevato dei malati cronici, cominciamo ad esser pesanti.
La popolazione anziana è quella più a rischio sotto il profilo dell’aderenza alle terapie, soprattutto in compresenza di diverse patologie
Il rapporto OsMed (Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali) 2015, suddiviso per aree terapeutiche e basato sull’analisi dei dati provenienti dalla Medicina Generale, per esempio, mostra dati illuminanti. Sappiamo che nel nostro Paese il 28,3% della popolazione assistibile risulta affetto da ipertensione, patologia maggiore tra le donne (29,0%) rispetto agli uomini (27,6%) e cresce all’aumentare dell’età, raggiungendo il 66,6% tra gli ultra 75enni. L’analisi, però, mostra che il trattamento antipertensivo viene assunto con continuità in poco più della metà dei pazienti (55,5%). Ed è solo un aspetto del problema “adeguatezza della cura”.
Post-it, promemoria, app e spiegazione da parte del medico Che cosa si può fare per mettere un freno? Diverse possono essere le strategie da attuare per migliorare l’uso sicuro ed efficace dei farmaci, cominciando dall’aderenza alle prescrizioni, ma la ricerca in questo ambito non fornisce evidenze tali da distinguere in modo convincente quali siano efficaci e quali no. Per dire: una persona adulta ed in possesso di tutte le facoltà mentali può giovarsi di molti utili strumenti. Dalla semplice prescrizione appiccicata sulla porta del frigo alle app per il cellulare, fino alle confezioni pro-memoria dove inserire i medicinali a seconda dell’ora e del giorno di assunzione (ne esistono manuali o dotati di segnali di alert elettronici). Tutti strumenti che invece non hanno quasi nessun effetto utile nell’anziano in età avanzata o con problemi di demenza senile. Su questo argomento sono impegnati costantemente numerose équipe di scienzia-
ti. L’Aifa cita ad esempio i ricercatori del Cochrane Collaboration che hanno recentemente proposto una panoramica aggiornata degli effetti degli interventi attuati nella pratica clinica per migliorare l’efficacia e la sicurezza delle terapie farmacologiche. Complessivamente, i risultati dello studio suggeriscono che ci sono molti potenziali percorsi per ottimizzare l’uso dei farmaci, tuttavia non ne esiste uno efficace per ogni patologia, popolazione o contesto. Ancora più chiara l’analisi riportata da un editoriale comparso sul “The American Journal of Medicine”, firmato da Joseph S.Alpert, dell’ Health Science Network dell’Università dell’Arizona, Tucson: “Se c’è una caratteristica della pratica clinica quotidiana che trovo frustrante questa è il fallimento nel convincere i pazienti a seguire le raccomandazioni cliniche quando è chiaramente nel loro interesse […].
Eppure una rapida ricerca in tema di compliance o aderenza ai consigli del medico rivela una serie di preoccupanti statistiche secondo cui la non conformità/non adesione è molto comune e potenzialmente legata a risultati fatali per il paziente. C’è un paradigma clinico, spesso affermato, secondo cui più farmaci vengono prescritti a un paziente, maggiore è la probabilità di non conformità. Ciò è vero soprattutto in un paziente anziano con capacità visive o funzione cognitiva ridotte. Il tasso medio di aderenza per i pazienti statunitensi che assumono un farmaco una volta al giorno è dell’80%. Purtroppo, questo numero diminuisce rapidamente se ai pazienti vengono prescritti più farmaci o se li devono assumere più di una volta al giorno; ad esempio, l’aderenza è solo il 50% per i farmaci che devono essere assunti 4 volte al giorno. Infatti, ben il 75% di tutti i pazienti e il 50% degli individui con malattie croniche non riescono ad aderire al regime medico prescritto. Le cause della mancata o della scarsa aderenza ai trattamenti sono di varia natura e comprendono fattori socioeconomici, fattori legati al sistema sanitario e al team di operatori sanitari, alla condizione patologica, al trattamento e al paziente. Tra gli esempi più comuni la complessità del trattamento, l’inconsapevolezza della malattia, il follow-up inadeguato, il decadimento cognitivo e la depressione, la scarsa informazione in merito alle terapie. Sono state proposte una serie di ragioni per la mancata osservanza delle prescrizioni
di un farmaco: dimenticanza, costo dei medicinali, mancata comprensione del regime farmacologico, che a volte è dovuta a insufficiente spiegazione da parte del medico, ansia creata da un eccesso di enfasi sulle potenziali reazioni avverse di un farmaco, mancanza di fiducia nel giudizio del medico. Certo, in alcuni casi, concorrono molteplici fattori. In più, l’eccessivo carico di impegni cui sono sottoposti i medici prescrittori nella pratica clinica può portare ad una spiegazione breve e forse inadeguata della logica che sta alla base di una determinata prescrizione di un farmaco. Che cosa si può fare per migliorare l’aderenza del paziente alla terapia? Il fattore più importante è la comprensione delle ragioni per cui un dato farmaco è importante per il benessere del paziente. Altre azioni possibili sono: valutare il numero di farmaci e la complessità del regime terapeutico per ogni paziente ed eliminare quanti più farmaci possibile, così come cercare di usare i farmaci una volta al giorno; individuare il regime farmacologico sulla base della percezione della capacità del paziente di pagare e di aderire al protocollo prescritto; dare al paziente un pro-memoria scritto che elenchi i farmaci, inclusi le modalità e i tempi in cui questi vanno assunti; sviluppare un rapporto di dialogo e di fiducia con il paziente ed educare, educare, educare per quanto riguarda i come e i perché dei farmaci”. Entrando ancor più nel dettaglio vediamo i consigli utili per alcune tipologie di farmaci tra i più comuni.
Antibiotici: mai interrompere, ogni ciclo va completato Vanno usati solo quando necessario, dietro prescrizione medica, osservando scrupolosamente dosi e durata della terapia, di solito un ciclo completo da non interrompere per nessun motivo. Ricordarsi che gli antibiotici non curano le malattie virali, come le patologie stagionali quali raffreddore e influenza che hanno per oltre l’80% dei casi una causa virale e non batterica. Altre affezioni virali dell’apparato respiratorio vanno attentamente valutate dal medico caso per
caso. Usare bene gli antibiotici è anche una precisa responsabilità del singolo nei confronti della propria salute e una responsabilità collettiva, poiché favorire lo sviluppo dell’antibiotico-resistenza, attraverso un uso improprio degli antibiotici, mette a rischio la salute di tutti. Gli indicatori di appropriatezza sugli antibiotici ad ampio spettro hanno evidenziato purtroppo che vi è stata una prevalenza d’uso per influenza, raffreddore comune e laringotracheite acuta pari al 40,1%.
Antiipertensivi: non curano le cause dell’ipertensione È importante assumere regolarmente i farmaci prescritti, anche quando non si avverte alcun disturbo. Interrompere il trattamento di propria iniziativa potrebbe provocare improvvisi e pericolosi aumenti di pressione, per cui occorre avere sempre una scorta di farmaci adeguata che consenta di superare un’eventuale assenza del proprio medico o difficoltà di reperimento. Dopo l’inizio della terapia, è molto im-
portante segnalare al medico i problemi e i disturbi causati dal trattamento in modo che la scelta del farmaco sia, per quanto possibile, personalizzata ed eventualmente modificata sulla base delle esigenze del paziente. È altresì importante ricordare che i farmaci non curano le cause dell’ipertensione ma servono a riportare la pressione elevata entro limiti di normalità e a tenerla sotto controllo.
Gli antiipertensivi tengono la pressione sotto controllo ma non curano le cause
Diuretici: vanno presi preferibilmente al mattino Sono deputati a favorire l’eliminazione di acqua e sodio attraverso i reni: aumentando la produzione di urina si produce una riduzione del volume di liquido circolante nel sistema cardiovascolare e una conseguente diminuzione della pressione arteriosa. I diuretici vanno assunti preferibilmente al mattino: se vengono presi di sera o nel tardo pomeriggio, possono indurre il bisogno di urinare durante la notte costringendo il paziente ad alzarsi più volte con
conseguenti disturbi del sonno. L’assunzione dopo colazione riduce i possibili disturbi di stomaco. Essendo molte le controindicazione e le interiezioni con altri farmaci ed alimenti, l’uso dei diuretici, pur importantissimo, deve essere rigorosamente seguito dal medico, che va informato tempestivamente di ogni possibile problema (senso di stanchezza, mal di stomaco, nausea, diarrea, senso di vertigine e di testa vuota).
Antidiabetici: aiutano a mantenere i livelli di glicemia Parliamo di insulina e di antidiabetici orali, che possono essere assunti solo dietro prescrizione medica, farmaci che aiutano a mantenere i livelli di glicemia (glucosio nel sangue) nella norma e ad alleviare i sintomi del diabete, come sete, poliuria (minzione abbondante e frequente), perdita di peso e chetoaci-
dosi. La terapia va ovviamente seguita sotto controllo medico: se si dovessero verificare problemi gastrici, per esempio, basta assumere gli antidiabetici orali con il cibo. Il loro utilizzo deve inoltre essere abbinato a un regolare controllo della glicemia, a una dieta appropriata e a un’attività fisica costante.
Anticoagulanti: servono a fluidificare il sangue Categoria di farmaci in grado di modificare la capacità di coagulare del sangue, riducendo il rischio della formazione di trombi in pazienti che, per la loro malattia, corrono questo rischio. La terapia serve dunque a mantenere il sangue più fluido così da ridurre il rischio di formazione di trombi e coaguli all’interno dei vasi sanguigni (vene ed arterie). Non possono essere somministrati a dosi fisse come avviene invece per altri farmaci, e ogni paziente richiede una dose personalizzata per raggiungere il livello di anticoagulazione adeguato, perché se da un lato prevengono la
formazione di trombi dall’altro espongono l’individuo ad un aumentato rischio di emorragia. Solitamente si assumono una volta al giorno, meglio se lontano dai pasti, nelle ore centrali del pomeriggio o la sera prima di andare a letto. È comunque consigliabile prendere il farmaco sempre alla stessa ora e registrare con attenzione le dosi assunte in un diario per ridurre le possibilità di errore, che sono maggiori in quanto la dose spesso viene modificata, dopo aver effettuato il test INR (tempo di coagulazione) che all’inizio della terapia si effettua anche 2-3 volte la settimana.
