Selezione di Sapori | 2021 02

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A MAR | APR 2021


EDITORIALE

Valsana ha maturato negli anni una vocazione d’impresa chiara. Una vocazione per la qualità del prodotto, per una relazione curata con il cliente, per la profondità dell’assortimento, per l’ambizione dei progetti e l’attenzione al servizio. In poche parole una vocazione per l’eccellenza. Mi sento perciò fortunato e privilegiato nell’aver ricevuto l’incarico della Direzione Commerciale, una responsabilità che vorrei vivere sicuramente nel rispetto dell’identità aziendale, ma anche nel segno del miglioramento continuo e del lavoro di squadra.

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Gianluca Di Lello, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Anna Maria Pellegrino Direttore: Giulia Basso

E questo numero del magazine segue questo intento: vi presentiamo due nuovi produttori di formaggi che lavorano solo a latte crudo, l’Azienda Agricola Stutz, che produce Robiola di Roccaverano, e il maso Neuhaus Hof, che fa piccoli formaggi a crosta lavata. Vi raccontiamo da vicino un produttore che fa parte della nostra storia, la Latteria Perenzin 1898. Continua la nostra investigazione nel mondo del pane, con la rubrica di Giulia “Economia... al forno”, e nel mondo dello spreco alimentare, con l’articolo di Martina che vi racconta come cerchiamo di contenerlo in azienda. Infine ci concentriamo sui carciofi nella rubrica di Giorgia, sugli abbinamenti con la Pitina insieme a Matteo ed Enrico e sul Branzi, per ridargli nuovo slancio, insieme a Gianluca.

In copertina: Emanuela Perenzin Foto di Beatrice Mancini

Ci avviciniamo alla Pasqua con queste proposte e con la voglia di farvi sperimentare ancora un volta il contatto con una gastronomia di livello, cercando di essere sempre all’altezza delle vostre attese.

Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 - Godega di Sant’Urbano TV

Buona Pasqua!

Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Alessandro De Conto


SOMMARIO MARZO | APRILE 2021

Viaggio fuori porta

PERENZIN LATTERIA 1898 04

Intervista doppia COPPA vs OSSOCOLLO 08 Dietro le quinte

CHE FINE FANNO I PRODOTTI IN SCADENZA 10

Il momento migliore per

IL CARCIOFO VIOLETTO

Il mondo a tavola

LE CUCINE MEDITERRANEE

14

Novità a catalogo

AZIENDA AGRICOLA STUTZ

16

Novità a catalogo

NEUHAUS HOF 18

12

Abbinamenti a quattro mani IL SALUME ILLEGALE

20

Economia al forno

22

PANCIOTTO X 3

L’Italia è servita

RISOTTO ALLA MILANESE

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Il prodotto dimenticato

IL FORMAGGIO TIPICO BRANZI

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Lacucinadiqb

AGRETTI O BARBA DI FRATE

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viaggio fuori porta

PERENZIN LATTERIA 1898 Alessandro De Conto laureato in Ingegneria e appassionato di formaggi, è il Responsabile Commerciale di Valsana

SAN PIETRO IN CERA D’API Formaggio a latte vaccino ricoperto dalla cera delle api, come si usava nei tempi passati per conservare l’umidità del prodotto durante la stagionatura, che dura almeno 7/8 mesi. Al palato è dolce, con piacevoli note di miele più o meno spiccate e un leggero sentore di vaniglia cod 30339 | peso 2,5 kg

Vi raccontiamo l’incontro con Emanuela Perenzin e i suoi figli, Erika e Matteo, per programmare la presentazione del nuovo formato del San Pietro in Cera d’Api e degli ubriachi 4 minuti di lettura

Questo articolo si doveva scrivere grosso modo un anno fa, eravamo pronti a raccontarvi una visita della rete vendita da Perenzin Latteria già da tempo programmata a marzo 2020, ma purtroppo i piani son stati sparigliati e son certo non serva spiegare il perchè. Ma noi ci riproviamo ora con un taglio diverso: vi racconterà una visita ”in piccolo” fatta insieme a Martina e alla nostra fotografa Beatrice, e che speriamo sia foriera di una prossima visita con tutta la nostra forza vendita, non vediamo l’ora. Abbiamo due obiettivi, fare una chiacchierata con Emanuela e i suoi figli, Erika e Matteo, e fare le foto per la copertina e il reportage dell’incontro.

biologica e poi il mondo dei formaggi caprini, a quel tempo pressochè sconosciuti in Italia. Non possiamo certo dire non siano stati pionieristici osservando ciò che è successo negli anni successivi: boom di formaggi caprini, boom di prodotti biologici. Non ne parleremo qui molto, ma di gran successo è la loro gamma di caprini freschi bio “Capre felici”: robiola, primo sale, ricotta e caciottina. E pure la qualità di ciò che producono è di spessore, i riconoscimenti arrivano, i premi pure e la bacheca si arricchisce.

vo d’orgoglio che ancora oggi campeggia nella bacheca di famiglia. Ma non è il solo, perchè poi la storia l’ha fatta Emanuela in prima persona, insieme all’ex-marito Carlo, approdando in azienda a metà anni ‘80 e subito iniziando a investigare prima il mondo della produzione

Ci apprestiamo a iniziare la visita dell’azienda, scendiamo nel piano interrato per scale costeggiate da quella bacheca di premi, cimeli e vecchi strumenti di lavoro a cui accennavo prima, un benvenuto di tutto rispetto che ben dispone l’ospite alla visita che si accinge a fare.

Oggi ci sono i due figli a coadiuvare Emanuela: Matteo, che si occupa dell’organizzazione del caseificio e delle stagionature ed Erika che Rallento un attimo, forse segue il marketing, la Perenzin, latteria e 1898 non tutti conoscete Emabottega e il cheesebar. nuela, nonostante sia un sono cuciti insieme da un La quinta generazione volto noto del panorama che cammina. Quando filo rosso che si chiama caseario veneto e nazioarriviamo ci dicono che passione. nale. L’avete vista in coEmanuela è al “trucco e pertina certo, ma merita parrucco”, passaggio obUna storia che si dipana una parola in più. Lei è bligato quando si tratta una Perenzin di quarta da oltre 120 anni e ben di esser protagonista generazione; ve l’avevo di una copertina. Ma si racconta uno spaccato di anticipato che in questo tratta di qualche minuto artigianato caseario veneto. produttore c’è parecchia che passa in fretta, eccostoria. la che arriva! Ci beviamo un caffè tutti insieme, Il bisnonno di Emanuela, qualche chiacchiera sul Domenico Perenzin, fonda la latteria nel 1898 momento di mercato e immediatamente ritroinsieme ai figli, tra cui Angelo, che porterà nel viamo la passione per il mondo del formaggio 1933 la latteria a vincere un prestigioso premio che da sempre la contraddistingue. internazionale di settore a Bruxelles. Un moti-

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Son scale che ho sceso diverse volte, accompagnando clienti internazionali e conosco “l’effetto che fa”. Si respira l’importanza delle radici in questa famiglia e si prende atto del livello delle loro produzioni. Entriamo in cella stagionature, un po’ scarica, essendo dicembre e gennaio i mesi in cui si lavora pochissimo latte di capra. Ci guardiamo intorno e capiamo subito che sarà comunque qui che scatteremo la foto di copertina. Vediamo le caciottone ricoperte da muffe buone che stan facendo il loro lavoro, le forme di Montasio Dop e San Pietro. Scambiamo due chiacchiere sulla progressiva riduzione di formato iniziata ormai un anno fa su diversi prodotti, le forme da 6 kg circa vengono sostituite in toto da forme di più facile gestione da 2,5 kg circa. Questo è stato fatto sia per efficientare la produzione in caseificio, sia per alleggerire il lavoro di manutenzione del prodotto in cella, più semplice da rivoltare e indubbiamente più rapido da portare a matu-

razione ottima. Forme più piccole ruotano anche più velocemente a banco, in negozio. Certo, dobbiam essere consapevoli che la dimensione della forma incide sull’evoluzione del profilo aromatico del prodotto, in questa fase il formaggio da 2 kg tende a essere un bel po’ più giovane delle ultime forme grandi di Cera d’Api e Capra al Traminer in particolare, soprattutto perchè gli ultimi lotti di forme da 6 kg erano delle riserve messe da parte per noi che avevano stagionature eccezionalmente lunghe. Ora che siamo da poco partiti con il Capra al Traminer piccolo e che iniziamo in occasione di questa uscita con la vendita del Cera d’Api di ugual forma, abbiamo una discontinuità di stagionatura e quindi primariamente emergono maggior burrosità del prodotto, maggior dolcezza e presenza di note fruttate delicate, soprattutto per l’affinato al Traminer. Si tratta di una discontinuità che accettiamo di buon grado, trattandosi di produzioni artigianali, dove la VALSANA | 05

Emanuela Perenzin è uno dei produttori storici di Valsana. Vulcanica, ironica, piena di energia, gestisce la latteria con i figli Erika e Matteo, quinta generazione di una famiglia che, da oltre un secolo, sta scrivendo la storia casearia del nostro territorio


scarsità della materia prima è legata anche al rispetto del ciclo di lattazione delle capre. Mi pare di rivedere il percorso fatto 13/14 mesi fa con le prime forme di Bufala al Glera quando, dopo i primi lotti meno stagionati, il prodotto è arrivato alla maturazione ottimale nel giro di un paio di mesi.

FORMAIO CIOCK Formaggio tipicamente veneto, affinato con vinaccia di Merlot o Cabernet e vino. Dopo una stagionatura di 3 mesi viene immerso in vinaccia e vino, lasciato asciugare e quindi confezionato sottovuoto. Dolce e molto profumato, regala piacevoli note di frutti maturi cod 30335 | peso 2,5 kg

Altra strada invece per il Cera d’Api, formaggio vaccino di almeno 7/8 mesi che viene ricoperto dalla cera delle api come si usava nei tempi passati per conservare l’umidità del prodotto e permettergli di viaggiare intatto per lungo tempo.

Ma ancora per un attimo ritorniamo in cella, Obiettivi del progetto di Le ubriacature vengono Emanuela e Beatrice riduzione del formato, fatte in azienda e sehan trovato il set coriniziato un anno: le forme da guono un rigido rispetretto, scattano un bel centinaio di foto, e proto della stagionatura 6 kg vengono sostituite da di base del prodotto seguiamo la visita tra caciotte da 2,5 kg circa, cella di stoccaggio degli (almeno 3 mesi), un’immersione in vinaccia affinati, dove riposano di più facile gestione calda e vino (Glera, i formaggi sottovuoto, continuando a maturare Traminer, Cabernet e e a prendere il sapore Merlot, a seconda dei casi) e poi un’importantissima asciugatura di degli ingredienti caratterizzanti. Qui la sosta qualche giorno prima del confezionamento sot- è breve, non ci sono situazioni “fotogeniche”. Le ritroviamo invece in caseificio, seppur fermo, tovuoto.

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perchè è ormai pomeriggio inoltrato; offre una bella dose di suggestione, la dimensione è contenuta, ma l’organizzazione e la disposizione delle caldaie e dei banchi aspersoi è ben fatta, il quadro perfetto per una bella foto di famiglia.

