INCONTRIAMO CASA MARRAZZO
Novità: vi presentiamo Eat like a Star, una nuova linea di piatti gastronomici
Pizza Slow: tre proposte de “La Gatta Mangiona” con il Prosciutto del Casentino
Novità: vi presentiamo Eat like a Star, una nuova linea di piatti gastronomici
Pizza Slow: tre proposte de “La Gatta Mangiona” con il Prosciutto del Casentino
“Siamo tutti figli della terra e sarebbe bene non dimenticarlo”.
E’ l’insegnamento di Carmine Marrazzo, papà di Teresa e Gerardo, e nonno di Gaetano, che esprime in poche parole la filosofia aziendale di un’azienda che abbiamo visitato in questi giorni con tutta la nostra rete vendita, Casa Marrazzo. Rispetto per la terrra e per tutto il mondo agricolo, energia pulita e riciclo di acque e imballaggi, un legame stretto con i campi e chi li lavora, produzione di verdure in conserva rigorosamente dal fresco, ricette ispirate alla tradizione del Sud più autentico, dalle Scarole ai Friarielli, che raccontano anche il legame con il territorio in cui l’azienda si inserisce. Insomma, se non l’avete capito, Casa Marrazzo ci è proprio piaciuta!
Ma c’è un’altra azienda, questa volta trevigiana, che ci ha colpito molto e su cui abbiamo deciso di scommettere: Eat Like a Star. Un’azienda giovane, “antifragile” secondo la teoria di Taleb, perchè, durante la pandemia, ha saputo trasformare la crisi che ha investito il mondo della ristorazione in un’opportunità di business, inventandosi una linea di piatti pronti, monoporzione, ispirati alla cucina internazionale, che si prestano a essere facilmente rigenerati sia a casa che in contesti di servizio, come catering, hotel o locali che non hanno una cucina attrezzata. Gazpacho, Chili con carne, Mazzancolle al curry e riso nero, solo per fare qualche esempio: partiamo intanto con sei referenze, e siamo molto curiosi di vedere la risposta del mercato!
Due aziende molto diverse, entrambe con una donna estremamente carismatica alla guida, Teresa di Casa Marrazzo e Arianna di Eat Like a Star, che sono riuscite a trasferire passione, pensiero ed energia in una proposta di valore schietta e distintiva.
Buona lettura!
SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana
Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Giacomo Chinellato, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Gianluca Di Lello, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Antonio Lodedo, Francesca Marini, Stefania Marcuz, Anna Maria Pellegrino
Direttore:
Editore: Valsana
4 minuti di lettura
VIAGGIO IN CAMPANIA
Martina Iseppon
Responsabile Marketing
UN VIAGGIO NELLA TERRA DEL SAN MARZANO, L'AGRO SARNESE NOCERINO.
UN APPROFONDIMENTO DI TUTTE LE FASI DEL CICLO DI VITA DEL POMODORO:
DAL SEME AL VIVAIO, DAL CAMPO ALLA CONSERVAZIONE. CON UNA GUIDA DI ECCEZIONE, QUELLA DI CASA MARRAZZO
CARCIOFI GRIGLIATI
Carciofi con gambo grigliati e conservati in olio
96365 interi latta da 750 g 96359 a spicchi (in stock)
MELANZANE GRIGLIATE
Melanzane a fette grigliate e conservate in olio
cod 96360 · latta da 750 g in stock
ZUCCHINE GRIGLIATE
Zucchine a fette grigliate e conservate in olio
cod 96358 · latta da 750 g in stock
POMODORI PELATI
SAN MARZANO DOP
Pomodori pelati San Marzano
DOP in succo con basilico
cod 96363 · latta da 820 g
Sveglia alle quattro e mezza, volo all'alba, e alle 8.30 siamo già a Napoli nella Jeep a noleggio: le nostre trasferte in visita ai produttori sono sempre molto dense, dopo due giorni torno a casa con la sensazione di averne vissuti almeno cinque. Intensità di incontri e storie, paesaggi e suggestioni, profumi ed emozioni.
Una delle storie che ci siamo fatti raccontare nell'ultimo viaggio è quella di Casa Marrazzo.
Fondata da Pasquale Marrazzo a inizio '900, Casa Marrazzo era inizialmente un'azienda agricola e ortofrutticola. Negli anni '70 il figlio Carmine ha l'intuizione di iniziare a trasformare le materie prime in esubero sui mercati, soprattutto per conto terzi. Alla fine degli anni '90, con l'ingresso in azienda della terza generazione, Teresa prima e Gerardo poi, inizia la produzione a marchio "Casa Marrazzo". E oggi nell'azienda di famiglia c'è anche Gaetano figlio di Teresa, la quarta generazione, da poco rientrato a Pagani dopo un'esperienza a Milano in un'agenzia di comunicazione.
"Siamo tutti figli della terra e sarebbe bene non dimenticarlo": è questa l'eredità più grande raccolta da papà Carmine, ci racconta Teresa: il rispetto per la natura e per il mondo agricolo sopra a ogni cosa.
Casa Marrazzo è una realtà artigianale a conduzione familiare, che si propone di custodire e innovare la tradizione delle conserve, inscindibilmente legata alla cultura del territorio dell'Agro Sarnese Nocerino, la valle che dal Vesuvio si estende fino al Golfo di Napoli, tra il mare e monti Lattari: la terra del San Marzano.
Con Teresa - donna di carattere, profondamente
legata alla sua azienda-famiglia e al tessuto sociale in cui si inserisce - abbiamo iniziato a lavorare a ottobre, scegliendo di partire con il loro prodotto più iconico, il San Marzano DOP, e poche altre referenze di pomodoro.
Ma Casa Marrazzo produce in realtà diverse linee di conserve, oltre al pomodoro: un'ampia gamma di verdure, tutte lavorate dal fresco e ispirate alla tradizione del Sud più autentico e prodotte nel rispetto dell'ambiente - energia pulita, riciclo di acque e imballaggi, mezzi elettrici per l'approvvigionamento di materie prime a km 0 - e delle persone che lavorano in azienda.
BROCCOLI FRIARIELLI
AL NATURALE
Broccoli friarielli sbollentati e conservati in acqua
cod 96361 · latta da 800 g
PEPERONI GRIGLIATI
INTERI AL NATURALE
Peperoni grigliati interi conservati al naturale
cod 96364 · latta da 800 g
POMODORI PELATI
BIO ITALIANI
Pomodori pelati bio italiani conservati in succo
cod 96362 · latta da 2,5 kg
Quando arriviamo a Pagani, in provincia di Salerno, dove si trova lo stabilimento di Casa Marrazzo, ci accoglie Gaetano. Ci raggiungono anche Teresa e Gerardo, che ci presentano tutti i collaboratori degli uffici: ci sentiamo subito a "Casa", in un'azienda dove i valori sono molto radicati, la famiglia in primis, ma anche il rispetto per il territorio, le tradizioni, le persone.
Ci aspetta una visita molto articolata, con diverse tappe, che ripercorrono il ciclo del San Marzano.
Il primo appuntamento è in un'azienda sementiera Topseed, che si occupa di selezione e miglioramento dei semi, con l'obiettivo di aumentare ad esempio la resistenza della pianta e ridurre trattamenti.
Per la coltivazione del Pomodoro San Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino DOP sono consentiti da disciplinare tre ecotipi, che vanno prenotati entro il 31/12 in base alla programmazione della produzione e vengono consegnati direttamente
dall'azienda sementiera al vivaista di fiducia entro metà febbraio, per la semina. Da disciplinare le piantine del San Marzano devono essere infatti trapiantate nei campi nel mese di aprile, al massimo entro la prima settimana di maggio. E' la nostra prima volta in un'azienda sementiera: per prima cosa - ci spiega la dottoressa che ci accompagna nella visita - vengono piantati i frutti in diversi campi in Italia per ricavare i semi, che vengono quindi estratti, lavati e asciugati negli essiccatori. I semi passano quindi in laboratorio dove vengono puliti, eliminando quelli non conformi per colore e dimensione, e calibrati.
Si passa poi al controllo qualità, per verificarne ad esempio la germinabilità, che deve essere almeno pari al'85%
Seguendo il ciclo del San Marzano ci spostiamo nel vivaio: qui semi vengono piantati nei vassoi e fatti germogliare in serra per 35-40 giorni.
A quel punto le piantine saranno pronte per il trapianto, che dovrà avvenire al massimo entro una decina di giorni.
Teresa e Gerardo hanno raccolto l'eredità di papà Carmine Marrazzo e prima ancora di nonno Pasquale. Ma oggi, con Gaetano, sta entrando in azienda anche la quarta generazione
Ci spostiamo quindi nei campi, assieme a Carmine, dell'azienda agricola Fasolino Domenico, che segue per Casa Marrazzo la coltivazione del pomodoro e di tutte le altre verdure: 3 ettari di proprietà nei dintorni di Pagani e altri 30 ettari nel sud Italia, principamente in Puglia, Sicilia e in Calabria, ma anche in Toscana. I campi non di proprietà vengono gestiti attraverso degli accordi di filiera e, in ogni caso, seguiti direttamente dagli agronomi di Casa Marrazzo. Carmine ci racconta che da gennaio ad aprile il campo riposa, dopo il pomodoro vengono piantate solo le lattughe.
PACCHETELLE DI POMODORI CORBARINI
Pomodorini Corbarini a spicchi conservati al naturale cod 96366 vaso da 1 kg
PACCHETELLE DI PIENNOLO DEL VESUVIO
Pomodorini del Piennolo del Vesuvio DOP non pelato a spicchi cod 96371 · vaso da 1 kg
PACCHETELLE DI POMODORINI GIALLI
Pomodorini gialli Ercolano a spicchi al naturale cod 96369 vaso da 1 kg
PACCHETELLE DI POMODORI VERDI BIO
Pomodori verdi lunghi bio a spicchi conservati al naturale cod 96368 vaso da 1 kg
Siamo capitati nel momento giusto per assistere al trapianto del San Marzano, posticipato quest'anno per il freddo degli ultimi giorni. Il Vesuvio sullo sfondo, Ciro ci guarda con sospetto, quando lo fotografiamo mentre trapianta una a una le piantine: "50 cm tra una piantina e l’altra, ogni quattro piantine un palo, poi quando crescono mettiamo il fil di ferro".
La raccolta del pomodoro viene fatta a mano, seguendo la maturazione del frutto che avviene dall'alto verso il basso: filari, nel periodo della raccolta, vengono ripassati 2-3 volte a distanza di 10 giorni.
Una volta raccolto, il prodotto arriva grezzo dai campi nelle cassette, viene lavato con acqua e acido citrico per ridurre l’ossidazione, quindi incassettato nuovamente e trasferito allo stabilimento di Casa Marrazzo per la lavorazione. Qui, in stagione, vengono lavorati circa 400 quintali al giorno di pomodoro.
Per prima cosa pomodori passano nella selezionatrice ottica che elimina quelli difettosi, neri o verdi, ma il controllo e la pulizia finale vengono fatti manualmente dalle signore di Pagani, in base alla loro esperienza. frutti riposano quindi 12 ore prima di iniziare la lavorazione. pomodori più piccoli, o quelli che si rompono durante la lavorazione - mai quelli difettosi - vengono passati e cotti sottovuoto a 75 gradi nelle boule per fare il succo, mentre quelli più grandi vengono solo pelati meccanicamente. Sono i due unici processi "a caldo": i pelati vengono infatti invasettati a crudo, a mano, coperti con il succo e cotti in latta.
"E' proprio l'invasettamento a mano che garantisce una resa molto alta del peso sgocciolato, pari all'80%" - ci dice Gaetano. Concludiamo la nostra visita con l'Ode al pomodoro: una degustazione a confronto di tre pelati, il San Marzano DOP, il Pelato Napoli
SCAROLE IN OLIO CON CAPPERI
Scarole saltate con capperi e olive nere, conservate in olio cod 96373 vaso da 1 kg
POMODORI SECCHI IN OLIO
Pomodori essicati al sole, sbollentati e conservati in olio cod 96370 vaso da 1 kg
MELANZANE A FILETTI IN OLIO
Melanzane a filetti leggermente piccanti in olio cod 96372 vaso da 1 kg
e il Pelato Bio. E' incredibile quante differenze si possono cogliere in un assaggio a confronto anche di un prodotto "semplice" come un pelato. La spiegazione sta nelle diverse tipologie di terreno, che troviamo nei vassoietti sul tavolo, non solo nella varietà, ci spiega Gerardo. Il San Marzano viene coltivato su terreni vulcanici, ricchi di falde acquifere. Il Pomodoro Napoli nella zona tra Nola e Caserta, mentre il Bio su terreni più argillosi, in Toscana e Puglia. Prima di andarcene dobbiamo scattare la foto di copertina. Sullo sfondo le bellissime latte blu del San Marzano: Gerardo e Gaetano sono appassionati di design, e si vede. I vasetti della Collezione 1934, che vi presenteremo in autunno, hanno vinto nel 2023 anche il prestigioso premio "Diamond Awards" per il packaging design.