Antidepressivi: il trattamento deve durare almeno 6 mesi Le linee guida ministeriali raccomandano un trattamento di almeno 6 mesi nei pazienti affetti da depressione, in virtù dell’alto rischio di recidiva a cui si attribuisce gran parte dei costi economici e sociali della depressione. Precedenti studi osservazionali
hanno tuttavia dimostrato che quasi il 50% dei pazienti in trattamento con antidepressivi sospende il trattamento nei primi tre mesi di terapia ed oltre il 70% nei primi 6 mesi. La risposta del paziente (completa, parziale o del tut-
Gli antibiotici non curano le malattie stagionali come raffreddore e influenza che hanno per oltre l’80% causa virale e non batterica
to insoddisfacente) dipende certamente dalla gravità o tipologia della patologia, ma anche dall’eventuale scarsa collaborazione col professionista. In ogni caso, la sospensione brusca deve essere
evitata, specialmente se si stanno assumendo gli psicofarmaci da molto tempo. Sarà lo psichiatra a consigliare una graduale riduzione a scalare utile ad evitare la comparsa di reazioni da sospensione.
Malattie cardiovascolari: in “regola” solo il 58,8% dei pazienti Le malattie cardiovascolari rappresentano in Europa la maggiore causa di decesso: il 43% sono uomini ed il 55% donne. In Italia l’onere finanziario dovuto ai costi sanitari, alla produttività persa e alle cure informali equivale ad un costo pro capite di 235 euro all’anno, pari a circa il 10% della spesa sanitaria complessiva nazionale. Tuttora si stima che circa l’80% degli eventi cardiovascolari che insorgono prima dei 75 anni è prevenibile. L’identificazione dei soggetti ad elevato rischio cardiovascolare rappresenta pertanto uno degli obiettivi principali della prevenzione e costituisce la premessa necessaria per poter ridurre
i fattori di rischio sui quali è possibile intervenire, dal cambiamento dello stile di vita all’intervento farmacologico. L’analisi dell’OsMed ha mostrato che l’aderenza al trattamento con farmaci per l’ipertensione e lo scompenso cardiaco risulta pari al 58,8% del totale dei pazienti ipertesi trattati nel 2011. La non-aderenza alla terapia farmacologica esercita un duplice effetto sui costi sanitari, sia come conseguenza del costo di una prescrizione non efficace, sia in relazione ad una mancata riduzione dell’incidenza di eventi cardiovascolari.
Progetto “Aderenza alla terapia” nelle Farmacie Valore Salute Nei mesi di novembre e dicembre le farmacie Valore Salute promuovono un progetto per indagare il livello di aderenza terapeutica dei pazienti nel trattamento delle patologie Cardiometaboliche attraverso un questionario anonimo validato.
I partecipanti avranno la possibilità di usufruire di un servizio di counselling professionale utile per migliorare l’aderenza e di conseguenza la qualità di vita del paziente stesso. Per partecipare chiedi informazioni al tuo Farmacista.
Dossier 168
Conoscere la menopausa
Ăˆ forse il disturbo piĂš temuto dalle donne, compare attorno ai 50 anni e spesso provoca notevoli traumi psicologici. Le linee guida per affrontare al meglio questo periodo, con un diverso stile di vita e terapie mediche appropriate a cura di Benedetta Ceccarini
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Menopausa! Basta una semplice parola composta (dal greco men=mese e pausis=fine) buttata lĂ sul
tappeto, una diagnosi stilata facilmente oppure anche soltanto ipotizzata per mandare in tilt la psiche di
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Dossier noi donne. Eppure non stiamo parlando di una malattia, ma di un periodo di transizione che fa parte della nostra fisiologia, dell’interruzione delle mestruazioni dovuta ad una ridotta funzione delle ovaie, inevitabile ma pur sempre affrontabile al meglio. Affrontandolo con consapevolezza e positività, conoscendo nel dettaglio ciò che ogni donna si appresta a vivere, usando prevenzione e consigli di base che in questo dossier cercheremo di illustrarvi. Immergiamoci dunque in un periodo durante il quale la donna termina la propria fase riproduttiva e non è più fertile, seguendo un percorso non certo improvviso, ma graduale. L’intervallo di tempo di adattamento a questa condizione può variare da alcuni mesi a qualche anno: questo periodo è chiamato climaterio. In genere il primo segno del climaterio è la diminuzione della frequenza del sanguinamento mestruale (oligomenorrea) con una successiva scomparsa dello stesso (amenorrea completa); in alcuni casi, invece, il sanguinamento è più frequente, più importante o prolungato prima dell’inizio dell’oligomenorrea. I cicli mestruali posso-
no variare di durata, ma la menopausa è confermata quando non si verificano mestruazioni per un anno di seguito. È importante rilevare che qualunque sanguinamento vaginale in una donna che non ha sanguinato per 6 mesi (gravidanze a parte!) deve essere valutato dal medico. La menopausa può essere naturale, artificiale o precoce. Si manifesta naturalmente ad un’età media di 50 anni, quando si ha una cessazione della funzionalità ovarica dovuta all’invecchiamento dell’organo. Inizialmente si possono avere dei cicli mestruali più brevi, delle ovulazioni meno frequenti e una maggiore irregolarità dei cicli, a causa delle modificazioni ormonali (climaterio o perimenopausa). La menopausa precoce si riferisce ad un’insufficienza ovarica di origine sconosciuta che si verifica prima dei 40 anni. Può essere associata al fumo, al vivere ad un’elevata altitudine o ad abitudini alimentari errate. La menopausa artificiale (detta anche secondaria o iatrogena) può essere causata da un’ovariectomia, dalla chemioterapia, dall’irradiazione della pelvi o da alterazioni della vascolarizzazione dell’ovaio.
La comparsa dei disturbi In menopausa, una percentuale notevole di donne lamenta la comparsa di vari tipi di disturbi, tutti riconducibili allo stato di carenza ormonale ovarica, che possono essere di entità clinica variabile e nell’insieme costituiscono la cosiddetta sindrome climaterica. In linea generale si tratta di: 1) Alterazione del ritmo mestruale: il ciclo può accorciarsi/allungarsi fino a periodi di silenzio mestruale anche di alcuni mesi; le mestruazioni possono essere più abbondanti/scarse o accompagnate da piccole perdite tra un ciclo e l’altro (spotting). 2) Peggioramento dei sintomi premestruali: sintomi come ritenzione idrica, peso premestruale e senso di gonfiore possono accentuarsi, insieme all’irritabilità, alla voglia di cibi dolci o al nervosismo di cui si soffriva già in precedenza. 3) Disturbi del sonno: possono verificarsi risvegli frequenti. 4) Difficoltà di controllo del peso: fase caratterizzata da un aumento di grasso addominale. 5) Instabilità emotiva 6) Vampate di calore 7) Secchezza vaginale La menopausa secondaria dovuta ad interventi chi-
rurgici o a terapie (come quelle antitumorali), oltre a disturbi comuni come quelli relativi al sonno o all’aumento di peso, è generalmente associata anche a: 1) Disturbi vasomotori: vampate di calore accompagnate da sudorazione profusa e tachicardia (diurne e notturne). 2) Disturbi psichici: ansia, irritabilità, difficoltà di concentrazione, rapidi cambi d’umore. 3) Disturbi uro-ginecologici: secchezza vaginale, riduzione dell’elasticità vaginale, maggiore sensibilità alle infezioni (cistiti), minzione frequente. 4) Disturbi della sessualità: calo del desiderio sessuale, difficoltà di eccitazione, dolore durante i rapporti. 5) Dolori muscolari e osteo-articolari 6) Alterazioni trofiche di cute e annessi: assottigliamento e aumento della secchezza della pelle, diradarsi dei peli e, talvolta, perdita di capelli. Secondo recenti ricerche le vampate di calore e la sudorazione sono i sintomi più tipici del climaterio ed interessano il 75% delle donne, per circa un anno (anche se in alcuni casi perdurano anche per più di 5 anni). La vampata può durare da 30 secondi a 5 minuti e può essere seguita da brividi dovuti perlopiù alla sudorazione profusa.
I cambiamenti nel fisico Con il calo progressivo dell’attività ovarica viene a mancare l’azione protettiva degli estrogeni, inducendo cambiamenti a livello metabolico, responsabili
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del processo di diffusa demineralizzazione ossea e causa di una maggiore predisposizione a problemi cerebro-vascolari e malattie cardio-vascolari.
Dossier Vediamo come si riflette quanto detto sullo stato di salute della donna.
