I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A | 0 4 . 2 0 1 7
SOMMARIO
EDITORIALE di martina iseppon
SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana
Ed ecco l’estate! Accogliamo con gioia il caldo, le cicale, i colori brillanti del cielo e dell’erba, le serate all’aperto. Ripercorriamo il nostro viaggio in Grecia, alla scoperta delle olive Kalamata e vi proponiamo un ventaglio di abbinamenti con le melanzane, ortaggio principe della stagione, una selezione di carpacci e un articolo dedicato al gelato di Alessandro Scian. Ma non disdegnamo temi più impegnati, che cerchiamo di affrontare con leggerezza, per poterli leggere anche sotto l’ombrellone: un bellissimo articolo di Danilo Gasparini sulla carne, tema controverso in un’epoca dove tanti abbracciano la dieta vegana; l’intervista di Giulia Basso a Luca Fereoli, produttore del Salame Felino IGP e un approfondimento di Giorgia Barbaresco sull’affumicatura. Concludiamo... “con gusto”, con il brunch estivo in terrazza di Anna Maria Pellegrino.
Team editoriale: Alessandro De Conto, Anna Maria Pellegrino, Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Danilo Gasparini, Martina Iseppon Direttore: Giulia Basso
Martina Iseppon
Editore: Valsana srl Via E. Maiorana 3/A - Santa Lucia di Piave TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017
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SOMMARIO luglio | agosto 2017
NOTIZIE DA VALSANA | #LOVEGASTRONOMY viaggio in grecia
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intervista al produttore | il felino di fereoli 08 ABBINAMENTI DI STAGIONE | la melanzana 12 VOGLIA DI CARPACCIO 14 L’INSOLITO GELATO 16 ETICHETTE DA SCOPRIRE | L’AFFUMICATURA
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STORIA & STORIE | CRUDA O COTTA? LA CARNE!
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LA CUCINA DI QB | BRUNCH ESTIVO IN TERRAZZA
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notizie da valsana
#lovegastronomy CUCINA
Riflessioni da Tours, Mondial du Fromage: tre giorni intensi con i nostri “cheese-friends” di Cahill’s Cheesee Kaeskuche
MARKETING
STORIA
#lovegastronomy RAZZE
GEOGRAFIA PRODUTTORI
Tours, Francia, la patria del formaggio. Tre giorni in cui ci siamo divertiti, assieme ai nostri amici di Cahill’s Cheese e Kaeskuche. Ma soprattutto ci ha dato molta soddisfazione la reazione dei visitatori al nostro stand, un po’ fuori dagli schemi.
#lovegastronomy è il tag che utilizziamo per i nostri eventi e che ora abbiamo introdotto anche nel display del nostro banco frigo. #lovegastronomy riassume il nostro approccio ai prodotti, che non si ferma alla valutazione organolettica, ma vuole approfondire la
#maquantosiamosocial Da inizio anno abbiamo iniziato a condividere anche sui social, primo fra tutti Facebook, i temi che ci stanno a cuore: le storie dei “nostri” produttori, approfondimenti sui prodotti, ricette e abbinamenti, notizie dal backstage
storia, conoscere le persone e il loro contesto sociale, scoprire il territorio di produzione, analizzare il mercato e le mille possibilità di sperimentazione in cucina. Sono i temi di questa rivista, che ritroviamo anche nel nostro blog: valsana.it/it/blog. Sono i temi che ci stanno a cuore e che da poco abbiamo iniziato a condividere anche sui social, primo fra tutti Facebook.com/ValsanaSrl. Incontri con il produttore: vogliamo raccontarvi con trasparenza le mille storie dei “nostri” produttori Approfondimenti: sulla storia, sulla tecnologia di produzione, sulla normativa, sugli ingredienti In cucina: le ricette realizzate per noi da Anna Maria Pellegrino, ma anche moltissime idee di abbinamento con i prodotti di stagione. Con l’aggiunta di qualche post dal backstage, per raccontarvi il nostro lavoro: come facciamo ricerca, chi si occupa della selezione, gli eventi a cui partecipiamo. Martina Iseppon
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viaggio in grecia
VIAGGIO in grecia Attraversiamo il Peloponneso, tra altipiani e strade a ridosso del mare, tra viti e ulivi, nel terroir dell’Oliva Kalamata per incontrare Demie e Afroditi di Maniterra Il mettersi in viaggio è indubbiamente una modalità di approfondimento che identifica il nostro modo di fare ricerca, di scoprire nuovi territori, nuovi volti e nuove produzioni. Come spesso diciamo il mondo della gastronomia non ha confini e proprio per questo ci piace esplorare territori anche al di fuori dei confini nazionali. Così siamo partiti per il Peloponneso, penisola - ora isola per la verità - greca dove si radica il terroir dell’oliva Kalamata e dove si trova il nostro produttore Maniterra, a pochissimi chilometri dalla città di Kalamata. Attraversando la penisola, provenendo da Atene, ci siamo immersi in un territorio movimentato, ricco di saliscendi tra altipiani e strade a ridosso del mare, ove l’ulivo, con le sue diverse varietà, e la vite si alternano soprattutto in prossimità della costa. Subito ci siamo resi conto di una biodiversità importante, decine e decine di tipi diversi di olive, che ci hanno fatto capire quanto sia superficiale la dicitura “Oliva greca” e quanto invece meriti un approfondimento per riconoscere almeno le tipologie principali. Le olive greche sono essenzialmente riconducibili a tre morfologie da cui, con vari metodi di lavorazione e tempistiche di raccolta, derivano tutti i tipi di olive elleniche: l’oliva tonda (verde e nera) che si definisce Conservolia o Amfissis ed è prodotta per lo più nella Grecia centrale ed occidentale; l’oliva lunga (verde e
nera) che si definisce Calcidica prodotta nel nord del Paese; l’oliva Kalamata (solo nera) prodotta nel sud del Peloponneso e nella zona di Agrinion. Le Conservolia sono le più diffuse, ma le più rinomate sono indubbiamente le Kalamata. Una curiosità: queste olive prendono il nome non dal luogo di produzione, ma dal luogo ove originariamente venivano commercializzate, il porto di Kalamata appunto (un caso analogo lo troviamo nel formaggio Bra Dop). “Maniterra - raccontano Demie e Afroditi ha circa 30 anni di esperienza nel settore, ed è stata tra le prime a proporre l’oliva denocciolata, richiesta inizialmente dal mercato americano, e che ora rappresenta circa il 90% del nostro business”. L’azienda è molto attenta nella selezione della materia prima: vengono utilizzate solo olive Kalamata raccolte a mano nella zona di Sparta, lavorando direttamente con i coltivatori e selezionando il calibro corretto senza intermediari. La lavorazione avviene nello stabilimento di Maniterrra, dove si opera con poca luce in modo da non ossidare l’oliva. Inoltre non viene utilizzata la soda per togliare l’amaro, ma soltanto aqua, sale e... tempo! “Purtroppo la siccità dell’inverno scorso ha portato a un raccolto molto scarso rispetto alle ultime annate - racconta Demie - speriamo di avere abbastanza olive fino al raccolto del 2017”.