L'intesa tra zio Gerardo e Gaetano si nota. Ma in effetti, per tenere testa a una mamma-sorella come Teresa, un sodalizio maschile ci vuole!!
3 minuti di lettura
NOVITÀ A CATALOGO
CONTINUA LA NOSTRA RICERCA PER PIATTI GASTRONOMICI DI QUALITÀ.
IN QUESTA TAPPA INSERIAMO UN PROGETTO LEGATO ALLA CUCINA INTERNAZIONALE,
CON UN’AZIENDA TREVIGIANA
Avete mai sognato di portarvi a casa una cucina di qualità, fatta di piatti un po’ diversi dal solito, in porzioni misurate e che non vi obbligasse a consumare la pietanza entro pochi giorni?
Con Eat Like a Star la soluzione è a portata di mano. Quest’azienda di Maser (TV) partita da un’esperienza ristorativa, si è cimentata negli ultimi 5 anni nella produzione di piatti pronti, cercando di lavorare non solo eseguendo ricette tradizionali, ma anche piatti internazionali che potessero esser consumati sia a casa, ma anche all’interno di un’attività ristorativa non dotata di cucina tradizionale. Sembra un controsenso, me ne rendo conto, tuttavia è un dato di fatto.
Dal 2020 in poi si è accentuato un fenomeno, già in atto da prima, per cui l’offerta ristorativa si è diffusa anche al di fuori dei ristoranti, per coinvolgere enoteche, bar, pub e birrerie, pizzerie, hotel. E vista la difficoltà a trovare personale o l’impossibilità di avere una cucina attrezzata, questi ambienti spesso cercano semi-preparati o pietanze pronte da poter servire grazie a una semplice rigenerazione al
microonde o all’aggiunta di qualche ingrediente per completare il tutto.
Questa nuova linea è pertanto servibile su un duplice canale, la nuova ristorazione poc’anzi descritta e il dettaglio tradizionale che ha sempre bisogno di ampliare la propria offerta di piatti pronti. punti di forza di questa linea di 6 nuove referenze son seguenti: originalità e qualità del piatto; confezionamento monoporzione sottovuoto e privo di imballaggi impattanti; durata vita di circa 30 giorni se conservato in frigo; facilità di utilizzo.
Eat Like a star ha fatto una scelta netta sul confezionamento, adottando grammature da monoporzione, tra 180 e 250 g di peso, per evitare sprechi, controllare meglio il food cost e facilitare chi impiatta senza essere un cuoco.
La gamma che vi presentiamo si può dividere in due gruppi, i primi piatti, con Gazpacho, Riso alla curcuma, Insalata farro e miglio alle verdure, e secondi con Costine alla salsa bbq, Chili con carne, Mazzancolle al curry e riso nero.
GAZPACHO DI POMODORO · Ricetta di tradizione spagnola: una zuppa fredda a base di verdure, dove il pomodoro è protagonista. Nel caso particolare, oltre al pomodoro che rappresenta un terzo della ricetta, si aggiungono cetrioli, peperoni, cipolle rosse, oltre al condimento. Il colore è rosso aranciato, non ossidato. È la ricetta perfetta per l’estate: aggiungetevi a piacere un cucchiaio di stracciatella e una foglia di basilico, oppure qualche goccia di pesto alla genovese e una quenelle di Crema del Doge.
RISO ALLA CURCUMA CON VERDURE ALL’ORIENTALE · Il riso viene sbollentato (viene usato il parboiled per mantenere più facilmente la cottura) e le verdure, un mix composto da carote, peperoni e piselli, vengono cotte separatamente. Il tutto è poi assemblato a freddo, con aggiunta di curcuma, salsa tamari, curry e olio evo Questa insalata di riso può essere consumata fredda o appena riscaldata al microonde mantenendola nel suo confezionamento con l’unica accortezza di fare una piccola incisione sulla busta. Il risultato è gradevolissimo, sia per aspetto, sia per il sapore bilanciato, con una speziatura elegante e non aggressiva. Perfetta anche come contorno a ricette di carne o pesce.
INSALATA VEGETARIANA DI ORZO E MIGLIO · Orzo perlato e miglio decorticato cotti sono protagonisti di questa insalata, dove le verdure (peperoni, zucchine, carote e piselli e la salsa di soia come comprimari donano un condimento vivace e piacevole. Non fatevi trarre in inganno dal miglio che pesa solo il 15% nel bilancio della ricetta, infatti in bocca il risultato è saporito e le verdure hanno un ruolo importante, sia per dare frizzantezza a livello cromatico, sia per caratterizzare la ricetta. Ideale tal quale o anche come contorno a filetti di pesce o carne.
CHILI CON CARNE · Mexico, Mexico! Tacos e tortillas saranno piatti in voga nel prossimo futuro, perché quindi non prendersi avanti con un buon chili? Si tratta di uno stufato di carne bovina e salsiccia al quale si aggiungono, fagioli, polpa di pomodoro e un pizzico di peperoncino. Se non avete a disposizione tacos o tortillas, adattate una piadina e il gioco è fatto. Per finire aggiungete un po’ di prezzemolo.
COSTINE BBQ Sicuramente il prodotto più immediato, che necessita di poche spiegazioni. Sappiamo tutti come sono fatte le costine di maiale in salsa barbecue e sappiamo anche quanto tempo ci voglia per prepararle! Carnose e saporite, necessitano solamente di 4 minuti a media potenza in microonde per rigenerare la parte grassa e ridare untuosità alla carne.
MAZZANCOLLE AL CURRY E RISO · Un piatto che ci ha colpiti sin dal primo assaggio e che siamo convinti diventerà un best seller. In questo caso mazzancolle al curry e riso nero viaggiano in abbinata ma sono confezionati separatamente in modo da preservare sapori e le consistenze. Proprio la consistenza del crostaceo (sono presenti solo le code) ci fa capire la qualità della materia prima: consistente al morso, callosa e non troppo morbida. La salsa al curry è davvero appetitosa e non troppo piccante, mentre il riso nero completa il piatto e sostituisce il pane, in perfetto stile orientale.
Zuppa fredda estiva di pomodoro e verdure: da completare solo con qualche guarnizione.
cod 96154 · busta da 250 g x 5 RISO ALLA CURCUMA CON VERDURE ALL’ORIENTALE
Insalata di riso con verdure e un mix di spezie: da consumare fredda o appena rigenerata in microonde cod 96150 · busta da 220 g x 5
DI ORZO E MIGLIO
Insalata di orzo, miglio e un mix di verdure, condita con salsa di soia; ideale tal quale o come contorno cod 96151 · busta da 220 g x 5
CHILI CON CARNE
Carne stufata arricchita con fagioli, pomodoro e peperoncino: da servire fumante abbinata a tacos o tortillas cod 96153 busta da 180 g x 5
COSTINE BBQ
Costina di maiale in una cremosa salsa barbecue: da rigenerare in microonde per ammorbidire la parte grassa e ridare succosità al piatto cod 96152 · busta da 280 g x 5
MAZZANCOLLE AL CURRY
CON RISO
Code di mazzancolle in salsa al curry da servire con il riso nero fornito in abbinata cod 96155 · busta da 260 g x 5
PORRO GRIGLIATO IN AGRODOLCE
Porro grigliato, morbido e dal sapore erbaceo, vivace e bilanciato
cod 93301 · vaso 314 g
CIPOLLOTTO IN AGRODOLCE
Cipollotto di Tropea sbollentato: croccante e dal sapore fresco
cod 93300 · vaso 314 g
TOPINAMBUR
Tocchetti di topinambur dal sapore fresco con note erbacee di carciofo
cod 93302 · vaso 314 g
ZUCCHINE IN CARPIONE
Zucchine a rondelle in aceto, cipolla e origano: croccanti e aromatiche
cod 93303 · vaso 314 g
2 minuti di lettura
NOVITÀ A CATALOGO
CUCINA DI MATTIA E STEFANO DI MACEDONIA
Questa volta mettiamo il piede nel fantastico mondo delle verdure in conserva, mantenendo fermo un principio cardine della nostra selezione: le verdure devono esser lavorate dal fresco e non provenire da salamoia o conserve precedenti (molto frequente nel mondo dell’industria). Principio che Macedonia dell’Orto segue con naturalezza: Stefano ricerca al mercato non solo il prodotto fresco, ma anche la verdura, la frutta, nel loro miglior momento per sapore, vigoria e punto di maturazione. Poi in laboratorio ci pensa Mattia a valorizzare la materia prima, senza massacrarla con cotture violente o nasconderla con ingredienti invadenti. Nella scelta delle nuove referenze ci siamo fatti guidare dall’originalità per poter fare delle proposte uniche adatte sia al dettaglio, sia alla ristorazione.
PORRO GRIGLIATO
Porri a tranci di medie dimensioni, grigliati e conservati in un liquido agrodolce Sul porro son evidenti segni della grigliatura, la consistenza è morbida e piacevolmente cedevole. In bocca il sapore è vegetale, la grigliatura aggiunge un po’ di grinta alla preparazione. L’agrodolce è ben bilanciato e dona vivacità alla conserva.
CIPOLLOTTO AGRODOLCE
Cipollotto di Tropea sbollentato rapidamente e conservato in una miscela di olio evo e un pizzico di aceto Il cipollotto è intero, privato soltanto della parte verde del gambo che è più coriacea.
Il sapore è originale e fresco, le note di cipolla son davvero leggere e si integrano bene con l’olio evo mediamente fruttato. La masticazione è agevole e la consistenza croccante!
TOPINAMBUR
Tocchetti di topinambur in olio di semi, aceto, pepe in grani e alloro. Questa pianta dal bulbo sotterraneo ha la consistenza di una patata e il sapore molto simile al carciofo. Per questa ricetta viene mondato prima di essere tagliato a pezzi e inserito nella concia. Una preparazione freschissima, che si presta a essere usata tal quale per un aperitivo o in abbinamento a un prosciutto crudo saporito, una volta sgocciolata dall’olio.
ZUCCHINE IN CARPIONE
Rondelle di zucchine nel classico carpione. Il carpione, una marinata realizzata con aceto e cipolla è normalmente usato con il pesce, ma in questo caso la ricetta è stata mutuata nel mondo vegetale. Qui a stupire non è solo il sapore, ma anche la croccantezza degli elementi. In bocca troviamo un perfetto bilanciamento di sentori vegetali e aromatici, che danno nel complesso sensazioni di freschezza (fil rouge di questa linea di prodotti). Sapiente l’utilizzo degli odori: in questo caso un misurato tocco di origano fa la differenza!
CACIOCAVALLO
PASCOLINO
Piccolo caciocavallo stagionato almeno 30 giorni, prodotto con il latte di piccole mandrie allevate prevalentemente al pascolo. Il sapore è intrigante, con note di erba, pascolo, tostato e burro cotto
cod 25208
2 kg circa
DALLE BUCOLICHE MONTAGNE
IRPINE IL NUOVO CACIOCAVALLO
DEL CASEIFICIO D&D
CREME DI PECORINO: UNA
CATEGORIA CON INTERESSANTI
POSSIBILITÀ DI MERCATO
Ci sono luoghi che sembrano altri luoghi: a me l’Irpinia è sembrata il Montana, un territorio dove la natura è padrona e l’uomo cerca di insediarsi sfruttando il privilegio di aver a disposizione risorse naturali ricchissime. Pascoli estesi, falde acquifere abbondantissime, fiumi, foreste e un cosmo immacolato.
Non è stato difficile cogliere il legame forte che questo Caciocavallo di piccole dimensioni - circa 2,4 kg - chiamato Pascolino, ha con la natura. Infatti il latte impiegato proviene esclusivamente da 16 stalle di piccola dimensione situate nella Piana di Volturara Irpina (AV) che alimentano gli animali al pascolo per 9 mesi all’anno e per i restanti mesi a fieno autoprodotto in azienda. Le mandrie sono disomogenee in termini di razze: non vi aspettate stalle ad alta prestazione di sole Vacche Brune o Frisone o Pezzate Rosse; al contrario, ogni mandria, seppur piccola, ha almeno tre o quattro razze diverse Bruna, Schiava Nera, Jersey, Frisona, Pinzgauer.