Patologie ossee
L’osteopenia è una condizione fisiologica di impoverimento del tessuto osseo, conseguente al progressivo invecchiamento dei tessuti ed accelerata dalla carenza ormonale. Nella maggior parte dei casi è una condizione silente, ma per alcune donne si traduce in diffusi dolori muscolo-scheletrici e articolari. L’osteopenia, se grave, può evolvere in osteoporosi, ovvero una progressiva diminuzione della massa scheletrica e suo deterioramento con conseguente aumento della fragilità ossea ed elevato rischio di fratture spontanee o a seguito di piccoli traumi. Il rischio di osteoporosi aumenta in caso di: vita sedentaria, fumo, uso prolungato di farmaci che interferiscono con il metabolismo osseo (es. cortisonici), familiarità, malattie da malassorbimento (celiachia), intolleranze alimentari (lattosio), pregressi disturbi del comportamento alimentare (anoressia), assenza prolungata del ciclo mestruale nella vita fertile (amenorrea), patologie tiroidee. L’osteoporosi è difficile da riconoscere tempestivamente poiché, nella maggior parte dei casi, rimane a lungo silente e asintomatica, manifestandosi improvvisamente con una frattura inaspettata. Queste fratture sono più spesso localizzate su: vertebre, avambraccio/polso, femore e bacino e possono ave-
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re effetti invalidanti. Nel caso in cui si sia già subita una frattura o su soggetti ad alto rischio si consiglia una terapia farmacologica preventiva.
Patologie cardiovascolari
L’aumento di peso corporeo e della pressione arteriosa che si verificano con la menopausa portano con sé un fisiologico innalzamento dei grassi (trigliceridi e colesterolo) e degli zuccheri (glicemia) nel sangue. Si tratta di importanti e ben noti fattori di rischio per le patologie cardiovascolari. Le donne, in questo momento della vita, vengono a perdere anche la protezione cardio-vascolare esercitata finora dagli estrogeni e si trovano, di fatto, maggiormente ed improvvisamente esposte al rischio di patologie arteriosclerotiche.
Patologie psicologiche
La principale manifestazione psicologica in seguito a menopausa è di tipo depressivo, riconducibile al deficit di estrogeni, ma anche a fattori soggettivi e socio-ambientali che si verificano in questa fase della vita femminile. Qualche esempio? L’invecchiamento generale, eventuali situazioni familiari delicate (divorzio o separazione, allontanamento dei figli dal nucleo familiare d’origine, assistenza a genitori anziani...), il sopraggiungere della pensione o del ritiro dal lavoro, ecc... sono tutti eventi che possono causare uno stato depressivo, anche lieve, che va ad aggiungersi ai
sintomi fisici della menopausa. Nella maggior parte dei casi si tratta, come accennato, di forme lievi che non compromettono la qualità della vita di una donna, ma bisogna comunque fare attenzione, soprattutto in caso di familiarità con la malattia o episodi pregressi di disturbi dell’umore (come depressione post-partum e sindromi premestruali di grave entità). Possiamo far rientrare in questa tipologia di disturbi anche quelli del sonno, presenti già nella fase di climaterio e possibile concausa di un’eventuale depressione. L’insonnia e la carenza di sonno in generale possono essere davvero invalidanti nella vita di tutti i giorni e creare un circolo vizioso di stress e ansia. Quando i disturbi del sonno, a causa della loro intensità e durata, peggiorano la qualità della vita, è necessario il consiglio
di uno specialista per valutare le possibili misure da adottare per combatterli, sia comportamentali che farmacologiche.
Problemi uro-ginecologici
Sia nel periodo del climaterio che durante la menopausa vera e propria, i disturbi ginecologici possono aumentare sia di intensità che di frequenza. Si tratta di patologie di varia entità, ma comunque fastidiose come: cistiti, disfunzioni sessuali, prolasso genitale e incontinenza urinaria. Queste condizioni sono spesso riconducibili all’atrofia vaginale dovuta al deficit di estrogeni e a processi di involuzione e rilassamento dei tessuti. Sempre meglio parlarne col proprio ginecologo per trovare insieme misure preventive o terapeutiche.
Consigli di benessere Visti i molteplici disturbi che questa fase della vita comporta per le donne, ci sono alcuni consigli che possono rivelarsi utili per contrastare le manifestazioni più fastidiose della menopausa. Contro l’insonnia • Rispettate il ritmo sonno-veglia, coricandovi e svegliandovi circa alla stessa ora ogni giorno (anche nel fine settimana) e cercando di evitare per quanto possibile i pisolini pomeridiani. • Costruite un rituale della sera, con attività rilassanti come bere una tisana, leggere un libro, ascoltare della musica... • Riservate all’attività fisica le ore diurne, evitando di fare sport o movimento la sera. • Assumete i pasti ad orari regolari, prediligendo una dieta leggera a cena. • Evitate l’assunzione di tè, caffè, alcolici e nicotina, soprattutto nelle ore serali. • Assicuratevi di avere un materasso e un cuscino confortevole e che la vostra stanza da letto sia fresca, buia, si-
lenziosa e ben areata. • Provate a combattere l’insonnia con la melatonina, una sostanza naturalmente prodotta dal nostro organismo durante la notte, attraverso la ghiandola pineale. Il picco notturno della melatonina, che si registra nelle donne in età fertile, si riduce progressivamente con l’avanzare dell’età fino a scomparire in menopausa. Per questo è indicata la sua assunzione attraverso specifici integratori. Per i problemi intimi Contro l’atrofia vaginale, la secchezza, irritazioni, pruriti, bruciori e dolori intimi provate a: • Usare estrogeni locali, dietro consiglio del vostro ginecologo (creme, ovuli, compresse, anello). • Usare soluzioni naturali non ormonali ad azione idratante e lenitiva (sempre sotto forma di crema o gel). • Scegliete un detergente intimo con ph leggermente più alto (5,5) e che contenga sostanze nutritive, lenitive e idratanti.
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Stili di vita e buone abitudini Un corretto approccio alla menopausa (come a tutte le altre fasi della vita, d’altronde) parte da buone abitudini quotidiane: alimentari, sportive e di stile di vita in generale. Partendo dall’alimentazione, sicuramente seguire una dieta equilibrata, con il coretto apporto di proteine (animali e vegetali), carboidrati, grassi (meglio se vegetali), frutta e verdura, è il consiglio principe per una salute di ferro, in tutte le stagioni della vita. Durante la menopausa, poi, va posta maggiore attenzione al peso corporeo (già a rischio per ragioni fisiologiche, come abbiamo visto), seguendo una dieta povera di grassi e zuccheri, controllando l’introito delle calorie. Altri consigli importanti per la dieta delle donne che si avvicinano alla menopausa sono: • Limitare l’uso del sale. • Usare il più possibile olio extravergine d’oliva come grasso di cottura o condimento. • Assumere più calcio per le ossa, dunque sì a latte e latticini, legumi, ortaggi a foglia e alcuni pesci, come sardine e acciughe. • Aumentare anche l’introito di vitamina D, fondamentale per la crescita della struttura scheletrica e la mineralizzazione ossea. Normalmente viene prodotta dal nostro organismo a livello cutaneo attraverso l’esposizione alla luce solare, poiché le fonti alimentari di vitamina D sono molto limitate (si trova principal
mente in pesci come sgombro, sardina, acciuga, salmone, tonno e anche nell’uovo). Seguire una dieta sana e bilanciata, poi, non serve solo a perdere peso, ma anche a mantenere sotto controllo il girovita e il colesterolo “cattivo”, in aumento a causa della carenza di estrogeni. Per evitare di esporvi a maggiori rischi cardiocircolatori, ricordate di tenere sempre sotto controllo il vostro BMI (indice di massa corporea) e circonferenza della vita. Il BMI si ottiene dividendo il peso (in kg) per il quadrato dell’altezza (in metri). Esempio: una donna alta 1,60 che pesa 70 kg è in sovrappeso. Basta dividere il peso (65) per il quadrato dell’altezza (1,60 x 1,60 = 2,56) ed otteniamo 27,34. Provate anche voi, consultando poi il risultato finale nel seguente, semplice schema: <25 normopeso 25-30 sovrappeso 30-40 obesità 40-70 obesità grave La circonferenza addominale, invece, va misurata all’altezza dell’ombelico ed è considerata un parametro standard per la valutazione del soggetto in sovrappeso in relazione al rischio di malattie cardiovascolari e dismetaboliche (sindrome metabolica/ diabete di tipo 2). I parametri per la circonferenza addominale sono i seguenti: UOMO
RISCHIO
DONNA
CENTIMETRI
CENTIMETRI
Molto elevato
> 120
> 110
Elevato
100 - 120
90 - 109
Basso
80 - 99
70 - 89
Molto basso
<80
< 70
Ad una corretta alimentazione, poi, va abbinata anche dell’attività fisica che ha un ottimo effetto sul nostro stato di salute generale e che può in parte contrastare i sintomi della menopausa come insonnia, malumore e rischi cardiovascolari. Basta muoversi il più possibile durante la giornata, ad esempio preferendo le scale all’ascensore o una passeggiata alla macchina, quando possibile. Per trarre dei benefici basta camminare a ritmo sostenuto per 30 minuti, almeno 4-5 volte alla settimana, che non dovrebbe rappresentare uno sforzo eccessivo. Infine passiamo ad alcune buone abitudini e corretti stili di vita, che possono valere in tutti i casi, non solo per le donne in fase di menopausa: • No a fumo e alcol: amplificano i sintomi tipici del
climaterio, oltre ad aumentare il rischio di malattie cardio-vascolari, neoplasie e osteoporosi. • Sì ad una buona vita sociale: coltivare interessi personali e hobby e mantenere rapporti interpersonali soddisfacenti sono aspetti importanti per garantire una buona qualità di vita e contrastare i disagi emotivi e psicologici che derivano dagli sbalzi ormonali. Senza contare che le vostre coetanee staranno probabilmente affrontando gli stessi vostri problemi: meglio fare squadra! • Sì a controlli regolari: parlatene con il vostro medico o specialista di fiducia e stabilite insieme un calendario della prevenzione, con controlli clinici, analisi di laboratorio ed esami strumentali per tenere sempre sotto controllo il vostro stato di salute.
