Selezione di Sapori | 2019 02

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A MAR | APR 2019


SOMMARIO

EDITORIALE DI MARTINA ISEPPON

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Matteo De Santi, Elisa Magro, Martina Iseppon, Anna Maria Pellegrino Direttore: Giulia Basso In copertina: Ernestino Carraglia Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via E. Maiorana 3/A - Santa Lucia di Piave TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

“Le cucine del mondo” è il titolo del seminario tenuto a fine 2018 all’Università di Padova da Vittorio Castellani, alias Chef Kumalè. Eravamo tra il pubblico, ed è stato un colpo di fulmine: la gastronomia che nasce dalla contaminazione tra culture e religioni, la tradizione come risultante di viaggi, conquiste, commerci, dominazioni, la capacità di cogliere i punti di contatto piuttosto che le differenze tra le diverse cucine, rovesciando la prospettiva, sono temi che ci affascinano. La sensazione di parlare lo stesso linguaggio, di condividere dei valori, di lavorare su un terreno comune ha fatto il resto. Così è nata la nuova rubrica “Cibo dal Mondo”, che a partire da questo numero sarà curata da Vittorio. Partiamo con un approfondimento sulle differenze (o le similitudini) tra Caciovallo e Kashkaval, completato da una deliziosa ricetta turca. Dal Medio Oriente ci spostiamo in Svizzera, per raccontarvi il bellissimo viaggio di Alessandro e Giorgia nel bunker di Gourmino

Stampato in Italia

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a Reichenbach, dove vengono stagionati il Gruyère e l’Emmentaler. Torniamo in Francia per la seconda tappa del tour alla scoperta delle diverse regioni e delle rispettive tradizioni casearie: appuntamento con l’Ile-de France. Rientriamo infine in Italia con il reportage che abbiamo fatto da Crocedelizia, per realizzare un piccolo tutorial su come si pulisce il Culatello di Zibello. Nei prossimi giorni saremo invece da Friultrota per una presentazione alla nostra rete vendita di due novità: la Tartare e il Carpaccio di Trota, che abbiamo già sperimentato assieme ad alcuni nuovi chutney di Alessandro Brusadin. I dettagli dell’incontro ve li racconteremo nel prossimo numero...

Martina Iseppon


SOMMARIO MARZO | APRILE 2019

VIAGGIO IN SVIZZERA | 250 METRI SOTTO TERRA

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NOVITÀ | FRIULTROTA | ALESSIO BRUSADIN | AGRICANSIGLIO

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INTERVISTA AL PRODUTTORE | PROSCIUTTIFICIO SAN MARCO

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APPUNTAMENTI | UNA NUOVA GOURMANDIA

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NOTIZIE DA TASTE | FORMAGGI SENZA FERMENTI?

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COME SI FA? | LA PULIZIA DEL CULATELLO

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SOSTENIBILITÀ | IL PREZZO DEL LATTE E IL VALORE DELLA FILIERA

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GEOGRAFIA DEL GUSTO | ÎLE DE FRANCE: OLTRE A PARIGI C’È DI PIÙ

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CIBO DAL MONDO | KASHKAVAL VS CACIOCAVALLO 24 OSIAMO L’ABBINAMENTO | PROSCIUTTO DEMOCRATICO 26 LA CUCINA DI QB | ELISIR DI GIOVINEZZA

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VIAGGIO A 250 METRI SOTTO TERRA

VIAGGIO IN SVIZZERA

Un tour nel bunker di Gourmino a Reichenbach, dove stagionano due dei formaggi più famosi della Svizzera, Emmentaler e Gruyère

Giorgia Barbaresco è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine ed è Responsabile Qualità in Valsana dal 2007

Finalmente siamo riusciti a partire per questo viaggio che da tempo dicevamo di voler fare! Siamo volati in Svizzera per incontrare Gourmino, il nostro fornitore di formaggi svizzeri e farci accompagnare da lui alla scoperta di questi formaggi famosi (soprattutto Gruyère ed Emmentaler) e forse per questo a volte dati un po’ per scontati. Nel 2001 nel paese di Langnau, cinque produttori di formaggi decisero di fondare “Gourmino” con l’intenzione di unire le forze per gestire direttamente le vendite dei loro prodotti. Questa azienda oggi seleziona le migliori forme e si occupa della loro stagionatura e commercializzazione. Abbiamo toccato con mano l’attenzione che dimostra nei confronti delle produzioni artigianali e il legame che c’è con i produttori, aspetto fondamentale per noi, visto che facciamo tutti parte della stessa filiera e che il desiderio di tutti noi è quello di preservare la tradizione casearia. Inizia così la nostra visita, sveglia all’alba in mezzo alla neve e insieme a Roland di Gourmino partiamo in direzione Valle dell’Emme (il fiume che l’attraversa), per raggiungere il caseificio Oberei (950 m di altitudine) strutturato per produrre al massimo 4 forme di Emmentaler al giorno: viste le dimensioni ci siamo subito sentiti a nostro agio.

Ogni giorno questo caseificio riceve il latte che gli viene portato direttamente dagli 8 conferenti, il più piccolo ha 5 vacche il più grande ne ha 30

Pensate che per produrre una forma di Emmentaler servono 1200 litri di latte che è la produzione giornaliera di circa 40 vacche.

Il latte deve essere lavorato al massimo entro 18 ore dalla mungitura, all’arrivo in caseificio si preleva un campione che sarà analizzato e se soddisfa gli standard viene parzialmente scremato e trasferito in caldaia Vengono aggiunti i fermenti autorizzati dal disciplinare e si lascia maturare per tutta la notte. Il mattino si procede con la lavorazione, che prevede una cottura della cagliata a 53 gradi per non danneggiare i batteri propionici, che poi in stagionatura si occuperanno di formare la caratteristica occhiatura. Il giorno dopo le forme vengono immerse in una salamoia dove restano un paio di giorni per poi essere trasferite in stagionatura. Quando siamo entrati nelle celle dove trascorrono le prime 6 settimane siamo stati travolti da un profumo dolce di formaggio che ci ha subito stimolato la mente, oltre alle papille gustative. Durante la maturazione le forme più belle vengono scelte per proseguire la stagionatura, ed è proprio in base alla durata della stagionatura che distinguiamo: il “Mild” stagionato 5 mesi, il “Surchoix” stagionato 8 mesi, il “Riserva” 12 e l’”Extra” 15 mesi. Gourmino utilizza la stessa classificazione anche per il Gruyère, ma maggior rigore: il “Mild” è stagionato

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6 mesi, il “Surchoix” stagiona 10 mesi, il “Riserva” oltre i 12. Pieni di idee e progetti da sviluppare siamo partiti alla volta di Reichenbach per visitare il bunker acquistato da Gourmino 6 anni fa e nel quale stagiona anche il nostro Gruyère (250 m sotto terra e 300 m di profondità). Inizialmente la sensazione è strana: anche se l’ingresso è stato adattato alle necessità di un’azienda alimentare la mente va al motivo per il quale era stato costruito, ovvero il deposito di armi militari. Ma appena entrati ci accoglie un profumo di formaggio che accende la nostra curiosità, acceleriamo il passo perché non vediamo l’ora di entrare nelle 4 gallerie (due profonde 105 metri e due 60 metri) dove avvengono gli affinamenti. Siamo colpiti dalla tecnologia, in ogni galleria ci sono sensori e robot che vengono continuamente monitorati dal responsabile. L’umidità è piuttosto elevata (95%) perché

la crosta del Gruyère non deve asciugarsi. È tutto molto pulito e ordinato, per Gourmino è assolutamente fondamentale che venga mantenuta la rintracciabilità perché, per ottenere un buon risultato, il formaggio deve essere controllato accuratamente all’ingresso e durante l’affinamento, registrando ogni variazione o anomalia che dovrà essere comunicata al produttore perché apporti le eventuali modifiche. Siamo impressionati positivamente dalla cura con la quale vengono svolte tutte le attività, compresa la scelta del legno sul quale vengono posizionate le forme, alcune essenze infatti influiscono sul colore e sul mantenimento della crosta. Abbiamo assaggiato diverse forme, di produttori differenti e con stagionature diverse e ci siamo resi conto che quello che riceviamo, il casello 4035, è davvero tra i migliori.

“Per ottenere un buon risultato il formaggio deve essere controllato all’ingresso e durante l’affinamento. Registriamo infatti ogni variazione o anomalia che comunichiamo al produttore perchè effettui le modifiche necessarie”

Ed è proprio il caseificio Fritzenhaus che

Roland Sahli - Gourmino

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VIAGGIO IN SVIZZERA

andiamo a visitare, quello dove un tempo lavorava proprio il papà di Roland il nostro accompagnatore! Dal 2001 ogni giorno Michael e la moglie Monika lavorano 50 quintali di latte nel caseificio di montagna Fritzenhaus: metà di questi vengono trasformati in Gruyère. Le caldaie usate sono due, ci sembravano troppe per questa quantità di latte, ma presto ci viene raccontato che quella del Gruyère non può essere usata per la produzione di altri formaggi. I 12 produttori di latte si trovano tutti nel raggio di 4 km intorno al caseificio, se le condizioni lo permettono portano il latte due volte al giorno, ma a volte la neve non lo permette e riescono a farlo solo una volta al giorno. Le regole per l’allevamento delle vacche che producono latte destinato al Gruyère sono uguali a quelle per l’Emmentaler (no insilati e quando d’inverno le vacche non sono al pascolo devono uscire dalla stalla almeno due volte a settimana) e Roland ci spiega il perché. Fino a 20 anni fa c’erano circa 800 produttori di Emmentaler (oggi sono 149), poi

