I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A NOV | DIC 2019
SOMMARIO
EDITORIALE DI MARTINA ISEPPON
SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giulia Bassetto, Giulia Basso, Alessandro De Conto, Matteo De Santi, Elisa Magro, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Anna Maria Pellegrino Direttore: Giulia Basso In copertina: Moro Sergio e Giovanni Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via E. Maiorana 3/A - Santa Lucia di Piave TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017
“C’è chi lavora esclusivamente per i soldi e chi lo fa per trasmettere cultura, passione, emozioni” - scrive sui social La Cocaeta, un nostro cliente di Venezia, in un post dedicato a Sapori, il nostro evento annuale al Castello di San Salvatore. Grazie Giulio, è il più bel complimento che potevi farci. Ritrovare gli stessi valori nelle persone con cui lavoriamo, rispecchiarci nella passione dei produttori è davvero quello che ci spinge ogni anno a cercare di fare meglio, nella selezione, negli eventi, e perchè no, anche in questo magazine. Essendo l’ultimo numero dell’anno, approfittiamo di queste righe per fare un piccolo bilancio di questo 2019, solo per dirvi che siamo davvero orgogliosi di come sta crescendo questa rivista fai-da-te, nata proprio dalla voglia di andare oltre la descrizione dei prodotti per raccontarvi come usarli in cucina, da dove nascono, quali storie si portano dietro, ma soprattutto le emozioni che proviamo quando andiamo a visitare i produttori. Siamo orgogliosi delle
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collaborazioni che abbiamo messo in piedi, quelle storiche con Danilo Gasparini e Anna Maria Pellegrino, ma anche quella più recente con Vittorio Castellani, tutte persone, come noi, innamorate del proprio lavoro. E con orgoglio vi raccontiamo che Giulia Basso, direttore responsabile del nostro magazine, ha vinto il premio giornalistico Paolo Rizzi 2019, un riconoscimento per i giornalisti della carta stampata, nella categoria “Intervista”. Il premio, che quest’anno ha festeggiato la decima edizione, è stato istituito in ricordo del noto giornalista e critico d’arte veneziano. Ne approfittiamo anche per dire grazie a tutti i nostri ragazzi del team editoriale, che ci stanno davvero mettendo il cuore. E per finire grazie a tutti voi, che con i vostri apprezzamenti ci incoraggiate a proseguire su questa strada. Buona fine e buon inizio.
Martina Iseppon
SOMMARIO NOVEMBRE | DICEMBRE 2019
VIAGGIO IN TOSCANA | LE SELVE DI VALLOLMO
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INTERVISTA AL PRODUTTORE | I COCKTAIL DI MORO
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NOVITÀ | SELEZIONE ZUANON | LA FRUTTA DI ALESSIO
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COME SI FA? | SALMONE... A NOI DUE!
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GEOGRAFIA DEL GUSTO | BRETAGNA E NORMANDIA: IL BURRO
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CIBO DAL MONDO | LARGO AL LARDO... ANCHE IN CUCINA SOSTENIBILITA’ E AMBIENTE | I MARINATI DI COMACCHIO
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OSIAMO L’ABBINAMENTO | ALPEGGIO PERENNE
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BOCCONI DI STORIA | ZAMPONE O MUSETO?
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NOVITÀ DA VALSANA | SAPORI 2019
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LA CUCINA DI QB | METTI UN BISCOTTO SOTTO L’ALBERO
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LE SELVE DI VALLOLMO
VIAGGIO IN TOSCANA
Un territorio mistico, il Casentino, dove fin dall’antichità erano allevati maiali dal manto scuro. Un progetto per il recupero di una razza autoctona. Una famiglia che ha fatto del Grigio del Casentino la sua passione.
Giorgia Barbaresco Laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine Responsabile Qualità in Valsana dal 2007
NOVITÀ
PROSCIUTTO DEL CASENTINO Presidio Slow Food, ottenuto da suini di razza Grigio del Casentino allevati allo stato brado. Stagionato 24 mesi, in bocca è suadente, con sentori di frutta tostata, ghianda e cantina cod 78350 | peso 11 kg circa
Pensando alla Toscana ci vengono alla mente immagini di colline, cipressi e greggi di pecore lasciate libere al pascolo, ma in questo viaggio abbiamo scoperto una parte di Toscana più riservata, montuosa e ricca di boschi: il Casentino. E’ una delle quattro valli della provincia di Arezzo in cui scorre il primo tratto del fiume Arno che nasce dal monte Falterona (1654 m s.l.m.). Il monte Falterona insieme al monte Falco (1658 m s.l.m.) costituisce il limite settentrionale della vallata, ai confini con la Romagna. Un territorio mistico dove si trovano il monastero e l’eremo di Camaldoli e il Santuario della Verna, qui non c’è spazio per la frenesia e lo stress; faggi, querce e castagni accolgono i pellegrini in un verde abbraccio. E’ in questo ambiente che fin dall’antichità pascolavano allo stato brado o semibrado i maiali dal manto scuro: la cappuccia di Anghiari, la casentinese e la rossa del Casentino. Suini che permettevano di ottenere prosciutti di grande qualità apprezzati in tutta Europa; a conferma di questo, ci sono dei documenti ottocenteschi che riportano che la vendita dei prosciutti casentini raggiungeva anche la Germania e l’Inghilterra. Ed è proprio in questo territorio che sorge l’antico borgo rurale Le Selve di Vallolmo: le selve sono sinonimo di “castagneti” e il castagno è diventato il simbolo dell’azienda. Nato come “allevatore classico” di suini, alla fine degli anni ’90 Claudio Orlandi decide di ridurre il numero di animali e dedicarsi alla produzione di salumi, aderisce inoltre a un progetto che vede unite la Comunità Montana e Slow Food per il recupero della razza di suino Grigio del Casentino.
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Si tratta di un incrocio ibrido ottenuto da una femmina di razza Large White, Landrace o Duroc con un verro di razza Cinta Senese o Mora Romagnola (due antiche razze autoctone, rispettivamente Toscana e della vicina Romagna). Questi animali (circa 60) sono allevati in modo tradizionale, abitano una parte del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e si nutrono per lo più di ghiande, castagne, tuberi che si trovano in natura a questa altitudine (800 m), mentre durante l’inverno l’alimentazione viene integrata con orzo, favino e mais selezionato ed esente da OGM, somministrato con cura per evitare un eccesso di grassi. La grande qualità della carne di questo maiale è dovuta proprio alla capacità di accumulare grasso di particolare pregio per finezza, consistenza, profumi e capacità di stagionatura. I suini vengono macellati solo nel periodo invernale quando raggiungono un peso compreso tra 165 e 185 chilogrammi e, comunque, mai sotto i 14 mesi di età. Oggi ad affiancare mamma e papà ci sono anche Serena, David e Matteo. Ognuno ha compiti precisi perché lavoro da fare ce n’è parecchio visto che la filiera è cortissima. Allevamento, trasformazione, stagionatura e vendita sono tutti seguiti da vicino dalla famiglia Orlandi. La stagionatura del Prosciutto del Casentino in particolare avviene in un luogo suggestivo, un edificio totalmente realizzato in pietra dove le cosce trascorrono circa un paio d’anni e maturano, donando al palato inconfondibili note di ghianda, frutta tostata e cantina e un’eccezionale suadenza.
NOVITÀ NOVITÀ
NOVITÀ
MORTADELLA GRIGIO DEL CASENTINO
PANCETTA PICCANTE GRIGIO DEL CASENTINO
RUFFIANA GRIGIO DEL CASENTINO
Mortadella particolarmente magra, dalla grana finissima, ottenuta da tagli di pancia e carne di spalla, con l’aggiunta di pistacchi e lardelli
Pancetta arrotolata, farcita al peperoncino, e stagionata 3-4 mesi; il piccante è bilanciato dalla dolcezza e dalla solubilità del grasso
Finocchiona (in Toscana è chiamata anche Ruffiana) dal gusto molto delicato, grazie all’aggiunta di finocchio in semi e in fiore
cod 78351 | peso 3,5 kg circa
cod 78353 | peso 1,8 kg a metà s.v.
cod 78354 | peso 2,5 kg circa
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I COCKTAIL DI MORO
INTERVISTA AL PRODUTTORE
O si odiano o si amano. Sono i formaggi affinati ai cocktail, la nuova proposta di Moro Formaggi. Un’americanata per qualcuno, un’idea geniale per altri. Scopriamo come è nato il progetto Giulia Basso è giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017
Prima affascinano i curiosi, stimolati dall’originalità della proposta, poi solleticano la vista con i loro colori e le decorazioni a effetto, e infine conquistano il palato, rendendosi indimenticabili per la loro insolita combinazione di sapori. Sono i “Cocktail di Moro”, la nuova linea di formaggi erborinati affinati con quattro tra i più famosi cocktail al mondo: Martini, Cosmopolitan, Manhattan e Negroni. Sono la novità proposta a Sapori 2019 da Moro Formaggi, spin-off della Latteria Moro che da Oderzo, un piccolo paese della provincia di Treviso, sta gradualmente conquistando fette di mercato in tutto il mondo grazie all’unicità dei suoi prodotti. Susanna e Sergio Moro, i titolari dell’azienda, hanno deciso di concentrare la propria attività sull’affinamento dei formaggi, una pratica molto radicata in Francia che sta prendendo sempre più piede anche
nel nostro Paese. L’affinamento è un’arte che mira a portare il formaggio, dopo la fase di produzione, a una qualità superiore e a un gusto esclusivo attraverso la stagionatura: è una sorta di personalizzazione del formaggio che richiede, oltre a un’importante preparazione tecnica, curiosità, creatività e una gran dose di pazienza. Ne abbiamo parlato con Susanna Moro, per farci raccontare i retroscena di quest’arte dal grande fascino, che si basa tutta sulla sperimentazione: solo dopo un gran numero di tentativi si arriva al risultato ottimale, quello che fa gridare “Eureka!” perché, come per le grandi scoperte scientifiche, decreta la nascita di qualcosa di nuovo, un’invenzione in grado di sparigliare le carte del panorama gastronomico così come lo conosciamo. E’ questa la filosofia dell’azienda opitergina, che dal Choco 21, formaggio erborinato con liquore al cioccolato, al Fior d’Arancio, erborinato affinato con vino passito Fior d’Arancio DOCG, fino a quest’ultima novità presentata a Sapori, ha dato vita a formaggi dal sapore unico, capaci di sorprendere appassionati e intenditori.
