I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A | 0 5 . 2 0 1 7
SOMMARIO
EDITORIALE di martina iseppon
SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana
Le giornate sono ancora calde, anche se iniziano ad accorciarsi, e le serate buie, assieme ai maglioncini che iniziamo a recuperare dagli armadi, ci fanno venire voglia di autunno, di sapori diversi, più caldi. Ecco quindi le nostre proposte per la stagione: immancabili i formaggi di alpeggio, a cui è dedicata anche la rubrica a cura di Danilo Gasparini; l’intervista a Sergio Moro diventa l’occasione per presentarvi un nuovo erborinato al Raboso e ai frutti rossi; Alessandro De Conto ci propone invece alcuni spunti di abbinamento con i funghi e un approfondimento sui diversi salami che si incontrano in giro per il nostro Paese. Continua la rubrica a cura del nostro ufficio Qualità, dedicata all’analisi delle etichette, con uno speciale sui Prosciutti Cotti. E concludiamo, come di consueto ormai, con le ricette di Anna Maria Pellegrino, questa volta con un focus sul Farro.
Team editoriale: Alessandro De Conto, Anna Maria Pellegrino, Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Danilo Gasparini, Martina Iseppon Direttore: Giulia Basso
Martina Iseppon
Editore: Valsana srl Via E. Maiorana 3/A - Santa Lucia di Piave TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017
VALSANA | 02
SOMMARIO settembre | ottobre 2017
NOTIZIE DA VALSANA | QUCINANDO | EVENTI IN CALENDARIO
04
visita a MALGA MARIECH | FATTO IN QUOTA
06
intervista al produttore | LA LATTERIA MORO
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ABBINAMENTI DI STAGIONE | funghI E FORMAGGIO 10 ANDAR PER BÀCARI 12 ETICHETTE DA SCOPRIRE | IL PROSCIUTTO COTTO
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GEOGRAFIA DEL GUSTO | SALAMI D’ITALIA
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STORIA & STORIE | CARGAR MONTAGNA
18
ACCIUGHE DAL NORD 22 LA CUCINA DI QB | SPECIALE FARRO
VALSANA | 03
24
notizie da valsana
qucinando Reportage del primo appuntamento presso Qucinando, una scuola di cucina di Pordenone: abbiamo portato in cucina la nostra squadra per sperimentare con alcuni prodotti Agenti, commerciale, qualità e marketing: abbiamo lavorato a coppie, suddivisi in 12 postazioni stile Masterchef, per provare a cucinare con alcuni dei prodotti del nostro assortimento. Superato l’imbarazzo iniziale, la sfida si è fatta molto intensa. A partire dal pressure test, che ci è servito per imparare a dissalare le Acciughe Cantabriche sotto sale.
E poi grande sfida nell’impiattamento: ecco il risultato di un paio delle squadre su due delle ricette che abbiamo preparato. • Riso Apollo Cascina Oschiena profumato al lime con tartare di Regina di San Daniele e pepe nero • Uova diversamente sode con basilico e Acciughe Cantabriche
cheese 2017
sapori 2017
Dal 15 al 18 settembre saremo a Bra per festeggiare i 20 anni di Cheese, allo stand S02
Il 4 ottobre saremo in Castello San Salvatore, per il nostro più importante appuntamento annuale
Cheese · Le Forme del Latte è la più importante rassegna italiana dedicata ai formaggi.
Mercoledì 4 ottobre saremo al Castello di San Salvatore, a Susegana (TV), per il nostro più importante evento annuale, dedicato esclusivamente ai nostri clienti.
Quest’anno è un appuntamento da non perdere: un’edizione ancora più speciale, dato che a Bra Slow Food festeggia i 20 anni di Cheese. Dal 15 al 18 settembre vi aspettiamo in Via Cavour, vicino alla Piazza Carlo Alberto dove si trova il Grande Mercato dei Formaggi, allo stand S02.
Un percorso di degustazione per conoscere le novità della stagione, ma soprattutto un’opportunità di incontro con i produttori. Alcune anticipazioni: un nuovo produttore di Bottarga e una rinnovata selezione di formaggi internazionali, quest’anno con un ricco programma di appuntamenti e workshop.
Da segnare in calendario VALSANA | 05
fatto in quota
visita a malga mariech
Abbiamo visitato Malga Mariech, l’alpeggio estivo di Ponte Vecchio, per vedere da vicino la produzione d’alta quota Il mese scorso, assieme al nostro agente Mauro Piovan e ad alcuni clienti di Padova, siamo stati a visitare Malga Mariech - sul monte Cesen, nel comune di Valdobbiadene - gestita durante l’estate dalla famiglia Curto, responsabile anche dell’azienda agricola Ponte Vecchio di Vidor. Fabio Curto, che assieme al fratello Stefano rappresenta la quarta generazione della famiglia che si dedica alla produzione di formaggi, ci ha accompagnato in un tour della malga. Abbiamo visitato la zona della mungitura, della trasfomazione del latte proveniente dalle vacche di razza Bruna al pascolo in alpeggio e gli ambienti della stagionatura. Durante questi mesi il latte delle vacche è particolarmente ricco, con un piacevole
colore tendente al giallo e con una maggiore complessità di profumi dovuta ai numerosi fiori ed essenze presenti nei pascoli. Questo latte consente di avere una produzione molto diversa rispetto a quella invernale e per questo la famiglia Curto ha deciso di sviluppare un nuovo progetto: distinguere le produzioni di Malga Mariech con un bollino verde che indica “Fatto in quota 1504”. Con il nuovo progetto, le iniziative di accoglienza e la filosofia fondata sul concetto di unione tra innovazione e tradizione che accompagna la famiglia Curto, Malga Mariech è oggi un alpeggio che pone attenzione all’ambiente, all’artigianalità in veste contemporanea, alla salvaguardia di vecchi saperi e alla filiera corta.
VALSANA | 06
I formaggi di Malga Mariech Tutti formaggi che possiedono il bollino verde “Fatto in quota�, provenienti dalle produzioni di alpeggio di Malga Mariech
monte cesen
piccolo mariech
stravacco
cod 30284 | peso 3 kg circa
cod 30280 | peso 600 g circa
cod 30288 | peso 2 kg circa
sghera
yotta
cayo
cod 30287 | peso 1,5 kg circa
cod 30286 | peso 1,5 kg circa
cod 30285 | peso 700 g circa
latteria moro sergio
INTERVISTA AL PRODUTTORE
Vi presentiamo il nuovo nato in casa Moro, un erborinato al Raboso passito e ai frutti rossi. Con un’intervista a Sergio, che ci racconta come è nata la sua passione
“Per diventare un mastro affinatore servono, oltre a materie prime attentamente selezionate e una conoscenza sopraffina delle tecniche di lavorazione, una gran dose di fantasia, creatività e voglia di sperimentare nuove combinazioni di sapori e odori”. Parola di Sergio Moro, che grazie alla sua spiccata abilità nell’arte dell’affinamento dei formaggi ha portato la propria azienda a essere conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. La Latteria Moro, con sede a Oderzo, piccolo borgo della provincia di Treviso, oggi commercializza i propri formaggi al di qua e al di là dell’Oceano, dagli Stati Uniti al Giappone.
