Selezione di Sapori | 2021 01

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I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A GEN | FEB 2021


EDITORIALE

Nuovo anno, nuovi propositi. Oggi più che mai, con la voglia di mettere in campo tutte le nostre energie per far fronte ai prossimi mesi, di sicuro sfidanti. Siamo carichi e partiamo con tante novità, non solo nella selezione. Abbiamo chiesto a Giorgia di aiutarci a scegliere il prodotto che raggiunge il suo ottimo in corrispondenza dell’uscita del magazine: “qual è il momento migliore per” è la nuova rubrica che le abbiamo affidato. Con Giulia abbiamo deciso invece di affrontare il tema dello spreco alimentare, un argomento che ci sta a cuore, non solo per motivi economici ma anche per i risvolti sociali e ambientali che porta con sè.

SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giorgia Barbaresco, Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Gianluca Di Lello, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Anna Maria Pellegrino Direttore: Giulia Basso In copertina: Antonio Follador Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 - Godega di Sant’Urbano TV Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017

Con Danilo andremo a scoprire la storia di alcuni piatti iconici, mentre con Vittorio continueremo il nostro viaggio, purtroppo solo virtuale, tra le cucine del mondo, a partire da quella nordica. Anna Maria ci proporrà invece un focus su alcuni ortaggi di stagione, ma non vi aspettate i soliti ingredienti! Chiudiamo con una bella notizia, una new entry nel team editoriale: Gianluca Di Lello, abruzzese di origine, masterino di formazione, dal 2020 parte del nostro team export, a cui abbiamo affidato il compito di dare nuova vita a quelli che chiamiamo i “prodotti dimenticati”, il perchè ve lo racconterà lui... Che dire? Noi non ci fermiamo, continuiamo ad avere voglia di sperimentare, di portare avanti nuovi progetti e di lavorare affinchè il 2021 sia davvero un anno di ripresa.

Martina Iseppon


SOMMARIO GENNAIO | FEBBRAIO 2021

Viaggio fuori porta

PANIFICIO FOLLADOR 04

Intervista doppia QUALE PORCHETTA? 08 Spreco alimentare

QUANTO SPRECHIAMO

10

Il momento migliore per

L’ORO DI BAGOLINO

12

Il mondo a tavola

LA CUCINA SCANDINAVA

14

Novità a catalogo

CAPRA BLU / PANNA GHIOTTA

16

Novità a catalogo

VOGLIA DI SALENTO

18

Dietro le quinte

COME TI TAGLIO.. IN 5 PUNTI

20

Abbinamenti a quattro mani LATTE CRUDO E TRIGONELLA 22 L’Italia è servita

I BIGOLI IN SALSA

24

Il prodotto dimenticato

LA RUFFIANA 26

Lacucinadiqb

RICETTE DEL CAVOLO (NERO)

28


viaggio fuori porta

PANIFICIO FOLLADOR Alessandro De Conto laureato in Ingegneria e appassionato di formaggi, è Responsabile del Team di Assortimento che si occupa della selezione in Valsana

Il profumo del pane e il suo valore simbolico ci accompagnano in questo viaggio fuori porta, per incontrare Antonio Follador, panettiere 3.0 4 minuti di lettura

Il desiderio del viaggio mi ha accompagnato sin dall’infanzia, viaggiare fa parte della mia vita, del mio lavoro e delle mie passioni ed è con grande piacere che scriverò quest’anno in questa rubrìca. Certo, negli ultimi 12 mesi le trasferte hanno assunto una dimensione gioco forza più contenuta, le distanze si sono contratte fino ad annullarsi e far la valigia è cosa rara. Tuttavia abbiamo avuto e sempre abbiamo l’opportunità di conoscere meglio i nostri dintorni, il nostro “locale” e le nostre prossimità, ed è anche per questo che la prima visita dell’anno l’abbiam fatta a 26 km da Valsana, ovvero al Panificio Follador di Pordenone.