il consorzio ha deciso di mettere delle quote per limitare la produzione che era divenuta eccessiva e molti caseifici si sono convertiti alla produzione del Gruyère. Michael Spicher lo scorso anno ha vinto il premio di miglior Gruyère del mondo, e con soddisfazione ci mostra il quadro in negozio. Nella sua cucina ci prepara un magnifico tagliere con i suoi prodotti e di nuovo la conferma di quanto i formaggi accorcino le distanze e racchiudano una storia che li lega tra loro: assaggiando il Gruyère stagionato 18 mesi infatti abbiamo subito pensato a quanto assomigliasse al Parmigiano Reggiano, nonostante la consistenza diversa della pasta, con la lunga stagionatura la similitudine all’assaggio è sorprendente. Effettivamente li accomuna la storia e per questo ritroviamo delle similitudini nella tecnologia di produzione (latte crudo parzialmente scremato, sieroinnesto, cottura della cagliata a 56 gradi, taglio della cagliata a chicco di riso). Salutiamo Michael e Monika e ci dirigiamo VALSANA | 06

verso l’ultima tappa del nostro tour, la sede centrale di Gourmino, da qui partono i nostri ordini dopo un ulteriore controllo sulla qualità del formaggio. Vedendo tutte le forme vicine e allineate ci rendiamo conto di quante diversità ci sono, soprattutto per dimensione e colore delle croste. Roland ci spiega che il Gruyère Alpage è un po’ più piccolo, perché l’estrazione della cagliata si fa ancora con le tele come da tradizione, e che in base al colore della crosta capisce come sono gli ambienti dove questi formaggi trascorrono i primi mesi di stagionatura. Anche quello dei formaggi svizzeri è un mondo fantastico che merita di essere approfondito ed esplorato, ma in fondo lo diciamo sempre... non riusciamo proprio a dire quale formaggio sia il nostro preferito! Con un sorriso di soddisfazione per il viaggio fatto, le persone conosciute, i formaggi assaggiati, vi auguriamo di poter provare un po’ delle emozioni che abbiamo vissuto provando la nostra selezione di Gruyère!


Gruyère AOP

BERNA

KAESEREI-FRITZENHAUS GOURMINO

6 Obblighi del Disciplinare

GOURMINO AFFINAMENTO IN MONTAGNA

Fig 1. Le tappe del nostro tour in Svizzera nei luoghi dove nasce e stagiona il Gruyère

GRUYERE AOC GIOVANE L’alimentazione delle vacche ha un periodo “verde” e un periodo “secco”. In entrambe le fasi gli insilati sono proibiti

Un Gruyère stagionato almeno 6 mesi. Dolce, con note di burro cotto, crosta di pane e nocciola adatta per fondue, tartiflette e salsa Mornay cod 40724 | peso 34 kg circa fraz. minimo 1/32

I conferenti sono piccole stalle che distano 20 km o al massimo un’ora e mezza dal luogo di produzione e consegnano il latte uno o due volte al giorno

GRUYERE AOC “RISERVA” STAGIONATO 12 MESI

E’ prevista l’aggiunta solo di sieroinnesto autoprodotto in azienda e caglio

Un Gruyère dalla lunga stagionatura, deciso e aromatico con note di frutta esotica e una leggera piccantezza. Ottimo in purezza oppure per dare maggiore complessità a una fondue

La lavorazione in caldaia deve avvenire al massimo 18 ore dopo la prima mungitura

cod 40706 | peso 35 kg circa fraz. minimo 1/32

Il latte non deve essere riscaldato al di là della temperatura di produzione (latte crudo)

GRUYERE AOC ALPAGE Sapido, con sentori erbacei e fruttati, con spiccate note di ananas e spezie, riporta tutti i profumi degli alpeggi estivi. Formaggio da meditazione, impreziosisce un tagliere di formaggi e può essere abbinato anche al whiskey

All’inizio della maturazione, per un periodo di 8-12 giorni, le forme salate in superficie sono sottoposte quotidianamente a sfregamento e rivoltamento

cod 40726 | peso 21 kg circa fraz. minimo 1/32 VALSANA | 07


TROTA REGINA IN VERSIONE CARPACCIO E TARTARE

NOVITÀ

Da Marzo a Giugno la natura rinasce, l’aria si scalda, la nostra tavola si arricchisce di nuove materie prime fresche e il menù si fa primaverile

Da Marzo parola d’ordine freschezza! Spazio quindi alle novità a base di pesce. Chi le ha pensate è Friultrota, per noi garanzia di qualità. Il carpaccio di trota conferma le caratteristiche della produzione classica della trota regina: l’alta qualità della materia prima, le carni delicate, l’attenzione per i dettagli. Tutto rivisitato in chiave originale. La trota viene infatti affumicata e poi speziata.

CARPACCIO DI TROTA AFFETTATO

Il risultato è davvero piacevole: il sapore è delicato, con note di pepe non preponderanti, ben bilanciate Elisa Magro, laureata in Scienze della Comunicazione, dopo un’esperienza nell’ecommerce ora si occupa di Marketing online in Valsana

NOVITÀ

Trota Regina di San Daniele, affumicata e speziata, affettata finemente; pronta all’uso cod 94117 | peso 100 g

Il carpaccio è disponibile in busta da 100 grammi (che corrispondono a 5-6 fette circa). È un piatto veloce, delizioso anche solo condito con un filo d’olio extra vergine di oliva e qualche goccia di limone, accompagnato da una cruditè di verdure fresche di stagione. Come il carpaccio anche la tartare è figlia della Regina delle trote, perla della produzione Friultrota. Viene tagliata a cubetti di 4-5 mm, in confezione da 100 grammi già porzionata, oppure in vaschetta sottovuoto da 800 grammi, con una durata vita di 20 gg circa. Ideale tale e quale e con un filo d’olio oppure condita con verdure croccanti, frutta e salse a base di frutta. Si può usare anche per condire una pasta a crudo, magari con l’aggiunta di carpaccio di finocchio (cod 93993; cod 93994) e zeste di lime. Provatela anche accompagnata da un chutney, suggeriamo chutney di fragole, cetriolo e menta (cod 93837).

NOVITÀ

TARTARE DI TROTA “REGINA DI SAN DANIELE” Trota Regina di San Daniele cubettata, ottima in purezza con un filo di olio evo cod 94109 | peso 100 g cod 94115 | peso 800 g

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I consigli di Friultrota...

TARTARINE DI TROTA REGINA CON BURRATA Ingredienti (per 4 persone): 100 g di Tartare di Regina di San Daniele, 1 patata, zafferano, 4 cucchiai di stracciatella di burrata, punte di asparagi verdi, finocchietto, olio evo. Preparazione: preparare una dadolata di patate e cucinarle in acqua leggermente salata e profumata con una bustina di zafferano. Scolare e lasciar raffreddare. In una ciotola amalgamare la Tartare di Regina con le patate e condire con un filo d’olio extra vergine. Disporre la tartare al centro del piatto. Completare con qualche cucchiaio di stracciatella e guarnire con punte di asparagi verdi e finocchietto.

INSALATINA DI COUS COUS, TROTA REGINA E AVOCADO SU CARPACCIO DI CETRIOLI Ingredienti: 250 g di cous cous, 180 g di tartare di Tartare di Regina di San Daniele, 1 busta di Trota Regina da 100 g, 2 avocado, 2 cetrioli, olio extravergine d’oliva, sale, pepe, succo di limone. Preparazione: portare ad ebollizione 250 ml d’acqua con un pizzico di sale e 2 cucchiai d’olio. Versare il cous cous in una terrina e bagnarlo con l’acqua bollente. Lasciarlo riposare e sgranarlo con una forchetta. Ricavare dalla Trota Regina 4 fette di media dimensione e arrotolarle intorno al dito, ottenendo una rosa. Sbucciare gli avocado, eliminare il nocciolo centrale e tagliarne la polpa a cubetti. Riunire il cous cous, la tartare di Trota e l’avocado e condire con sale, pepe e olio evo. Pelare i cetrioli e tagliarli a fettine. Condirli con succo di limone, sale, pepe e olio extravergine.

TARTARE IMPERIALE DI TROTA REGINA Ingredienti (per 4 persone): 200 g Tartare di Regina di San Daniele, 1 carota, 1 zucchina, piselli, 1 ravanello, radicchio, aneto, olio evo.

Rivestire la superficie del piatto con le fettine di cetriolo, sovrapponendole leggermente l’una all’altra. Posizionare un coppapasta al centro e riempirlo con il cous cous. Premere leggermente con il palmo della mano affinché il cous cous mantenga la forma. Togliere il coppapasta e posizionare la rosa di Trota Regina sopra l’insalatina. Condire con una macinata di pepe e servire.

Preparazione: con l’aiuto di uno scavino piccolo, ricavare delle “perle” da carote e zucchine. Lessarle in acqua leggermente salata insieme a una manciata di piselli sgranati. Affettare sottilmente un ravanello e utilizzarne le fettine per creare un anello al centro del piatto. Con l’aiuto di un coppapasta, disporre la tartare al centro dell’anello, decorare con le perle di verdure, qualche foglia di radicchio di Treviso e ciuffi di aneto. Condire con un filo d’olio extra vergine prima di servire.

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FRAGOLA, ALBICOCCA E ANANAS IN STILE CHUTNEY Un tris di nuovi chutney primaverili dalla dispensa di Alessio Brusadin

NOVITÀ

Credo che il miglior difetto che si possa avere sia la curiosità, perché ci spinge a guardare oltre e a sperimentare. Non stupitevi quindi se le contaminazioni sono fonti d’ispirazione ed esercitano in noi un così grande fascino. Era la scorsa estate quando per la prima volta vi abbiamo presentato i Chutney di Alessio Brusadin e la sua “avventura in vasetto” con sei ricette di salse agrodolci che profumano d’Oriente, da accompagnare a formaggi, salumi, carni bollite e pesce. Da quel giorno abbiamo acquisito più consapevolezza nell’abbinamento di queste ricette e non abbiamo resistito all’idea provare nuovi abbinamenti, a partire dai prodotti che già avevamo nella nostra selezione. Abbiamo chiesto ad Alessio di creare dei chutney che si abbinassero con l’agnello, contenenti la menta, ideali per la Pasqua ma che ricordassero un po’ anche la primavera che sta facendo capolino da queste giornate di fine inverno.

NOVITÀ

CHUTNEY DI ANANAS, MELANZANA E MENTA Per rendere subito l’idea con un aggettivo, lo definiremmo equilibrato. E’ un chutney quasi privo di acidità, il giusto abbinamento di salumi cotti. Molto piacevole con la coscia d’agnello. Lo suggeriamo anche per accompagnare il filetto di trota dello chef salmonata cod 93839 | peso 150 g

Le nuove ricette le abbiamo provate così...