Visto che il latte proviene da diverse stalle, il produttore, Caseificio D&D, ha deciso di pastorizzare il latte per maggior cautela. Nonostante questo, il sapore che ci regala il caciocavallo è degno di nota: erba fresca, pascolo, burro cotto e frutta tostata i sentori prevalenti. E non possiamo non citare il colore della pasta: giallo paglierino dorato grazie all’alimentazione al pascolo e all’alto contenuto di betacarotene dell’erba fresca.
La Crema di Pecorino di Ottopassi, purtroppo non più disponibile, ha avuto il merito di aprire la strada alle creme di formaggio di qualità. Avevamo snobbato per anni questa categoria di prodotto, ma ora ci abbiamo preso gusto e soprattutto il mercato offre le condizioni migliori per far attecchire questo tipo di referenze. Ecco perché ci siamo messi subito in moto e abbiamo cercato di trovare un’alternativa, seppure proveniente da un produttore più robusto. Vi presentiamo quindi la Crema del Pastore di CAO - Cooperativa Allevatori Ovini, fatta con un mix di pecorini e ricotta. Confezionata in un comodo vasetto con tappo a vite da 200 g, presenta un aspetto liscio e vellutato, di color bianco avorio. In bocca è dolce e convincente, il sale è ben bilanciato, così come le note animali molto tenui Le possibilità di utilizzo sono molteplici: possiamo usare la Crema del Pastore come base per un crostino, a ciuffi su una pizza o su una focaccia in abbinamento a dei carciofi. O ancora misceliamola a patate schiacciate e Crema di Parmigiano al Tartufo per una crocchetta fuori dagli schemi. Oppure provate voi a creare qualche ricetta originale, con la Crema del Pastore non dovrebbe essere per nulla difficile!
CREMA DEL PASTORE
Crema prodotta da CAO con un mix di pecorino e ricotta ovina forte. Dalla consistenza liscia e vellutata, e un sapore ben bilanciato in termini di sale e con note animali delicate. Dall’utilizzo molto versatile.
cod 31539 vaso da 200 g
NUOVO PODIO DEI PRODOTTI ESTIVI PIU' PERFORMANTI NEL PERIODO
GIUGNO-AGOSTO 2023, SUDDIVISI SEMPRE IN BASE AL CANALE DI VENDITA
BOCCONCINI BORGOLUCE DI LATTE DI BUFALA cod 21061 · 250 g (9 x 27 g)
JAMON SERRANO 24 MESI cod 79211 6 kg addobbo FESA MARINATA DI BLACK ANGUS cod 82093 · 2 kg circa
TARTARE DI BOVINO ADULTO SCOTTONA cod 84700 · 10 pezzi da 150 g
PROSCIUTTO DI PARMA DOP CASA GRAZIANO 24 MESI cod 79164 · 8,5 kg · addobbo
BURRATINA
SENZA NODO cod 24898 · 2x125 g
SALAMINO PICCANTE DEI CASTELLI SV X3 cod 80113 · 2,2 kg
PORCHETTA DI ARICCIA IGP
cod 80811 · 5 kg tronchetto a metà
ACCIUGHE CANTABRICHE IN OLIO DI GIRASOLE cod 93688 · 270 g
2 minuti di lettura
IL SOMMELIER
MACCHIA MEDITERRANEA, SALSEDINE, MARE E AGRUMI: TRE ABBINAMENTI
FORMAGGIO-VINI CHE CI FANNO SOGNARE SPIAGGE GRECHE INCONTAMINATE
FETA DOP
Tipico formaggio greco a latte misto, ovino e caprino; ha una buona sapidità e rivela note citriche e speziate cod 42096 · peso 1,4 kg circa
• Feta DOP – Santorini Assyrtiko PDO
L’estate si avvicina, ma non dobbiamo farci intimorire dalle calure e dagli alcoli contenuti nelle bevande. Un’insalata di Feta DOP, pomodorini e cetrioli si rifletterà nel vostro bicchiere di Assyrtiko e vi farà gioire: in bocca il tripudio di sapidità favorirà la salivazione e i profumi di erbe mediterranee saranno un contorno perfetto al formaggio. Se siete abbastanza fortunati da avere qualche bottiglia con una decina di anni sulle spalle, l’abbinamento con Feta al forno, miele e timo vi stregherà
Prodotto con latte di capra e pecora e infuso con origano greco. Dolce e aromatico con un buon bilanciamento della sapidità cod 42089 · peso 1 kg circa
Formaggio ottenuto dal siero del latte di capra e pecora con aggiunta di panna dello stesso latte cod 42098 · peso 2 kg circa
• Manouri DOP – Durello Monti Lessini DOC Spumante
Che sia chiaro, in questo Magazine non c’è spazio per abbinamenti da godersi al chiuso. Avanti, tutti in giardino nei dehors! Per esaltare al massimo il Manouri DOP piastratelo senza bruciarlo e magari affiancateci dei funghi finferli, il vino vi sarà di grande aiuto. Note di crosta di pane, agrumi e fiori faranno da preludio a un sorso che si chiude fresco e marcatamente sapido. Attenzione, il Manouri di "grassezza" ne ha da vendere, non abbiate paura a contrastarla!
• Graviera all’ Origano – Cinque Terre Bianco DOC
Ci sono versioni di questo vino veramente capaci di emozionare, magari quelle più audaci con le uve che hanno macerato qualche giorno. Sono vini che parlano di mare, ventate di salsedine e macchia mediterranea dove poi il sorso sorprende per slancio acido e gustosità. In questo caso vino e formaggio si esalteranno a vicenda, gli aromi saranno in continua competizione mentre l’equilibrio al palato sarà mantenuto dalle caratteristiche gustative del vino.
Stefania Marcuz
Assaggiatrice certificata di Olio Extravergine d'Oliva
PRODURRE OLIO EXTRAVERGINE
D’OLIVA DI QUALITÀ È IMPEGNATIVO E
COMPLESSO POICHÉ RICHIEDE GRANDI
COMPETENZE E ATTENZIONE DURANTE
TUTTE LE FASI: PARLIAMO DEL FRANTOIO
Abbiamo già visto come sia fondamentale partire da olive sane, raccolte e conservate in un luogo fresco e asciutto, quindi conferite al frantoio per la lavorazione nel minor tempo possibile.
IL FRANTOIO
Al frantoio e alla tecnica di estrazione sono da attribuirsi alcuni tra i principali fattori che possono influire sulle caratteristiche del nostro evo Diverse tipologie di macchinari e di lavorazione anche con le stesse tecnologie possono dare origine a oli con profili aromatici e gusto-olfattivi completamente diversi.
Ecco perché quella del frantoiano è una figura chiave in base alle caratteristiche delle olive che gli verranno conferite (cultivar, stadio di maturazione ecc…) e a quelle dell’olio che si vorrà ottenere (fruttato delicato/medio/intenso, intensità di amaro e piccante ecc…), egli dovrà intervenire sulla lavorazione e regolare i vari parametri dei macchinari come la durata di ogni processo, la quantità di acqua utilizzata, la temperatura e così via. Durante tutto il processo di estrazione sarà fondamentale controllare che la temperatura non superi mai i 27 °C per poter inserire in etichetta la dicitura “estratto a freddo” anche se tendenzialmente gli oli di alta qualità vengono prodotti attorno ai 20-23 °C: il calore è nemico della qualità dell’olio, poiché ne compromette le proprietà salutistiche, oltre a quelle organolettiche.
La pulizia dei macchinari è, inoltre, fondamentale.
IMPIANTI DI ESTRAZIONE: I SISTEMI
I sistemi per l’estrazione dell’olio sono due:
• tradizionale (o a ciclo discontinuo): caratterizzati da macine in pietra e presse;
• moderno (o a ciclo continuo): l’estrazione dell’olio avviene tramite l’utilizzo di macchinari tecnologicamente avanzati che sono collegati tra loro e operano senza interruzioni dal momento in cui entrano le olive nel frangitore, fino all’ottenimento del prodotto finale. Questi sistemi hanno molti vantaggi: permettono un controllo continuo e automatico dei vari parametri (temperatura, ossigeno ecc…) e agevolano la pulizia, garantendo maggiori prestazioni sia a livello quantitativo che qualitativo. Attualmente è il sistema maggiormente utilizzato.
SISTEMI MODERNI
sistemi moderni possono essere suddivisi in due tipologie, che si distinguono tra loro principalmente per la quantità di acqua necessaria nel decanter, in fase di estrazione, e per la tipologia di sottoprodotti generati:
• a due fasi: la quantità di acqua è minima (anche nulla se è sufficiente quella già presente all’interno delle olive) e vengono generati due sottoprodotti: olio e sansa umida (con acqua di vegetazione);
• a tre fasi: solitamente è necessaria una quantità d’acqua maggiore per agevolare la lavorazione e vengono generati separatamente tre sottoprodotti: olio, sansa e acqua di vegetazione.
A livello organolettico e di componenti, lavorando la stessa partita di olive e alle stesse condizioni, un olio prodotto da un frantoio a tre fasi può risultare più delicato e più scarico di polifenoli che, essendo idrosolubili, verranno disciolti più facilmente nella maggior quantità di acqua usata.
IL PROCESSO DI LAVORAZIONE: LE FASI
Nei frantoi moderni, il processo viene suddiviso principalmente nelle seguenti fasi (Foto 1):
• defogliazione e lavaggio: eliminazione di foglie e rami residui, e lavaggio accurato delle olive;
• frangitura: rottura meccanica delle olive e trasformazione delle stesse in una pasta;
• gramolatura: processo che agevola la fuoriuscita dell’olio dalla pasta delle olive;
• estrazione: separazione dell’olio dalle sanse attraverso il decanter;
• separazione dell’olio dall'acqua residua;
• filtrazione: eliminazione dall’olio di ogni microparticella organica residua (particelle di oliva, acqua, ecc...);
• conservazione/stoccaggio
Vediamo le fasi nel dettaglio e quali sono fattori di cui tener conto per ottenere un olio di alta qualità.
DEFOGLIAZIONE
Per evitare che le foglie eventualmente cadute tra le olive durante la raccolta vadano a incidere
sul profilo organolettico finale dell’olio (amaro accentuato) e sulla sua composizione, è importante eliminarle prima della lavorazione delle drupe Foto 3). Per ovvi motivi igienico-sanitari segue poi il lavaggio dei frutti, da effettuare sempre con acqua potabile e pulita, per eliminare tutti gli eventuali residui organici e chimici Foto 2).
FRANGITURA
Le olive lavate vengono convogliate nel frangitore. La frangitura è il primo passaggio del processo di trasformazione delle olive in olio e consiste nel ridurle meccanicamente in una pasta omogenea che contiene buccia, polpa e nocciolo ridotti in frantumi. Le modalità di rottura del frutto condizionano la produzione di numerosi composti nell'olio responsabili di colore, gusto e aroma ed è, quindi, una fase importante perché incide direttamente sul risultato finale. Nei frantoi a ciclo continuo esistono principalmente tre tipologie di frangitore, ognuna con una finalità ben precisa:
• a coltelli/lame: ha un’azione più delicata sulle olive e viene utilizzato per enfatizzare l’estrazione dei profumi rispetto alla parte polifenolica;
• a martelli: è tra i più utilizzati poiché, grazie a un’azione più vigorosa sui frutti, permette di ottenere un’ottima resa quantitativa;
• a dischi: utilizzato per agevolare l’esaltazione del colore verde e del piccante.
GRAMOLAZIONE (O GRAMOLATURA)
È la fase successiva alla frangitura ed è altrettanto importante. La gramola, verticale (Foto 4) o orizzontale, è un macchinario il cui scopo è quello di effettuare l'estrazione dell'olio dalla pasta di olive. Ciò avviene per mezzo degli enzimi presenti nel frutto e grazie all’azione meccanica del mescolamento che procura la rottura delle membrane lipoproteiche che avvolgono le micro goccioline di olio presenti nel frutto (fenomeno di "lisi"). Queste si disperdono nella pasta insieme agli altri componenti (acqua e polifenoli) e si aggregano formando prima gocce, e poi una massa, sempre più grande (fenomeno della "coalescenza"). In questa fase, per ottenere oli di alta qualità, tempi di lavorazione devono essere brevi, la temperatura bassa e l’ossidazione della pasta minima.
Riassumendo le fasi viste finora, possiamo dire che, partendo dalle stesse olive, per ottenere un olio più intenso e concentrato sia a livello olfattivo che gustativo, è necessario lavorarle a temperature basse, per poco tempo e limitare al minimo l’utilizzo dell’acqua. Nel prossimo numero vedremo i passaggi successivi.
