I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A | 0 4 . 2 0 1 8
SOMMARIO
EDITORIALE di martina iseppon
SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Alessandro De Conto, Matteo De Santi, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Elisabetta Meda, Anna Maria Pellegrino, Johnny Tomè
L’estate ci mette addosso la voglia di viaggiare. Più del solito. Partiamo (e chiudiamo in realtà) con un omaggio al Trentino: la visita al Caseificio di Primiero ci offre la scusa perfetta per raccontarvi il progetto del Trentingrana DOP di Alpeggio, mentre in chiusura Anna Maria ci delizia con tre ricette sulla Carne Salada di Cis Massimo. Facciamo una puntatina a Norcia, con l’intervista di Giulia Basso ad Alessandro Perticoni di Poggio San Giorgio. Scendiamo in Campania per farci riempire occhi e “core” dalla costiera amalfitana, con uno stop a Cetara al ristorante dei due Gennari, dove assaggiamo le loro acciughe (peccato non poter fare una capatina anche a Erchie dove hanno un food bar sulla spiaggia). Torniamo verso nord, per incontrare due produttori che fanno l’ingresso nella nostra scuderia proprio a partire da questo numero: prima in Valtellina, da Nicola Paganoni dove assaggiamo due bresaole fuori dagli schemi e poi a Pordenone, in Friuli, da Alessio Brusadin con i suoi chutney. Siamo praticamente a casa, giusto in tempo per ripartire con Alessandro in un viaggio per cogliere e apprezzare le differenze... Non solo delle ricotte.
Direttore: Giulia Basso In copertina: Cesare, casaro del Caseificio di Primiero Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via E. Maiorana 3/A - Santa Lucia di Piave TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017
Martina Iseppon
VALSANA | 02
SOMMARIO luglio | agosto 2018
viAGGIO IN trentino | trentingrana di MALGA
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intervista al produttore | poggio san giorgio
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GEOGRAFIA DEL GUSTO | E TU, DI CHE RICOTTA SEI?
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NOVITà | BRESAOLE FUORI CONCORSO 14 NOVITà | ALICI O SARDE? 16 NOVITà | VOGLIA DI FRUTTA 17 NOVITà | LA DISPENSA DI BRUSADIN 18 L’ABC DEI FORMAGGI | I FERMENTI LATTICI
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FORMAGGI & COMPAGNI | la nascita della via lattea padana 24 insoliti ABBINAMENTI | CHAMPAGnE & FORMAGGIO 27 LA CUCINA DI QB | L’ESTATE IN TRENTINO
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NOTIZIE DA VALSANA | SHOP.VALSANA.IT
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trentingrana di malga presidio slow food
viaggio in trentino
Vi raccontiamo la nostra visita al Caseificio di Primiero, uno dei due caseifici che producono il Trentingrana di Malga, Presìdio Slow Food da settembre 2017 il Bòtiro di Primiero, il Casolèt a latte crudo della Val di Sole. - “Dopo i primi test abbiamo iniziato con una piccola produzione e le prime forme di Trentingrana di Malga sono state presentate nella via dei Presìdi al Cheese 2017”.
Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia ed è Responsabile Marketing in Valsana dal 2003
Appuntamento alle 7 in pasticceria con Beatrice Mancini, la “nostra” fotografa. Arrivo ovviamente in ritardo, ma non rinuncio a un buon cappuccio e una buona brioche - tradizione che mi porto dalle trasferte con Gino Magro. Recuperiamo lungo la Feltrina e alle 8.30 siamo a Fiera di Primiero. Arriviamo fino a Siror per scoprire che in realtà il Caseificio di Primiero è a Mezzano - mi dice Franco Fattarsi quando lo chiamo al telefono - sulla vecchia statale. Ti pareva! Reimposto il navigatore e finalmente riusciamo ad arrivare in caseificio, giusto in tempo per vedere l’estrazione della cagliata. Franco, che sarà la nostra guida durante la visita al caseificio, me lo ricordo da sempre. “Lavoro con il Gruppo Formaggi del Trentino dal 1981” mi racconta. Prima in caseificio, fino a diventare vice casaro, poi in magazzino, quindi al banco. Oggi collabora con il commerciale/marketing per la promozione dei formaggi del gruppo. Obiettivo principale della mattinata è scattare la foto di copertina a Cesare, il casaro. All’inizio non sembra entusiasta dell’idea, ma non ci facciamo scoraggiare. Innanzitutto ne approfittiamo per fotografare la lavorazione, che oggi prevede: Trentingrana, Tosèla e Nostrano di Primiero. Mentre Beatrice scatta alcune foto, cercando di non intralciare e incassando, nonostante ciò, qualche sguardo truce, ne approfitto per chiedere a Franco come è nato il progetto del Trentingrana di Malga. “L’idea è nata tre anni fa parlando con Giampaolo Gaiarin di Slow Food” - con cui il Gruppo Formaggi del Trentino collabora già da tempo per diversi Presìdi: il Puzzone di Moena di malga,
Al momento solo due caseifici producono il Trentingrana di Malga: il Caseificio di Primiero, con una produzione di circa 1.000 forme a stagione e il Caseificio Presanella in Val di Sole, che ne produce altre 150. “Siamo partiti solo con due caseifici perchè il disciplinare di produzione concordato con Slow Food è molto rigido, per cui era necessario seguire bene tutte le fasi della lavorazione. Abbiamo però intenzione di coinvolgere a breve nel progetto altri tre caseifici, per arrivare a una produzione di circa 2.000 forme, che è la richiesta che attualmente abbiamo dal mercato. Stiamo studiando una pelure per differenziare il prodotto di alpeggio dal prodotto tradizionale non possiamo lavorare sullo scalzo che riporta il marchio del consorzio e il numero del casello. Si pensava di stampare sul piatto la scritta Presidio Slow Food con il marchio a fuoco della chiocciola, ma siamo ancora in fase di definizione”. In ogni caso il colore della pasta lo rende inconfondibile. Ma andiamo per ordine. Quali sono le differenze rispetto al Trentingrana che conosciamo? chiedo a Franco. “Ciò che distingue il prodotto di alpeggio è la materia prima, cioè il latte, che deve essere prodotto al 100% in malga”. Il Caseificio di Primiero raccoglie il latte di tre malghe: Malga Fosse, a 1.954 metri di altitudine nel comune di Siror; Malga Juribello, a 1.868 metri e Malga Rolle a 1.980 metri nel comune di Tonadico, tutte certificate dal marchio qualità Trentino. Malga Rolle e Malga Fosse, tra l’altro, sono gestite direttamente dal Caseificio di Primiero. Il latte viene portato in caseificio e lavorato separatamente.
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L’ALPEGGIO DI MALGA Juribello - 1868 metri franco Fattarsi, nostra guida durante la visita al Caseificio di Primiero, collabora con il Gruppo Formaggi del Trentino dal 1981. Ci racconta che il Caseificio di Primiero è uno dei due caseifici che producono, esclusivamente d’estate, il Trentingrana di Malga, Presìdio Slow Food, utilizzando il latte di tre malghe (Malga Fosse, Malga Juribello e Malga Rolle) che si trovano a circa 1.980 metri di altitudine VALSANA | 5
viaggio in trentino
Purtroppo non riusciamo a visitare l’alpeggio, la stagione non è ancora iniziata: “Proprio domani iniziamo a caricare il bestiame” - conferma Alberto Bettega, direttore del Caseificio - “circa 370 capi che poi resteranno in alpeggio fino a metà settembre. Si tratta prevalentemente di vacche di razza Bruna Italiana, ma c’è anche qualche Grigia Alpina e qualche Pezzata Rossa. E ancora qualche Frisona, anche se sempre meno. Preferiamo di gran lunga le vacche di razza Bruna che, anche se sono meno produttive delle Frisone, hanno un latte più grasso e più performante nella caseificazione”. Da disciplinare gli animali vivono al pascolo e rientrano in stalla solo per la mungitura. Oltre all’erba, la loro alimentazione prevede una integrazione minima, a base di cereali (non OGM). Il latte di malga di due mungiture, una volta scremato per affioramento, viene posto in caldaie di rame, da ciascuna delle quali si ricavano due forme. Dopo l’aggiunta del sieroinnesto, ottenuto dalla lavorazione del giorno precedente, il latte viene riscaldato a 31-33°C, quindi viene aggiunto il caglio di vitello. Dopo circa 10-13 minuti si procede alla rottura della cagliata con lo spino e alla successiva cottura,
mescolando e portando alla temperatura di 53-55°C. La cagliata, che si deposita sul fondo della caldaia, riposa per circa un’ora quindi, il casaro, con una pala di legno e un telo, la solleva dal fondo e la taglia in due parti uguali (gemellatura). Le due masse sono quindi collocate in fascere su un piano di legno dove subiscono una leggera pressatura. Si procede quindi alla salatura in salamoia per 20-24 giorni e infine alla stagionatura. Nel frattempo Beatrice è riuscita a strappare più di un sorriso a Cesare e anche a Valerio, vice casaro. Non solo. è addirittura riuscita a convincere tutti a fare una foto di gruppo. Alberto Bettega ci accompagna a visitare il magazzino di stagionatura, uno spettacolo sempre suggestivo. “Il Trentingrana viene stagionato per 9 mesi nel Caseificio di Primiero - ci spiega - e poi trasferito a Segno di Taio, nei magazzini di stagionatura del Gruppo Formaggi del Trentino. Solo a 18 mesi le forme scelte vengono marchiate Presìdio Slow Food”. Concludiamo la visita con un selfie assieme a Cesare. Non ci sono dubbi: lo abbiamo conquistato!