AL COCKTAIL COSMOPOLITAN
AL COCKTAIL NEGRONI
Erborinato a latte vaccino affinato con la ricetta originale del cocktail Cosmopolitan, ricoperto in superficie con ribes canditi. E’ un formaggio femminile, dolce e poco alcolico, al palato spiccano le note di arancio del Cointreau
Erborinato a latte vaccino affinato con il cocktail Negroni, ricoperto di fettine d’arancia candite. Il gusto alcolico è compensato dalla dolcezza del formaggio, che lascia in bocca le note del bitter e l’inconfondibile gusto un po’ amaro del ginepro
cod 30831 | peso 2,5 kg circa
cod 30833 | peso 2,5 kg
Come nascono le vostre idee di affinamento? Nascono sempre mettendo assieme una serie di stimoli differenti che provengono da chi ci sta intorno. Personalmente mi piace leggere e osservare con attenzione questo mondo, vedere come cambiano i gusti e le abitudini delle persone. Le nostre proposte cercano di stare al passo con questi mutamenti, che si rispecchiano anche in cucina grazie a una generazione di cuochi estremamente creativi: l’idea del Choco 21, per esempio, è nata da una ricetta dello chef stellato Antonino Cannavacciuolo che combina cioccolato e gorgonzola. Nel caso dei formaggi cocktail mi piacerebbe che questi nuovi prodotti venissero apprezzati anche dai giovani, per far recuperare loro la voglia di consumare formaggi al posto delle solite pizzette e tramezzini che accompagnano l’aperitivo. Com’è nata l’idea di affinare i formaggi con quattro dei più famosi cocktail al mondo? E’ nata da un insieme di spunti ricevuti, tra cui un laboratorio proposto proprio a Sapori, l’appuntamento annuale che Valsana dedica ai suoi produttori e clienti, sempre ricco di stimoli e sperimentazioni. L’anno scorso abbiamo partecipato al workshop dedicato agli abbinamenti tra cocktail e formaggi, organizzato in collaborazione con Cloakroom Cocktail Lab di Treviso: è stata un’esperienza che ci ha convinto a intraprendere questa nuova ricerca gastronomica.
Come ci avete lavorato? Per mesi ho costretto mio marito e gli amici a passare le serate da un locale all’altro del nostro territorio per testare i diversi cocktail e come venivano presentati. C’è chi ci ha preso per ubriaconi, ma per noi era fondamentale provare il maggior numero di combinazioni possibili per scegliere le più adatte per il nostro progetto. Alla fine ne ho rintracciate quattro. Ho scelto il Negroni, a base di bitter Campari, vermouth rosso e gin, perché è il simbolo dell’Italia e quest’anno festeggia il suo centesimo anno di vita. Il Manhattan, che mi è piaciuto soprattutto per l’utilizzo che fa del whisky, combinato con il vermouth rosso e alcune gocce di angostura. Per il formaggio affinato con il Manhattan sono partita dallo studio della decorazione: ho mantenuto quella classica utilizzata per la presentazione del cocktail, a base di ciliegie condite al maraschino. Quindi ho scelto un cocktail tipicamente femminile, il Cosmopolitan: con la combinazione di Vodka, Cointreau, lime e succo di mirtillo e il suo colore rosa, è un cocktail poco alcolico e dolce, che anche grazie alle protagoniste di “Sex and the City” è diventato uno dei mix più di successo del momento. Ma la sfida più appassionante è stata quella di un formaggio affinato al Martini, l’elegante e raffinato cocktail aperitivo a base di gin e vermut dry reso ceVALSANA | 07
“Per mesi ho costretto mio marito e gli amici a passare le serate da un locale all’altro per testare i diversi cocktail” Susanna Moro
INTERVISTA AL PRODUTTORE
AL COCKTAIL MANHATTAN
AL COCKTAIL MARTINI
Erborinato a latte vaccino affinato con il cocktail Manhattan e decorato in superficie con ciliegie candite al maraschino. Whisky, Vermouth rosso e alcune gocce di angostura donano al formaggio una decisa nota alcolica; riconoscibile in particolare il whisky
Erborinato a latte vaccino affinato con il cocktail Martini, decorato in superficie con olive candite. Al palato è dolce, piacevolmente alcolico; sono riconoscibili le note erbacee del Gin. Da degustare in purezza o in abbinamento con l’omonimo cocktail, a fine pasto
cod 30830 | peso 2,5 kg circa
cod 30832 | peso 2,5 kg circa
lebre dai film di James Bond. Non è stato semplice ottenere un formaggio saporito affinato con questo cocktail, perché all’assaggio il Martini risulta un po’ piatto. In che modo ne siete usciti? Siamo andati per tentativi, provando a combinare diversi gin per ottenere un cocktail e quindi un formaggio potente, in grado di stuzzicare il palato con una miscela di sapori. Ci siamo riusciti grazie alla sapienza di un ragazzo, Federico Cremasco, che a Polcenigo si è specializzato nella produzione di distillati e liquori naturali. Abbiamo messo il formaggio nelle sue mani e gli abbiamo chiesto di personalizzarlo: ci ha proposto di utilizzare il suo “Gin 43”, una miscela composta da 43 botaniche tra cui ginepro, angelica, limone, arancia, mandarino, timo, lavanda, menta, anice, finocchio, pino mugo, melissa, iris, imperatoria e santoreggia. La proposta ci ha conquistato, perché si tratta di un gin complesso e persistente, che dona al formaggio un profumo speciale e un sapore leggermente erbaceo e speziato. Come si presentano al palato i vostri “cocktail”? Come una combinazione graduale di sapori, un’alternanza di aromi. Inizialmente a spiccare è una piacevole alcolicità, che è il primo aspetto a essere percepito, ma poi a persistere in bocca è la dolcezza del formaggio, che si combina con le caratteristiche organolettiche del cocktail scelto per l’affinamento. Quali consigli darebbe per gustare al meglio queste quattro novità? Sono formaggi che stanno benissimo a fine pasto, in purezza o in abbinamento con l’omonimo cocktail,
come li abbiamo proposti a Sapori. Ma sono perfetti anche per un happy hour, per un aperitivo o per un brindisi speciale. Che tipo di formaggi avete scelto come base e come li affinate? I formaggi che si prestano maggiormente ad assorbire gli aromi dei cocktail sono gli erborinati di latte vaccino a pasta morbida. Sono tutti formaggi che selezioniamo da fornitori italiani e che affiniamo per una decina di giorni usando cocktail autoprodotti, grazie a una macchina che ci permette di far penetrare al meglio l’alcolico nel formaggio. Quindi lasciamo che il formaggio si asciughi, lo controlliamo per verificare che il risultato sia proprio quello atteso, lo decoriamo e lo confezioniamo. Qual è stata la prima vostra creatura e quante varietà di formaggi affinati proponete oggi? Siamo nati producendo formaggi “ubriachi” e formaggi al tartufo, i nostri cavalli di battaglia che sono diventati un po’ il nostro simbolo. Ma abbiamo sempre cercato di rinnovarci, proponendo nuove alternative: dal vino siamo passati ai liquori, con il Choco21 e mettendo a punto un metodo di affinamento speciale, che abbiamo studiato con esperti di chimica. E sempre attraverso un workshop proposto da Valsana ci è venuta l’idea del Nero Fumè, un erborinato affumicato aromatizzato con tè nero Lapsang Souchong. Oggi produciamo più di una ventina di formaggi, tra cui mi piace ricordare l’Oro Rosso, affinato con il nostro vino autoctono, il Raboso passito, e il Fior D’Arancio, che abbiamo creato insieme al Consorzio dei Colli Euganei con una decorazione a base di scorzette d’arancio.
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SELEZIONE ZUANON Prosciutto di San Daniele, morbido e profumato, risultato di una stagionatura favorita dal clima delle colline friulane, e dalla maestria di Leone Zuanon Elisa Magro, laureata in Scienze della Comunicazione, dopo un’esperienza nell’ecommerce ora si occupa di Marketing online in Valsana
Il lavoro di affinatura è insieme passione, conoscenza, dedizione, impegno.
NOVITÀ
Non esiste scuola per diventare affinatori, è un mestiere che si impara facendo, è frutto di una sensibilità che si sviluppa con l’esperienza, cercando di conoscere sempre meglio il prodotto con cui si ha a che fare, partendo da materie prime di qualità. Leone Zuanon, che ha trentadue anni di esperienza nel mondo dei prosciutti crudi, fa il “mastro prosciuttaio” di mestiere: sceglie i prosciutti, selezionandoli scrupolosamente dalle stagionature di un produttore di San Daniele, preferendoli sempre degli stessi allevatori e macellatori, garantendo così continuità produttiva. Accudisce i suoi prosciutti personalmente, controllando quotidianamente temperatura e umidità, valorizzando soprattutto gli aspetti climatici che la natura e le stagioni offrono, facendoli maturare lentamente e senza fretta. Il Prosciutto di San Daniele è infatti l’espressione di una sintesi perfetta tra sapienza artigianale e territorio vocato. A San Daniele del Friuli i venti secchi del mattino che scendono dalle Alpi Carniche incrociano le brezze dell’Adriatico, pomeridiane e umide. Questa alternanza permette ai prosciutti di non seccarsi troppo, e allo stesso tempo di non trattenere umidità in eccesso, garantendo alla stagionatura le proprietà uniche che tanto apprezziamo. CI È PIACIUTO PERCHÈ... Ci mancava un Prosciutto Crudo di San Daniele stagionato 24 mesi. Abbiamo scelto un affinatore per trovare il prodotto esattamente come lo stavamo cercando: ottenuto esclusivamente da cosce di suini pesanti, a lunga stagionatura.