NOVITÀ

NOVITÀ

CHUTNEY DI FRAGOLE, CETRIOLO E MENTA

CHUTNEY DI ALBICOCCHE, ZENZERO E MIELE DI ALIANTO (CARSO)

La sua particolare delicatezza è dovuta all’utilizzo della cipolla bianca al posto dello scalogno. Promosso per la croccantezza del cetriolo e la freschezza della menta. E’ perfetto con il carpaccio di pesce e con la tartare di trota, interessante anche con il petto di pollo affumicato e lo speck d’oca

E’ un chutney dolce, delizioso abbinato a formaggi che presentano una dolcezza di fondo, caratteristica dei pecorini, del Comtè, del Gruyère. Pensato da Alessio come eccellente abbinamento di salumi cotti, ci è piaciuto molto anche con il prosciutto crudo di pecora. Provare per credere!

cod 93837 | peso 150 g

cod 93838 | peso 150 g VALSANA | 10


AGRICANSIGLIO: CONTINUA LA SAGA DEL LATTE CRUDO La selezione di formaggi a latte crudo di Agricansiglio si amplia con un nuovo formaggio latteria fresco

Scopriamo la novità Già conosciamo il Montasio DOP Prodotto della Montagna (cod 30670), il formaggio Grotte del Caglieron (cod 30601 grande; cod 30602 piccolo), la caciottina Fumo del Cansiglio (cod 30120) e la Caciottina a latte Crudo del Cansiglio (cod 30109) che abbiamo presentato in Castello San Salvatore a Sapori 2018, ma con oggi introduciamo un nuovo formaggio che arricchisce questa selezione: il formaggio Latteria a latte crudo Agricansiglio.

NOVITÀ

NOVITÀ

Si tratta di un formaggio latteria fresco, stagionato almeno 40 giorni e prodotto con il latte vaccino crudo raccolto da alcune fattorie che si trovano proprio sul Cansiglio e che producono una materia prima di ottima qualità, ben riconoscibile durante l’assaggio. Chi è Agricansiglio? Il Caseificio Cooperativo del Cansiglio è stato fondato a Fregona (TV) nel 1938 con lo scopo di raccogliere e lavorare il latte degli allevatori locali. Da latteria turnaria, dove ogni socio ritirava e commercializzava in proprio il prodotto, nel 1978 diventa latteria sociale, con una propria organizzazione non solo per la trasformazione ma anche per la vendita diretta dei prodotti. Nel 2001 prende il nome di Agricansiglio e nel corso degli anni il caseificio viene rinnovato più volte, fino al 2012, con l’inaugurazione della nuova sede. Attualmente sono una ventina le aziende agricole che conferiscono quotidianamente il latte, localizzate nelle province di Belluno, Treviso e Pordenone. La sede del caseificio si trova infatti ai piedi del Cansiglio, un altopiano delle Prealpi Bellunesi posto a cavallo delle tre province.

LATTERIA A LATTE CRUDO AGRICANSIGLIO Formaggio latteria fresco, stagionato almeno 40 giorni, prodotto in provincia di Treviso con latte vaccino intero crudo raccolto esclusivamente nell’area del Cansiglio. La forma è cilindrica e presenta una crosta sottile e liscia, di colore paglierino; la pasta è compatta e può presentare delle piccole occhiature. Il sapore è dolce, con spiccate note lattiche e di burro. cod 30581 | peso 4,5 kg circa

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PROSCIUTTIFICIO SAN MARCO

INTERVISTA AL PRODUTTORE

In un mix di saggezza, tradizione, innovazione ed ecosostenibilità, Enrico Delfini lancia con orgoglio la sua scommessa: rilanciare il Prosciutto Veneto

Giulia Basso è giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017

Quando nel saliscendi delle stradine che s’inoltrano tra i colli vicentini ci s’imbatte nel Prosciuttificio San Marco si stenta a credere ai propri occhi. Lo stabilimento, circondato dal verde, è esteticamente così piacevole alla vista da sembrare, più che una struttura produttiva, un albergo. “Nel Triveneto non ce ne sono di così belli”, ci dice con orgoglio Enrico Delfini, che forte dell’esperienza di una vita ha preso in mano le redini di questa giovane azienda per guidarla e farla crescere. Nel corso della sua lunga carriera Delfini ha lavorato per prestigiose aziende produttrici di salumi, a Parma, sua terra natale, e a San Daniele, oltre a ricoprire ruoli di responsabilità in consorzi ed enti di controllo. “Per concludere la mia carriera ho deciso di scommettere su questa nuova azienda con l’obiettivo di rilanciare il Prosciutto Veneto - racconta - che negli anni ha subito un crollo della produzione pur non avendo nulla da invidiare rispetto ai più celebri Prosciutti di Parma e San Daniele”. L’abbiamo intervistato per farci raccontare i segreti di una produzione fortemente connotata territorialmente, che combina con saggezza tradizione, innovazione ed ecosostenibilità. Quando e come è nato il prosciuttificio San Marco? E’ nato tre anni fa, sulle ceneri di un altro prosciuttificio che ha chiuso. Lo stabilimento è andato all’asta e una decina di operai sono rimasti senza lavoro. Abbiamo deciso di raccogliere la scommessa e ripartire: abbiamo comprato lo stabile, che era in perfette condizioni, e assunto nuovamente i dipendenti che già ci lavoravano. Ci siamo rimboccati le maniche e

abbiamo ricominciato a fare i prosciutti, puntando esclusivamente sulla qualità. Oggi abbiamo una quindicina di dipendenti che sanno affrontare tutte le fasi di lavorazione delle cosce e un capo salatore che sovrintende le operazioni. Ad aiutarci in questi primi tre anni d’attività è stata l’esperienza già accumulata dai nostri dipendenti e il luogo di produzione: per produrre un buon prosciutto l’ossigeno è fondamentale e grazie alla posizione dello stabilimento, immerso nel verde dei colli, possiamo sfruttare appieno l’aria pura che ci circonda. Quando le giornate sono belle spegniamo gli impianti d’aerazione e apriamo le finestre. Perché l’aria è così importante nella produzione dei prosciutti? Lo dice il nome stesso: il prosciutto è una coscia di maiale salata e fatta prosciugare in ambienti adatti per la conservazione. Per ottenere un prosciutto di qualità bisogna prosciugarlo lentamente, eliminandone l’umidità: serve un po’ di sale, aria pura e tanta tanta pazienza. I prosciutti sono come gli esseri umani: hanno bisogno di ossigeno per affrontare al meglio tutte le fasi della lavorazione e della stagionatura e l’ossigeno è una componente essenziale per la bontà del prodotto e per esaltarne il profumo. La pazienza è parte integrante del nostro lavoro, perché per capire se abbiamo ottenuto un prodotto di qualità dobbiamo attendere il termine della stagionatura, che richiede circa 17-18 mesi. Quanti salumi producete ogni settimana? Produciamo circa 4.000 pezzi tra il nostro prodotto di punta, il Prosciutto Veneto Berico-Euganeo, e il nostro speck, il Rialto. Nei magazzini ne conserviamo in media 200 mila pezzi, praticamente un tesoro: per questo motivo dobbiamo tenerli controllati in ogni dettaglio. Come selezionate le carni per i vostri prosciutti? Acquistiamo le carni da allevamenti e macelli del

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Veneto, dell’Emilia Romagna e della Lombardia. Alla consegna le cosce vengono controllate una a una: se hanno le caratteristiche richieste dal disciplinare del Doc viene apposto sul gambuccio un sigillo con la data d’arrivo, che rimane fino a fine stagionatura. Se il processo di stagionatura va a buon fine, al tredicesimo mese il prosciutto viene marchiato. Prima però deve passare il controllo degli ispettori del Consorzio, che su ogni partita, verificano che l’umidità e la quantità di sale corrispondano a quanto stabilito dal disciplinare. Quanto pesano le cosce che lavorate? Le cosce fresche pesano dai 12 ai 15 chili e mezzo, un peso che nei 17-18 mesi di stagionatura cala del 32%, per arrivare infine ai 9-10 chili di un nostro classico Prosciutto. In questo senso possiamo dire che il nome “prosciutto” è usato a ragione: la coscia viene letteralmente prosciugata. Quali sono le caratteristiche distintive dei vostri prosciutti rispetto a un Parma o un san Daniele? Produciamo prosciutti di straordinaria dolcezza e dal profumo invitante. Le caratteristiche sono abbastanza simili rispetto a un Parma o a un San Daniele, cambia ovviamente il numero di pezzi prodotti, perché per il Prosciutto Veneto BericoEuganeo non si superano i 120mila pezzi l’anno. Avendo lavorato da produttore sia di Parma che di San Daniele posso dire che a fare la differenza è proprio la bravura di chi li produce. Come riuscite a limitare l’impiego di sale nei vostri prosciutti? Il segreto sta nell’abilità del salatore, capace di dosare in base al peso la quantità di sale necessaria. Se tanti prosciutti sono salati è perché così c’è la

sicurezza che si conservino bene. Ma un ottimo prodotto finale non necessita di tutto quel sale: l’importante è rispettare alcune regole di lavorazione. Per il vostro prosciutto quali sono le fasi di lavorazione? Dopo la salagione con rifinitura a mano il prosciutto viene posto in cella frigorifera. Passati cinque giorni il sale viene rimosso, perché tendenzialmente indurisce le fibre, e il prosciutto massaggiato per rilassare i fasci muscolari. Poi viene salato nuovamente e posto per altri 13 giorni in cella, in posizione orizzontale perché il sale penetri in profondità. In seguito il prodotto viene estratto e il sale residuo spazzolato via, quindi il prosciutto viene appeso e posto in celle ventilate, dove inizia ad asciugarsi. Dopo 120 giorni al massimo viene lavato per togliere completamente il sale. A quel punto finisce la fase fredda, in cui la temperatura delle celle è di 6-7 gradi al massimo, e si passa a una temperatura di 16-18 gradi fino a fine stagionatura. Dopo sei-sette mesi, il prosciutto viene sugnato nella parte magra per mantenerla morbida e aiutare l’umidità interna a uscire, processo che prosegue fino a fine stagionatura. Cos’è la puntatura e perché è così importante per garantire un prodotto di qualità? La puntatura è l’esame olfattivo che garantisce la perfezione del prodotto. Con un frammento di osso di stinco di cavallo, poroso e a forma di spillo, il prosciutto viene forato in cinque punti prestabiliti. L’osso, che ha la proprietà di trattenere il profumo della carne in cui viene inserito e di rilasciarlo piuttosto velocemente, viene estratto e annusato ogni volta: un odore sgradevole è sinonimo di una cattiva lavorazione. VALSANA | 13

“I prosciutti non vengono mai lasciati soli nel loro processo di stagionatura” Enrico Delfini


INTERVISTA AL PRODUTTORE

Come si declina l’attenzione all’ambiente e alla salute nella vostra produzione? Per fare il prosciutto basta una carne buona, un pizzico di sale e tanto tempo. La nostra azienda non solo non inquina ma sfrutta al meglio la natura, l’aria di questi colli. E stiamo attenti alla salute dei consumatori: non usiamo conservanti, limitiamo il sale e anche per la sugna usiamo farina di riso, così i nostri prosciutti possono essere gustati anche dai celiaci.

