Selezione di Sapori | 2019 03

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A MAG | GIU 2019


SOMMARIO

EDITORIALE DI MARTINA ISEPPON

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giulia Bassetto, Giulia Basso, Alessandro De Conto, Matteo De Santi, Elisa Magro, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Anna Maria Pellegrino Direttore: Giulia Basso In copertina: Paolo e Andrea Gennari Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via E. Maiorana 3/A - Santa Lucia di Piave TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Aprile è stato un mese molto intenso: abbiamo cambiato il gestionale di magazzino e siamo in dirittura d’arrivo con i lavori della nuova sede. Tra un sopralluogo in cantiere, l’addestramento dei ragazzi all’utilizzo del nuovo software e la scelta di resine e scaffalature, siamo comunque riusciti a portare avanti, con l’entusiasmo di sempre, alcuni nuovi inserimenti. La novità principale di questo numero è l’inizio di una nuova collaborazione: entra a far parte della nostra scuderia Il Carro Masseria di Puglia, un’azienda agricola a filiera corta di Putignano (BA): partiamo con tre nuovi formaggi di capra, a voi il giudizio! Sempre restando nel mondo dei caprini freschi, abbiamo una new entry anche dalla Francia, in particolare dalla Valle della Loira: il Mothais sur Feuille AOC. Un’altra novità arriva invece dal Trentino, con il Pastrami secondo Corrà, preparato con un taglio di coscia di bovini di razza Grigio Alpina, speziato, leggermente

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affumicato e cotto a vapore. Ultima notizia dal Piemonte: il Farro di Cascina Oschiena cambia confezione e diventa semi-perlato, un’occasione per parlarvi del bellissimo progetto di Alice Cerutti, che sta realizzando l’Oasi Naturale della Pittima Reale. Ma è un numero ricco anche di ricette e suggerimenti d’uso: dal tris di Anna Maria Pellegrino insalata-strudel-risotto con la Bresaola di Carne Fresca, ai consigli di Josè Luis Nieto sulla Cecina de Leòn, dai reportage culinari di Vittorio Castellani sullo yogurt all’excursus storico di Danilo Gasparini su un’ingrediente principe in cucina: la Colatura di Alici. Concludiamo con i fuochi d’artificio a tremila metri di altitudine, con il reportage di Giulia Bassetto del bellissimo evento di Neurauter, nostro partner in Austria, a cui abbiamo partecipato davvero con piacere!

Martina Iseppon


SOMMARIO MAGGIO | GIUGNO 2019

VIAGGIO IN EMILIA ROMAGNA | VISITA AL CASEIFICIO MAMBELLI 04 INTERVISTA AL PRODUTTORE | CECINAS NIETO

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COME SI FA? | L’APERTURA DEL PARMIGIANO REGGIANO DOP

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SOSTENIBILITA’ E AMBIENTE | CASCINA OSCHIENA

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NOVITÀ | IL PASTRAMI SECONDO I FRATELLI CORRÀ 15 NOVITÀ | IL CARRO MASSERIA DI PUGLIA 16 GEOGRAFIA DEL GUSTO | SAINTE MAURE E NON SOLO

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CIBO DAL MONDO | ALLE RADICI DELLO YOGURT

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BOCCONI DI STORIA | IL GARUM DI CASA NOSTRA

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NOTIZIE DA VALSANA | SÖLDEN: DEGUSTAZIONI AD ALTA QUOTA 24 OSIAMO L’ABBINAMENTO | E SE DICO GRAN CAO?

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LA CUCINA DI QB | MENÙ #SENZASALE

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VIAGGIO IN EMILIA ROMAGNA

VISITA AL CASEIFICIO MAMBELLI Dalla produzione alla tavola, con le ricette di Osta! il ristorantino annesso al caseificio Metà marzo, una giornata spettacolare di sole riscalda Firenze nell’ultimo giorno di Taste. Ci lasciamo alle spalle la città, direzione Santa Maria Nuova di Bertinoro, in provincia di Forlì Cesena, sede del Caseificio Mambelli. Questa volta il nostro viaggio nasce da una richiesta di Franco Turano di Cibo ltd, partner e amico di Valsana ormai di lunga data, che distribuisce i nostri prodotti a Londra e nel Regno Unito. Almeno un paio di volte l’anno ci capita di accompagnarlo a incontrare qualche produttore, perchè anche Franco, come noi,

vuole conoscere di persona i produttori che abbiamo selezionato. Ci accoglie Raffaella, una donna fantastica che sia nei modi che nelle parole, riesce a trasmetterci fin dal primo istante l’amore per quello che fa. Raffaella, terza generazione della famiglia Mambelli, ci accompagna innanzitutto a visitare la produzione. Ci vestiamo, copriscarpe, grembiule e cuffietta, ed entriamo nel caseificio giusto in tempo per assistere alla lavorazione prima dello Squacquerone e poi della ricotta. Il caseificio è

piccolino ma super organizzato, c’è ancora tanta artigianalità nella lavorazione, ad esempio nel confezionamento, dove ogni singolo pezzo viene pesato e incartato manualmente. Come spesso ci capita di sentire, a lavorare in produzione sono soprattutto donne, spiega Raffaella. Lo Squacquerone di Romagna DOP è un formaggio a pasta molle prodotto esclusivamente in una zona geografica ben delimitata, compresa tra le province di Ravenna, Forlì–Cesena, Rimini, Bologna

MASCARPONE MAMBELLI

SQUACQUERONE DI ROMAGNA DOP

I LOVE RICOTTA

Mascarpone artigianale, dolce, con note di latte e panna, prodotto con crema di latte e latte vaccino, senza conservanti

Formaggio freschissimo della tradizione romagnola, prodotto con latte vaccino intero, sale dolce di Cervia e lattoinnesto

Ricotta prodotta a partire da latte intero e acqua termale, a forma di cuore, dal gusto dolce, con note di latte, cremosa

cod 21505 da 250g | cod 21506 da 500g

cod 21500 da 250g | 21500 sac à poche da 1,6 kg

cod 21513 | confezione da 2 x 90 g

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e una parte del territorio di Ferrara. Il latte fresco intero raccolto nella zona definita dal disciplinare viene pastorizzato, quindi vengono aggiunti con innesto naturale i fermenti lattici autoctoni, che hanno il compito di acidificare il latte, e il sale marino integrale di Cervia. Viene aggiunta il caglio di vitello, quindi il coagulo viene rotto in pezzi di 3/4 cm e, trascorso un adeguato tempo di riposo, la cagliata viene versata all’interno degli stampi di formatura, dove inizia il processo di maturazione. Le forme sono rivoltate più volte per permettere lo sgrondo del siero e, dopo una maturazione da uno a tre giorni a +4°C, vengono confezionate. Una particolarità del Caseificio Mambelli è l’utilizzo del Sale Dolce di Cervia, un sale marino integrale “dolce”. Lo Squacquerone viene salato in pasta, mentre altri caseifici utilizzano la salatura in salamoia. La particolare dolcezza del Sale di Cervia deriva dalla minore presenza

di sali amari, come i solfati di magnesio, di calcio, di potassio e il cloruro di magnesio, sostanze per lo più insolubili che danno al sale un retrogusto amaro meno gradito al palato. E’ un sale naturalmente iodato dal processo di cristallizzazione, che non viene essiccato in modo artificiale ma semplicemente lavato con acqua di mare ad alta concentrazione e centrifugato. Per questo mantiene la sua naturale umidità (2%), tipica del sale marino non raffinato, e conserva la presenza di tutti gli oligoelementi dell’acqua di mare, come lo iodio, lo zinco, il rame, il manganese, il ferro, il magnesio e il potassio. Nel frattempo inizia anche la lavorazione della ricotta, in due caldaie a ridosso delle vasche di lavorazione dello Squacquerone, divise da un piccolo passaggio sufficiente a manovrare i carrelli di sgrondo. Raffaella ci spiega tutti i passaggi per ottenere la ricotta, mentre una signora con maestria controlla la flocculazione:

lenti movimenti con un semplice mestolo, ci riportano con l’immaginazione a gesti antichi, quando solo le mani esperte del casaro sapevano rendere unico un prodotto. “I love Ricotta” è in realtà una ricotta speciale, prodotta con il 100% di latte intero anzichè con il siero, come di solito avviene. Il nome “ri-cotta” deriva infatti dalla doppia “cottura”: prima del latte per ottenere il formaggio e poi del siero per ottenere la ricotta. Per farla affiorare, al latte intero viene aggiunta un’acqua salsoiodica termale naturalmente ricca di sali minerali. Il gusto del latte è facilmente riconoscibile, per la dolcezza e la consistenza estremamente soffice. “Osta! Dispensa & Cucina” è l’ultima tappa della nostra visita: un piccolo ristorantino inaugurato di recente dalla famiglia Mambelli, a fianco della produzione, dove si possono degustare i prodotti del caseificio in alcune deliziose ricette. Decisamente non solo piadine...