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Alessandro De Conto
I prodotti Deliziose come aperitivo, sono ottime per realizzare la classica insalata greca (horiatiki), preparata con olive, pomodori, cetrioli, cipolla e feta; perfette per dare un tocco diverso alla pizza
olive di kalĂ mata dop
olive greche mix con falde di peperone
Tra le piÚ rinomate olive al mondo, le Kalamata sono olive di colore nero violaceo, dalla forma allungata con una punta prominente e leggermente uncinata; la polpa è compatta e allo stesso tempo succosa; pasta polposa, dal sapore complesso, intenso e aromatico
Mix di olive greche Kalamata, Conservolia e Halkidiki denocciolate e aromatizzate con falde di peperone leggermente arrostito; ogni cultivar offre sfumature di gusto diverse; il risultato complessivo è goloso e stuzzicante
codice 93280 | intere in vaso da 3 kg codice 93281 | denocciolate in vaso da 3 kg codice 93283 | affettate in vaso da 3 kg codice 93284 | denocciolate in vasetto da 190 g
codice 93282 | vaso da 3 kg codice 93285 | vasetto da 190 g
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il felino di fereoli
INTERVISTA AL PRODUTTORE
Gino, Luigi e Luca Fereoli: tre generazioni la storia di una famiglia indissolubilmente legata alla storia del Salame Felino IGP
La storia del salame Felino IGP, chiamato così dal piccolo paese in provincia di Parma in cui si produsse per la prima volta questo apprezzatissimo salume, è inestricabilmente legata alla storia della famiglia Fereoli, che già a inizio Ottocento contava tra i suoi membri uno degli unici tre Lardaiuoli del borgo parmense. Tramandata di generazione in generazione oggi quest’antica tradizione prosegue nell’azienda Fereoli Gino & Figlio.
Fondata da Gino, padre di Luigi, nel 1965, l’attività ora è guidata dal nipote Luca, che con i suoi 15 dipendenti produce ancora il Felino con lo stile dei mastri salumieri di un tempo. Abbiamo intervistato Luca Fereoli per farci raccontare i segreti di quella che è una delle componenti essenziali della gastronomia parmigiana.
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Abbiamo intervistato Luca Fereoli, nipote di Gino Luca, la vostra azienda ha una tradizione centenaria nella produzione del salame Felino. Cos’è cambiato nella produzione? Il cambiamento più rilevante è legato alla comparsa nel secondo dopoguerra degli impianti di refrigerazione, che ci consentono di produrre per tutto l’anno, mentre un tempo la produzione era limitata alla stagione invernale. Altro aspetto che abbiamo migliorato, grazie all’innovazione tecnologica, è il controllo computerizzato sulle stanze di asciugamento, le camere dove i salami stazionano nei primi 5-6 giorni di vita. Un tempo nelle camere si utilizzavano stufe a legna ed acqua, oggi invece è sufficiente impostare la temperatura e il grado di umidità, che poi vengono controllati attraverso dei microprocessori. Ma è ancora l’uomo a deciderle, entrando nelle stanze d’asciugamento e toccando i salami con le mani: si decide in base al grado d’asciugatura del budello esterno.
Quali sono invece le scelte legate alla lavorazione alle quali non rinunciate, perché cambierebbero troppo le caratteristiche del salame? La materia prima e il tipo di budello. Mi spiego meglio: per il Felino usiamo parti pregiate del maiale, come il trito di banco (sottospalla), che poi provvediamo noi stessi a tritare a macinatura media. In un maiale di 170 kg ci sono 2 kg scarsi di materia prima, che ricaviamo esclusivamente da carni di suini allevati e macellati in Italia. Noi teniamo molto ai tempi di sosta e raffreddamento della carne, sia prima che dopo la macinatura; questo ci permette di avere una carne compatta, riducendo l’utilizzo di additivi al di sotto dei limiti previsti dalla normativa. [continua]
INTERVISTA AL PRODUTTORE
Quanto al budello che usiamo per insaccarli, se nella produzione industriale si usa prevalentemente il sintetico noi invece continuiamo ad usare il cosiddetto budello gentile, che costituisce l’ultima parte dell’intestino del maiale. Quali caratteristiche deve avere un salame di Felino di qualità? Dev’essere dolce e delicato, perché a differenza di altri salami per il Felino si utilizza poco sale. L’uso delle spezie dev’essere quasi solo estetico: perciò usiamo grani di pepe nero interi, così si può decidere se tenerli o toglierli. Non avrà pelli o nervi, perché il trito di banco (sottospalla) che si utilizza è carne di qualità. Quali sono le fasi di produzione del salame Felino IGP?
con le dimensioni di una grande costata. Poi lo maciniamo e all’impasto aggiungiamo il sale e gli altri ingredienti che vanno a comporre la concia. Quindi insacchiamo la carne nel budello gentile e facciamo a mano la legatura, con un’unica corda. Prima di legarli grattiamo tutti i salami con una forchetta, perché il budello gentile ha uno spessore importante, che va regolato e uniformato su tutta la lunghezza del salame, per garantire un’asciugatura uniforme. Quindi inizia la fase d’asciugatura e infine la stagionatura, che da noi dura anche 50 giorni, per garantire un prodotto che si scioglie in bocca.