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Trentingrana di Malga, Trentingrana e Grana Padano DOP. Quali differenze? Il territorio
trentingrana di malga casello tn310 Formaggio a denominazione di origine prodotto con latte crudo ottenuto da vacche di razza Bruna Italiana, Grigia, Pezzata Rossa e Frisona alimentate al pascolo, con una integrazione minima, a base di cereali (non OGM). Il latte, prodotto in tre malghe (Malga Fosse, Malga Juribello e Malga Rolle) a circa 1.980 metri di altitudine, esclusivamente d’estate, viene lavorato nel Caseificio di Primiero. Viene stagionato per 9 mesi nel Caseificio di Primiero e poi trasferito a Segno di Taio, nei magazzini del Gruppo Formaggi del Trentino. A 18 mesi solo le forme scelte sono marchiate Presìdio Slow Food e proseguono la stagionatura fino a 22/24 mesi. La pasta ha un colore giallo paglierino che rende immediatamente riconoscibile il formaggio di alpeggio da quello di valle. Allo stesso modo è riconoscibile in degustazione: al palato offre sensazioni complesse, con importanti note erbacee, sentori di caramello e una leggera astringenza. cod 34230 | forma intera da 34 kg cod 34233 | 1/8 da 4 kg circa
Per il Trentingrana di Malga viene utilizzato solo latte 100% di alpeggio, prodotto a 1.980 metri di altitudine. Il latte con cui si produce invece il Trentingrana tradizionale proviene da aziende zootecniche che si trovano a un’altitudine superiore a 600/800 metri. La montagna è un luogo che offre la possibilità di avere un latte inconfondibile, genuino e fresco; un contesto dove i metodi di produzione adottati sono molto diversi dalle metodologie industriali che caratterizzano i grandi allevamenti della Pianura Padana. L’alimentazione delle bovine Per il Trentingrana di Malga le bovine sono alimentate al pascolo, con una integrazione minima, a base di cereali (non OGM). Il Trentingrana tradizionale è prodotto con latte ottenuto da bovine alimentate esclusivamente con foraggio e con mangimi NON OGM autorizzati dal Consorzio, con il divieto assoluto di utilizzo di insilati, che sono invece ammessi dal disciplinare del Grana Padano DOP.
poggio san giorgio
INTERVISTA AL PRODUTTORE
“Dall’attento racconto di Alessandro di tutte le fasi di lavorazione del prosciutto, dalla coscia al prodotto finito, si capisce perché il nome norcino abbia avuto origine proprio da quelle parti”
Una stagionatura fatta a quasi mille metri d’altitudine, sfruttando tecnologie d’avanguardia che consentono ai prosciutti di respirare la magica aria di montagna, aggiustando però la temperatura e l’umidità in base alle esigenze delle varie fasi. E’ questo uno dei principali segreti della bontà dei prodotti dell’azienda Poggio San Giorgio, che dal piccolo borgo di Agriano, in mezzo a prati e natura, difende l’antichissima tradizione di Norcia della lavorazione e della conservazione del maiale. Siamo sull’altipiano che divide Cascia da Norcia: qui le alte vette appenniniche evitano l’afflusso dell’aria umida dal mare, creando condizioni perfette per la produzione di prosciutti e insaccati di altissima qualità e dalle peculiarità uniche, tra cui il celeberrimo prosciutto di Norcia, marchio IGP dal 1998.
Ne abbiamo parlato con Alessandro Perticoni, che dal 2004 porta avanti l’azienda fondata dal padre Daniele a metà degli anni settanta: Poggio San Giorgio è uno dei dieci produttori del consorzio del prosciutto di Norcia IGP e dall’attento racconto di Alessandro di tutte le fasi di lavorazione del prosciutto, dalla coscia al prodotto finito, si capisce perché il nome norcino abbia avuto origine proprio da quelle parti. A Poggio San Giorgio salatura e sugnatura, ci dice Alessandro, sono fatte a mano e la tecnologia è d’aiuto nel portare avanti la tradizione: la stagionatura se ne avvale per sfruttare al meglio le straordinarie condizioni climatiche offerte dall’ambiente circostante.
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Una stagionatura a mille metri di altitudine, nel borgo di Agriano
Giulia Basso è giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017
Alessandro, come e quando è nata l’azienda Poggio San Giorgio? Siamo nati nel ’75. L’azienda è stata inizialmente fondata ad Assisi come impresa di famiglia da mio padre Daniele, che è partito commercializzando prosciutti. Negli anni ‘80 ha iniziato ad acquistare materia prima fresca che veniva fatta stagionare in conto lavorazione e si è specializzato nella stagionatura, fino a riuscire ad acquistare, verso la fine degli anni novanta, lo stabilimento di Agriano, dove operiamo oggi. Io avevo finito di studiare e tra il 2000 e il 2004 l’abbiamo rimesso a posto assieme e abbiamo avviato la produzione, smettendo di fare lavorazione per conto terzi e iniziando a farci i prosciutti autonomamente. Perché la scelta di trasferirvi con i laboratori da Assisi a Agriano? La nostra residenza è ad Assisi, ma mio padre e mia madre si sono conosciuti e fidanzati qui a Norcia, perciò sono sempre stati legati affettivamente a questa zona. Mio padre aveva iniziato la sua attività ad Assisi, ma accolse con piacere la possibilità di rilevare uno stabilimento ad Agriano, anche perché nel frattempo, erano gli anni ’90, fu riconosciuta la certificazione IGP del prosciutto della zona di Norcia. Perciò facemmo un investimento per rendere operativo il prosciuttificio e spostammo il lavoro in questo territorio.
Com’è strutturata l’azienda oggi e quante cosce di maiale lavorate in media ogni settimana? Oggi abbiamo una decina di dipendenti, di cui la maggior parte è impiegata in produzione, e lavoriamo circa mille prosciutti a settimana. Attualmente stiamo ampliando il magazzino per riuscire ad ospitare stagionature più lunghe. Per quale ragione avete deciso di stagionare di più i vostri prosciutti? Anche se il disciplinare impone unicamente un parametro minimo di 12 mesi le esigenze di mercato sono cambiate e il consumatore desidera un prodotto sempre più dolce. La dolcezza è data proprio dalla stagionatura: oggi, a differenza del passato, non è strano vendere prosciutti da 18-20 mesi. Dove acquistate le carni che poi lavorate? Le carni sono tutte italiane. Per certi prodotti, come il Peduccio, le acquistiamo direttamente qui in Umbria. Per gli altri invece arrivano principalmente dall’alta Italia, spesso dalle stesse zone di produzione del Parma e del San Daniele: Parma, Reggio Emilia, Mantova, Cremona. Scegliamo i fornitori facendo degli attenti controlli di qualità sia in partenza che per tutti i carichi che c’arrivano. Quali sono le caratteristiche del prosciutto di Norcia? Il prosciutto di Norcia si distingue da un Parma o da un San Daniele perché oltre al sale è aromatizzato anche con aglio e pepe. Per altri insaccati la tradizione umbra richiede anche del vino, che invece non è previsto nel disciplinare del prosciutto di Norcia. La ricetta storica prescrive di pestare l’aglio nel mortaio insieme al vino, aggiungendo poi il sale.
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intervista al produttore
Qual è il primo passo per un prodotto di qualità?
Come avviene la stagionatura e perché è importante?
La prima fase e la più importante è il ricevimento della carne e il controllo qualità. Quando riceviamo le carni facciamo controlli sulla temperatura, visivi sull’aspetto, e sul Ph, che è un fattore importantissimo per la stagionatura: dev’essere compreso tra 5,7 e 5,9. Visivamente la coscia non dev’essere né troppo grassa né troppo magra, presentarsi uniforme e con la cotenna “giusta”, senza venature e senza ematomi.
Nel corso della stagionatura il prosciutto acquista il suo sapore unico: per questo è importante. La prima fase dura tre mesi, quindi dal 170° al 190° giorno il prosciutto viene sugnato: la parte magra viene ricoperta con uno strato di grasso, che serve ad ammorbidirla esternamente e consentire all’umidità residua di fuoriuscire. Quindi c’è l’ultima fase, che dura almeno sei mesi: il prosciutto sta in cella a una temperatura dai 17 ai 19 gradi e un’umidità del 70-75%. Le nostre cosce respirano aria di montagna, perché abbiamo un sistema che preleva l’aria dall’esterno, la regola in temperatura e umidità, e la immette nelle celle. Al dodicesimo mese il prosciutto viene controllato dagli ispettori del Consorzio e se idoneo timbrato con il marchio a fuoco IGP. Quindi si può continuare la stagionatura fino a 16-18 o addirittura 20 mesi, in base al prodotto che si ha: le lunghe stagionature sono adatte alle cosce di dimensioni maggiori e con una maggiore quantità di grasso.
E poi? Passato quest’esame il prodotto viene rifilato, per dargli il classico aspetto “a pera” del prosciutto di Norcia: lo scoroniamo abbondantemente, con una sgambatura della cotenna più pronunciata rispetto a quella di un San Daniele o un Parma. Ciò gli fa perdere più facilmente l’umidità, conferendogli un aspetto più asciutto. Quindi si passa alla prima salatura, con una miscela di sale, aglio e pepe. Dopo sei giorni è la volta della seconda salatura: si toglie il sale messo sei giorni prima e si utilizza stavolta solo sale bianco, senza aromi, per ottenere un gusto bilanciato che venga esaltato dalla stagionatura. Come si prepara il prosciutto alla stagionatura? Attraverso la fase di riposo: al prosciutto si toglie il sale “soffiandolo via” e viene appeso in una cella fredda dove sta per circa 90 giorni. Questo procedimento fa sì che il sale, che nelle prime fasi di salatura è penetrato solo per pochi centimetri, si possa distribuire uniformemente all’interno di tutta la coscia. Poi il prosciutto viene lavato per togliere i residui di sale rimasti, asciugato e messo in una cella che in 36-48 ore elimina ulteriori tracce d’acqua. Quindi si può passare alla stagionatura.
Quali abbinamenti consigliereste? Un abbinamento classico e di stagione è il melone, uno più particolare ma sempre gradevole è il fico. Per il classico abbinamento col pane consiglio quello “sciapo”, senza sale come da tradizione umbra, o la “torta al testo”, anch’essa tradizionale: una sorta di piadina cotta su un disco di ghisa e fatta con farina, acqua e lievito, senza sale. E come vini? In Umbria il prosciutto di solito si accompagna col vino bianco. C’è chi preferisce un bianco frizzante, e allora sono perfetti i prosecchi della zona di Conegliano, chi un bianco secco, per cui consiglierei un vitigno autoctono come il Ghechetto.