Tra i vostri prodotti c’è anche uno speck, il Rialto. Quali le sue caratteristiche distintive? Il Rialto è uno speck a doppia fesa, alto praticamente il doppio di uno speck tradizionale. E’ un prodotto senza conservanti, che affumichiamo in modo naturale e stagioniamo per almeno sei mesi. E’ molto diverso da uno speck dell’Alto Adige, per questo preferisco chiamarlo Coscia Reale Fumé.

I Prodotti

PROSCIUTTO VENETO BERICO EUGANEO DOP

COSCIA REALE FUMÈ RIALTO

Prosciutto dolce ed equilibrato, dalla forma semipressata, senza piedino e con legatura a mezzo corda passata con un foro nel gambo

Speck dall’aroma dolce e delicato, ben bilanciato nell’affumicatura e nella speziatura. Presenta una fetta molto alta, pensata per ridurre gli scarti

cod 79205 c/osso | peso 10 kg circa cod 79206 s/osso addobbo | peso 8 kg circa

cod 78208 | peso 5 kg circa VALSANA | 14


Torna anche quest’anno Gourmandia, in una location nuova e con delle date diverse: vi aspettiamo a Treviso per incontrare i produttori e partecipare alla fitta agenda di appuntamenti della fiera Anche quest’anno Valsana è partner di Gourmandia, un evento ideato da Davide Paolini che porta in Veneto una selezione di prodotti artigianali come salumi, formaggi, dolci, vini, birre, prodotti ittici e lievitati, provenienti da tutta Italia, affiancati da un ricco programma di show cooking. Vi aspettiamo da sabato 13 a lunedì 15 aprile in una location tutta nuova: lo spazio Opendream a Treviso, vicino all’aeroporto. Uno spazio industriale completamente ristrutturato, dove un tempo sorgeva la fabbrica di ceramiche Pagnossin, che per 100 anni ha dominato il panorama manufattiero veneto. Protagonisti dell’evento saranno come ogni anno i produttori. Con molti di loro collaboriamo già da tempo: una bella occasione per poter degustare tantissimi prodotti della nostra selezione, come i freschissimi del caseificio Castellan, le spezie di Petit Lorien, le verdure e le creme di DelSanto, gli arrosti di Meggiolaro, i formaggi di bufala della Tenuta Borgoluce, i salumi piacentini di Grossetti, e molti altri.

Tra i tanti appuntamenti organizzati durante l’evento, vi suggeriamo in particolare due show cooking da segnare in agenda: Borgoluce sarà protagonista sabato 13 aprile alle 16, mentre la cuoca e food blogger Anna Maria Pellegrino ci affascinerà con le sue ricette domenica 14 aprile alle 17. Gourmandia in breve: Quando:

13 / 14 / 15 aprile 2019

Dove:

Opendream / Ex Pagnossin Via Noalese, 94 - Treviso

Orario:

sab 12-20; dom 10-20; lun 10-17

Ingresso: adulti € 10; bambini (6-12 anni) € 5 gratuito per bambini minori di 6 anni Ingresso gratuito per gli operatori del settore. Richiedi informazioni all’agente di riferimento.

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APPUNTAMENTI

UNA NUOVA LOCATION PER GOURMANDIA


NOTIZIE DA TASTE

FORMAGGI SENZA FERMENTI? Formaggi senza fermenti aggiunti? O con fermenti “naturali”? Siamo partiti da queste domande per approfondire il legame con il territorio e ideare la selezione di formaggi per “Taste” Quando parliamo di formaggi siamo soliti classificarli in base all’origine del latte, al contenuto di grassi, alla tecnologia di produzione o alla stagionatura, ma raramente vengono fatte delle distinzioni sull’utilizzo dei fermenti lattici. Questo è il tema della selezione che abbiamo proposto all’edizione di Taste di Firenze, il salone sulle eccellenze del gusto, svoltosi alla stazione Leopolda di Firenze dal 9 al 11 marzo scorso. Ma cosa sono i fermenti lattici?

Sono dei batteri che nutrendosi degli zuccheri (lattosio) e delle proteine (caseina) del latte, ne favoriscono l’acidificazione e quindi la successiva trasformazione in formaggio. Non da meno, sono responsabili dell’occhiatura della pasta, del profumo, del sapore e dell’azione di difesa contro quei microrganismi che ostacolano la buona riuscita del formaggio. I fermenti lattici si trovano naturalmente nel latte, nelle stalle, nel caseificio, sulle mammelle degli

SQUACQUERONE DI ROMAGNA DOP

MORLACCO CREMOSO LA FATTORIA

CANESTRATO PEPATO DI VENTI

TRENTINGRA DI ALPEGGIO

Formaggio fresco, molto dolce, prodotto con l’aggiunta di sale dolce di Cervia e lattoinnesto

Morlacco molto cremoso, dal sapore sapido e leggermente acidulo; senza fermenti aggiunti

Pecorino siciliano prodotto senza fermenti aggiunti; il sapore è floreale e delicato

Formaggio dal sap prodotto con latte e sieroinnesto aut

cod 21500 | peso 250 g circa

cod 30246 | peso 5 kg circa

cod 21431 | peso 6 kg circa

cod 34230 | peso 3

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ANA O

animali, sulle mani del casaro, o sull’attrezzatura in legno e vengono aggiunti solo quando il latte non ne ha a sufficienza, obbligatoriamente dopo la pastorizzazione, oppure per abbassare il rischio di difetti finali nel formaggio dovuti a possibili problemi durante la caseificazione. Per rispondere alla necessità di aggiungere i fermenti, il casaro può scegliere tra due diverse opzioni, ognuna delle quali porta a dei risultati diversi: · acquistare gli starter, dei fermenti selezionati prodotti in laboratorio e spesso reperibili in commercio in bustine liofilizzate; questi fermenti assicurano un risultato più costante ma favoriscono una standardizzazione dei profumi e dei sapori. · autoprodurre dei fermenti naturali con la tecnica dell’innesto, a partire dal proprio siero o dal proprio latte; una scelta che richiede grandi conoscenze nella gestione della materia prima e che garantisce

sicuramente dei risultati meno costanti, ma questo è il vero segno distintivo del produttore, l’essenza dell’artigianalità, il profondo legame tra il prodotto e la microflora del caseificio e del territorio di origine. I formaggi che abbiamo presentato in questa selezione sono prodotti senza fermenti oppure con l’aggiunta di fermenti naturali, autoctoni, che ci portano a riscoprire il carattere del territorio da cui provengono: i fiori e le erbe dei pascoli, la sana alimentazione degli animali, la qualità del latte, il savoir-faire del casaro. In una manciata di parole, dei formaggi che portano la firma del produttore e del territorio di origine. Vuoi metterti alla prova? Fai il nostro quiz online sui fermenti lattici, andando al link o scannerizzando il QR code sottostante: valsana.link/quiz-fermenti

VEZZENA DI LAVARONE DI MALGA 2017

STORICO RIBELLE ALPEGGIO 2017

PECORINO DI FARINDOLA

pore complesso, e 100% di alpeggio toprodotto

Formaggio di malga prodotto con lattoinnesto; il sapore è pieno, leggermente piccante

Grande formaggio di alpeggio, prodotto senza fermenti aggiunti e dal gusto delicato ma elegante

Pecorino abruzzese dal sapore complesso e corposo, prodotto senza fermenti e con caglio di suino

38 kg circa

cod 31114M17 | peso 7 kg circa

cod 31047M17 | peso 11 kg circa

cod 31440 | peso 2 kg circa

VALSANA | 17


LA PULIZIA DEL CULATELLO Preparare il culatello al taglio è un vero cerimoniale che, se ben fatto, mette in risalto tutte le migliori caratteristiche dell’insaccato

NOTIZIESIDA COME FA?VALSANA

Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana

Qualche settimana fa siamo stati a Soragna (PR), in visita a Croce Delizia, per approfondire e immortalare le fasi della pulizia del Culatello di Zibello. Abbiamo pensato di raccontarvi questa procedura perché è un’arte che sta andando via via perdendosi, ormai poco praticata tra i banconi dei negozi o delle cucine, ma che fa parte dell’identità di questo salume e che è fondamentale per apprezzarne al meglio le peculiarità. Prima di imparare a pulire un culatello, però, diamo il giusto valore a questo insaccato, ricordando cos’è e come si produce. In questo, siamo aiutati da Ernestino Carraglia e dalla moglie Isabella che, simpaticissimi e disponibili, ci hanno accolto subito a braccia aperte nel loro laboratorio. Il Culatello di Zibello è un salume DOP prodotto con il taglio più pregiato della coscia di suini pesanti. 21 sono i produttori del consorzio e tra questi, Croce Delizia e altri 13 hanno ricevuto il riconoscimento di “Antichi Produttori”, visibile anche in etichetta, con l’obbligo di seguire un disciplinare più rigido e legato alla tradizione: produzione nei soli mesi freddi, da settembre a marzo, salatura con sale e pepe, stagionatura in cantine naturali. Ernestino lavora il culatello a caldo (entro la sera del giorno della macellazione) a partire dalla coscia intera, da cui ricava anche il fiocco e lo strolghino. Dopo la salatura e il riposo di circa 5 giorni, il culatello viene insaccato in vescica naturale, cucito e legato.