NOVITÀ
PROSCIUTTO DI SAN DANIELE DOP SELEZIONE ZUANON
PROSCIUTTO DI SAN DANIELE DOP SELEZIONE ZUANON
STAGIONATO 20 MESI
STAGIONATO 24 MESI
La fetta è di un bel colore rosato con una buona presenza di grasso. Dolce, con il caratteristico profumo di cantina, è solubile in bocca, con una buona ed equilibrata sapidità
Bello d’aspetto, può presentare una leggera unghia vicino alla sugnatura. Dolcissimo, con note sapide bilanciate. Buona la complessità aromatica e la solubilità al palato
cod 79220 | con osso | peso 11,5 kg ca cod 79221 | addobbo | peso 8,5 kg ca cod 79224 | pressato | peso 8 kg ca
cod 79222 | con osso | peso 11 kg ca cod 79223 | addobbo | peso 8 kg ca cod 79225 | pressato | peso 8 kg ca
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LA FRUTTA SPECIALE DI ALESSIO NOVITÀ
Pochi ingredienti, poco usati, unici: pera cotogna, Vin santo, Bas armagnac. Vi presentiamo 4 nuove confetture dalla dispensa di Alessio Brusadin Per preparare un’ottima confettura bisogna partire dalla frutta. Sembra banale dirlo, ma così non è. Come sceglie la frutta Alessio Brusadin per le sue confetture? “Di stagione, da aziende agricole di fiducia” mi spiega, “la faccio arrivare da luoghi vocati, dove il clima permette al frutto di esprimersi al meglio. Le arance e i limoni per esempio li faccio arrivare da Francofonte”, da quella Sicilia terra del sole, dove tutto cresce più bello e più buono. Alessio lavora la frutta a piena maturazione, tagliandola e cucinandola a pezzi grossi; le albicocche, ad esempio, le taglia e le cucina a metà. “Mi piace così” mi dice, “per quel pizzico di poesia, per
la consistenza e l’eleganza al palato in più che i pezzi regalano”. Quando Alessio ci porta nuove confetture da assaggiare è difficile non aver voglia di proporle, perchè sono originali, abbinamenti che non ti aspetti, eleganti, versatili. Queste nuove ricette sono “speciali”, perchè preparate con ingredienti poco usati e unici che Alessio combina tra loro proprio come se stesse creando un piatto. E speciali lo sono davvero: in versione dolce per la stagione invernale, in versione salata con formaggi e salumi, in versione cadeau da regalare a Natale.
LIMONE E PERA WILLIAMS
NOVITÀ
Confettura preparata con limone siciliano a foglia non trattato, pera Williams, zucchero di canna bianco. Ottima con ricotta, burrata, mascarpone, Signor G, Marzolino, Robiola di Roccaverano cod 93847 | peso 270 g
ALBICOCCHE VIN SANTO E MANDORLE
PRUGNE, PERA COTOGNA E BAS ARMAGNAC
IL SOLE D’INVERNO ARANCE E FRUTTA SECCA
Delicata e grazie alle mandorle tostate anche croccante. Il Vin santo a fine cottura fa riemergere al palato sensazioni di caramello che si sposano benissimo con l’albicocca. Provatela con Taleggio, Quartirolo stagionato, Livarot
Vellutata e delicata. Il Bas armagnac le dona quel profumo di barrique tipico dell’invecchiamento. Ottima da colazione, e nelle crostate. Provatela con Gorgonzola piccante, Toma Blu di Lanzo, Cabrales e con i prosciutti affumicati
Confettura che racchiude tutto il sapore della tavola del Natale. Tra gli ingredienti: arance naturali a foglia, fichi secchi, datteri, noci. Tutto condito da un tocco di Rum. Deliziosa abbinata a pecorini stagionati, ideale da scucchiaiare
cod 93846 | peso 270 g
cod 93848 | peso 270 g | Ed. Limitata
cod 93849 | peso 270 g
VI CONSIGLIAMO DI PROVARE ANCHE...
CAROZZI FORMAGGI
LATTERIA PERENZIN
FORMAGGELLA RICCIOLO AL TARTUFO
BIO RICOTTA DI CAPRA MAXI
Formaggio dalla pasta piuttosto gessata e dal sottocrosta morbido, complesso e accattivante. La stagionatura ha un minimo di 120 giorni, con degli importanti innesti di pasta di tartufo nero estivo che lo rendono adatto all’inverno e particolarmente curioso. Il sapore, dolce e fondente nel sottocrosta, sprigiona note di yogurt al centro. La presenza del tartufo lo rende elegante, con quella nota di fungo che si abbina perfettamente a questo tipo di pasta
Dolce e leggermente acidula con buone sensazioni lattiche e note caprine appena percettibili cod 30314 | peso 2 kg circa
Suggerimenti d’utilizzo
cod 21005 | peso 3 kg circa
MOUSSE DI RICOTTA DI CAPRA CON MIELE E NOCI
NOVITÀ
Il sapore leggermente asprigno della ricotta di capra si sposa benissimo con miele e noci, proprio come lo yogurt greco. Per prepararla montate 150 ml di panna fresca con 30 g di zucchero a velo e lavorate con le fruste 400 g di ricotta di capra. Amalgamate delicatamente i due composti tra loro e versate la mousse ottenuta in dei bicchierini. Fate riposare qualche ora in frigo, prima di decorare con un cucchiaio di miele e 3-4 noci tritate grossolanamente, quindi servite
DOLCE PARADISO AL PISTACCHIO Una variante più moderna e accattivante del tradizionale Gorgonzola & Mascarpone. La farcitura con granella di pistacchio non solo dona colore, ma anche una piacevole e sorprendente occasione di abbinamento.
Fonte: lacucinaitaliana.it
cod 21006 | peso 1 Kg circa VALSANA | 11
NOVITÀ
NOVITÀ
NOVITÀ
SALMONE... A NOI DUE!
Giulia Bassetto è laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana
COME SI FA?
Salmone selvaggio o di allevamento? Come distinguerlo? Come tagliarlo? Come conservarlo? Si fa presto a dire Salmone, soprattutto nel periodo delle feste natalizie quando la richiesta si impenna e la scelta si fa molto ampia: chissà poi perché ne siamo così attratti, magari per il colore brillante o il gusto avvolgente, fatto sta che proprio non ne possiamo fare a meno. Per non parlare poi della sensazione che rappresenti qualcosa di prezioso (al di là dell’aspetto economico): alzi la mano chi non ha mai regalato una baffa di salmone a un cliente importante o a una persona speciale per dimostrare la propria gratitudine o il proprio affetto. Soprattutto se si parla di salmone selvaggio, la sensazione di rarità e ricercatezza è ancora maggiore. Basti pensare alla diminuzione dei quantitativi di pescato a cui stiamo assistendo in questi anni: la sensibile riduzione degli stock di salmone selvaggio nell’Oceano Pacifico così come le pezzature più piccole sono un chiaro segnale che l’ecosistema marino non se la sta passando bene e che sicuramente nel futuro dovremo trovare una soluzione nell’acquacoltura responsabile. Quindi, quando ci approcciamo al salmone dobbiamo assolutamente trattarlo con rispetto e assicurarci, per quanto possibile, che lo abbiano fatto anche gli attori che lo hanno trasformato lungo la filiera. Grazie all’aiuto di Mauro Pighin di Friultrota, impariamo quindi a distinguere un buon salmone e a capirne l’anatomia, così da bandire per sempre i tagli barbarici e avvicinarci alle diverse tecniche di taglio. 1 | SELVAGGIO O DI ALLEVAMENTO? Per chi non è del mestiere, è difficile distinguere a occhio nudo una baffa di selvaggio da una di salmone di allevamento se non grazie alla maggiore presenza di grasso in quest’ultimo. Qualche produttore preferisce lasciare la caratteristica mandibola a uncino così che non ci siano dubbi in merito alla natura selvaggia dell’esemplare, ma tale scelta comporta un maggiore scarto per chi l’acquista. Mauro ci dice che in Friultrota preferiscono non tenerla e anzi rifilare al meglio la baffa così da raggiungere una percentuale di scarto del solo 10% del peso della baffa (corrispondente praticamente solo alla pelle). Quindi, per avere certezza sull’origine affidiamoci piuttosto all’etichetta! Le informazioni più importanti per questo scopo sono:
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· nome scientifico e tipologia: i selvaggi fanno parte in prevalenza del genere Oncorhynchus diffuso dell’Oceano Pacifico e riconducibile a cinque specie (Red King, Chum, Coho, Sockeye, Pink); i salmoni di allevamento sono invece in prevalenza del genere Salmo Salar diffuso nell’Atlantico · metodo di produzione: se pescato o di allevamento · zona di pesca/allevamento: i salmoni selvaggi vengono pescati nella parte settentrionale dell’Oceano Pacifico, mentre gli allevamenti di salmone atlantico sono situati principalmente in Norvegia, Scozia e Irlanda · tipo di pesca: la pesca all’amo è determinante per la qualità del prodotto finale e con questa tecnica vengono pescati Red King e Coho. Il Sockeye invece è piuttosto furbo e difficilmente abbocca, quindi in generale viene pescato con le reti, ma il più possibile vicino alla costa così da accorciare i tempi tra la pesca e la prima lavorazione · contenuto di grasso: nel salmone selvaggio si aggira in media tra i 3-7 g per 100 g di prodotto contro gli 8-12 g per un salmone di allevamento di buona qualità. Attenzione, se supera i 12 g è da considerarsi un prodotto mediocre Anatomia della baffa di Salmone CODA
SECONDO TAGLIO
SALMONE SELVAGGIO
FILETTO DORSALE
FILETTO
VENTRE
RED KING | cod 94055 baffa intera da 2 - 2,5 kg circa | cod 94054 baffa intera da 0,9 - 1,5 kg circa Il Re, la specie più grande per dimensioni SOCKEYE | cod 94056 baffa intera da 0,5 - 0,8 kg circa Salmone dalle carni di un bel colore rosso acceso COHO | cod 94051 baffa intera da 0,7 - 1,2 kg circa Salmone con un tenore di grasso molto basso
SALMONE DI ALLEVAMENTO SCOZZESE | 94032 baffa intera da 0,6 - 0,9 kg circa NORVEGESE | 94034 baffa intera da 1,4 - 1,8 kg circa Salmo Salar allevato nelle fredde acque dei mari del nord
Quale coltello?
· tipo di affumicatura: per una materia prima come il salmone ci aspettiamo che si seguano i crismi della tecnica tradizionale. Assicuriamoci perciò che sia fatta a freddo; significa che il salmone viene esposto per alcuni giorni al fumo di trucioli di legno (eventualmente anche di bacche ed erbe aromatiche) bruciati senza fiamma, in un ambiente con temperatura non superiore ai 25 °C. Un’affumicatura lenta che sublima la bontà della materia prima. Attenzione: se il salmone è stato affumicato invece con fumo liquido, tra gli ingredienti in etichetta individuerete anche ”aroma di fumo”.