ZUPPETTA TIEPIDA DI SQUACQUERONE

SFOGLIATINE DI PASTA BRICK ALLO SQUACQUERONE

SQUACQUERONE, SALMONE AFFUMICATO E ZUCCHINE

Frullare 300g di Squacquerone con 100g di latte intero e 20g di olio evo, aggiustare di sale e pepe, riscaldare in una casseruola. Servire con dei crostini di pane, pomodori confit e foglie di salvia fritte

Amalgamare 200g di Squacquerone con dei pomodori secchi tagliati a pezzetti e un po’ di origoano. Stendere su dei quadratini di pasta brick, arrotolare, spennellare con del burro fuso e cuocere in forno 10’-12’

Grattugiate una zucchina, unite del riso bollito, zenzero, succo di limone, salsa di soia, wasabi e lasciate marinare. Preparate degli involtini con il salmone, lo Squacquerone e il composto di zucchine

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CECINAS NIETO

INTERVISTA AL PRODUTTORE

A León, nel nord-ovest della Spagna, Cecinas Nieto produce la Cecina de León, prelibatezza iberica che sta conquistando il mondo

Giulia Basso è giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017

La provincia di León, nella Spagna nord occidentale, è la patria di un prodotto gourmet che si sta facendo conoscere sempre di più nel mondo e anche in Italia. E’ la Cecina de León, un prosciutto di manzo affumicato e stagionato di altissima qualità, il cui sapore prelibato vanta origini antichissime. Per scoprire tutti i segreti di questa carne dal sapore caratteristico, leggermente salata e fibrosa, che nel 1994 ha guadagnato la denominazione Igp, abbiamo

intervistato Conchi Nieto Martinez, Export Manager di Cecinas Nieto, azienda specializzata nella produzione di questa prelibatezza iberica. Qual è la storia della vostra azienda e quanti dipendenti avete oggi? E’ un’azienda a conduzione familiare, fondata nel 1965 da mio padre, José Nieto Blas. Quella di mio nonno era una famiglia di mulattieri della Maragateria, una regione situata a ovest di León: fu lì che mio padre apprese le tecniche artigiane fondamentali per la preparazione della Cecina de León. All’inizio era un’azienda molto piccola, mentre oggi abbiamo 12 dipendenti, con qualche variazione in base al periodo dell’anno.

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Ci racconta le origini della Cecina de León? Le sue origini risalgono ai tempi dei romani. Tra i contadini vi era l’usanza di allevare e nutrire una vacca in casa, per macellarla dopo 4-5 anni e ricavare dai suoi quarti posteriori la Cecina. Poiché si tratta di un prodotto essiccato il processo è sempre stato molto semplice e artigianale e la facciamo esattamente come una volta. Che peculiarità territoriali e climatiche hanno reso la provincia di León il luogo ideale per la produzione di questa tipica carne essiccata? Siamo nel nord-ovest della Spagna, a 800 metri sopra il livello del mare. Qui c’è il clima ideale per ottenere un prodotto di questo genere, perché è molto secco sia d’inverno, con temperature basse, sia d’estate, con il caldo. Da oltre duemila anni è qui che si produce la Cecina e per questo il salume ha ottenuto la denominazione Igp, che limita la sua lavorazione alla sola provincia di León. Quali sono le caratteristiche dei bovini che usate per produrla? Le mucche devono essere “vacche da macello”, nel senso che sono animali allevati proprio per la bontà della loro carne che acquistiamo da macelli selezionati. Non si tratta di bovini giovani, ma di animali che devono avere più di 4-5 anni. La razza non è la cosa più importante, perché sono altre le caratteristiche che ci portano a selezionare le carni: i quarti posteriori che utilizziamo devono essere di qualità, possedere il giusto peso, circa 16-17 chilogrammi ciascuno, e una buona marezzatura.

Per produrre la Cecina de León si utilizzano quattro diversi tagli. C’è qualche differenza nel prodotto finale? Sì, dal quarto posteriore del bovino si ottengono 4 diversi tagli con forme caratteristiche: fesa, noce, sottofesa e scamone, che in spagnolo si chiamano Tapa, Babilla, Contra e Cadera. Tutti sono Cecina de León Igp, ma i gruppi muscolari utilizzati sono diversi. Se la materia prima è buona tutti questi tagli lo sono, perciò a fare la differenza sono le preferenze dei nostri clienti. Che ingredienti sono consentiti dal regolamento Igp per la lavorazione della carne? Il regolamento richiede un prodotto naturale al 100% e realizzato in modo artigianale, rigorosamente nella provincia di León. Perciò utilizziamo solo manzo, sale, fumo e si sottopone il salume a un lento e accurato processo di stagionatura. Non usiamo nient’altro, né additivi né conservanti. Quali sono le principali fasi di lavorazione del prodotto? Come viene affumicato? La prima fase consiste nel tagliare il quarto posteriore nei quattro diversi pezzi: Tapa, Babilla, Contra e Cadera. Quindi, li saliamo e li spostiamo nella stanza deputata all’asciugatura, a temperatura e umidità controllata. Dopo 3-4 mesi spostiamo tutti i tagli nella stanza riservata all’affumicatura, dove rimangono per 15-20 giorni. Li affumichiamo con la quercia, che è la legna da ardere naturale delle nostre terre. Quindi spostiamo il prodotto nella camera di essiccazione VALSANA | 07

“Utilizziamo solo manzo, sale e fumo, senza additivi nè conservanti” Josè Luis Nieto


INTERVISTA AL PRODUTTORE

a temperatura ambiente, dove i pezzi completano la stagionatura fino a dodici mesi. È un processo artigianale che non è cambiato di una virgola rispetto ai tempi dei nostri nonni. Perché il grasso è così importante per ottenere un prodotto di qualità? Perché quando la materia prima è grassa sia all’interno, con una buona marezzatura, sia esternamente, con un’ottima corteccia di grasso, si ottiene un prodotto che anche dopo la stagionatura si mantiene particolarmente succoso e gustoso. La sua leggera venatura di grasso è sinonimo di qualità.

Come si taglia e si utilizza? Abbiamo una vasta gamma di formati e adattiamo il prodotto in base alle preferenze dei nostri clienti. Il taglio della Cecina, che consigliamo di gustare in fette piccole e sottili, è un’arte che viene da lontano. Servono i giusti strumenti, la posizione corretta del pezzo nel cecinero, la morsa utilizzata per il taglio, e una mano ferma e sicura Quali sono le differenze tra la Cecina de León e la Cecina de León Reserva? La principale differenza è il tempo di essicazione. Il tempo minimo di essiccazione richiesto dal marchio

I prodotti...

CECINA DE LEON IGP 5C RESERVA BABILLA

CECINA DE LEON IGP 5C RESERVA CONTRA

Prosciutto di bovino spagnolo, ottenuto dalla noce, affumicato e stagionato. Il sapore è Intenso e persistente, con note di frutta tostata e miele

Prosciutto di manzo spagnolo, ottenuto dalla sottofesa, affumicato e stagionato. Succosa e solubile, con note di frutta tostata e miele

cod 81116 | peso 2,5 kg circa a metà pulita

cod 81117 | peso 3 kg circa a metà pulita disp. anche la versione per morsa non rifilata cod. 81118 | peso 4,5 kg circa

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Igp è di sette mesi che, nel caso della gamma Reserva, si alza a dodici mesi. Ha qualche suggerimento per gli abbinamenti? Sì, naturalmente. Si sposa benissimo con l’olio extravergine d’oliva, il foie gras, i formaggi di capra, ma anche con il mango fritto in insalata o con le uova.

León e alcune aziende hanno iniziato ad andare alle fiere alimentari, ottenendo così contatti da tutto il mondo. L’importante era farlo conoscere, perché si tratta di un prodotto unico di altissima qualità, perciò basta farlo assaggiare alla gente perché ne rimanga conquistata. Oggi esportiamo in tutta Europa e in alcuni paesi terzi, dagli Emirati arabi al Qatar, dal Libano a Hong Kong e dalla Giordania al Marocco.

Quand’è che la Cecina de León ha cominciato a essere conosciuta anche al di fuori del confine spagnolo? Penso che questo prodotto abbia iniziato a farsi conoscere anche al di fuori del nostro Paese quando abbiamo ottenuto la certificazione Igp Cecina de

Un video pratico che spiega come tagliare nel modo corretto la Cecina de León valsana.link/cecina-de-leon-il-taglio

...e le ricette

CECINA DI LEÓN IN SFOGLIA

CECINA DI LEÓN E FOIE GRAS

INGREDIENTI: 1 foglio di pasta sfoglia, 100g di Cecina, 100g di confettura di mele cotogne, 100g di Robiola di Roccaverano DOP (cod. 31259), 2 tuorli d’uovo, olio al tartufo (cod. 93090)

INGREDIENTI: Foie gras (cod. 84050), confettura di mele cotogne, 3/4 fette di Cecina, sale e pepe qb

Creare dei cerchi di pasta sfoglia. Spennallarli con i tuorli d’uovo e metterli in forno a 200 gradi per 10 minuti. Rimuoverli e riempirli con 1/2 fette di Cecina, la confettura di cotogne e la Robiola. Infornare a 180 gradi per 5 minuti. Guarnire con 2 foglie croccanti di Cecina (grigliate sulla piastra 3 minuti per lato)

Grigliare le fette di Cecina di León tre minuti per lato a fuoco medio e metterle da parte. Tagliare il foie gras a cubetti, che serviranno di supporto. Tagliare in superficie il cubetto di foie gras e inserire la “foglia” di Cecina. Guarnire con qualche goccia di confettura di cotogne

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L’APERTURA DEL PARMIGIANO Grazie all’aiuto di Paolo Gennari vi raccontiamo i segreti sull’apertura a mano di una forma di Parmigiano Reggiano DOP

NOTIZIESIDA COME FA?VALSANA

Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana

LO SCALZO DEL PARMIGIANO REGGIANO

IDENTIFICATIVO CASEIFICIO

L’arte dell’apertura di una forma di Parmigiano Reggiano è una pratica che, oltre a essere bellissima da vedere dal vivo, consente di tagliare a roccia il formaggio per evidenziare la tipica struttura granulosa della pasta, caratteristica comune a tutti i formaggi che vantano lunghe stagionature. Esistono principalmente due tecniche di apertura a mano della forma intera di Parmigiano Reggiano DOP: il taglio verticale, il metodo più pratico per porzionare correttamente la forma per la vendita in negozio, oppure il taglio orizzontale detto a orologio, decisamente più scenografico e per questo ideale in tutte quelle occasioni in cui il taglio viene fatto alla presenza di pubblico.