CAPRA AL TRAMINER Formaggio prodotto con latte caprino pastorizzato di origine veneta e affinato con vinaccia da uve Traminer e vino. Dolce, al palato presenta leggere note caprine e un piacevole contributo fruttato legato all’affinamento cod 30338 | peso 2,5 kg

La giornata è piovosa, i colori grigi, ma la voglia di fare qualche chiacchiera non ci manca e quindi condividiamo con Emanuela, Matteo ed Erika la programmazione che precederà l’uscita di questo numero, assaggiamo insieme qualche formaggio inedito. Erika ci racconta le evoluzioni social che stan portando avanti, mentre con Matteo si parla di stagionature, di mille mestieri da concludere, mentre Emanuela ascolta e osserva la quinta generazione che sta imparando a gestire l’impresa. E’ bello esser presenti in questi momenti, è stato altrettanto bello ritornar in visita alla Latteria Perenzin ancora una volta. Si può fare un bel viaggio anche a soli 11 km da casa.

Reportage fotografico di Beatrice Mancini

BUFALA AL GLERA Prodotta con latte bufalino pastorizzato di provenienza veneta e friulana, affinata con vinacce da uve Glera e vino. Ha un gusto dolce, rotondo, fruttato, con note di panna e con aromi di vinaccia; il retrogusto è lungo, con aromi di uva e accenni di cantina, legno e di grappa vicino alla crosta cod 30334 | peso 2,5 kg

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intervista doppia

Giulia Basso giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017

Alessandro Grossetti

Cesare De Stefani

COPPA vs OSSOCOLLO Ossocollo trevigiano o Coppa piacentina? La differenza non è soltanto una questione di nomi 3 minuti di lettura ricetta di famiglia

Tra coppa, pancetta e salame Piacenza è l’unica provincia europea ad avere ben tre salumi certificati Dop. Fra questi la Coppa piacentina è il taglio più pregiato, la “regina dei salumi”, parte di una tradizione che il salumificio Grossetti, con sede in Val Tidone, la più occidentale delle valli piacentine, porta avanti fin dal lontanissimo 1875. “Questa è una terra prevalentemente agricola, dove l’allevamento del maiale era la quotidianità in ogni famiglia racconta Alessandro, figlio di Antonio e parte della quinta generazione di norcini di casa Grossetti -. In quest’area i salumi furono prodotti fin dal tempo dei romani, perché qui passava la via del Sale, che collegava il mare alla pianura Padana. Grazie a questo conservante lo sviluppo dell’arte della norcineria avvenne naturalmente”. I Grossetti iniziarono con una salumeria, in cui proponevano gli insaccati tipici della zona. Quindi Antonio e suo padre negli anni ’70 inaugurarono un vero e proprio salumificio, nel 2000 entrò in società anche il nipote di Antonio e nel 2010 toccò al figlio Alessandro: “Siamo fieri di portare avanti una tradizione così longeva, che tentiamo di preservare al massimo, a partire tradizione antica 5 generazioni dalla qualità della materia prima e dall’attenzione al processo di PIACENZA coppa 1875 lavorazione”, spiega Alessandro. 500 coppe/settimana

Alessandro Grossetti Val Tidone DOP

Oggi l’azienda produce circa 450500 pezzi di Coppa piacentina a settimana: il microclima della Val Tidone è da sempre il miglior alleato per una perfetta stagionatura. VALSANA | 08

1958

ossocollo TREVISO Tutto è nato da una piccola 600 ossocolli/settimana macelleria di paese, Cesare De Stefani a Valdobbiadene, Valdobbiadene Pedemontana terra di prevalente produzione vinicola, dove dominano le cantine. Ad aprirla, nel 1958, è stato Giuseppe De Stefani, che dopo aver avviato l’attività ha coinvolto nel lavoro anche i propri figli: “Da piccolo ho iniziato seguendo le orme di mio padre - racconta Cesare, che con il fratello Giacomo oggi dirige l’azienda - poi negli anni ’80 ho cominciato a sognare in grande. La mia famiglia produceva pochi insaccati per il proprio negozio, ma io immaginavo una piccola impresa. E’ stata una scommessa vincente, perché oggi la nostra azienda è diventata sinonimo di alta qualità in tutt’Italia, anche grazie all’incontro con Valsana: ricordo ancora quando portai loro i primi salami da assaggiare, ero molto giovane e siamo praticamente cresciuti insieme”. La coppa, che in veneto è chiamata Ossocollo, insieme alla soppressa è uno dei prodotti più celebri della Pedemontana e, nel caso del salumificio De Stefani, è frutto di una ricetta antica: “Fu mio zio a svelarmi la sua ricetta per l’Ossocollo, quando non avevo ancora vent’anni. Ricordo come oggi la scena: ero seduto in cucina e lui mi regalò questo suo segreto, illustrandomi nel dettaglio gli ingredienti da utilizzare, la modalità d’uso delle spezie e il metodo di lavorazione delle carni”. Oggi il salumificio De Stefani produce circa 5-600 pezzi di Ossocollo a settimana: il lavoro è ancora molto manuale e la ricetta è sempre quella di un tempo.


“Abbiamo intervistato Alessandro Grossetti e Cesare De Stefani, per capire le differenze tra i loro due prodotti”

COPPA PIACENTINA DOP

OSSOCOLLO · COPPA STAGIONATA

cod 78240 - peso 1,7 kg

cod 80315 - peso 2 kg

1) Nome del prodotto?

Coppa Piacentina Dop.

Ossocollo, che ne connota il luogo di produzione.

2) Origine della materia prima?

Carni 100% italiane, che provengono da allevamenti di Emilia Romagna e Lombardia.

Carni fresche di macellazione di suini allevati tra Veneto, Emilia Romagna e Lombardia.

3) Quali tagli anatomici utilizzate?

I muscoli laterali del collo del maiale, tagliati Le due parti laterali del collo del maiale alla quarta vertebra. tagliato alla terza o quarta vertebra.

4) Come avviene la salatura?

Saliamo a secco e per due volte, con un massaggio delle carni perché il sale penetri all’interno e facendo passare una settimana tra una salatura e l’altra.

5) Quali spezie utilizzate per la concia?

Sale, pepe, cannella, chiodi di garofano, un Sale di Cervia, pepe Tellicherry extra bold, po’ di noce moscata e alloro. cannella, chiodi di garofano, rosmarino, alloro e anche un po’ di Marsala.

6) Che tipo di budello?

Pelle di sugna di suino.

7) Quale è la stagionatura ideale?

Per la coppa piacentina Dop il disciplinare Dura almeno cinque mesi, in un ambiente prevede almeno sei mesi di stagionatura. con un’umidità che oscilli dal 70 al 90%.

8) Perché è diversa dalle altre?

E’ una delle coppe più dolci che si trovano sul territorio italiano: grazie al nostro microclima e alla lenta stagionatura non abbiamo bisogno di aggredire le carni con molto sale.

9) Consigli per la conservazione?

Intera sta bene appesa in cantina, in Anche da aperta consiglio di conservarla a ambiente fresco ma umido. Se sottovuoto temperatura ambiente. L’importante è che meglio tenerla in frigo, se aperta conviene ci sia la giusta umidità. avvolgerla in una pellicola o un canovaccio umido, in modo da non far seccare il prodotto.

10) Come va mangiata?

In un panino o come antipasto in un tagliere E’ speciale in un panino del tipo tartaruga o di affettati. in un tagliere d’affettati. Ma se ne possono anche avvolgere alcune fette attorno a una bistecca di carne bianca e cucinarla: diventa più sapida e croccante.

11) Quale vino in abbinamento?

E’ tradizione accompagnarla con un rosso Sceglierei un prosecco col fondo, a frizzante come il Gutturnio piacentino, che fermentazione naturale: ha una sua dà freschezza e sgrassa la bocca. mineralità e bollicine sottili e poco invasive. Ma ci sta bene anche un merlot.

Dura circa 10-12 giorni. Ogni due giorni le carni vengono massaggiate a mano, così che il muscolo si rilasci e riceva al meglio sale, aromi e spezie.

La bombeana, che è l’intestino cieco del bovino.

Per le spezie e il vino impiegato per la concia e per il budello usato per l’insacco, che conferisce aromatizzazioni e tipizzazioni differenti al salume.


dietro le quinte

CHE FINE FANNO I PRODOTTI IN SCADENZA Martina Iseppon laureata in Economia e Commercio a Venezia e Responsabile Marketing in Valsana dal 2003

Tre strategie per dare nuova vita ai prodotti in scadenza ed evitare di sprecare il cibo 3 minuti di lettura

Raccolgo l'assist dell'articolo di Giulia del numero precedente, dedicato allo spreco alimentare, per raccontarvi quali azioni abbiamo messo in campo finora in Valsana. Obiettivo: cercare di ridurre al minimo i prodotti eliminati perchè non più idonei alla vendita, ad esempio perchè a fine vita o perchè il packaging è danneggiato.

120 referenze a catalogo con vita < 2 settimane

300 prodotti consegnati ogni anno al Convento

20 pasti giornalieri serviti alla mensa dei poveri

Parto da una premessa. Per il tipo di lavoro che facciamo è inevitabile che una percentuale di referenze arrivi invenduta a fine vita, per tre motivi principali: 1) numero di prodotti: con circa 2500 referenze movimentate, una percentuale di errori di previsione negli ordini e nella gestione delle scorte va messa in conto; 2) tipologia di prodotti, che possiamo definire per la maggior parte "freschi": sono circa 500 le referenze con una shelflife inferiore a 30 giorni, di cui 120 i prodotti con meno di due settimane di vita all'arrivo presso il nostro magazzino; 3) dinamicità dell'assortimento: inseriamo ogni mese dei nuovi prodotti, in media 200-250 nuove referenze all'anno (negli ultimi 3 anni) e ogni volta è una scommessa; per prevedere esattamente le vendite servirebbe la sfera di cristallo, più che un software di previsione delle vendite, che comunque utilizziamo. Aggiungiamo che, nel 2020 così come nei primi mesi di quest'anno, l'incertezza su chiusura e riapertura delle attività commerciali non ha certamento aiutato a migliorare le previsioni. Partendo quindi dalla considerazione che, per il nostro lavoro, una percentuale di invenduto è fisiologica, in questi anni abbiamo tentato di mettere in atto delle strategie per cercare di gestire i prodotti che arrivano a fine vita, per evitare di buttare via il cibo. Sicuramente perchè, come ci siamo già detti, lo spreco alimentare per un'azienda è innanzitutto una perdita economica, ma anche perchè buttare VALSANA | 10

il cibo è mancare di rispetto a chi lo ha prodotto, e soprattutto a chi cibo non ne ha.

☛ 1

LE SVENDITE

Quello che abbiamo fatto è cercare innanzitutto di intercettare i prodotti che si avvicinano alla fine della loro vita, identificando per ciascuna referenza qual è la scadenza oltre la quale non può più essere gestita secondo le normali logiche di vendita. I prodotti a scadenza corta, così come quelli danneggiati o non perfetti per forma o stagionatura vengono innanzitutto separati fisicamente da quelli regolarmente prelevabili con una buona shelflife, in modo da evitare errori nelle spedizioni e riuscire a gestirli tramite una corsia di vendita separata. E' un meccanismo che stiamo ancora cercando di affinare, per gestire in modo differenziato diverse qualità di prodotto ma soprattutto per gestire in modo tempestivo i prodotti man mano che si avvicinano alla scadenza.