Prima riceviamo il cosiddetto trito di banco (sottospalla) dal macello, che è un pezzo intero
Giulia Basso
Poco sale e poche spezie Sottospalla di maiali italiani, con meno del 30% di grasso Budello naturale 50 giorni di stagionatura
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Il prodotto Materia prima estremamente selezionata e lunga stagionatura sono i due aspetti che ci hanno fatto scegliere il Felino di Fereoli
IGP dal 1994, con una lunga storia alle spalle I primi riferimenti al prodotto si trovano già in alcuni autori latini del I secolo d.c. (Apicio, “De Re cocquinaria”). Il Salame Felino era ben noto nelle corti che si sono succedute nella capitale: dai Farnese, ai Borbone, alla Duchessa Maria Luigia. La più antica raffigurazione del prodotto pare essere rappresentata nella decorazione interna del Battistero di Parma (1196 – 1307). Nel 1766 un censimento dei suini indica che il Marchesato di Felino era la piazza più vivace del circondario per il mercato suinicolo. Dagli inizi del 1800 le cronache di costume e culinarie segnalano la presenza di un particolare modo di trasformazione dalla carne suina in salami nel territorio del paese di Felino. Nel 1905 nel dizionario italiano compare la dizione “Salame Felino”. Le istituzioni pubbliche locali competenti, fin dal 1927 riconoscono al salame prodotto nella Provincia di Parma la denominazione di Salame Felino, che evidentemente doveva già godere di particolare rinomanza e reputazione.
SALAME FELINO IGP Salame prodotto con carni fresche di suini nati e allevati in Italia, con l’aggiunta di pochi grani di pepe nero, per non coprire con le spezie il gusto e la fragranza del prodotto. Insaccato in budello naturale, ha un sapore dolce e delicato, e la tipica composizione magra del felino cod 78291 | peso 1 kg circa
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abbinamenti di stagione
la MELANZANa Vi proponiamo tre diversi ingredienti alternativi per due classiche ricette con la regina degli ortaggi estivi: la Parmigiana e gli Involtini di Melanzane
Originaria dell’India, la melanzana è giunta in Sicilia tramite gli Arabi nel XIII secolo circa, dove si è immediatamente adattata all’habitat degli orti mediterranei, ideale per la sua coltivazione. Nella tradizione popolare era conosciuta con il nome “mela insana”, uno sfregio che stava ad indicare il carattere amarissimo del prodotto crudo. La melanzana, infatti, esprime tutto il suo sapore quando viene cotta: assorbe molto bene i condimenti, per questo è deliziosamente morbida quando fritta, ideale per essere conservata sott’olio, ma incredibilmente gustosa anche stufata o arrostita. Ne esistono di diverse tipologie, sia nella forma, che nel colore; una grande varietà per soddisfare qualsiasi esigenza culinaria. Da: lacucinaitaliana.it
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MELANZANE ESSICCATE AL SOLE Melanzane essiccate al sole, coltivate, lavorate e confezionate in Puglia dall’azienda agricola I Contadini di Ugento (LE) cod 93900 vaso da 230 g in 1 box da 6 pezzi
Parmigiana di Melanzane Dopo aver preso posizione per la melanzana fritta oppure grigliata, possiamo giocare con l’ingrediente “formaggio” per tre versioni di questa ricetta
fiordilatte latteria del molise
Mozzarella di Bufala affumicata
Caciocavallo Irpino fresco
Fiordilatte prodotta a Mirabello Sannitico (CB) dalla Latteria del Molise. Per una Parmigiana all’insegna della tradizione
Mozzarella di Bufala Campana affumicata prodotta in Lazio dal Caseificio Anteo. Per aggiungere una nota diversa, più rustica
Formaggio a pasta filata prodotto secondo la tradizione dell’Irpinia. Per mantenere l’effetto “filatura” con un minore rilascio d’acqua
cod 24800 | vaschetta da 250 g
cod 25173 | vaschetta da 250 g
cod 25203 | peso 2 kg circa
Involtini di Melanzane Che sia essiccata, fritta o grigliata, la melanzana si presta ad essere farcita in mille modi, ad esempio con...
pecorino crotonese fresco
ricotta salata siciliana
rocchetta alta langa
Pecorino giovane prodotto in Calabria dall’ Azienda Agricola Maiorano. Per aggiungere uno spunto di sapidità, da accompagnare a un gazpacho di pomodoro
Tipica ricotta salata siciliana, salata a secco e lasciata asciugare in forno per 8 giorni. Perfetta da grattuggiare sopra un involtino... alla Norma
Formaggio a latte misto, vaccino, ovino e caprino. Per donare all’involtino freschezza e cremosità; da impreziosire con alcuni chicchi di melograno
cod 31415 | peso 1,5 kg
cod 30945 | peso 1 kg
cod 31250S | box da 3 x 300 g
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voglia di carpaccio
voglia di carpaccio Un piatto fresco ed estivo nato all’Harry’s Bar di Venezia e che presto ha conquistato un posto di rilievo nella gastronomia
L’ideazione di questa pietanza si deve a Giuseppe Cipriani, proprietario del celebre Harry’s Bar di Venezia. Il piatto è stato servito per la prima volta nel 1950 alla contessa Amalia Nani Mocenigo, che non poteva mangiare carne cotta.
Vittore Carpaccio di cui si teneva allora una mostra a Venezia e nella cui pittura, Cipriani, ritrovava i colori del suo piatto. Dal 1950 ad oggi il carpaccio ha conquistato a pieno titolo un posto nella gastronomia, tanto da essere una preparazione estesa anche a pesce e frutta.
Venne chiamato carpaccio in onore del pittore
carpaccio di bresaola piemontese
carne salada di smaranina
carne salada tipica
carne salada coati
cod 82024 peso 3 kg circa
cod 82331 peso 3 kg circa
cod 82092 peso 4 kg circa
cod 82090 peso 2 kg circa
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salada
Segue la Carne Salata Coati, prodotta con fesa di bovino adulto e lasciata riposare con una delicata miscela di sale ed erbe di montagna.