I suoi prodotti hanno conquistato le pagine di riviste internazionali di prestigio: l’ultima in ordine cronologico è Elle Singapore, che in un approfondimento sui formaggi “da sogno” ha inserito ben due prodotti della Latteria Moro, il Choco 21, formaggio erborinato con liquore al cioccolato, e il Fior d’Arancio, erborinato affinato con vino passito Fior d’Arancio DOCG. Insieme a Sergio Moro abbiamo ripercorso la storia di quest’azienda di successo, che di anno in anno continua a sfornare originalissime novità capaci di fare breccia nel mercato nazionale e internazionale.
Il prodotto oro rosso ERBORINATO AL RABOSO Formaggio erborinato a latte vaccino, dolce e cremoso, ricoperto in crosta con deliziosi frutti rossi, le cui note aromatiche richiamano il bouquet del Raboso passito, il vino rosso utilizzato per l’affinamento codice 30799 | peso 3 kg circa disponibile anche a metà codice 30799F02
novità
VALSANA | 8
Abbiamo intervistato Sergio Moro, mastro affinatore Quando e com’è nata la Latteria Moro? E’ nata nel 1930 da mio nonno Luigi, che con l’aiuto dei due figli organizzò un centro di raccolta del latte dalle stalle della zona, per venderlo poi sfuso alle famiglie. Nel 1950 l’azienda si specializzò nella produzione di formaggi e si divise in due rami: uno andò a mio zio, uno a mio padre. Negli anni ’80 entrai in gioco io, che per diversificare l’attività paterna mi dedicai al recupero delle vecchie tecniche di stagionatura e affinamento dei formaggi usate da contadini e pastori. L’idea ha funzionato: l’azienda nel tempo è cresciuta e oggi abbiamo una decina di dipendenti, che si occupano di tutte le fasi della lavorazione. Quali criteri utilizzate per scegliere i fornitori e le materie prime che usate per realizzare i vostri prodotti? Si lavora in team: c’è chi si occupa della selezione dei formaggi da affinare, che acquistiamo dai produttori, e chi degli ingredienti che usiamo per l’affinamento. In particolare il vino, che utilizziamo per molti dei nostri prodotti, ci porta a lavorare insieme alle cantine e ai Consorzi di Tutela, penso per esempio ai nostri formaggi al Prosecco o all’Amarone. La scelta dell’abbinamento tra tipo di formaggio e vino viene fatta attraverso una serie di prove tecniche in laboratorio. Ma c’è una regola che ci sta a cuore: scegliamo formaggi rigorosamente locali in base alla zona di provenienza del vino. Perciò per il Prosecco un formaggio prodotto nella provincia di Treviso, per l’Amarone un formaggio del veronese.
Perché il mosto è molto più profumato, mantiene intatte tutte le caratteristiche organolettiche e i profumi dell’uva, che nel vino un po’ si perdono. Nei vostri prodotti c’è molta ricerca della novità che si presti al palato contemporaneo, penso per esempio al Choco 21, al Nero Fumè, aromatizzato con tè nero, o al Muffato, affinato con menta, verbena e camomilla. Come nascono questi abbinamenti? Nascono dalla necessità di inventare prodotti sempre nuovi per soddisfare una clientela sempre più esigente e sofisticata. Così mi nutro di suggestioni di vario tipo: io ci metto la fantasia, il mio team la ricerca tecnica per ottenere il risultato migliore, attraverso molte prove in laboratorio. Nel caso del Choco 21, per esempio, l’idea mi è venuta da una ricetta dello chef Antonino Canavacciuolo, la “Cioccolato e Gorgonzola”, in cui la combinazione arricchisce una crema a base di patate e topinambur. Mentre per il Nero Fumé, erborinato al tè nero Lapsang Souchong e affumicato su legno di cedro e pino, l’ispirazione mi è venuta partecipando a una degustazione a cura di Valsana che abbinava formaggi e tè. Il vostro è un lavoro che regala grandi soddisfazioni e lascia spazio alla creatività, ma quali sono le difficoltà che vi trovate ad affrontare? Il nostro team è molto affiatato e lavora con serenità e competenza. Le uniche difficoltà sono di carattere burocratico, soprattutto per i prodotti che utilizzano ingredienti DOC o DOCG.
Fate molto uso di mosto e vinacce per i vostri formaggi. Perché il mosto e non il vino?
VALSANA | 9
Giulia Basso
abbinamenti di stagione
funghi e formaggio Settembre dà il benvenuto all’autunno e ai funghi. Vi proponiamo quelli di Del Santo: lavorati dal fresco e scottati solo con olio, sale, spezie ed erbe aromatiche, senza conservanti, senza glutammato e senza amido “Assaggiare un Camembert maturo a temperatura ambiente è come stare seduti su una balla di fieno fresco vicino a un cestino di funghi appena raccolti, mentre si mangia un uovo al burro con il tartufo”. La nota di fungo, legata al Penicillium camembertii, è inconfondibile in questo formaggio a crosta fiorita, che si presta ad essere scoperchiato, passato al forno e servito con dei funghi.
molecole di sapore. La polenta con porcini e Gorgonzola è un piatto tipico dell’Italia settentrionale, ma un buon erborinato può essere utilizzato anche per mantecare un risotto con i funghi o per arricchire una zuppa di funghi e porri.