☛ 2

IL CONVENTO DEI FRATI CAPPUCCINI

Al di sotto di una prestabilita vita minima i prodotti non sono più considerati idonei alla vendita, nemmeno con un taglio prezzo. Il nostro Responsabile di Produzione Roberto Armellin, a cadenza regolare, verifica la lista dei prodotti a scadenza corta, che vengono prelevati dal magazzino e donati al Convento dei Frati Cappuccini di Conegliano (TV), che dal 2008 gestisce la mensa dei poveri. Ormai da diversi anni Frate Paolo - e prima di lui Frate Lorenzo - viene da noi in azienda un paio di volte alla settimana a ritirare i prodotti in scadenza. Nella top ten dei prodotti che più di frequente finiscono alla mensa dei poveri troviamo ovviamente i freschissimi - ricotte, mozzarelle e stracchini - ma anche qualche formaggio francese, soprattutto a inizio anno.


Siamo stati in visita al Convento del Frati Cappuccini, per capire come funziona la mensa e come vengono utilizzati i prodotti. Nel convento si respira la pace, il chiostro interno è luminoso e il giardino curato. Ci vivono 27 frati francescani, di cui alcuni molto anziani. "Aiutare i poveri è da sempre uno degli obiettivi dell'ordine francescano - ci racconta Frate Paolo - ma qui a Conegliano è stato Frate Zaccaria a fondare la mensa nel 2008". Lo incontro alla portineria, ma preferisce non farsi fotografare; mi racconta però la sua storia e come è nata la mensa dei poveri, prima in una piccola sala che poteva accogliere solo poche persone, poi ampliata. Oggi la distribuzione dei pasti è gestita per asporto, nel rispetto della normativa di prevenzione del Covid-19. La cucina è professionale e la cuoca direttamente assunta dal Convento; ai volontari è invece affidata la distribuzione dei pasti, che avviene da una finestra, in modo da ridurre le occasioni di contatto. Al mattino vengono preparati dei sacchetti monoporzione contenenti pane, frutta e altri prodotti stagionali che vengono donati alla mensa - in questi giorni, ad esempio, panettoni - a cui viene aggiunto un piatto caldo con un primo, un contorno e, spesso dei formaggi, che magari possono essere conservati anche per la cena. Il pranzo viene distribuito dalle 11.00 alle 11.30, in media sono una ventina le persone che accedono ogni giorno alla mensa, tutte persone del luogo mi dice Frate Paolo, con un aumento degli anziani in quest'ultimo anno.

☛ 3

IL "FORTUNATO" DELLA SETTIMANA

Ma torniamo a noi. Esiste una disciplina rigorosa anche per le donazioni alle onlus e agli enti di beneficienza, sia dal punto di vista fiscale che sanitario, per quanto riguarda gli articoli che non sono più idonei alla commercializzazione. Ad esempio i prodotti devono avere almeno un giorno di vita, anche se l'indicazione in etichetta è "da consumarsi preferibilmente entro il". Tutti i prodotti che non possono essere consegnati, in base a quanto stabilito dalla normativa, al Convento dei Frati Cappuccini vengono destinati, a turno, a uno dei nostri collaboratori. Abbiamo predisposto un elenco di tutto il nostro personale ed è stata identificata una persona per ciascuna settimana dell'anno, a cui vengono consegnati tutti i prodotti a fine vita residui: lo abbiamo ribattezzato "il fortunato della settimana". A seconda delle quantità e della tipologia di prodotti, ci sono state settimane in cui i prodotti a fine vita sono stati condivisi con tutti i colleghi, e qualche volta utilizzati anche per fare un aperitivo assieme. Sicuramente abbiamo ancora tanto da fare per cercare di ridurre gli sprechi all'interno della nostra azienda, ma abbiamo iniziato un percorso con l'obiettivo di trasformare lo spreco in un'occasione di solidarietà, ma anche in un'opportunità di condivisione tra colleghi.

Frate Paolo un paio di volte la settimana viene in azienda da noi a ritirare i prodotti per il Convento dei Frati Cappuccini di Conegliano. E' Roberto Armellin, nostro Responsabile di Produzione, a stabilire quali prodotti non sono più idonei alla vendita.


il momento migliore per...

IL CARCIOFO VIOLETTO La sua coltivazione inizia a settembre per raggiungere il massimo vigore quasi sette mesi dopo, a metà marzo: è ora il momento migliore per il carciofo!

Giorgia Barbaresco laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine, è Responsabile Qualità in Valsana dal 2007

3 minuti di lettura

inizio settembre

messa a dimora dei bulbi

metà novembre

nascono le prime piante

Eccoci ormai pronti per il solstizio di primavera, periodo nel quale sentiamo quella voglia di rinnovo, le giornate si allungano, il sole comincia a riscaldarci e la nostra alimentazione cambia. Lentamente abbandoniamo i piatti più saporiti e caldi dei mesi invernali per sostituirli con pietanze più leggere. Ricordo con nostalgia quando con la nonna andavamo a raccogliere i germogli spontanei che poi al rientro venivano immediatamente puliti e utilizzati per risotti, frittate o insalate. Stare all’aperto e respirare la natura oggi non è più così scontato, ci viene proposto uno stile di vita che potrebbe farci perdere il vero piacere, il gusto delle e per le cose che facciamo, conformandoci alla standardizzazione.

IL MOMENTO E’ ORA La proposta per questo numero è il carciofo sott’olio de “i Contadini” che in questi mesi viene raccolto, rigorosamente a mano.

metà febbraio

spuntano i primi capolini

metà marzo raccolta aprile

QUANTO TEMPO? Sono necessari sette mesi di coltivazione per raccogliere dai 12 ai 15 capolini per ogni pianta.

PRODUTTORE Siamo in Puglia, in Salento, a Ugento. Edoardo, Emanuele e Gianna, sono i tre fratelli Trentin che producono un’ampia gamma di verdure in olio, forti di una tradizione ben radicata nel territorio. Hanno nel sangue l’amore per la terra, si alzano quando è ancora buio, rispettano i tempi della natura, le stagioni e non perdono mai il sorriso, elemento essenziale quasi come l’acqua. Per questo tutte le verdure messe sott’olio sono coltivate da loro e quando Edoardo ne parla gli brillano gli occhi. E noi anche di questo ci nutriamo. COLTIVAZIONE La storia del Carciofo Violetto inizia i primi giorni di settembre, quando si

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entra in un campo “vecchio” e si comincia a dissotterrare i bulbi (ovuli) per trasferirli in un nuovo terreno. Il carciofo è una pianta perenne e ogni anno vengono messe a dimora le vecchie piante per realizzare la carciofaia perché i Trentin utilizzano solo i propri bulbi, senza fare ricorso ad altre varietà ibride disponibili sul mercato. Quando le temperature sono elevate la pianta entra in fase di dormienza, per resistere a estati torride e siccitose, ma poi si risveglia se riceve l’acqua. Estirpati gli ovuli dal terreno vecchio viene preparato il nuovo con un’aratura piuttosto profonda, fresatura, alla quale segue un’abbondante concimazione di fondo a base di stallatico perché il carciofo è goloso di azoto. Ovviamente per accogliere gli ovuli il terreno dev’essere prima bagnato, ma poi per dare alle piante l’acqua necessaria senza sprechi (visto che in Puglia non è neanche abbondante) Edoardo ha installato un impianto a microgoccia israeliano che eroga 1,6 L all’ora per pianta, dosandola perfettamente in base alle necessità condizionate dal clima. Gli ovuli vengono piantati almeno a un metro e mezzo di distanza (normalmente nelle coltivazioni più intensive la distanza è un metro o anche meno) per permettere una buona areazione alla futura pianta e tenerla asciutta in modo naturale così da ridurre al minimo i trattamenti fitosanitari. Così facendo però, per ogni ettaro, Edoardo rinuncia a qualche migliaio di piante. A metà ottobre iniziano a spuntare le piantine e a febbraio cominciano a svilupparsi i capolini che verranno poi raccolti dalla metà di marzo quando la pianta sarà nel pieno del vigore.


CARCIOFI CON GAMBO ALLA CRUDAIOLA cod 93796 | 1,6 kg | 22/24 carciofi cod 93809 | 520 g | 6/7 carciofi

intensità: prezzo: €

RACCOLTA Una pianta genera da 12 a 15 capolini, i primi 5 hanno il gambo migliore e sono destinati alla produzione dei “carciofi con gambo”, poi verranno raccolti quelli utilizzati per i “carciofi alla crudaiola” soprattutto quelli confezionati nei vasi da 1,6 kg, quindi saranno raccolti i più piccoli, destinati alla produzione dei “carciofini”, “carciofi candini”, e infine i “diamantino”, i più pregiati perché sono disponibili in minore quantità e sono i più delicati sia per la fragilità sia per il sapore.

CONSERVAZIONE Durante il periodo di conservazione i carciofi de i Contadini, proprio grazie alla tecnologia messa a punto, non perdono in croccantezza, anzi col passare del tempo il sapore diventa sempre più armonioso per il continuo scambio che avviene con l’olio extra vergine d’oliva. E proprio l’olio extra vergine d’oliva è il progetto del futuro per i fratelli Trentin, che sognano di essere i produttori di tutto ciò che è contenuto nei loro vasetti, a quel punto quindi la filiera sarà completa.

Tutto il processo, dalla raccolta, alla mondatura fino all’invasettamento, viene rigorosamente fatto a mano, questo per dedicare la massima attenzione e cura al carciofo che deve essere trattato con rispetto per la sua delicatezza.

Il 90% dei carciofi in commercio è di origine egiziana e tunisina, semilavorati immersi in una salamoia satura dove rimangono per 5/6 mesi, vengono poi invasettati e distribuiti. E’ ovvio quindi che con un trattamento di questo tipo il carciofo fatichi a mantenere gusto e consistenza originari.

LAVORAZIONE Appena raccolti, i carciofi vengono puliti, tolte le foglie più esterne e immersi in una concia con aceto, sale e succo di limone. Vi rimangono fino a quando i parametri (in particolare pH e salinità) garantiscono la stabilità e la salubrità del prodotto, la concia deve essere chiara ed è necessaria affinché vengano garantiti la croccantezza e il colore, il carciofo infatti tende a ossidare rapidamente e la lavorazione dev’essere costantemente sotto controllo. Quando i carciofi sono “maturi” vengono posti nei vasi che successivamente sono riempiti con olio extravergine di oliva e pastorizzati. In questa fase il controllo è essenziale per evitare di stressare il prodotto più del necessario, garantendone al tempo stesso la sicurezza. A due settimane dal confezionamento inizia la distribuzione.

Edoardo è molto legato alla stagionalità dei prodotti, conosce bene il suo mestiere e le esigenze delle piante: una pianta di pomodoro ha bisogno di sole e giornate lunghe, le puntarelle invece hanno bisogno di freddo, giornate corte e di assorbire lentamente i nutrienti per diventare belle carnose. Se questo non viene rispettato si potranno sì ottenere ortaggi tutto l’anno ma rinunciando al gusto. Lui dice: “a gennaio è meglio un pomodoro essiccato al sole raccolto nel mese di luglio che uno fresco acquistato nel vassoietto”. Ogni pianta ha la sua stagionalità e solo così può dare il meglio. Questa filosofia ci piace molto e restituisce un senso alle “conserve” che ci offrono la possibilità di assaporare tutto l’anno il meglio, coltivato e raccolto al momento giusto!