Di seguito alcune prosposte per un classico carpaccio a base di carne: il primo prodotto in selezione è il Carpaccio di Breasola Piemontese, prodotto con la sottofesa di vitellone di razza Piemontese, una razza diffusa in tutto il Piemonte e che si distingue per la bontà e morbidezza delle carni.
Dalla marinatura all’affumicatura: il Manzo Affumicato, realizzato con magatello di manzo e affumicato a freddo con legno di faggio per poi essere stagionato per un mese circa.
Dal Trentino la Carne Salada di Smaranina, prodotta con carni bovine di razza Grigio Alpina. Riposa per circa un mese in una salamoia arricchita di spezie, erbe aromatiche, vino rosso “Lagrein” e succo di limone.
Subisce una leggera affumicatura a freddo anche la sottofesa di Black Angus, una carne con una buona presenza di grasso proveniente da un’antica quanto famosa razza originaria della Scozia.
Un inno alla tipicità è invece la Carne Salada Tipica, lavorata secondo la tradizionale ricetta trentina che prevede una lavorazione “a secco” e una macerazione di circa 20 giorni.
Infine, una proposta di carne di maiale: il Lombetto alla Ghiotta, realizzata con lonza di suino italiano, marinata e massaggiata così da conferire una piacevole morbidezza alla carne. Giulia Bassetto
manzo affumicato
black angus affumicato
lombetto alla ghiotta
cod 84418 peso 2 kg circa
cod 84421 peso 2 kg circa
cod 78019 peso 1,4 kg circa
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l’insolito gelato
l’insolito gelATO Dall’alta cucina alla gelateria: vi raccontiamo le gustose e ricercate creazioni di Alessandro Scian
Scian - L’insolito Gelato è una gelateria nata nel 2011 a Cordenons grazie alla passione e all’intraprendenza di Alessandro Scian, creativo chef-gelatiere, e di sua moglie Tiziana. Alessandro, nato proprio a Cordenons, lavora come cuoco in molte cucine nell’alta ristorazione, in Italia e all’estero. La forte volontà di intraprendere una nuova avventura e sviluppare un suo personale percorso di ricerca lo portano nel 2011 ad aprire una gelateria nel paese che gli ha dato i natali. Da un lato la voglia di dimostrare, come dice lui “un po’ per gioco, un po’ per sfida cosa sapevo fare” e dall’altro l’idea chiara di quale prodotto creare. Il gelato proposto da Scian è un prodotto in cui l’elemento distintivo è l’eccellenza, che si traduce in ricerca del gusto, della genuinità, dell’artigianalità e dell’insolito sapore. Da quì il significativo nome, promessa di un’esperienza di gusto che “renda felici le persone che amano la vera qualità”, come ci dice Alessandro spiegando la sua missione. La ricerca parte dalle materie prime, selezionate e controllate una ad una, instaurando un rapporto diretto con fornitori e produttori, nella condivisione degli stessi valori.
Poi la produzione, all’insegna di una sperimentazione continua, inventando una trentina di gusti mai provati prima, come il Fiordilatte al Mascarpone Mambelli, il gelato alla Ricotta di Bufala Borgoluce con fichi all’anice, il gelato allo Yogurt di Chiuro e il Cioccolato 72% Fondente di Gardini all’acqua Dolomia, preparato senza latte. Un gelato realizzato seguendo un unico filo conduttore: “Facciamo il gelato come lo vogliamo noi, senza adeguarci necessariamente alle richieste di mercato”, racconta Alessandro. Una filosofia ricercata che con la creatività di Alessandro e Tiziana si è dimostrata vincente, ricevendo importanti riconoscimenti a livello nazionale. Proprio quest’anno la guida del Gambero Rosso “Gelaterie d’Italia 2017” ha conferito i tre coni (massimo riconoscimento) alla gelateria Scian, inserendola tra le 36 migliori gelaterie italiane. Ad oggi sotto lo stesso marchio sono state avviate altre tre gelaterie, a Lignano, a Jesolo e ad Aviano (Pordenone). Un gelato che ha conquistato clienti e critici, che tornano da Scian per vivere un’esperienza di gusto ricca di emozioni.
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Giulia Bassetto
alessandro scian Dopo la scuola alberghiera di Aviano lavora come cuoco in alcune grandi cucine, da Venezia, fino in Spagna e Inghilterra, passando per il Pellicano di Porto Ercole e La Taverna di Colloredo di Montalbano a Udine. Nel 2004 diventa consulente per Jolanda de Colo’ a Palmanova (UD) per poi aprire la sua gelateria nel 2011. VALSANA | 17
etichette da scoprire
l’affumicatura Come distinguere un prodotto affumicato in modo tradizionale da uno aromatizzato con il fumo liquido? Cosa sono gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) e quali sono i limiti di legge?
I cibi affumicati esistono fin dall’antichità
L’affumicatura come metodo di conservazione
L’affumicatura è un metodo di conservazione degli alimenti molto antico: si stima sia stata scoperto circa 90.000 anni fa, come naturale evoluzione del più antico metodo di essiccazione: si pensa, infatti, che i cibi appesi a essiccare nelle caverne siano stati involontariamente affumicati dal fuoco che l’uomo accendeva per riscaldarsi. Si tratta inoltre di una tecnica di conservazione world-wide: è stata ed è tuttora utilizzata a tutte le latitudini per prolungare la durata di alcuni cibi.
L’affumicatura è una tecnica di conservazione basata sulla formazione di sostanze ad azione antibatterica ed antiossidante che si sviluppano durante l’incompleta combustione di legno e piante aromatiche. Inoltre, in passato, la temperatura raggiunta durante il processo di affumicamento era sufficientemente alta da ridurre significativamente la carica batterica superficiale. La conservazione era quindi il risultato di due azioni che si innescavano con il processo di affumicamento: fisica, legata al calore e alla disidratazione; chimica, grazie allo sviluppo di sostanze come formaldeide, composti fenolici e acidi alifatici.