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I Prodotti
Prosciutto di Norcia IGP
Fetta reale di casa Norcia
Classico Prosciutto di Norcia IGP dal taglio corto e dalla scotennatura “alta”, stagionato 16/18 mesi.
Polpa di coscia di suino disossata, dal gusto dolce e piacevolmente saporito, che stupisce il palato a dispetto della breve stagionatura. La forma è quella della coscia disossata aperta, con una scotennatura “alta” per meglio consentire l’assorbimento del sale e degli aromi.
E’ un crudo tagliato corto come il Prosciutto di Parma, ma con una scotennatura “più alta” che permette alla carne di assorbire maggiormente gli aromi: aglio e pepe. Al palato è dolce, con una leggera sapidità e una delicata nota speziata; piacevolmente lungo il retrogusto di frutta secca; la buona marezzatura rende deliziosamente solubile la fetta. La lavorazione prevede che la coscia venga salata per due volte “a sale saturo”: la prima volta con sale, aglio e pepe; la seconda volta “in bianco” cioè solo con sale; viene quindi fatto riposare per circa 3 mesi, lavato in acqua tiepida e appeso per altri 3 mesi ad asciugare; dopo circa 6 mesi viene sugnato (con grasso, farina sale e pepe) e stagionato fino a 12 mesi. Dopo la marchiatura dei prosciutti idonei, la stagionatura può proseguire fino a 16/18 o anche 20 mesi cod 79200 | peso 9 kg c/osso cod 79201 | peso 7,5 kg addobbo
E’ ottenuta da cosce di suini nazionali disossate dal fresco; per tradizione vengono lasciate soltanto due piccole ossa, quella del ginocchio e l’anchetta. La coscia viene disossata e salata per due volte “a sale saturo” come il Norcia IGP, la prima volta con aglio e pepe, la seconda volta “in bianco”, cioè solo con sale, senza aromi. Alessandro suggerisce di tagliarlo partendo dalla noce fino ad arrivare alla scalanatura del disosso; quindi di ruotarlo e proseguire nella direzione di taglio classica fino al gambetto codice 79203 | peso 7 kg circa
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geografia del gusto
e tu, di che ricotta sei? Prevalentemente vaccina al nord e ovina al centro-sud, fresca oppure affumicata, dolce o salata: parliamo della ricotta!
Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export
Il profumo dolciastro di siero e cagliata si sente chiaro nell’aria, la temperatura in caseificio è elevata così come l’umidità, la casara attende che i fiocchi di ricotta vengano a galla in caldaia e delicatamente li raccoglie con un mestolo piatto e forato in modo che parte del siero sgrondi prima che la massa entri nella fuscella... Chiudete ora gli occhi e cercate di ripescare questa scena nella vostra memoria. Sono convinto che molti di voi abbiano ripreso il ricordo di una ricotta assaggiata ancora calda, vista produrre presso la latteria del paese o visitando qualche caseificio in giro per l’Italia, o ancora il pensiero di una giornata in alpeggio dove acquistare una ricotta affumicata diventava quasi un obbligo famigliare. Il ricordo di un cibo fruito nel passato fa scaturire a catena altri ricordi legati alle persone con cui magari l’abbiamo condiviso, che bellezza!
Mi pare quindi naturale intraprendere questo viaggio tra le ricotte del Bel Paese partendo proprio da casa nostra, il Veneto. Qui la Ricotta ha un nome tutto suo, dialettale, puina, dall’etimologia tutt’oggi dubbia. La prevalente presenza di bovini impone che la Ricotta più conosciuta e utilizzata storicamente nelle Tre Venezie sia quella vaccina, ma le sfumature che si possono cogliere tra diverse produzioni sono svariate e sono spesso dipese dal livello di benessere di chi produceva o di chi richiedeva la ricotta. Cerco di spiegarmi meglio facendo un salto nel passato: al tempo della benestante Repubblica Serenissima di Venezia, le famiglie nobili richiedevano una ricotta diversa rispetto a quella consumata dai servitori. Non una ricotta di solo siero, ma una ricotta ottenuta con aggiunta di latte e/o panna. Quindi non più ricavata da un ingrediente di poca importanza, bensì con il meglio che il latte possa offrire, la panna. Molto spesso l’aristocrazia ha dato il via a nuovi corsi gastronomici e la ricotta “arricchita” di latte o panna è uno di questi.
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La Ricotta Fresca Agricansiglio è proprio prodotta con aggiunta di latte e panna, ha una texture ruvida e granulosa, ma non asciutta. Al palato, al contrario, rivela cremosità ed estrema dolcezza, tanto da poter essere facilmente tramutata in dessert senza grosse aggiunte di zucchero, accompagnandola con frutta rossa, miele o cioccolato. Scendendo verso il centro Italia la ricotta vaccina lascia maggior spazio a quella ovina, prodotta soprattutto in Toscana, Lazio ed Emilia Romagna. Ci soffermiamo in particolare in Maremma, presso il Caseificio Il Fiorino, con il Fior di Ricotta di Pura Pecora, estremamente delicato, dalla grana grossolana e con fiocchi riconoscibili, come tutte le ricotte non omogeneizzate (aprite una ricotta industriale e la differenza è netta). Il sapore è dolce e contraddistinto da note di burro, le sensazioni animali sono appena percettibili. Queste prime due tappe ci sono servite come trampolino di lancio per le prossime, dove non parleremo più di ricotte fresche, da consumare in fretta, ma al contrario di prodotti salati o affumicati allo scopo di togliere umidità e poterli conservare nel tempo. Scendiamo al sud e nelle isole, dove la temperatura sale e il clima non facilita certo la conservazione di prodotti freschi, quindi si ricorre ad alcuni espedienti per allungarne la vita.
fumo e macchia mediterranea. Finitura naturale di un piatto di malloreddus, può essere accostata a un tortello alla zucca mantovano o ferrarese, così non s’offende nessuno. Parlando di primi piatti, ci spostiamo in Sicilia dove a Catania è stata inventata la Pasta alla Norma, dedicata all’opera di Bellini. Gli ingredienti principali? Melanzane, salsa al pomodoro e... ricotta salata. Che bontà! E qui veniamo a noi, la Ricotta Salata che vi proponiamo è quella di Valvo; il siero con cui viene prodotta proviene dalla produzione del Formaggio allo Zafferano e Pepe e quindi da qui deriva il colorito velatamente giallognolo. La forma è quella classica, tronco conica, il sapore è sapido e la struttura della pasta asciutta. Ha proprio bisogno di essere utilizzata in cucina per trovare il suo compimento, si aggancia splendidamente al pomodoro e alle verdure in generale. Mi piacerebbe molto continuare il viaggio in Sicilia e parlarvi della Ricotta di Pecora zuccherata per il Cannolo, ma vi faremmo solo venire l’acquolina in bocca senza poter poi esaudire il desiderio...
Crotone si erge sulla costa ionica calabrese e sulle sue colline si sviluppa l’Azienda Agricola Maiorano, un produttore che da molti anni ci offre pecorini e la Ricotta Pecorina Affumicata. Prodotto a dir poco unico per la sua forma cilindrica, i segni della fuscella dove riposa da fresca e la gentile affumicatura ottenuta da legno di ulivo e arancio. La struttura della pasta è compatta e liscia, mentre il sapore inizialmente dolce lascia spazio a leggere note di fumo e legni aromatici. Oltre al classico accompagnamento a primi piatti, proponetela in purezza ricercando l’equilibrio con una verdura di stagione e un olio extra vergine di oliva con profumi di carciofo. Tutt’altra storia quella della Ricotta di Pecora Affumicata dei fratelli Bussu, pastori sardi dell’oristanese e da molti conosciuti per il fantastico Fiore Sardo, pecorino anch’esso affumicato. La ricotta di Gianfranco e Salvatore è piuttosto grossa, il suo peso si aggira attorno a un chilo, e prima di entrare in affumicatura viene leggermente salata per donarle maggior carattere. L’affumicatura avviene accanto al Fiore Sardo, dura dai 7 agli 8 giorni e si ottiene bruciando una piccolissima quantità di legni delll’entroterra sardo, all’interno di una stanza adiacente al caseificio che funge da forno. Non essendo molto stagionata si offre all’assaggio con dolcezza e leggera sapidità, ancora un po’ umida e piacevolmente solubile, con note di latte ovino,
ricotta fresca agricansiglio cod 21035 | peso 1,8 kg circa
FIOR DI RICOTTA DI PURA PECORA cod 31346 | peso 2 kg circa
ricotta pecorina affumicata cod 25231 | peso 250 g circa
ricotta di pecora affumicata bio cod 31423 | 1 kg circa
RICOTTA SALATA SICILIANA cod 30945 | peso 1 kg circa
novità
bresaole fuori concorso Una nuova linea di Bresaole, con due fuori concorso: la Primitiva e la Chianina. Così inizia la nostra collaborazione con Paganoni
Elisabetta Meda, dopo un’esperienza nel mondo della moda, entra in Valsana nel 2014 e dal 2017 è la nostra Responsabile Acquisti
Da un po’ di tempo eravamo alla ricerca di una bresaola fuori dagli schemi, lavorata dal fresco, a partire da una materia prima di qualità, stagionata senza fretta. Quando abbiamo assaggiato la Primitiva di Paganoni è stato amore al primo assaggio. Una bresaola biologica di carne fresca, senza conservanti. Morbida al palato, con una speziatura equilibrata. Allo stesso modo ci ha colpito anche la Chianina. Una bresaola dalla fetta importante, ottenuta da una materia prima altrettanto importante: il cuore della punta d’anca di bovini di razza Chianina. Sono i due prodotti di punta di un’azienda, Paganoni, conosciuta dai professionisti per la qualità e l’affidabilità dei suoi prodotti. E proprio a partire da queste due bresaole fuori concorso ha inizio la nostra collaborazione. Un nuovo progetto che abbiamo sposato con il solito entusiasmo e che siamo orgogliosi di presentarvi in queste pagine. L’incontro con Nicola Paganoni non ha fatto che confermare le nostre aspettative. Per Nicola quello che conta è innanzitutto la qualità della materia prima. Per fare la bresaola si usano in genere i tagli magri della coscia: fesa, sottofesa, noce e girello. Quando la fesa viene privata della fascia (un muscolo), ciò che rimane è la punta d’anca. Il 99% delle bresaole di Paganoni è prodotto con tagli di punta d’anca.