I funghi non contengono sale: i formaggi stagionati, ad esempio il Parmigiano Reggiano, il Gruyere e il Pecorino Romano si Il formaggio erborinato deve le sue venature prestano a dare un contributo di sapidità a a muffe e funghi, con cui condivide importanti un risotto, una pasta o una bruschetta. Da: La Grammatica dei Sapori
FUNGHI PORCINI TRIFOLATI
FUNGHI finferli TRIFOLATI
FUNGHI chiodini TRIFOLATI
cod 96211 | peso 600 g
cod 96210 | peso 600 g
cod 96209 | peso 600 g
VALSANA | 10
foto: finedininglovers.it
foto: ricette.donnamoderna.com
foto: finedininglovers.it
Alcune idee di abbinamento, anche in cucina, per le tre varietà di funghi più ricercate
Porcini
Finferli
Chiodini
monte veronese 2016 alpeggio
gorgonzola dop piccante
comtè rouge
Grattugiato al posto del Parmigiano nel ripieno dei funghi porcini oppure protagonista nel classico piatto polenta e funghi, anche rivisitato dove il formaggio diventa fonduta e il fungo utilizzato in un flan
Delizioso per caratterizzare una fonduta in abbinamento ai funghi finferli. Da utilizzare anche come base per arricchire un più classico risotto. Curioso anche l’abbinamento finferli-gorgonzola su una pizza o focaccia
Da provare a cubetti in una frittata o quiche con funghi chiodini ed erbe aromatiche. In alternativa, per un risultato più leggero, potete utilizzare un formaggio vaccino a pasta molle come il Grillo
cod 30872M16 | peso 8 kg circa
cod 20918 | ottavi da 1,5 kg circa
cod 46738 | peso 40 kg circa
VALSANA | 11
andar per bÀcari
andar per bÀcari Accoglienza, professionalità e molta passione: benvenuti alle storiche Cantine del Vino già Schiavi di Venezia
Siamo a Venezia, la città romantica per antonomasia, dove il turismo invade in ogni stagione le calli e i campi che conducono a San Marco. Ma abbandonando i percorsi più affollati ecco che si scopre l’animo più conviviale della città, la Venezia dei bàcari.
lo affiancherà nella gestione del Bottegon, dedicandosi alla realizzazione dei cicheti. La curiosità e le continue sperimentazioni la portano a creare circa 70 ricette originali, ideate “seguendo le stagioni, i colori e ciò che suggeriscono il cuore e il cervello”.
Facciamo un passo indietro e spieghiamo bene il termine a chi è poco avvezzo al dialetto veneziano: un bàcaro è un’osteria tipica dove assaggiare, rigorosamente in piedi, un cichéto e bere un’ombra. Un cichéto è uno spuntino veloce (potremmo dire finger food, ma sminuirebbe tutte le suggestioni che il termine dialettale porta con sé) accompagnato da un’ombra, ovvero un bicchiere di vino, bianco o rosso.
E per chi desidera un’ombra, negli scaffali del locale sono presenti oltre 500 etichette di vini da abbinare alle creazioni del Bottegon.
Ed è proprio questa l’atmosfera che si respira presso le Cantine del Vino già Schiavi, conosciute anche come il Bottegon, tappa immancabile in un tour dei bàcari alla ricerca del vero spirito veneziano. Un’osteria storica aperta a fine ‘800 in una delle zone più caratteristiche della città, nel sestiere di Dorsoduro, vicino al Ponte dell’Accademia e poco distante da uno squero, il cantiere dove ancora oggi vengono realizzate le gondole. Il locale viene rilevato dal signor Sisto Gastaldi, nel 1945, a cui successivamente subentra il figlio Lino. Nel 1960 Lino conosce la sua futura moglie, Alessandra (Sandra) De Respinis, che poi
Tra i cicheti più famosi quello con Brie e crema di ortiche, arricchito con Parmigiano Reggiano DOP e una spolverata di pepe. Un’altra idea originale è un crostino con misticanza, uno strato di ricotta fresca e bottarga di tonno grattugiata, completato con pepe e un pomodorino secco. L’elenco sarebbe lungo ed è molto più semplice consultare il “Cichettario”, un ricettario pubblicato nel 2015 dove sono state raccolte le ricette di questo bàcaro. Qui la signora Sandra racconta con generosità i propri segreti. “Fare dei buoni cicheti non è difficile - dice l’esperta - basta seguire poche regole basilari”: il pane deve essere “croccante, appena sfornato e tagliato a fette di circa un centimetro e mezzo”; gli ingredienti sempre freschi e di ottima qualità; le dosi - ama dire Sandra - si aggiustano a piacimento ma “non siate avari, una cosa sono le mode culinarie e un’altra è mangiare!”
VALSANA | 12
Giulia Bassetto
PESCE SPADA AFFUMICATO E ZUCCHINE Spalmate un velo di maionese sui crostini, stendete su ciascuno una fetta di pesce spada affumicato, cospargete con una manciata di zucchine tagliate alla julienne e profumate con pepe rosa e qualche goccia di aceto balsamico. In abbinamento, un’ombra di Greco di Tufo. Da: Cicchettario, De Respinis A., 2015 VALSANA | 13
etichette da scoprire
IL prosciutto cotto Che differenze ci sono tra un prosciutto cotto, un prosciutto cotto scelto e un prosciutto cotto alta qualità? Quali sono gli altri elementi che permettono di valutare la qualità di un prosciutto cotto?
Il prosciutto cotto è un salume tipico italiano preparato, con ricette e aromi caratteristici a seconda dell’area o della tradizione, a partire dalla coscia del maiale che viene salata e cotta. Fino a poco più di un decennio fa si parlava in modo generico di “prosciutto cotto”, ma è importante conoscere le diverse tipologie e le differenze relative per poter guidare il cliente all’acquisto. Le tre tipologie definite dalla norma, che ritroviamo in etichetta, sono: (1) prosciutto cotto; (2) prosciutto cotto scelto; (3) prosciutto cotto di alta qualità. L’elemento che determina la scala di valore merceologico è il livello di umidità del prodotto, definita UPSD (Umidità sul Prodotto Sgrassato e Deadditivato): maggiore è la quantità di acqua contenuta minore è la qualità. La denominazione “prosciutto cotto” è riferita a un prodotto ottenuto da alcune parti della coscia di maiale che vengono “assemblate” assieme, caratterizzato da un’umidità molto elevata pari all’82%. Si riconosce dall’aspetto piuttosto lucido e gelatinoso. Nell’elenco degli ingredienti si trovano sempre l’acqua e i polifosfati o le proteine di soia o del latte, che vengono aggiunti alla carne per trattenere l’acqua.
Il “prosciutto cotto scelto” indica un prodotto nel quale sono chiaramente identificabili almeno tre dei quattro muscoli principali della coscia intera del suino; presenta un’umidità inferiore (79,5%), è ottenuto da cosce di maiale intere e viene trattato con polifosfati (o proteine di soia o del latte) per trattenere acqua. La dicitura “prosciutto cotto di alta qualità” identifica un prodotto nel quale sono chiaramente identificabili almeno tre dei quattro muscoli principali della coscia intera del suino, senza proteine di soia o polifosfati e con un’umidità decisamente inferiore (76,5%). L’aspetto è più asciutto e si distinguono le fasce muscolari. Oltre alle tipologie normative, ci sentiamo in dovere di portare l’attenzione su altri tre aspetti che riteniamo importanti: (1) il numero di ingredienti indicati in etichetta (2) la cottura di cosce intere disossate (3) l’origine delle cosce stesse. Andiamo di seguito a specificarle uno per uno. Gli ingredienti Attenzione deve essere posta sull’utilizzo di ingredienti che, pur essendo autorizzati dalla norma, non sono indispensabili per garantire la salubrità del prodotto, ma vengono aggiunti
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con precise funzioni, ad esempio:
L’origine delle cosce
• insaporire il prodotto (glutammato monosodico) • trattenere l’umidità (derivati del latte e/o polifosfati) • abbassare il pH: gli zuccheri aggiunti vengono utilizzati come nutrimento dai batteri lattici, attenzione se lo zucchero aggiunto è Lattosio che risulta dannoso per gli intolleranti.