“Legare il culatello è un’arte e ho voluto che anche mio figlio imparasse”

La fase della legatura è splendida, una danza di mani e corde che crea una trama perfetta, quasi un’armatura, a protezione del delizioso contenuto. Durante la legatura viene apposto il sigillo DOP tramite un filo rosso e bianco infilato nella carne, per evitare contraffazioni. I culatelli vengono quindi asciugati per circa 60 giorni in cella, appesi in una rete (così da assicurare una forma tondeggiante che VALSANA | 18

minimizzi lo scarto alle estremità) e quindi trasferiti in cantina per la stagionatura. Qui, lo scorrere del tempo e il clima umido tipico della Bassa Parmense, permettono lo sviluppo delle muffe, che regalano al culatello il suo gusto inconfondibile. Durante questo periodo i culatelli devono essere spazzolati più volte per eliminare l’eccesso di muffa e solo all’undicesimo mese di stagionatura l’istituto Parma Qualità stabilisce quali sono idonei a diventare DOP e a essere messi in commercio come “Culatello di Zibello DOP”. Nel caso di Croce Delizia, data la presenza di cantine naturali interrate, i culatelli continuano la stagionatura per un periodo più lungo. E la pulizia? Vediamola insieme...

CULATELLO DI ZIBELLO DOP Tipico salume emiliano DOP dalle origini antiche, ricavato dalla parte interna della coscia di suini selezionati e stagionato in vescica per almeno 12 mesi. Al taglio ha un colore rosso uniforme, con il grasso compreso tra i diversi fasci muscolari di colore bianco o leggermente rosato. Il sapore è dolce e delicato, con profumo di nocciola e di cantina. Ideale affettato sottilmente e mangiato al naturale, come aperitivo su un crostino di pane rustico con un ricciolo di burro oppure con un formaggio fresco come lo squacquerone. Irresisitibile con lo gnocco fritto (o torta fritta)! codice 78400 | peso 5,5 kg circa


E il fiocco?

1 | GLI STRUMENTI Un guanto protettivo per proteggere la mano che terrà bloccato il culatello, un coltello ben affilato e dalla lama piccola, adatto per il disosso, un tagliere come base di lavoro, una spazzola da usare sotto l’acqua corrente.

Il cerimoniale di pulizia del culatello è lo stesso che deve essere messo in pratica per il fiocco. Solo una differenza: bastano 12 ore di ammollo!

2 | L’AMMOLLO Mettere a bagno il culatello per 24 ore in un recipiente capiente, con una soluzione composta per metà da acqua e per metà da vino bianco secco o aceto; il liquido deve coprire completamente l’insaccato. Il vino o l’aceto sono utilizzati fondamentalmente per evitare che l’acqua emani cattivo odore durante la fase di ammollo. Questo procedimento permette di ammorbidire il culatello così da poterlo pulire con maggiore facilità. Dopo una giornata il culatello è pronto per la toelettaura, e il liquido in cui è immerso non sarà più limpido, ma giustamente intorbidito dal rilascio di muffe, acari e impurità.

2 3

3 | PULIZIA E SPAZZOLATURA Liberare il culatello dalla trama di corde esterne, incidere la vescica e quindi rimuoverla. Recidere le corde interne e sciacquare il culatello con dell’acqua fredda corrente, spazzolandolo accuratamente così da rimuovere gli acari presenti sulla superficie. 4 | LA RIFILATURA

4

Pulire la parte magra rifilando con precisione tutte le piccole cavità, così da lasciarle libere dalle impurità, riconoscibili dal colore più scuro, formatesi durante la stagionatura e responsabili dell’eventuale cattivo sapore. Il magro deve essere pulito tutto subito, mentre il grasso mano a mano, come per il prosciutto. 5 | LA CONSERVAZIONE Bagnare con un po’ di vino uno strofinaccio (o della carta ben assorbente) e disporlo sopra la parte magra precedentemente ripulita, avvolgere il culatello nella pellicola trasparente e far riposare in frigo per almeno 3 ore circa. Questo procedimento deve essere fatto solo la prima volta dopo la toelettatura, così da togliere i sentori di muffa dalla carne. In alternativa al panno, mettere sottovuoto il culatello con qualche goccia di vino nel sacchetto. E’ molto importante non lasciarlo riposare in queste condizioni oltre il tempo indicato, altrimenti la carne rischia di acquisire il sapore del vino. Dopo questo passaggio, la normale conservazione dopo il taglio può essere fatta ricoprendo con la pellicola il pezzo e riponendolo in frigorifero. Se non usate il culatello intero, tagliatelo a metà dopo il riposo con il panno imbevuto di vino e mettetelo sottovuoto, così da utilizzarne una metà per volta!

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SOSTENIBILITÀ E AMBIENTE

IL PREZZO DEL LATTE E IL VALORE DELLA FILIERA “Il prezzo più basso non sempre è il prezzo più giusto” scriveva qualche tempo fa NaturaSì in una campagna di comunicazione. Un prezzo è giusto - e di conseguenza la filiera è sostenibile - quando tutti gli operatori sono remunerati in modo equo. Nell’articolo “I guerrieri del latte”, pubblicato su Repubblica il 12 febbraio scorso, Carlo Petrini cita Michael Pollan, che nel libro “Il dilemma dell’onnivoro”, scritto oltre 10 anni fa, definiva il cibo a basso prezzo una mera illusione: ciò che non viene pagato dai consumatori viene comunque pagato in termini di impatto sull’ambiente e sulla salute. Ma qual è il giusto prezzo del latte? Da settimane la Sardegna è al centro dell’attenzione mediatica, con la protesta dei pastori sardi, che hanno scelto di buttare il latte piuttosto che svenderlo. Scene che ricordano gli aranceti tagliati per fare legna, e non solo. Purtroppo non è una novità, la rincorsa al prezzo più basso, in tante filiere dell’alimentare, finisce per scaricarsi sull’anello più debole della catena: i pastori, in questo caso, ma tante altre volte gli allevatori o i contadini.

Chi si prende cura della terra e degli animali, con passione, rispetto e fatica, portando avanti spesso tradizioni secolari, non sempre viene remunerato in modo corretto.

Per sottrarsi a questo gioco al ribasso, diversi allevatori, pastori da generazioni, hanno scelto di iniziare anche a trasformare il latte, all’interno della stessa azienda agricola

Martina Iseppon Responsabile Marketing in Valsana dal 2003

del latte o della carne, sapendo dove e come vivono, cosa mangiano. Non basta più solo l’artigianalità, sta diventando fondamentale integrare la filiera. E proprio la filiera corta è un aspetto che ha un peso sempre più importante nei nostri criteri di selezione, in primis perchè consente al produttore un controllo diretto sulla qualità della materia prima.

In questi anni è una storia che abbiamo sentito ripetere tante volte, dall’Altopiano di Asiago fino al Marchesato di Crotone.

Produttori “fermier” li abbiamo definiti in modo provocatorio esattamente due anni fa al Taste di Firenze, dove abbiamo presentato una selezione di pecorini artigianali a filiera corta. Per chiarire, in Francia un formaggio può essere definito fermier quando risponde a tre requisiti: (1) viene prodotto a latte crudo con metodi artigianali (2) nel caseificio all’interno della stessa azienda agricola (3) da produttori-allevatori che utilizzano esclusivamente il latte dei propri animali.

Allevatori che iniziano a trasformare il proprio latte, per dare valore alla materia prima e dare un futuro alla propria azienda agricola. E viceversa produttori che iniziano ad allevare i propri animali, per poter controllare la qualità

“Chi riesce a trasformare in casa il proprio prodotto ha maggiori margini di guadagno oltre che maggiore soddisfazione e riconoscibilità”: scrive sempre Petrini (La Stampa, 20 febbraio 2019) sottolineando

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l’importanza dell’integrazione di fasi diverse della filiera. E’ questa una delle direzioni di svluppo dell’agricoltura, assieme all’”azienda agricola multifunzionale”, capace di coltivare prodotti differenti, di usare le deiezioni dei propri animali come fertilizzante, di essere al contempo fattoria didattica e punto vendita, e magari di offrire ospitalità. I fratelli Cortese sull’Altopiano di Asiago, Borgoluce e Casa Cason in Veneto, la Fattoria Lischeto in Toscana, l’azienda agricola Maiorano in Calabria sono solo alcuni esempi di produttori che hanno scelto di integrare la filiera. Così come i fratelli Bussu e Leonardo Pulinas in Sardegna. Gianfranco e Salvatore Bussu sono prima di tutto dei pastori. Il Caseificio Debbene si trova sull’altopiano di Campeda, in Sardegna, e più precisamente a Macomer, in provincia di Nuoro. I formaggi vengono prodotti esclusivamente con il latte crudo ottenuto da 1800 pecore di razza sarda di proprietà, allevate allo stato brado sull’altopiano. Le pecore hanno a disposizione circa 200 ettari di pascolo (50% seminativo e 50% pascolo naturale), ricco di erbe autoctone, quali ad esempio trifoglio incarnato campeda, loietti spontanei, erba cipollina, che conferiscono al formaggio un sapore unico. L’alimentazione viene integrata unicamente con l’aggiunta di foraggio biologico prodotto all’interno della stessa azienda agricola, senza concimi chimici. Anche il caglio utilizzato viene prodotto da agnelli di razza sarda. Gli animali non vengono mai curati con antibiotici o prodotti di sintesi, l’azienda è certificata “bio” da oltre 15 anni.