LOGO PARMIGIANO REGGIANO DOP DATA PRODUZIONE BOLLO CEE

Noi, per imparare, ci siamo recati direttamente al quartier generale di Gennari, a Collecchio (PR), dove ad accoglierci c’era Paolo Gennari, indaffaratissimo ma subito disponibile a raccontarci i segreti del taglio del Parmigiano... Non prima di avere sbirciato un pochino in caseificio però! La lavorazione era quasi finita, perciò abbiamo potuto vedere solamente l’estrazione della cagliata dalle ultime caldaie dedicate alla produzione del Parmigiano Reggiano DOP biologico, proprio l’ultimo nato in casa Gennari, prodotto con latte biologico di vacche di razza Frisona. Quanto basta per renderci conto di come, nonostante tutti gli ammodernamenti, la segreto è manualità nei gesti dei casari conservi ancora un’importanza fondamentale.

“Il non segnare troppo la pasta e lasciare che la forma si apra da sola”

Quindi ci siamo recati velocemente nelle sale di stagionatura per capire come viene realizzata l’apertura del Parmigiano. Per prima cosa, Paolo ci insegna a capire il significato dei diversi numeri e simboli marchiati sullo scalzo della forma intera, per poi dare inizio al taglio.

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PARMIGIANO REGGIANO DOP BIO Parmigiano stagionato circa 24 mesi prodotto con latte biologico di vacche di razza Frisona, allevate a Ossola, piccola frazione di Fornovo di Taro. Leggermente più profumato rispetto alla versione classica, il gusto ricorda le caratteristiche note di latte fresco, burro e yogurt, tipiche delle produzioni del Caseificio Gennari. codice 33133 | 1/8 | 5 kg circa forma intera su prenotazione


1 | GLI STRUMENTI Paolo suggerisce di utilizzare tre diversi coltelli: a uncino, a goccia e a spatola. Se avete poca praticità potete tenere a disposizione un secondo coltello a goccia per procedere più agevolmente con le incisioni nella forma. Posizionare la forma su un piano di lavoro orizzontale a un’altezza comoda per poter esercitare un’adeguata pressione. 2 | DA INTERO A META’ Incidere la crosta con il coltello a uncino creando una linea lungo tutta la faccia piana superiore, proseguire verticalmente lungo lo scalzo e quindi sulla faccia piana inferiore e di nuovo sullo scalzo opposto. Inserire il coltello a goccia al centro della faccia piana e poi proseguire alternando spatola e goccia (oppure le due gocce): i coltelli devono essere inseriti in posizione perpendicolare rispetto al formaggio. Praticare le incisioni al centro di ogni faccia piana e sull’angolo tra la faccia piana e lo scalzo, sempre lungo la linea mediana segnata con l’uncino. I coltelli svolgono una funzione di cuneo che permetterà alla forma di fratturarsi, un po’ alla volta, lungo tutta la linea mediana. Inserire quindi il coltello a spatola e con un po’ di pressione aiutare l’apertura della forma.

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3 | DALLA META’ AL QUARTO Adagiare la mezza appena tagliata su una faccia piana e, una volta identificata la metà, incidere di nuovo tutta la crosta sulle due mezze facce piane e sullo scalzo. Procedere quindi con l’inserimento dei coltelli come al punto 2. Un po’ alla volta si formerà una linea di frattura e inserendo la spatola sulla pasta, il pezzo si dividerà in due quarti. 4 | DAL QUARTO IN POI Per dividere il quarto appena ottenuto in altre due parti, adagiarlo sul piano di lavoro dalla parte della pasta più stabile e incidere una linea mediana lungo tutto lo scalzo. Quindi inserire i coltelli a goccia di modo che si crei la frattura, capovolgere il pezzo adagiando lo scalzo sul piano di lavoro e quindi dividere le due metà dalla parte della pasta, con l’aiuto della spatola ma facendo attenzione a non rovinare troppo la punta. L’ottavo di forma può essere porzionato in pezzi via via più piccoli, procedendo a dividere ogni pezzo ottenuto incidendo la metà sulla faccia piana della crosta e fratturando il pezzo con il coltello a goccia, fino a dividere le metà con il coltello a spatola. 5 | IL TAGLIO A OROLOGIO Incidere con l’uncino una linea orizzontale a metà dell’altezza dello scalzo, lungo tutta la lunghezza della forma, quindi inserire alternandoli spatola e goccia fino a completare la circonferenza. A questo punto la forma dovrebbe cedere aprendosi in due metà. Per questa tecnica di taglio è meglio farsi aiutare da una seconda persona e se il formaggio non è molto stagionato meglio effettuare delle incisioni più ravvicinate.

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SOSTENIBILITÀ E AMBIENTE

CONSERVARE NON BASTA PIÙ OGGI BISOGNA RESTITUIRE “Ci piace venire a trovarvi e parlare con voi, perchè ci sentiamo meno pazzi”. Questa è stata la conclusione della chiacchierata con Alice Cerutti dopo il cooking show di Anna Maria Pellegrino a Gourmandia. Alice e Simone sono due ragazzi incredibili, capaci di scelte coraggiose, che mettono al primo posto i valori in cui credono, anche a discapito del profitto personale.

Come convertire 25 ettari, prima dedicati alla coltivazione del riso (un quarto dell’azienda) alla realizzazione di un’oasi per la tutela della biodiversità “Una pazzia, ce lo dicono tutti, o quasi”. Ma per Alice le decisioni controcorrente non sono una novità: nel 2008, dopo la laurea in economia e una brillante carriera in una multinazionale, che l’aveva portata a trasferirsi negli Stati Uniti, lascia tutto e rientra in Italia per per evitare la vendita della cascina di famiglia: prende in mano

l’azienda agricola, impara a guidare il trattore, a lavorare la terra, a coltivare il riso, a farsi prima rispettare e poi stimare dai suoi vicini, agricoltori di lungo corso, nonostante sia giovane, inesperta e donna. Idee chiare e grinta da vendere, riesce a mettere assieme le sue capacità manageriali, l’amore per la cascina di famiglia, il rispetto per la natura, per dare vita assieme a Simone, prima suo compagno e oggi suo marito, a una realtà bellissima. Ristruttura la cascina, ridefinisce le logiche di coltivazione, e inizia a raccontare il suo progetto. Nel 2015 viene eletta Vice Presidente del Consiglio Europeo dei Giovani Agricoltori, www.ceja.eu. Il Tenimento di Oschiena è fra i più antichi del territorio, le strutture attuali risalgono alla fine del ‘500, anche se il primo documento che ne parla è un Consegnatum del 1202, quando era già in proprietà dell’Abbazia di Santo Stefano di Vercelli. I caseggiati antichi, ristrutturati con cura, sono un archivio della memoria: gli alloggiamenti delle mondine, la scuola per i bambini, la stalla, l’osteria, la bottega e la chiesetta campestre. L’essiccatoio e i silos necessari per una risicoltura all’avanguardia sono stati armoniosamente inseriti all’interno VALSANA | 12

Martina Iseppon Responsabile Marketing in Valsana dal 2003

dell’architettura storica come anche la stalla, che una volta ospitava i cavalli da tiro, è stata riconvertita per il rimessaggio di trattori e attrezzature agricole. Nel 2012 sono stati installati i pannelli fotovoltaici che consentono una riduzione del consumo energetico da fonti non rinnovabili. Sin dall’inizio l’obiettivo è stato quello di perseguire un’agricoltura sostenibile, creando un sistema di coltivazione che potesse unire alla garanzia delle produzioni la tutela dell’ambiente.

“Non ereditiamo il pianeta dai nostri padri, lo prendiamo in prestito dai nostri figli” Molte le decisioni ispirate a questo antico proverbio Sioux, caro ad Alice: tecniche di produzione integrata per ridurre l’utilizzo di fertilizzanti e fitofarmaci, realizzazione di oltre 10 km di fossi in risaia per garantire aree adacquate tutto l’anno e favorire la biodiversità acquatica e terrestre, mantenimento delle risaie allagate, soprattutto nei periodi


primaverili, per facilitare gli insediamenti e la nidificazione delle specie avicole migratorie. Nel periodo invernale viene inoltre praticata la semina di colture da sovescio, cioè la semina di specie vegetali che permettono di arricchire naturalmente la fertilità del terreno. L’utilizzo di attrezzature di minima lavorazione, che non prevedono il rivoltamento della terra, consente inoltre di ridurre notevolmente il consumo di gasolio rispetto ad altre pratiche, come per esempio l’aratura. La semina viene effettuata a fine aprile-inizio maggio, a seconda delle varietà, in risaia rigorosamente allagata, nel rispetto di una tecnica antica, contrapposta alle moderne tecniche di semina in asciutta: una scelta etico-ambientale-agronomica importante per salvaguardare le peculiarità ambientali dell’areale risicolo. Il raccolto è eseguito con una mietitrebbiatrice tra settembre e ottobre. Il risone raccolto viene trasportato in Cascina dove viene pulito, essiccato lentamente a basse temperature fino a raggiungere il 12-13% di umidità, stoccato in silos prima della lavorazione esclusivamente meccanica (sbramatura) a pietra. “Una sera - racconta Alice - ero in cucina con mia mamma, pioveva e avevamo la stufa accesa quando un uomo bussò alla porta”. Sembra l’inizio di una fiaba, e in effetti qualcosa di magico c’è nella storia di Alice. “Quell’uomo era Mauro Della Toffola, un noto ornitologo piemontese, maggiore esperto in Italia della Pittima Reale. Era venuto ad avvisarci, con un entusiasmo che al momento avevo difficoltà a condividere, che la Pittima Reale aveva nidificato in Cascina. Al tempo non avevo idea nemmeno di cosa fosse la Pittima nè tanto meno del ruolo che avrebbe

avuto nella mia vita. Ma il suo entusiasmo mi colpì e nei giorni successivi andai con Mauro a fare un giro nei campi della Cascina a vedere i nidi di questa specie”.