Un coltello dalla lama sottile abbastanza flessibile, così da riuscire a gestire al meglio il taglio, e alveolata, così che le fette si stacchino facilmente dalla lama coltello alveolato da salmone | cod 98094
2 | LE PARTI ANATOMICHE DELLA BAFFA Non esistono regole universali nella definizione delle diverse parti, ma in generale ne possiamo distinguere cinque: · coda: la parte più stretta della baffa, si distingue per la linea centrale di grasso un po’ più spessa, ideale per un trito · secondo taglio: la parte della coda più vicina al filetto, seppure più versatile della coda, anche questa è particolarmente indicata per i triti · filetto dorsale (o superiore): la parte più pregiata, con il maggiore rapporto tra grassi e carne, ideale gustato in purezza affettato a fette un po’ più spesse · filetto: anche questa parte è perfetta gustata in purezza, a fette sottili, rispetto a quello dorsale ha un pari bilanciamento tra parte grassa e magra · ventre: la parte più sottile di tutta la baffa, molto saporita e con il più alto contenuto di Omega 3, perfetta per fare delle strisce o delle listarelle, oppure affettata molto finemente 3 | LE TECNICHE DI TAGLIO Anche per il taglio non esistono delle regole accademiche ma possiamo identificare quattro tecniche principali: · D cut: il taglio classico in fette molto sottili, leggermente oblique e che comprendono tutta la larghezza della baffa; il segreto per accertarsi di tagliare una fetta sottile è quello di controllare durante il taglio che la lama del coltello sia visibile attraverso la carne. Un taglio che assicura una costante proporzione tra esterno e cuore, ideale per la degustazione in purezza o su un crostino; il taglio tipico della baffa preaffettata (foto 1) · Fetta lunga: una tecnica che richiede un po’ di esperienza perché prevede il taglio di una fetta sottile e uniforme che segua tutta la lunghezza della baffa. Particolarmente indicato e versatile per le preparazioni in cucina · Taglio verticale: a partire dal solo filetto dorsale grazie ad un taglio verticale si ottengono delle fette spesse circa 4 mm. Un taglio indicato solo per la parte anatomica più prelibata perché permette di assaporarla godendo al meglio della sua morbidezza e succulenza (foto 2) · Tartare: la tecnica meno scenografica, ma sicuramente che permette una presentazione sul piatto molto invitante; i cubetti si ottengo tagliando la baffa a piccole strisce che poi vengono ridotte ulteriormente in cubetti (foto 3) 4 | LA CONSERVAZIONE Se una volta aperto avanzate del salmone affumicato potete conservarlo in frigo tra 0 e 4 °C per un paio di giorni coperto con della pellicola. Attenzione agli sbalzi di temperatura che rovinerebbero il gusto e la consistenza!
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Balik: la storia Balik è il nome del metodo tradizionale di preparazione del salmone affumicato secondo la maniera in uso alla corte dello Zar di Russia Nicola II, a cavallo tra XIX e XX secolo
BRETAGNA E NORMANDIA: IL BURRO FRANCESE
GEOGRAFIA DEL GUSTO
Alla scoperta del famoso burro d’oltralpe in un percorso tra abitudini culinarie e peculiarità del territorio
Alessandro De Conto, laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, in Valsana si occupa di selezione ed è Responsabile dell’Export
Rue Cadet, Parigi, 2010.
Non servirebbe quasi specificare che il latte prodotto in questa zona è particolarmente ricco di materia grassa e vocato alla produzione del burro, inoltre non dobbiamo dimenticare che ci troviamo nel nord dell’Europa dove il burro è quasi l’unico grasso animale disponibile e non esiste di fatto la produzione di olio extra vergine di oliva.
Fermiamoci quindi alla prima tappa, a Ploeucsur-Lie dove troviamo il burrificio Le Vieux Bourg, nato nel 1956 e con il quale lavoriamo da un paio d’anni. Il titolare Eric de Sonis mi accoglie subito e mi accompagna in produzione. Si tratta davvero di un produttore molto piccolo che utilizza la tecnica del doppio barattage, ovvero la crema, raccolta da stalle locali, viene passata prima in una classica zangola (baratte) e poi il burro che ne risulta viene ripassato una seconda GLOSSARIO Sulla cucina non ho molto volta in un’altra macchina da dire, pensate soltanto per donare maggior Doux: dolce (non contiene sale) a cosa sarebbe la cucina setosità e aromaticità d’Oltralpe senza croissant, Demi-Sel: poco salato (0,5-3% di sale) al prodotto finito. Una escargot, salsa olandese, lavorazione particolare, Sel: salato (3% di sale) Tarte Tatin, Creme-Caramel che li differenzia da e tante altre ricette ricche molti altri produttori di di burro. beurre de baratte. Da Sulla geografia e caratterizzazione del territorio qui in poi interviene l’importante manualità che vorrei raccontare invece qualcosa in più, in particolare li contraddistingue: il sale o gli aromi vengono dopo l’ultimo viaggio fatto in Bretagna lo scorso aggiunti e impastati a mano così come a mano giugno: luoghi con clima atlantico molto piovoso, vengono formati e incartati i panetti. Bellissimo dove pascoli verdi e lussureggianti, molto vicini vedere come vengono incorporate le alghe bretoni, il al mare, sono fonte di alimentazione privilegiata peperoncino (Piment d’espelette), il fungo essiccato praticamente per 10 mesi all’anno. Proprio la e gli altri aromi, sembra di essere in una cucina più vicinanza al mare caratterizza in modo peculiare il che in un burrificio. Svariate le possibilità in cucina, pascolo, che si carica di una leggera nota salmastra, dall’ostrica gratinata al burro alle alghe, al risotto depositata dai venti di Tramontana o Ponente, e gli mantecato con il burro ai funghi, da una frolla salata animali, vacche e pecore, ne vanno davvero ghiotti. al burro piccante, fino a un semplice crostino con un Per ciò questi prati vengono classificati come preburro demi-sel e salmone selvaggio. Pensate a tutte salè (prati salati). Qualora passaste dalle parti di le ricette dove viene utilizzato il burro e chiedetevi: Mont St. Michel non perdetevi l’agnello pre-salè alla potrei utilizzare anche un burro aromatizzato? griglia! Son passati quasi dieci anni, ma ho ancora negli occhi i pani di burro da 5 kg in vendita sfusi nei banchi delle formaggerie. Allora è nata in me la curiosità di capire qualcosa di più del mondo “burro francese” e per intendere meglio a quale bisogno rispondesse questa abbondante offerta ho dovuto approfondire da un lato le abitudini culinarie di Francia e dall’altra conoscerne il tessuto e il contesto produttivo.
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Ma il nostro viaggio ideale non termina qui, ci porta ora in Normandia, nella terra del Camembert dove troviamo una delle 3 Dop francesi del burro: il Beurre d’Isigny. La panna dopo aver subito una fermentazione indotta di 18 ore circa viene poi centrifugata e “barattata”. Il sapore è dolce e vagamente sapido, la consistenza untuosa e facilmente spalmabile, sapidità che viene poi rafforzata dalla presenza di sale nel nostro Burro Salato, prodotto dalla robusta cooperativa Isigny St.Mere. Provate ad utilizzarlo in pasticceria o in abbinamento a un filetto di pesce non troppo grasso cotto al forno. E se vi dicessi che non è finita qui?
Che c’è un altro territorio tutelato da un’altra Dop? Beh, vi porterei velocemente nel dipartimento Poitou-Charentais in Aquitania, territorio compreso tra Nantes e Bordeaux. Qui troviamo il Beurre Echirè, caratterizzato da un colore giallo paglierino tenue e da un sentore più legato alla frutta tostata che alla sapidità. Graziosa e tipica la confezione in cestino di legno, disponibile sia la versione dolce sia quella salata. Nel caso questa storia vi fosse piaciuta molto, tenete in considerazione che sono disponibili anche un paio di burri nel cestello da 5 kg... e preparate il salmone per il più consueto degli abbinamenti!
Bretagna e Normandia
BEURRE D’ISIGNY AOP
BEURRE DE BARATTE
Demi Sel | cod 45311 | peso 250 g Demi Sel | 44063 | da 5 kg | prenotazione
Doux | cod 45340 | peso 125 g Demi Sel | cod 45341 | peso 125 g
BEURRE DE BARATTE AROMATIZZATO Sale Affumicato | cod 45342 | peso 110g Funghi | cod 45343 | peso 110 g Pepe | cod 45344 | peso 110 g Peperoncino | cod 45345 | peso 110 g Alghe | cod 45346 | peso 110 g
BEURRE LA VIETTE AOP solo su prenotazione: Doux | cod 45335 | da 5 kg VALSANA | 15
BEURRE ECHIRÉ AOP solo su prenotazione: Doux | cod 45316 | cestino da 250g Demi Sel | 45305 | panetto da 250g Demi Sel | 45327 | cestino da 250g x 8
CIBO DAL MONDO
LARGO AL LARDO... ANCHE IN CUCINA Il lardo rappresenta fin dai tempi più remoti uno dei grassi di origine animale più utilizzati per l’alimentazione umana, sia al naturale che per la cottura dei cibi, sia trasformato in olio o sugna che per la conservazione degli alimenti. Un altro viaggio in compagnia de il Gastronomade...
Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com
Essendo un derivato del maiale, la “geografia del lardo” coincide con quelle società agricole, dove il porco rappresentava, per il suo facile allevamento e veloce proliferazione, l’animale da fattoria per eccellenza. Ogni famiglia ne possedeva almeno uno e poiché “del maiale non si butta via nulla”, come ben sanno i contadini, il lardo rappresentava uno dei suoi doni più preziosi. Nell’Occidente cristiano con il lardo e dai suoi derivati si preparavano mille pietanze. Alcune sopravvivono ancora oggi, nonostante che con il cambiamento degli stili di vita e di consumo il suo utilizzo sia stato notevolmente ridimensionato da metà ‘900, a favore degli oli vegetali e del burro. Pochi sanno però che il lardo ha il 20% in meno di grassi saturi e un numero di grassi polinsaturi più elevato rispetto al burro, specie se l’animale si è alimentato spontaneamente come il cerdo iberico de bellota allo stato brado. Non a caso gli spagnoli l’hanno ribattezzato olivo con patas ovvero “ulivo con le zampe”. Al di là del piacere di gustare un lardo d’eccellenza come quello di Arnad, di Colonnata o dei Nebrodi al naturale, il suo uso in cucina rimane insostituibile nella praparazione di tantissime ricette tradizionali, dalla cunza (pesto alla modenese) che accompagna i borlenghi dell’Appennino emiliano (una specie di crêpes molto sottili e croccanti) ai necci incicciati (simili a crêpes, a base di farina di castagne) del versante toscano. E’ preferibile usarlo rispetto ad altri grassi per ottenere un effetto sfoglia nei pie (le torte salate ripiene di carne, verdura o pesce, tipiche della cucina inglese), un impasto più friabile per i biscotti, una crosta più croccante e dorata per le patate al forno.
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BROCHETTES DE LARD FARCÌ AUX PRUNEAUX | SAVOIA-FRANCIA INGREDIENTI: 1 confezione di prugne d’Agen snocciolate, Lard d’Arnad Accendete il forno e portatelo in posizione grill. Tagliate il lardo in fettine sottili che avvolgerete intorno alle prugne snocciolate. Sigillate i bocconcini di lardo e prugne con uno stuzzicadenti o infilzateli su spiedini di bambù, tre alla volta. Mettete in forno, sotto il grill, all’interno di un piatto da forno e cuoceteli per 8-10 minuti, girandoli a metà cottura. Serviteli caldi come appetizer.