Il pesce è tradizionalmente uno dei prodotti che più frequentemente viene affumicato nel mondo, sicuramente il più conosciuto è il salmone. In Italia forse il più noto è l’aringa affumicata, un piatto antico che permetteva ai nostri nonni di superare gli inverni, integrando diete povere di proteine. Parlando di prodotti ittici affumicati non dimentichiamo anche tonno, pesce spada, sgombro, marlin e cefalo, forse meno presenti nella tradizione locale, ma che sono sempre più diffusi. Oltre al pesce anche le carni - speck, pancette, wurstel - e i formaggi - ricotta, provola, scamorza sono alimenti che tradizionalmente nel nostro Paese vengono affumicati.
Nel fumo di legna sono stati identificati più di 200 composti chimici, tra cui gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici), in particolare benz(o)apirene e benzo(a)ntracene, che devono essere tenuti sotto controllo perchè ritenuti cancerogeni. La presenza di queste sostanze nei prodotti affumicati dipende da vari fattori, quali: • la quantità di ossigeno della camera di affumicamento: più l’ambiente è aerato, minore la formazione di idrocarburi; • il contatto diretto tra fumo e prodotto da trattare;
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• la temperatura di produzione del fumo: temperature elevate favoriscono la formazione di composti cancerogeni. Da oltre 10 anni l’Europa ha fissato i limiti massimi di IPA che possono essere rilevati negli alimenti affumicati per poter garantire al consumatore un prodotto sicuro. Nel 2014 i limiti sono stati più che dimezzati passando da 5 a 2 Μg/kg per il Benzo(a)pirene e da 30 a 12 Μg/ kg per la somma di benzo(a)pirene, benzo(a)antracene, benzo(b)fluorantene e crisene. Le principali tecniche di affumicatura La tecnica tradizionale prevede l’utilizzo di affumicatoi, sottoponendo il prodotto a periodi più o meno lunghi di esposizione al fumo prodotto in appositi bruciatori a partire da miscele di trucioli di legna e spezie, con tre diverse modalità: • Affumicamento a freddo: l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 20 e i 25 °C, con un’umidità relativa del 70%; viene utilizzato per alimenti semigrassi e il trattamento può durare anche diversi giorni • Affumicamento semicaldo: l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 25 e i 45 °C, con un’umidità relativa del 75%; viene utilizzato per prodotti come bacon, lardo, pancetta • Affumicamento a caldo: l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 50 e i 90° C per un breve arco di tempo, generalmente poche ore; viene utilizzato per prodotti di pronto consumo.
Generalmente vengono utilizzati trucioli di essenze come quercia, castagno, noce, acacia, faggio, abbinati in alcuni casi a piante aromatiche come timo, alloro, maggiorana e rosmarino, con la finalità di migliorare i tratti organolettici dell’alimento affumicato. Oggigiorno nei paesi industrializzati, l’affumicatura è considerata essenzialmente una tecnica di aromatizzazione degli alimenti ed è abbinata a uno o più sistemi di conservazione (confezionamento sottovuoto o utilizzo di conservanti); questo aspetto ha portato l’industria alimentare a utilizzare un aroma per conferire un sapore di affumicato chiamato “fumo liquido”, abbinato spesso all’utilizzo di conservanti per prolungare la conservazione del prodotto stesso. Il fumo liquido è l’estratto liquido delle componenti aromatiche del fumo prodotto naturalmente, nasce negli USA alla fine del 1980 dove oggi è utilizzato nella produzione di circa l’80% degli alimenti affumicati. I prodotti trattati possono essere immersi nel liquido oppure è il liquido stesso che viene nebulizzato o iniettato nell’impasto. Come distinguere un prodotto affumicato in modo tradizionale da uno aromatizzato con il fumo liquido? Le diciture che vengono riportate in etichetta sono differenti, nel primo caso viene riportata la descrizione “prodotto affumicato” nel secondo invece nell’elenco degli ingredienti compare la dicitura “aroma di fumo” oppure “aroma di affumicatura”. Ancora una volta quindi diventa importante la lettura dell’etichetta. Giorgia Barbaresco
Affumicati in modo tradizionale
Ricotta Affumicata
capocollo di speck di fesa martina franca meggio
fil di fumo
Gustosa ricotta prodotta secondo la tradizione friulana e affumicata con legno di faggio
Capocollo affumicato con scorze di fragno, mallo di mandorla ed erbe della macchia mediterranea
Speck prodotto a Grigno in provincia di Trento e affumicato con legno di faggio
Filetto di trota salmonata, senza spine e senza pelle, affumicato con legno di faggio
cod 30152 | peso 600 g
cod 82560 | peso 2 kg
cod 80123 | peso 2 kg
cod 94106 | peso 160 g
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storia & storie
Cruda o cotta? La carne! Potremmo partire da Fred, quello degli Antenati, passare per Asterix, scomodare San Benedetto da Norcia e chiedere udienza a sua maestà Carlo Magno, l’imperatore. Cosa lega questi protagonisti? La carne, per più ragioni...
La carne ha accompagnato la storia dell’umanità. Secondo Claude Lévi-Strauss, il grande antropologio francese, con l’uso del fuoco Siamo stati prima raccoglitori, poi raccoglitori e nasce la cucina, creando un grande dualismo cacciatori. A partire da 2,5 milioni di anni fa l’Homo tra arrosto e bollito. Così l’arrosto, che è a habilis aumenta in modo cospicuo il consumo di diretto contatto col fuoco sarà più naturale del carne. Agli inizi si dedica allo sfruttamento di bollito, nel quale l’acqua, ma anche la pentola, carcasse residuali di prede di grandi carnivori, media tra il fuoco e la materia prima. La cottura estraendo ad esempio il midollo. Procede ad arrosto dunque rimanda ai fenomeni naturali uno sfruttamento intensivo di grassi e proteine del vivere umano, mentre il bollito è l’emblema animali attraverso caccia, pesca, fuoco…. dell’evoluzione culturale. Già... il fuoco. E qui avviene una doppia I nostri spiedologi della domenica manco si rivoluzione, che è allo stesso tempo culturale immaginano quanta responsabilità storica ed energetica. La vera rivoluzione non sta nella si addossano. Dualismo anche di genere: scoperta del fuoco, che in natura esisteva già – l’arrosto è maschile mentre il bollito, il lesso bastava un fulmine, una prolungata siccità - ma è femminile. Nella maggior parte delle cucine nel suo controllo e nel suo trasporto. E allora occidentali, l’arrosto è un piatto da ricevimento può essere che al maldestro Fred sia caduta una o da cerimonia, quello che si offre agli estranei braciolina di qualche bestiola sul fuoco: apriti (esocucina): maschile. Il bollito, cotto in pentola, cielo. Non conosceva la reazione di Maillard, ma è un piatto intimo, familiare, destinato a un di sicura avrà olfattato con curiosità e anche gruppo chiuso (endocucina): femminile. Non gustato. Non sarà più come prima. addentriamoci!