Ovvero "condimenti" a base di olio evo
Esistono varie tecniche per produrli, ma quella che solitamente permette di avere risultati qualitativi migliori è quella che prevede l’aggiunta degli ingredienti aromatizzanti (agrumi, peperoncino, basilico ecc…) alle olive direttamente nel frangitore o nella gramola
Questa lavorazione fa sì che le due materie prime vengano gramolate insieme e, grazie all’azione di “lisi” già citata prima, che le loro peculiarità aromatiche e gustative si fondano completamente e armoniosamente con l’olio proprio perché ciò avverrà durante la sua formazione.
Olio Extravergine di Oliva con Yuzu
Produttore: O-Med Oil, Granada (Spagna)
Olive: olive di varietà Arbequina e buccia di Yuzu (un agrume giapponese)
Colore giallo intenso e luminoso
Sapore sentori spiccati di agrumi, con aromi di fruttato verde medio e di erba
Suggerimenti: sulle creme di verdura, con il ceviche e in generale i piatti a base di pesce
Codice: 96402
250 ml
3 minuti di lettura
PIZZA SLOW
ANCHE IN QUESTO NUMERO SIAMO DA “LA GATTA MANGIONA” INSIEME A
GIANCARLO CASA, TITOLARE DEL LOCALE E IDEATORE DI TRE RICETTE FRESCHE E
APPETITOSE ACCOMUNATE DA UN FIL ROUGE: IL PROSCIUTTO DEL CASENTINO
PROSCIUTTO DEL CASENTINO
Ottenuto da suini di razza Grigio del Casentino allevati allo stato brado nel Parco Nazionale delle
La Gatta Mangiona, una delle pizzerie simbolo della Roma del gusto, quest’anno festeggia i suoi primi 25 anni di vita e il suo titolare Giancarlo Casa, circondato dai tanti musi felini che lo osservano dai quadri appesi alle pareti del suo locale, non nasconde l’orgoglio per com’è cresciuta questa sua creatura. Che è nata nel 1999 come una scommessa, con l’idea di rivoluzionare il concetto di pizza, nobilitandola con l’impiego di ingredienti di alta qualità e abbinamenti inusuali. Oggi La Gatta Mangiona
è un punto di riferimento per gli amanti della pizza gourmet e all’interno di questo locale si continua a respirare un’aria familiare, senza tanti inutili orpelli. Al centro di questa nuova puntata di Pizza Slow, c’è stavolta il Prosciutto del Casentino, Presidio Slow Food che Gianfranco ha saputo sfruttare al meglio nelle sue ricette.
IL SALUME PROTAGONISTA
Facciamo tappa in Toscana per assaporare un presidio Slow Food dalla lunga storia, di cui troviamo testimonianza anche in alcuni testi dell’Ottocento: il Prosciutto del Casentino
Già a quell’epoca, nella conca dell’alto Arno, pascolavano bradi o semi bradi alcuni maiali dal manto scuro, allevati per la produzione di prosciutti pregiati. E oggi, nell’azienda agricola
Le Selve di Vallolmo, ritroviamo suini Grigi del Casentino, una razza di eccellenza, ottenuta incrociando il Large White e la Cinta Senese
Anche l’allevamento rispecchia gli usi di un tempo: i suini di proprietà della famiglia
Orlandi sono liberi di andare a zonzo nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi nutrendosi di ciò che trovano. Raggiungono un peso di 180200 chili, sviluppando un’ottima percentuale di
grassi nobili, che conferiscono al prosciutto, noto anche per la sua particolare forma leggermente allungata, una caratteristica scioglievolezza con sapori che richiamano sentori della foresta in cui questi animali vivono: note di ghianda, frutta tostata e cantina.
I CONSIGLI DI GIANCARLO
Cosa ti piace del Prosciutto del Casentino?
È un prodotto che conosco piuttosto bene, la cui qualità è innegabile, legata alla razza dei suini e al modo in cui sono allevati, liberi di pascolare e nutrirsi di ciò che la natura offre. Si nota soprattutto dal grasso di questo prosciutto: quando risponde in un certo modo al calore, sia sul fronte del gusto che della scioglievolezza, significa che il maiale si è nutrito al meglio.
Come lo utilizzi?
Preferisco usarlo rigorosamente a crudo lasciando semmai che sia il calore che proviene dagli altri ingredienti a scaldarlo e ammorbidirlo.
La cottura lo svilisce, perciò nelle ricette che proporrò lo vedrete in azione soltanto in uscita dal forno, in modo che gli arrivi solo poco calore.
Come lo conservi?
Lo taglio il minimo indispensabile per l’uso del momento e se poi ho in programma di utilizzarlo nuovamente l’indomani lo avvolgo nella pellicola trasparente. Se invece so che lo reimpiegherò tra del tempo, preferisco metterlo sottovuoto. Una volta aperto, è meglio comunque conservarlo in cella frigorifera, a quattro gradi.
Come lo tagli?
Con l’affettatrice, a fette non troppo lunghe, fini ma non a velo, per mantenerne la consistenza al morso.
In che stagione è più adatto?
È perfetto per tutte le stagioni, ma nelle ricette di pizze e focacce che vi propongo in questo numero l’ho pensato per un impiego principalmente estivo.
Quali abbinamenti hai studiato e perché?
Ho pensato a due focacce e a una pizza perfette per la stagione calda, che sfruttano le qualità del Prosciutto del Casentino impiegato a crudo. Mi piace giocare con abbinamenti audaci, che tirano in ballo anche la frutta. La prima ricetta, la Focaccia “Crudo & More”, è un mix di gusti differenti, tra il dolce, l’acidulo e il sapido. La pizza “Sole d’Agosto” e la Focaccia “Rustica” giocano invece sugli accostamenti del salume con le verdure: nel primo caso dei saporiti peperoni, nel secondo degli aromatici carciofi sott’olio associati a una fresca misticanza, con il dolce dello spinacino e il piccante della rughetta a completare.
Foreste Casantinesi, ha una forma tondeggiante e un po’ allungata. La fetta ha un colore intenso con una buona marezzatura. Scioglievole al palato, richiama i sentori della foresta in cui vive l’animale: frutta tostata, ghianda e cantina con osso · cod 78350 · 11 kg circa addobbo · cod 78355 7,5 kg circa IL MENU DELLE PIZZE
Focaccia “Crudo & More”
Ingredienti: Cuor di Burrata “Stracciatella” Caseificio Olanda 70 g (0,88€); More caramellate al sale 40 g 0,90 €); Prosciutto del Casentino 50 g 3,48€
Food cost: 5,26 € + costo impasto
Le note dello chef: “Il risultato all’assaggio è un bel morso rotondo, in cui la dolcezza fresca della stracciatella si sposa con il dolce acidulo della mora e la sapidità del prosciutto in fiocchi, per un piatto colorato e gradevole non solo al palato, ma anche all’occhio”.
Pizza “Sole d’Agosto”
Ingredienti: Fiordilatte Pizzeria Latteria del Molise 90 g 0,85€); Peperoni a Filetti Grigliati Casa Marrazzo 90 g 0,88€), conditi con aglio e prezzemolo; Prosciutto del Casentino 50 g (3,48€)
Food cost: 5,21 € + costo impasto
Le note dello chef: “La base è classica, con Fior di latte, che poi guarniamo in uscita dal forno disponendo a raggiera i peperoni alternati con i fiocchi di crudo, che con il calore della mozzarella diventa un po’ traslucido”.
Focaccia “Rustica”
Ingredienti: Carciofi a spicchi grigliati 100 g (1,10€); Prosciutto del Casentino 60 g 4,18€); Misticanza verde 40 g 0,40 €
Food cost: 5,68 € + costo impasto
Le note dello chef “Una ricetta adatta per i mesi caldi, in cui una base di focaccia viene arricchita con un topping sorprendente. L’aromaticità dei carciofi incontra la sapidità del prosciutto e le sensazioni dolci e piccanti della misticanza”.
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QUADERNO DEGLI APPUNTI
ALCUNE REGOLE D’ORO CHE ABBIAMO IMPARATO DURANTE IL CORSO DI TAGLIO
A COLTELLO DEL JAM Ó N IB È RICO CON UN CORTADOR DI MONTE NEVADO
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DA SEGNARE IN AGENDA
UN WEEK END DI FORMAZIONE A NUMERO CHIUSO ORGANIZZATO
DA ALTE IMPRESE PER SPERIMENTARE IN PRIMA PERSONA LA VITA DI MALGA
JARRETE MAZA CONTRAMAZA PUNTA BABILLA
DOVE SI TROVANO LE OSSA
Sapere dove sono localizzate le ossa è fondamentale per non farsi cogliere impreparati durante il taglio Si inizia a tagliare dalla parte della culatta (maza/ contramaza) e poi la parte della punta, quindi il fiocco babilla) e infine il gambetto jarrete): a lato un sorta di ecografia di dove si incontreranno le ossa.
POSIZIONAMENTO SULLA MORSA
Il taglio si effettua a partire dalla parte alta della culatta maza), quindi posizionare il jamón con l’unghia e la maza rivolte verso l’alto Assicurarsi che la coscia sia dritta così che il piano di taglio sia perfettamente parallelo al tavolo. Bloccare il jamón sulla morsa solo quando si è sicuri della posizione così da non rovinarlo avvitandolo più volte!
CONSERVAZIONE
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IMPIATTAMENTO
Il tipico impiattamento spagnolo prevede la disposizione a spirare delle fette sul piatto: per fare ciò è opportuno tagliare fette di dimensioni simili - circa 2 dita di altezza - e disporle sempre nello stesso senso di taglio In questo modo le venature creeranno un disegno ordinato e di sicuro appeal per vostri clienti!
4
Se avete iniziato a tagliare il jamón ma non riuscite a finirlo, si consiglia di coprire il taglio con del grasso bianco prelevato dalla coscia raschiando con delicatezza con il dorso del coltello, quindi coprire con pellicola e poi con un panno Conservare la coscia a temperatura ambiente e ricordarsi di rinfrescare il grasso sul taglio affinché non irrancidisca. Cercare di finire il jamón in breve tempo.
Una masterclass esperienziale dedicata alla conduzione dell’alpeggio e alla figura del malgaro, custode della montagna. partecipanti avranno l’opportunità di confrontarsi con un’esperienza concreta su alcuni temi quali ad esempio: la conduzione delle mandrie e la gestione del pascolo, la tecnica casearia e la valutazione organolettica dei formaggi
DOVE E QUANDO?
Presso Malga Telvagola a Pieve Tesino (TN) da mercoledì 19 a sabato 22 giugno
COME ISCRIVERSI?
Nel sito www. alteimprese.it è disponibile il modulo di iscrizione. Per ulteriori informazioni: +39 324 022 8363 oppure scrivendo a info@alteimprese.it
ALTE IMPRESE VITA IN MALGA 19 - 22 Giugno domanda di partecipazione da inviare entro il 7 giugno per maggiori info visita:www.alteimprese.it
ROBIOLA DI ROCCAVERANO DOP AFFINATA
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ANALISI SENSORIALE
NUOVA SFIDA SENSORIALE PER GLI AMICI DELL’ONAF: OGGI IL SET È TRA
ROCCAVERANO DOP FRESCA E MOTHAIS SUR FEUILLE, DUE FORMAGGI CAPRINI A LATTE CRUDO CON UN’INTENSITÀ GUSTO-OLFATTIVA DAVVERO IDENTITARIA
Prosegue anche in questo numero la sfida sensoriale Italia-Francia, stavolta con:
• due formaggi caprini a crosta fiorita
• entrambi prodotti con latte crudo
• entrambi a pasta cruda.
Stessa categoria ma caratteristiche strutturali e sensoriali molto diverse analizzate da Antonio Lodedo giornalista con la passione per l’analisi sensoriale, Maestro Assaggiatore ONAF e Assaggiatore di oli EVO, Sommelier e Degustatore Ufficiale AIS.
VIVACITÀ VS MEDITAZIONE
La Robiola di Roccaverano DOP esprime le caratteristiche di un formaggio dalla fragranza identitaria, fresco e scattante con un attacco acido deciso sia al
naso che al palato. Dal punto di vista aromatico invece, l’olfatto è investito da un sentore predominante di lievito di birra, cui seguono, ma con intensità decisamente più contenute, sentori di yogurt, cagliata fresca, cuoio e carciofo. Defilato anche il sentore animale di latte di capra che però può essere un plus per i consumatori che non sono troppo orientati a questo di tipo di latte.