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CARCIOFI ALLA CRUDAIOLA cod 93942 | 1,6 kg | 32/34 carciofi cod 93799 | 230 g | 8 carciofi

intensità: prezzo: €€

CARCIOFI CANDINI ALLA CRUDAIOLA cod 93903 | 230 g | 22 carciofi

intensità: prezzo: €€€

CARCIOFI CANDINI EXTRA ALLA CRUDAIOLA cod 93990 | 230 g | 32 carciofi

intensità: prezzo: €€€€


il mondo a tavola

LE CUCINE MEDITERRANEE Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com

La dieta Mediterranea è unica ed è stata inserita lo scorso anno nella lista dei Beni Immateriali dell’Umanità dall’UNESCO. Ma se parliamo di cucina mediterranea, sarebbe più opportuno parlare al plurale. Vi spiego perché... 3 minuti di lettura

Inizia con questo primo articolo un lungo viaggio lungo le rive del Mare Nostrum alla scoperta delle diverse culture gastronomiche che caratterizzano il sesto “Continente Liquido”, come qualcuno l’ha ribattezzato. Negli anni in cui ho fatto parte del comitato scientifico della Rete Euro-Mediterranea del Conservatoire International des Cuisines Méditerranéennes ho avuto modo di approfondire la conoscenza delle diverse espressioni di questo immenso patrimonio. Viaggiando dai Paesi dell’Occidente cristiano, come la Francia e la Spagna, dei quali parleremo di seguito, a quelli del Maghreb, fino all’area turco balcanica, passando per il Medio Oriente, salta subito all’occhio come l’Islam e l’ebraismo, abbiano partorito nei secoli tradizioni culinarie assai diverse. NEI LIBRI DI CUCINA Prendendo in esame il concetto di cucina mediterranea a partire dai ricettari e libri di cucina che sono stati scritti

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dai Paesi che si affacciano sulle sue rive prendiamo atto che nella gran maggioranza dei casi ciascuno l’ha descritto partendo dal proprio punto di vista. Per gli italiani la cucina mediterranea è quella delle diverse regioni che la compongono e delle sue isole, così come per gli spagnoli e i francesi. Curiosamente per avere una visione meno campanilista e più pluralista del concetto di cucina mediterranea bisognerà sfogliare i volumi che a questo argomento ha dedicato il mondo anglosassone, che più di ogni altro è riuscito a cogliere una visione d’insieme. IL RUOLO DELLE RELIGIONI Le tre religioni monoteiste che caratterizzano le culture mediterranee con le diverse precettistiche alimentari, ovvero con quell’insieme di prescrizioni e divieti, ha contribuito a differenziare i menù e le abitudini della tavola. Basterà pensare al divieto di alimentarsi con la carne e con i prodotti derivati dal maiale, al divieto di consumare vino e bevande alcoliche, per capire una prima grande differenza. Dovremmo quindi pensare alla cucina mediterranea come a una lingua comune ai diversi Paesi, ma che si esprime localmente, con accenti e in dialetti diversi.


DALLA CUISINIERE CUISINE PIEDNOIRE

PROVENCALE

ALLA

Partendo idealmente dal confine di Ventimiglia, per percorrere le diverse cucine mediterranee in senso antiorario potremmo approfondire la conoscenza della cucina francese mediterranea a partire dal libro che ne ha colto e documentato l’essenza: La Cuisiniere Provençale dello chef de cuisine J.B. Reboul che nel 1897 aveva compilato i suo ricettario provenzale con 1120 ricette. Ben lontana da quella cucina continentale parigina di corte che si è fatta conoscere nel mondo, la cucina del midì francese ha saputo fare tesoro di molti piatti e sapori mediterranei che condivide ancora oggi con le regioni confinanti della Liguria e in parte del Piemonte. Basti pensare alla pissaladière o alla panisse, alla soupe au pistou o alla bagna caoda. Spostandosi da Nizza a Marsiglia, la presenza del porto e gli scambi commerciali con le colonie hanno segnato profondamente l’identità meticcia della sua cucina. Mentre l’occupazione del nord Africa ha avuto come conseguenza la nascita della cuisine pied-noire francomaghrebina, che ha generato un filone assai interessante di piatti fusion, dove le tradizioni francesi, italiane, spagnole ed ebraiche si sono intrecciate con quelle di Algeria e Tunisia. Il suo piatto bandiera? Sicuramente l’insalata fredda di couscous o taboulé.

DA LA TECA CATALANA ALLA COCINA ARABOANDALUSA Ancora oggi nel panorama delle grandi cucine spagnole se si parla di alta cucina, escludendo le espressioni delle tradizioni atlantiche di Pais Basco e Galizia e concentrandosi sul Mediterraneo, la cucina catalana la fa da padrona, specie dopo la nueva hola della rivoluzione technoemotional dello chef Ferran Adrià. Per le sue vicende storiche e per la sua vicinanza al confine con la Francia, con la quale ha molto scambiato nel corso dei secoli, la cucina catalana è considerata come la massima espressione della cucina mediterranea spagnola. Se volessimo citare un ricettario di cuina casolana, La Teca di Ignasi Domènech è sicuramente tra quelli più significativi, poiché oltre a documentare i piatti mar y moñtana che la caratterizzano, testimonia anche il riflesso della scoperta dell’America e degli ingredienti del Nuevo Mundo nella cucina mediterranea. Proseguendo il nostro viaggio verso sud non possiamo non sottolineare l’influenza della cucina arabo andalusa che ci ha lasciato in eredità tanti nomi di piatti e ingredienti di origine araba, l’uso generoso della frutta secca, del salé-sucrè in molte preparazioni e della frittura come tecnica di cottura preferita.

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novità a catalogo

AZ. AGR. STUTZ Alessandro De Conto laureato in Ingegneria e appassionato di formaggi, è il Responsabile Commerciale di Valsana

NOVITÀ

Un punto di riferimento nel mondo della Roccaverano DOP, vi presentiamo l’azienda agricola Stutz, sita a Mombaldone (AT), nelle Langhe astigiane 3 minuti di lettura

LA FAMIGLIA STUTZ Andrea Pfister e Simone Stutz lasciano la Svizzera nei primi anni ’90 e si insediano in Langa, a Mombaldone (AT). Portano con sé i due figli piccoli, hanno l’obiettivo di staccarsi dai ritmi della città, riprendere il contatto con la natura, allevare capre e produrre formaggio. E poiché i bimbi crescono, come sovente diciamo, oggi Jerome e Ramon gestiscono l’azienda agricola avviata dai genitori: l’Azienda Agricola Stutz. O meglio, la gestiscono ancora tutti insieme.

L’AZIENDA AGRICOLA La famiglia Stutz gestisce l’intera filiera produttiva, a partire dall’allevamento: circa 250 capre di razza Camosciata e pochi capi dell’autoctona Capra di Roccaverano pascolano libere sui prati di proprietà delle colline di Langa per 8 mesi all’anno, si cibano di erba, arbusti e foglie. D’inverno si cibano invece di fieno, arrivando così al tradizionale periodo di asciutta e ovviamente alle nuove nascite.

ROBIOLA DI ROCCAVERANO DOP FRESCA

ROBIOLA DI ROCCAVERANO DOP AFFINATA

All’arrivo il prodotto ha circa 7 giorni. Tra il formaggio e l’incarto viene posta una piccola carta assorbente per far sì che la carta rimanga asciutta. L’aspetto della pasta è bianco candido, non sono presenti pellami in superficie, la consistenza è quella di una cagliata in asciugatura. I sapori son quelli dello yogurt, della buccia di limone, dell’erba fresca. Il sale è ben misurato e non vi sono sentori sgradevoli di stalla o animale cod 30910 | peso 290 g circa

Si contraddistingue per un incarto ornato di rosso bordeaux, ha 17/18 giorni di asciugatura. La buccia inizia a esser evidente, è rugosa e ha riflessi rosati. Questo tratto si dice abbia storicamente dato il nome alla robiola, da latino “rubeus”: rosso. La pasta inizia a compattarsi, è bianca candida. A naso ritrovo note di latte, di erbe aromatiche, di mandorla. In bocca è elegante, solubile, persistente. Oltre alle note avvertite a naso regala dolcezza, una leggera sapidità e grande persistenza cod 30911 | peso 260 g circa

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Producono Robiola di Roccaverano Dop e altre robiole a latte di capra. Lo fanno esprimendo una qualità davvero notevole, che ci ha catturato al primo assaggio. LA LAVORAZIONE L’azienda lavora soltanto il latte del proprio gregge, rigorosamente a crudo. Dopo la mungitura serale al latte viene aggiunto il latte-innesto. Si lascia acidificare il tutto fino al mattino, quando viene aggiunto il

ROBIOLA NELLE FOGLIE DI FICO Robiola di capra a latte crudo affinata in foglie di fico per almeno 3 settimane. Il sapore è dolce, vegetale, con note di miele e latticello di fico cod 30912 | peso 260 g circa

ROBIOLA NELLE FOGLIE DI CASTAGNO Robiola di capra a latte crudo affinata in foglie di castagno per almeno 3 settimane. Il sapore è dolce, con note di bosco ed erba fresca cod 30913 | peso 260 g circa

latte della munta successiva. Si aggiunge infine pochissimo caglio di vitello e si lascia a riposo per altre 22/24 ore in modo che la coagulazione avvenga più naturalmente che forzatamente. Dopodiché si versa il tutto in recipienti cilindrici da due litri: un processo molto delicato perché la cagliata va rotta il meno possibile, e così lo spurgo del siero avviene più lentamente. Preservare l’integrità del coagulo è fondamentale per avere una Robiola di qualità. Altrettanto importante è la temperatura dell’ambiente in cui si lavora, deve aggirarsi sempre attorno ai 20°C. Dopo la salatura il formaggio è pronto per essere commercializzato, ci vogliono 5 giorni per avere una robiola fresca e 15 giorni per un prodotto affinato e appena appena abbucciato. IL PRESIDIO SLOW FOOD Nella stagione del pascolo, e quindi da marzo-aprile ad ottobre-novembre, la Robiola prodotta con solo latte di capra crudo diventa Presidio Slow Food, certificata dal bollino in etichetta. L’azienda agricola Stutz è uno dei pochi produttori ad aderire al disciplinare Slow Food della Robiola di Roccaverano. LE ROBIOLE AFFINATE Oltre alle Roccaverano Dop, Jerome - è lui che si occupa di produzione e aspetti commerciali - affina delle splendide robiole di capra in foglie di castagno oppure di fico per almeno 3 settimane. Il risultato è strabiliante, la crosta è rugosa, con un colorito paglierino e sfumature aranciate, al morso si presentano più compatte perché affinate, ma perfettamente scioglievoli. Per descrivere il sapore vi chiederei di immaginarvi sotto una pianta di fico o di noce in piena estate e ricordare di cosa profuma l’aria. Così dolci da poter essere un dessert, così stuzzicanti da poter impreziosire un antipasto o un risotto. Pazzesche! Oltre a queste produzioni fanno anche altro di intrigante, speriamo di potervelo magari raccontare nei prossimi mesi! Questo è il livello di qualità che ci piace raccontare, i produttori che vogliamo continuare a farvi conoscere e con i quali ci auguriamo di fare un bel pezzo di strada assieme.