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Terapia ormonale sostitutiva: sì o no? La terapia ormonale sostitutiva (TOS) si basa sull’impiego di estrogeni per compensare il fisiologico deficit ormonale e ridurre i disturbi della menopausa che ne derivano. La TOS viene effettuata con estrogeni naturali associati a progesterone/progestinici nelle donne con utero o con soli estrogeni nelle donne senza utero. La terapia ormonale sostitutiva viene generalmente consigliata in caso di una sintomatologia importante, che interferisce significativamente con il benessere della donna, oltre che nel caso di una menopausa precoce. Prima di iniziare una TOS, per escludere possibili controindicazioni (es. rischi tumori, obesità, ipertensione arteriosa, epatopatie, rischi trombo-em-
bolici) è indispensabile eseguire: • controllo clinico generale; • esami ematochimici (funzione epatica e renale, quadro glucidico, lipidico e coagulativo); • visita ginecologica con pap-test; • visita senologica con mammografia. In ogni caso la TOS deve essere una decisione ben ponderata e discussa con il proprio medico, commisurata alle proprie condizioni di salute, esigenze di vita e valutandone tutti i possibili rischi e benefici (vedi tabella). Viene generalmente prescritta all’inizio del periodo menopausale e va rivalutata dopo 3-5 anni per decidere se continuare, variare o interrompere la terapia.
Vantaggi e svantaggi PERCHÉ SÌ
PERCHÉ NO
Tratta efficacemente i sintomi menopausali
Modesto ma significativo incremento del rischio di carcinoma della mammella (per trattamenti > 5 anni)
Previene la perdita di massa ossea (prima dei 60 anni)
Incremento del rischio di tromboembolismo (correlato all’età e alla massa corporea: è minimo nelle donne normopeso sotto i 60 anni)
Riduce il rischio di malattia coronarica e mortalità cardiaca (prima dei 60 anni) Riduce il rischio di tumore del colon-retto Riduce il rischio di tumore del corpo dell’utero (nel caso di terapia ormonale combinata estroprogestinica)
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L’aiuto dell’omeopatia L’omeopatia, riequilibrando l’organismo, riesce a trattare i vari sintomi della menopausa fisiologicamente e con efficacia. Non esiste un protocollo terapeutico standard per la menopausa e per i suoi disturbi, ma ciascuna donna avrà bisogno di un trattamento personalizzato, in base alle sue esigenze. Esistono in commercio sia singoli, sia complessi rimedi omeopatici ma, sarebbe opportuno rivolgersi al proprio medico omeopata-omotossicologo per personalizzare la terapia, utilizzare i corretti rimedi e decidere diluizioni, tempi e modi di somministrazione degli stessi. Ecco alcuni dei rimedi omeopatici associati ai sintomi più frequenti, per sopportare al meglio il naturale cambiamento in corso.
TURBE PSICHICHE
VAMPATE DI CALORE:
Ignatia: in presenza di sintomi contradditori e paradossali in una persona ansiosa, sensibile, dolce, depressa, irritabile; l’umore è mutevole e isteriforme. Nux vomica: irritabilità, impazienza, ambizione, donna manager. Sulphur: ansia, pianto, insonnia. Chamomilla: irritabilità, ipersensibilità al dolore. Aurum metallicum: grave depressione con tendenza al suicidio. Sepia: irritabilità, depressione, pianto immotivato, voglia di solitudine. Thuya: depressione, bassa autostima. Cimicifuga/actea racemosa: quando predomina uno stato depressivo di rassegnazione e inquietudine interiore accompagnati da forti mal di testa con vertigini.
Belladonna: alla testa, con pulsazioni al collo. Glonoinum: alla testa e alla regione cardiaca Lachesis: al volto, con sudorazioni. Per la persona irritabile, gelosa, logorroica, che non sopporta le cose strette al collo e alla vita, agitata, freddolosa, ma intollerante al caldo, con tendenza a emorragie, flebiti, emorroidi. Sonno agitato. Phosphorus: al volto, ma a partenza dallo stomaco. Sepia: al volto, con peggioramento il mattino. Sulphur: al volto e al corpo, con peggioramento notturno. Sanguinaria canadensis: in presenza di vampate di calore con arrossamento delle guance e delle orecchie accompagnate da sudorazione, irritabilità e ansietà; cefalea congestizia, pulsante, generalmente a destra.
PESANTEZZA ALLE GAMBE
PATOLOGIE OSTEO-ARTICOLARI
Vipera: vene varicose dolorose, con intorpidimento. Arnica: lividi spontanei e post-traumatici alle gambe. Hamamelis: dilatazioni venose dolorose Fluoricum acidum: vene varicose e pesantezza con bruciore.
Bryonia: artriti, lombalgie, sciatalgie che migliorano stando fermi. Silicea: in caso di magrezza e demineralizzazione. Natrum sulphuricum: obesità conseguente alla menopausa. Caulophyllum: osteoporosi, dolori migranti ai polsi e alle piccole articolazioni.
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“Donne e menopausa”: l’indagine conoscitiva L’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (O.N.Da) ha condotto nel giugno 2014 un’indagine conoscitiva su un campione di oltre 600 donne di età compresa tra i 45 e i 65 anni, intervistate attraverso un questionario realizzato ad hoc e distribuito in farmacia. Il campione è risultato così composto: • 28% donne non ancora in menopausa (assenza di ciclo mestruale per più di 1 anno), età media 48 anni; • 9% donne in ingresso in menopausa (età media 51 anni); • 43% donne in menopausa da meno di 10 anni (età media 57 anni); • 20% donne in menopausa da più di 10 anni (età media 62 anni). Riportiamo di seguito, in sintesi, le risposte che hanno fornito sul tema della menopausa. Quanto le donne italiane si sentono informate sulla menopausa? Quasi la metà delle intervistate dichiara di possedere un livello di conoscenza in merito “elevato/molto elevato”. Quali sono i canali informativi in tema di menopausa? Il principale è il ginecologo (per oltre la metà delle intervistate), segue l’esperienza, personale o altrui. Come percepiscono e vivono la menopausa le donne italiane? Il 42% delle donne in menopausa afferma che il passaggio è avvenuto in modo semplice e naturale, senza drammatizzare su vissuti di segno negativo. Solo il 17% delle donne non ancora in menopausa si dichiara preoccupata al riguardo. Quali sono i disturbi della menopausa con maggior impatto sulla vita delle donne? Al primo posto si collocano le vampate di calore associate a sudorazioni (il 21% riferisce un “grandissimo” impatto e il 31% un “grande” impatto). Seguono i disturbi del sonno, quelli osteoarticolari e l’incremento del peso corporeo. Di minor impatto risultano i disturbi della sfera psicologica e sessuale. Menopausa e sessualità: qual è l’esperienza delle donne in menopausa? Circa 3 donne in menopausa su 4 riferiscono di avere incontrato difficoltà nella propria vita intima, legate prevalentemente al calo del desiderio (38%) e a problematiche vaginali, quali secchezza o irritazioni (28%). Seguono il cambiamento della propria immagine corporea (15%), la comparsa di dolore durante il rapporto sessuale (13%) e lo scarso interesse verso il partner (8%). Tali difficoltà hanno compromesso parzialmente o totalmente, in circa 1/3 dei casi, la vita sessuale.
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Come hanno posto rimedio ai problemi sessuali dati dalla menopausa? Il 41% riferisce di aver fatto uso di prodotti locali, mentre il 38% dichiara di non aver adottato rimedi specifici. Circa una donna su tre non ne ha mai parlato con nessuno. Come si può affrontare al meglio la menopausa? 1 donna su 4 afferma di non fare/avere fatto nulla per prepararsi ad affrontare meglio la menopausa. Sono le donne che stanno entrando in menopausa a mettere in atto più delle altre comportamenti preventivi.
Il ginecologo è sempre la figura di riferimento, ma cresce il ruolo del medico di famiglia
Le donne già in menopausa riferiscono di assumere/ aver assunto terapia ormonale sostitutiva (27% di coloro in menopausa da oltre 10 anni e 18% di coloro in menopausa da meno di 10 anni) e integratori generici (soprattutto utilizzati dalle donne in menopausa da meno di dieci anni: 30% verso 11%) e specifici per le ossa (25% di coloro in menopausa da meno di 10 anni e 20% di coloro in menopausa da oltre 10 anni). Le donne parlano di menopausa? 2 donne su 3 si sono confrontate con una figura medica rispetto alla menopausa e la percentuale di condivisione sale fra coloro che hanno vissuto o sono più vicine a tale periodo. Le donne invece che sono più lontane dalla menopausa rimandano il confronto su questo tema al momento in cui si avvicinerà tale fase della loro vita. Fra le donne in menopausa, pur rimanendo il ginecologo la figura di riferimento, cresce il ruolo del medico di famiglia. Si parla meno degli altri aspetti legati alla menopausa, come ad esempio l’impatto sulla sfera sessuale (più di 1 donna su 3 che ha parlato di menopausa con il proprio medico non ha affrontato questo argomento). Le donne che stanno entrando in menopausa tendono a chiedere maggiormente di propria iniziativa al medico informazioni sull’impatto della menopausa sui temi di principale interesse (vampate, incremento del peso corporeo, disturbi psichici e del sonno). n
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
Ogni età vuole il vaccino giusto Fabrizio Pregliasco Ricercatore, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano Direttore Sanitario IRCCS Istituto Galeazzi di Milano. Email: fabrizio.pregliasco@unimi.it
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IIn Italia si stima che circa 8.000
persone muoiono ogni anno per cause correlate con l’influenza. Sino al 90% di questi decessi si presentano in soggetti di età superiore a 65 anni e in quelli con patologie croniche sottostanti. L’influenza può essere causa infatti di esacerbazioni di malattie polmonari e cardiache con conseguenti eventi ischemici acuti, cardiaci e ictus. Gruppi particolarmente a rischio a causa dell’influenza sono le donne in gravidanza, i bambini al di sotto di 5 anni, gli anziani e i soggetti con malattie croniche, anche se casi gravi si presentano anche in soggetti giovani sani. I dati disponibili sul sito del Ministero registrano una progressiva diminuzione delle coperture, con un minimo storico da due stagioni consecutive (coperture over 65 al 49,9%, ben lontano dall’obiettivo minimo perseguibile del 75%). È pertanto prioritario individuare tutte le modalità necessarie per il raggiungimento dell’obiettivo minimo di copertura nei gruppi a rischio raccomandati dal Ministero della Salute per la prevenzione e controllo dell’influenza. Durante la stagione 2015/2016, si è osservata una costante cocircolazione di ceppi influenzali di tipo A e di tipo B, questi ultimi leggermente prevalenti (57%). Nella popolazione anziana, i casi più gravi della malattia sono attribuiti ai ceppi A, mentre il ceppo B colpisce prevalentemente i giovani. Per la prossima campa-
gna vaccinale saranno disponibili diversi tipi di vaccino split e sub unità prodotti utilizzando uova embrionate di pollo ampiamente usati in tutto il mondo. Questi vaccini sono comunemente definiti “vaccini classici” e si stima offrano un’efficacia protettiva inferiore nella popolazione adulta/ anziana a causa dei fisiologici fenomeni dell’immunosenescenza. Per ovviare a questa problematica sono stati messi a punto vaccini in grado di indurre, nella popolazione anziana o nei soggetti fragili con una ridotta risposta immunologica al vaccino classico, una risposta anticorpale più elevata (vaccini “a elevata immunogenicità” o “potenziati”, come ad esempio il vaccino a somministrazione intradermica 15 microgrammi e il vaccino adiuvato con la molecola MF59). Dalla stagione 2014/15 è disponibile in commercio in Italia un vaccino quadrivalente split indicato per l’immunizzazione degli adulti e dei bambini dai 3 anni di età, per la prevenzione della influenza causata dai due sottotipi di virus influenzale A e da due di tipo B. Le moderne strategie di prevenzione vaccinale prevedono, pertanto, di utilizzare il prodotto più idoneo in base all’età, condizioni di rischio, patologie debilitanti, immunodepressione. Questo approccio garantisce una migliore efficacia stimata del vaccino, riducendo al contempo gli eventi avversi e la reattogenicità.