Spesso il consumatore non si chiede da dove provengono le cosce utilizzate per la produzione del prosciutto cotto che sta acquistando, ma riteniamo importante mettere in evidenza l’origine, sopprattutto quando la carne è nazionale. Ovviamente si deve essere disposti ad accettare la meravigliosa fascia di grasso che lo rende ancora più dolce.
La coscia intera
Ancora una volta quindi numerosi sono gli aspetti che dobbiamo considerare prima di scegliere cosa acquistare e non sempre è facile orientarsi, anche perchè a volte le informazioni fornite non sono complete. Per questo proponiamo una classifica dei Prosciutti cotti presenti nel nostro assortimento tenendo in considerazione i temi affrontati nell’articolo.
senza glutine
senza lattosio
senza polifosfati
senza glutammato
senza proteine latte
Giorgia Barbaresco
Coscia intera
Inutile dire che la qualità di un prosciutto cotto ottenuto da un’unica coscia intera, solo disossata, è maggiore rispetto a prosciutti cotti ottenuti unendo fasce muscolari di cosce di diversi suini. In etichetta verrà riportata la dicitura “coscia di suino” quando è ottenuto dalla coscia intera e “carne di suino” quando invece è ottenuto da pezzi di coscia.
1°
san GIOVANNI affumicato
Capitelli
ALTA QUALITà
italia
63,50%
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2°
san GIOVANNI classico
Capitelli
ALTA QUALITà
italia
64,51%
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3°
COTTO ANTONIO
Jolanda de Colò ALTA QUALITà
italia
72,00%
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4°
PRAGA ALTA QUALITA'
Coati
ALTA QUALITà
UE
75%
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5°
cotto ARROSTO GRAN TARTUFO
Bernardini
ALTA QUALITà
italia
76,50%
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6°
COTTO AL BASILICO
Rugger Spa
ALTA QUALITà
UE
76,50%
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7°
COTTO CUORE ROSA
Rugger Spa
ALTA QUALITà
italia
76,50%
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8°
COTTO RUSTICHELLO
Rugger Spa
ALTA QUALITà
UE
76,50%
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9°
COTTO TRADIZIONALE
Rugger Spa
ALTA QUALITà
UE
76,50%
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10° CUOR DI PROSCIUTTO ARROSTO
Rugger Spa
ALTA QUALITà
UE
76,50%
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11°
Rugger Spa
ALTA QUALITà
italia
76,50%
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12° COTTO PRAGA LEVONI
Levoni Spa
ALTA QUALITà
italia
76,50%
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13° COTTO SCELTO GRAN BORDO'
Coati
SCELTO
UE
77%
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14° COTTO CUOR DI GUSTO
Rugger Spa
SCELTO
UE
79,50%
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15° COTTO MAGRO&MORBIDO
Rugger Spa
SCELTO
UE
79,50%
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16° COTTO TENERO
Rugger Spa
SCELTO
UE
79,50%
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17°
Coati
COTTO
UE
80%
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18° COTTO MISTER PIZZA
Coati
COTTO
UE
81%
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19° COTTO GIOIELLO
Rugger Spa
COTTO
UE
82%
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20° COTTO PRESTIGE
Rugger Spa
COTTO
UE
82%
La Classifica N** Denominazione del prodotto
COTTO LENTI & LODE
COTTO DEL CASTELLO
Produttore
Tipologia
Origine UPSD Carne %
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** i prosciutti cotti sono classificati in base al valore di UPSD % (Umidità su Prodotto Sgrassato e Deadditivato)
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salami d’italia
geografia del gusto
“Paese che vai, salame che trovi”. Un viaggio ideale da nord a sud per scoprire come il clima, le dominazioni, le razze, le abitudini abbiano influito sullo sviluppo di diverse tecniche di produzione
“Paese che vai, salame che trovi”. Mi verrebbe da esordire così pensando al salame, un semplice salume che ogni regione, provincia e paese ha sviluppato secondo un proprio credo o, più banalmente, secondo la disponibilità di materia prima. Questa estrema frammentazione genera spesso dibattiti su quale sia il salame più buono. Chi non si è mai trovato a doversi schierare per il salame morbido o per il salame duro? Per la versione con aglio o quella senza? Il dibattito è aperto! Abbiamo immaginato di compiere un viaggio da Nord a Sud, toccando diverse realtà produttive, cogliendone le principali peculiarità e cercando di capire come le diverse latitudini, dominazioni e abitudini abbiano influito nei secoli sulle produzioni. Partiamo dalla Valsugana, con il Salame di Meggio, insaccato in budello naturale, stagionato almeno 30 giorni e figlio di una tradizione rustica e montanara che vuole l’aglio come protagonista. Presenta una grana sottile, magra, ma solubile e dolce al palato, senza riporti di acidità anche in virtù del buon periodo di asciugatura. Ci trasferiamo a Spilimbergo in Friuli Venezia Giulia con il Salame Lovison, più grasso e giovane rispetto al precedente, con le tipiche caratteristiche del salame nord-est: morbido ed estremamente fresco. Tradizionalmente veniva prodotto in prossimità del Natale per essere consumato durante le prime festività, a pochissimi giorni dalla produzione. Il clima rigido e il sale aiutavano a conservare il prodotto per un limitato periodo di tempo. Lasciamo il Friuli per avvicinarci a un’identità poco conosciuta, prodotta da Grossetti, il Salame Piacentino DOP. I salumi piacentini, già noti negli stati limitrofi al Ducato di Piacenza all’inizio del XV secolo, erano i preferiti dai negozianti di Milano. A inizio ‘700 fecero breccia negli ambienti elitari di Francia e Spagna, per merito di un noto cardinale piacentino che li portava in dono nei suoi viaggi come gustoso biglietto da visita. A spiegazione di come una parte di gastronomia si sia affermata
negli ambienti aristocratici, prima che popolari. Il salame di Grossetti ha una grana media, con pochi di lardelli di grasso ben distinti. Il profumo di carne matura e la leggera speziatura anticipano un sapore dolce, persistente e mai troppo speziato. Viene ora automatico pensare a come sia quasi obbligatorio ricercare dolcezza in un salame, ma in Toscana non la pensano così. Quando assaggiamo il Salame Toscano di Marini l’intensità della concia, l’elevata magrezza della carne e la netta distinzione dei lardelli ci fanno apprezzare l’intensità e la sapidità, date anche dalla presenza di vino Chianti nell’impasto. Da non dimenticare, inoltre, il rapporto unico tra pane e salumi: la sapidità dell’insaccato fa da contraltare al pane sciapo. Mano a mano che scendiamo verso sud ci imbattiamo in salami, schiacciate, spianate, dalle carni più compatte e dai sapori più aromatici o piccanti. Le influenze arabe e un clima decisamente poco amichevole per la produzione di salami hanno imposto conce più decise a protezione delle carni. Incontriamo in ogni caso due prodotti dolci, seppur in modo diverso. Il Salame Casereccio della Murgia di Santoro, in Puglia, ha un sapore dolce e ben bilanciato, che deriva dall’equilibrio tra le carni di maiali maturi allevati allo stato brado e la concia, caratterizzata dalla presenza di vincotto. Infine, una leggera nota affumicata propria anche del più conosciuto Capocollo di Martina Franca. Il Salame di Suino Nero dei Nebrodi di Luisa e Agostino Ninone, in Sicilia, ha una dolcezza e una solubilità che provengono principalmente dalla pregiata carne di maiale nero, allevato per almeno 2 anni allo stato brado. La decisa presenza di pepe in grani e i netti lardelli completano un sapore unico. Eccoci quindi giunti al termine di questo percorso tra i salami d’Italia. La varietà è enorme e si possono soddisfare davvero tutti i gusti, sperando che anche voi abbiate trovato il vostro preferito!