RISO CARNAROLI CLASSICO Varietà storica da semente certificata, considerato uno dei migliori risi italiani, ideale per risotti pregiati grazie a un’eccellente tenuta di cottura. I chicchi rimangono di consistenza perfetta e ben sgranati. Cottura: 14-16 minuti cod 93825 | confezione s.v. da 1 kg

RISO AROMATICO APOLLO Riso bianco italiano lungo, simile al Basmati. È ottimo bollito o al vapore, ma anche saltato in padella o in accompagnamento a piatti a base di verdure, carne e pesce. Tempo di cottura: 12-14 minuti cod 93820 | confezione s.v. da 1 kg

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Un po’ per curiosità Alice e Simone iniziano questa nuova avventura. Nel 2012 decidono di aderire a Ecorice, un progetto europeo che si propone di tutelare specie e ambienti naturali della pianura risicola vercellese, pressati dalla pratica della monocultura. “Per ricreare il paesaggio rurale antico, salvaguardando ambiente e biodiversità, abbiamo rinaturalizzato due fontanili (risorgive) mediante il rimboschimento delle sponde e piantumato oltre 2000 piante tra siepi e alberi ad alto fusto sulle sponde di canali irrigui”. Grazie alle peculiarità del territorio e all’impegno profuso Cascina Oschiena ottiene il riconoscimento dell’Unione Europea di Zona di Protezione Speciale “Risaie Vercellesi” e nel 2018 diventa “Oasi Naturale”. Lo scorso anno nasce Mario, il bimbo di Alice e Simone, e con l’arrivo di Mario la responsabilità verso l’ambiente diventa ancora più radicale. Così Alice e Simone decidono di convertire 25 ettari prima dedicati alla coltivazione del riso (un quarto dell’azienda) alla realizzazione di un’oasi naturale per la tutela della biodiversità. “Forse è davvero una pazzia, ma per noi si tratta di realizzare un sogno, un progetto a cui lavoriamo da oltre quattro anni assieme a naturalisti, biologi e ornitologi”. Grazie all’approvazione del progetto europeo, che ha permesso di finanziare in parte la creazione dell’Oasi della Pittima Reale, Cascina Oschiena ospiterà la più grande area umida privata, per favorire il ripopolamento di questa specie, che in Italia è in forte diminuzione.


Video “L’Oasi Naturale della Pittima Reale” di Cascina Oschiena

SOSTENIBILITÀ E AMBIENTE

valsana.link/pittima

NOVITÀ

RISO ERMES INTEGRALE

RISO VENERE INTEGRALE

ANTICO FARRO SEMIPERLATO

Riso integrale dal chicco allungato e dal pericarpo rosso, volutamente creato mediante tecniche naturali. Delizioso con un filo d’olio evo o in insalata con verdure crude e cotte, pesce e carne. Tempo di cottura: 35-40 minuti

Riso integrale dal caratteristico aroma di pane appena sfornato. Versatile in cucina, perfetto nei risotti e nelle insalate, o come accompagnamento di secondi a base di pesce e carni bianche. Tempo di cottura: 35-40 minuti

Farro Dicoccum semiperlato, dal chicco di buone dimensioni e dalla consistenza interessante. Ideale per zuppe, minestre, insalate fredde e dolci. Ottimo in abbinamento a legumi e verdure. Tempo di cottura: 25 minuti

cod 93822 | confezione s.v. da 1 kg

cod 93823 | confezione s.v. da 1 kg

cod 93826 | confezione s.v. da 500 g

Ogni anno per aiutare la Pittima Reale (limosa limosa) a portare a termine la sua nidiata vengono lasciate incolte fino a giugno parte delle risaie, in modo che le Pittime, così come tante altre specie migratorie, trovino gli habitat ideali per rifocillarsi e nidificare. Viene inoltre anticipato il periodo di sommersione delle risaie, al fine di creare con largo anticipo le condizioni di biodiversità per questa specie.

Per favorire ulteriormente la nidificazione, oltre a lasciare completamente inerbiti tutti gli argini perimetrali degli appezzamenti, viene prevista annualmente una coltura da asciutta su appezzamenti limitrofi a quelli sommersi in modo tale da fornire naturale protezione alle coppie nidificanti.

L’acqua in risaia non è solo irrigazione, ha anche la funzione di mantenere costante la temperatura per la pianticella nella prima fase agronomica; fino ad agosto quando l’acqua viene tolta prima della trebbiatura. “Quando la risaia è allagata, specialmente nel periodo primaverile, il paesaggio risicolo offre il suo aspetto più spettacolare: i riflessi del cielo, degli alberi e delle montagne creano effetti ottici come in uno specchio, le cascine sembrano isole in una stupenda laguna”.

La conservazione degli ecosistemi è un punto chiave. Ma oggi non basta più. Oggi bisogna restituire Così è nata la decisione di iniziare a coltivare il farro, che per noi è il farro “della Pittima”. Farro che da quest’anno diventa semiperlato, VALSANA | 14

con l’idea di mantenere parte della crusca e del germe per preservare le proprietà nutrizionali di questo cereale, rendendolo “meno raffinato”. Grazie all’aiuto di Mauro, Franco e Gianfranco, esperti ornitologi piemontesi, ogni anno viene fatto un monitoraggio che permette di stimare le popolazioni: in media dalle 15 alle 36 unità, anche se il trend pare in crescita. “Con l’Arpa e l’Università di Torina monitoriamo il numero di farfalle, di libellule, di lucciole e vediamo che ad ogni piccola scelta di restituire qualcosa alla natura, la natura ci ripaga ripopolando la nostra Cascina con tantissime specie”. Ascoltando Alice e l’entusiasmo che la guida nelle sue scelte controcorrente mi convinco una volta di più che “le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia” (Erasmo Da Rotterdam).


IL PASTRAMI SECONDO I FRATELLI CORRÀ

Elisa Magro, laureata in Scienze della Comunicazione, dopo un’esperienza nell’ecommerce ora si occupa di Marketing online in Valsana

CHE COS’È IL PASTRAMI? Nient’altro che un pezzo di carne, tradizionalmente la punta di petto del manzo (ma sono usati anche montone o agnello) speziata, leggermente affumicata e cotta a vapore. Il nome deriva dal rumeno “pastramă”, che significa “conservare”, proprio perché questa preparazione nasce come metodo di conservazione della carne. Originario dell’Europa dell’Est dalla cultura ebraica, il pastrami arriva in America con le migrazioni di europei di religione ebraica alla metà dell’Ottocento, provenienti per lo più dall’area dell’impero Austro-Ungarico, di cui faceva parte anche il Trentino Alto Adige. La sua modalità di preparazione è infatti molto simile a quella usata per altri prodotti della tradizione trentina.

MANZO A VAPORE AFFUMICATO È proprio al pastrami che si sono ispirati Pio e il fratello Luca per la preparazione di questo salume, partendo da una materia prima di qualità: manzo di razza Grigio Alpina (Presidio Slow Food), nato e allevato in Trentino Alto Adige. La scelta del taglio della carne utilizzata, la coscia, è lo stesso usato per la carne salada. La lavorazione è completamente priva di additivi chimici con la sola aggiunta di spezie, “molto simile alla lavorazione della carne salada - ci spiega Pio Corrà - che poi viene asciugata, cotta a bassa temperatura per 24 ore e leggermente affumicata con segatura di faggio e bacche di ginepro”. CI È PIACIUTO PERCHÈ...

Negli Stati Uniti, è diventato pietanza simbolo dello street food, servito con senape e cetriolini tra due fette di pane di segale, con il nome di Pastrami Sandwich.

È sapido e aromatico con una piacevole morbidezza data anche dalla cottura a vapore. È versatile, molto adatto per la preparazione di antipasti, aperitivi e panini gourmet.

NOVITÀ

Suggerimenti d’utilizzo Provatelo accompagnato da: salsa tartara (cod 94484), mostarda di cipolla (cod 93168), chutney di ananas, melanzana e menta (cod 93839), Aceto Balsamico di Modena IGP Può essere usato come ingrediente per hamburger gourmet, al posto del bacon, e sulla pizza. Consigliamo di affettarlo non troppo sottile

MANZO A VAPORE AFFUMICATO Coscia di bovini di razza Grigio Alpina nati, allevati e macellati in Trentino. Confezionata sottovuoto. cod 82353 | peso 2,5 Kg ca VALSANA | 15

Aceto Balsamico di Modena IGP ‘L’acetaia di Nonno Guido’ cod 93416 | bottiglia da 250 ml

NOVITÀ

Carne succulenta, speziata e sapientemente affumicata. Scopriamo un po’ di più su questa preparazione, tanto diffusa quanto sconosciuta


IL CARRO MASSERIA DI PUGLIA

NOVITÀ

Azienda multifunzionale a filiera corta, come piace a noi. Iniziamo con entusiasmo questa collaborazione presentandovi tre novità di capra L’AZIENDA IL CARRO – Due ettari di terreno, 20.000 metri quadri, dedicati all’allevamento e 60 ettari di terreno seminativo: un’area zootecnica, un opificio adibito alla trasformazione del latte e alla stagionatura dei formaggi, un punto vendita dove poter acquistare e degustare i prodotti. Azienda giovane, nata nel 2015, Il Carro sorge a Putignano in provincia di Bari, nel cuore della Puglia, alle porte della Valle d’Itria. Una vera e propria azienda agricola multifunzionale, capace di coltivare i campi di proprietà da cui ricava il foraggio per 1000 capre da latte di razza Saanen e di razza Camosciata delle Alpi, trasformare nel caseificio aziendale il latte e stagionare il formaggio dentro un ambiente naturale, come avveniva un tempo nelle antiche masserie.