Proprio parlando di appropriatezza è importante ricordare che, rispetto ai vaccini convenzionali, il vaccino adiuvato con MF59 è particolarmente indicato nella popolazione over 65 in quanto agisce inducendo titoli anticorpali più elevati nei soggetti anziani, maggiormente esposti al rischio di complicazioni associate all’influenza, soprattutto in presenza di malattie croniche concomitanti molto diffuse (diabete, patologie cardiovascolari o respiratorie). Queste considerazioni derivano dai molti studi per la valutazione dell’efficacia del vaccino adiuvato e in particolare lo Studio LIVE volto a valutare e comparare l’efficacia sul campo del vaccino, ha dimostrato che negli anziani Fluad riduce del 25% il rischio di ospedalizzazione e/o polmonite rispetto a un vaccino convenzionale. In molteplici studi e in diverse metanalisi le reazioni ai vaccini, sia locali che sistemiche si sono dimostrate costantemente di carattere lieve e transitorie e, dunque, di scarsa rilevanza clinica. L’esame dei pochi eventi avversi gravi riportati dopo la vaccinazione non ha rivelato alcuna relazione causale con la vaccinazione, perciò non è stato riscontrato alcun problema di sicurezza per il vaccino. Questi risultati sono in linea con la valutazione di sicurezza positiva emanata secondo i parametri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Tutti i vantaggi implantologia dell’implantologia Gli impianti costituiscono una affidabile soluzione alternativa per sostituire i denti naturali. Con un doppio risultato: si mangia meglio, si sorride più volentieri… di Maria Mazzoli
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Non occorre arrivare ad una certa età per ritrovarsi senza un dente. O più di uno. E quello che all’apparenza sembra solo un antiestetico problema, rappresenta invece un “guaio” con cui prima o poi occorre fare i conti. L’edentulismo (così viene definita la mancanza dei denti) causa infatti conseguenze anche funzionali, ha un impatto molto significativo sul-
la struttura ossea e sulla masticazione, costringe ad adattare morsi e scelta del cibo, fino a rinunciare ad alcuni alimenti, prediligendo quelli piuttosto molli. La mancanza dei denti, inoltre, può causare un progressivo assottigliamento della mascella, che può arrivare a modificare in modo evidente la forma del viso. È per questo che protesi tradizionali come ponti o
dentiere hanno rappresentato, in parte, la soluzione, pur arrecando definitive conseguenze: per ripristinare la perdita anche di un solo dente attraverso un ponte, si devono per forza “limare” i due denti vicini (anche se buoni), mentre l’utilizzo di protesi mobili potrebbe causare disagi e sofferenze sia fisiche che psicologiche. Per questo, da oltre 30 anni, è arrivata
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in aiuto l’implantologia orale, applicata scientificamente con risultati clinici di elevato successo. È stato dimostrato che tra tessuto osseo e un impianto in titanio (che può essere liscio, ruvido o rivestito con materiali completamente biocompatibili) si forma un legame stabile che ne consente l’integrazione, che gli impianti dentali rappresentano ormai un’affidabile soluzione alternativa per sostituire del tutto o in parte i denti naturali mancanti, che i perni, una volta inseriti nell’osso, forniscono uno stabile fondamento sul quale vengono saldamente applicati i nuovi denti. Con un doppio risultato: si mangia meglio e si sorride più volentieri. Su questa importante scelta “salutare” Optima Salute ha intervistato il dottor Nicola Esposito, segretario nazionale dell’Andi (Associazione nazionale dentisti italiani), nonché presidente della Commissione albo Odontoiatri della provincia di Bari. Dottor Esposito, gli impianti sono una soluzione sempre possibile? «Questo dipende da ogni singolo caso, che sarà valutato e determinato dal vostro dentista. Verrà effettuato un completo esame clinico e radiologico per determinare la quantità e la qualità di osso disponibile e la vostra idoneità agli impianti dentali». Cos’è esattamente l’implantologia dentale? «È quella terapia odontoiatrica che, in zone di osso mascellare o mandibolare oramai “edentule”, consente l’inserimento di strutture in titanio (l’impianto) in grado poi di sostenere le protesi dentali progettate per il recupero anatomico e funzionale degli elementi dentari persi». In cosa consiste questa tecnica? «Il principio biologico su cui si basa è l’osteointegrazione: l’osso circostante compenetra nell’impianto fino ad “integrarlo” in modo quasi assoluto, conferendogli stabilità.
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L’intervento consiste nello scollamento di un lembo della gengiva, nella preparazione delle sedi dell’osso dove installare l’impianto, con strumenti e tecniche idonei ad evitare il surriscaldamento dell’osso e a garantire la successiva stabilità dell’impianto stesso, nell’inserimento dell’impianto, e nel riposizionamento del lembo mediante suture stabili, al fine di ottenere una guarigione ottimale». Si tratta di una procedura dolorosa? «Una banale anestesia, simile a quella necessaria per curare una carie, è più che sufficiente per un intervento indolore. Il post chirurgico, in assenza di complicanze è assimilabile ad un fastidio facilmente domabile con i più comuni antiinfiammatori.
I dispositivi medici sono realizzati perlopiù in titanio, sopra di essi vengono fissate le protesi dentarie La profilassi antibiotica con dose unica, un’ora prima dell’intervento, riduce il rischio di infezione postoperatoria. Una dose di analgesico somministrata subito prima dell’intervento serve a controllare il dolore post-operatorio». Quanto tempo occorre prima che il perno si “saldi” all’osso? «Il periodo necessario perché il fenomeno dell’osteointegrazione osso-impianto si completi è di circa tre mesi per gli impianti inseriti nell’arcata mandibolare e di circa quattro mesi per quelli posizionati su arcate mascellari. Questi tempi sono tuttavia modi-
ficabili in specifici casi clinici anche arrivando, grazie a particolari tecniche, alla possibilità di poter utilizzare gli impianti come base di una protesi dentaria subito dopo l’inserimento dell’impianto nell’osso (protesi a carico immediato)». Di che materiale sono fatti gli impianti odierni? «Si tratta di dispositivi medici altamente tecnologici, per lo più realizzati in titanio trattato superficialmente, in base alle caratteristiche industriali di costruzione; sopra l’impianto vengono alloggiate e fissate protesi dentarie di vario tipo, a seconda della riabilitazione da eseguire: di tipo fisso, che simulano quasi in modo assoluto la dentatura naturale, ma anche come supporto per ricostruzioni di tipo rimovibile dando alla “dentiera” una stabilità ottimale». Una volta inseriti, quanto durano? «Oggi gli impianti hanno una prognosi di sopravvivenza elevata (>90% di impianti stabilmente mantenuti a 10 anni dall’inserimento): questa altissima percentuale di successo è legata alle approfondite valutazioni preliminari del dentista, sia verso lo stato di salute generale del paziente sia verso le specifiche anatomiche, funzionali e protesiche». Chiunque può farsi mettere un impianto? «Oggi quasi tutti i pazienti possono accedere ad una terapia con impianti osteointegrati. L’implantologia infatti è ormai una branca della odontoiatria ad elevata affidabilità, gestita da protocolli severi ed assolutamente controllati. Per questo è molto importante che l’implantologo esegua in prima istanza un’accurata anamnesi generale odontoiatrica ed infine radiologica al fine di giudicare se si è idonei al trattamento. Anche in presenza di patologie generali il paziente può comunque essere ritenuto un candidato all’inserimento di impianti, a patto che l’implantologo lavori in equipe con
un cardiologo, internista o altro a seconda della patologia di base. Questa collaborazione è necessaria al fine di operare un’attenta valutazione dei costi benefici del trattamento stesso in quel determinato paziente, conoscendone bene le condizioni locali, generali e rispettando, nei limiti del possibile, le sue aspettative. Molta attenzione deve essere posta dal paziente nel riferire all’implantologo, con assoluta precisione le terapie farmacologiche eventualmente in atto». Un impianto, una volta nell’osso, dura per sempre? «Ottenuta l’osteointegrazione può durare per sempre. Resta naturalmente legato al destino della bocca ed in particolare a quello dell’osso alveolare così come avviene per eventuali denti residui. Osservare un contenuto fenomeno di riassorbimento osseo intorno agli impianti con il passare degli anni si può ritenere normale. Fattori decisivi sono certamente il mantenimento da parte del paziente e soprattutto la sua disponibilità a seguire sedute di controllo che permettano all’implantologo di intercettare e curare l’insorgenza di eventuali complicanze». Parliamo di controindicazioni: è vero che il fumo, il diabete non compensato ed alcuni farmaci, tra cui i comuni antidepressivi, possono compromettere sia l’osteointegrazione sia la durata degli impianti?