Paganoni dal 2006 lavora principalmente dal fresco; solo il 15% delle bresaole è prodotto da carne congelata; in questo caso i tagli arrivano congelati, lo scongelamento dura circa una settimana perché deve essere lento e uniforme. La carne fresca proviene invece quasi interamente dalla Francia: bovini di razza Blonde Acquitaine o Garronese allevati allo stato semibrado, che hanno fese di dimensioni importanti. Le fese sono infatti scelte anche in base al peso: lo standard utilizzato è sui 9/12 kg ma per alcune selezioni particolari vengono utilizzate fese di oltre 12 kg. La carne viene messa nelle vasche con l’aggiunta di sale, aromi e conservanti (tranne che per la Primitiva). Durante la salagione, che dura 15 giorni, la carne viene girata e zangolata (la zangolatura sostituisce il massaggio manuale che si faceva una volta) affichè il sale penetri. Le bresaole vengono quindi insaccate in un budello di collagene, messe in rete e appese, quindi trasferite in una cella di asciugatura per una settimana, alternando momenti di asciugatura e di riposo. Gradualmente la temperatura viene abbassata fino alla temperatura di stagionatura. Per il carpaccio la lavorazione finisce qui. Per la bresaola si passa invece alla stagionatura che dura almeno tre settimane ma può arrivare a due mesi per i tagli più grossi. Il termine della stagionatura viene deciso da personale esperto che valuta le caratteristiche di ciascun taglio. Terminata la stagionatura le bresaole vengono lavate con acqua in pressione poi vengono asciugate in cella prima di essere confezionate.
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la chianina Bresaola di bovini Salata a presenta
primitiva bio
ottenuta dal cuore della punta d’anca di razza Chianina, lavorata dal fresco. secco e stagionata a lungo, la fetta si di colore rosso intenso con una leggera marezzatura
Bresaola biologica, prodotta con carne italiana di altissima qualità, senza coloranti o conservanti. Ottenuta da tagli nobili di coscia, rifilati a mano e lavorati dal fresco secondo il disciplinare di produzione biologica, senza nitriti e nitrati.
codice 82006 | peso 3 kg
codice 82003 | peso 1 kg circa
bresaola di carne fresca
carpaccio di bresaola
bresaola a metà
Bresaola di punta d’anca ottenuta da carne di bovini selezionati, lavorata dal fresco, salata a secco con aggiunta di aromi naturali e stagionata secondo tradizione
Unisce il gusto della bresaola alla freschezza del carpaccio. La salatura è la stessa della bresaola, mentre la stagionatura è sostituita da una breve asciugatura
Classica bresaola con un interessante rapporto qualitàprezzo in una pratica confezione a metà pensata per rispondere alle esigenze della ristorazione
codice 82001 | peso 2,8 kg
codice 82004 | peso 2,8 kg
codice 82002 | peso 1,3 kg
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Fonte: scattidigusto.it
Fonte: ricettegourmet.com
novità
alici o sarde ? Due idee per un antipasto veloce: le Alici di Acquapazza Gourmet oppure le Sarde in Saor di Friultrota? Cetara contro Venezia, in una sfida tutta da gustare... Allo stand di Friultrota erano invece in degustazione sia le sarde in saor, un altro antipasto pronto per preparare al volo un tipico cicchetto veneziano, sia i filetti di merluzzo al naturale, da personalizzare con pomodorini e olive, con verdure o ancora con gli agrumi per un secondo piatto pronto in cinque minuti...
Gourmandia è stata l’occasione per fare un test con alcuni nostri clienti. Chi ha avuto modo di passare in Filanda a Santa Lucia di Piave (TV), per l’evento organizzato da Davide Paolini il mese scorso, ha avuto la possibilità di assaggiare in anteprima i filetti di alici sotto sale pronti da servire di Acquapazza Gourmet. Ultime nate in casa
dei due Gennari, le tradizionali alici di Cetara maturate sotto sale vengono deliscate, lavate e dissalate, quindi confezionate sottovuoto in una pratica busta da 50 g (22-24 filetti). Non resta che aprire la busta, disporre le alici in un piatto, aggiungere un po’ d’olio e, a piacere, una grattugiata di zeste di limone, rigorosamente di Sorrento!
FILETTI DI ALICI SALATE ACQUAPAZZA
merluzzo al naturale sarde in saor
Alici pescate nel golfo di Salerno, conservate sotto sale, quindi lavate e deliscate, pronte all’uso
Filetti di merluzzo dei mari del Sud cotto a vapore da gustare a temperatura ambiente o riscaldato
Sarde cotte e marinate con cipolla, uva sultanina e pinoli, da servire come antipasto o con la polenta
codice 94004 | buste da 50 g
codice 94086 | filetto da 130 g
cod 94083 | vaschetta da 150 g cod 94084 | vaschetta da 800 g
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Alcune novità da Macè Fruit: spremute e frullati stabilizzati a freddo con un sistema ad alta pressione che consente di evitare la pastorizzazione, mantenendo così inalterate tutte le qualità organolettiche della frutta Frullati e spremute dal gusto decisamente estivo. I frullati sono mix di frutta frullata e spremuta a freddo, mentre le spremute sono ottenute semplicemente spremendo la frutta. Sia i frullati che le spremute sono stabilizzati ad alta pressione, non pastorizzati, quindi devono essere conservati in frigorifero a max 8°C. La polpa tende a depositarsi ma agitando la bottiglia il mix ritorna ad essere perfetto
frullato tropicale
Mix di frutta frullata e spremuta con mango, arancia, banana e frutto della passione | cod 1077 | 250 ml
frullato fragola mela e banana
Mix di frutta frullata e spremuta con Fragola, Mela e Banana | cod 1078 | 250 ml
Spremuta di melagrana
Spremuta di melagrana, mela e uva stabilizzata ad alta pressione | cod 1087 | 250 ml
Spremuta di ananas, fragola e limone
Succo di ananas, fragola e limone stabilizzato ad alta pressione | cod 1088 | 250 ml
Bevanda limone e zenzero
Bevanda analcolica a base di limone e zenzero fresco con scorza di arancia | cod 1089 | 250 ml
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novità
voglia di frutta
la dispensa di brusadin Da Pordenone a Londra, e ritorno: nuovi e intriganti abbinamenti con i chutney agrodolci del cuoco giramondo Alessio Brusadin
novità
Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia ed è Marketing Manager in Valsana
Il ritorno in Italia lo ha condotto in Alto Adige, dove ha aperto con Vito Leone il Restaurant Ritterhof e successivamente ha iniziato una collaborazione con i Fratelli Corrà per la messa a punto delle ricette dei ragù di carne. Da qui ha avuto inizio la sua “avventura in vasetto”, che lo ha riportato a Brugnera, nella sua terra pordenonese di origine.
Quando abbiamo assaggiato per la prima volta i chutney di Alessio Brusadin, non abbiamo potuto fare a meno di fantasticare su suggestioni e abbinamenti con i formaggi e i salumi del nostro assortimento.
“Il ritorno in Italia è stata una riscoperta di sapori e prodotti meravigliosa. L’idea è di catturarla in questi vasi, in maniera completamente naturale, senza aggiunta di alcun conservante e di diffonderla per il piacere di tutti”, ci confida Alessio.
La Dispensa di Alessio Brusadin è un progetto di Alessio Brusadin, friulano Doc, pordenonese di origine, chef e viaggiatore. Dopo il diploma alla scuola alberghiera è partito alla volta di Londra, dove è rimasto 15 anni lavorando in diverse strutture a 5 stelle, tra cui The Halkin Hotel con Gualtiero Marchesi. Proprio nella capitale inglese Alessio ha aperto una sua catena di tre ristoranti, uno dei quali, Grano, ha vinto nel 1999 il premio come miglior ristorante italiano dell’anno della città.
Pensando ai nostri formaggi e salumi, abbiamo trovato nei chutney di Alessio dei compagni di viaggio nuovi e intriganti, da proporre come abbinamento. Vi presentiamo una selezione di sette chutney agrodolci di frutta e verdura, a base di zucchero di canna e aceto di mele, realizzati in modo artigianale, senza l’aggiunta di coloranti, conservanti o gelificanti, esclusivamente con i migliori prodotti di stagione.
chutney ai FICHI FINOCCHIO E PEPE ROSA
chutney ai frutti di bosco e cipolla rossa
chutney alle pesche scalogno e mandorle
chutney alle radicchio e
Abbinamento ideale per il foie gras, è perfetto per qualsiasi formaggio o salume
Splendido su salumi affumicati come speck o a guarnizione di formaggi di capra freschi
Spettacolare su panini, stuzzichini, formaggi, salumi e carni bollite in generale
Si sposa particola salumi di ogni tip con la sopressa
codice 93830 | vasetto da 150 g
codice 93831 | vasetto da 150 g
codice 93832 | vasetto da 150 g
codice 93833 | va
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Le ricette di Alessio sono uniche e originali, derivano dalla sua esperienza nelle cucine di tutto il mondo... ma parlano anche la nostra lingua. Infatti, nonostante i chutney siano una preparazione di origine orientale, Alessio ha ideato le ricette facendo in modo che abbracciassero i gusti e la cultura italiana, e le ha realizzate avendo già a mente un chiaro progetto di abbinamento. Quindi non lasciatevi intimorire da Mango, Peperoni e Basilico o Pere, Sedano e Senape, ma aprite il vasetto e date spazio alla fantasia e agli abbinamenti. Per iniziare, vi riportiamo qualche spunto di abbinamento che ci ha suggerito direttamente Alessio Brusadin.
alle prugne chutney mele rafano e teroldego e pomodori verdi
Che cos’è un chutney ? Il chutney o chatni è una famiglia di condimenti associata alla cucina indiana e sud asiatica che contiene un misto di spezie, verdure e/o frutta. Tradizionalmente sono serviti come condimento per i piatti principali, che siano a base di carne o di riso, e per le verdure. L’aggiunta di zucchero e aceto conferisce in genere un sapore agrodolce, ma la prevalenza degli uni o degli altri elementi fa sì che esistano chutney salati e chutney dolci. Inoltre, i chutney possono essere sia umidi che secchi, e avere una consistenza grossolana o fine.
chutney mango peperoni e basilico
chutney alle pere, sedano e senape
armente bene con pologia, delizioso
Perfetto su prosciutti cotti, porchette e formaggi stagionati
Ideale con gamberoni alla griglia, capesante e pesce in generale. Provatelo anche su un hamburger!