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novità a catalogo

NEUHAUS HOF Alessandro De Conto laureato in Ingegneria e appassionato di formaggi, è il Responsabile Commerciale di Valsana

Il Maso La storia Il maso nasce tra il XII e il XIII secolo, è di fatto una fattoria dotata di stalla, fienile, piccolo locale per la produzione del formaggio, e la stube, locale o multilocale adibito a camera/soggiorno per i fattori e la loro famiglia; il maso è circondato da ampi prati, boschi e terreni agricoli che costituiscono un unicum in termini di proprietà. Il ruolo socio-economico È un’azienda agricola autosufficiente, sia per l’autoproduzione di cibo, sia per il sostentamento dei bovini o l’alimentazione della stube; in Alto Adige oggi sono censiti oltre 20.000 masi, la gran parte di questi sono “masi chiusi”, ovvero sono proprietà indivisibili, che non possono essere frammentate nei passaggi di generazione in generazione; questa regola secolare vuole proteggere il maso dall’impoverimento strutturale.

NOVITÀ

Avanti un altro... Maso! Aggiungiamo un tassello al nostro progetto di selezione legato alla cultura dei masi alto-atesini 3 minuti di lettura

Nell’ultimo anno abbiam iniziato a guardare con curiosità l’entità del maso, e ci è venuto in mente di dedicargli un progetto di approfondimento che possa crescere nel prossimo biennio. Oggi vi presentiamo la nostra ultima scoperta! LA FAMIGLIA WEITLANER Abbiam ormai imparato che dietro al maso c’è sempre una famiglia, che si tramanda l’intera proprietà di generazione in generazione, che mantiene il terreno di proprietà e attraverso di esso produce prodotti di vario tipo. Oggi vi raccontiamo la storia di Kristel e Lambert Weitlaner e del loro maso Neuhaus Hof ad Acereto (BZ). Il villaggio è sito a 1.350 metri di altitudine e si trova letteralmente sopra la più conosciuta Campo Tures. LA PRODUZIONE La famiglia Weitlaner produce formaggi vaccini a crosta lavata, rigorosamente a latte crudo. Formaggi che al primo assaggio ci han fatto ritrovare quei sapori schietti e sinceri dei piccoli formaggi di montagna:

dolcezza, burrosità, ma anche intensità e note di cantina umida. Li abbiamo conosciuti grazie a Karl Bernardi e abbiam deciso di far loro visita lo scorso agosto scoprendo un piccolo mondo antico. Fatto di ruralità, di spirito contadino, di pulizia e organizzazione. LA FILIERA Guardiamo la loro filiera e al principio troviamo i prati di proprietà, dove pascolano le loro 20 vacche di razza Pezzata Rossa e Pinzgau e da dove ottengono il fieno che servirà per alimentare i bovini nella stagione invernale. Son pascoli piuttosto ripidi da pascolare, perciò le vacche stanno al pascolo a giorni alterni anche durante l’estate. Al contempo riescono a fare due o tre tagli di fieno che stoccano poi nell’ essiccatoio posto sopra al piccolo caseificio. La struttura a “L” ospita tutto il necessario per la produzione e vendita in loco del formaggio: stalla, per altro da poco rinnovata, piccolo caseificio, cella di stagionatura e spaccio, oltre alla rimessa mezzi e all’essiccatoio.

Curiosità Da qualche anno i masi han fatto rete e costruito un proposta agrituristica di gran varietà, coordinata dal progetto Gallo Rosso; questo ha permesso di generare nuova fonte di sostentamento e rigenerare e manutenere le strutture e l’ambiente circostante. VALSANA | 18

Il vecchio maso dove è iniziata l’attività della famiglia Weitlaner


RUSTICO-URKAS Caciotta alto-atesina a crosta lavata, dall’occhiatura rada e ben distribuita. La pasta è dolce e fondente, burrosa, con una sapidità ben bilanciata cod 31610 | peso 600 g circa

BÄRLAUCHKÄSE Caciotta con aglio ursino, a pasta compatta, stagionata circa 4 settimane. Il gusto è erbaceo, con una piacevole nota di umami cod 31611 | peso 700 g circa

Lambert e Kristel ci raccontano la loro idea di formaggio. Lui dopo anni di lavoro come casaro della Latteria Tre Cime, ha deciso di rientrare a lavorare nel maso di famiglia e riprendere il contatto con un latte autoprodotto, di grandissima qualità e lavorato a crudo. Lei si occupa della vendita dei formaggi e della gestione della parte ricettiva del maso stesso. I FORMAGGI I formaggi che abbiamo scelto son tutti di piccola taglia, a pasta semicotta e a crosta lavata, il trattamento di lavaggio vien fatto con acqua e sale un paio di volte a settimana. Il resto lo fa una chicca di cantina di stagionatura e le tavole di legno dove riposa il formaggio. Ve li presentiamo in dettaglio di seguito. Rustico-Urkas: caciotta da 600 grammi circa, stagionata per almeno 4 settimane. La pasta è compatta, ma fondente. Sempre più cedevole con l’avanzare della stagionatura. La crosta ha il classico aspetto aranciato e liscio. In bocca è dolce, burrosa, con sapidità ben bilanciata. La caratterizzano note di pascolo floreale, burro cotto e cantina. A naso è piuttosto incisiva e coerente con ciò che ci ritroviamo al palato. Bärlauchkäse: normalmente siamo molto cauti con i formaggi aromatizzati, ma questo è davvero fatto bene, la presenza dell’aglio ursino è ben dosata e non spinge troppo. Si ottiene un formaggio stuzzicante che oltre alla dolcezza ha una evidente nota agliata ed erbacea. Lambert’s kase: toma da 900 grammi circa, con scalzo leggermente inferiore alle caciotte e diametro maggiore. Più delicata a naso e più sostenuta di pasta, raggiunge la stagionatura ideale quando ha almeno 8 settimane. Si ritrovano la burrosità e la piacevole dolcezza, abbinate a sentori più miti di cantina ed erba fresca.

LAMBERT’S KASE Piccola toma a latte crudo e crosta lavata, dalla pasta fondente, stagionata almeno 8 settimane. Al palato è dolce, con sentori di cantina ed erba fresca cod 31612 | peso 900 g circa

Son formaggi di facile rotazione vista la loro dimensione, ottimi sia per arricchire la scelta di formaggi a banco, ma anche per dare un tocco di montagna a un tagliere, a una fonduta o a una patata al cartoccio.

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abbinamenti a 4 mani

IL SALUME ILLEGALE La leggenda dice che se in Val Tramontina ti capita per mano una pecora o una capra intera, puoi trovare qualcuno nella zona che ti aiuti a lavorarne la carne, camuffarla e farla diventare un salume: parliamo della Pitina! 4 minuti di lettura

ti n e m a n i Abb piatto nel FARINA DI MAIS Può sembrare un abbinamento troppo classico, ma non si può parlare di Pitina senza menzionare la polenta. Qui proviamo a scavare un po’ di più e ragioniamo sulla farina di mais. L’abbinamento è naturale in quanto essa viene usata anche come ingrediente per la produzione della Pitina. La farina però non deve essere per forza resa polenta morbida. Può chiaramente essere fatta a fette e grigliata oppure allargando la lente geografica troviamo un’opzione più estiva come la tortilla spagnola. Ma può diventare anche una semplice focaccia al mais e rosmarino o una bellissima panella di mais. Sapevate che esiste anche la pizza di mais? A voi la scelta!

ti n e am n i b Ab calice nel

PITINA IGP DI CAPRA

COLLIO DOC FRIULANO Friuli Venezia Giulia Polpettina composta in prevalenza da carne di capra, con un aggiunta di lardo di suino, aromatizzata con sale, pepe, aglio, vino e erbe aromatiche. Esternamente è ricoperta da una crosta di farina di mais giallo che funge anche da budello. Dopo l’affumicatura naturale, stagiona per un minimo di 45 giorni.

Dalla Val Tramontina non è necessario fare tanta strada per trovare un abbinamento felice con la Pitina. Oltrepassando le prime note fruttate il vino regala sentori di fieno, erbe aromatiche e ortica che ben si sposeranno con i lievi sentori animali del salume. In bocca poi la spiccata sapidità data dalla concia della carne, sarà ben controbilanciata dalla morbidezza del vino. Solitamente questi vini sono alcolici e strutturati, ma comunque eleganti, che bontà!

Il gusto è deciso, mitigato dalla dolcezza del lardo di suino utilizzato assieme alla carne di capra, con aromi intensi di fumo ed erbe aromatiche. Un salume tipico friulano tutelato anche dal Presidio Slow Food, prodotto da La Tana delle Pitine nella Val Tramontina, in provincia di Pordenone. codice 80189 | peso 130 g circa

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Perché illegale? Beh insomma non siamo di certo puntigliosi noi, ma magari diversi anni fa se a un pastore mancava una pecora o una capra, il dubbio che fosse diventata polpetta nasceva! E non è che ci fosse un metodo sicuro per poter accusare il colpevole essendo la carne macinata piuttosto finemente. La Pitina fa sicuramente parte della tradizione Friulana, aldilà delle possibili origini a norma più o meno di legge, ed è un salume che ripaga il viaggio nella Val Tramontina a nord di Pordenone.

Matteo De Santi laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

BURRO E ACETO

BARBABIETOLA

PIOPPINI

Sì, funziona e anche bene. Un’accoppiata non usuale questa, ma se volete regalarvi qualche boccone gustoso di Pitina fate rosolare qualche fetta discretamente spessa in padella e a fine cottura aggiungete il burro freddo e l’aceto. Se ne avete, anche del brodo vegetale aiuterà. Una volta fatto restringere il sughetto, avrete la possibilità di servire delle belle fette di Pitina dove il gusto della capra è mitigato e impreziosito dal burro e dove l’aceto invece di inasprire esalta il tutto, strizzando l’occhio alle note affumicate.

Parlando di teoria degli umori, ovvero quella del caldo/freddo e secco/ umido, con questo abbinamento ci differenziamo dai precedenti spostandoci verso un profilo più freddo e umido. Nonostante questo ci porti a pensare a un ingrediente estivo, la barbabietola si posiziona in maniera leggermente diversa. Le sue note terrose e allo stesso tempo dolci la rendono una verdura interessante, ma spesso sottovalutata. Vedrete come le note zuccherine della barbabietola si abbineranno bene alla sapidità e al gusto un po’ animale della Pitina.

Rimaniamo in ambiente terroso e saltiamo nel mondo dei funghi fra i quali ho scelto il pioppino o chiodino, ma visto che sono toscano diciamo pioppini. Immaginatevi i più diversi modi di cucinarlo, con la Pitina farà sempre una bella coppia, di quelle che anche se litigano si chiedono scusa dopo cinque minuti. Il pioppino l’ho pensato cucinato molto semplicemente in padella, ma non troppo, con giusto un po’ di olio buono e prezzemolo, quindi adagiato ancora leggermente croccante su qualche fetta di Pitina precedentemente grigliata. Poi oh, se ci volete grattare sopra un po’ di formaggio stravecchio tipo Asiago o Montasio chi sono io per fermarvi?!