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«Parliamo prima di controindicazioni legate al paziente. Che possono essere: • Patologie sistemiche e assunzione di farmaci che controindicano la chirurgia in genere: in caso di patologie sistemiche significative è opportuno coinvolgere il medico curante nella decisione. • Fumo. • Diabete mellito scompensato. • Chemioterapia antiblastica in atto. • Assunzione di bifosfonati, usati nella terapia dell’osteoporosi, del morbo di Paget, ecc. (l’osteoporosi di per sé è stata considerata in passato un fattore di rischio significativo, ma i dati attualmente disponibili non autorizzano ancora questa ipotesi). • Morbo di Paget. • Immunodepressione. • Parafunzioni (aggravano i problemi meccanici). • Crescita non ultimata: l’osseointegrazione avviene regolarmente, ma l’impianto non segue l’accrescimento osseo e si trova dislocato rispetto ai denti naturali vicini. Non sono ancora stabiliti criteri per accertare quando la crescita dei mascellari è ultimata. È comunque controindicato inserire impianti in pazienti in pubertà, la cui crescita corporea superi il centimetro per anno, salvo casi di agenesie multiple (mancato sviluppo di organi) e displasia ectodermica. • Aspettative non realistiche. Le controindicazioni locali invece
sono: • Patologie dei mascellari. • Malattie delle mucose. • Parodontite (infiammazione delle strutture di sostegno del dente, ndr.) non controllata. • Spazio tra dente e dente o tra dente inferiore e superiore inadeguato. • Radioterapia recente. • Volume osseo insufficiente e non incrementabile. • Condizioni estreme di alta o bassa densità ossea. • Igiene orale inadeguata». Dal punto di vista estetico e funzionale, che risultati si ottengono? «L’implantologia dentale, unitamente ai nuovi materiali protesici, consente ora di ottenere il raggiungimento di risultati funzionali ed estetici ottimali, molto vicini a quelli della dentatura naturale, ma la condizione preliminare del successo è la preparazione del dentista e la qualità dei materiali utilizzati. Più di ogni altra prestazione odontoiatrica, in implantologia la qualità è un fattore determinate». C’è un limite massimo di perni che si possono inserire? «La tecnica prevede che si inserisca un impianto per ogni dente mancante qualora le condizioni cliniche dell’osso prevedano la possibilità di inserimento dell’impianto. Pertanto, il dentista valuterà, nei casi in cui manchino tutti i denti, se il paziente sarà candidabile ad una protesi di tipo fisso
e quindi con un numero di impianti sufficienti a sostenere almeno dodici corone superiori ed inferiori oppure sarà candidabile ad una protesi di tipo rimovibile e quindi con un numero di impianti pari a quattro o sei all’arcata superiore ed all’arcata inferiore». In media, quanto costa inserire un impianto? «Da qualche anno, essendo stati aboliti i tariffari dei professionisti con la Legge Bersani, ogni dentista propone un proprio onorario relativo all’intervento implantologico. Secondo il tariffario dell’Associazione nazionale dentisti italiani il costo dell’intervento, a secondo della zona di residenza del dentista, oscilla tra gli 800 e i 1200 euro». In caso di “rigetto”, quale soluzione si prospetta? «In implantologia non esiste il rigetto in quanto i materiali utilizzati sono assolutamente biocompatibili pertanto si può parlare di successo od insuccesso dell’in-
tervento chirurgico implantare». La crescente richiesta di soluzioni protesiche basate su impianti ha fatto sorgere, in brevissimo tempo, letteralmente, centinaia di marche diverse disponibili sul mercato. Tra le tante offerte, spesso anche a basso prezzo, come fa un paziente ad orientarsi? «Premesso che il costo non varia per la marca o modello dell’impianto, il paziente deve avere piena fiducia nel proprio dentista e nel caso debba rivolgersi ad altro professionista sarà sufficiente verificare con lui i casi trattati e le soluzioni prospettate al fine di verificare l’esperienza professionale acquisita nel tempo». Chi, professionalmente, può davvero eseguire questo tipo di tecnica? «Legalmente può esercitare l’odontoiatria e quindi proporre ed eseguire l’implantologia, il laureato in Odontoiatria e protesi dentaria, o il medico, laureato in Medicina e Chirurgia sia spe-
cialista che no in Odontostomatologia, regolarmente iscritto all’Albo degli Odontoiatri. Inoltre esiste anche la figura professionale del medico specialista in chirurgia maxillo-facciale che potrà eseguire l’intervento di implantologia su indicazione dell’odontoiatra lasciando a quest’ultimo la progettazione e la terapia protesica su impianto». Una volta intrapresa la strada dell’implantologia, non resta che seguire la classica “manutenzione orale”: un’accurata igiene della bocca contribuisce in modo decisivo alla durata, nel tempo, degli impianti dentali. Per questo, occorre seguire le indicazioni del proprio dentista sia per quanto riguarda la tecnica e gli strumenti da usare per l’igiene orale quotidiana, sia nell’eseguire le visite di controllo periodiche consigliate. Nulla di nuovo rispetto alle regole valide per la prevenzione: pronti spazzolino, dentifricio e filo interdentale?
L’intervento passo dopo passo Gli impianti svolgono una funzione paragonabile a quella delle radici dei denti. Dopo aver valutato il quadro clinico generale e radiologico il dentista, proposto ed accettato il piano di trattamento chirurgico-protesico, potrà passare all’intervento, attraverso tre fasi: •Chirurgica: l’impianto è inserito nell’osso mediante un intervento indolore che viene eseguito, ambulatorialmente, in anestesia locale. •Integrazione: dopo la fase chirurgica inizia la fase dell’integrazione con la formazione di un legame biologico
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stabile tra l’impianto e l’osso stesso. A seconda della situazione individuale, del tipo d’impianto impiegato, e della qualità dell’osso l’integrazione avviene in un tempo che può variare da tre a sei mesi. Il vostro dentista saprà valutare se, durante questo tempo, potrete portare una protesi provvisoria sia fissa che rimovibile. •Protesica: una volta avvenuta la guarigione della gengiva e l’integrazione, su ogni impianto viene collocato un pilastro sul quale sarà cementata o avvitata la protesi. n
Germi e batteri? Cercateli in casa Alcuni oggetti di uso quotidiano come cellulari, computer, auricolari o... lenzuola possono esporci al rischio di infezioni. Ecco come fare prevenzione di Gelsomina Sampaolo
s
Esiste la convinzione che malanni
stagionali come raffreddore, mal di gola, congiuntivite e tosse siano da imputare soltanto ad una
eccessiva esposizione agli agenti atmosferici o ad altre persone già malate. Se ciò può essere considerato vero in moltissimi casi, in
altri basterebbe fare un’accurata prevenzione casalinga, che parte dalla corretta igiene e pulizia di oggetti di uso comune, troppo
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spesso sottovalutata. Questi microorganismi, responsabili di infezioni e malattie, si annidano praticamente ovunque, dentro e fuori casa, anche su oggetti impensati: auricolari, cellulari, tastiere del computer, telecomandi, lenzuola, ecc. Secondo una recente ricerca dell’Università dell’Arizona le superfici più sporche sarebbero anche le più improbabili, per fare qualche esempio gli asciugamani sarebbero peggio della tavoletta del wc, così come spugne e canovacci in cucina o la macchinetta del caffè. I cellulari, poi, meritano un discorso a parte, essendo ormai uno degli oggetti più a contatto con mani e viso durante la giornata: vi si annidano germi in quantità dieci volte superiori a quelli presenti sulla tavoletta del wc! Uno studio dell’Ondokuz Mayis University (Turchia) rileva che i telefoni cellulari sarebbero, addirittura, tra i principali vettori dei cosiddetti “super batteri”, microorganismi resistenti agli antibiotici. Vediamo dunque quali pratiche adottare per prevenire infezioni e malanni stagionali con le corrette pratiche igieniche.
LENZUOLA, terra di acari
Se pensavate che il vostro letto fosse uno dei luoghi più sicuri dove rifugiarvi sbagliavate di grosso: ospita mediamente circa 1,5 milioni di acari e quasi 10 milioni di cellule epiteliali che ognuno di noi disperde normalmente ogni giorno. Ecco perché lenzuola e federe andrebbero cambiate e lavate (a 60°) ogni settimana, e il materasso andrebbe aspirato, magari dopo averci spruzzato un buon prodotto anti-acaro. Anche il ferro da stiro può aiutare ad uccidere germi e batteri, grazie alle alte temperature raggiunte. La buona notizia arriva da una ricerca della Kingston University condotta dal dottor Stephen Pretlove che ha rilevato come i milioni di acari che vivono beati
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tra le nostre lenzuola si svilupperebbero e prolifererebbero con il calore umano da esse trattenuto. Il modo migliore per debellarli sarebbe dunque lasciare prendere aria alle lenzuola, “ossigenandole” a lungo, esponendole alla luce e al caldo secco, creando così un ambiente inospitale per i microscopici insetti.