Accompagna alla perfezione carni bollite o wurstel, anche alla griglia. Perfetto con il Weisswurst
asetto da 150 g
codice 93834 | vasetto da 150 g
codice 93835 | vasetto da 150 g
codice 93836 | vasetto da 150 g
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l’abc del formaggio
I fermenti lattici Si parla sempre più spesso di formaggi senza fermenti. Ma cosa sono i fermenti lattici? Perchè vengono utilizzati? Che differenza c’è tra starter e fermenti naturali? Cosa sono i fermenti lattici? Giorgia Barbaresco è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine ed è Responsabile Qualità in Valsana dal 2007
Quando si parla di formaggio si parla di tipologie di latte, di tipologie di caglio, di latte crudo o pastorizzato, ma quasi mai si parla di “fermenti”. Eppure giocano un ruolo fondamentale nella produzione del formaggio: oltre alla qualità del latte, ogni coadiuvante utilizzato (caglio, fermenti ecc.) è infatti determinante per ottenere un prodotto finito di buon livello. Fra i coadiuvanti tecnologici utilizzati per la trasformazione del latte ci sono i fermenti lattici, che se usati in modo eccessivo o inutilmente possono compromettere la qualità del formaggio. Siamo abituati a pensare che i fermenti lattici siano un valore aggiunto, o meglio un ingrediente importante che completa, per motivi salutistici, alcuni alimenti. Tuttavia in campo caseario non è sempre così.
I fermenti lattici sono batteri che si nutrono di zucchero, in particolare lattosio, e di proteine (caseina) per produrre acido lattico e composti aromatici. Proprio per l’attitudine a influenzare l’acidità degli alimenti e la capacità di produrre aromi vengono usati nell’industria alimentare (produzione di salami, yogurt ecc.). Tutti i batteri sono identificati con un doppio nome, il primo individua il genere, il secondo la specie: (genere) Streptococcus (specie) Thermophilus, (genere) Lactobacillus (specie) Bulgaricus. A grandi linee i batteri che hanno forma di bastoncino vengono identificati con il suffisso “bacillus” e quelli a forma sferica “coccus”. Un’altra distinzione importante è legata alle sostanze prodotte dalla fermentazione del lattosio: • i batteri omofermentanti producono un’unica sostanza dalla fermentazione del lattosio: acido lattico; • i batteri eterofermentanti producono più sostanze dalla fermentazione del lattosio: oltre all’acido lattico, anche anidride carbonica (gas che determina poi nel formaggio occhiature più o meno importanti), e composti aromatici (come ad esempio il diacetile, che determina l’odore di burro).
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Fig.1 Fasi della produzione del formaggio
01
preparazione del latte
02
coagulazione
03
rottura della cagliata
04
05
cottura
estrazione
aggiunta di fermenti
06
07
messa in forma
Che ruolo hanno i fermenti lattici nella produzione del formaggio? Il ruolo fondamentale dei fermenti lattici consiste nell’acidificazione del latte e della cagliata: in assenza di questa azione acidificante il latte non potrebbe trasformarsi in formaggio e, quest’ultimo, a sua volta, non potrebbe maturare. Oltre al ruolo fondamentale di acidificare il latte, i fermenti lattici determinano anche: • produzione di gas, responsabile delle occhiature dei formaggi; • produzione di enzimi che portano avanti il processo di maturazione nonché la formazione di sapori e odori; • antagonismo a tutti quegli altri microrganismi detti “anticaseari” e quindi pericolosi per la buona riuscita di un formaggio. Prima dell’aggiunta del caglio i fermenti lattici vengono inoculati nel latte al fine di arricchirlo di microflora casearia utile alla buona riuscita del formaggio. Dove si trovano i fermenti lattici? I batteri lattici si trovano naturalmente nel latte, nell’ambiente della stalla e del caseificio, sulle mani del casaro, sulle mammelle, sul secchio usato per la mungitura, sugli attrezzi in legno e questo ne determina il legame con il territorio e il luogo di produzione... Ma oggi sono rimasti in pochi quelli che ancora usano il secchio e le attrezzature di legno, più spesso si trovano tubi e attrezzature di acciaio più facili da pulire e igienicamente più “sicuri”.
08
salatura
maturazione
Giampaolo Gaiarin, tecnologo e insegnante all’Istituto agrario di San Michele (TN) fornisce questi dati: “In un millilitro di latte normalmente c’erano un milione di batteri, e di questi, 800 mila erano batteri lattici; oggi nello stesso millilitro ce ne sono meno di 100 mila, e i batteri lattici sono 40, 30, 20 mila” (1). Così spesso è necessario aggiungere i fermenti anche nel latte crudo, proprio come accade dopo la pastorizzazione. Paradossalmente e in modo semplicistico ci verrebbe da affermare che il casaro è obbligato ad usare i fermenti perché il latte è “troppo pulito”, forse in parte è così ma lo fa anche perché, in questo modo, il processo di caseificazione è più sicuro, il risultato è più costante e si abbassa la percentuale di difetti finali. E questi aspetti, quando i formaggi vengono venduti lontano dal luogo in cui vengono prodotti, sono assolutamente da tenere in considerazione. Quali fermenti utilizzare? Il casaro può scegliere di acquistare fermenti selezionati detti “starter” e, quindi, approvvigionarsi dalle ditte produttrici, oppure decidere di autoprodurli a partire dal proprio latte o dal proprio siero. In questo caso si sceglie di utilizzare fermenti naturali “autoctoni” cioè nativi di quel territorio, inteso come ambiente caseario da cui prendono origine. Gli starter sono le colture lattiche prodotte in laboratorio, oggi più diffusamente utilizzate anche nei piccoli caseifici, che generalmente si trovano in commercio liofilizzati.
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(1) slowfood.com/resistenzacasearia
Fig.2 Ruolo dei fermenti lattici nella produzione del formaggio
GRUPPO OMOFERMENTANTE
GRUPPO ETEROFERMENTANTE
{ {
Thermobacterium (Lactobacillus) Streptobacterium (Lactobacillus) Streptococcus Bifidobacterium Betabacterium (Lactobacillus) Betacoccus (Leuconostoc)
l’abc del formaggio
I “fermenti naturali” invece si producono in caseificio a partire dal latte o dal siero, dando origine a lattoinnesto e sieroinnesto. In funzione delle caratteristiche finali del formaggio si scelgono i fermenti lattici e la tecnica di innesto da utilizzare. Lattoinnesto e sieroinnesto Come per il pane, è possibile preparare una sorta di “lievito madre” per il formaggio: l’innesto. Il sieroinnesto consiste nell’aggiungere al latte il siero di una lavorazione precedente lasciato acidificare in appositi recipienti. E’ previsto da disciplinare in diversi formaggi DOP, come ad esempio nel Parmigiano Reggiano. Il lattoinnesto, utilizzato soprattutto per i formaggi molli, consiste invece nell’aggiungere al latte della giornata altro latte che viene prima trattato termicamente e poi lasciato incubare a una temperatura definita per favorire lo sviluppo naturale dei batteri. Preparare colture batteriche in caseificio richiede conoscenza del latte di origine, ma anche di ciò che si
Sieroinnesto
acido lattico
acidifica il latte e la cagliata e consente la caseificazione
anidride carbonica
permette la formazione dell’occhiatura
composti aromatici
determinano lo sviluppo di sapori e aromi
vuole ottenere in funzione del formaggio da realizzare. Utilizzare gli innesti naturali porta a risultati sicuramente meno costanti, ma questa è la vera firma del produttore. Starter o fermenti naturali? E’ indubbio che i microrganismi degli innesti naturali (microflora autotocna) rappresentino un legame tra prodotto e territorio, peculiarità chiave delle produzioni tipiche. Anche i Consorzi di Tutela dei formaggi DOP hanno chiara l’importanza dei fermenti lattici, soprattutto per legare un formaggio alla zona di produzione. Spesso da disciplinare c’è l’obbligo di non pastorizzare il latte, i fermenti “selezionati” che possono essere utilizzati per la produzione di questi formaggi devono essere autorizzati dal consorzio stesso e alcuni disciplinari di produzione ne vietano l’uso obbligando il produttore a utilizzare il sieroinnesto (Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Piave, ecc). I fermenti lattici selezionati sono indispensabili nel caso in cui, per produrre il formaggio, venga utilizzato latte pastorizzato, ossia latte a cui è stata abbattuta
Sieroinnesto
Lattoinnesto
parmigiano reggiano dop
Treccia Borgoluce di Latte di Bufala
Squacquerone di Romagna DOP
codice 33050 | peso 46 kg
cod 21062 | 2 kg | su prenotazione
cod 21500 | peso 250 g circa cod 21501 | sac-à-poche da 1,6 kg
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Fig.3: Starter o “fermenti naturali”
feRMENTI SELEZIONATI starter
colture prodotte in laboratorio, si trovano solitamente in commercio in bustine liofilizzate
QUALI fermenti ? feRMENTI NATURALI
sieroinnesto-lattoinnesto
tutta la carica batterica originaria, che di conseguenza va sostituita o quantomeno integrata. Purtroppo capita sempre più spesso che i caseifici, anche quelli di piccole o medie dimensioni, utilizzino i fermenti lattici selezionati pur avendo a disposizione un latte di buona qualità che non avrebbe bisogno di essere pastorizzato. Queste scelte vengono spesso compiute per la poca conoscenza del latte crudo da parte degli operatori del settore. Ciò viene sfruttato dall’industria che produce i fermenti e che ha formato i propri rappresentanti di commercio trasformandoli in veri e propri consulenti per i casari. In caseificio sono molti i problemi legati alla trasformazione: una lenta o troppo rapida coagulazione del latte, la difficoltà di conseguire acidificazioni corrette, l’esigenza, spesso commerciale, di ottenere o non ottenere occhiature. Quando il casaro non ha le competenze necessarie queste industrie trovano la strada spianata. Questa “scorciatoia” ha dei pro, come ridurre i difetti, ma ha anche dei contro, ovvero tende a omologare il gusto e il profumo del formaggio. Infatti a parità di tecnica di lavorazione perde d’importanza la provenienza del latte perchè il legame
Lattoinnesto
colture lattiche autoctone, autoprodotte in caseificio a partire dal latte o dal siero
con il territorio viene a mancare, la microflora specifica di quel territorio e di quel caseificio è stata soppiantata da una flora microbica selezionata in laboratorio. Le problematiche che si possono avere durante le fasi della trasformazione non si possono risolvere esclusivamente con l’uso di fermenti selezionati. Spesso i problemi dipendono dal latte e per questo sarebbe opportuno intervenire a monte, nella stalla, valutando la salute e l’alimentazione degli animali e le eventuali cause d’inquinamento. Gli allevatori potrebbero influire positivamente sulla qualità del latte e di conseguenza dare la possibilità ai casari di utilizzare questo latte per produrre il lattoinnesto e/o sieroinnesto da utilizzare al posto dei fermenti selezionati. Due sono sicuramente i concetti che restano: (1) se vogliamo salvaguardare il prodotto locale parlare solo di “latte crudo” è riduttivo, nonostante sia l’unica base di partenza possibile; (2) ancora una volta la filiera corta, ossia la trasformazione del latte nella stessa azienda agricola dove viene prodotto, offre la possibilità di controllare la qualità del latte fin dall’origine e di conseguenza migliorare tutte le fasi della produzione.