IL LIBRO GENEALOGICO DEI CAPI L’attenzione per la salute degli animali è prioritaria. L’azienda sceglie di tracciare nel Libro Genealogico ascendenti paterni e materni di ogni singola capra: perchè da animali sani si ricava un latte nobile, di alta qualità. Questa prassi non è ancora obbligatoria per legge, ma è una scelta dell’azienda, per dare al consumatore maggiore tutela, e consentirgli di sapere da dove arriva il latte. Nel laboratorio dell’azienda agricola infatti si effettuano analisi su tutto il gregge più volte l’anno, per garantire un ottimo livello di sanità che procede in parallelo con lo sviluppo genetico per il miglioramento della razza. Le capre sono allevate con sistema di stabulazione libera in moderne strutture, in un clima di benessere e sicurezza, alimentate

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Fig. 1 Mungitura meccanica delle capre

Fig. 2 Affinamento e stagionatura in grotta

prevalentemente con foraggi e granelle autoprodotte in regime di agricoltura biologica. Durante la bella stagione sono lasciate libere al pascolo affinché si cibino di erbe spontanee che crescono nei campi. L’azienda utilizza tecniche innovative e strumentazioni moderne: alimentatori automatici, capretteria con allattatrice automatica (una vera e propria nursery dove i capretti sono seguiti dalla nascita allo svezzamento) e beccheria separata (dove vengono tenuti i maschi in modo tale che il loro

odore forte non venga trasmesso nel latte). A soli 100 mt dalla stalla sorge il caseificio, all’interno del quale il latte viene trasformato in formaggio per poi stagionare e affinare in cavità scavate nella roccia calcarea della Murgia. Un altro esempio di multifunzionalità e filiera corta. Concetti o, semplicemente, valori aggiunti in cui crediamo molto, criteri di selezione ma anche risposte a consumatori sempre più attenti alla qualità, alla provenienza e alla tracciabilità del cibo che scelgono.

NOVITÀ

NOVITÀ

NOVITÀ

NONNO GINO

CAPRA DI PUGLIA PICCOLO

CAPRA DI PUGLIA GRANDE

Prodotto con latte di capra pastorizzato, stagionato 25-30 giorni. Ottimo tale e quale o in abbinamento a salumi e confetture. Provatelo sulla pizza con salame piccante e verdure grigliate

Formaggio a pasta molle di capra stagionato 20 giorni circa, caratterizzato da una sottile crosta fiorita ricoperta di muffe. Morbido, gustoso, con pronunciate note di latte e yogurt e delicato sentore caprino

Formaggio a pasta molle di capra. A differenza del piccolo stagionato minimo 40 giorni, caratterizzato da una sottile crosta fiorita. Dolce e solubile con leggere note di frutta tostata

cod 21280 | peso 800 g circa

cod 21282 | peso 1 kg circa

cod 21283 | peso 5 kg circa

CI È PIACIUTO PERCHÈ...

CI È PIACIUTO PERCHÈ...

CI È PIACIUTO PERCHÈ...

Pur essendo una caciotta esprime un sapore persistente, con note dolci e leggermente ircine

Ci mancava un formaggio di capra con caratteristiche di questo tipo: semplicità di taglio e dolcezza

Pur essendo prodotto con la stessa ricetta del piccolo, sviluppa una complessità aromatica del tutto peculiare

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SAINTE MAURE E NON SOLO

GEOGRAFIA DEL GUSTO

In viaggio verso la Valle della Loira, con tappa nel Poitou-Charentais, alla scoperta di 4 formaggi di capra degni di nota

Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export

Leggere e scoprire tra le pieghe della storia l’origine di alcuni formaggi offre una soddisfazione incredibile, e la vorrei condividere con voi in questo articolo. Certo non torneremo tra i banchi di scuola, non dovremo ricordare date, nomi e contendenti di questa battaglia o quell’accordo di pace, ma quanto meno fissare nella testa questi tre elementi: VIII secolo, Battaglia di Poitiers (Loira), Saraceni contro Carlo Martello. La storia dei caprini francesi inizia qui, o ancor meglio quando prima del formaggio sono arrivate le capre, giunte in Francia con l’esercito saraceno proprio alla fine del VIII secolo. Sembra inoltre che il primo formaggio di cui parleremo, il Sainte Maure de Touraine, sia stato realizzato le prime volte da donne arabe che viaggiavano al seguito dell’esercito e rimasero presso alcune famiglie della Loira come servitrici anche dopo la sconfitta dei loro soldati, nella battaglia sopra citata. E la parola “Maure” non si pronuncia forse come “Mor” che tanto assomiglia a “moro”, altro sostantivo per dire Saraceno? Bene, direi che abbiamo abbastanza elementi da poter proseguire. SAINTE MAURE DE TOURAINE AOC Formaggio a latte crudo caprino a denominazione protetta,

contraddistinto da un aspetto unico: ha forma cilindrica con peso di 250 g circa ed è ricoperto da un fine strato di cenere vegetale che lo protegge e allo stesso tempo lo asciuga. Nel caso lo abbiate già assaggiato vi sarete chiesti perchè lo percorra una sottile “cannuccia” di paglia: serve a sostenere la pasta del formaggio e favorisce un’asciugatura omogena, riporta inoltre stampata con il laser la garanzia che il formaggio sia AOC, molti sono infatti i tentativi di imitazione. Il sapore evolve con l’affinamento, citrico e acerbo con pasta ancora friabile nelle prime due settimane, diventa via via più evoluto nel sottopelle mantenendo un cuore compatto e ben asciutto. Il sapore è a questo punto ircino, con sentori di nocciola verde e sapidità appena accennata, uno spettacolo per le papille! Quasi tutti i formaggi caprini della Loira sono da considerarsi a coagulazione prevalentemente lattica, viene cioè aggiunto una ridotta quantità di caglio, ma il resto della coagulazione è indotto da fermenti selezionati e tempo. Questa tecnologia nasce dal fatto che la donna non aveva il tempo di fare una cotta al giorno di formaggi, bensì ne avviava due o tre e nel mentre svolgeva molti altri lavori domestici. Al tempo bastava che il formaggio fosse commestibile e la sua produzione poteva essere presa e interrotta molte volte al dì. CROTTIN DE CHAVIGNOL AOC A pochi chilometri di distanza troviamo un altro mostro sacro del panorama caseario francese : il Crottin de Chavignol, altra denominazione d’origine prodotta a latte crudo caprino. Prende il nome dal villaggio a partir dal quale si è diffusa la

Fig. 1 Stadi della maturazione del Crottin de Chavignol

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pratica produttiva nel XVI secolo, Chavignol appunto, mentre il termine Crottin deriva dal dialettale “crot” che significa “foro”. Infatti inizialmente la cagliata di questo formaggio veniva colata nei fori di stampi argillosi utilizzati per fabbricare precedentemente lampade a olio. Questa tometta ha davvero dimensione contenute, un pezzo pesa circa 60 g, e la sua maturazione procede abbastanza speditamente, attraversando diverse fasi di consistenza della pasta e colorazione delle muffe in crosta (Fig. 1). Come potete vedere si passa da uno stadio “bianco candido”, abbinato a pasta asciutta e compatta, ad uno stadio “blu” abbinato a pasta maggiormente proteolizzata e sapore più appagante, con note di fungo champignon e cantina. Se lo volete provare in cucina vi suggeriamo di passarlo in forno avvolto nella pasta sfoglia, giusto il tempo che si dori la pasta e vi ritroverete un boccone intrigante.

MOTHAIS SUR FEUILLE AOC Ci spostiamo ora leggermente più a sud-ovest nel dipartimento del PoitouCharentais, a nord della Nouvelle Aquitaine, e incontriamo un formaggio che abbiamo appena scoperto: il Mothais sur Feuille, Aoc dal 2006, sempre prodotto a latte caprino crudo da La Ferme Bonde de Gatine. La classica tometta da circa 8 cm di diametro e 220 g di peso viene avvolta da una singola foglia di castagno o platano che permette un’asciugatura più omogenea e uno spessore della buccia sottile. L’affinamento volge a perfezione nel giro di 5-6 settimane, i toni candidi e rugosi della buccia vengono via via sostituiti da toni blu grigi a fine stagionatura, la pasta da gessosa diventa compatta con sottocrosta ben definito e scioglievole al palato. Il sapore è quindi complesso, dolce, leggermente ircino, con un elegante tono di sottobosco e vegetale.

Un formaggio da apprezzare in purezza, magari attendendo che la buccia cominci a piumarsi di qualche muffa grigio-blu, non segno di difetto, ma di progredita maturazione. PICO AFFINÈ Chiudiamo il nostro tour più a sud con il più semplice tra questi quattro caprini, il Pico, prodotto nel Perigord (Aquitania) utilizzando latte caprino pastorizzato. La pezzatura è piccola, la crosta rugosa contiene una pasta proteolizzata all’esterno, ma ancora gessata nel centro. Il sapore è dolce, con note ircine appena accennate e buon bilanciamento di acidità e sapidità. Potrebbe essere il primo o il secondo formaggio in un tagliere misto: iniziamo con semplicità e poi raggiungiamo vette più alte, magari un Crottin de Chavignol a completa stagionatura!