ASCIUGAMANI, habitat dei germi
Abbiamo visto all’inizio di questo articolo che sono da considerare addirittura più pericolosi della tavoletta del wc, questo perché sono sempre umidi e li usiamo per mani, viso e bocca, attraverso cui si trasmettono facilmente cellule epiteliali e microorganismi. Secondo la ricerca dell’University of Arizona gli asciugamani del bagno sono l’habitat perfetto per i germi grazie all’umidità che trattengono. In particolare nell’89% dei casi si tratta di batteri coliformi, potenziali responsabili di alcuni disturbi gastrointestinali. Nel 25,6% dei casi, invece, gli studiosi hanno trovato l’Escherichia coli, pericoloso batterio che vive nel nostro intestino e che può anche causare diarrea e altre patologie più gravi. “Il problema degli asciugamani che teniamo in bagno - ha dichiarato uno degli autori dello studio - è che c’è il rischio che i germi possano entrare in contatto anche con altri membri della nostra famiglia, che usano gli stessi asciugamani. Basti pensare a quello che utilizziamo per il viso, che viene preso in prestito da tutti, ospiti compresi”. E per combattere i batteri, spesso, non basta la lavatrice. La salmonella o i coliformi, ad esempio, sono in grado di sopravvivere a qualsiasi centrifuga. I ricercatori consigliano di mettere gli asciugamani a mollo qualche ora prima di lavarli e procedere poi con il lavaggio ad altissime temperature (fino a 90°). Altre regole fondamentali: • Ogni membro della famiglia
deve avere i suoi asciugamani e tenerli separati dagli altri; • Ricordarsi di metterli ad asciugare dopo averli usati; • Lavarli spesso, almeno una volta a settimana. E neanche gli asciugamani elettrici di ultima generazione (quelli dei bagni pubblici, per intenderci) sembrano essere al riparo dai germi. Secondo una ricerca pubblicata da Journal of Applied Microbiology, infatti, diffonderebbero nell’aria molti più germi dei suoi predecessori. Per la precisione, l’Università di Westminster riporta una diffusione di germi nell’aria 60 volte in più dei normali asciugamani elettrici e 1.300 volte in più della carta. Ma le aziende produttrici smentiscono: “Lo studio in oggetto è realizzato in condizioni artificiali, utilizzando livelli irrealistici di contaminazione batterica (talmente alti da non essere riscontrabili in natura) mediante l’impiego di guanti e in assenza del lavaggio delle mani prima della fase di asciugatura. È provato scientificamente che i nostri asciugamani ad aria sono igienici tanto quanto le salviette di carta attraverso ricerche condotte dall’Università di Bradford”.
SPUGNE, tana di funghi e muffe
Sia quelle per i piatti che quelle per la doccia sono un vero e proprio ricettacolo di batteri, muffe e funghi. Il dottor Philip Trieno, esperto dei dipartimenti di Microbiologia e Patologia presso la NYU Langone (New York) e autore di “The Secret Life of Germs” consiglia di non sciacquare semplicemente la spugna della cucina, ma di disinfettarla. Quando eliminiamo i residui di cibo dai piatti sporchi, infatti, eventuali agenti patogeni possono rimanere sulla spugna bagnata e moltiplicarsi sul lavello ad un ritmo velocissimo (fino ad una volta ogni 20 minuti). Per disinfettare bene la spugna,
dunque, l’esperto suggerisce di lasciarla in una soluzione fatta con una parte di candeggina e nove parti d’acqua per 10-30 secondi (o più). La soluzione va poi cambiata ogni volta che si usa la spugna. In alternativa si può disinfettare in microonde: basta riempire d’acqua un contenitore adatto, metterci dentro la spugna e far bollire l’acqua nel forno. Poi ricordatevi di lasciarla asciugare bene. Una ricerca realizzata nel 2007 dall’Agricultural Research Service statunitense (ARS), ha messo a confronto i vari metodi di disinfezione delle spugne ed è emerso che l’uso di candeggina e succo di limone può ridurre i batteri dal 37 all’87% mentre la “bollitura” al microonde distrugge fino al 99,9% dei microrganismi.
AURICOLARI: mai condividerli
La condivisione e l’utilizzo continuato di questi dispositivi espone le orecchie al rischio di contrarre infezioni. Un gruppo di ricercatori del Kasturba Medical College di Manipal (India) ha illustrato sulle pagine del Journal of Health and Allied Sciences uno studio su 50 auricolari e altrettante paia di orecchie di ragazzi, suddivisi in due gruppi da 25 persone in cui il primo usava regolarmente un lettore mp3 mentre il secondo ne faceva un uso saltuario. I dati raccolti hanno mostrato che le orecchie di chi usa regolarmente gli auricolari sono invase da batteri rispetto a quelle di chi se ne serve raramente. In realtà le migliaia di microrganismi che si annidano negli auricolari sono innocui per la maggior parte, ma la continua esposizione alle cuffiette aumenta il rischio generico di incorrere in batteri come lo stafilococco, che possono nuocere gravemente alla salute dell’orecchio. Quindi, cercate innanzitutto di condividere il meno possibile questi dispositivi (un’abitudine purtroppo molto diffusa, soprattutto tra i più giovani)
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e cercate di disinfettarli quotidianamente con salviettine antibatteriche.
CELLULARE e TASTIERA PC: puliteli spesso L’Università del Surrey ha individuato batteri di ogni tipo sui telefonini, incluso lo stafilococco aureo, che di solito risiede nelle cavità nasali. Secondo un altro studio, poi, i virus di raffreddore ed influenza possono sopravvivere sulle superfici dure (come quella di uno smartphone) fino a 24 ore. I cellulari più a rischio sembrano appartenere a chi lavora negli ospedali: il 95% degli apparecchi appartenenti a medici e infermieri è risultato infestato da diversi batteri, tra cui il famigerato stafilococco aureo, causa della maggior parte delle infezioni ospedaliere. Anche se non lavorate in ospedale, quindi, ricordate di pulire ogni sera il vostro telefono con delle salviettine antibatteriche apposite. Lo stesso, temibile stafilococco è stato individuato anche sulle tastiere di pc
e computer portatili dagli studiosi della Swinburne University of Technology in Australia. L’Università dell’Arizona, poi, ha stabilito un dato ancora più inquietante: le tastiere dei computer ospiterebbero batteri in una quantità 400 volte maggiore rispetto alle tavolette dei wc! Come ci arrivano? Non solo dai nostri polpastrelli, ma anche da eventuali tracce di bevande e cibi che vi cadono sopra (mai mangiare alla scrivania!), piccoli tagli sulle dita, altri utenti magari raffreddati che si sono soffiati il naso prima di digitare sulla tastiera. Quindi: innanzitutto lavatevi sempre le mani prima di iniziare a scrivere al computer, mangiate sul tavolo della cucina o in giro, ma non sopra la tastiera e ricordatevi di disinfettare la vostra posizione di lavoro almeno una volta a settimana con un panno antibatterico asciutto.
BORSE E PORTAFOGLI, appoggi vietati
Avete mai fatto caso a quante volte vi capita di appoggiare la bor-
sa su un tavolo o a terra? In quel momento la vostra borsa diventa un veicolo di batteri, compreso il già menzionato stafilococco. Lo stesso si può dire dei portafogli, che appoggiamo un po’ ovunque e che usiamo per monete e banconote passate di mano in mano. Usate uno spray protettivo su borse e portafogli nuovi, in modo da poterli pulire in seguito senza rischiare di rovinarli. Evitate poi, per quanto possibile, di appoggiare la borsa per terra, soprattutto nei bagni e nei luoghi pubblici in genere.
BANCONOTE rifugio di batteri
Sono sicuramente l’oggetto più usato e meno pulito del mondo, si sa. Uno studio USA ha riscontrato una media di 130mila batteri su ogni banconota analizzata. Secondo uno studio condotto dall’Università di Oxford, invece, una banconota europea contiene in media 26.000 batteri, appartenenti a diverse specie, alcune delle quali patogene. La carta degli euro è la più pulita, con 11.000 microrganismi presenti in media. C’è però anche una rassicurante (?) voce fuori dal coro, quella della Ballat University australiana, secondo cui i batteri presenti sulle banconote, non solo non sarebbero così dannosi per la nostra salute ma non sarebbero neanche tanto numerosi, “ce ne sono più in un panino che nel denaro usato per comprarlo” hanno chiosato gli studiosi sulle pagine del Foodborne Pathogens and Disease.
VESTITI Occhio ai jeans
Il capo d’abbigliamento maggiormente “incriminato” sembrano essere i jeans. Secondo alcuni per conservarne il colore intenso bisognerebbe evitare troppi lavaggi, ma sudandoci dentro si formano sicuramente batteri potenzialmente pericolosi perché a contatto diretto con la pelle.
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Dall’American Cleaning Institute consigliano di lavare i jeans ogni tre volte che li si indossa. Un altro capo che apparentemente sbagliamo a lavare è il reggiseno: va lavato ogni 3-4 usi, meglio se a mano con acqua calda e sapone delicato. I reggiseni sportivi, invece, vanno lavati ogni volta che si indossano, in lavatrice a 60 gradi, per distruggere i batteri.
CUCINA pavimento critico
Innanzitutto cercate di non entrare mai in cucina con le scarpe con le quali uscite di casa: uno studio dell’Università dell’Arizona ha scoperto che sotto alla suola di una scarpa si trovano in genere 421.000 batteri diversi.