Senza fermenti
Senza fermenti
SGHERA
Morlac La Rocca
Piacentinu Ennese DOP
cod 30287 | peso 1,5 kg circa
cod 30251 | peso 5,5 kg circa
codice 21433 | peso 4 kg circa
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formaggi & compagni
la nascita della via lattea padana (4) In età moderna il formaggio conquista i mercati cittadini e, grazie a Venezia, arrivano nelle città i formaggi dalmati, istriani, greci. Si vengono a definire le grandi aree di produzione dei formaggi italiani. Il burro conquista le tavole e le cucine europee Danilo Gasparini è docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3
“Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”. Ci eravamo lasciati con questo proverbio, con questa sentenza. Massimo Montanari in un suo gustoso saggio ha sviscerato e chiarito questa faccenda, proponendo anche le versioni medievali di tradizione francese e spagnola. L’abbinamento pere-formaggio - cerco di fare Bignami - risponde a due suggestioni, l’una di tipo medico e l’altra di tipo culturale. Quella di tipo medico si rifà alla secolare e antica teoria degli umori, una sorta di costruzione di sapere medico che si deve a Ippocrate, medico dell’antica Grecia, che regolava in modo olistico la vita. Partendo dai quattro elementi naturali - acqua, terra, aria, fuoco - si pensava che nel nostro corpo fossero presenti quattro umori – sangue, flegma, bile nera e bile gialla - dislocati in
quattro parti del corpo. A ogni elemento erano associate delle qualità: caldo, freddo, secco e umido. A seconda del prevalere di uno di questi elementi si ipotizzavano quattro tipologie di complessioni o caratteri (fig. 1): il flemmatico, il sanguigno, il collerico, il melanconico. A farla breve queste qualità venivano trasferite ai cibi, per cui un prodotto poteva essere, in diversi gradi: più o meno caldo, più o meno freddo, più o meno secco e più o meno umido. Compito del cuoco, ma anche regola di vita, era cucinare, imbastire e consumare pasti equilibrati - temperati dicevano - attraverso tecniche di cottura, accostamenti…. Ergo: la pera è umida e fredda e sta bene con il formaggio secco e caldo, come con il prosciutto e melone, pane burro e zucchero… Sul piano culturale c’è, al solito, la questione della nobilitazione: essendo il formaggio, lo abbiamo detto, considerato un cibo povero, lo nobilito con la pera, considerata un frutto delicato, fragile, aristocratico, dal forte valore simbolico. Dimenticavo: i toscani da par loro girano il detto: “Non far sapere al contadino quanto è buono il formaggio con le pere…ma il contadino, che non è coglione, non lo fa sapere al padrone. Tieh!”
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Torniamo a noi. I formaggi ci sono, girano per le tavole. Ma quali formaggi, che tipologia, quali aree di produzione? Ci pensa Pantaleone da Confienza che a fine ‘400 pubblica una prima straordinaria guida ai formaggi, rigorosamente in latino: Summa lacticiniorum… suona pomposo e bene. Pantaleone, medico di Vercelli, laureato a Pavia nel 1440, esercita presso i Savoia e gira, per ragioni diplomatiche, in Francia, in Italia, nei Paesi Bassi, in Svizzera. Osserva, indaga, chiede, annota. Nel 1477 dà alle stampe la sua Summa: un agile volumetto di 59 pagine di 31 righe ciascuna. È subito successo: viene ristampato più volte. È diviso in tre sezioni: la prima è un vero e proprio trattato di caseificazione. Parte dal latte, cerca di capire il perché della coagulazione con degli esempi strani: “(…) immergendo della lana nel lattice dei fichi e poi lavandola in una determinata parte del latte” e poi, parlato del burro, cerca di stabilire la diversità dei formaggi in base a una serie di parametri quali lo spessore della crosta, la salatura, il tipo di caglio usato… ma anche in base a chi li confeziona. Nella seconda sezione, ed è la prima interessante geografia casearia, Pantaleone costruisce una sua strada europea dei formaggi, di quella Europa che lui ha calcato. Parte dalla Toscana: parla dei marzolini toscani: “Sono molto puliti, brillanti, del colore della cera citrina si ottengono per lo più dal latte di pecora (…)
Fig.1:
Sono formaggi prelibati e vengono esportati in terre molto lontane”. Poi entra nella via lattea: Piacenza, Parma, basso Milanese, Pavia, Novara e Vercelli. E racconta del parmigiano o del piasentin: “Sono grossi e larghi e pesano a volte cento libbre e sono di bellissimo aspetto: li tengono così puliti che nella loro crosta non è visibile la minima sporcizia. Li controllano infatti spessissimo, ripuliscono la crosta, li lisciano con le mani e li raschiano”. Stagionati fino a quattro anni sono saporiti e gradevoli. Il tutto dovuto a un’esperta arte casearia ma soprattutto alla “bontà dei pascoli i quali fanno germogliare erbe profumate, sia in quelle dolci colline sia in pianura (…) sono infatti pascoli speciali per il latte”. Questi luoghi sono celebrati anche da Ercole Bentivoglio nel 1546: “Chi vuol del buon formaggio, a Parma vada,/A Piacenza, a Milano, e in quelle bande,/ Che ve n’è sempre piena ogni contrada./La Toscana ancor lei par che ne mande/De’ buoni, ma vi è gran differenza,/Come l’asino a Bue, da pere a ghiande,/ E benché nomi l’suo per eccellenza,/Et la Romagna tanto se ne vanti/ Non ti partir lettor mio da Piacenza”. Anche Giulio Landi nella sua Formaggiata di Sere Stentato al Serenissimo Re dela Virtù, stampato in Piacenza nel 1542, ne esalta le lodi. Cresce il mito: Pantaleone intervista i malghesi e assaggia. Prosegue poi per il Monferrato, per la Morra, gusta le robiole, va in Val d’Aosta, incontra la Fontina, anche se non la chiama così, il Serraco di Nus, prosegue attraversando il Ducato di Savoia, risale la Val di Locana,
La teoria degli umori
il flemmatico
con eccesso di flemma
testa-acqua-inverno-nord
è grasso, lento, pigro e sciocco
il melanconico
con eccesso di bile nera
milza-terra-autunno-ovest
è magro, debole, pallido, avaro, triste
il collerico
con eccesso di bile gialla
fegato-fuoco-estate-sud
è magro, asciutto, di bel colore, irascibile, permaloso, furbo, generoso e superbo
il sanguigno
con eccesso di sangue
cuore-aria-primavera-est
è rubicondo, gioviale, allegro, goloso e dedito ad una sessualità giocosa
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formaggi & compagni
Quando affronta la Francia scrive: “Questo capitolo, da solo, dovrebbe avere le dimensioni di un intero trattato” o val dell’Orso nel Canavese, si ferma a Ceresole, arriva in Val di Lanzo, i cui formaggi “(…) si dicono utili per i poveri perché questi, nelle pietanze fatte con quei formaggi, specialmente le torte, grazie al loro pizzicore sono dispensati dall’usare spezie e sale”. Il sapore piccante deriva dalla loro stagionatura: appesi avvolti con paglia di segale. Attraversa la Val di Susa, il Moncenisio e accenna a una precoce cooperazione: “Succede che alcuni formino delle cooperative (societates): ognuno mette in comune il suo latte e, una volta confezionati i formaggi, se li dividono proporzionalmente secondo il numero delle bestie. I formaggi prodotti nei giorni festivi sono riservati alla Chiesa”. Attraversa la Savoia (la Moriana-Maurienne e la Tarantasia…la Tarentaise): “Qui si producono anche certi formaggi che d’inverno si fondono al fuoco”. Cita i formaggi della Bresse e della Borgogna “che da certuni sono chiamati teste di morto (…) che valgono poco o nulla, insipidi, friabili e tanto terrosi che a stento in essi si può trovare una sapore passabile”. Migliori quelli di Craponne, nel lionese, buoni tanto che “non potevano essere passati sotto silenzio”. Quando affronta la Francia scrive: “Questo capitolo, da solo, dovrebbe avere le dimensioni di un intero trattato”. Si sofferma sulla Bretagna, le cui donne hanno imparato a estrarre il burro e confezionano formaggi magri. Un consumo spropositato di burro tanto che si dice: “Come la ragazza mangia le pere, così il Bretone mangia il burro” (curioso, per quanto si raccontava all’inizio). Si dilunga soprattutto sui formaggi della Brie, ma anche di Argenton, di Nevers: degusta, assaggia, assieme al suo principe Ludovico. I formaggi inglesi li trova al mercato di Anversa: “sono anche formaggi di bell’aspetto: in essi stampigliano figure di animali, di lettere, di fiori e simili (…) e sono abbastanza simili ai piacentini sia quanto a colore che a sapore, ma non sono altrettanto grandi né altrettanto massicci”. Nelle Fiandre - soggiorna a Gand -
“Non ricordo di aver mai mangiato un buon formaggio”. Gli abitanti consumano esagerate quantità di latte (…) e credo sia una delle cause per cui da quelli parti si trovano tanti lebbrosi!” E chiude “Sono stato a Berna, Strasburgo, Lucerna e Zurigo (…) Non ricordo di avere mangiato formaggi particolarmente gustosi, ma solo alcuni di sapore non eccezionale”. Forse, dice, è perché sono dediti al burro. Nella terza sezione, da medico, riprende i temi della teoria degli umori: quali formaggi si addicono ai diversi temperamenti o complessioni. Al collerico “si adatterebbe meglio un formaggio di costituzione più fredda come quello non salato (…) il quale è buono per stemperare l’acutezza dell’umor collerico”, mentre al flegmatico meglio somministrare un formaggio stagionato. Chiude il suo trattato declinando i tipi di formaggio da consumare a seconda delle età e delle malattie. Il meno peggio, per un vecchio decrepito, è un formaggio stagionato ma consumato con moderazione. A prescindere: “Caseus sanus est quem dat avara manus” ma, ammette con onestà, “E questo sembra il comportamento giusto da tenersi dai ricchi e dai nobili. I poveri invece, e quanti sono spinti dalla necessità quotidiana a mangiare formaggio, non sono tenuti a osservare le regole suddette, visto che sono costretti a mangiare formaggio all’inizio, metà e fine del pasto”. Pantaleone, con modestia, dice che voleva solo far conoscere cose che non sono note a chi abita al di qua dei monti e viceversa e lo ha fatto con umiltà: “Mi rimetto sempre a un giudizio più valido e alle correzioni degli esperti perché mi giudico il più umile degli scienziati”. Un messaggio dal profondo dei secoli ai membri dell’ONAF. Intanto nelle città della Terraferma veneta si consumava tanto morlacco.