Per contro invece il Mothais è un formaggio accattivante che, per forma, colore, complessità e intensità gusto-olfattive potremmo definire emotivo, da meditazione. All’olfatto si può scoprire una successione infinita di sentori che aprono sulla nota tipica del latte di capra, ma evolvono verso sentori lattici di burro fuso, fungo champignon, frutta secca, nocciola, erba fermentata, ammoniaca e cavolfiore. La sua straordinaria complessità può essere apprezzata solamente attraverso una degustazione lenta e attenta, ma dal sorprendente finale.
DELICATA ELEGANZA VS GRASSEZZA
All’assaggio si notano subito differenze sostanziali tra i due formaggi: la Robiola di Roccaverano DOP al palato dimostra un deciso riequilibrio dei sentori percepiti al naso, con intensità più o meno uniformate, anche se la nota di cuoio e vegetale sembrano predominare, tuttavia sempre con delicata eleganza. Il Mothais sur Feuille invece rivela in bocca l’ottimo equilibrio tra le note dolci tipiche della grassezza di questo formaggio e la spinta di acidità che rilascia una prolungata salivazione anche dopo la deglutizione. Persistenza gustativa media per il primo, medioelevata per il secondo.
Prodotta dall’Azienda Agricola Stutz (Mombaldone, Asti) con latte caprino crudo da capre di razza Camosciata e Roccaverano, allevate in azienda. Maturazione: almeno 15 giorni
Forma cilindrica regolare. Facce concave irregolari. Scalzo convesso regolare. Crosta fiorita, buccia sottile, con impronta della stuoia, umida, liscia, morbida
Sottocrosta assente. Colore della pasta bianco uniforme. Occhiatura assente. Erborinatura assente. Struttura tenera, deformabile, compatta
Odori lattico: lattico acido, cagliata acida, yogurt | animale: stalla mandria, cuoio. Sapori dolce medio, acido medio, salato medio-basso, amaro basso, umami non percettibile. Aromi: animale: stalla, mandria, cuoio | Lattico: lattico acido, cagliata acida, yogurt | Lievito. Sensazioni trigeminali: assenti. Struttura asciutta media, adesiva media. Persistenza gustativa media
Formaggio francese prodotto dalla Fromagerie la Bonde de Gâtine a Verruyes, Francia, con latte caprino crudo.
Maturazione: almeno 30 giorni
Forma cilindrica irregolare. Facce piane irregolari. Scalzo obliquo irregolare. Crosta fiorita, buccia rugosa, canestrata, umida, morbida
Sottocrosta assente. Colore della pasta bianco uniforme carico. Occhiatura assente. Erborinatura assente. Struttura cremosa (parte vicino alla crosta), compatta, sabbiosa/ farinosa (parte centrale)
Odori animale: capra, lattico: lattico cotto, burro fuso | vegetale: erba fermentata, verdura lessa, cavolfiore, funghi, funghi freschi fruttato: frutta secca, nocciole. Sapori: acido medio-elevato, dolce medio, salato medio-basso, amaro mediobasso, umami non percettibile. Aromi: corrispondenza con gli odori. Sensazioni trigeminali: pungente, ammoniaca. Struttura umida media (parte esterna), deformabile media, gessosa medio-bassa (parte centrale), solubile media. Persistenza gustativa medio-elevata
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ABBINAMENTI DI STAGIONE
È CARATTERIZZATA DA UNA BUCCIA LEGGERMENTE VELLUTATA E DA UNA POLPA, BIANCA O GIALLA, GENERALMENTE DOLCE E FIBROSA: LA PESCA È LA PROTAGONISTA
CON TRE RICETTE ESTIVE DAVVERO GHIOTTE
Temperature costantemente sopra 25 gradi, giornate con più ore di luce rispetto a quelle di buio, occhiali da sole e birrette fresche. Potrebbe essere uno starter pack perfetto per una giornata in spiaggia oppure per una fantastica grigliata con gli amici, a voi la scelta.
Nel dubbio lucidate e spolverate vostri barbecue. Che siano a legna o a carbone, a gas o elettrici non ha importanza, tutti meritano almeno 5 mesi di grandi cotture.
Non dimentichiamoci, però, che l’arrivo della bella stagione offre moltissimi vegetali colorati in grado di arricchire le nostre pietanze e capaci di essere anche protagonisti delle cotture all’aperto, un esempio? La pesca
SELVAGGIOSALMONESOCKEYE
94056 · 600 g circa
Per il primo abbinamento abbiamo pensato a una ricetta gustosa e veloce, perfetta per le calde serate d’estate.
La dolcezza e la leggera acidità delle pesche grigliate e profumate con qualche fogliolina di basilico, contrasterà con il sentore affumicato dato dal Salmone Selvaggio Sockeye di Friultrota. La Stracciatella Artigiana infine, donerà maggiore rotondità al morso. Per un tocco in più, concludete il piatto con un giro di olio Evo al basilico.
Leggenda vuole che la scoperta dell’albero di pesco si debba alla curiosità di un pescatore che, trovato uno strano nocciolo nel ventre di un pesce decise di piantarlo vicino alla sua capanna. Nel tempo crebbe una pianta che in primavera si copriva di bellissimi fiori rosa. Il frutto prodotto venne poi chiamato “pesca”, in omaggio all’origine della sua scoperta.
In realtà questo frutto proviene dalla Cina, dove era coltivato sin dal 2000 a.C. e da qui successivamente venne esportato in Persia, da dove prese il nome che conosciamo tutti. Ora il frutto è ampiamente coltivato in buona parte delle zone temperate del nostro pianeta, anche se la Cina copre ancora la metà della produzione mondiale. La pesca è caratterizzata da una buccia leggermente vellutata e da una polpa, bianca o gialla, generalmente dolce e fibrosa. Ricca di potassio, questo frutto ha proprietà diuretiche stimola la diuresi, combatte la ritenzione idrica aiutando il lavoro di fegato e reni Infine contrasta gli effetti dell’ipertensione.
In questo piatto la pesca è in purezza. La sua dolcezza, il gusto amaricante e piccantino delle melanzane, e la sapidità del Quartirolo Lombardo DOP, daranno vita a un match molto equilibrato L’ingrediente che sposterà l’equilibrio, donando un tocco di colore, croccantezza e acidità, è senza dubbio lo scalogno in agrodolce.
A essere vincitrici saranno le vostre papille gustative!
Ecco un’idea per concludere la cena in poche mosse. Il crumble di cacao e nocciole, oltre a essere l’unico elemento croccante del piatto, creerà contrasto sia dal punto di vista aromatico, sia da quello visivo.
Le pesche grigliate saranno il nido di una quenelle di yogurt greco Olympus e love ricotta Mambelli, lavorati soltanto con un po’ di zucchero a velo. Concludiamo il piatto con un tocco di dolcezza data dallo sciroppo d’acero e qualche nocciola tostata.
" Se qualcuno trova la tua idea completamente folle o irrealizzabile, allora porta avanti quell'idea, perché penso che sia proprio questo tipo di idea/progetto che ci galvanizza di più!"
Alexandre Renault
Co-fondatore di COW
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STORIE DI FROMAGER
COW - ACRONIMO DI CHEESE OF THE WORLD - È UN VERO MELTING POT
DEL GUSTO CON UNA GAMMA INTERNAZIONALE DI FORMAGGI DAVVERO AMPIA.
L'INTERVISTA AL FROMAGER E CO-FOUNDER ALEXANDRE RENAULT
Entrare in questo negozio significa imbarcarsi in un viaggio che vi farà scoprire i sapori più deliziosi del mondo dei formaggi.
Alexandre Renault e Antoine Farge hanno aperto COW al 30 boulevard Saint Germain a Parigi nel 2019. La loro idea è quella di far viaggiare attraverso ricordi e di suscitare la curiosità delle persone che decidono di entrare nella loro fromagerie.
Alexandre ci racconti in breve la tua formazione e l'apertura della fromagerie?
Formazione in scuola di commercio. È a Londra che ho iniziato nel mondo dei formaggi, presso Androuet, che all'epoca era un ristorante, enoteca e fromagerie. Successivamente, mi trasferisco a Parigi per formarmi al CIFCA, grazie ad Androuet, poi presso la Fromagerie Beaufils come responsabile del negozio, prima di aprire nel settembre 2019 COW. Ora sono docente al CIFCA, scuola in cui mi sono formato.
Quali sono i punti di forza del negozio?
Il concetto gira intorno ai formaggi del mondo: il 50% della gamma è francese, il resto è composto da formaggi stranieri e da una gamma di prodotti fatti in casa, due tipi di formaggi freschi e nostri yogurt. Due punti di forza? Un approvvigionamento internazionale e una gamma di prodotti locali prodotti nel nostro laboratorio.
Qual è la tua visione sul mondo del formaggio?
L'obiettivo è costruire una squadra di specialisti del formaggio, appassionati, preparati sulle tecniche di produzione, sull'affinamento e sulla vendita, con un approccio di formazione "fromager" continua.
Quali consigli daresti a un giovane collega fromager?
Di ispirarsi a ciò che fanno gli altri professionisti del settore, ma soprattutto di credere nelle proprie idee e di concedersi il diritto di sognare.
Se qualcuno trova la tua idea completamente folle o irrealizzabile, allora porta avanti quell'idea, perché penso che sia proprio questo tipo di idea/progetto che ci galvanizza di più!
Abbiamo chiesto ad Alexandre anche come scegliere e gestire una feta di qualità a banco Ma prima un piccolo approfondimento.
Nonostante la Grecia sia una nazione prolifica di creazioni e storie casearie, sappiamo benissimo che non la regina, ma l’imperatrice incontestata è solo una: la Feta
Come sempre, cerchiamo di non restare sulla superficie, quindi di andare un po’ più in profondità dell’argomento. Nel mercato della Feta le regole di differenziazione cambiano un po’ rispetto a quelle cui siamo soliti. Più raramente si sente parlare di stagionatura oppure di trattamento termico del latte. Questo perché il sistema produttivo di questa DOP si basa su altri “concetti” che ne definiscono la qualità. Innanzitutto la cultura produttiva greca tiene ben distinto il produttore del latte dal produttore del formaggio, un po’ come il concetto nostro di cooperativa. Quindi già qui parlare di filiera chiusa come valore aggiunto trova meno fondamento. Papathanasiou, il nostro produttore greco di Agrinio, ha molto a cuore il rapporto con i suoi pastori, cercando di puntare sempre al benessere della comunità piuttosto che unicamente al “business” .
A livello di tecnica nella DOP della Feta c’è un po’ di margine decisionale per quanto riguarda il rapporto del latte di pecora e quello di capra, con la condizione di base che il latte di pecora deve essere sempre almeno il 70% del totale. Papathanasiou produce la sua Feta con 90% di latte di pecora e 10% di latte caprino
Allora in base a cosa scegliamo la nostra Feta? Beh, sicuramente un punto di distinzione può essere il luogo d’affinamento. La Feta viene stagionata in salamoia in locali a umidità molto elevata. Papathanasiou affina due selezioni in locali al 100% di umidità in “contenitori” diversi che fanno evolvere in maniera ben distinta il formaggio, in particolare oggi parliamo della versione in barrique di faggio. La stagionatura ha un minimo di 3-4 mesi. Il legno, rispetto alla plastica o al cemento, è un elemento organico, che respira e quindi permette al formaggio un rapporto di osmosi con l’ambiente esterno.
Per questo già al primo boccone una Feta stagionata in botte ha tutta un'altra complessità, evoluzione in termini di gusto e consistenza.
CONSIGLI DEL FROMAGER
• Perfetta per l'estate: consistenza, finezza e note lattiche rendono omaggio a questo formaggio, tanto consumato in estate, come la sua controparte italiana, la mozzarella; un'altra texture per variare il piacere
• Gestione e conservazione al banco: noi conserviamo la Feta nella sua salamoia (acqua + sale) già tagliata grossolanamente nella vaschetta
• Consigli per il taglio e la vendita: per facilitare il servizio utilizziamo le pinze per raccogliere i pezzi in salamoia durante il servizio e/o lira per tagliare altri pezzi se necessario
La Feta è, ahimè, uno dei formaggi più violentati dai social. Ricette assurde con cotture assurde e risultati quantomeno discutibili. Diciamo che da queste dubbie esperienze social ci portiamo a casa due nozioni: la Feta è facile da usare ed è facile da abbinare. Classica insalata, torte salate oppure in forno. Io vi vorrei lasciare qualche ricetta insolita, per accendere la scintilla estiva:
• Feta Dip: pochi ingredienti nel mixer per una salsa da panino/tagliere/intingolo come si deve, da proporre anche al banco in bottega come abbinamento. Feta, aglio, zeste di limone, basilico e olio Evo
• Feta cous: cous cous con Feta, porri saltati e cocomero a cubetti. Per unire il tutto provare a versare dell’olio di semi bollente in una cocotte con aglio tritato, peperoncino e origano
Prodotta nella Regione
al
e 10% capra, entrambi pastorizzati. Viene affinata in botte di legno di faggio per almeno 3-4 mesi
cod 42097 in vaschetta da 900 g cod 42099 · in fette da 190 g
Volete approfondire i trucchi del mestiere? Inquadrando due QR Code troverete due articoli, con tutorial fotografico, sul taglio al coltello e disosso del crudo:
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IN-FORMAZIONE
DOV’ERAVATE DUE ANNI FA? UN BUON PROSCIUTTO CRUDO DIPENDE MOLTO DAI
PRIMI PROCESSI DI LAVORAZIONE, DOPO BISOGNA SOLO AVERE PAZIENZA
e sotta anchetta
Il salume italiano per eccellenza è forse quello più difficile da scegliere, come fare quando si presentano tutti con una materia prima di alta qualità? Il consumatore si basa, quasi sempre, sulla stagionatura del prosciutto, parametro a cui affiancarne altri per poter scegliere.