Sono i jeans gli indumenti potenzialmente a maggiore rischio Ricordatevi poi di raccogliere ogni traccia di cibo caduto a terra accidentalmente, così come polvere, peli di animali e liquidi nei quali i batteri posso proliferare. Il pavimento della cucina andrebbe lavato, o quantomeno spazzato, ogni giorno e disinfettato una volta alla settimana.
ASPIRAPOLVERE microbi sotto controllo
Questi elettrodomestici che ci facilitano tanto la vita, per pulire bene devono innanzitutto essere puliti. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Applied And Environmental Microbiology, infatti, i microbi che si annidano negli aspirapolvere possono essere nuovamente rilasciati nell’aria usando elettrodomestici sporchi. L’Università dell’Arizona, inoltre, ha rilevato che nel 50% dei casi
le setole dell’aspirapolvere sono contaminate da batteri fecali, e nel 13% dall’Escherichia coli, responsabile di pericolose infezioni alle vie urinarie e gastroenteriche. Come rimediare? Svuotando e sostituendo periodicamente il contenitore/sacchetto della polvere, controllando regolarmente le condizioni del filtro e usando prima e dopo le pulizie uno spray disinfettante sulle setole del battitappeto. Alla prima occasione vi consigliamo di sostituire il vecchio elettrodomestico con un modello senza sacchetto, in cui i batteri non riescono a proliferare tanto facilmente.
DEUMIDIFICATORE check-up periodico
Fondamentale per chi soffre di asma e per sopravvivere in ambienti caldi e secchi, ma può essere un nemico da combattere. Se ci sono residui di acqua, infatti, si possono formare muffe e batteri. Inoltre, in un ambiente troppo umido, possono proliferare gli acari della polvere.
FRULLATORE pulizia costante
Secondo un rapporto dell’Organizzazione per la Salute e la Sicurezza dei Prodotti di Consumo, NSF, si trova al terzo posto nella classifica degli oggetti più sporchi della cucina. Più in particolare, l’anello che tiene la lama in posizione accumula ogni giorno di tutto, coadiuvando così la produzione di funghi e batteri, compresa la salmonella.
PELUCHE mai sul letto
Saranno carini e ci sarete anche affezionati, ma cercate di non tenerli sopra il letto e limitarne la quantità. Infatti, sui peluche si attaccano infinità di germi e acari che si possono eliminare con lavaggio periodico, spray antiacaro e temperature basse (potete metterli anche in frigo). n
Hobby House
di Gelsomina Sampaolo
Libreria Bambini
Perché, perché, perchè
Agli occhi dei bambini il mondo è un grosso punto di domanda. Un libro, ricco di illustrazioni, con tutte le risposte che gli adulti devono conoscere per evitare di essere colti impreparati! Fontana M.; DeAgostini; Euro 11,90
Il bambino sottovuoto
La signora Bartolotti riceve per errore un nuovissimo bambino sottovuoto: 7 anni, affettuoso, gentile e beneducato. Ma la fabbrica lo vuole indietro: come fare a rendere Marius irriconoscibile? Nostlinger C.; Salani; Euro 8,50
In Salute
Dislessia, guida pratica per ragazzi
Avere la dislessia non significa essere destinati a non riuscire nello studio. Spesso è sufficiente adottare un punto diverso di osservazione. Tecniche e trucchi per riuscire a leggere, compitare, memorizzare. Winton A.; Red!; Euro 10,00
Medicine senza rischi
II dottor Bianchi spiega a tutti i consumatori come fare un uso corretto dei farmaci per poter godere dei loro benefici, evitando, o almeno minimizzando, le possibili reazioni avverse. Bianchi W.; Vallardi; Euro 14,90
Best Seller
La ragazza del treno
Rachel, sola e con molti problemi, ogni mattina prende lo stesso treno, e dal finestrino spia e fantastica sulla vita di una giovane coppia. Ma una mattina vede qualcosa che non dovrebbe vedere. Hawkins P.; Piemme; Euro 19,50
Cinema La Famiglia Fang
Regia: J. Bateman; con J. Bateman, N. Kidman, C. Walken Trama: i figli di una coppia di artisti radicali alle prese con la sparizione di mamma e papà. Giudizio: il labile confine tra vita e arte, e i danni che i genitori possono causare ai figli.
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Bukashi, viaggio dentro la guerra
Gino Strada, chirurgo di guerra e fondatore di Emergency, racconta in questo libro la storia del viaggio in Afghanistan iniziato il 9 settembre 2001. Strada G.; Feltrinelli; Euro 8,00
Musica Rumours Fleetwood Mac
L’ultimo e più famoso album del gruppo rock-folk angloamericano. Il titolo, Rumours (dicerie), si riferisce alle voci messe in circolazione dalla stampa scandalistica intorno alle coppie.
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ricette
Impastoiata di legumi misti e polenta • 300 g di legumi misti • 300 g di farina di granoturco • cipolla, sale, olio extravergine q.b. Preparate un umido di legumi misti con olio e cipolla, poi fate bollire in una pentola circa un litro e mezzo di acqua e versate a pioggia la farina, mescolando per evitare che si formino grumi. A cottura ultimata versate i legumi misti nella polenta e amalgamate dolcemente per qualche minuto. Servite con un filo di olio a crudo.
W. Oscar
Silenzio dorato “A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprire bocca e togliere ogni dubbio”. (Oscar Wilde)
Lo Sapevate?
Oroscopo Segno del mese Scorpione
23/10 - 22/11
Una grande vigoria fisica vi spingerà a risolvere situazioni in stallo, puntando decisamente sugli obiettivi prefissati. Ma affinate le strategie, senza travolgere tutto e tutti.
Sagittario 23/11 - 21/12
In arrivo cambiamenti importanti e positivi nel lavoro, ma dovrete dimostrare spirito d’adattamento.
Capricorno 22/12 - 20/01
Avete bisogno di riflettere, staccare la spina. Prendetevi una pausa per poter soddisfare le vostre aspirazioni.
Acquario 21/01 - 19/02
Sangue freddo e raziocinio al posto di sogni e utopie: è tempo di grandi decisioni.
Pesci 20/02 - 20/03
Siate più combattivi, esponete il vostro pensiero. Arriveranno solo vantaggi.
Perché chi lavora molto si definisce stacanovista Quando si lavora troppo si viene definiti stacanovisti, neologismo creato per “merito” del minatore russo Aleksej Grigor’eviç Stachanov (1906 - 1977) che ideò una nuova metodologia di estrazione del carbone facendo aumentare la produttività fino a quattordici volte. Il 31 agosto 1935 raccolse 102 tonnellate di carbone in 5 ore e 45 minuti. Nell’Unione Sovietica si festeggia tutt’oggi il 31 agosto come “giorno del minatore di carbone”.
Ariete 21/03 - 20/04
Web Zone
Leone 23/07 - 23/08
Wi-fi da record Un collegamento senza fili lungo 304 km, dalla Sardegna al monte Amiata (Toscana), ha battuto il record delle trasmissioni wireless. È successo grazie a due ricercatori italiani, Ermanno Pietrosemoli e Marco Zennaro dell’International Centre for Theoretical Physics (ICTP) di Trieste.
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Pensate bene ai vostri progetti, con energia e coraggio. Tagliate i rami secchi.
Toro 21/04 - 20/05
Non confondete il lavoro con la vita privata, lasciate le emozioni fuori dall’ufficio.
Gemelli 21/05 - 21/06
Basta coi compromessi nelle relazioni, date sfogo alla vostra voglia di indipendenza.
Cancro 22/06 - 22/07
Vorreste andare sempre avanti a testa bassa, ma usate la diplomazia e cercate accordi. Amate le nuove conoscenze, ma non potete risolvere i problemi di tutti.
Vergine 24/08 - 22/09
Spirito battagliero e testardaggine vi daranno linfa per un nuovo progetto di lavoro.
Bilancia 23/09 - 22/10
Siete dei professionisti delle relazioni, che vi porteranno un incarico molto remunerativo.
Video live fino a 4 ore Le dirette streaming su Facebook Live sono sempre più sofisticate. Ora arrivano fino a 4 ore e consentono la visualizzazione a schermo intero, con la possibilità di eliminare i commenti. Annunciata inoltre la possibilità di programmare le dirette per le pagine verificate.
140 caratteri... e oltre! Dal mese scorso Twitter ha ufficialmente superato il limite dei 140 caratteri, anche in Italia. Sul microblog più famoso del mondo, infatti, è ora possibile condividere foto, immagini animate, video, sondaggi e altri tweet senza che questi vengano calcolati nel limite massimo di caratteri imposto dalla piattaforma. Sicuramente un incentivo a condividere sempre di più contenuti multimediali per un rilancio del social network, che negli ultimi tempi aveva perso un po’ di lustro.
CONCERTI
Le date del mese The Cure: 1 Assago. The Lumineers: 25 Milano, 26 Bologna. Placebo: 15 Assago. Tiromancino: 19 Torino, 29 Milano. King Crimson: 6 Milano, 8-9 Firenze, 11-12 Roma, 14-15 Torino. Norah Jones: 8 Milano, 9 Padova. Sergio Sylvestre: 5 Modugno, 6 Maglie, 10 Ciampino, 11 Napoli, 17 Venaria, 19 Collesalvetti, 26 Parma. Garbage: 2 Firenze, 3 Padova. Renato Zero: 24-25 Casalecchio di Reno, 28-30 Torino. Elisa: 8 Jesolo, 11 Firenze, 12 Livorno, 14 Torino, 15 Genova, 19 Roma, 22 Casalecchio di Reno, 23 Montichiari, 25-26 Assago, 28-29 Padova. Marco Mengoni: 12 Mantova, 16-17 Assago, 19 Conegliano, 20 Rimini, 22 Padova, 23 Torino, 25 Roma, 28 Castel Morrone.