Puoi preparare gli involtini di lardo e prugne anche con la variante castagna bollita e miele
Battuto al coltello e insaporito farcisce innumerevoli lardy bread (pane della tradizione inglese, ricco di spezie) e dripping sandwiches, dai zsíros kenyér (pane tostato) ungheresi con paprika e cipolla rossa, ai griebenschmalz tedeschi con semplici cetriolini in agrodolce o cipolla bionda saltata e briciole di speck croccante, oltre ai quali nel medioevo negli apfelgrammelschmalz veniva aggiunta anche la mela spadellata, ovviamente nel lardo. I polacchi si spingono ad abbinarlo con la frutta secca. I danesi lo inseriscono tra gli ingredienti indispensabili per preparare il loro paté preferito, il leverpostej con il quale tartinano gli open sandwich di smørrebrød (tradizionale
LARDO DI COLONNATA IGP GIANNARELLI
LARDO DI COLONNATA IGP IL POGGIO
Ottenuto da suini bianchi allevati e macellati solo in Italia. Il profumo è ricco di aromi speziati, il gusto è delicato, finemente sapido
Prodotto a Colonnata secondo tradizione. Dolcissimo, nonostante la grande quantità di sale utilizzata nella marinatura
cod 82438 | peso 2,7 kg circa cod 82441 | peso 400 g circa
cod 82460 | peso 2,5 kg circa
panino scandinavo di segale imburrato, ricoperto con salumi, carne o pesce, formaggi), il migliore in assoluto lo potete gustare a Copenhagen da Stryhn’s [stryhnsleverpostej.dk]. Nella cucina anglosassone il lardo tradizionale non manca mai come ingrediente nel Christmas puddings (budino natalizio), nel lardy cake (popolare torta da tè di alcune delle contee meridionali dell’Inghilterra) e per qualcuno neppure nel fish and chips. Il suo ruolo è così importante che ogni anno a Dorset si svolge il popolarissimo Lard Championships. Il lardo figura anche in moltissime ricette spagnole, dalla zuppa di caldo gallego (brodo galiziano) della costa atlantica, alla zurrapa de lomo andalusa (piatto a base di filetto di maiale fritto in strutto e sale), ma molto anche nei prodotti da forno come la coca catalana o le ensaimadas delle Baleari. In Francia troviamo il lardo principalmente nelle regioni alpine, dalle Hautes-Alpes alla Savoia, anche in ricette semplici e deliziose, spesso condivise con quelle della nostra tradizione valdostana o toscana, come gli involtini di lardo al forno farciti di prugne o di castagne lesse, questi ultimi serviti con miele. IL LARDO NELLE CUCINE DEL MONDO Essendo il suino un animale proibito in diverse precettistiche alimentari religiose, come quella halal islamica e kosher ebraica, non lo troviamo nel mondo arabo né tra le comunità israelite, così come viene bandito dalle religioni orientali, dal buddhismo all’induismo. In Cina il maiale oltre a figurare nei segni zodiacali, ha sempre rappresentato un animale-alimento-ingrediente indispensabile per la sopravvivenza nelle campagne, specie al sud (Guangdong , Zhejiang , Fujian e Jiangsu) nei periodi
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豬油撈飯 | LARD RICE | TAIWAN INGREDIENTI: 200 gr di lardo di Colonnata, 2 gambi di cipollotto, 4 fettine di zenzero, 1/4 cucchiaino di pepe di Sichuan (facoltativo), 320 gr di riso per sushi, 8 cucchiai di salsa di soia, 1/2 anice stellato, 2 cm di stecca di cannella
CIBO DAL MONDO
Lavate il riso sotto l’acqua corrente, quindi trasferitelo in un rice cooker o in una pentola con coperchio dal fondo spesso, ricoprendolo con acqua fredda, circa un mezzo centimetro oltre il suo volume. Mettete su fiamma viva con il coperchio e abbassatela al minimo quando inizierà a bollire. Lasciate cuocere in assorbimento senza alzare il coperchio, né mescolare, per circa 8-10 minuti. Spegnete e lasciate riposare con il coperchio per 5 minuti. Versate la salsa di soia in un pentolino e fatela bollire, aggiungete l’anice stellato e la cannella sminuzzati e lasciate in infusione 2-3 minuti, prima di filtrare. A parte tagliate il lardo a cubetti piccoli, trasferitelo in un wok e fatelo andare a fiamma media, finché lascerà il suo olio e i cubetti diventeranno dorati e croccanti. Scolate il lardo e fate saltare i gambi del cipollotto (compresa la parte verde) nell’olio del lardo, insieme allo zenzero e al pepe di Sichuan (se lo utilizzate). Filtrate l’olio aromatizzato, fatelo riscaldare in un wok e saltatevi il riso cotto in assorbimento per qualche istante. Insaporite con il lardo fritto, decorate con i gambi di cipollotto fresco tagliati a rondelle o con erba cipollina e servite in una ciotola.
di maggior indigenza. Oggi la Cina è il primo produttore e consumatore al mondo di lardo, ma i rapidi mutamenti stanno confinando il suo consumo alle campagne. I cinesi preferiscono friggere molti dei loro alimenti nell’olio ottenuto dal lardo sciolto oltre che per il sapore unico che conferisce ai cibi anche per l’alto punto di fumo (190°C) che lo caratterizza, praticamente lo stesso dell’olio d’oliva, ben più alto dei 150°C del burro. Nelle case e in alcuni ristoranti di Taiwan, Hong Kong e Macao si prepara ancora il lard rice o rice bibimbap (豬油拌飯), un piatto povero delle campagne, riso cotto in assorbimento servito con salsa di soia aromatizzata e lardo fritto nel suo olio.
Puó essere servito con un uovo fritto e rondelle di cetriolo, come piatto completo
Nelle Americhe la diffusione del maiale e del lardo ha seguito un percorso diverso; non essendo presente come specie nativa, la sua introduzione è conseguente alla scoperta dell’America. Al nord è arrivato al seguito dei coloni anglosassoni, che lo impiegavano nelle ricette tradizionali, per sperimentarlo nel fried chicken (pezzi di pollo rivestiti in pastella e fritti in padella). Nel meso e sud America si è diffuso grazie ai conquistadores spagnoli, diventando per il Messico uno degli ingredienti più apprezzati della cocina mestiza hispano-messicana per entrare nei piatti simbolo della cucina precolombiana, dai tacos ai tamales. La cucina tex mex ha però messo un freno a questo ingrediente, solo recentemente ristoranti come il Frontera dello chef Rick Bayless [rickbayless.com] ne hanno sdoganato l’uso, esaltandone anzi le proprietà. Un esempio che è rimbalzato recentemente anche in Europa grazie allo chef Bruno Oteiza del ristorante Gatxupa di San Sebastian [gatxupa.com], che non ne può fare a meno per rendere unici e irresistibili i suoi tacos!
LARDO DI SUINO NERO DEI NEBRODI
VALLE D’AOSTA LARD D’ARNAD DOP
Spesso e di colore bianco. Delicato, leggermente sapido, in bocca si scioglie subito con una notevole complessità aromatica
Speziato e stagionato nei Doils, tipici contenitori di castagno o rovere. È gradevolmente dolce, con note di rosmarino
cod 80220 | peso 1 kg circa
cod 82505 | peso 3 kg circa
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Amore per il territorio, voglia di riscatto per una storia che rischiava di perdersi e tanta passione, a cui si somma l’impegno sociale: è l’Antica Manifattura dei Marinati di Comacchio Premio innovatori responsabili nel 2017. Premio imprenditori per il bene comune nel 2018. Quattro certificazioni: Presìdio Slow Food; Parco Delta del Po; Valli di Comacchio; Sostenitore Biosfera Delta Po - Uomo e natura insieme. I Marinati di Comacchio sono un’azienda che ha messo davvero al centro l’uomo e l’ambiente. Non a parole, ma nei fatti. L’Antica Manifattura, fondata nel 1905, è riuscita a far rivivere una tradizione - la marinatura dell’anguilla - che a Comacchio risale al 1600. Oggi è adibita in parte a Museo, in parte a stabilimento storico di trasformazione ittica. “Il tema non è il prodotto. I prodotti sono l’occasione per dire chi siamo. Il tema vero è il soggetto che fa il prodotto. Sono le persone che fanno le cose”. Alessandro Menegatti è responsabile di Work and Services, la cooperativa sociale che si occupa della lavorazione dei prodotti ittici all’interno della Manifattura dei Marinati di Comacchio. Nata nel 2000 da un’associazione di volontariato, Work and Services è una cooperativa sociale di tipo B, la cui attività produttiva è finalizzata all’inserimento nel mondo del lavoro di persone con disabilità e fragilità sociale. Il lavoro è visto come uno strumento educativo per il reinserimento di persone con difficoltà, l’obiettivo vero è quello di far crescere le persone, umanamente e socialmente. “Sono laureato in filosofia, quindi non so far nulla, un po’ mi sono salvato perchè aiutavo nella ferramenta di famiglia”.
Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia ed è Responsabile Marketing in Valsana dal 2003
Dopo la laurea Alessandro ha iniziato a lavorare come educatore all’interno di una cooperativa a Comacchio. Work and Services ha iniziato a lavorare con I Marinati collaborando con il Parco del Delta del Po. Ora le due realtà sono un tutt’uno: la lavorazione diventa un laboratorio di reinserimento sociale e di inclusione lavorativa, un’opportunità educativa, un’occasione di incontro. “Ti posso guardare sempre in due modi: per quello che mi puoi dare o per quello che sei”. Alessandro è una persona che, quando ti guarda negli occhi, ti guarda dentro. Quando parla, lo fa con un’autenticità a volte scomoda, che ti mette di fronte a te stesso, chiedendoti “e io che cosa sto facendo per rendere il mondo un posto migliore?”. Ascoltare Alessandro mi fa ripensare al libro di Oscar de Montigny, direttore marketing e innovazione di Banca Mediolanum, “Il tempo dei nuovi eroi”, in cui vengono descritti i fondamenti dell’Economia 0.0, un approccio che si propone di riportare al centro il bene, l’uomo e l’ambiente, dove il profitto è il mezzo e non il fine ultimo del fare impresa. “Diventate nuovi eroi e fatelo per la società”, scrive Oscar nel suo libro. Alessandro ha raccolto la sfida, e incontrare realtà come la sua è un’esperienza che lascia un segno, per i valori che vive e riesce a trasmettere. Resilienza. Restare in un’area che è il fanalino di coda del nord est produttivo, creando opportunità di lavoro e valore per il territorio. Coraggio. Affrontare le situazioni di disagio cercando di superarle, tenere al centro le persone e i rapporti interpersonali.