VALSANA | 16
Alessandro De Conto
La mappa dei salami
salame meggio cod 80120 | peso 500 g circa
salame lovison cod 80150 | peso 900 g circa
salame piacentino dop cod 78242 | peso 600 g circa
salame toscano cod 78252 | peso 2 kg circa
salame di suino nero dei nebrodi salame casereccio della murgia
cod 80223 | peso 400 g circa
cod 82565 | peso 600 g circa
VALSANA | 17
storia & storie
cargar montagna Un viaggio ideale tra malghe e alpeggi a partire dalla leggenda popolare. Per spiegare il passato e riflettere sul significato e il valore di queste pratiche nel presente
Le origini: la leggenda dell’Homo selvaticus
montagna in Trentino e in Veneto, inarpa e desarpa In Val D’Aosta… e quando le vacche All’origine dell’arte casearia negli alpeggi, vi è una scendono dall’Alpeggio si perpetra la tradizione leggenda che attraversa tutte le aree montane dei grandi festeggiamenti. italiane, alpine e appenniniche: quella dell’uomo selvatico, conosciuto a seconda della lingua Condurre mandrie e greggi al pascolo è stata locale come Homo selvadegom in Valtellina, Om per secoli un’attività “eroica” e solitaria: intere salvàrech nel Bellunese, Om pelos in Trentino, famiglie di malgari e di pastori durante i mesi Ommo arvadzo in Val D’Aosta, Omo salvatico nel estivi vivevano isolate negli alpeggi di alta Lucchese. Un essere umano leggendario che si montagna con contatti sporadici con la vita della racconta vivesse in luoghi isolati, tra i fitti boschi vallata. delle montagne, che avesse una forza e un fiuto Recenti attività di ricerca in Trentino hanno tali da permettergli di inseguire facilmente le portato alla luce uno straordinario patrimonio prede e un aspetto terrificante esaltato dalla di scritture rupestri: pastori e mandriani hanno pelle di caprone di cui si ammantava. La leggenda lasciato lungo le vie di transumanza i segni narra che solo di tanto in tanto scendesse a valle del loro passaggio attraverso un’infinità di per fraternizzare con gli uomini e insegnare loro messaggi scritti sui sassi: un saluto, un augurio, i mestieri della malgazione, di cui era maestro. il conteggio degli animali, la registrazione di un E da allora, secondo ritmi stagionali secolari, ha incidente; una sorta di diario collettivo open air, luogo l’atto di portare in alpeggio le mandrie: utilizzato per comunicare e conservatosi per montegar o desmontegar, cargar o descargar secoli.
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Danilo Gasparini è docente di storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3
Ieri: l’alpeggio come salvaguardia delle coltivazioni L’etimologia della parola italiana “malga” viene fatta risalire a una lingua «prelatina», a ricordare che essa non è solo l’edificio dove si produce il formaggio, ma è costituita dall’insieme di pascoli, boschi, pozze, ruscelli e fauna che la popolano, una vera e propria cellula vitale dell’ecosistema globale. L’alpeggio, invece, è l’attività che si svolge nelle malga durante i mesi estivi. Inizia con la monticazione (salita sull’alpe), tra la fine di maggio e la metà di giugno, e termina con la demonticazione (ridiscesa in pianura) a fine settembre. La “fame d’erba” e l’obbligo dell’alpeggio La principale differenza tra la realtà odierna e il passato riguarda il carattere “facoltativo” che ha assunto in tempi recenti l’alpeggio. In passato non era neppure concepibile allevare animali in montagna senza ricorrere all’alpeggio; le migliori superfici coltivabili in vicinanza dei villaggi erano utilizzate per produzioni alimentari (cereali, patate, legumi) e le scorte di fieno erano limitate alle produzioni dei maggenghi (prati-pascoli di mezza montagna), a raccolte di “fieno selvatico” nei boschi e su pascoli magri di alta montagna o comunque non accessibili al bestiame, all’utilizzo delle fronde di essenze arboree quali il frassino, somministrate fresche o essiccate. Gli statuti comunali del medioevo e dell’età moderna - ma la regola è sopravvissuta a lungo - imponevano l’obbligo del trasferimento all’alpeggio di tutto il bestiame. Venivano “esentati” solo i bovini da lavoro, a volte una vacca, più spesso una capra da latte, in quanto necessaria alla fornitura di latte agli infanti. Si volevano evitare i rischi di danneggiamento delle coltivazioni.