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Danilo Gasparini è docente di storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3
“Non potevamo non mangiare carne... cotta“ Ma secondo Richard Wrangham, professore di Biological Antropology ad Harvard - bello il suo libro “L’intelligenza del fuoco” (2014) - si tratta soprattutto di una rivoluzione energetica. Le carni di animali selvatici sono povere di grassi e ricche di collagene, di tendini e tessuto connettivo dal valore nutrizionale quasi nullo, duro da masticare. Ma a 80° il collagene si scioglie e si trasforma in una proteina amorfa, la gelatina dei nostri brodi di carne, mettendo a disposizione le proteine muscolari, che si possono masticare e digerire più facilmente. Il calore facilita l’operazione di aprire, tagliare o schiacciare i cibi duri; rende gli alimenti più appetibili, migliorando sapore e aroma; neutralizza parassiti e sostanze tossiche, rendendo il cibo più sicuro. Ma tutte le vitamine si inattivano con l’alta temperatura, perciò l’uomo ha dovuto mantenere un alto introito di verdura e frutta cruda, proprio del suo vegetarismo ancestrale, esaltando il suo onnivorismo. La cottura aumenta quindi la quantità di energia che il nostro corpo ricava dal cibo. La nuova e gustosa dieta a base di cibi cotti fece sì che evolvessero apparati digerenti più piccoli, cervelli e corpi più grandi, maggior abilità nella corsa, maggior abilità nella caccia, maggior longevità e si ponesse un’enfasi nuova sul legame tra femmine e maschi (nascita delle emozioni). La protezione offerta dal fuoco di notte consentì agli umani di dormire per terra e di perdere la loro abilità nell’arrampicarsi; e probabilmente le femmine cominciarono a cuocere per i maschi, che ebbero sempre più tempo a disposizione per andare in cerca di più carne e miele. Bella storia.. Della serie: “non potevamo non mangiar carne, cotta”.
Ma torniamo al nostro racconto. La carne in età greca e romana aveva un ruolo sacrificale, con bassi consumi. Adesso non tiriamo fuori la dieta mediterranea… che è un’invenzione novecentesca. La Chiesa sdogana il consumo di carne ma, pur lasciando liberi i fedeli, a differenza di altre religioni più prescrittive, nello stesso tempo la eleva a simbolo della forza, della lussuria, obbligando la cristianità ad astenersi, a digiunare. San Benedetto imporrà nella sua regola il rifiuto della carne. Il pensiero monastico vedeva la carne come un cibo desiderato, che faceva gola, quindi peccaminoso e per questo preferiva la visione biblica dell’uomo che si nutre dei frutti della terra: una concezione assimilabile a quella vegetariana. La Chiesa imporrà digiuni e astinenze e promuoverà formaggio e burro. Scriveva Isidoro di Siviglia (560-636 d.C.): “Le carni non sono vietate in quanto cattive ma perché il loro consumo genera la lussuria della carne”. Poiché la carne era vista come elemento nutrizionale per eccellenza privarsene significava allontanarsi dagli uomini per essere più vicini a Dio; la carne era legata alla forza, al potere, alla violenza, rinunciare ad essa era una scelta di “verginità”, significava avvicinarsi allo stile “vegetariano” del Paradiso Terrestre. L’atteggiamento dei Cistercensi era stato ben sintetizzato da san Bernardo in uno dei suoi sermoni sul Cantico dei Cantici (n. 66): “Mi astengo dalla carne, perché alimentando eccessivamente il corpo nutro anche i desideri carnali; mi sforzo anche di prendere il mio pane con moderazione, perché uno stomaco pesante non mi impedisca di stare diritto in piedi nella preghiera”.