La pezzatura di ogni coscia ci fa immaginare fin da subito che prosciutto si potrebbe ottenere lavorandola al meglio, più pesante è la coscia, più lunga potrà essere la sua stagionatura.
Una coscia sottile tenderà infatti ad asciugarsi più velocemente col rischio di risultare secca.
La quantità di sale utilizzato e il metodo di salatura: questa può avvenire tramite sale saturo o sale umido. Nella prima tipologia la coscia viene completamente ricoperta di sale, in stile spagnolo, ottenendo un prosciutto dal sapore più intenso. Mentre il secondo permette d’effettuare una salatura più mirata e ottenere un prosciutto più dolce e delicato nel gusto, come ad esempio prosciutti di Casa Graziano.
Anche la cotenna ha un ruolo fondamentale, la parte scotennata di un prosciutto va ad incidere nella velocità di “evaporazione” del prosciutto. Ad esempio, un prosciutto Norcia IGP, avendo un’elevata superficie magra, avrà un processo di asciugatura più rapido. A differenza di un Parma DOP dove la superficie scotennata è minore, e di conseguenza il processo di asciugatura avviene più lentamente.
Infine con osso o disossato? La presenza dell’osso rende il prosciutto sempre molto scenografico, perfetto se si fa un taglio a coltello, ma la comodità di gestione di un disossato è indiscutibile. Scegliendo un disossato avremo una fetta più rotonda, nella sua forma anatomica originale, ma occhio ad
avere un’affettatrice sufficientemente grande! Mentre con un prosciutto disossato pressato la gestione sarà ancora più semplice e otterremo una fetta più allungata e stretta.
PROSCIUTTO DI PARMA DOP 30LODE
Sapore: qui troviamo la dolcezza che contraddistingue tutti prosciutti di Casa Graziano, il giusto equilibrio fra grasso e magro lo rendono delicato, molto profumato e con leggere note di tostato sul finale. Produzione: la salatura viene effettuata a mano e, quando le giornate lo permettono, prosciutti prendono l’aria delle colline di Parma per ottenere profumi maturi. Curiosità la famiglia Casa stagiona questi prosciutti in una cantina di famiglia seminterrata con pareti di sassi a vista e scalere in legno.
PROSCIUTTO SAN DANIELE DOP ZUANON
Sapore: dolce con note sapide bilanciate, una buona complessità aromatica e solubilità al palato. Produzione: Zuanon è un affinatore, predilige cosce pesanti così da poter portare prosciutti a una stagionatura di almeno 24 mesi, più difficile da trovare in un San Daniele. Curiosità: Zuanon seleziona solo cosce pesanti.
PROSCIUTTO DI SAURIS IGP
Sapore: lievemente sapido al palato e con una piacevole nota di affumicato. Produzione: il Salumificio Zahre lavora cosce di grande pezzatura e con un tenore di grasso elevato. Curiosità: l’affumicatura con legno di faggio dura circa 3 giorni e avviene nella prima parte della stagionatura. Diversamente dal prosciutto di montagna che viene affumicato a stagionatura ultimata.
PROSCIUTTO CUOR DI CASA con osso 79166 addobbo 79168
PROSCIUTTO PARMA DOP 30LODE
CASA GRAZIANO con osso 79158 addobbo 79159
PROSCIUTTO SAN DANIELE DOP ZUANON con osso 79222 addobbo 79223
PROSCIUTTO PARMA DOP CASA GRAZIANO con osso 79163 addobbo 79164
PROSCIUTTO DI SAURIS IGP con osso 79150 addobbo 79152A
PROSCIUTTO DI NORCIA IGP con osso 79200 addobbo 79201
Top di gamma di Casa Graziano
Casa Graziano Capoponte (PR) Minimo 30 mesi
Casa Graziano
Capoponte (PR)
AffinatoreProsciutto Point Service di Zuanon
Leone & C.
Carpacco di Dignano (UD)
Stagionatura in cantine a 700 m di altitudine
c/o 10,5 kg s/o addobbo 8,5 kg c/o 10,50 kg s/o addobbo 8,5 kg
Casa Graziano
Capoponte (PR)
Stagionatura in cantina dai 6 agli 8 mesi
Salumificio Zahre
Sauris (UD)
Basso contenuto di sale
c/o 11,50 kg (con zampino) s/o addobbo 8,9 kg c/o 10,50 kg s/o addobbo
Affumicato con legno di faggio
Poggio San Giorgio Norcia (PG)
Concia con aglio e pepe
c/o 9 kg s/o addobbo 7,50 kg Minimo 16 mesi
di Storia e Cultura del Cibo all’Università degli Studi di Padova
Prodotti da Pasta di Liguria con semola di grano duro biologico italiano. Cottura: 9 minuti
cod 98440 · 500 g x 6 confezioni
4 minuti di lettura
STORIA O LEGGENDA ?
GLI SPAGHETTI COL POMODORO SONO UNO DEI PIATTI ICONICI DELLA CULTURA
ITALIANA, MA SE CI GUARDIAMO ALLE SPALLE E NE STUDIAMO L’ORIGINE LA
QUESTIONE SI FA COMPLESSA. IL PROF. GASPARINI CI RACCONTA COME SI SONO
INCONTRATI QUESTI DUE INGREDIENTI E COME SONO ARRIVATI IN ITALIA
Se c’è un piatto che identifica in modo esemplare la cucina italiana, ma anche gli italiani come stereotipo, sono senz’altro gli spaghetti col pomodoro: «Italiani mangia maccheroni». Cliccate pure su Google e vedete le occorrenze! E quando ragioniamo di identità, di tradizione, di origini, di radici, il discorso si fa complesso, lo abbiamo detto. In qualsiasi punto della linea cronologica, le identità sono un punto di arrivo e quindi non sono fisse immutabili rispetto al futuro. Non vanno congelate, codificate, musealizzate.
TRA REALTÀ E LEGGENDE
Gli spaghetti al pomodoro sono un esempio calzante quanto mai. Ogni ricetta ha a che fare con il tempo perché una delle domande più gettonate è quando e chi ha “inventato” quel piatto. Stabilire un’origine appaga, dà sicurezza, serve alla narrazione, attribuisce valore… da sempre!
Allora cominciamo con Marco Polo di cui si celebrano quest’anno 700 anni dalla morte. La fake news, perché di questo si tratta, recita che Marco Polo sul finire del secolo XIII, di ritorno dalla Cina, avrebbe fatto conoscere in Italia la pasta. Non c’è traccia nel «Milione», il suo diario, dove invece si parla della farina di sago (un amido estratto da una specie di palma) che gli abitanti di Sumatra utilizzavano per fare “lasagne e altri tipi di pasta”. L’equivoco nasce a metà ‘500 quando Giovanni Battista Ramusio pubblica le memorie del viaggio di Marco Polo e manipola il testo: il sago diventa genericamente una pasta. Il mito cresce e arriva sparato al 1929 quando un giornalista
americano sul «Macaroni Journal» attribuisce la scoperta a uno dei marinai di Marco Polo, il veneziano Spaghetti, che, sceso dalla nave alla ricerca di acqua, si imbatte in una contadina che sta mescolando in una ciotola un impasto semiliquido che si solidifica grazie al clima caldo e asciutto del Catay. Secondo questa leggenda il marinaio si fa dare un po’ di quella pasta, delle stringhe che si erano agglutinate, e torna tutto contento alla nave. Arrivato qui maneggia e tira l’impasto traendone dei lunghi cordoncini ed ecco, sono nati gli spaghetti, che dal loro inventore prenderanno il nome. Ora bisognerà cuocerli, e la scelta sarà di bollirli nell’acqua salata del mare. Tornato a Venezia gli «spaghetti» verranno diffusi: sarà un trionfo. Una balla giornalistica!
In realtà, venendo alla storia della pasta, due sono le reali tradizioni: quella cinese, fatta di grano tenero e preparata per uso domestico, l’altra di origine mediorientale, che transiterà dal Medio Oriente, attraverso la civiltà mesopotamica ed egizia. In quest’area la pasta nasce come variante del pane: la stessa pasta, stesa sottile col mattarello, tagliata a strisce o a fili e poi essiccata. Questa cultura sbarca in Sicilia e innesca una vera e propria industria con mercati di esportazione fino a Genova. Sono coinvolti anche mercanti ebrei, tanto che ancora in pieno Medioevo la pasta era definita «cibo dei giudei». Ma la prova provata della presenza della pasta secca in Sicilia ce la dà il geografo e viaggiatore di origine magrebina al-Idrisi: a
metà del secolo XII narra nel suo libro che a Trabia, località vicino a Palermo, si fabbrica tanta pasta – itriyya – che se ne esporta in tutto l’Occidente, ad Amalfi, a Pisa, su su fino a Genova e da lì verso nord. Venezia stessa importa pasta dalla Puglia e ne esporta. E per secoli quelli che noi conosciamo come spaghetti saranno chiamati maccheroni che a Napoli, a partire dal Settecento, diventeranno cibo di strada, come la pizza. napoletani da «mangiafoglie» diventeranno «mangia maccheroni» essendo crollato il loro prezzo grazie all’invenzione della gramola meccanica e al torchio che pressava la pasta dentro a una trafila metallica per ottenere le forme volute. Quanto al nome, ad Ancona si chiameranno tria, vermicelli in Toscana, orati a Bologna, minutelli a Venezia, fermentini a Reggio, pinciarelle a Mantova.
Ultimo capitolo di questa storia complessa: il Nord conoscerà la pasta secca e gli spaghetti a partire dal secondo dopoguerra con la forte emigrazione dal Sud verso il triangolo industriale: si parla infatti di meridionalizzazione della cucina del Nord, patria della pasta fresca, in diverse forme. Un’ultima annotazione. Al dente? Ora sì! Il grande cuoco Maestro Martino, secolo XIV, nella sua ricetta dedicata ai maccheroni, scrive testualmente: «Questi tali macharoni vogliano bollire per ispatio di due hore»! E così anche altri ricettari. Via via nei secoli il tempo di cottura si riduce perché cambia il gusto e ciò avviene a partire dall’Ottocento quando i maccheroni non sono più solo un piatto di contorno ma un piatto a sé per cui, come scrive Pellegrino Artusi, vanno cotti con molta acqua senza cuocerli troppo così masticandoli si digeriscono meglio.
IL POMODORO E LA SUA SALSA
E veniamo all’altro ingrediente: il pomodoro. Sappiamo che fa parte del “pacchetto” colombiano assieme a patata, mais, cioccolato, tacchino e tanto altro. Originario delle coste occidentali del Sud America, dove cresce ancora allo stato selvatico, il pomodoro incontrò una straordinaria fortuna presso Maya e gli Aztechi. Gli spagnoli di Hermàn Cortez lo ritrovano in Messico tra il 1519 e il 1521 e passando dalla Spagna arrivò in Italia
Faticosa la sua accettazione e per almeno due secoli, come la patata, rimase uno straniero senza permesso di soggiorno. Quali pregiudizi? Il colore, intanto, ma soprattutto il suo essere troppo pieno di acqua, marcescibile e dal gusto acido. Difficile da classificare anche per i botanici, che comunque lo descrivono nei loro erbari, e intrigante per i cuochi che erano abituati a condire la pasta con il formaggio, con il lardo e per pochi con l’olio: per secoli la pasta fu rigorosamente bianca. Lo attesta anche Goethe nel 1787 quando arriva a Napoli.