Per secoli gli alpeggi sono stati, e in parte lo sono ancora, patrimoni collettivi governati da precisi ordini di “regola”. La regola era l’assemblea dei capi famiglia del villaggio: si trattava di beni comuni, al servizio esclusivo della comunità. Di solito era la regola stessa che gestiva il pascolo, eleggendo a inizio anno tutte le figure destinate al suo governo. Il pascolo veniva usato a volte anche per animali foresti, cioè di contadini non del villaggio: questo permetteva di incrementare gli introiti della comunità. Se l’alpeggio veniva affittato, si procedeva a base d’asta secondo il metodo della candela: valeva l’ultima offerta al momento in cui la candela si era consumata. Nel corso del XIX secolo con l’incremento dell’allevamento bovino sono aumentati anche i prati a spese delle coltivazioni; la farina, in genere di mais, veniva acquistata con il provento della vendita del burro e dei vitelli. La “fame d’erba” era comunque tale che inviare i capi all’alpeggio restò a lungo una necessità stringente. Le “macchine da latte” e l’alpeggio facoltativo Le cose sono cambiate dopo gli anni ’70 del secolo scorso. Da una parte si è verificata una concentrazione dell’allevamento bovino in vere e proprie aziende agricole in grado di disporre di superfici foraggere relativamente ampie, dall’altra è diventato possibile acquistare sul mercato gli alimenti per il bestiame, mangimi e foraggi, svincolando l’allevamento dalla base foraggera. Una circostanza che oggi viene finalmente valutata negativamente per le sue conseguenze ecologiche. L’uso dei mangimi ha consentito di “spingere” sempre di più la produzione e di sostituire il tipo tradizionale
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storia & storie
Oggi: recupero di biodiversità e territori, razze e saperi di vacca da latte da montagna con le razze specializzate superproduttive. A questo punto l’alpeggio è diventato per molti allevatori un’opzione “facoltativa”, tanto più che le attuali “macchine da latte”, a differenza del bestiame molto più frugale e resistente del passato, risentono negativamente dei fattori di stress associati all’alpeggio (spostamenti, sbalzi climatici, creazione di nuovi gruppi sociali) e all’alimentazione non sempre adeguata che l’alpeggio può offrire a capi ad alta produzione. Nonostante la diffusione dell’uso dei mangimi per integrare l’alimentazione delle lattifere in alpeggio, non sono pochi gli allevatori che hanno rinunciato ad alpeggiare le proprie vacche o che inviano all’alpeggio solo quelle in fase avanzata di lattazione o già “asciutte” e le manze, le giovani bovine che non hanno ancora partorito. Per comprendere questa tendenza bisogna tenere presente che le vacche allevate al giorno d’oggi non sono solo molto più produttive, ma presentano anche una taglia nettamente più elevata rispetto al passato. Il peso di una vacca da latte è attualmente pari a più del doppio di quello di una vacca di montagna di un secolo fa, che era ovviamente molto più adatta per peso e agilità a spostarsi lungo ripidi sentieri e a pascolare su pendii accidentati. Un patrimonio da recuperare Le malghe e le strutture dell’alpeggio - più di 700 malghe nel solo Veneto, quelle censite ma non tutte attive - rappresentano oggi un patrimonio straordinario: dal punto di vista economico, per la produzione di formaggio e burro di malga che
Foto in bianco e nero di Mariano Lio
profumano di tutte le essenze che ogni pascolo custodisce, ma anche dal punto di vista storico, per la salvaguardia della memoria di modi e governi delle risorse naturali, di saperi antichi, di economie sostenibili. Si tratta di recuperare anche un patrimonio architettonico che aveva una sua efficienza nei materiali e nelle tecniche costruttive. Ma l’alpeggio oggi si carica anche di valori e sensibilità nuove: il recupero e la salvaguardia dell’ambiente, dei pascoli, dei prati, della straordinaria biodiversità di erbe e fiori che profumano il latte e i formaggi prodotti. Con il recupero degli alpeggi si è intrapresa anche un’azione di salvaguardia delle razze alpine: è nata la FERBA - Federazione Europea delle Razze Bovine del sistema Alpino. Queste le razze: Abondance, Grigio Alpina, Herens, Hinterwälder, Pinzgauer, Rendena, Tarentaise, Tiroler Grauvieh, Valdostana, Vordelwälder, Vosgienne. Razze da salvaguardare perché idonee per l’alpeggio e il pascolo d’alta montagna, depositarie di un patrimonio genetico importante, parte integrante di un patrimonio culturale specifico delle popolazioni alpine, all’origine di prodotti tipici, che non contribuiscono alle eccedenze comunitarie di latte. Si aggiunga a tutto questo il fatto che malghe e alpeggi sono diventati meta e oggetto di un nuovo turismo di montagna che unisce ambiente, paesaggi, saperi e sapori: una miscela unica. Aveva forse ragione Heidi a voler vivere con il nonno sull’Alpe insieme a Peter.
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Danilo Gasparini
I formaggi di Malga Verde L’avventura della famiglia Cortese ha inizio nei primi anni ‘80, quando i fratelli Maurizio e Cristiano iniziano la loro professione di allevatori, partendo con le poche mucche che una volta appartenevano al padre. Nel 2000 il comune di Conco decide di ristrutturare l’allora vecchia Malga Verde, una bellissima realtà situata a 1054 metri di altitudine a Conco (VI), in località Val Lastaro, sull’Altopiano di Asiago. Nel 2003 Maurizio e Cristiano decidono così di mettersi alla prova, trasformando il latte delle proprie mucche. Una scelta azzeccata, visti i numerosi riconoscimenti ottenuti dai loro formaggi negli ultimi 10 anni!
Oggi Maurizio si occupa della gestione dell’allevamento, con 70 vacche in lattazione, di razza Bruna e Frisona. Ma da giugno a settembre tutta la famiglia collabora nella gestione della malga: i due figli Davide e Michele sono i casari ufficiali, la figlia Milady si occupa del punto vendita e dell’amministrazione e nel week end è “arruolata” anche la moglie Manuela. E per la prossima stagione la famiglia Cortese vorrebbe aprire anche l’agriturismo. Un ulteriore passo per valorizzare la montagna, non solo attraverso i prodotti ma anche con l’ospitalità.
caciotta malga verde
asiago pressato dop prodotto della montagna
fior di latte malga verde
cod 30813 peso 600 g circa
cod 30810 peso 13 kg circa
cod 30812 peso 2,5 kg circa
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ACCIUGHE DAL NORD
acciughe dal nord Le Acciughe Cantabriche di Yurrita e Hijos, una delizia del mare proveniente dalle acque del nord della Spagna
Considerate le acciughe più buone del mondo, le Acciughe Cantabriche sono più grasse e carnose delle sorelle del Mediterraneo e hanno un gusto e una consistenza uniche. Nel Mar Cantabrico, infatti, le acciughe hanno la possibilità di nutrirsi con maggiore abbondanza in acque ben ossigenate e piuttosto fredde. Ciò le porta a sviluppare carni grasse e succose, caratteristiche di grande pregio. Proprio sulla costa basca del Mar Cantabrico,
nel paese di Mutriku, l’azienda Yurrita trasforma le acciughe pescate fresche in ricercate specialità conservate. Yurrita venne fondata nel 1867 e oggi, all’anniversario dei 150 anni, è giunta alla quinta generazione. Una storia lunga che si fonda sul legame con la tradizione e l’attenzione per la qualità in ogni fase della filiera: dall’acquisto delle acciughe nei porti vicini, alla pulizia maniacale del pescato, dalla salamoia e stagionatura al confezionamento.