Loira e Poitou Charentais

SAINTE MAURE DE TOURAINE AOC BERCEAU cod 46725 | peso 250 g ca

CROTTIN CHAVIGNOL AOC

NOVITÀ

MOTHAIS SUR FEUILLE AOC cod 44436 | peso 880 g ca conf. da 4 pezzi per 220 g cad

PICO AFFINÈ cod 44069 | peso 125 g

VALSANA | 19

cod 46735 | peso 60 g ca confezione da 12 pezzi


ALLE RADICI DELLO YOGURT Bevanda, marinata o salsa? Dall’India all’Uzbekhistan passando per Iran e Turchia un viaggio alla scoperta delle abitudini di consumo dello yogurt

CIBO DAL MONDO

Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

Viaggiando dal vicino Oriente al subcontinente indiano, in occasione dei miei reportages ed esplorazioni culinarie, ho scoperto nel corso degli anni tantissime ricette a base di yogurt, che esemplificano modi molto diversi di utilizzare questo ingrediente antichissimo, rispetto alle nostre abitudini. Di fatto in Italia, come nel resto dell’Europa, lo yogurt viene servito come un dessert o una crema dolce al cucchiaio, da consumare a colazione o come sostitutivo di un pasto light, al naturale o arricchito di zucchero e frutta, talvolta di muesli. In tempi più recenti ha preso piede la versione “da bere” che lo avvicina maggiormente ad alcune ricette che troviamo nei Paesi dove questo derivato del latte affonda le sue radici. In India del Nord, dal Rajastan a Delhi ad esempio, ricordo piatti come il tandoori chicken, nei quali lo yogurt viene utilizzato insieme a spezie e succhi aromatici di zenzero, lime o tamarindo, piuttosto che polvere di mango (amchoor), per marinare, ammorbidire e insaporire le carni prima della cottura su braci ardenti o nel classico forno verticale. Ma è nelle cucine moghul e nawabi che troviamo le ricette più ricche e raffinate, con piatti di carni cucinate, o meglio “affogate”, in dense salse aromatiche (korma) a base di frutta secca (anacardi o mandorle) e spezie preziose come lo zafferano e il cardamomo. Rimanendo in India come non ricordare poi tutta quella serie di raitas, irresistibili dipping sauces (salse d’accompagnamento) servite come appetizer o per accompagnare carni alla griglia, riso basmati e pani o ancora i deliziosi soft drinks, dolci o salati, come i lassi allo sciroppo di rose, al mango o al sale kala namak e cumino, solo per citare i più comuni. Avvicinandoci al Mediterraneo, lo yogurt sta alla cucina turcobalcanica come la salsa di sesamo (tahina) sta al Medio Oriente, ed entra come ingrediente nella preparazione dei classici antipasti levantini o mezzé. La sua consistenza varia da liquido a compatto avvicinandosi alla Grecia e Bulgaria, con l’aggiunta di panna nella versione straghisto, rendendolo particolarmente adatto per la preparazione di salse come la crema di melanzane affumicate allo yogurt e lo tzatkiki ai cetrioli. VALSANA | 20


In altri Paesi, quelli che dalla Via della Seta si spingono verso le province più orientali dell’ex Unione Sovietica, come l’Uzbekhistan e l’Armenia, lo yogurt diventa un condimento per servire i ravioli di carne manti o un complemento per arricchire zuppe e minestre, come la tarhana soup turca. Avete presente i pansotti liguri al sugo di noci? Alcuni sostengono che la salsa usata per accompagnare questa pasta ripiena ligure sia una rivisitazione della tarator turca; un condimento a base di noci, aglio, mollica di pane e yogurt, lavorato al mortaio. Si narra infatti che all’epoca delle Repubbliche Marinare i commercianti genovesi l’avessero introdotta dal quartiere genovese di Galata a Istanbul, nel capoluogo ligure, trasformando la ricetta originale che prevedeva l’uso dello yogurt, sostituito con latte o semplice acqua per ammollare il pane.

LE ORIGINI DELLO YOGURT Secondo l’enciclopedia Treccani il termine yogurt deriva dal verbo turco yoğurmak, ovvero rimestare, mescolare o dall’aggettivo yoğun, che significa denso, spesso. Molto più difficile è invece tracciare con precisione le sue origini, poiché riferimenti a prodotti assai simili si trovano in diverse civiltà antiche, da quelle mesopotamiche a quella di Harappa della Valle dell’Indo, da quella egizia a quella dell’antica Grecia, da quella persiana alle tribù disperse nell’Asia centrale. E’ indubbio che la sua importanza sia stata molto rilevante durante l’Impero Mongolo e successivamente sotto l’Impero Ottomano, ma è in India che verrà venerato come uno dei 5 elisir nelle preghiere hindù (puja), considerato sacro, con il nome sanscrito di dahi insieme al burro (ghee) e al formaggio (paneer), poiché derivato dal latte della vacca sacra.

Ricette dal mondo

CUCUMBER RAITA | ORIGINE: INDIA SALSA DI YOGURT, CETRIOLO E SPEZIE

DOOGH | ORIGINE: IRAN BEVANDA ALLO YOGURT E MENTA

INGREDIENTI: 200 ml di yogurt di capra Chiuro (cod. 21522), 80 gr di cetriolo sbucciato e tagliato a cubetti, 1/4 di cucchiaino di cumino in polvere, 1/4 di peperoncino in polvere, 1/2 cucchiaino di zucchero in polvere, 1 cucchiaino di foglie di coriandolo (facoltativo), sale

INGREDIENTI: 750 ml d’acqua lievemente frizzante, 250 ml di yogurt intero naturale Chiuro (cod. 21520), 1 cucchiaino di menta essiccata in polvere o 10 foglie tritate di menta dolce fresca, 4 ciuffi di menta fresca per decorare, 1-2 cucchiaini di sale fino, ghiaccio

In una ciotola lavorate lo yogurt con una frusta, insieme al sale, lo zucchero, il cumino e il peperoncino. Mescolate bene, aggiungete il cetriolo tagliato a cubetti e decorate con foglioline di coriandolo fresco

In un contenitore frullate insieme l’acqua frizzante con lo yogurt e la menta. Insaporite con il sale, mescolate bene e servite in bicchieri tumbler grandi con ghiaccio a piacere

YOGURT CAPRA CHIURO VALTELLINA

YOGURT INTERO NATURALE CHIURO

cod 21522 | vasetto da 150 g

cod 21520 | vasetto da 150 g VALSANA | 21


BOCCONI DI STORIA

IL GARUM DI CASA NOSTRA: LA COLATURA DI ALICI Diffuse soprattutto in Asia, le salse a base di pesce fermentato trovano grande spazio nelle preparazioni culinarie di tutto il mondo, fino a Cetara...

Danilo Gasparini è docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3

Nella cultura alimentare, da secoli, la fermentazione è sempre stata uno dei tanti metodi di conservazione del cibo ma anche di uso del medesimo. Dal controllo della fermentazione sono nate importanti civiltà: si pensi a quella del pane, del latte ma anche del vino. Oggi sappiamo che la fermentazione agisce sugli alimenti come una sorta di predigestione, migliorando la loro digeribilità e arricchendoli con le vitamine del gruppo B e con la vitamina del gruppo C. Inoltre, grazie al lavoro dei batteri, i cibi fermentati sono gradevolmente aromatici e rendono più digeribili anche le pietanze che li accompagnano. Con la fermentazione miglioriamo e quindi prolunghiamo la conservazione dei cibi. Circa un terzo dei cibi che mangiamo è fermentato, dalla birra... Al ciccolato, sì, proprio il cioccolato! E spesso non lo sappiamo. Un processo che sa di misterioso e miracoloso. Tante culture, dall’artico ai tropici, hanno permesso che certi batteri governassero la trasformazione del pesce alterandone la consistenza e il gusto. VALSANA | 22

ASIA ORIENTALE Soprattutto in Asia orientale questa cultura, ancor oggi, riveste un ruolo importante. Sembra sia nata migliaia di anni fa nelle acque dolci del sudovest della Cina e della regione del fiume Mekong per poi diffondersi a tutte le civiltà la cui sopravvivenza era legata al mare. Ancor oggi sono numerose le salse o le paste a base di pesce fermentato: in Thailandia il Nam-plaa con i gamberi, in Giappone il Shottsuru con calamari e visceri, in Malesia il Budu con le acciughe. C’è chi dice che il sushi sia nato proprio perché si è persa l’abitudine di far fermentare il pesce assieme al riso, cominciando a mangiarlo crudo. Ma anche il chimchi coreano con verdure – in particolare cavolo cinese- fermentate con spezie e frutti di mare salati. E senza andare tanto lontano pensiamo ai crauti. SCANDINAVIA Anche il mondo scandinavo ci racconta storie curiose: il gravlax ad esempio, il salmone sepolto. Sembra che di fronte all’abbondanza di pesce e alla scarsità di sale, i pescatori scandinavi salassero leggermente il pesce pulito e lo seppellissero avvolto in corteccia di betulla. E qui avveniva una lenta e radicale trasformazione: la fermentazione lattica rendeva il pesce morbido dal forte odore di formaggio.


Fig. 2 Tavola tratta dal Dizionario delle scienze naturali. Firenze, Batelli, 1847

EUROPA Nell’Europa mediterranea e romana per secoli la salsa più diffusa e usata era il garum o liquamen. Si otteneva salando le interiora di pesce, lasciando fermentare la mistura al sole per vari mesi finchè i tessuti erano completamente dissolti e poi filtrando il liquido scuro. Era usato come ingrediente nei piatti cucinati e come salsa in tavola, a volte mescolato con vino o con aceto. Il ricettario attribuito ad Apicio la contempla in quasi tutte le ricette. A CETARA Tutto questo lungo giro per arrivare a Cetara, un piccolo borgo marinaro in provincia di Salerno, sulla costiera amalfitana, dove da secoli si prepara, se vogliamo definirlo così, l’erede del garum: la colatura di alici. Una salsa realizzata facendo colare il succo prodotto dalle alici salate e pressate in appositi recipienti. Ogni primavera-estate, le alici pescate vengono messe sotto sale e lasciate riposare: la colatura sarà pronta al termine dell’autunno per essere poi confezionata in piccole botticine. Le alici vengono pescate con la tecnica del cianciolo (una rete da circuizione a chiusura meccanica) con l’utilizzo della lampara, da fine marzo all’inizio di luglio, quando presentano un basso contenuto di grasso. Questa specialità si racconta che abbia origine dai monaci cistercensi dell’Antica Canonica di San Pietro a Tuczolo, che salavano le alici in botti le cui doghe non erano in grado di tenere il vino. Man mano che il sale maturava le alici faceva perdere il liquido che colava dalle doghe, liquido che veniva impiegato per condire. La salsa viene utilizzata quasi esclusivamente al sud: bastano poche gocce per esaltare al massimo un semplicissimo piatto di spaghetti. Ottima anche sulle verdure spadellate, sulle uova e su tutti i piatti di mare. Non è facile trovarla in commercio… ma provare per credere. Lo avevano capito gli antichi: fidiamoci!