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NOVITÀ
ANGUILLA MARINATA TRADIZIONALE DI COMACCHIO Anguilla selvatica, Presìdio Slow Food, pescata e lavorata nelle valli di Comacchio: viene arrostita allo spiedo e marinata in una salamoia di aceto di vino bianco, sale di Cervia e alloro cod 95800 | peso 820g (500g sgocciolato) cod 95803 | peso 550g (200g sgocciolato)
SOSTENIBILITÀ E AMBIENTE
I MARINATI DI COMACCHIO
SOSTENIBILITÀ E AMBIENTE
Determinazione. Portare avanti la tradizione dell’Anguilla Selvatica delle Valli di Comacchio, valorizzandone la storia e la lavorazione artigianale. Rispetto. Le Valli di Comacchio sono la cornice ambientale dove avviene la pesca dei prodotti, rigorosamente selvatici, un’area protetta dal Parco del Delta del Po. L’anguilla selvatica è un pesce serpentiforme che si riproduce nel Mar dei Sargassi, ma compie un ciclo vitale di 7-10 anni nelle acque interne; quando è sessualmente matura sente l’istinto di migrare verso il mare per riprodursi; è in questo momento che viene catturata con i “lavorieri”, sbarramenti posizionati in prossimità delle aperture a mare delle Valli e nei canali interni, studiati per catturare i pesci adulti e consentire al tempo stesso l’entrata in valle di nuovi esemplari. L’anguilla selvatica viene pescata da ottobre a dicembre, solo quando sussistono tre
condizioni: vento di bora; buio di luna; alta marea. In questi casi i pescatori “aprono l’’acqua”, permettendo alle anguille di entrare nei “lavorieri”. Solo i capitoni, anguille femmine di oltre un chilo di peso, sono idonei per la marinatura, che viene fatta solo nella stagione invernale. I maschi vengono arrostiti alla griglia, le anguille femmine invece vengono pulite, tagliate a “morelli” (trancetti), spiedate e arrostite nei camini della Manifattura con legno di roverella o leccio, poi inserite nelle latte con una salamoia di aceto, acqua, sale di Cervia e una foglia d’alloro. Oltre all’anguilla, nella linea di prodotti tradizionali “di valle” de I Marinati c’è anche l’acciuga. Le acciughe entrano “in valle” in primavera, dal mare risalgono il reticolo di vene e canali che costituiscono la laguna arginata delle Valli di Comacchio, per ritornare al mare in autunno, tra settembre e ottobre. Le acciughe appena pescate con il “lavoriero”, vengono trasportate vive alla Manifattura,
lavate, infarinate, fritte con olio di semi di girasole e lasciate riposare per un’intera giornata, quindi conservate in salamoia con aceto, acqua e sale. Ma c’è anche una nuova linea “di mare”, nata per poter lavorare il pesce non solo in autunno ma tutto l’anno, garantendo una continuità lavorativa: alici pescate a Porto Garibaldi o Chioggia, nell’area del Delta del Po, lavorate una a una, spinate a mano, marinate in aceto e sale per una notte intera, quindi conservate in olio di semi di girasole; sarde pescate nel Mar Adriatico, nell’area del Delta del Po con reti da traino, fritte e marinate in aceto di vino. “Alici per gli Amici” e “S’Arde in Compagnia”: per gli amici si scelgono prodotti speciali, in compagnia si gustano i prodotti migliori. I nomi di questi prodotti chiudono il cerchio, rafforzando una volta di più la visione di quest’azienda. Davvero speciale.
“Quello che tu erediti dai tuoi padri riguadagnatelo, per possederlo” J.W. Goethe
NOVITÀ
NOVITÀ
NOVITÀ
ACCIUGA MARINATA DI COMACCHIO
ALICI MARINATE DI COMACCHIO
SARDE MARINATE DI COMACCHIO
Acciuga marinata, specialità delle Valli di Comacchio, pescata a mano nel lavoriero, fritta in olio di girasole e marinata con una salamoia a base di aceto, acqua e sale
Alici freschissime lavorate a una a una, lavate, preparate, marinate e lasciate riposare un giorno intero
Sarde pescate nell’area del Delta del Po, fritte e marinate in aceto di vino secondo la tradizione delle Valli di Comacchio
cod 95801 | latta da 350 g
cod 95802 | latta da 350 g
cod 95804 | latta da 530g cod 95805 | latta da 940g
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ALPEGGIO PERENNE
OSIAMO L’ABBINAMENTO
Frutto prezioso di storie e tradizioni, talmente unico da rendere l’imitazione inutile. Dall’inizio, o fine, della catena delle Alpi: il Castelmagno
Matteo De Santi è Laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana
Si sa che il Castelmagno è un formaggio antico, quasi quanto il Gorgonzola, infatti se ne parla già in una sentenza del 1277 dove viene usato come forma di pagamento al marchese di Saluzzo. La leggenda che ci piace però è quella di Carlo Magno: famoso fu il suo tentativo a un banchetto di rimuovere la venatura bluastra al formaggio. Per questo fu ripreso dal vescovo di Saluzzo che lo accusò di rinunciare alla parte migliore, e da lì nacque l’amore. Miti a parte, il Castelmagno è veramente un formaggio unico: prodotto a latte vaccino crudo, eventualmente addizionato di una parte variabile di latte di pecora o capra mai superiore al 20%, è frutto dell’unione di due mungiture, una delle quali semiscremata. Una volta preparata la cagliata, rotta alla grandezza di una nocciola e fatta sostare nel siero per 30 minuti, viene separata dal siero e lasciata in teli per almeno 24 ore. Questo processo, oltre ad aiutare lo spurgo, ne influenza l’acidità. In seguito la cagliata viene tagliata e reimmersa nel siero in vasche d’acciaio per 2/3 giorni. A questo punto viene frugata, ossia tritata, poi salata e infine posta in fascere di plastica e pressata. Da qui inizia la stagionatura in grotte di tufo e possiamo trovare una prima identificazione: fresco per stagionature a 60 giorni, stagionato per i 4 mesi.
Ed ecco quindi un’altra classificazione per il Castelmagno, che se avrà l’etichetta verde sarà una produzione di alpeggio, mentre se l’etichetta è blu viene definito di montagna. Perchè allora alpeggio perenne? Il caso è abbastanza unico. Di solito quando si parla di alpeggi ci si immagina un ciclo naturale per cui d’inverno l’allevamento vive in valle e solo d’estate la transumanza porta le vacche in alpe, creando quindi una sostanziale differenza nell’immaginazione del pascolo e nella vita dell’animale. Col Castelmagno è vero sì che l’alpeggio si trova quasi a 2000 metri, ma la produzione d’inverno ha comunque luogo a un altitudine di circa 1000, infatti viene denominata di montagna. Insomma, queste vacche la valle non la vedono mai. Destinate alla fatica e al pascolo buono, come i loro padroni, destinati al sudore e alla gloria, per un formaggio eterno.
L’alpeggio è tutta un’altra storia. Il formaggio viene prodotto solamente da maggio a ottobre quasi a 2000 metri di altitudine, con una stagionatura minima di quattro mesi. Solo questa selezione è Presìdio Slow Food.
CASTELMAGNO DI ALPEGGIO DOP cod 31029M18 | 4 kg circa
CASTELMAGNO DI MONTAGNA DOP fresco | 31030 | 4,5 kg ca stagionato | 31031 | 4,5 kg ca
Il produttore Giorgio Amedeo, affinatore di Castelmagno, è stato accreditato da Slow Food come responsabile del Presìdio del Castelmagno d’Alpeggio. Giorgio ha scelto di costruire un centro produttivo e di stagionatura a Chiappi, la più alta frazione del comune di Castelmagno. Grazie a Giorgio, affiancato oggi dal figlio Andrea, e ai “malgari” del Presidio, la tradizione di questo nobile formaggio viene preservata e tutelata VALSANA | 22
sale epe pe .i t
NEL BICCHIERE Si chiamano a vicenda, quasi come se non riuscissero a separarsi. Si tratta di vino rosso e Castelmagno. Da buon toscano non potevo che chiudere gli abbinamenti con un buon rosso corposo che dia filo da torcere ai gusti erbacei ed erborinati del Castelmagno. Non vi darò un’unica scelta, ma vi dirò che la stagionatura del formaggio definirà la proposta del vino. Freschi e floreali per l’etichetta blu, persistenti e intensi per l’etichetta verde. Ma se proprio vi va di osare, osate un passito di Pantelleria
NEL PIATTO Il Castelmagno di alpeggio è un formaggio decisamente profumato, leggermente sapido al palato, con spiccate note erbacee e floreali che si addolciscono e si mescolano a note di sottobosco quando si incontra la rara e preziosa erborinatura. Tenendo conto di queste caratteristiche organolettiche, sempre con la stagionalità come bussola, ho scelto di abbinarlo alla zucca. Cuocendo dei rettangoli di zucca li ho sovrapposti, aggiungendo fra gli strati della cipolla leggermente caramellata al rosmarino, fette di guanciale croccante e fonduta di Castelmagno di alpeggio con l’erborinatura sbriciolata sull’ultimo strato
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DAL CAMPO A chi piace vivere nelle sicurezze e vede nel rischio solo paure e perdite posso consigliare il classico abbinamento col miele di Tiglio, affidabile, buono e sempre quello. Se invece avete il coraggio di provare e scoprire, perchè questo sono gli abbinamenti, scoperte che diventano certezze, vi suggerisco di assaggiarlo in questa stagione insieme al caco. Le sue note dolci e consistenze quasi cremose si sposano benissimo con la salinità e friabilità del Castelmagno
UN CONSIGLIO IN PIÙ Ovviamente le forme migliori sono quelle prodotte d’estate in alpeggio, benché la lavorazione si effettui durante tutto l’anno. La tendenza attuale è di consumarlo fresco, appena sviluppa una tipica consistenza granulosa e poco compatta. È da disapprovare. Questo formaggio sviluppa pienamente il suo sapore dopo alcuni mesi di stagionatura, durante i quali si può creare un’eccellente erborinatura spontanea
BOCCONI DI STORIA
ZAMPONE O MUSETO? S’incomincia con “L’ingorda confraternita del museto”, una delle ultime confraternite enogastronomiche nate in questa gaudiosa e golosa Italia, precisamente a Riese Pio X (TV), quasi una sorta di blasfemia nel paese di Papa Sarto, dove si celebra una settimana, Porco Mondo, dedicata al divin porcello. E pensare che fino a qualche decennio fa si contavano, in tutte le serene parrocchie d’Italia, solo e soltanto pie confraternite religiose. Così vanno i tempi! Ancora: è impensabile immaginare il Capodanno, anche nell’angolo più sperduto e nascosto dell’Italia senza lo zampone o il cotechino, con lenticchie, sulla tavola imbandita a festa: una sorta di rito apotropaico beneaugurale. Se lo sapesse Esaù, che per un piatto di lenticchie aveva venduto a Giacobbe la primogenitura. Danilo Gasparini è docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3
COTECHINO O ZAMPONE? Cotechino… maiale. E come si sa del maiale non si butta via niente: “bon dal muso al buso”. Lo Zampone e il Cotechino sono entrambi prodotti di salumeria, un’arte che si specializza nel Medioevo, preparati con alcune parti di carne suina fresca, tritata e insaporita con un mix di spezie, che vengono consumati previa cottura. La differenza, condimento e tagli di carne a parte, sta nell’involucro: di cotenna della zampa anteriore del maiale che dà la caratteristica forma di zampa per lo Zampone e di budello di maiale per il Cotechino. Sembra che solo di forma si tratti, ma non è affatto vero, perché l’involucro trasmette il proprio sapore al contenuto che avvolge. PAESCE CHE VAI COTECHINO CHE TROVI Le zone di produzione sono quelle della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, unite dalla Pianura Padana, dove gli allevamenti dei maiali abbondavano fin dai tempi molto remoti. E ogni regione ha la sua tipologia.