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[continua]
storia & storie
Da 15 kg a inizio ‘900 a 76 kg di carne pro-capite nel 2014 Ma c’era chi non poteva permettersi il lusso della scelta: gli strati più bassi della popolazione erano legati al consumo di carne di pollame e di maiale, facile da allevare e da conservare nei periodi di magra, grazie all’ausilio del sale, vero protagonista del Medioevo. Ed è proprio l’incontro tra “barbari” - grossi consumatori di cacciagione, frequentatori del bosco - e romani che permette l’adozione nel sistema alimentare europeo della carne. Eginardo, biografo ufficiale di Carlo Magno, racconta come l’imperatore fosse solito consumare giornalmente parecchie libbre di carne arrosta. Lo sviluppo medievale delle città porterà alla nascita di nuovi mestieri: assume un ruolo importante la figura del macellaio e luoghi deputati alla vendita della carne saranno le becherie. Nascono gli insaccati e la figura del salumiere… a Venezia del luganegher. I cittadini invece prediligevano altre carni diverse da quelle consumate durante i banchetti medievali, non apprezzavano i suini per il gusto rurale che conservavano, ma si orientavano principalmente sulla carne di bovino o di pecora e sui volatili, che assunsero un valore simbolico di leggerezza e di superiorità. Ma la carne resterà un sogno, un cibo della festa per vasti strati della popolazione. Le inchieste a Italia Unita, quella di Stefano Jacini (1882) e quella di Agostino Bertani (Inchiesta sulle condizioni sanitarie dei lavoratori della terra 1890) testimoniano regimi alimentari poveri. Sentite cosa scriveva Luigi Alpago Novello, medico di Cison di Valmarino: “La carne per i contadini è un vero mito: che vi sia ciascun lo
dice, cosa sia non lo sa. Noi abbiamo interrogato in proposito molti contadini, e ne trovammo più d’uno il quale ci giurò di non aver mai gustato un boccone di carne in vita sua neppure quando era caduto malato. La maggior parte non ha assolutamente i mezzi di comperarsene; solo talvolta si immola per qualche infermo, vittima preziosa, una pollastra allevata con lungo studio e grande amore in cucina. Qualche famiglia benestante, che ha del proprio, mantiene ed uccide a suo tempo un maiale, con cui si procaccia delle salsicce, cibo spesso impuro di carne di vacca o di cavallo, ma pur sempre invidiato dai più poveri!” Sono anni pellagrosi! Tra il 1700 e il 1800 il consumo pro-capite di carne era di 10 kg all’anno; arriva a 15 kg nel decennio 1901-1910. Ma alcune rivoluzioni tecnologiche avranno nel corso degli ultimi 150 anni effetti importanti sul consumo di carne. Da una parte Nicolas Appert e Pierre Durand sviluppano un sistema di conservazione della carne prima in vasi di vetro e poi in scatola, sistema perfezionato da Louis Pasteur e dal chimico tedesco Justus von Liebig: arriverà l’estratto di carne e il dado. Dall’altra l’americano John Gorrie (1893-1855) inventa la prima macchina frigorifera e il francese Charles Tellier (1818-1923) inventa il primo impianto frigorifero su piroscafo, il Frigorique, che nel 1876 trasportò in Francia un carico di carne macellata in Argentina dopo un viaggio di 105 giorni. La tecnica viene poi applicata ai vagoni ferroviari. In Italia, nel 1881, Pietro Sada studia nuovi processi di conservazione e mette la carne in una scatola. La svolta avviene in occasione della trasvolata
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delle Alpi in mongolfiera dello svizzero Gondrand, quando Sada gli offre il suo bollito in scatola come parte dei viveri. Da allora, tutti vollero assaggiarla come uno dei simboli del progresso. Nel 1923, il figlio di Pietro Sada, Gino Alfonso, fonda la Simmenthal e inizia la produzione di carne in gelatina in uno stabilimento a Monza. La prima guerra mondiale sancirà il trionfo della carne in scatola: milioni di scatolette verranno distribuite alle truppe al fronte e per molti soldati contadini sarà la prima volta. Durante il ventennio fascista i consumi di carne saranno contenuti in seguito alle scelte autarchiche: circa 20 kg pro-capite. Poi è storia nostra, recente: è il boom economico a partire dal 1958. Nel decennio 1961-70 sono 42 kg di
carne pro-capite, che diventano 64 nel decennio successivo. È fatta: una fettina di vitello non si nega a nessuno. Nel 2014 gli italiani hanno utilizzato in media 76 kg di carne pro capite, considerate anche le parti di scarto degli animali: 37,3 kg di suino (salumi compresi), 20 kg di bovino, 19 kg di pollame. Ora è il momento della riflessione, del consumo consapevole, visti gli alti costi ambientali, è anche il momento del confronto ideologico: vegetariani, vegani, crudisti. Ed è un bene che il consumo sia diventato più consapevole. C’è stato un momento nella nostra storia in cui non potevamo non mangiare carne, cotta… ora, per fortuna, possiamo anche fare altre scelte. Danilo Gasparini
Cruda o cotta ?
coscia trita reale di vitello al forno di fassona piemontese meggiolaro Monoporzione di carne tritata di razza Piemontese prodotta dalla Macelleria Oberto, ad Alba, da tagli pregiati di coscia cod 84660 | 10 monoporzioni da 120 g
Arrosto ottenuto dalla lavorazione del reale di vitello, con la sola aggiunta di sale, spezie ed erbe aromatiche, senza additivi e conservanti cod 80859 | peso 2 kg circa
Foto di testi antichi per gentile concessione della Biblioteca Internazionale “La Vigna” di Vicenza
brunch estivo in terrazza
NOTIZIE la cucina DA di VALSANA qb
Abbiamo chiesto ad Anna Maria di realizzare per noi tre insolite ricette con tre freschi ingredienti: la sfoglia di mozzarella, il prosciutto di pollo e la stracciatella
Estate, finalmente! Tempo di cene informali e di brunch in terrazza con gli amici. A metà tra la colazione ed il pranzo, il brunch arriva nelle nostre tavole direttamente da quelle statunitensi ed è quel pasto che riunisce sia la breakfast (colazione) che il lunch (pranzo). Si consuma in una fascia oraria che consente di alzarsi con calma e di non farsi prendere dall’ansia da invito, comunque tra le 10 e le 12.30 (e per i più pigri fino alle 15). E’ un modo informale di ricevere gli amici, servito quasi sempre a buffet così da non impazzire con piatti e posate e che, organizzandosi appena un po’ per tempo, consente anche alla padrona di casa di godere della compagnia degli ospiti. La tradizione americana prevede la presenza di pancakes con sciroppo d’acero, bacon con le uova, muffin dolci o salati, l’immancabile cheesecake e il caffè all’americana. Tutti buonissimi, ma ho preferito lasciarmi ispirare
dalla tradizione gastronomica mediterranea, con due delle proposte che arrivano direttamente dalla Puglia: i “Rustici Leccesi”, involucri di sfoglia che accolgono una golosa farcia preparata con mozzarella, passata di pomodoro e besciamella e le “Pittule”, impertinenti polpettine di pane che ho voluto profumare con lo stesso mix utilizzato per rendere unico il petto di pollo arrosto. Infine, per la ricetta appena un po’ più sfiziosa, ho pensato ad un piatto di “polenta e formaggio” rivisto in chiave “creativa”. Il mais della polenta diventerà croccante in un crumble dorato, che accompagnerà una morbida mousse di burrata al sapore di mare grazie alla colatura di alici ed alle uova di lompo, sostituibili con delle fettine sottili di bottarga, giusto per non farci mancare nessuna leccornia. E il dolce? Lo troverete nel prossimo numero, nel frattempo dite ad un amico di portare il gelato! Anna Maria Pellegrino
anna maria pellegrino Anna Maria è cuoca e foodblogger. Nella sua cucina la fantasia è un ingrediente che non manca mai. Ma non è l’unico: la sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo VALSANA | 24
RUSTICI LECCESI
In terrazza ma anche al mare, per uno spuntino, per una merenda. Il Salento, con la sua tradizione gastronomica, diventa momento di golosa condivisione. Ingredienti (per 14-16 rustici): 2 confezioni di pasta sfoglia o 500 g di pasta sfoglia preparata con le vostre mani o con quelle del pasticcere, 100 ml di passata di pomodoro, 500 g di sfoglia di mozzarella, 100 g di besciamella preparata con 15 g di burro, 15 g di farina 00 e 100 ml di latte intero, 1 uovo bio, origano secco, sale, pepe nero macinato al momento
Accendere il forno a 200°. In un pentolino sciogliere il burro e miscelarlo con farina, unire il latte caldo ottenendo una crema liscia. Regolare di sale e cuocere per pochi minuti fino a quando non si addenserà. Mettere da parte.