Le prime ricette li impiegano come le melanzane: affettati e cotti in padella con sale e pepe nero. D’altronde entrambi appartengono alla famiglia delle «solanacee». Poi sono diversi nomi con cui vengono identificati: pomi del Perù, tomati (nome originario che si conserva anche in Italia, a Bergamo per esempio chiamati tomate), pomo d’oro, pomme d’amour. Ma rimase comunque per secoli una curiosità botanica, degna dei giardini botanici.
La riduzione del pomodoro a salsa, già nota nel paese di origine, arriva in Spagna e transita in Italia sul finire del ‘600 una
salsa che aggiunge colore ai piatti, al bollito soprattutto. Era cambiato anche il giudizio dei medici nei confronti del pomodoro non visto più con sospetto… anzi.
Ma non ha ancora incontrato gli spaghetti.
Arriverà sulla pasta tramite il ragù, condimento ricco e non certo popolare visto lo scarso consumo di carne. Bisognerà aspettare il ricettario di Ippolito Cavalcanti, «Cucina teorico pratica» (1839), per celebrare il matrimonio tra maccheroni e salsa di pomodoro, anche se il condimento principe sarà ancora il formaggio. Sarà poi Pellegrino Artusi ne «La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene» (1891) a diffondere in Italia la consuetudine “meridionale” di condire la pasta con la salsa di pomodoro
Solo nel Novecento le parti si invertono: non sarà la salsa a essere aggiunta alla pasta col formaggio ma sarà il formaggio che verrà aggiunto alla pasta col pomodoro. È fatta!
Qual è la lezione che ci consegna questa storia? L’identità legata a un piatto – gli spaghetti col pomodoro – non corrisponde alle radici dei prodotti… spesso le radici sono gli altri con cui da secoli ci incontriamo, ci scambiamo
Una bella lezione di civiltà!
e consulente
REGINA DI SAN DANIELE
Trota di varietà Iridea allevata e lavorata da Friultrota. Delicatamente affumicata a freddo, svela un sapore dolce e molto elegante.
baffa intera · 94090 · 1 kg ca baffa preaffettata 94091 · 1 kg ca in busta a fette · 94095 · 100 g in tartare · 94109 100 g
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A CONTI FATTI
UN RAGIONAMENTO SULLE BASI PER CICCHETTI IN TERMINI DI FOOD COST E
FACILITÀ DI GESTIONE, CON TRE PROPOSTE IDEATE CON UN PRODOTTO CHE SI
SPOSA ALLA PERFEZIONE CON SAPORI ESTIVI: LA REGINA DI SAN DANIELE
FOOD COST E APERITIVO: LE BASI
Se il food cost per un cicchetto deve oscillare tra € 1 e € 1,50 ecco che diventa utile aprire un ragionamento su come creare questo cicchetto, partendo dalle basi.
A Venezia il cicchetto è servito sulla classica fetta di pane, e questa è sicuramente una soluzione, ma non l'unica: il pane infatti deve essere fresco, con il rischio di sbagliare gli approvvigionamenti e dover gestire le mancanze o gli eccessi. Ecco quindi che diventa interessante scegliere anche delle basi che possano essere sempre disponibili e che consentano di avere una resa alta e un costo contenuto.
Una su tutte la polenta: con meno di € 1 possiamo ottenere una placca di polenta da abbattere così da averla sempre a disposizione per essere tagliata a fette o con un coppa pasta. Se avete a disposizione degli stampi di silicone ancora meglio: lo scarto sarà nullo. Altro vantaggio della polenta è la possibilità di offrire una proposta sostanziosa, ma gluten free.
Restando nel mondo del senza glutine non sono da dimenticare le gallette di mais facilmente conservabili per loro natura e attraenti perché consentono di creare interessanti giochi di consistenze. E se nella gestione se ne rompe o sbriciola qualcuna, può sempre essere usata per fare una panatura croccante!
Ma se avete una clientela affezionata alla base pane, delle valide alternative alla classica fetta di pane fresco sono le focacce in ATM di Follador che richiedono solo una rigenerazione veloce in forno, oppure delle soluzioni secche come le friselle
Trota di varietà Iridea allevata da Friultrota nelle risorgive del Friuli, in ambienti naturali a basso affollamento, nel rispetto dei tempi naturali di crescita, spinata a mano e delicatamente affumicata a freddo. Il risultato è un baffa con carni di colore rosso arancio, compatte, sode e particolarmente magre. Il sapore è elegante, dolce, con note di fumo, ideale per assecondare la ricerca di freschezza nei cicchetti estivi da proporre da ora in avanti.
Se avete poco spazio o poca familiarità nel taglio della trota, sono ideali le soluzioni già affettate o in tartare Se invece avete la manualità e un flusso di clientela che vi permette di gestire con facilità un baffa intera, ricordate di affettare solo il filetto centrale, anche in fette non troppo sottili, a seconda della ricetta. Il ventre e la parte della coda usatele invece per fare una tartare che potrete anche disporre in monoporzioni su degli stampi in silicone da abbattere, così da averli sempre a disposizione.
CICCHETTI: LE PROPOSTE DI PAOLO
Tra gli abbinamenti estivi con la trota immancabili le verdure, fresche o in conserva, anche sotto forma di patè o pesto, burrata, formaggi con una leggera nota acidula, un humus di ceci rinfrescato da una nota di limone o arricchito con del basilico. Qui a lato ecco le tre proposte di Paolo Cappuccio una con base focaccia e due con base polenta che lasciano intendere l'alto potenziale di questo ingrediente!
Scaloppare a fette sottili la parte di filetto della baffa e usarla per avvolgere un asparago bianco lessato. Tostare degli spicchi di focaccia Rustica e disporre sopra dei ciuffi di crème fraîche su cui adagiare l'involtino di Regina e asparago. Completare con qualche guarnizione. Food cost per porzione: € 1,02
Usare la coda e il ventre della trota per ottenere una tartate da lavorare con poca crème fraîche così da legare tra loro cubetti di tartare. Mediante l'aiuto di un coppapasta disporre la tartare su un medaglione di polenta Biancoperla e finire con del patè di olive nere per dare un tocco di sapidità e cromaticità, e un ciuffo di crème fraîche. Food cost per porzione: € 0,97
Tagliare il filetto della trota in fette spesse circa 3 mm. Tagliare delle fette di polenta gialla che abbiano uno spessore simile. Comporre la millefoglie alternando polenta, un filo di crème fraîche e la trota. Guarnire con un tocco di patè di olive, ravanelli e germogli. Food cost per porzione: € 0,96
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IL PRODOTTO DIMENTICATO
NEL BORGO DI CETARA, INCASTONATO LUNGO LA COSTIERA AMALFITANA, SI
NASCONDE UN TESORO CULINARIO: LA COLATURA DI ALICI DI CETARA.
UN PRODOTTO PREZIOSO OTTENUTO CON UN MODESTO PESCE AZZURRO E
CHE HA ALLE SPALLE UNA LUNGA STORIA DI ARTIGIANALITÀ E TRADIZIONE
Parliamo di alici, ma non alici qualsiasi, bensì quelle del Golfo di Salerno, pescate tra Capri e Punta Licosa queste alici nuotano controcorrente, un esercizio che le rende magre, quasi senza grassi e dalla pezzatura piuttosto piccola. Le più grandi sano destinate alle preparazioni tradizionali, come le alici sotto sale, mentre le altre, dopo mesi di maturazione, diventano la prelibata Colatura di alici di Cetara
ACQUAPAZZA GOURMET
La lavorazione della colatura è un'arte antica, un rituale che si tramanda di padre in figlio e che Acquapazza Gourmet, una piccola realtà artigianale, continua a proteggere e valorizzare. Per farvi capire meglio il valore di questo lavoro vi riporto qui una frase di Imma di Acquapazza che mi ha particolarmente colpito: "Per produrre 100 litri di colatura abbiamo bisogno di 25 botti, due anni e tante preghiere!". Proprio per questa forte passione Valsana ha scelto da sempre di lavorare con Imma, Gennaro Marciante e Gennaro Castiello: andateli a trovare in centro a Cetara, oltre a un’esperienza unica nel suo genere per bellezza, identità e gastro-cultura potrete godervi un ottimo pranzo nel loro ristorante vista golfo.
E mentre gli artigiani di Cetara dedicano anni alla produzione di pochi litri di colatura, l'industria produce una "colatura" mediante la frullatura di 5 kg di alici salate (molto probabilmente non del golfo di Salerno) messe in infusione in 100 litri di salamoia satura al 25%. Tale infuso dopo pochi giorni viene filtrato più volte e imbottigliato, pronto per lo scaffale. Ma si può davvero replicare l'anima della Colatura di Alici di Cetara con un infuso di sale e alici? Lascio a voi provare la Colatura di Alici di Acquapazza per dare una risposta.
Colatura ottenuta da alici pescate nel golfo di Salerno, messe sotto sale e lasciate maturare per circa 18 mesi: il risultato è un liquido sapido, equilibrato, umami cod 94000 · 50 ml boccetta con contagocce cod 94001 · 100 ml boccetta con contagocce cod 94002 · 250 ml bottiglia
La pesca delle alici di Cetara è un'arte antica, un balletto tra uomo e mare che si svolge nelle ore più cupe della notte. pescatori usano ciancioli (reti da circuizione) e la lampara (lampada), una tecnica tradizionale che richiede pazienza e maestria. La lampara, unica fonte di luce, attira le alici in superficie e pescatori le circondano con le reti, portando a bordo il prezioso carico. La pesca avviene in primavera, quando le alici sono gravide e quindi più grosse.
LA PULIZIA
Le alici vengono decapitate ed eviscerate, perdendo 1/3 del loro peso: un chilo di prodotto pulito equivale a 80/90 alici
LE BOTTI DI CASTAGNO
Le alici sono poste sotto sale in botti da 50 kg, coperte e pressate con un peso: ogni botte contiene circa 50 kg di alici intere
Tipicamente usata nella preparazione degli spaghetti alla colatura di alici; provatela al posto del sale sui pomodorini confit per aromatizzare del burro, per insaporire una marinatura o delle patate lesse
Noi abbiamo marinato dei gamberi con olio evo, colatura e semi di sesamo per arricchire un risotto con il riso Carnaroli di Cascina Oschiena.
LA FERMENTAZIONE
Il sale, in proporzione di circa 1:2 rispetto alle alici, attiva un processo fermentativo che porta alla dissoluzione delle alici
L'ATTESA
La fermentazione si completa tra i 18 e i 24 mesi, durante i quali le alici perdono un ulteriore 25% del loro peso
LA SPILLATURA
All'apertura della botte si spilla la colatura: da 50 kg di alici intere, ossia una botte, si ottengono dai 3,5 ai 5 litri di colatura!
Giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com
BERLINO: UN VIAGGIO
CULINARIO INTORNO AL MONDO
Capitale, città multiculturale e cosmopolita, la più popolata della Germania. Berlino (foto 1) offre un panorama gastronomico che riflette la sua ricca diversità, specie in alcuni quartieri.
Un tempo separata in due dal celebre Muro, oggi Berlino è un simbolo di unità e rinascita, dove storia, cultura e modernità s’intrecciano. Berlino sta alla Germania, come New York sta agli Stati Uniti, per la sua vivacità ed estro creativo. Come nella Grande Mela, a Berlino si possono provare ristoranti e locali per tutti i gusti e budget, spaziando dalla cucina tedesca a quelle orientali, specie nei quartieri di Kreutzberg e di Mitte.
Sembrerà strano ma l’icona della cucina berlinese può essere rappresentata dallo storico chiosco Konnopke’s Imbiss di Schönhauser Allee 44B (konnopke-imbiss. de). Fondato nel 1930 da Max Konnopke, questo modesto street food corner di Berlino Est è diventato un’istituzione culinaria della città, attirando ogni giorno turisti e locali per il suo famoso currywurst servito con una ricetta segreta di ketchup al curry foto 2)
Se però preferite fare un viaggio nel tempo lo Zur alten Instance di Waisenstraße 14–16 (zurletzteninstanz.com), il più antico ristorante della città, vi trasporta nel 1621 per le ambientazioni ma anche con i suoi piatti, tra cui il celebre stinco di maiale e i suoi sostanziosi stufati (foto 4) Nel corso del tempo ha ospitato Jack Nicholson, Jacques Chirac, Henny Porten e Charly Chaplin, solo per citare qualche celebrity.
Zur Haxe in Erich-Weinert-Str. 128 (zurhaxe-berlin.de) è un altro locale caratteristico, decisamente rustico, specializzato nella cucina tradizionale tedesca, ma d’impronta bavarese. La loro specialità è l’haxe, uno stinco di maiale, cotto lentamente e servito con crauti e patate croccanti.