Non lasciatevi ingannare dalle ridotte dimensioni, la Pitina Igp di capra concentra in sé, allo stesso tempo, potenza ed eleganza, complessità aromatica e una consistenza divertente. In questa puntata dedicata agli abbinamenti avremo a che fare con un prodotto che ha tutte le sembianze di un minerale prezioso. Si sa, ogni favola che si rispetti ha il suo tesoro da scoprire.

Enrico De Conto laureato in Tecnologia Alimentare a Udine, è un grande appassionato di vini e sommelier FISAR, si occupa di Acquisti in Valsana

DOLCETTO D’ALBA DOC

SERRAPETRONA DOC

OLD FASHIONED

Piemonte

Marche

Cocktail

Il Dolcetto o dosset, come lo chiamano in Piemonte, è un vino pieno di sorprese. Molto spesso cresciuto all’ombra dei grandi nebbioli si presta molto bene all’abbinamento con salumi complessi e speziati. Il sorso è scorrevole, caratterizzato da tannini non troppo ruvidi. Dovessi citare due alimenti per “potenziale di convivialità” ecco, quelli sarebbero la Pitina di capra e il Dolcetto d’Alba. Attenzione: consiglio il magnum.

Siccome parliamo di tesori da scoprire, non possiamo non citare la Vernaccia nera. Un vino forse poco conosciuto, ma dal potenziale di abbinamento sconfinato. Il naso è inebriante, note di pepe bianco e nero dominano su uno sfondo di frutti rossi. Il sorso poi è scorrevole, con un tannino appena accennato e un’acidità che sembra fatta su misura per la grassezza della Pitina. Stupore assicurato!

Chi conosce l’Old Fashioned forse ci prenderà per pazzi, ma l’abbinamento con la Pitina è tanto strampalato quanto intrigante. Il cocktail gioca su note affumicate, erbacee e agrumate, e su di una morbidezza di bocca capace di smorzare la sapidità della Pitina. Attenzione, una volta provato l’abbinamento non potrete farne a meno, Old Fashioned e Pitina is the new Sauternes e Foie gras!

ALTRO IN CANTINA?

Magari bere i vini citati qui sopra non vi va e quindi scenderete gli scalini della cantina cercando di pensare a un’alternativa. Io vi suggerirei comunque di ricercare dei vini bianchi poco spigolosi, non troppo aromatici o acidi. Per quanto riguarda i rossi invece, cercherei di evitare tannini troppo duri.


economia al forno

PANCIOTTO X 3 Il Panciotto è la proposta da forno di Antonio Follador a cui dedichiamo, in questo numero, uno speciale approfondimento che sconfina anche in un piccolo ragionamento sui costi Giulia Bassetto laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana

NOVITÀ

A partire da marzo la confezione (box) di Panciotto Moro e Panciotto Bianco è composta da 6 sacchetti contenenti 3 panini ciascuno!

PANCIOTTO MORO Panino dal look integrale prodotto con farine biologiche di tipo 1 e 2 da filiera certificata e garantita 100% italiana, con l’aggiunta di orzo tostato e grano spezzato. Leggero al palato, ha un lieve aroma tostato. Da rigenerare in forno a 200°C per 3-5 minuti, in base alla croccantezza desiderata cod 95015 | box da 18 x 100g

4 minuti di lettura

NEL FORNO: IL PANCIOTTO

FOOD COST: COS'È

Il protagonista in questo numero è il Panciotto, un panino rotondo che Antonio Follador ci propone in due varianti: Bianco, a base di farine bio di tipo "1" e "2" provenienti da Veneto e Friuli, e Moro, prodotto con le stesse farine di quello Bianco ma arricchito con orzo tostato e grano spezzato che gli conferiscono un look integrale. Leggero alla masticazione, croccante all'esterno e morbido all'interno.

Perché parliamo di food cost? Perché crediamo possa essere utile rinfrescare un po' la memoria relativamente a questa materia, perché è uno strumento utile nella gestione di un'attività di ristorazione in quanto permette di valutare la sostenibilità economica delle scelte di menu e consente di fare opportune considerazioni sulla composizione di alcune ricette.

Sembra la descrizione di un pane fresco, eppure parliamo di un prodotto parzialmente cotto, da conservare in frigo e rigenerare in forno prima del servizio. Rispetto a un pane fresco ha una shelflife di 30 giorni dalla data di produzione quindi è possibile tenerne in stock una quantità sufficiente per gestire flussi di lavoro più carichi del previsto. Se vogliamo confrontarlo con un prodotto surgelato, invece, la battaglia si sposta sui tempi: la rigenerazione è veloce quindi lo si può considerare come pronto all'uso guadagnando punti, inoltre, in consistenza e fragranza. La rigenerazione è piuttosto rapida, basta mettere il panciotto su una griglia e infornare in forno ventilato a 200 °C per al massimo 6 minuti. Per ottenere un grado di croccantezza inferiore basta accorciare il tempo di permanenza nel forno. Et voilà! Non resta che tagliare e farcire. A questo proposito, cogliendo anche la necessità di continuare per il momento nella direzione del perfezionamento delle proposte da asporto, questo pane si dimostra essere particolarmente adatto perché assorbe molto bene i succhi permettendo alla farcia di non scivolare fuori dal panciotto. Una buona soluzione anche per tutte quelle realtà che hanno tra le proprie proposte dei piatti in stile "street-food" da assaporare affondando dita e denti nel pane.

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Food Cost, per l'appunto, significa letteralmente "costo del cibo" cioè il costo delle materie prime necessarie per realizzare una ricetta. Quando si inserisce un nuovo piatto a menu, la definizione del suo prezzo dipende da diverse voci di spesa, tra cui costi variabili ma anche fissi. Tutte queste voci devono essere ben bilanciate e tra queste, il costo della materia prima, per essere sostenibile economicamente, dovrebbe mantenersi entro una certa percentuale che in genere si attesta attorno al 30% del prezzo finale. Per accertarsi di questa proporzione c'è appunto lo strumento del food cost che consiste nell'elencare tutte le materie prime utilizzate nella realizzazione di un piatto assieme alle grammature e il relativo costo. La somma di tutti questi costi dovrà essere circa 1/3 del prezzo di vendita. Per approfondire sul campo l'argomento ci siamo rivolti proprio ad Antonio e al suo staff presso Lo Spaccio a Pordenone. Qui, oltre a esserci il laboratorio con la produzione, è possibile infatti acquistare anche pizze, focacce e panini farciti, realizzati espressi nella cucina adiacente. Abbiamo fatto il calcolo del food cost su tre proposte con il Panciotto Moro. Per il Panciotto il suggerimento è quello di scegliere per la farcia un solo ingrediente principale da affiancare ad altri minori ma voluminosi, come le verdure, così da abbattere il costo totale! O

CONSIGLI


PANCIOTTO MORO CON SPALLA COTTA, VERDURE SPADELLATE, AGRETTI E FONDO DI COTTURA La spalla di suino marinata, affumicata, cotta sotto vuoto e sfilacciata. Il fondo bruno ottenuto dalla cottura della carne è stato ridotto per ottenere una salsa. Il mix di verdure composto da carote, zucchine e porri è stato spadellato, così come gli agretti. Il panciotto precedentemente rigenerato è stato tagliato a tasca e quindi farcito con gli ingredienti e infine arricchito con una colata di salsa fondo bruno.

ingrediente

costo d'acquisto

panciotto moro

€ 0,84 al pezzo

spalla cotta

q.tà porzione

costo porzione

1

€ 0,84

€ 9,50 al kg

70 g

€ 0,67

verdure

€ 3,00 al kg

100 g

€ 0,30

agretti

€ 4,00 al kg

20 g

€ 0,08

Food cost: € 1,89

q.tà porzione

ingrediente

costo d'acquisto

panciotto moro

€ 0,84 al pezzo

1

€ 0,84

hamburger

€ 2,05 al pezzo

1

€ 2,05

pancetta

€ 7,00 al kg

15 g

€ 0,11

ortus

€ 11,98 al kg

40 g

€ 0,48

spinacino

€ 4,00 al kg

60 g

€ 0,24

uovo

€ 0,20 al pezzo

1

€ 0,20

PANCIOTTO MORO CON VERDURE SPADELLATE, BURRATA AFFUMICATA E SALSA AL PEPERONE Le verdure (zucchine, carote, porro, agretti e spinacini) sono state saltate in padella. A parte si è creata una spuma di Burrata affumicata Artigiana montata con un sifone. Il panciotto già rigenerato è stato tagliato a tasca e farcito con le verdure, arricchito con la spuma di burrata e completato con una crema al peperone. Food cost: € 1,54 (Nota: abbiamo riportato il costo cumulato di spuma di burrata e salsa al peperone)

costo porzione

PANCIOTTO MORO CON HAMBURGER DI SCOTTONA BARDATO, ORTUS E UOVO POCHÉ L'hamburger di Scottona Le Capanne è stato scottato, quindi bardato con della pancetta e farcito con spinacino crudo e cubetti di formaggio Ortus. Il panciotto, precedentemente rigenerato, è stato tagliato in tutta la lunghezza, quindi farcito con l'hamburger bardato. Dopo un breve passaggio in forno al panino viene aggiunto l'uovo cotto al vapore che rompendosi crea un'irresistibile crema. Food cost: € 3,92

ingrediente

costo d'acquisto

panciotto moro

€ 0,84 al pezzo

verdure spadellate

q.tà porzione

costo porzione

1

€ 0,84

€ 3,00 al kg

150 g

€ 0,45

spuma di burrata

€ 8,00 al kg

20 g

€ 0,16

salsa peperone

€ 3,00 al kg

30 g

€ 0,09


l’italia è servita

RISOTTO ALLA MILANESE Danilo Gasparini docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3

Danilo Gasparini ci porta in questo numero alle origini del riso, per scoprire come è arrivato prima in Europa e poi in Italia, passando dalla medicina alla gastronomia, per essere immortalato in un piatto iconico: il Risotto alla Milanese 3 minuti di lettura

Il riso in Italia

Le Origini del Riso Il riso è da tempo immemorabile il cereale di base delle civiltà dell’estremo Oriente, è, come scriveva il grande storico francese Fernand Braudel, una “pianta di civiltà”, insieme al grano e al mais. Raccolto allo stato selvatico per millenni venne poi messo a coltura attraverso la selezione. Il genere include più di venti specie selvatiche e due coltivate.

Il riso, conosciuto in Italia dall’epoca greco-romana, non si diffuse come importante coltura agraria fino al XV secolo quando prima i Visconti (nel 1390 Gian Galeazzo fa allestire delle risaie ad Alberedo nel Veronese) e poi gli Sforza nel Milanese, ma anche nel Veronese, diffusero la coltura del riso. Il duca Galeazzo Maria Sforza nel 1475 omaggiò con dodici sacchi di riso da semente Ercole d’Este per seminarlo nel Ferrarese. Dal Delta del Po passando per il Veronese, dal Mantovano alla Lomellina fino al Vercellese il riso disegna da secoli straordinari paesaggi agrari e alimentari.