sfoglia di mozzarella Sfoglia di mozzarella prodotta dalla Latteria del Molise cod 24805 | peso 500 g
Stendere la pasta sfoglia e con un coppapasta di 6-7 cm ottenere 28 o 32 dischi, impastando e stendendo con il matterello i ritagli di pasta. Stendere anche la sfoglia di mozzarella e con un coppapasta più piccolo, 5 cm, ottenere 14 o 16 dischi. Procedere alla farcitura, mettendo la sfoglia di mozzarella sopra quella di pasta e proseguendo con un cucchiaio di besciamella ed uno di salsa di pomodorno, profumare con una macinata di pepe, chiudere con disco di pasta sfoglia, sigillare bene con i rebbi di una forchetta o con i polpastrelli, così non far uscire il ripieno durante la cottura. Trasferire i dischi in una teglia da forno coperta da carta forno, spennellare la superficie con un l’uovo sbattuto e cuocere per 15’o fino alla doratura. Servire e mangiare! VALSANA | 25
PETTO DI POLLO ARROSTO E PITTULE AL PROFUMO D’ESTATE
“In ogni regione esiste una ricetta di pasta di pane lievitata e fritta ma le Pittule o Pettule salentine vi resteranno sempre nel cuore” Ingredienti (per 14-16 rustici): Petto di pollo arrosto tagliato a fette, anche al coltello, 500 g di farina 0 di buona qualità, 270-280 ml di acqua tiepida, 7 g di lievito di birra secco, 20 ml di olio extravergine d’oliva pugliese, due cucchiai di aromi freschi tritati finemente: rosmarino, maggiorana, santoreggia, lavanda a proprio gusto, sale, abbondante olio di semi per friggere
Setacciare la farina per arieggiarla bene ed unirla in una ciotola alle erbette, o nella planetaria con la frusta a gancio, e con il lievito, aggiungere a filo l’acqua, iniziare ad impastare e dopo qualche minuto unire il sale. Continuare fino ad ottenere un impasto sodo e liscio. Far riposare l’impasto dentro una ciotola coperta da pellicola a temperatura ambiente per almeno 3h o fino al raddoppio. Portare a 180° C l’olio di semi, con le mani inumidite staccare dei pezzettini di pasta grandi come una noce e tuffarli nell’olio caldo 5/6 alla volta, così da non abbassare troppo la temperatura dell’olio ed ottenere delle pittule dorate e croccanti. Far asciugare l’olio in eccesso con carta assorbente e servire immediatamente con un vassoio di fette di pollo arrosto tagliate al coltello.
Petto di Pollo Arrosto Filetto di pollo italiano aromatizzato, messo in rete e arrostito in forno cod 78042 | peso 3 kg
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BICCHIERINI CON MOUSSE DI CUOR DI BURRATA ALLA COLATURA DI ALICI E CRUMBLE DI SBRISOLONA SALATA ALLE MANDORLE
I vostri ospiti saranno stupiti da questa elegante e semplice preparazione e dopo aver ricevuto i complimenti potrete schermirvi esclamando “ma io vi ho offerto solo un po’ di polenta e formaggio creativi!” Ingredienti per la spuma: 250 g Cuor di Burrata Stracciatella, 1 foglio di colla di pesce, 1 cucchiaino di colatura di alici, pepe bianco, uova di lompo per il servizio Ingredienti per il crumble di sbrisolona salata alle mandorle: 60 g di burro salato, 1 pizzico di sale, 1 pizzico di lievito, 1/2 limone, 35 g di pecorino grattugiato, 40 g di farina, 55 g di mais, 30 g di granella di mandorle, 1 limone bio, le zeste
cuor di burrata stracciatella Straccetti di pasta filata in crema di latte
Scaldare il forno a 190°. Far rinvenire la colla di pesce in acqua fredda per 10’, strizzare e scioglierla unendola al liquido di governo della burrata, scaldando per pochi secondi il tutto a microonde o in un pentolino. Mescolare così che non ci siano grumi. In un mixer frullare la burrata con la colla di pesce e il suo liquido, il coriandolo e il pepe fino ad ottenere una crema morbida aggiungendo, se dovesse servire, un po’ del liquido di governo della burrata. Versare la mousse in un sac a poche munito di bocchetta a stella e conservare in frigo fino al momento del servizio. Nel frattempo preparare il crumble miscelando la farina di mais con la farina, il sale e il lievito, poi aggiungere il pecorino e impregnare il tutto con il burro a quadretti. Aromatizzare con la buccia di limone grattugiata e completare con la granella di mandorle. Sbriciolare il composto su una placca foderata con carta da forno. Cuocere nel forno statico già caldo a 190° per 15/16 minuti, avendo l’accortezza di rompere il composto in modo che resti ben sbriciolato e croccante a metà cottura. Sfornare, far raffreddare e servire con la spuma e con uova di lompo o fettine sottili di bottarga.
cod 24915 | peso 250 g
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