PECORINO DI OSILO Piccolo pecorino sardo, Presidio Slow Food, prodotto da Leonardo Pulinas e stagionato almeno 3 mesi. Ha un gusto dolce, burroso e fondente, con note di nocciola tostata, lana, legno secco ed erbe aromatiche cod 31490 | peso 2 kg circa

Anche l’azienda agricola Luigi Pulinas è un’azienda “a circuito chiuso”, come la definisce Leonardo, perchè gestisce l’intera filiera, dall’agricoltura all’allevamento fino alla trasformazione del latte. Gli animali - circa 600 pecore di razza Sarda - vivono nei terreni di proprietà praticamente allo stato brado, alimentandosi al pascolo in modo naturale.

Il valore della filiera corta sta proprio nella possibilità di controllare ogni fase della produzione, a partire dall’agricolura e dall’allevamento L’azienda è gestita dalla famiglia Pulinas da generazioni, delle quali si perde memoria. Oggi è Leonardo a gestire l’attività assieme al fratello Antonio, utilizzando le stesse tecniche di lavorazione tramandate dai loro avi, con la caldaia di rame e lo spino di legno.

PECORINO DEBBENE BIO Pecorino biologico prodotto con latte ovino crudo biologico dal Caseificio Debbene e stagionato circa 6 mesi. Ha un gusto dolce, leggermente acidulo e sapido, con aromi di frutta matura, erbe e latte cod 31421 | peso 3,5 kg circa

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Latte crudo, artigianalità, alimentazione e rispetto degli animali, biodiversità dei pascoli sono gli aspetti in comune dei “nostri” produttori fermier. Dare un valore a questi aspetti significa anche essere disposti a pagare un prezzo che li remuneri. Con la consapevolezza che ciascuno di noi ha la possibilità di orientare il sistema alimentare, acquisto dopo acquisto, scelta dopo scelta. Un potere di cui dovremmo essere più consapevoli, ma anche una responsabilità a cui non possiamo più sottrarci.


ÎLE DE FRANCE: OLTRE A PARIGI C’È DI PIÙ

GEOGRAFIA DEL GUSTO

Un focus sul Brie: Re dei formaggi e formaggio dei Re, secondo i membri protagonisti del congresso di Vienna nel 1815

Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export

Non più tardi di qualche settimana fa ho ripescato in libreria una mia foto di Sapori 2005 a Villa Guillon-Mangilli, ero al tavolo dei formaggi francesi e parlavo con un nostro cliente; sfoggiavo una cravatta orribile, ma quanto meno avevo al tavolo dei formaggi magnifici, tra cui il Brie de Meaux che avevo appena conosciuto. Se chiudo gli occhi ripercorro mentalmente quanto tempo è passato da allora, quante cose ho imparato in questi anni e cosa mi abbia portato ad apprezzare oggi i formaggi francesi (e non solo). Non credo sia solo questione di gusto e piacere per il loro sapore, ma soprattutto gusto per la storia, i produttori, i territori. Avere la possibilità di conoscere qualcosa ci offre maggiori possibilità di apprezzarne il valore e quindi... Cominciamo questo viaggio!

breve. Un episodio significativo accadde durante il Congresso di Vienna del 1815: ogni delegazione europea partecipante portò un formaggio del proprio paese in occasione di un concorso per eleggere il migliore e la vittoria fu proprio del Brie! E Île de France vuol dire soprattutto Brie. Il termine deriva dal gaelico briga, che significa collina e questo già dice quale sia la conformazione prevalente di questo territorio. Estese e lussureggianti pianure intervallate da dolci pendii collinari. In questa regione ci sono diverse produzioni legate a questo formaggio: Brie de Meaux, Brie de Melun, Brie de Nangis, Brie de Montereau e Brie de Provins. Le prime due riconosciute con la denominazione d’origine e le ultime tre meno conosciute. Tuttavia tutte sono a latte crudo, pasta molle e ovviamente crosta fiorita. Qui vi parleremo di Brie de Meaux AOP e poi vi racconteremo anche il Brie Fermier e brevemente il Brie a latte pastorizzato.

Meaux è una cittadina a est di Parigi, nel cuore del dipartimento della Seine et Marne. La storia del formaggio che qui nasce affonda nei secoli, tanto da L’Île de France è essere stato definito la regione della in più occasioni “il capitale francese re dei formaggi“, e si sviluppa persino Carlomagno tutt’attorno a Parigi. lo richiedeva con Ciò non ha soltanto insistenza. La sua un valore geografico, produzione comincia ma anche storicocon la maturazione economico. del latte per 16 ore, per ogni forma di Sappiamo tutti Brie ne serviranno infatti quanto Parigi Fig. 1 La Pelle à Brie, caratteristico mestolo usato circa 25 litri. Viene poi sia stata sede di per mettere la cagliata del brie negli stampi aggiunto il caglio e la regnanti, governanti cagliata rotta conseguentemente in piccoli cubetti. e aristocratici e questi erano clienti ideali di tutti Questa viene poi trasferita negli stampi per mezzo i produttori del territorio, commissionavano lauti del caratteristico mestolo chiamato “pelle à brie” e ricchi banchetti in cui il formaggio non poteva (Fig. 1) e lo spurgo del siero avviene su stuoie di mancare. Le delegazioni ospiti erano spesso giunco. Il giorno seguente il formaggio viene salato internazionali e va da sé che ciò che mangiavano a secco, la forma viene spruzzata di Penicillium al banchetto poteva anche essere poi oggetto di Candidum e questo darà il via alla fioritura in crosta interesse commerciale. E il passo da Parigi a Londra, e sancirà l’inizio della maturazione, che trasformerà oppure a Mosca, Berlino, Madrid era, per così dire, VALSANA | 22


gradualmente la pasta da bianca e gessosa a gialla e fondente. L’affinamento trasformerà anche la fioritura in crosta, che passerà da un candore uniforme (circa 4 settimane) a un tono bianco avorio con screziature marrone scuro a stagionatura ultimata (circa 8 settimane). Per non parlare di quando, passati 6/7 mesi, diventerà Brie Noir, apprezzato quasi solamente nella regione d’origine.

Fromagerie Dongè, considerato tra i migliori produttori della Dop, e quello della Fromagerie Les Courtenay, che produce un Brie de Meaux un po’ più semplice e confezionato in pezzature più piccole. Quando lo aprite dategli sempre il tempo di respirare almeno 30 minuti a temperatura ambiente, per poterne apprezzare meglio le complessità organolettiche.

Osservando la crosta di un Brie a latte crudo possiamo quindi capire il livello di affinamento, un Brie con la crosta screziata sarà prontissimo all’assaggio e per nulla surmaturo. Il suo sapore sarà dolce, fondente, con note di cavolfiore, fungo, sottobosco e nocciola. Mentre da giovane prevarranno le note acidule, di yogurt e ancora fungo.

Accanto a questo gigante dei formaggi vi proponiamo come nostra abitudine anche una piccola identità: il Brie Fermier infatti è prodotto dalla Ferme de la Tremblaye, sempre nella stessa regione, e rappresenta un esempio di produzione limitata. Il Fermier è un formaggio a latte crudo, molto grasso e a pasta più gialla, lo scalzo leggermente più alto del consueto e pesa circa 1 kg. Il sapore

Da anni lavoriamo il prodotto de la

è più lattico, dolce e burroso. Rimangono le note di fungo e sentori vagamente vegetali. Lo consiglierei a chi ha un palato che tende a sapori più delicati. Il termine “Brie” indica solo una tipologia di formaggio e non è protetto da denominazioni di origine, è quindi prodotto in diverse modalità e regioni francesi. Il formaggio solitamente utilizzato in cucina è a latte pastorizzato e non ha grosse evoluzioni di sapore, la crosta non cambia mai così come la texture della pasta. Tuttavia il suo assaggio è un passaggio obbligatorio per comprendere ancor meglio il valore di prodotti superiori, magari facendo una degustazione verticale che coinvolga diversi Brie. A quel punto forse diventerete anche voi come Carlomagno, grandi cultori di questo capolavoro caseario!

Île de France

BRIE DE MEAUX AOC DONGE cod 46712 | peso 3 kg ca

BRIE FERMIER CRU cod 44197 | peso 1 kg ca

BRIE MON SIRE

BRIE DE MEAUX AOC COURTENAY

cod 44452 | peso 1 kg ca cod 44453 | peso 3 kg ca

cod 46691 | peso 800 g ca cod 46690 | peso 1,5 kg ca

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KASHKAVAL VS CACIOCAVALLO Quali sono le origini della produzione del Caciocavallo? Tra miti e leggende scopriamo un formaggio che sta a cavallo tra due civiltà

NOTIZIE CIBO DALDA MONDO VALSANA

Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

Cercare d’indagare l’origine del nome e della produzione del caciocavallo è come tentare di districarsi negli intrecci misteriosi di un giallo dai mille risvolti. Quando si tratta di attribuirsi l’origine di un prodotto di pregio come questo, la storia sconfina nella mitologia e le diverse teorie si perdono in un contradittorio fatto di citazioni, leggende e date che poco aiutano il difficile compito di storici e antropologi del cibo a fare chiarezza. Ciò premesso, cerchiamo di venirne a capo. Esistono sostanzialmente tre teorie, la prima propende per l’origine persiano-ottomana di questo formaggio, la seconda lo lega alla tradizione agro-pastorale degli antichi romani, la terza alla diaspora degli ebrei sefarditi spagnoli. KASHKAVAL Secondo i primi, il termine caciocavallo deriverebbe dalla combinazione del termine kash, che in lingua fārsī (persiano) significa formaggio, con la denominazione d’origine Kaval, dal nome della cittadina greca di Kavala, ai confini con la Turchia e la Bulgaria, primo centro di produzione. Il kashkaval rappresentava uno dei formaggi più amati dai sultani sotto l’impero ottomano. Ancora oggi il kashcaval è uno dei formaggi più popolari in molti Paesi dell’area turco-balcanica e del Medio Oriente, dove viene prodotto in tante varianti, che non hanno però mai la classica forma a pera dei loro “cugini” italiani. Secondo gli studi della Facoltà di veterinaria di Belgrado invece le cose starebbero diversamente. Il kačkavalj sarebbe una specialità delle comunità Arumene, un gruppo etnico semi-nomade valacco, stanziato lungo la zona centro-meridionale dei Balcani. Anche nella loro lingua il termine caș significa formaggio! Gli arumeni lo producevano con latte crudo e lo portavano con sé durante la transumanza, legandolo al collo dei cavalli per trasportarlo. Secondo la storica serba Olga Zirojević invece, furono i mercanti ebrei a introdurlo a Istanbul nel 1588 dalla Spagna, come variante con caglio vegetale del queso manchego, in osservanza alla precettistica religiosa kasher. Comunque sia andata, il kaşkaval veniva e viene consumato nell’area turco-balcanica preferibilmente a colazione, al naturale, VALSANA | 24