COLATURA DI ALICI DI CETARA Colatura tradizionale di alici prodotta a Cetara con alici pescate nel golfo di Salerno tra Amalfi e Capri. Sapida ma equilibrata, al palato dona un senso di calore che impreziosisce la pietanza; il profumo dato alla colatura dalle acciughe salate e mature conferisce alle pietanze una notevole nota di sapidità cod 94000 | boccetta di vetro da 50 ml cod 94001 | boccetta di vetro da 100 ml cod 94002 | bottiglietta di vetro da 250 ml VALSANA | 23


L’AUSTRIA INCONTRA IL PIEMONTE

SÖLDEN: DEGUSTAZIONI AD ALTA QUOTA Una tre giorni di eventi e degustazioni di specialità piemontesi e austriache tra le montagne più belle del Tirolo

Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana

Wein am Berg - Österrich trifft das Piemont (Vino in Montagna - L’Austria incontra il Piemonte): questo il nome della tre giorni organizzata a Sölden, in Austria, dall’hotel Das Central in collaborazione con Neurauter Frisch, cliente di Valsana da circa un anno, ma con cui abbiamo già sviluppato una collaborazione intensa. VALSANA | 24

La rassegna, costituita da una serie di eventi distribuiti in diverse location tra le splendide montagne di Sölden, aveva l’obiettivo di permettere ai partecipanti di degustare i migliori vini e alcune tra le migliori specialità gastronomiche dall’Austria e dal Piemonte. Una grande selezione di vini, le preparazioni di chef stellati come Francesco Oberto e Karl Baumgartner, e i formaggi e salumi presentati da Valsana hanno raggiunto (non vi nego, alle volte con un po’ di fiatone) i 3000 metri.

Come cicerone di eccezione avevamo Klara Neurauter, che ci ha dato il benvenuto con un delizioso calice di Riesling austriaco, raccontandoci l’anima dell’evento, del Tirolo e di Neuraurter Frisch. Una bellissima chiacchierata che ricordo con un sorriso, un po’ perché goffamente ho rovesciato il calice sul tavolo, ma soprattutto perché ho capito che Valsana e Neurauter hanno molte caratteristiche in comune.


Neurauter è un’azienda a conduzione familiare guidata da Peter Neurauter con le figlie Klara e Katarina. L’azienda nasce nel 1969 a Ötztal, in Tirolo; a quel tempo la zona era piuttosto povera e le principali attività locali consistevano in fattorie. Con il tempo il turismo invernale ha iniziato a scoprire le valli di Ötztal, così i più intraprendenti hanno iniziato a convertire le proprie fattorie in bed&breakfast o piccoli hotel. Ma Peter Neurauter ha visto ancora più in là e ha capito che c’era bisogno anche di qualcuno che rifornisse tutte queste nuove attività ricettive, poco avvezze al grande turismo, con delle specialità veloci da servire agli avventori: così è iniziata l’avventura di distribuzione di patatine fritte. Grazie alla bellezza di queste montagne il turismo è presto diventato elitario, perciò Neurauter nel corso degli anni ha adeguato la sua proposta e oggi è conosciuto come

distributore delle migliori specialità a ristoranti, hotel e altre attività gastronomiche del Tirolo. Tra i prodotti più importanti, la linea del surgelato, il pesce, la carne fresca e i formaggi. Klara ci racconta che per Neurauter la bontà di un prodotto non dipende solo dalle sue qualità gustative, ma anche dalle storie di persone, ricerca e passione che ha alle spalle e che contribuiscono alla sua bontà, rendendolo unico. Mi emoziona sentire nelle parole di Klara esattamente quello che è il leitmotiv di Valsana! Ed è proprio questo ciò che abbiamo fatto durante i tre giorni di Wein am Berg, raccontato e fatto scoprire a 250 ospiti internazionali una selezione di formaggi piemontesi e di salumi del nord Italia in alcuni dei posti più belli di Sölden: il prestigioso hotel Das Central nel centro della cittadina guidato in cucina dallo chef Michael Kofler, il ristorante e lounge bar IceQ con una vista VALSANA | 25

mozzafiato su un ghiacciaio a quota 3058 m sul monte Gaislachkogl e infine una grande serata di chiusura a 2284 mslm sulla neve delle piste di Giggijoch ,che ci ha salutato con dei meravigliosi fuochi d’artificio durante una fitta nevicata che ci ha fatto dimenticare di essere ormai in primavera. Siamo rientrati in Italia ormai da un paio di giorni ma mentre scrivo quest’articolo devo dire che l’entusiasmo si fa ancora sentire: far conoscere i prodotti con le loro storie fa parte del nostro bellissimo lavoro, ma farlo in posti così belli e con il supporto di chi condivide la nostra stessa filosofia lo ha reso ancora più speciale. Cosa possiamo dire di più? Grazie a Klara e a tutto lo staff di Neurauter per averci dato la possibilità di partecipare a questa rassegna.

Auf Wiedersehen! Reportage fotografico di Beatrice Mancini


E SE DICO GRAN CAO?

OSIAMO L’ABBINAMENTO

Pecorino alla mano, proviamo alcuni nuovi abbinamenti. L’obiettivo: la voglia di trovare sapori nuovi, senza limiti!

Se dico pastore è difficile non pensare alla Sardegna, se dico Sardegna è difficile non pensare al pecorino e se dico Gran Cao ... è facile che mi venga fame. CAO Formaggi - acronimo per Cooperativa Allevatori Ovini - è una cooperativa che riunisce circa 700 pastori sardi. Proprio per questo la loro produzione viene influenzata in più modi: sicuramente il latte, essendo conferito da più soci, può avere più sfumature di sentori diversi. L’altro aspetto interessante è che crea la disponibilità di un quantitativo di materia prima importante, difficilmente reperibile da un singolo pastore.

Matteo De Santi è Laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

preparazioni in cui il pecorino è necessario, ma dove talvolta il suo tono deciso rischia di essere un fattore coprente, e pensate al Gran Cao non come sostituto, ma come una distinta e ottima possibilità di conferire un tono particolare, floreale alla composizione. Ecco che altrettanto delicatamente vi propongo alcuni abbinamenti.

Da qui la produzione va quindi naturalmente verso forme dalle dimensioni considerevoli, come il Pecorino Romano DOP e trova la sua espressione diversa nel Gran Cao, che oseremo abbinare in purezza o come ingrediente. La sua dimensione si mantiene apprezzabile con i suoi 15 kg, ma a differenza del Pecorino Romano questo si presenta con un’altra ragion d’essere: la delicatezza.

GRAN CAO

Il Gran Cao è un formaggio a pasta cotta da latte termizzato con un minimo di 9 mesi di stagionatura, senza conservanti, semplice al taglio e con un’impronta vegetale personalissima che lo rende un pecorino atipico.

Formaggio da latte di pecore di razza Sarda, dal gusto dolce, con spiccate note di tostato e floreale.

Queste note vegetali e dolci sono quelle che definiscono la delicatezza di cui scrivevo poco fa. Provate a pensare alle mille

codice 31545 | peso 15 kg circa disponibile anche 1/2 - 1/4 - 1/8 di forma

CAO Formaggi CAO Formaggi - Cooperativa Allevatori Ovini - è una cooperativa composta da 700 soci, fondata nel 1966, nata con lo scopo di valorizzare il patrimonio pastorizio del territorio sardo e aggregare un insieme di allevatori, trasformando il latte prodotto nelle rispettive aziende con una produzione di formaggi di carattere.

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NEL BICCHIERE Stiamo leggeri, morbidi ma definiti, floreali come il Gran Cao e concediamoci un bel bianco fruttato e armonico, come ad esempio un Vermentino dei Colli di Luni dalla Liguria, oppure un rosso vivace, come il Lambrusco, che possa essere deciso quanto basta per non coprire il nostro pecorino

NEL PIATTO Qui la parola d’ordine è freschezza: ho pensato di combinare a sapori estivi e croccanti come i pomodorini, ravanelli e puntarelle un cestino di Gran Cao, tutto unito da un giro d’olio EVO, profumato dal pepe di timut e qualche cima di timo limonato. Essendo più amabile di un Pecorino Romano è comunque facile da grattugiare e si presta veramente a molte preparazioni, quindi osate e divertitevi

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DAL CAMPO

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L’estate arriva o ci illude? Sperando che sia di buon auspicio per la bella stagione vi consiglio di iniziare il pasto alternando lampone e pecorino. Il lampone caratterizzato da un sapore agrodolce con sentori fruttati, contribuisce ad evidenziare ancora di più le note del Gran Cao. Vedrete che un boccone tirerà l’altro... vi sfido a fermarvi!