acciughe in olio d’oliva - latta 50 g
acciughe in olio evo - latta 80 g
acciughe in olio evo - vasetto 100 g
cod 93689 | peso 50 g 6-8 filetti
cod 93676 | peso 80 g 10 filetti
cod 93675 | peso 100 g 14-16 filetti
novità
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Le novità: acciughe sotto sale e latta monoporzione Tra le specialità di Yurrita evidenziamo qui in particolare due novità. Le Acciughe cantabriche sotto sale, in latta da 1 kg, realizzate per essere sfilettate a mano e per questo utilizzabili in infinite modalità, in base ai propri gusti. In bocca sono morbide, con una buona struttura e tendono a sciogliersi sul palato. Decisamente sapide, vanno sciacquate più volte prima dell’utilizzo. Altra nuova arrivata è la latta da 50 g di Acciughe Cantabriche in olio d’oliva. Le acciughe sono disposte in filetti interi, ben ripuliti, senza tagli o rotture. Le carni hanno una buona consistenza e al palato presentano una piacevole complessità aromatica, con una sapidità mai eccessiva. Il piccolo formato, quasi una monoporzione, è ideale per il servizio diretto al tavolo, originale
ma allo stesso tempo raffinato. La stessa tipologia di acciughe, conservate in olio, extra vergine d’oliva oppure di girasole, è disponibile anche in formati più grandi, in latta da 80 g o in vasetto da 100 g. Il calibro maggiore invece contraddistingue le Acciughe Cantabriche “00”, dei filetti particolarmente grassi, le cui dimensioni richiedono un tempo pi lungo di immersione in salamoia. Ciò conferisce un colore più chiaro ai filetti, ma una sapidità sempre poco invadente, che mitiga la dolcezza della carne. E, per non sprecare nulla, due idee direttamente dal Salon du Gourmet di Madrid: le latte delle acciughe possono essere riutilizzate per servire dei finger food; le lische fritte diventano degli stuzzichini croccanti per un aperitivo originale.
acciughe “00” in olio EVO
acciughe in olio di girasole
acciughe sotto sale
cod 93677 | peso 100 g 8 filetti
cod 93688 | peso 290 g 32-36 filetti
cod 93673 | peso 1 kg
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novità
speciale farro
NOTIZIE la cucina DA di VALSANA qb
Monococco, dicocco o Spelta? Perlato o decorticato? Un piccolo approfondimento per conoscere questo antico cereale e provarlo in cucina con le ricette di Anna Maria Pellegrino
novità
Farro Dicoccum - Perlato
Farro Spelta - integrale
Farro della specie Dicoccum coltivato, da Cascina Oschiena in ambiente a biodiversità protetta con tecniche di produzione integrate, che uniscono alla garanzia delle produzioni la tutela dell’ambiente. Il farro in natura presenta un rivestimento denominato “glumetta”; la decorticazione permette la rimozione del rivestimento esterno ottenendo dei chicchi integrali nudi. In seguito il chicco viene “perlato”, viene cioè rimosso dello strato esterno della cariosside, chiamato “pericarpo”, che rende il cereale di colore più chiaro. In questo modo il cereale non perde alcun principio nutrititivo ed è più veloce a cuocersi. Ideale per la preparazione di insalate. Cottura: 20 minuti, non richiede ammollo
Farro grande alpino o Spelta, coltivato nei territori dolomitico-montani della Val Belluna dalla Cooperativa La Fiorita. Esistono tre varietà di farro: piccolo o monococco (Triticum monococcum), medio o dicocco (Triticum dicoccum), grande o spelta (Triticum spelta). E’ integrale perchè viene solo sbramato o decorticato, un’operazione che consiste nell’eliminazione delle glume dal cereale: ciò fa sì che il chicco rimanga intero e mantenga tutte le proprietà salubri e naturali del cereale. Ideale nelle zuppe. Vi consigliamo di lasciarlo in ammollo per 12 ore e poi cuocerlo per circa 30 minuti. codice 93717 | peso 300 g
codice 93826 | peso 500 g
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Anna Maria è cuoca e foodblogger. Nella sua cucina la fantasia è un ingrediente che non manca mai. Ma non è l’unico: la sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo
Tre piatti unici per un cereale trasformista La nascita delle civiltà stanziali è strettamente legata alla coltivazione dei cereali e la loro storia inizia circa 11 mila anni fa, nei villaggi lungo il fiume Giordano. Lì per la prima volta l’uomo si accorse che durante la stagione calda, piccole piante spontanee producevano spighette contenenti semi commestibili. Lasciati sul terreno, davano origine ad altre spighette identiche alle precedenti. Una vera rivoluzione! Gli uomini non furono più costretti al nomadismo e a raccogliere, e di volta in volta selezionare, bacche, frutti, foglie, radici e tuberi. Finalmente ebbero la possibilità di contare su un alimento nutriente che era possibile conservare, trasformare e cucinare.
difficoltà. I Romani, per non lasciar nulla al caso, affidavano alla dea Cerere (da cui il termine “cereali”) i destini dei raccolti e dell’abbondante disponibilità.
Con gli insediamenti umani si modificò anche il paesaggio: i campi dovevano essere preparati ed irrigati, servivano case e strade, negozi e luoghi in cui incontrarsi e confrontarsi. E nacquero anche tutte quelle attività legate alla presenza dei cereali: non solo il contadino, quindi, ma anche il mugnaio e il panificatore. I primi della storia furono sicuramente gli Egizi che, complici le alluvioni del Nilo, potevano contare su due raccolti all’anno.
Trasformista e utilizzabile dall’antipasto al dolce sotto forma di chicco, sia decorticato (necessita di ammollo prima dell’utilizzo), che perlato (dalla cottura veloce); in veste di farina da utilizzare sia in purezza che miscelato a farina di frumento e di segale. Addirittura soffiato, per colazioni povere di calorie e di zuccheri ma ricche di energia. Ed infine i chicchi, torrefatti e macinati, possono essere utilizzati per preparare una bevanda simile al caffè.