con frutta secca e miele o usato come ingrediente nelle farciture e nelle ricette di breakfast pastry, come la kashkavalka bulgara, oppure fuso su crostini come nella ricetta romena del caşcaval pane o sulla polenta, come variante della mămăligă cu brânză. In Albania, viene servito come entrée di benvenuto, offerto gratis ai clienti, semplicemente fritto. E’ con questa ricetta che si è fatto apprezzare nell’area, al naturale quando è stagionato, impanato nella farina o nel pangrattato quando è fresco, fritto nell’olio extravergine d’oliva, con una semplice spruzzata di succo di limone o una spolverata di cumino in polvere. CACIOCAVALLO Il caciocavallo podolico e il caciocavallo irpino di grotta sono due specialità riconosciute dal Ministero delle Politiche Agricole, come prodotto agroalimentare tradizionale italiano. Il primo documento che ne traccia l’origine risalirebbe secondo alcuni al 1925, quando sarebbe stato presentato per la prima volta alla Fiera di Fiume. Ma anche in questo caso le leggende non mancano. Se non adottiamo come spia linguistica la sua denominazione, ma il disciplinare di produzione, potremmo farlo discendere addirittura dalla ricetta del

manum pressum descritta dall’agronomo romano Lucius Iunius Moderatus Columella nel 68 d.c. Guai a parlare di una possibile adozione da parte italica del kashkaval, grazie agli scambi mercantili che, dall’epoca delle repubbliche marinare, collegavano Amalfi a Costantinopoli, o in epoca ottomana, l’Albania alla Puglia attraverso l’Adriatico, o peggio ancora della sua matrice ebraico-sefardita spagnola, come potrebbe farci pensare la filastrocca ispirata alla satira politica siciliana, riportata da Angelo de Gubernatis nella “Rivista delle Tradizioni Popolari” a fine ‘800.

“Ole’ ole’ olagna Ha vinutu lu re di Spagna Ha purtatu ‘na cosa nova: Casicavaddu frittu cu’ l’ova” V. Paccà, Messina (1894) E’ bene sapere però che in Serbia alcuni ritengono che il caciocavallo sia stato introdotto a Pirot nel 1810 dalle comunità italiane presenti sulla costa dalmata, per diffondersi in tutta l’area.

Ricette dal mondo

Il bello di tutta questa storia sta nel fatto che, comunque siano andati i fatti, ognuno ha declinato a modo suo il modo di prepararlo, affinarlo, servirlo e cucinarlo. Se parliamo di caciocavallo fresco, stagionato da 30 a 60 giorni, il profumo è quello delicato del latte, con il protrarsi della stagionatura spiccano i sentori erbacei del fieno, di fiori amari, talvolta di vaniglia e spezie, in alcune produzioni anche le note piccanti. Un Caciocavallo Irpino fresco è buonissimo al naturale, con frutta secca e miele, anche amaro, ma le applicazioni in cucina sono infinite. E’ ottimo per gratinare timballi di pasta, verdure al forno, sciolto in fonduta con una noce di burro e latte per rendere irresistibili gnocchi e paccheri di Gragnano, ma anche un risotto e una zuppa di cipolla ramata di Montoro. Tra gli ortaggi predilige il carciofo di Paestum, le melanzane e il pomodorino giallo. Tra i prodotti da forno sta prendendo piede nelle pizze gourmet come alternativa o aggiunta alle mozzarelle e al Provolone del Monaco. Da qualche tempo poi non manca mai nelle sagre paesane dell’Alta Irpinia nella versione “Impiccato”, ossia appeso sopra una griglia per una “fonduta verticale”, da servire su pane abbrustolito.

KIZARMIS KASHKAVAL KASHKAVAL FRITTO INGREDIENTI: 1 fetta di Caciocavallo Irpino fresco, spessa un dito, farina di grano 00, olio extravergine d’oliva, 1 limone, 1/2 cucchiaino di cumino in polvere Passate velocemente la fetta sotto l’acqua fredda, e senza asciugarla, impanatela nella farina e fatela dorare in poco olio ben caldo. Quando avrà fatto la crosticina da un lato, rigiratela, per dorare anche l’altro. Servite con una spruzzata di succo di limone o una spolverata di cumino

CACIOCAVALLO IRPINO FRESCO cod 25203 | peso 2 kg circa VALSANA | 25

VARIANTI: Potete tagliare il caciocavallo con un coppa pasta della dimensione preferita, anche piccolo per una versione finger food. La farina di grano 00 può essere sostituita con quella di riso. Per ottenere una consistenza più croccante fate raffreddare il caciocavallo in frigo, o fatelo congelare, prima di impanarlo e friggerlo. I semi di cumino possono essere sostituiti a piacere con quelli di finocchio o anice. PAESE D’ORIGINE DELLA RICETTA: Turchia


PROSCIUTTO DEMOCRATICO

OSIAMO L’ABBINAMENTO

Un sapore che divide senza lasciare indecisi. Proviamo a mettere in crisi i nemici della pecora... Nonostante di primo acchito si possa pensare che i salumi di pecora siano più complicati in termini di sapore, per la maggior parte degli avventori della tavola, vorrei in questo numero condividere i motivi per i quali invece la carne di pecora è una delle materie prime più democratiche. Per parlare di “oggi” di solito si parte da “ieri”, quindi dalla storia. Anche se il maiale, con tutti i suoi tagli, è di gran lunga più famoso, gli ovini, con 1 miliardo 67 milioni di capi, costituiscono, insieme ai bovini, la specie più diffusa nel mondo; la loro importanza e la diffusione sono dovute al loro carattere mite e all’adattabilità agli ambienti climatici più diversi. E’ un’animale rustico, capace di vivere con foraggi di scarso valore nutrizionale con la possibilità di produrre carne, latte, lana. Inutile insomma dire quanto storicamente sia stato più conveniente e necessario per la sopravvivenza allevare ovini piuttosto di altri animali, che come il maiale erano considerati da celebrazione. Ad oggi si potrebbe dire che i valori si sono quasi invertiti, la pecora viene consumata molto meno e riconosciuta più per la celebrazione, specialmente al settentrione in specifici periodi dell’anno, come la Pasqua.

Matteo De Santi è Laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

Il prosciutto di pecora paradossalmente potrebbe rispondere in maniera naturale ad alcune di queste richieste. Per esempio grazie al fatto di essere un salume molto magro, ricco di proteine e ottenuto solo con carne, sale e spezie. Il violino di pecora, e quindi anche il prosciutto senza osso, fanno parte della tradizione di alcune regioni in Italia: sarda, abruzzese e lombarda; ora parliamo di quella nordica, in particolare della tradizione camuna. Il violino di pecora è ben radicato nella tradizione delle valli a nord di Brescia, come ad esempio, nella Val Camonica.

Perciò, perché tornare indietro? La varietà di tipologie di prodotti (senza glutine, pochi grassi, bio, equo e solidale, senza lattosio e tanti altri) e l’attenzione all’alimentazione sotto il profilo dei valori nutrizionali, stanno crescendo sempre più, influenzando la spesa e di conseguenza l’offerta. Il risultato sono diete selezionate o etiche, aumento delle intolleranze, diete con pochissimi grassi oppure regimi alimentari dedicati per sportivi, quindi con apporti elevati di proteine.

PROSCIUTTO DI PECORA Prosciutto di pecora senza osso, dal sapore delicato ma riconoscibile codice 82471 | peso 1,2 kg circa

Salumi & Salami Stefano Sacchi è macellaio e norcino di terza generazione; ha appreso l’arte dal nonno e soprattutto dal padre, e da anni porta avanti con passione questa tradizione. Oltre ai salumi più classici di maiale, di capra e di pecora, produce anche il tradizionale violino della Val Camonica, anche nella versione disossata

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Il sapore di questa carne, che per tanti non è semplice, solitamente divide i consumatori in amanti appassionati da un lato e riluttanti convinti dall’altro. Il prosciutto, con la sua speziatura e stagionatura, smorza molto questi sentori animali, spostandosi molto più verso una coppa stagionata, in termini di sapore. Ma se ancora non vi ho convinti, adesso ci provo con gli abbinamenti, per spingere all’azzardo i contrari e indurre all’abbondanza i favorevoli.

NEL BICCHIERE Con la voglia di non farmi tentare subito da un rosso deciso come un Montepulciano d’Abruzzo, vorrei osare l’abbinamento con un metodo classico lombardo, con l’idea di sfruttare la sua freschezza per ottenere dopo l’assaggio del prosciutto di pecora buona pulizia in bocca. Consiglierei un buon Oltrepò Pavese DOCG, da uve pinot nero per avere un po’ di carattere in più.

NEL PIATTO Ho provato molti abbinamenti in cucina: come ripieno di involtini e pasta sfoglia, croccante nei panini oppure marinato a carpaccio con verdure… tutti ottimi, ma alla fine ho ceduto a una pasta. Dopo aver fatto una semplice crema frullando dei ceci saltati in padella con peperoncino e rosmarino, vi ho aggiunto dei rigatoni per completare la cottura e solo all’ultimo il prosciutto di pecora precedentemente cubettato… soddisfatto! La dolcezza dei ceci e la sapidità del prosciutto di pecora si compensano a meraviglia, senza coprirsi l’un l’altro, rimanendo distinti.

DAL CAMPO Se mi chiedessero qual è una verdura di cui difficilmente mi sazio probabilmente direi il carciofo e visto che la sua stagione è già iniziata a gennaio vi consiglio di fare una prova con questo abbinamento. In generale la carne di pecora/agnello riesce a mitigare le note erbacee del carciofo come non riescono a fare manzo e maiale, quindi armatevi di coltello, pazienza e iniziate a pulire carciofi… si sa, come la bellezza anche il sapore è fatica. a egn

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UN CONSIGLIO IN PIÙ

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Presuttu e brebei è la semplicità sarda, non sicuramente nel nome, ma nella sua essenza: tuffate le fette di prosciutto di pecora in un piatto con dell’olio buono e servite col celeberrimo pane carasau… aiò!!