La vera diffusione si deve agli Arabi, a partire dal VII secolo D.C. che lo introducono in Egitto, in Sudan, in Maghreb e il secolo dopo in Andalusia con un ciclo di coltura molto simile a quello praticato in pianura padana nel secolo scorso.

Il riso non si vendeva come gli altri cereali presso i biadaioli ma presso gli speziali; costava come la carne di manzo e di agnello. Il nuovo cereale transita rapidamente dalla medicina alla cucina aristocratica, favorito dall’alto prezzo e dall’influenza delle mode orientali... come per le spezie. Sulle sue qualità mediche poco si sapeva: Galeno, Dioscoride parlano di qualità astringenti, i medici arabi, che lo distinguono a seconda delle qualità, lo dicono caldo e secco e facilmente digeribile.

Gli utilizzi suggeriti

La diffusione verso Occidente fu lenta: in Mesopotamia viene testimoniato verso il V secolo a.C. Si deve alle spedizioni di Alessandro Magno la sua propagazione in ambito mediterraneo, nella Grecia antica e a Roma dove sono testimoniate alcune importazioni ma in piccola quantità per usi esclusivamente medicinali.

Dalla medicina alla cucina

Nella cucina araba orientale il riso stufato (pilaf dal persiano pilaou) si abbina con la carne di agnello grassa e spezie: la cottura al forno dura un’intera notte.

L’immagine è tratta da:

La sua carenza di glutine ne sconsiglia la panificazione, mentre la minestra semplice di riso cotto nell’acqua o nel latte, spesso di mandorle, senza alcun altro componente, rappresenta uno dei classici della dietetica antica.

L’Italia AgricolaGiornale di Agricoltura Anno XLIV, n. 4, 28 febbraio 1907

Trionferà nelle cucine occidentali una triade raffinata: riso-zucchero-latte, rixo per richi, rixo in bona maniera, rixo da quaresima. Altre minestre si cuociono nel brodo di carne in diversi modi, sempre impreziositi da spezie e spesso da tuorli d’uovo e formaggio. VALSANA | 24


La Ricetta

n. 79 Risotto alla milanese II “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” Pellegrino Artusi Firenze 1910 XIV ed. Questo risotto è più complicato e più grave allo stomaco di quello precedente, ma più saporito. Eccovi le dosi per cinque persone: riso, grammi 500; burro, grammi 80; midollo di bue, grammi 40; mezza cipolla; vino bianco, due terzi di bicchiere; zafferano quanto basta; parmigiano, idem Tritate la cipolla e mettetela al fuoco col midollo e con la metà del burro. Quando sarà ben rosolata versate il riso e dopo qualche minuto aggiungete il vino e tiratelo a cottura col brodo. Prima di ritirarlo dal fuoco aggraziatelo con l’altra metà del burro e col parmigiano e mandatelo in tavola con altro parmigiano a parte.

Risotto alla Milanese

Le Varianti

Il Prozac di Madre Natura

“L’approntamento di un buon risotto alla milanese domanda riso di qualità”: questo l’incipit della straordinaria ricetta “letteraria” di Carlo Emilio Gadda, “Risotto patrio. Recipe”, scritta nel 1959.

Artusi pubblica tre ricette del Risotto alla milanese, undici le ricette di risotti nella sua opera. Sulla prima si sofferma sullo zafferano: “ha un’azione eccitante, stimola l’appetito e promuove la digestione”. Non prevede il midollo, che contempla nella seconda, nella terza invece del vino usa il marsala. Qui scrive: “Eccovi un altro risotto alla milanese; ma senza la pretensione di prender la mano ai cuochi ambrosiani, dotti e ingegnosi in questa materia”.

Lo zafferano è la spezia più costosa che esista al mondo: ci vogliono 80.000 fiori di croco e 250.000 stigmi essiccati per produrre mezzo chilo di zafferano. È antico quanto il mondo. I Greci lo utilizzavano per profumare e purificare i templi. Nel Medioevo veniva usato come colorante per tessuti pregiati. È usato in molte cucine del mondo. Raccomandato dalla medicina tradizionale contro la depressione, è usato anche per combattere l’arteriosclerosi e molte altre patologie.

Sull’origine del piatto, come sempre leggenda e tradizione si confondono. Il grande illuminista milanese Pietro Verri racconta di un pittore brianzolo, Zafferano, che dipingeva i vetri dei finestroni in Duomo, e per stupire i commensali, al pranzo di nozze del suo maestro vetraio fiammingo, suggerì al cuoco di aggiungere i colori del croco (zafferano) nel risotto. Siamo nel 1574! C’è chi sostiene che il risotto alla milanese sia quanto è rimasto della paella spagnola una volta che gli spagnoli se ne sono andati dal milanese. Ma le prime vere codificazioni della ricetta le troviamo solo nell’Ottocento. E qui si apre poi una contesa con i puristi che in assoluto abbinano il risotto con l’ossobuco e il midollo (esiste “l’ÒSSBUS” Confraternita dell’Ossobuco).

Tra le interpretazioni più riuscite e fortunate bisogna ricordare la creazione di Gualtiero Marchesi, autore del “risotto oro e zafferano”, un’elegante versione preparata con burro acido e impreziosito da un quadrato di foglia d’oro.

Il Prodotto

RISO CARNAROLI CASCINA OSCHIENA codice 93825 cf da 1 kg

Immagine tratta dall’ erbario figurato di Joseph Jakob von Plenck (Sec. XVIII). Le incisioni sono di Ignatius Albrecht


il prodotto dimenticato

IL FORMAGGIO TIPICO BRANZI Gianluca Di Lello laureato in Sviluppo e Cooperazione Internazionale a Bologna, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

🔎 IDENTIKIT

DEL FORMAGGIO LATTE: crudo vaccino PASTA: semidura, semicotta CROSTA: liscia e sottile PRESSATURA: si STAGIONATURA: almeno 2 mesi ROTTURA CAGLIATA: nocciola COTTURA PASTA: 45 °C

Vi accompagniamo alla scoperta di uno dei formaggi principi delle Alpi Orobie 3 minuti di lettura

Continuamo il nostro viaggio alla riscoperta dei prodotti “dimenticati” e ci spostiamo nel piccolo comune di Branzi, in Lombardia. Ci troviamo in uno dei territori italiani da sempre vocati all’arte casearia, quello delle Alpi Orobie nell’alto bergamasco. Oltre a vantare una tradizione casearia antichissima, fra l’800 e il ‘900 Branzi era meta dei commercianti della regione per partecipare alla Fiera di San Matteo che si teneva nell’ultima settimana di settembre, ovvero nei giorni in cui i bergamini (malgari) tornavano a valle con i loro animali e le forme prodotte in alpeggio. Durante la kermesse la vendita dei formaggi ha sempre giocato un ruolo fondamentale per l’economia del territorio: pensate che intorno al 1850 il numero di forme vendute fu di circa diecimila. Sì, avete capito bene, diecimila! PRODUTTORE All’inizio del boom economico nel secondo dopoguerra, il signor Giacomo Midali, casaro del posto, diede vita a un progetto volto a valorizzare la produzione casearia del territorio e fondò la Latteria di Branzi. Al progetto aderirono prontamente circa duecento piccoli allevatori e così iniziò la storia del Branzi che ancora oggi raccoglie quotidianamente il latte prodotto da circa settanta piccole aziende agricole, che lavorano solo per la cooperativa. LATTE Originariamente il latte utilizzato per la produzione era ottenuto da due mungiture: quello munto alla sera che veniva lasciato riposare e scremato e il latte intero munto al mattino. Oggi invece è prodotto con latte intero di entrambe le mungiture. Ma il forte legame con il passato fa sì che il latte non sia trattato termicamente e rimanga crudo. Questo rende il prodotto finale ricco di tutti i sapori che dal pascolo vengono trasferiti nel latte.

COAGULAZIONE E ROTTURA Una volta che il latte viene portato a temperatura, viene aggiunto il caglio di vitello e dopo circa 30 minuti, il tempo necessario per la coagulazione, la massa ottenuta viene rotta in piccoli pezzi della grandezza di una nocciola. Si lascia ancora riposare per permettere che venga espulso più siero possibile, quindi segue la cottura a 45 °C per circa mezz’ora. Il Formaggio Tipico di Branzi è definito formaggio a pasta semicotta perché non supera in questa fase i 48 °C come accade, per esempio, con il Grana Padano o il Parmigiano Reggiano. MESSA IN FORMA E SALATURA La massa densa viene introdotta prima nelle tele e poi nelle tradizionali fascere di legno che servono a dare la forma tradizionale, tonda, del diametro di circa 45 cm e con il tipico scalzo concavo. Ora la forme sono pronte per procedere alla pressatura. Dopo qualche giorno nelle fascere le forme vengono immerse nella salamoia dove rimangono per tre giorni prima di iniziare la fase di stagionatura. MATURAZIONE Le temperature controllate, l’aria del luogo e la cura minuziosa giocano un ruolo determinante per la qualità del formaggio Branzi. Durante questa fase le forme vengono attentamente rivoltate, spazzolate, raschiate e trattate per proteggere la crosta. Dopo circa 60 giorni il risultato è un formaggio capace di stupire nonostante la sua semplicità. DEGUSTAZIONE Aprendo la forma notiamo subito l’occhiatura a occhio di pernice uniformemente distribuita nella pasta di colore giallo paglierino. La pasta è elastica, rompendo la fetta notiamo i profumi che ricordano il burro cotto e il fruttato. In bocca il latte crudo fa la sua parte: emerge un’ottima acidità che ben si sposa alla parte fruttata e soavemente animale del sottocrosta.


5 cose da ricordare su questo prodotto 1. PRODUTTORE La Latteria di Branzi nasce nei primi anni ‘50 del Novecento grazie a Giacomo Midali e il suo progetto di valorizzazione dei formaggi locali. Il suo intento era quello di rendere disponibile tutto l’anno il Branzi che veniva prodotto solo in estate. Oggi la latteria è gestita dai nipoti di Giacomo e continua a raccogliere il latte degli allevatori associati.

2. RAZZA Vacche di razza Bruna, che pascolano oltre i 600 m di altitudine. Il latte, particolarmente profumato, verrà affidato alle mani degli esperti casari per produrre il Branzi seguendo le tradizionali tecniche di produzione.

FORMAGGIO TIPICO BRANZI Formaggio a pasta semicotta, tipico dell’Alta Val Brembana prodotto con latte vaccino crudo raccolto da piccoli allevatori conferenti della Latteria di Branzi. Il sapore è dolce con sentori di frutta, di tostato e di burro cotto, con una buona acidità legata al latte crudo. cod 31095 | peso 10 kg circa disponibile in 1/4

3. GEOGRAFIA

4. IN CUCINA

5. CURIOSITÀ

Branzi è un piccolo comune in provincia di Bergamo situato in Alta Val Brembana a pochi chilometri dal Parco delle Orobie bergamasche. Una delle più estese aree protette a elevata naturalità della Lombardia. Estesi boschi e praterie che ospitano flora e fauna di elevatissimo interesse. Se amate passeggiare ad alta quota, godendovi paesaggi mozzafiato, questo è il luogo giusto per voi!