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champagne & formaggio
Terroir è una parola francese usata per descrivere produzioni che abbiano determinate caratteristiche che si sviluppano grazie alla natura e al clima del luogo. Spesso il modo più facile per abbinare i formaggi al vino, è quello di accostare un vino che è stato prodotto nello stesso terroir di produzione del formaggio. Però, la via più semplice raramente si rivela essere anche la migliore. E quando si tratta di Champagne e formaggi questo diventa molto evidente. I formaggi che vengono prodotti nello Champagne, come il Chaource fermier, Langres fermier e BrillatSavarin, possono adattarsi molto bene alle diverse forme di vino spumante della regione, ma lo fanno in modo poco interessante, non stimolante e alle volte addirittura un po’ noioso. Solo quando guardiamo
ai diversi stili di Champagne con la mente aperta scopriamo gli abbinamenti più emozionanti, cercando di identificare, tra le produzioni di tutto il mondo, il formaggio con il sapore più adatto. Tenendo questo a mente, assieme ai miei colleghi Orkar, Anders e Harry siamo andati alla ricerca di un po’ d’ombra durante una calda giornata estiva, in un piccolo e poco affollato parco nel centro di Göteborg. Abbiamo acquistato tre Champagnes molto diversi tra loro, e alcuni formaggi che ci aspettavamo potessero arricchire e migliorare l’esperienza. Alcuni accostamenti erano davvero piacevoli, ma abbiamo trovato tre abbinamenti che spiccavano su tutti gli altri e che rendevano migliori sia il nettare sia l’ambrosia!
insoliti abbinamenti
David Andelius, cheeselover e coproprietario della rinomata formaggeria Hilda Nilsson Ost a Göteborg, in Svezia
insoliti abbinamenti
I vini
Il team
Champagne Giovane
David Andelius - Amante di formaggi sin dalla nascita, lavora da 15 anni da Hilda Nilsson Ost a Göteborg, in Svezia. In 6 metri quadri, David e il co-proprietario Peter hanno in vendita circa 320 tipi diversi di formaggi non pastorizzati da tutta Europa, contando tra gli altri, almeno 25 pecorini italiani. Oltre a offrire degustazioni di vini e formaggi al pubblico, lavora a stretto contatto con i più prestigiosi ristoranti di Göteborg.
Aurélien Laherte produce vino nel piccolo paese di Chavot, stretto tra la Côte des Blancs con i suoi Chardonnay e la valle Marne con i suoi Pinot Noir, caratteristica che rende il terroir così speciale e interessante. Da molto tempo questa regione è amata per la sua unicità, ma deve ancora ottenere una classificazione a parte. Aurélien ha acquisito i vigneti nel 2005 e li ha convertiti a coltura biodinamica. Champagne Rosé La famiglia Horiot ha sempre conferito le proprie uve alla cooperativa locale, fino al 2000, anno in cui Oliver Horiot ha dato inizio alla produzione propria di vino, nel profondo sud dello Champagne. La regione di Aube è più simile alla Borgogna che allo Champagne, grazie all’elevata concentrazione di argilla nel suolo. Nel paesino di Les Ricey, Olivier produce spumanti rosé scuri e corposi, così come vini fermi e rossi leggeri. Champagne Invecchiato André Beaufort ha iniziato a produrre vino nel 1933 in Ambonnay, un piccolo villaggio a sud di Reims. Alla fine degli anni ‘60 André e suo figlio Jacques hanno deciso di cessare l’uso di pesticidi a causa dell’insorgere di allergie. Nel 1971 erano tra i primi produttori di Champagne ad ottenere la certificazione biologica. Oggi Jacques sta producendo vino sia ad Ambonnay (1,6 ettari) sia a Polisy (5,5 ettari).
Oskar Ahlvin - All’età di 18 anni è diventato uno dei più giovani sommelier in Svezia e da allora ha lavorato in diversi ristoranti stellati prima di aggregarsi alla squadra di Hilda Nilsson Ost lo scorso autunno. Anders Arena - Ha gestito per molti anni il ristorante Restaurang Vatten nella costa ovest della Svezia e negli ultimi anni sta lavorando nella piccola società di importazione di vini Vin & Natur che si specializza nella promozione di piccoli produttori naturali e biodinamici, molti dei quali della zona dello Champagne. Harry Wong - Rinomato chef di Göteborg e fotografo in occasione di questa degustazione, lavora part-time da Hilda Nilsson Ost.
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David Andelius, cheeselover e coproprietario della rinomata formaggeria Hilda Nilsson Ost a Göteborg, in Svezia
Giovane
Rosé
Invecchiato
Ultradition è il nome del giovane e molto ben fatto Champagne di Laherte Frères, che contiene tre principali varietà di uve locali: Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier. Ha una buona mineralità e acidità, e un finale molto lungo. Questo Champagne giovane e leggero, ma già complesso, lo abbiamo abbinato a una Toma Piemontese.
Rosé des Riceys ”en Barmont” del 2010 è uno spumante rosé, notevole e profumato, che offre molti spunti di abbinamento. Noi abbiamo deciso di abbinare al suo sapore caratteristico di bacche rosse la Fontina Valdostana DOP di Nicoletta. Se fosse stata disponibile avremmo scelto quella di Alpeggio prodotta con il latte dei pascoli estivi, con aromi più intensi e complessi. Ma siamo a inizio estate e la produzione d’alpeggio è appena iniziata, quindi le nuove forme sono ben lontane dalla maturazione.
Millésime Polisy 2002 senza dosage, ha dimostrato con i suoi 15 anni di essere un vino eccezionale: pieno, con aromi di mela gialla, oro e umami. Con questi profumi si aprono infinite possibilità adatte a creare un buon abbinamento. Noi abbiamo tentato con un Pecorino di Osilo molto giovane, chiamato anche Casu Cottu dal suo produttore Leonardo Pulinas, nel nord della Sardegna. Siamo rimasti tutti senza parole.
Le note leggermente erbacee, minerali e acidule del formaggio accrescono gli aromi tipici di questo vino. Allo stesso tempo il sapore di burro e latte, assieme alla consistenza della Toma, che durante l’assaggio ancora si sta sciogliendo in bocca, diventa un bilanciamento perfetto alle piccole ed eleganti bollicine e all’elevata acidità di questo giovane Champagne.
Nella versione invernale sono comunque presenti l’aroma di lievito e la dolcezza tipici di questo formaggio, con una delicatissima amarezza che ha davvero spinto il vino ad interagire, e il risultato è stato notevole!
Quando giovane, questo pecorino così minerale, burroso ed erbaceo, ha delle note fresche e sapide che ricordano il Mar Mediterraneo... e questo ha trasformato la nostra esperienza in pura poesia.