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ELISIR DI GIOVINEZZA

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Ricotta di capra: a partire dalla tavola il segreto dell’eterna giovinezza, in tre ricette leggere ma gustose, dallo stile “mediterraneo” In Italia in quasi dieci anni sono raddoppiati gli ultracentenari, passati da diecimila a oltre diciassettemila e la Sardegna è, in percentuale, tra centenari e abitanti, la Regione più longeva del mondo. Nella terra che alcuni studiosi identificano con la mitica Atlantide, vivono costantemente 370 persone che hanno più di 100 anni. Per non parlare dei supercentenari, nonni che hanno già spento 110 candeline. In un millennio in cui l’eternità sembra essere affidata ai profili social, un gruppo di persone dallo stile di vita parco, che coltivano l’orto e allevano gli animali dei quali si nutrono, dal carattere schivo ma tutt’altro che serioso, sono fonte di studio e curiosità da parte dei fisiologi di tutto il mondo. Merito sicuramente degli ingredienti, semplici ma ricchissimi, che fanno bella mostra di sé sui piatti e nelle dispense. Ma non solo. Abitiamo in città spesso soffocate dallo smog, sostenendo ritmi tutt’altro che slow e diventa difficile vivere il concetto di “dieta mediterranea” intesa appunto come stile di vita, analogo a quello che rende i sardi così speciali, anzi, unici al mondo. Abbiamo alternative? E’ indispensabile educarci alla buona alimentazione, scegliendo con cura prodotti alleati della nostra salute, come i derivati del latte di capra, i cui valori nutrizionali li rendono alleati indispensabili per mantenere il benessere fisico e mentale. E tra questi la ricotta di capra è un piccolo tesoro. E’ sicuramente un po’ più grassa di quella vaccina ma è decisamente più gustosa ed è più facilmente proveniente da allevamenti rispettosi, etici. Molte le vitamine e i minerali presenti, tra i quali la vitamina A, vitamine del gruppo B, vitamina C, vitamina E, calcio, fosforo, magnesio zinco, iodio e tanti altri ancora: un concentrato di elementi antiossidanti, noti “portatori sani” di lunga vita. Non bisogna dimenticare, infine, che la ricotta di capra è particolarmente digeribile e più tollerata anche da chi soffre di disturbi gastrici.

RICOTTA DI CAPRA BIOLOGICA Ricotta biologica, dal sapore dolce e leggermente acidulo; le note caprine sono molto delicate cod 30308 | peso 180 g circa

Mi sono fatta ispirare dalla Sardegna e dai sorrisi bonari dei nonni centenari per la realizzazione dei tre piatti di questo numero, celebrando un gustoso matrimonio tra la tradizione gastronomica isolana e la tradizione della famiglia Perenzin, per un menù che diventa stile di vita semplice ma ricchissimo.

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Anna Maria è cuoca e foodblogger. La sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo


Un classico sardo in una versione super delicata!

CULURGIONES, I RAVIOLI SARDI CHE PROFUMANO DI RICOTTA E DI MENTA Se la tradizione è un’innovazione ben riuscita perché non provare a cambiare il ripieno di un classico sarda? La delicatissima ricotta di capra diventa ancora più morbida grazie alla patata di montagna e la menta regala un profumo di primavera al piatto. TEMPO: 40’ PIÙ IL RIPOSO INGREDIENTI PER 24 PEZZI

200 g semola rimacinata o miscela per pasta fresca 100 ml acqua 300 g ricotta di capra 100 g patate farinose, meglio di montagna 50 g pecorino o parmigiano grattugiato

1 spicchio d’aglio menta essiccata e in foglie 250 g di pomodorini datterini freschi olio evo sale pepe nero macinato al momento Per la sfoglia: in una ciotola o nella planetaria con la frusta a foglia, lavora la farina con l’acqua e con un pizzico di sale fino a ottenere un impasto liscio e sodo. Copri e fai riposare. Per il ripieno: scalda l’olio con lo spicchio d’aglio. Metti da parte e fai raffreddare. Nel frattempo cuoci la patata al vapore con la buccia, sbucciala e schiaccia la polpa con i rebbi di una forchetta. In una ciotola lavora la ricotta ammorbidendola, unisci la patata, amalgama con un filo d’olio, aggiungi il formaggio grattugiato (pecorino per un gusto più piccante e parmigiano per VALSANA | 29

uno più delicato) e profuma con un paio di cucchiai di foglie di menta essiccata e di pepe. Regola di sale, se necessario. Stendi la sfoglia sopra un piano infarinato, con un coppapasta di 6/7 cm di diametro ottieni tanti cerchi e sulla metà di ognuno disponi un cucchiaino abbondante di farcia, piega a metà ottenendo una mezzaluna, fai uscire l’aria e pizzica i bordi così da ottenere il caratteristico smerlo a spiga, tipico dei culurgiones. Porta a bollore dell’abbondante acqua salata e cuoci i culurgiones per 6/8 minuti o fino a quando verranno a galla, raccoglili con una schiumarola e servili con un passato di datterini crudi emulsionati con un filo di olio evo, spolverando con altro formaggio grattugiato fresco e qualche foglia di menta.


CAPRA A COLAZIONE? NELLA CHEESECAKE NEWYORKESE Ricordate quella pubblicità televisiva nella quale un rider e una capra scoprono di avere inconsuete sintonie? Bene, è la stessa ratio che anima questa ricetta: il dolce tipico della città che non dorme mai, forse un po’ troppo ricco di grassa cremosità, che si trasforma in un dessert alleato ricco di saggi suggerimenti nutritivi. Per augurarsi il buon giorno con un sorriso.

LA CUCINA QB NOTIZIE DA DI VALSANA

TEMPO: 80’ PIÙ IL RIPOSO INGREDIENTI PER 4/6 PERSONE

La crema alla ricotta è cremosa ma leggera!

200 g biscotti tipo digestive 80 g fiocchi d’avena 70 g burro a temperatura ambiente 1 cucchiaino di miele di acacia 300 g ricotta di capra 50 g panna acida 50 g zucchero grezzo di barbabietola, frullato un pochino 50 g farina di mandorle 50 g cioccolato bianco, fuso 1 limone bio, le zeste e metà succo 1 uovo bio, temperatura ambiente 200 g frutti di bosco misti zucchero a velo e fiocchi d’avena per il servizio Preriscalda il forno a 200 ° C, statico. Frulla i biscotti e i fiocchi d’avena fino a ottenere una polvere, aggiungi il burro e il miele. Imburra e infarina una tortiera di 22 cm di diametro (oppure copri con carta forno) e distribuisci l’impasto fino ai bordi, premendo bene. Cuoci per 10’, fino alla doratura, sforna e fai raffreddare completamente. Porta il forno a 160° e sciogli il cioccolato bianco. Nella planetaria lavora la ricotta con lo zucchero, aggiungi la panna, l’uovo, la scorza e il succo di limone, la farina di mandorle e infine il cioccolato bianco. Versa la crema sulla base di biscotti e spolvera con un cucchiaio di zucchero. Cuoci per 40’-50’ o fino a doratura e sforna quando sarà rappresa anche al centro, ma non troppo asciutta. Fai raffreddare a temperatura ambiente per 1 ora prima di servire con i frutti di bosco e un po’ di zucchero a velo (o con un po’ di coulisse preparato con metà dei frutti di bosco e un cucchiaio di zucchero a velo).

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SEADAS, LE FRITTELLE DI SAN GIUSEPPE CHE NON TI ASPETTI La primavera porta con sé la Quaresima, quel momento dell’anno che può diventare l’occasione per nutrirsi con una certa leggerezza, così da risvegliare il corpo dopo il lungo inverno. E puntuale si presenta la Festa di San Giuseppe, che consente di festeggiare con dolci fritti, come le frappe napoletane, che quest’anno si trasformano nelle seadas, o sebadas, galluresi, con qualche piccola, e golosa, variazione. TEMPO: 40’ PIÙ IL RIPOSO INGREDIENTI PER 4 PERSONE

280 g di farina 00 per pasta fresca 300 g di ricotta di capra 50 g di farina di nocciole 40 g di strutto 2 arance bio 2 cucchiai di zucchero di canna 100 g di miele di Corbezzolo acqua tiepida olio di semi o di vinacciolo sale Fai scolare la ricotta per circa 30’. Impasta la farina 00 con 1 pizzico di sale e 1 o 2 cucchiai di acqua tiepida, e poi con lo strutto. Lavora fino a ottenere un impasto liscio ed elastico, trasferiscilo in una terrina, copri e lascia riposare per circa 30’.

Fritto? Si, ma light, con il ripieno di ricotta di capra!

Nel frattempo ottieni dalla scorza delle arance le zeste: metà tritale finemente e metà tagliale a julienne. In una ciotola lavora la ricotta asciutta con una spatola, aggiungi due cucchiai di zucchero di canna, il trito di scorza di arancia e la farina di nocciole. Metti da parte. Riprendi la pasta e col matterello stendi una sfoglia sottile, con un coppapasta di circa 10 cm ritaglia dei dischi di pasta, in numero pari. Disponi un cucchiaio di farcia al centro, copri con un secondo disco, premi con i polpastrelli e sigilla con i rebbi della forchetta. In una casseruola porta a 170° dell’olio di semi o di vinacciolo e friggi le seadas, facendole dorare su entrambi i lati. Raccoglile con il ragno, falle asciugare sopra carta assorbente e servile con abbondante miele di corbezzolo tiepido e la julienne di arance.

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Valsana S.r.l. ∙ Via Ettore Maiorana, 3/A ∙ 31025 Santa Lucia di Piave (TV) ∙ Italy Tel. (+39) 0438 1883125 ∙ Fax (+39) 0438 64976 ∙ valsana@valsana.it ∙ www.valsana.it


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