I cereali più coltivati fin da subito furono tre: il farro, un tipo di frumento e l’orzo furono così importanti da diventare addirittura moneta di scambio. Gli Etruschi dimostrarono grandi capacità di coltivazione del farro, tanto da rifornire anche i Romani durante i momenti di
Il menù di questo mese racconta proprio la capacità trasformista di questo incredibile cereale, proposto in tre piatti unici da utilizzare per un pranzo o una cena leggeri e nutrienti, completati con un po’ di frutta o verdura fresche.
Il successo del farro conobbe un periodo di crisi a causa del fascino del chicco e della delicata farina del frumento. Ma negli ultimi anni, grazie a una maggiore consapevolezza circa l’importanza dell’alimentazione per mantenere il proprio organismo in salute, è tornato sotto le luci della ribalta. Le sue argomentazioni? Ottime qualità nutritive, dalle proprietà rinforzanti ed energetiche, ricco di proteine, minerali, vitamine (A, B, C, E) e tante, tante fibre naturali.
Anna Maria Pellegrino
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Le Ricette “effe” ovvero INSALATA CROCCANTE DI FARRO, FAGIOLINI, FETA E FICHI La sapidità della feta, la croccantezza dei fagiolini, la dolcezza dei fichi e la personalità del farro per un’insalata che ad ogni assaggio rinfresca, nutre e appaga. Gli ingredienti possono essere cotti, conservati separatamente e assemblati all’ultimo momento. Se avete voglia di uno sprint ancora più fresco è possibile sostituire il basilico con la menta.
Ingredienti (per 4 persone) : 320 g di farro perlato; 200 g di fagiolini; 200 g di feta; 1 cucchiaino di mix speziato in polvere, tipo
Rad al Hanut (o quelle che preferite); 1 cucchiaino di semi di nigella; 1 cucchiaio di pinoli; un mazzetto di basilico fresco; 1 limone bio; olio evo; sale in fiocchi; 4 fichi Scolare la feta e tagliarla a dadini. Ottenere dal limone il succo, grattugiare finemente la scorza e preparare una citronette aggiungendo tre cucchiai di olio evo, il mix di spezie preferito, i semi di nigella: mescolare il tutto alla feta, delicatamente, e lasciar riposare in frigo fino al momento del servizio. Lessate il farro, dopo averlo sciacquato, per 15’ e gli ultimi 5’ unite i fagiolini mondati e tagliati a metà. Scolarli, condirli con un filo di olio evo e lasciarli raffreddare per 10’. Nel frattempo tagliate in spicchi i fichi e a julienne le foglie di basilico e tostate in padella i pinoli. Mescolate la feta al farro e fagiolini, così da insaporire bene il tutto, unendo il basilico e i pinoli. Servire decorando il piatto con qualche foglia di basilico e gli spicchi di fico.
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paella allo scoglio Le giornate lentamente si accorciano e la nostra pelle è ancora dorata a ricordo dei salubri raggi solari. E perchè non ricreare la vacanza condividendo in terrazza un piatto di mare? Con questa ricetta crostacei e molluschi renderanno unici i chicchi di farro. E non dimenticate di brindare con un calice di bollicine.
Ingredienti (per 4 persone) : 400 g di farro perlato; 400 g di cozze; 400 g di vongole; 16 gamberoni o scampi; 1/2 bicchierino di brandy; 2 spicchi d’aglio; 1 scalogno; 1 bustina di zafferano; olio evo; prezzemolo fresco; sale; pepe bianco Lasciare in ammollo le vongole in acqua fredda salata per almeno 30’, spazzolare le cozze ed eliminare la “barba”. Pulire gli scampi, lasciandone quattro interi, mettendo da parte i carapaci e le teste ed eliminando il budellino interno. Scaldare una casseruola dal fondo pesante, unire
un filo d’olio, le teste e i carapaci degli scampi e rosolarli per qualche minuto a fuoco vivace, schiacciando con un mestolo. Sfumare con il brandy, far evaporare, versare un litro di acqua freddissima e qualche cubetto di ghiaccio, far riprendere il bollore, unire lo scalogno intero e far sobbollire coperto per 15’. Filtrare con un colino e mettere da parte. Nel frattempo in un’ampia padella scaldare un cucchiaio d’olio, unire l’aglio in camicia e dopo qualche minuto le vongole: coprire con un coperchio e continuare la cottura per 8’10’, fino a quando si saranno tutte aperte. Ripetere l’operazione in un’altra padella con le cozze. Filtrare l’acqua di cottura di entrambi i molluschi e mettere da parte. In una casseruola unire i fondi di cottura (scampi e molluschi), portare a bollore e cuocere dolcemente il farro, aggiungendo dell’acqua se necessario. Sgusciare cozze e vongole cotte, lasciandone qualcuna intera e cuocere per 3’-4’ gli scampi lasciati interi in una padella antiaderente molto
calda. Pochi minuti prima della cottura unire al farro gli scampi puliti tagliati a tocchetti, lo zafferano e, lontano dal fuoco unire i molluschi e il prezzemolo tritato. Mescolare, regolare di sale se necessario, e servire con i molluschi e gli scampi interi e un’abbondante macinata di pepe bianco.
faRRO ALLA ZUCCA CON NOCI E ROSMARINO Con il primo settembre l’autunno meteorologico bussa alle porte e torna la voglia di colori morbidi e di profumi avvolgenti, come se stessimo passeggiando in un bosco. L’autunno è anche il momento dell’anno giusto per rinnovare la nostra alimentazione, imparando a volerci bene anche a tavola: farro, zucca, lenticchie, noci e curcuma per un primo piatto ricco di Omega3.
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Ingredienti (per 4 persone) : 320 g di farro; 500 g di zucca, polpa; 2 cucchiai di lenticchie verdi; 2 cucchiai di lenticchie rosse; 1 scalogno; 1 cucchiaino di polvere di curcuma; 3 noci; rosmarino fresco; brodo vegetale; olio evo; sale; pepe nero Cuocere la zucca mondata e privata della buccia a vapore per 10’ oppure al microonde per 5’ a 800W. Mondare e tritare finemente lo scalogno e rosolarlo in una casseruola dal fondo pesante con un paio di cucchiai di olio evo, tostare il farro (come se fosse riso), unire le lenticchie e coprire con un paio di mestoli di brodo vegetale, o acqua, caldi e continuare la cottura come fosse un risotto. Nel frattempo tritare finemente le noci, gli aghi di rosmarino e 5’ prima della fine della cottura del farro aggiungere la zucca. Portare a termine la cottura unendo la polvere di curcuma e lontano dal fuoco mantecare con un paio di cucchiai di olio evo, le noci e il rosmarino tritati. Servire con un’abbondante macinata di pepe nero.
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