UN CONSIGLIO IN PIÙ

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Anche se poco fa nel piatto vi ho suggerito una ricetta vegetariana, visto che il nostro è un formaggio a tutto pasto, vi consiglio di accompagnare una cubettata di Gran Cao a una giornata di sole e alle vostre insalate di verdure fresche di stagione

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MENÙ #SENZASALE

NOTIZIE LA CUCINA DA DI VALSANA QB

“Il sale fa male!” un mantra del benessere poco applicato. E se imparassimo a usare quello già presente “naturalmente” negli ingredienti? L’Organizzazione Mondiale della Sanità emanò nel 2013 le linee guida circa la quantità di sale giornaliera raccomandata nell’alimentazione e introdusse anche un limite per il potassio. “Una persona con alti livelli di sodio e bassi livelli di potassio - spiegò l’OMS - rischia di avere la pressione alta e aumenta il pericolo di malattie cardiovascolari e ictus.” Fu consigliato caldamente alle Istituzioni nazionali di sviluppare strategie per la riduzione del consumo di sale della popolazione, in quanto la Settimana mondiale di sensibilizzazione per la riduzione del consumo di sale, evento promosso da WASH (World action on salt and health) fin dal 2005, non produsse gli effetti desiderati. Anni di informazione attiva e sempre più dettagliata circa i gravi rischi per la salute avrebbero dovuto essere sufficienti per sensibilizzare i consumatori, ma purtroppo la realtà è decisamente sconfortante. La maggior parte degli italiani consuma ogni giorno molto più sale di quanto viene raccomandato dall’OMS. Ne consumano di più gli uomini, con una media di più di 10 g al giorno, più del doppio dei 5 g al giorno consigliati dagli esperti internazionali. Il 15% delle donne, sempre più attente alla salute rispetto all’altra metà del cielo, rientra nei consumi consigliati, ma quello che preoccupa gli specialisti è proprio la popolazione infantile e adolescenziale: tra i 6 ed i 18 anni il 93% dei maschi e l’89% delle femmine consuma più sale del dovuto. E qual è la frase che ci si sente ripetere spesso quando simili considerazioni vengono condivise? “Ma io mangio quasi scondito!” oppure “Mio marito non ne vuole sapere!”, come se le raccomandazioni dei medici fossero solamente punitive. L’atteggiamento più giusto, invece, dovrebbe essere quello dell’informazione e della formazione: imparare a leggere le etichette dei prodotti che acquistiamo e “addomesticare” le papille gustative al gusto e non alla semplice sapidità. Nel nostro consumo quotidiano, infatti, prevalente è il sale preconfezionato o semilavorato, nel quale una miscela studiata negli anni ’70, composta da grasso, zucchero e sale, rende uniforme e rassicurante il gusto delle pietanze. Un gusto “preconfezionato” quindi che cela una verità importante: rassicurante non vuol dire di qualità.

BRESAOLA DI CARNE FRESCA

Bresaola ottenuta dalla lavorazione di muscoli punta d’anca, dalla speziatura delicata cod 82001 | peso 3 kg circa

Le proposte di maggio, dove la Bresaola di Carne Fresca è protagonista, sono una sorta di compiti per casa per un menù #senzasale, in cui l’utilizzo di ingredienti già naturalmente ricchi di sapidità è un goloso suggerimento per imparare a nutrirci con gusto. VALSANA | 28

Anna Maria è cuoca e foodblogger. La sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo


Qualcosa di diverso? La bresaola nel risotto!

RISOTTO BRESAOLA, BOLLICINE E MORLACCO

TEMPO: 15’, COTTURA 20’ INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Con la buona stagione arriva la voglia di semplificare il menù, assemblando ingredienti semilavorati per comporre un pranzo superveloce. E allora io vi complico un pochino la vita, trasformando il classico piatto di bresaola, servita con rucola, succo di limone e qualche crostino di pane, in un primo piatto, ugualmente semplice ma decisamente più strutturato ed elegante. Da accompagnare con le bollicine che saranno rimaste nella bottiglia aperta per l’occasione.

240 g di vialone Nano 140 g di bresaola 100 g di morlacco 100 ml di Prosecco Brut 1 limone bio, zeste e succo 50 g di cipollotto 20 g di burro 20 ml di olio evo brodo vegetale o brodo di pollo olio evo leggero sale pepe nero macinato al momento Cubettate finemente la bresaola, a cubotti il morlacco, affettate finemente il cipollotto, parte bianca e verde, ottenete dal limone, le zeste e il succo. In una casseruola dal fondo pesante sciogliete il burro e l’olio, stufate il cipollotto dolcemente con un paio di cucchiai di brodo caldo e mettete da parte. Nella stessa casseruola tostate a secco il riso, sfumate con le VALSANA | 29 VALSANA | 29

bollicine e continuate la cottura con il brodo caldo, seguendo le indicazioni del produttore. Due minuti prima del termine unite il cipollotto stufato e la julienne di bresaola, mescolando bene, e regolate il gusto con poco sale. Lontano dal fuoco mantecate con il morlacco e il succo di limone e servite con una macinata di pepe nero e le zeste del limone.


STRUDEL CON BRESAOLA E JULIENNE DI VERDURE ALL’ORIENTALE Cosa mettiamo nel cestino da picnic o nella schiscetta da portare in ufficio? Non un sandwich con bresaola e verdura, ma una sua evoluzione, ovvero una bella fetta di questo strudel che strizza l’occhio agli strumenti di cottura e ai sapori orientali, per un connubio fresco, saporito e anche take away

LA CUCINA QB NOTIZIE DA DI VALSANA

TEMPO: 40’ PIÙ IL RIPOSO, 30’ COTTURA INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Ingredienti per la pasta brisée: 240 g farina di tipo 1 120 g di burro salato freddissimo 60 ml di acqua fredda Ingredienti per il ripieno: 200 g di bresaola 150 g di cipollotti 150 g di peperoni rossi 150 g tra rapa bianca e sedano 100 g di ricotta 1 pezzettino di zenzero fresco, a gusto coriandolo, in semi e in foglia un paio di cucchiaini di salsa di soia 20 g di pinoli tostati olio evo delicato semi di sesamo, a gusto Ingredienti per il piatto: misticanza o ravanelli freschi

Testo

Frullate per qualche secondo la farina con il burro: otterrete un composto “sabbioso” che renderete morbido con qualche cucchiaio di acqua fredda. Lavorate un panetto e fate riposare 30’ in frigorifero. Nel frattempo mondate e tagliate a julienne la bresaola e le verdure, a rondelle il cipollotto, grattugiate la radice di zenzero e tostate i pinoli nel wok. Senza pulire il wok saltate velocemente le verdure con un filo di olio, aggiungete lo zenzero, sfumate con la salsa di soia e lontano dal fuoco aggiungete la bresaola, i pinoli e profumate con il coriandolo, semi e qualche fogliolina, se gradito, facendo asciugare bene tutto il liquido che si verrà a formare. Fate raffreddare e mescolate con la ricotta.

La salsa di soia rende questo strudel decisamente VALSANA | 30 originale! VALSANA | 30

In una spianatoia appena infarinata stendete la pasta a rettangolo, spennellate con un filo di olio evo, distribuite il ripieno lasciando liberi 3 cm dai lati, richiudete il lato più corto e arrotolate. Trasferite lo strudel, con la sigillatura verso il basso, in una teglia da forno, spennellatelo con un tuorlo sbattuto con un cucchiaio di latte, spolverate con i semi di sesamo e cuocetelo per circa 40’ o fino alla doratura della pasta in forno preriscaldato a 200°, statico. Fate raffreddare completamente prima di servire con una misticanza e qualche rondella di ravanello.


TARTARE “MEDITERRANEA” DI BRESAOLA CON FETA E INSALATA AGRODOLCE DI FINOCCHI E ARANCE La tartare di carne è una preparazione di alta cucina, apparentemente semplice e decisamente trasformista. Nella proposta di questo mese, in cui la sapidità è ottenuta dalla combinazione degli ingredienti utilizzati, capperi e feta, assieme alle olive nere, sapranno dare quel tocco in più, un po’ sbarazzino, al gusto deciso e insieme delicato della bresaola.

La sapidità è affidata al mix di ingredienti

TEMPO: 30’, COTTURA 4’ CIRCA INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Ingredienti per la tartare 240 g Bresaola 1 cucchiaio di capperi sotto sale 1 cucchiaio di senape di Dijione 1 cucchiaio di prezzemolo fresco tritato 40 g di feta il succo delle arance e le zeste delle arance olio evo pepe nero macinato al momento Ingredienti per l’insalata 2 finocchi piccoli 2 arance bio 2 cucchiai di olive nere 2 cucchiai di aceto di mele 1 cucchiaino di zucchero di canna qualche foglia di finocchietto selvatico e/o maggiorana sale in fiocchi pepe nero macinato al momento Affettate finemente i finocchi con la mandolina e trasferiteli in una ciotola con acqua fredda. Grattugiate con la microplane la scorza delle arance, pelatele a vivo e mettete da parte il succo ottenuto. In una casseruola o wok scaldate un cucchiaio d’olio, saltate i finocchi per 1’, unite lo zucchero, sfumate con l’aceto di mele e lontano dal fuoco aggiungete arance e olive. Mettete da parte con qualche fiocco di sale. Nel frattempo miscelate un paio di cucchiai di olio evo con la senape e il succo di arancia, fino ad ottenere una salsa. Tritate a coltello la bresaola e trasferitela in una ciotola con la salsa, i capperi e mescolate molto bene. Disponete un coppapasta e date forma, anche approssimativa, alla tartare, decorate con le zeste di arancia e la feta sbriciolata, le foglioline aromatiche ed accompagnate con l’insalata di arance e finocchi.

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Valsana S.r.l. ∙ Via Ettore Maiorana, 3/A ∙ 31025 Santa Lucia di Piave (TV) ∙ Italy Tel. (+39) 0438 1883125 ∙ Fax (+39) 0438 64976 ∙ valsana@valsana.it ∙ www.valsana.it


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