KREUZBERG, UN ANGOLO DI TURCHIA
NEL CUORE DI BERLINO
Situato nel distretto di Friedrichshain, il quartiere alternativo di Kreuzberg offre un’esperienza culinaria unica in Europa, per gli amanti della autentica cucina turcoottomana. Immergetevi nell’atmosfera di un ocakbasi, il classico BBQ turco. Il migliore è l’Adana Grill House in Manteuffelstr. 86 (adanagrillhaus.de) con la sua selezione di spiedi grigliati su carbonella, serviti insieme ai classici antipasti mezé. Ordinate Adana o Beyti kebap, costolette di agnello Kuzu kaburga da gustare sorseggiando Raki (foto 3)
Per un döner kebap da sogno, tralasciate la catena Imren, che ha perso di qualità nel tempo e puntate sui piccoli artigiani come Tekbir Döner di Skalitzer Straße 23, vi ricrederete sullo “spiedone rotante” se siete rimasti delusi da quelli industriali serviti in Italia. Tra le curiosità, da Gokoreç in Kottbusser Damm 98 (profilo Instagram @g_okorec_berlin) trovare sandwich kokoreç d’interiora d’agnello, parenti stretti dei gnummarieddhri pugliesi e il Čagkebabi, l’arrosto orizzontale d’agnello di Erzurum, cotto a legna.
Non perdetevi l’avanguardia berlinese del Markthalle Neun, il mercato food court di Eisenbahnstraße 42-43 (markthalleneun. de) che unisce agricoltori, produttori e ristoranti ispirati dalla filosofia “Dal campo alla tavola” foto 5)
A MITTE TRA ASIA E BERLINO
Un tempo cuore pulsante della Prussia e capitale della Germania Est, oggi vivace quartiere al cospetto della Porta di Brandeburgo, Mitte è diventato un distretto gastronomico apprezzato per suoi locali di cucina asiatica e fusion, per lo street food e il fine dining.
Una delle specialità di Mitte sono
sandwich vietnamiti Banh mi, ovvero tranci di baguettes francesi farcite di paté, insaccati orientali, salse, carote e coriandolo. Due indirizzi dove gustare i migliori: Banh Mi Stable in Alte Schönhauser Str. 50, (profilo Facebook @ banhmistable) un localino semplice ma sempre affollato, e Saveur de Banh Mi di Veteranenstraße 13 (saveur-banhmi.com) una piccola paninoteca vietnamita che ne serve svariate versioni, da assaggiare sorseggiando una birra Tiger o un caffè vietnamita.
Se al posto di un cibo “fast good“ preferite mettere le gambe sotto il tavolo, rimanendo in Asia, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Zenkichi Berlin ha aperto nel quartiere Mitte, in Johannisstraße 20 (zenkichi.de), mantenendo la stessa qualità del suo omonimo di New York. Si tratta di una brasserie-izakaya e saké house molto chic, che propone una cucina giapponese Omakase, unica in città foto 6)
Se amate cibi piccanti, appena fuori Gendermenmarkt, il Liu Chengdu Weidao in Kronenstraße 72 (chengduweidao.de) propone l’autentica cucina cinese del Sichuan: noodles zajiang, spiedini chuan chuan xiang, cotti nell’hot pot e ravioli Chengdu style.
Il Mibap in Torstraße 22 (mibap.berlin) è un altro ristorante di cucina cinese, ma taiwanese e creativa. Provate i loro dumpling sandwich bao, i beef noodles, il taiwanese hot pot e l’autentico bubble tea con waffle.
Per chiudere in bellezza il vostro viaggio nell’Asia berlinese, mettete in conto di trascorrere un paio d’ore del vostro week end per un’esperienza unica in Europa, visitando il Thai Park (thaipark.de), un’area interamente dedicata allo street food tailandese. Il Thai Park ha dovuto abbandonare la sua sede originaria di Preußenpark nel quartiere periferico di Wilmersdorf; nell’attesa di una sede definitiva seguite suoi eventi spot, che spesso si tengono nell’oasi dei pic nic berlinesi nel Park am Gleisdreieck, che in chiusura del cerchio in bellezza, vi riporterà a Kreuzberg!
PROSCIUTTO COTTO AFFUMICATO ALLE ERBE
Prosciutto cotto aromatizzato con erbe e leggermente affumicato, prodotto da Karl Bernardi 81070 intero da 3 kg · 81071 a metà
FUNGHI PRATAIOLI TRIFOLATI
Funghi prataioli coltivati in fungaia, raccolti, lavorati ancora freschi e conservati in olio di girasole
cod 96212
280 g x 6 vasi
5 minuti di lettura
SANDWICH E DINTORNI
“FELICITÀ / È UN BICCHIERE DI VINO / CON UN TRAMEZZINO LA FELICITÀ…”:
DA TORINO A VENEZIA SI GUSTA L’INTUIZIONE DI D’ANNUNZIO
È vero, Albano e Romina Power nella canzone avevano inserito “panino” e, rispettando la rima, tramezzino ci sta benissimo. Che sarebbe la traduzione di sandwich. Quindi, tutti attenti, che il viaggio gastronomico da percorrere sarà molto articolato e parte dalla penna fatata di quel golosone di D’Annunzio.
IN PRINCIPIO FU IL SANDWICH
Sembra sia stato Lord Sandwich a metà del Settecento a inventare un modo molto semplice di nutrirsi tra una partita di caccia, un impegno istituzionale e un tea time due fette di pane morbido con in mezzo quello che il cuoco aveva a disposizione. Un piatto che ben presto uscì dai confini della Gran Bretagna e conquistò i cestini della merenda di mezzo mondo.
Ma fu in Italia che il sandwich divenne tramezzino, con una declinazione gastronomica davvero articolata, a partire dal nome. Fu infatti Gabriele d’Annunzio che, in piena autarchia lessicale, tradusse il termine “tramesso”, ovvero una portata il più delle volte dolce, che veniva servita dopo gli arrosti e prima del pesce. E da tramesso a tramezzino il passo fu breve.
A differenza del sandwich, il pane morbido utilizzato per il tramezzino, un pane a cassetta (dal nome dello stampo in cui viene cotto) viene privato della crosta e vede il suo primo servizio a Torino, grazie all’intuizione di due coniugi, Angela Demichelis e Onorino Nebiolo, che replicano nel loro Caffè Mulassano quanto assaggiato durante un viaggio negli Stati Uniti. Un successone incredibile che spopola anche nei pranzi freddi della borghesia italiana, tra canapè e tartellette, tanto che nel 1936 la rivista ‘La Cucina Italiana’ pubblica un articolo sulle origini e ne suggerisce diverse ricette.
Poteva Venezia essere da meno? Certo che no! Il tramezzino diventa triangolare, particolarmente farcito soprattutto al centro e
vede nella maionese un ingrediente sempre presente, fondamentale per mantenere umido il pancarrè, che negli ultimi anni è diventato un po’ più spesso: un vero e proprio sostituto del pasto.
STREET FOOD ELEGANTE E COLTO
Il tramezzino può essere decisamente considerato un protagonista elegante dello street food, ed è decisamente geniale perché non prevede cottura e ha mille modi per essere farcito in quanto non esiste la ricetta “sovrana” del tramezzino. Per realizzare un tramezzino con i fiocchi ci vuole cultura, non si mettono gli ingredienti a caso come nei tostoni farciti. Ed è elegante nel momento in cui con due morsi lo si finisce, si può mangiare in piedi, non si sbriciola ovunque e la farcitura non sbrodola.
TIPS AND TRICKS
Lo sapevate che esiste anche una giornata mondiale del tramezzino? È l’11 maggio e, tranquilli, lo si può preparare e mangiare anche nei restanti 364 giorni, con piccole attenzioni che ne aumentano la bontà e la conservabilità.
Un velo di maionese spalmato in entrambi i lati consente di avere un pane umido ma non bagnato. Meglio se protetto anche con pellicola, da preferire al panno umido che fino a qualche tempo fa veniva utilizzato in tutti bar e caffè che lo proponevano. Il pane: di qualità, solo a cassetta e anche integrale o con semi, se proprio volete fare salutisti. Infine la cottura: un brevissimo passaggio nella tostiera può essere ammesso ma non fatelo diventare un toast!
LE RICETTE DEL MAGAZINE
L’ispirazione sono state la storia, la qualità degli ingredienti e d’Annunzio: una versione che omaggia Torino e Venezia, un’altra che strizza l’occhio all’Oriente e, infine, la rivisitazione gourmet di un grande classico: prosciutto e funghi. E l’eleganza? Ma nelle foto, naturalmente!
Dal cappone di Morrozzo, all’insalata di gallina padovana, fino alle contaminazioni speziate della città d’arrivo: un viaggio goloso e gustoso.
DOSI per 2 tramezzini
DIFFICOLTÀ: semplice
PREPARAZIONE: 15 minuti
Pane bianco, integrale o con i semi a cassetta 100 g Insalata di pollo Pesto di pistacchio qb. 2/3 cipolle di Tropea Olio Evo qb. Cardamomo in polvere qb. Foglie di origano fresco qb. Sale qb.
Monda e affetta finemente le cipolle, anche la parte verde.
In una casseruola antiaderente versa un filo di olio Evo, brasa velocemente le cipolle aggiungendo fin da subito il sale e il cardamomo a fine cottura. Metti da parte. Nel frattempo spatola l’insalata di pollo, mescola il pesto di pistacchio con qualche fogliolina di origano fresco.
Distribuisci su entrambi lati un velo di pesto di pistacchio, continua con l’insalata di pollo e termina con le cipolle tiepide. Chiudi con la seconda fetta di pane, premi appena.
Togli l’eventuale ripieno che tende a uscire e taglia due rettangoli con un coltello molto affilato, così da non schiacciare troppo il pane.
Avete presente il sushi? Abbiamo pensato di metterlo dentro due fette di pane in cassetta. Si dice che fosse lo spuntino dei samurai.
DOSI per 2 tramezzini
DIFFICOLTÀ: semplice
PREPARAZIONE: 15 minuti
INGREDIENTI
Pane bianco, integrale o con i semi a cassetta 1 confezione Paté di tonno in salsa Escabeche
Polvere di cappero qb.
Cetriolini in agrodolce qb.
Senape di Digione in grani qb.
Pepe di Java
Una salsa realizzata con kefir o yogurt bianco, burro di arachidi, succo di lime, zucchero di palma, Olio Evo con Yuzu, Pepe di Java, salsa di soia chiara
PROCEDIMENTO
Trita finemente i cetriolini e 2/3 di foglie di cappero, a gusto.
In una ciotola trasferisci il paté di tonno e il trito aromatico. Profuma con una macinata di pepe ed emulsiona con 1 cucchiaio di olio Evo.
In un’altra ciotola mescola gli ingredienti per la realizzazione di un dip oppure frulla per qualche istante il tutto. Regola di gusto con un pizzico di sale e di pepe, se gradito.
Distribuisci su entrambi lati un velo di senape, spolvera con la polvere di cappero, continua con la mousse di tonno, con qualche rondella di cetriolino e una macinata di pepe di Java.
Chiudi con la seconda fetta di pane, premi appena, para l’eventuale ripieno che tende ad uscire. Taglia due rettangoli con un coltello molto affilato, così da non schiacciare troppo il pane.
Quello che di solito si sceglie quando anche asparagi e uova è terminato. Si, ma realizzato come lo facciamo noi è tanta roba. Un suggerimento per la realizzazione: potete inserire gli ingredienti separatamente oppure mescolarli insieme, tritati, alla robiola di capra.
DOSI per 2 tramezzini
DIFFICOLTÀ: semplice
PREPARAZIONE: 15 minuti
Pane bianco, integrale o con i semi a cassetta Prosciutto cotto affumicato alle erbe qb. Robiola di capra sac-à-poche qb. Funghi porcini trifolati qb. Funghi porcini essiccati e ridotti a farina qb. Timo fresco qb.
Maionese classica qb.
Riduci a polvere qualche fungo porcino o trombetta essiccati.
Trita finemente un paio di cucchiai di funghi trifolati e mescolali alla robiola: puoi anche frullare a crema due ingredienti.
Affetta il prosciutto a mano, se possibile, e poi a julienne.
Mescola alla maionese delle foglioline di timo fresco.
Distribuisci su entrambi i lati un velo di maionese, spolvera con la polvere di fungo, continua con la crema di robiola, qualche fungo intero, il prosciutto.
Chiudi con la seconda fetta di pane, premi appena, para l’eventuale ripieno che tende a uscire e taglia in due triangoli e poi in altri due triangoli con un coltello molto affilato, così da non schiacciare troppo il pane.