Per utilizzare in maniera creativa questo prodotto, la mia proposta è quella di creare un gustoso finger food: crocchette di patate fritte con cuore di Branzi e pomodoro. Il risultato non vi deluderà: croccantezza con anima filante e succulenta di formaggio e pomodoro.

Nel 2015 è stata costituita l’Associazione Formaggi Principi delle Orobie che rappresenta sette produzioni storiche di questo territorio così vocato all’arte casearia: Agrì di Valtorta Presidio Slow Food, Storico Ribelle Presidio Slow Food, Branzi FTB, Formai de mut dell’Alta Val Brembana DOP, Formaggi di capra orobica, Stracchino all’antica delle Valli Orobiche Presidio Slow Food e Strachitunt DOP.

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la cucina di qb

AGRETTI O BARBA DI FRATE “Che cos’è un’erbaccia? Una pianta le cui virtù non sono state ancora scoperte.” Anna Maria Pellegrino cuoca e foodblogger: la sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo

Il Magazine dedicato alla Primavera vede gli agretti protagonisti in tre diverse ricette, dalla diversa difficoltà, che ne valorizzano la natura duttile e trasformista: una piadina, ma perché no anche il suggerimento per una farcitura moderna della pizza in pala; un primo piatto leggero e delicato suggerito dalla cucina toscana e infine una bella frittata, resa morbida e soffice grazie alla cottura in forno. Buon appetito!

2 minuti di lettura

UN PO’ DI STORIA DEGLI AGRETTI

MANGIA LA SALSOLA CHE DIVENTI BELLA

Fanno bella mostra di sé in primavera, da marzo a inizio maggio e sono, nella loro assoluta semplicità, una vera squisitezza. Stiamo parlando degli agretti ovvero le piantine giovani della Salsola soda. Le verdi foglie lunghe e filiformi assomigliano all’erba cipollina ma con texture e gusto completamente diversi: croccanti e carnose alla masticazione, fresche e appena un po’ amare al palato. Crescono rigogliose in cespugli, sui terreni salmastri delle zone costiere del bacino del Mediterraneo e delle barene lagunari e sono così conosciuti da battezzare anche una via; a Valli, infatti una frazione di Chioggia, esiste una via Salsola.

E’ una piantina alofita, che ama il sale, della famiglia delle Chenopodiaceae. Nasce nel bacino del Mediterraneo ma si è diffusa anche sulle coste Atlantiche e su quelle americane del Pacifico. Gli agretti sono ricchi di sali minerali, calcio, potassio, clorofilla, caroteni, vitamina C e B3 e, come tutte le piantine che fanno bella mostra di sé in primavera, sono fondamentali per depurare l’organismo dopo il letargo invernale.

Agretti, si diceva, a causa del loro gusto un po’ aspro. Ma anche barba di frate o dei frati per la loro forma. Non solo, anche barba del Negus, eredità delle guerre d’Abissinia. Oppure “lischi” o “liscari“ in Romagna, “riscoli” in Umbria e nelle Marche sono noti come “rospici” o “arescani“. E ancora finocchio di mare, bacicci, senape dei monaci e in Spagna, dove l’erbetta è stata ampiamente coltivata, la chiamano barrilla. DALLA FABBRICHETTA ALLA BOTTEGHETTA Un tempo la Salsola soda veniva coltivata in modo estensivo perché dalla combustione si otteneva il carbonato di sodio e di potassio, presenti in alta percentuale. A metà del Settecento si scoprì che le ceneri di queste piantine fornivano soda di altissima qualità, fondamentale non solo per la produzione del sapone ma soprattutto del vetro, come quelli preziosissimi di Murano; la Serenissima quindi ne favorì la coltivazione sulle isole della laguna. Con il passare degli anni è stato sempre più facile ottenere la soda in altri modi e gli agretti si sono definitivamente trasferiti dal laboratorio del chimico al negozio dell’ortolano. VALSANA | 28

Depurano il sangue, facilitando l’eliminazione di colesterolo e trigliceridi, favoriscono la diuresi, ottima alleata per gli anemici, “rinfrescano e tonificano”, come si sarebbe sottolineato nella Teoria degli Umori. E sono un valido aiuto nelle diete dimagranti. In sintesi: sono buoni e fanno bene. E COME SI CUCINANO GLI AGRETTI? Figli del Mediterraneo non possono che essere valorizzati al meglio con i suggerimenti gastronomici della dieta, e quindi cucina, mediterranea. Solitamente vengono sbollentati in acqua appena acidula o addizionata di bicarbonato, così da mantenere inalterato il verde brillante che li caratterizza, ma il consiglio che vi posso dare è di prediligere la cottura al vapore, che manterrà preservate le qualità nutrizionali. Serviteli in insalata con olio evo e succo di limone ma non limitate la fantasia in quanto gli agretti sono davvero molto duttili: nelle frittate, assieme a carni bianche e pesce ricco di Omega3, in sughi croccanti per paste veloci, magari rese appena sapide da qualche acciuga. Insomma rendiamoli protagonisti di una cucina fresca e leggera, come si addice alla bella stagione che avanza! Una curiosità: la Salsola soda è particolarmente amata dai rabbini in quanto è un ortaggio kosher, utilizzato da sempre nella preparazione del pasto dello Shabbat, il giorno dedicato al riposo.


AGRETTI TAKE AWAY Squacquerone oppure stracchino e agretti appena spadellati con il guanciale. Pausa golosa mentre vi fate baciare dai primi raggi del sole primaverile. DOSI PER 4 PERSONE PORTATA: ANTIPASTO, VEGETARIANO DIFFICOLTÀ: MINIMA PREPARAZIONE: 10’ COTTURA: 10’ HOME ECONOMIST: tagliere, coltello, casseruola, colino, padella antiaderente INGREDIENTI 4 piadine IGP 200 Squacquerone di Romagna DOP oppure stracchino Mambelli al sale dolce di Cervia 400 g di agretti puliti e sbollentati 50 g di Guanciale al Pepe cubettato 1 spicchio d’aglio in camicia 1 limone bio sale in fiocchi

PROCEDIMENTO Lava, monda gli agretti, sbollentali per 5’ in acqua appena acidula, scola e strizza delicatamente. In una padella rosola il guanciale per qualche minuto, metti da parte al caldo i cubetti croccanti, aggiungi gli agretti, lo spicchio d’aglio, insaporiscili per 4’, unisci il guanciale e metti da parte. Regola di gusto, se necessario. In una padella scalda la piadina da entrambi i lati, farciscila prima con 1/4 del formaggio morbido spatolato, continua con gli agretti, piega, scalda ancora entrambi i lati per 1’ e servi immediatamente.

SQUACQUERONE DI ROMAGNA DOP codice 21500 | da 250 g 21501 sac-a-poche da 1,6 kg


GNUDI DI AGRETTI “Gnudi”, nudi appunto, perché non sono rivestiti di pasta: un ripieno che nella tradizione gastronomica predilige spinaci o erbe biete e ricotta vaccina. La mia proposta prevede gli agretti croccanti e la sapidità speciale della pecora.

FIOR DI RICOTTA DI PECORA IL FIORINO

DOSI: PER 4 PERSONE PORTATA: PRIMO PIATTO DIFFICOLTÀ: MINIMA PREPARAZIONE: 30’ COTTURA: 10’

codice 31346 | peso 2 kg

HOME ECONOMIST: tagliere, coltello, ciotole, casseruola, padella INGREDIENTI PER GLI GNUDI 400 g di Fior di Ricotta di Pecora 300 g di agretti puliti e cotti al vapore 1 uovo grande oppure 1 uovo bio + 1 tuorlo 50 g di Gran Cao, 50 g di farina 00, sale, olio evo, pepe nero macinato al momento, noce moscata, 1 spicchio d’aglio vestito INGREDIENTI PER IL PIATTO 50 g di Burro Gold Valtellina 50 g di Gran Cao 3/4 belle foglie di salvia

PROCEDIMENTO Fai sgocciolare la ricotta in uno scolapasta in modo che perda il siero in eccesso. Lava, monda gli agretti, cucinali al vapore per 5’, strizza e trita finemente al coltello. Versa 2 cucchiai di olio evo in una larga padella, fallo insaporire con uno spicchio d’aglio, aggiungi gli agretti e cucinali per qualche minuto. Fai raffreddare. In una ciotola mescola bene ricotta, verdura, il Gran Cao grattugiato, l’uovo, le spezie. Regola di gusto, se necessario. Con 2 cucchiai da minestra forma delle quenelle e infarinale molto bene una alla volta, facendole rotolare così da ricoprire tutta la superficie (pena lo sfaldamento durante la cottura in ammollo).

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Porta a ebollizione abbondante acqua salata e immergi gli gnocchi un po’ alla volta: appena saliranno, ci vorranno 2’-3’ minuti, trasferiscili in una larga padella dove stai facendo sciogliere a fuoco dolce il burro con un mazzetto di salvia: falli insaporire per 1’ e servili immediatamente spolverati con il Gran Cao grattugiato.


FRITTATA AL FORNO TOMA PIEMONTESE DOP codice 30400 | peso 3 kg circa

Una frittata al forno? Certo che sì, così ci avanza il tempo di preparare l’aperitivo e servirla, perché no, a spicchi o cubetti. DOSI: PER 4 PERSONE PORTATA: SECONDO PIATTO, VEGETARIANA DIFFICOLTÀ: MINIMA PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 20’ HOME ECONOMIST: tagliere, coltello, ciotole, stampo 20-22 cm diametro INGREDIENTI PER LA FRITTATA 6 uova bio 400 g di agretti 50 g di Toma piemontese DOP a cubetti sale in fiocchi pepe di Timut INGREDIENTI PER LA SALSA 1 Passata di Pomodoro La Gialla o La Rossa I Contadini, aglio, olio, sale, basilico fresco INGREDIENTI PER LA SALSA 2 Crema yogurt greco Tyras, scalogno, arachidi salate, miscela aromatica (garam masala, curry in generale)

PROCEDIMENTO Preriscalda il forno a 180°, statico. Olia e spolvera con il pane grattugiato la tortiera oppure uno stampo rettangolare o quadrato, 20x20. Lava, monda gli agretti, cucinali al vapore per 5’ , metti da parte ad asciugare. Taglia sottilmente la toma. Sbatti le uova per qualche minuto, aggiungi il formaggio e per ultimi gli agretti ben scolati. Regola di sale e pepe. Trasferisci il composto nella teglia e cuoci per circa 20’ o fino al rassodamento: non deve essere eccessivamente soda. Nel frattempo prepara le salse: trita le arachidi, stufa lo scalogno tritato e raffreddato e mescola allo yogurt aromatizzato con il curry. Scalda un paio di cucchiai d’olio evo in una padella, profuma con uno spicchio d’aglio in camicia, aggiungi la passata di pomodoro. Sforna la frittata e servila: calda con la salsa di pomodoro e tiepida o fredda con la salsa allo yogurt.


Valsana S.r.l. ∙ Via degli Olmi, 16 ∙ 31010 Godega di Sant’Urbano (TV) ∙ Italy Tel. (+39) 0438 1883125 ∙ Fax (+39) 0438 64976 ∙ valsana@valsana.it ∙ www.valsana.it


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