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Molti di questi, cotechini e zamponi, hanno ottenuto quasi 20 anni fa il riconoscimento europeo al valore delle specialità alimentari IGP. Prodotti simili sono conosciuti anche in Friuli (Musetto: preparato con il muso del maiale insieme alla carne più magra e le cotenne), nelle Marche (Cotechino di San Leo: più speziato rispetto ai prodotti emiliani e lombardi), in Valtellina (Cotechino bianco, piccolo e fatto soltanto con le cotenne macinate e il Cotecotto, grande quanto lo zampone e preparato aggiungendo anche la carne di bovino) e in Emilia Romagna fuori delle zone dell’IGP. In Veneto sono riconosciuti altri diversi prodotti: coeghin nostrano padovano; coessin co la lengua del basso vicentino, coessin del basso vicentino, coessin della Val Leogra, coessin in onto del basso vicentino, coessin co lo sgrugno, cotechino di puledro, codeghin de Lavagno… ma anche il museto in tutto il trevigiano. LE ORIGINI Le origini di questi due salumi sono umili, quasi di risulta, legate al bisogno e alla necessità delle classi povere di utilizzare anche le parti meno nobili del maiale quali testa, gola, collo, garetto e guancia insieme alla cotenna per ottenere prodotti semplici, ma gustosissimi, se impreziositi da pepe, chiodi di garofano, noce moscata, cannella e anche qualche foglia di alloro o di timo… avendoli a disposizione. L’idea di sistemare il contenuto del maiale in piccoli contenitori fatti con le budella stesse dell’animale è antichissima e ha permesso di avere a disposizione un sistema di conservazione assai efficace. Il cotechino è per questo considerato l’antesignano di ogni tipo di “insaccato”. Dalla mortadella al salame. L’idea di utilizzare come involucro la pelle e non le budella è successiva, di molti secoli dopo, ma questa è un’altra storia.
1511: LA NASCITA DELLO ZAMPONE
Maria Luigia, granduchessa di Parma, sentenziava che “l’impasto deve essere per metà di cotenna e per metà di nervetti e carne magra”.
Si dice che l’origine storica di queste produzioni risalga a Modena molti secoli fa. La nascita dello Zampone viene ricondotta precisamente al 1511 durante l’assedio di Mirandola, presso Modena, delle truppe di Papa Giulio II Della Rovere. Alla fine dell’assedio i Mirandolesi erano stremati dalla fame: era un peccato lasciare i maiali senza averli macellati e rischiare di regalarli al nemico, ormai prossimo ad entrare in città. Pare che sia stata l’idea di uno dei cuochi di Pico della Mirandola, il famoso umanista e filosofo ricordato dai più per la sua memoria elefantesca, di tritare tutta la carne e di infilare quella più magra e più buona nella pelle delle zampe dei maiali stessi per conservarla e cuocerla successivamente. Questo stratagemma consentì ai Modenesi di conservare la carne evitando che marcisse; ma non ci sono le carte che documentino se, una volta caduta la difesa di Mirandola, gli insaccati, antenati dello Zampone, fossero stati mangiati dai Mirandolesi o dai soldati del Papa!
1745: PRIMA CITAZIONE UFFICIALE DEL COTECHINO Il cotechino lo facevano, ovviamente a mano, i “lardaroli e salsicciari”, gli ex “beccai”, che si riunirono in corporazione autonoma, a Modena, solo a partire dal 1547. Ma è di circa duecento anni dopo, 1745, la prima citazione ufficiale del cotechino: in un “calmiere” ne viene indicato il prezzo, e la prima ricetta compare l’anno successivo. La vera nobiltà culinaria il cotechino l’acquisisce però soltanto all’inizio del secolo scorso: nel 1910 il grande Pellegrino Artusi dedica al “Cotechino Fasciato” la ricetta n. 322 del suo famosissimo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. COTTO O PRECOTTO? Mediamente in Italia, sulle nostre tavole, vengono serviti circa 6,5 milioni di chili di cotechino e zampone. Rimane un ultimo quesito: acquistarli freschi o precotti? La scelta dipende da quanto tempo si ha a disposizione per preparare il pranzo delle feste. Nel primo caso, cotechino o zampone vanno bucherellati, avvolti da un telo o nella carta stagnola, messi in pentola con acqua fredda e lasciati bollire per almeno un paio d’ore. Nel secondo caso, invece, basteranno 20/30 minuti in acqua bollente. Ma se il tempo è tiranno, il palato lo è ancor di più. Per cui, “per una volta all’anno”, se si vuole mangiare un piatto come si deve, il consiglio è di andare in macelleria a comprarli freschi. Il sapore vi ripagherà delle ore impiegate a cucinarli, accompagnandoli, da queste bande, con purea ed erbe cotte.
“Se volete allegria, mangiate modenese, lo zampone dà gioia anche ad un animo triste” Emile Zola Vero o non vero, lo Zampone, grazie alla particolarità della sua forma ma soprattutto per la sua bontà, diventò con il tempo sempre più conosciuto anche nelle altre regioni dell’Italia centro-settentrionale. Nel 1841 Vincenzo Agnoletti, cuoco romano al servizio di
COTECHINO MEGGIOLARO
COTECHINO GROSSETTI
MUSETTO LOVISON
ZAMPONE MEGGIOLARO
Cotechino precotto prodotto con carni di suini italiani, insaccate in budello naturale, senza conservanti
Cotechino precotto prodotto da Grossetti con carne di suini nati, allevati e macellati in Italia
Musetto friulano prodotto solo con carne di suini italiani, da cuocere senza forare il budello
Zampone precotto di eccellenza, prodotto senza conservanti, da scaldare in acqua bollente per 25’
cod 80856 | peso 500 g
cod 80454 | peso 800 g
cod 80175 | peso 500g x 2
cod 80861 | peso 1 kg
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NOTIZIE DA VALSANA
SAPORI 2019 23.000 passi, 85 persone dietro le quinte, 1.725 ospiti, 115 prodotti in degustazione, 12 ricette, 5 laboratori Vent’anni di Sapori, gli ultimi dieci al Castello di San Salvatore. Calato il sipario, dopo che tutti gli ospiti sono scesi con la navetta, ci siamo ritrovati, sfiniti ma ancora con l’adrenalina a mille, nelle cucine del Castello. Una piccola festa nella festa, a sorpresa, organizzata da Manuela di Top Banqueting, nostro partner da 10 anni per questo evento. Bellissimo e impegnativo, tanto che la nostra vita professionale - e per qualcuno anche quella privata - si divide in
prima e dopo Sapori. Una specie di capodanno anticipato, sintesi della nostra visione della Gastronomia, della ricerca di nuovi prodotti, del nostro modo di vivere il rapporto con i produttori, della voglia di coccolare i nostri clienti con occasioni di approfondimento, formazione, degustazione, esperienza, gioco. Sapori è nata circa venticinque anni fa come una cena per i cinquanta clienti più importanti di Valsana, al tempo. Un momento
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Martina Iseppon è laureata in Economia e Commercio a Venezia ed è Responsabile Marketing in Valsana dal 2003
di incontro, per conoscersi di persona, un modo per ringraziare i clienti storici per la loro fiducia e perchè no, anche un’opportunità per far assaggiare qualche prodotto, in purezza e in qualche ricetta. Era il 1994, eravamo alle Case Bianche, a Susegana (TV). Negli anni siamo cresciuti e dopo un po’ sederci tutti intorno al tavolo era diventato pressochè impossibile. Sapori nasce ufficialmente come percorso di degustazione nel 1999. Eravamo Al Brolo, Ristorante Da Gigetto, a Miane (TV).
Da allora la sfida è provare ogni anno a sperimentare qualcosa di nuovo, introdurre qualche piccolo miglioramento nel servizio, nella selezione, nelle proposte. L’obiettivo è sentirci dire ogni anno: “questa è la migliore edizione di sempre”, magari da quei clienti che a Sapori ci vengono da vent’anni. Edizione dopo edizione ci siamo accorti che il valore più importante è l’incontro con i produttori, la possibilità di sentirli raccontare, con gli occhi che brillano, come nascono i prodotti, come devono essere gestiti, come si assaggiano nella zona di origine. L’opportunità di assaggiare i prodotti è solo il primo passo: farlo assieme ai produttori diventa esperienza, condivisione e relazione. Se l’incontro con i produttori è la spina dorsale dell’evento, negli anni abbiamo cercato di lavorare anche in altre direzioni. La cucina. Per ogni formaggio italiano esiste almeno una ricetta, ci insegna un nostro amico, studioso della gastronomia
italiana. Come utilizzare i prodotti in cucina, nelle ricette ma anche negli abbinamenti, è uno dei temi che cerchiamo ogni anno di sviluppare. Dalla pasta con la colatura di alici di Cetara al farrotto con i funghi e la burrata affumicata, dalla buzzonaglia di tonno con la mollica croccante allo gnocco fritto con la pancetta piacentina, dalla stracciatella con la mostarda di ciliegie e le fave di cacao al gelato al mascarpone con la quintessenza di lime. Ci piace giocare con gli ingredienti, e ci siamo accorti che a volte una ricetta diventa un modo per far incontrare due produttori. I laboratori. Momenti di formazione e approfondimento riservati a una quarantina di persone. Un respiro internazionale con una degustazione di formaggi slovacchi, la grammatica delle spezie di Anna Maria Pellegrino e una provocazione sulle origini di un piatto (veneto?), polenta e baccalà. Un gioco di abbinamenti con la pizza di Damiano Visentin e i vini di Cristian Specogna. VALSANA | 27
E una riflessione sul tema della sostenibilità ambientale, con la presentazione dell’Oasi della Pittima di Cascina Oschiena. Le verticali. Assaggiare diversi prodotti a confronto è un’occasione unica per cogliere le diverse sfumature legate al terroir. Quest’anno abbiamo dedicato una sala ai pecorini, la sala dei pastori; nel 2018 ai crudi spagnoli; l’anno prima ai crudi d’Italia. Il percorso sensoriale. Coinvolgere gli ospiti, con un’esperienza a metà tra il gioco e la formazione, per imparare a distinguere in un blind test Grana Padano e Parmigiano Reggiano, oppure il Parmigiano di Bruna da quello di Vacche Rosse. Riconoscere al tatto il farro dal riso carnaroli o il risone. Indovinare le essenze, riconoscendo solo dal profumo spezie, erbe e agrumi. Anche quest’anno è andata, ora è già tempo di pensare all’edizione 2020. Se volete darci qualche suggerimento scriveteci a marketing@valsana.it. Grazie!