Toma piemontese
fontina valdostana dop
pecorino di osilo
codice 30400 | peso 3 kg
codice 31309 | peso 9 kg
codice 31490 | peso 2 kg
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L’ESTATE IN TRENTINO
NOTIZIE la cucina DA di VALSANA qb
Tre deliziose proposte estive, fresche e veloci, con la Carne Salada: un carpaccio, un ragù da gustare anche freddo e un piatto della tradizione dell’Alto Garda
Anna Maria è cuoca e foodblogger. La sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo
La Carne Salada è il tripudio della norcineria trentina, testimonianza di un territorio e della sua gastronomia, prodotto tipico dell’Alto Garda, De.Co. - Denominazione di Origine Comunale dal 2015. Si tratta di carne di bovino adulto molto magra, conservata in salamoia e appena speziata. Ricorda la bresaola della Valtellina anche se non è confrontabile con un salume e, a differenza della sorella lombarda, ha una consistenza molto più morbida. E’ la salamoia, infatti, che restituisce alla carne magrissima utilizzata una morbidezza che la salagione non consentirebbe. Il sottovuoto, infine, ne preserva la qualità fino al momento dell’utilizzo.
sud e il nord dell’Europa - che, forte di questa posizione geografica, gli consentirono di avere a disposizione importanti quantità di carne, che necessitavano tuttavia di essere trattate adeguatamente. Ecco allora la messa a punto della tecnica della salagione e della salamoia. Già nel ‘400 il “Libro de cosina composto et ordinato per lo egregio homo Martino de Rubei de la Valle de Bregna, cuoco dell’illustre Signore Johanne Trivulzo” riportava ricette che rendevano omaggio a un prodotto così pregiato, tra cui una sorta di carbonara decisamente light, testimonianze di come le tecniche messe a punto dai norcini divennero sempre più sofisticate. La produzione della carne salada iniziò nel basso Sarca arrivando fino al lago di Tenno, dove nel Settecento due famiglie del luogo iniziarono la produzione e la commercializzazione della carne conservata su larga scala. Subito dopo il secondo Dopoguerra si iniziarono a trattare solo le parti più pregiate del manzo e non tutto l’animale.
La storia della carne salada ci riporta al tardo medioevo e alla necessità dell’uomo di conservare e rendere edibile in momenti diversi dell’anno quanto la natura metteva a disposizione: affumicatura, salatura, essicazione, confetture e marmellate avevano questo scopo primario. Nel libro “De coquina: cucina di vescovi principi cucina di popolo nel Principato di Trento” di Aldo Bertoluzza (ed. UCT Trento, 1988), si legge che “Qualunque forestiero condurrà Bestie da Carne da qualunque luogo e condizione si siino eccettuando li Porci non grassi e se vorrà passare fuori dal distretto di Trento, sii obbligatolo o ammazzare la quinta parte di dette Bestie, quali volesse condor vive, e venderle al macello di Trento“. Il Principe Vescovo Bernardo Clesio aveva infatti emanato una serie di editti - complice il fatto che la valle dell’Adige da sempre era luogo di passaggio dei commerci tra il
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“Il menù di questo mese ha come protagonista la carne salada e vede proposte decisamente estive, fresche, veloci e sostanziose, ma non per questo prive di gusto. E nemmeno prive di ricordi, come nel piatto della tradizione “Carne salada e fasioi”, che potrete degustare in ogni locanda o ristorante trentino”
Fonte: tastetrentino.it
macelleria cis massimo La Macelleria Cis nasce nel 1889, fondata da Angelo Cis; una tradizione di famiglia, arrivata oggi alla quarta generazione con Massimo, considerato uno dei maestri della Luganega e della Carne Salada
Il Prodotto CARNE SALADA TRADIZIONALE Carne salada di fesa bovina, prodotta secondo la tradizione trentina, dal sapore dolce e con profumo di aglio, che mantiene però il sapore della carne. Può essere consumata come un carpaccio, con un filo d’olio oppure come vuole la tradizione, tagliata in fette più spesse e cotta leggermente in padella. codice 82092 | peso 4 kg circa
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NOTIZIE la cucina DA di VALSANA qb
Le Ricette carpaccio di carne salada con salsa “cipriani” La carne salada diventa carpaccio appena aromatizzato dalla salsa “universale”, così definita dal suo eclettico inventore. Per sentirsi dei veri clienti dell’Harry’s Bar.
Dosi: per 4 persone Portata: antipasto Difficoltà: semplice Preparazione: 20’ Ingredienti: 400 g di carne salada; 100 g di Trentingrana DOP, se gradito
Ingredienti per la salsa: 250 g di maionese di ottima qualità; 1 cucchiaino di succo di limone appena spremuto; 1-2 cucchiaini di salsa Worcestershire; 30-45 ml di latte o di panna freschissimi; pepe bianco macinato al momento; 1 cucchiaino di brandy (se gradito); sale In una ciotola mescolate la maionese con la salsa Worcestershire e il succo di limone, aggiungete il latte, o la panna, in modo da ottenere una salsa abbastanza consistente ma non compatta. Regolate di sale, di pepe e di altra salsa Worcestershire, oppure con altro succo di limone o il brandy, a gusto. Affettate finemente con la mandolina il Trentingrana. Disponete le fettine di carne salada su ogni singolo piatto, continuate con le fettine di formaggio, se gradite, intingete più volte un cucchiaio nella salsa carpaccio e fatela gocciolare dall’alto, come fosse un quadro di Pollock. Servite immediatamente con qualche grissino integrale o di mais. VALSANA | 32
PENNE AL MAIS CON RAGU’ DI CARNE SALADA E VERDURE E CON STRACCIATELLA DI BURRATA Il ragù di italica memoria prevede, dal nord al sud, cotture lunghissime, ai limiti della leggenda. La nostra proposta è decisamente fast e, grazie appunto alle cotture brevissime, si otterrà una preparazione ricca di colore e di sapore, da degustare calda, tiepida ma anche fredda.
Dosi: per 4 persone Portata: primo piatto, gluten free Difficoltà: semplice Preparazione: 20’ più il riposo e 30’ cottura Ingredienti: 280 g di pasta corta di mais; 150 g di carne salada; 150 g di trito di verdure, tra sedano carota e cipolla; 80 g di pomodorini tritati; 1 cucchiaio di stracciatella di bufala per commensale; 1 limone bio, le zeste e il succo; brodo
vegetale; timo fresco; olio evo; sale; pepe nero macinato al momento Cubettate la carne salada e lasciatela marinare in una ciotola di vetro con un filo d’olio e il succo di limone. Cubettate finemente sedano, carota e cipolla e otterete una colorata brunoise. Portate a ebollizione poca acqua salata, gettate i pomodorini sui quali avrete inciso una croce, sbollentateli per un minuto dalla ripresa del bollore, scolateli e raffreddateli in acqua e ghiaccio. Spellateli, eliminate i semini e cubettate la polpa: avrete ottenuto un concassè. Mettetelo da parte. Nel frattempo saltate in una casseruola con un filo d’olio la carne salada e mettetela da parte. Nella stessa casseruola stufate le verdure. Lessate la pasta, scolatela, trasferitela in una casseruola con le verdure, il pomodoro, la carne e il timo e amalgamate il tutto per un minuto. Servite con la stracciatella, una macinata di pepe nero e le zeste del limone.
CARNE SALADA E “FASOI” Non si può tralasciare la tradizione gastronomica dell’Alto Garda che vede in questo piatto, fresco e velocissimo, un omaggio ai ricordi dei nostri nonni.
Dosi per 4 persone Portata: secondo piatto Difficoltà: minima Preparazione: 15’ più la marinatura Cottura: 5’ Ingredienti: 600 g di carne tagliata a fette un po’ spesse; 200 g di fagioli di Lamon, cannellini, zolfini (a gusto) già lessati; 1 cipolla di Tropea; 2 rami di rosmarino fresco; vino bianco secco; olio evo; una noce di burro; sale; pepe nero macinato al momento
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Affettate finemente la cipolla e gli aghi di rosmarino. In un vassoio fate marinare per 15’ le fettine di carne con metà del rosmarino, un filo d’olio e una spruzzata di vino bianco. Scolate dall’acqua di conservazione i fagioli e conditeli, profumadoli con il rosmarino rimasto. In una padella antiaderente scottate velocemente la carne con una noce di burro. Servite immediatamente dividendo le singole fettine per ogni commensale, continuate con i fagioli al centro del piatto e terminate con la cipolla affettata, un filo di olio a crudo ed una macinata di pepe nero. Si accompagna con pane nero.
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notizie da valsana
Dopo alcuni mesi di test vi presentiamo il nostro sistema per gestire da cellulare o da computer i vostri ordini: comodo anche come lista della spesa o per scaricare ddt e fatture
Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia ed è Responsabile Marketing in Valsana dal 2003
E’ inoltre possibile visualizzare gli ultimi ordini effettuati, l’estratto conto e scaricare DDT e fatture in PDF.
L’abbiamo presentato ufficialmente a Sapori, lo scorso ottobre e da allora alcuni clienti hanno iniziato ad utilizzarlo regolarmente. Abbiamo fatto un po’ di test e migliorato alcune funzionalità. E’ il nostro sistema per la gestione degli ordini online: shop.valsana.it L’inserimento di un nuovo ordine avviene a partire dalla lista dei prodotti acquistati di recente (gestione ordini). E’ possibile aggiungere all’ordine altri prodotti ricercandoli per nome oppure navigando le categorie del catalogo (assortimento prodotti). Si possono visualizzare le novità, i prodotti in promozione e gli articoli che sono stati messi nella wishlist (lista dei desideri, il cuoricino in alto a destra) nel sito valsana.it.
E’ un sistema che permette di gestire gli ordini con facilità, in autonomia, direttamente da telefono, tablet o computer. Può essere utilizzato anche come promemoria, perchè ripropone la lista degli articoli acquistati di solito, o come lista della spesa dove segnare gli articoli che servono man mano, perchè permette di entrare e uscire dall’ordine mantenendolo in memoria fino all’invio. Può essere anche utilizzato per ricercare i prezzi di articoli mai acquistati, l’assortimento prodotti riporta infatti tutti gli articoli che abbiamo a catalogo. Uno strumento aggiuntivo che riteniamo possa risultare più comodo di una mail o di un messaggio per il semplice invio dell’ordine, senza sostituirsi al rapporto personale con Valsana. Tutti gli ordini vengono comunque inviati via mail all’agente di riferimento e gestiti da una persona del nostro ufficio commerciale.
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(3) invio Clicca su conferma ordine: visualizzerai l’importo totale e il riepilogo dell’ordine Scegli la data di evasione dell’ordine Clicca su invia l’ordine per confermare l’ordine
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