METTI UN BISCOTTO SOTTO L’ALBERO
LA CUCINA DI QB
Avete mai pensato ai biscotti come a un alleato per combattere la fame? Il biscotto è una parentesi golosa, un gesto gentile, una coccola croccante...
NOVITÀ
In principio fu il pane. Era un mondo difficile e non c’era tempo per cincischiare con stampini e matterelli. La madre di tutti i biscotti infatti era la pagnotta: un filone cotto due volte ossia sfornato, affettato e poi nuovamente infornato. La motivazione era semplicissima: i soldati avevano bisogno di un cibo energetico, e un pane secco lo è. I Romani lo chiamavano panis nauticus, indispensabile nei lunghi viaggi in mare. Nell’Urbe non si pensava solo al vitto dei combattenti, ci mancherebbe, e il pistor dulciarius impastava dei pani addolciti con miele e arricchiti di semi e frutta secca, chiamati “panis siligineus”, confezionati con farina bianchissima e ambiti anche da quella parte della popolazione che poteva nutrirsi solo con pani scuri di farro, orzo, segale e grano saraceno. Durante il Medioevo la produzione di pani dolci si intensifica e fanno il loro ingresso in cucina spezie, essenze e distillati. I monasteri diventano l’ombelico del mondo goloso: tra una preghiera e un impasto vedono la luce quei dolci che ancor oggi vengono confezionati e donati a Natale, Pasqua e anche durante la Quaresima. Nascono Panpepato, Buccellato, Pandiramerino e preparazioni mignon come Ricciarelli, Berlingozzi, Morselletti, Quaresimali, Cantucci, Anicini, dalla lunga shelf life e adatti al trasporto. Fa la sua comparsa anche lo zucchero di canna (considerato una spezia fino all’Illuminismo), cristallino sostituto del miele.
QUINTESSENZE PRIMA BIO Essenze naturali a base di oli essenziali di spezie, semi e agrumi. In questa ricetta:
CORIANDOLO BIO cod 98208 | 50 ml
PEPE NERO BIO
cod 98219 | 50 ml cod 98246 da 15 ml
ANICE STELLATO
cod 98202 da 50 ml
Il Rinascimento offre al dessert un posto d’onore: pranzi, banchetti e buffet non potevano dirsi tali senza una rassegna sfarzosa di dolci e i biscotti secchi venivano accompagnati da preziosi distillati, vini dolci e rosoli. Furono gli inglesi a trasformare le secche gallette in morbide dolcezze grazie all’utilizzo di tanto burro, dominando le dispense europee per anni. Purtroppo il biscotto non è democratico nel senso che, pur essendo ambito da tutti, concede le sue grazie solo a chi se lo può permettere e, fino al boom economico, i biscotti rimangono doni rari, grazie alla benevolenza di San Nicola e della Befana. Ed è in questo momento dell’anno che gli impasti dolci si impreziosiscono di spezie e di zucchero scuro, entrambi propiziatori nel periodo più buio dell’anno, in un tripudio di preparazioni simili in tutto il mondo europeo. Cannella, anice verde, zenzero, cardamomo, anice stellato, pepe nero, noce moscata, pimento, chiodi di garofano, coriandolo sono i fondamentali componenti delle miscele che profumeranno le cucine da Ognissanti fino all’Epifania, per rendere omaggio ai cari defunti, accompagnare l’anno che ci lascia e accogliere quello nuovo. VALSANA | 28
Anna Maria è cuoca e foodblogger. La sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo
Speziati, profumatissimi, dal sapore orientale!
BISCOTTI SPEZIATI CON GRANO SARACENO E MIELE Sono così buoni che prenderete per la gola tutti i vostri amici. E l’anno prossimo dovrete raddoppiare la produzione. INGREDIENTI: 175 g di farina di grano saraceno, 175 g di farina 00, 100 g di miele d’acacia, 125 g di burro, 2 tuorli d’uovo, 35 ml di latte, 1 pizzico di sale, 3 spruzzate di essenza di coriandolo, 2 spruzzate di
essenza di pepe nero, 1 spruzzata di essenza di anice stellato, 8 g di lievito per dolci. Sbattete i tuorli d’uovo e sciogliete a bagnomaria il burro. Setacciate le farine con un pizzico di sale e il lievito. Unite le uova, mescolate e aggiungete il burro, il miele e il latte. Spruzzate le essenze. Avvolgete l’impasto con una pellicola, dando una forma
di salsicciotto del diametro di circa 3’ e fate riposare in frigo per 30’. Pre-riscaldate il forno statico a circa 180°C e affettate il composto in fette di 1 cm e disponete i biscotti sulla teglia coperta da un tappeto in silicone. Infornate e cuocete per circa 15’-18’ o fino alla doratura. Fate raffreddare i biscotti prima di impacchettarli.
BISCOTTI CON AVENA E CANNELLA Ingredienti semplici per piccoli bocconcini croccanti e golosi. Potete sostituire le gocce di cioccolato bianco con quello fondente: saranno solo un pochino meno dolci PREPARAZIONE: 10’ + 20’ di riposo COTTURA: 15’ DIFFICOLTÀ: bassa
LA CUCINA DI QB
INGREDIENTI PER 16-20 BISCOTTI 120 g di farina di Kamut (o metà di farina integrale) 120 g di zucchero di canna 50 g di burro 50 g di gherigli di noci o nocciole 50 g di gocce di cioccolato bianco 50 g di fiocchi d’avena bio 1 uovo bio + 1 tuorlo 1 cucchiaino di bicarbonato 1 pizzico di sale iodato 2 spruzzate di essenza di arancia 2 spruzzate di essenza di cannella
Profumano di Natale grazie alle essenze di arancia e cannella!
Procedimento Tritate i semi con un coltello. In una ciotola sbattete appena le uova, unite il burro molto morbido tagliato a tocchettoni. In un’altra ciotola setacciate la farina con il bicarbonato, il sale, i fiocchi d’avena. Versate gli ingredienti secchi in quelli liquidi, le noci tritate e infine le gocce di cioccolato, mescolate velocemente: meno si mescola meglio è! Ora spruzzate le essenze e terminate di formare il composto. Formate un salsicciotto squadrandolo appena, avvolgetelo nella pellicola e fate riposare in frigo per 20’. Portate il forno a 180°, statico, e coprite una teglia con un foglio di silicone. Tagliate il salsicciotto a fette di 1 cm, disponete i biscotti sulla teglia e cuoceteli nel forno già caldo per 10’-12’. Fateli raffreddare sopra una gratella prima di impacchettarli.
NOVITÀ
QUINTESSENZE PRIMA BIO In questa ricetta:
CANNELLA BIO
cod 98206 da 50 ml
ARANCIO BIO
cod 98203 da 50 ml cod 98240 da 15 ml
CUORI DI ZENZERO La ricetta dell’impasto è ispirato dalla mitica Peggy Porschen, una pasticciera londinese da mezzo milione di follower. Potete anche decorarli con la ghiaccia reale ma solo dopo averli completamente raffreddati.
Miele, zenzero e cannella: salutari anche in versione croccante
INGREDIENTI 550 g di farina 00 250 g di burro salato, freddo, a cubetti 210 g di zucchero di canna chiaro 75 ml di acqua 60 g di melassa 60 g di cucchiai di miele di acacia o di sulla 15 g di zenzero in polvere oppure tre spruzzate di essenza 15 g di cannella in polvere oppure tre spruzzate di essenza 5 g di chiodi di garofano in polvere 5 g di bicarbonato di sodio Procedimento Versate in una casseruola capiente l’acqua, lo zucchero di canna, la melassa, il miele e le spezie in polvere. Portate a ebollizione, mescolando. Allontanate dalla fiamma, aggiungete il burro a dadini un po’ alla volta e mescolate fino a incorporamento. Unite il bicarbonato facendo attenzione alla reazione. Spegnete e lasciate raffreddare. A questo punto spruzzate le essenze. Dopo circa 30’ versate l’impasto in una ciotola o nella planetaria con una frusta a foglia e aggiungete la farina setacciata un paio di volte, continuando a mescolare fino a ottenere un composto omogeneo. Formate un panetto, avvolgetelo nella pellicola, e lasciate raffreddare in frigo per circa circa 2/3 h. Stendetelo con il mattarello tra due fogli di carta da forno spolverati di farina a un’altezza di circa 4/5 mm. Con un taglia biscotti ottenete le forme desiderate e disponetele sulla placca del forno coperta da un tappetino in silicone e trasferiteli in frigo per 30’ a raffreddare. Per quelli da appendere all’albero: schiacciate l’impasto con una cannuccia per formare il foro. Infornate i biscotti nel forno statico già caldo a 200° e cuoceteli per 8-10’, aprite il forno e cuoceteli per altri 4’. Sfornate e fate raffreddare i biscotti prima di spostarli o di decorarli.
NOVITÀ
QUINTESSENZE PRIMA BIO In questa ricetta:
ZENZERO BIO
cod 98225 da 50 ml
CANNELLA BIO
cod 98206 da 50 ml
Valsana S.r.l. ∙ Via degli Olmi, 16 ∙ 31010 Godega di Sant’Urbano (TV) ∙ Italy Tel. (+39) 0438 1883125 ∙ Fax (+39) 0438 64976 ∙ valsana@valsana.it ∙ www.valsana.it