FOCACCIA RUSTICA Prodotta con farine bio di tipo 1 e 2 provenienti da filiera certificata e garantita 100% italiana, lievito madre e olio extravergine di oliva; viene lasciata lievitare in due tempi e cotta in padellino. Soffice, friabile e gustosa, va rigenerata in forno preriscaldato a 200°C per 4 minuti circa cod 95018 | box da 10 x 280g

Lì abbiamo incontrato Antonio Follador, il titolare, lo vedete in copertina se già non lo conoscete, un panettiere di terza generazione o, meglio, un panettiere 3.0 se mi permettete la confidenza. Antonio, insieme ai suoi collaboratori, è stato capace di dare al mestiere di famiglia una dimensione nuova, che gli permette di andar oltre la vendita al dettaglio e la distribuzione di prossimità, dando al pane una più lunga conservabilità e quindi una più lunga gittata distributiva.

panificati che han bisogno di pochi minuti di rigenerazione in forno ben caldo prima di essere utilizzati sia in casa sia in gastronomia sia nel locale. Il progetto ci è sembrato da subito entusiasmante e ve lo abbiamo presentato in occasione di Sapori l’ottobre scorso. Ma facciamo un passo indietro e riviviamo la visita, e non solo, dapprincipio. Partiamo come sempre dalle materie prime: in laboratorio vengono utilizzate prevalentemente farine di tipo 1 e 2 di grano tenero venete e friulane, molto spesso biologiche.

Abbiamo iniziato a lavorare con Antonio a ottobre, e sono stati davvero dei mesi difficili per tutti. Ma la sua linea food service è un progetto in cui crediamo molto: per come sceglie le materie prime, per la cura nella lavorazione, per la qualità organolettica e l’estrema versatilità di focacce e panciotti.

Come? Non certo aggiungendo conservanti al pane, ma sfruttando le nuove tecniche di confezionamento in atmosfera protettiva (ATP). Nasce così la linea food service che per ora consta delle quattro referenze qui presentate, VALSANA | 04

Tuttavia, l’attenzione al miglioramento continuo e alla performance del risultato finale inducono Antonio a utilizzare anche farine di grano (tenero e duro) e non solo da altre regioni d’Italia, in particolare da Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Sicilia, Puglia, e Toscana. Ci addentriamo poi nella lavorazione: parliamo di fermentazione del lievito madre e preparazione della biga, pilastri fondanti della panificazione in casa Follador.

Il lievito madre, in forma liquida, viene mantenuto vivo e attivo in un fermentatore; la biga invece, da considerarsi come pre-impasto, viene preparata ogni giorno per essere usata nelle lavorazioni del giorno seguente, mantiene una


trama grezza ed è attivata dal lievito di birra. La biga è lavorata in impastatrice, ma risente molto delle condizioni atmosferiche e quindi la sua preparazione va assolutamente assistita. E’ il momento di preparare l’impasto principale e biga e lievito madre si incontrano sia nel caso della Focaccia Rustica, sia nel caso dei Panciotti (mentre la Nuvola si ottiene per impasto diretto, sempre con lievito madre). L’impasto viene poi spezzato e pirlato con l’aiuto di una macchina e poi affidato alla manualità dei panettieri che avvieranno il prodotto alle successive lievitazioni, alle spezzature, ai riposi e infine alla cottura in forno. Ogni ricetta ha ovviamente le sue peculiarità, e non vogliatemene, anche i suoi segreti. In ogni caso durante la visita si sta ultimando la preparazione della Focaccia Rustica e abbiamo occasione di vedere l’impasto che riposa sul padellino: l’azione della lievitazione è evidente,

così come l’unicità di ogni pezzo. Vediamo anche come è fondamentale la mano dell’uomo per preservare il risultato della lievitazione, la delicatezza con cui trattano l’impasto e lo rovesciano sui ripiani del forno. La cottura avviene in un forno a piani a 280°C per 4-5 minuti, il processo viene verificato e validato in ogni caso dall’esperienza dell’uomo e credo la foto sia abbastanza eloquente.

Antonio Follador è un panettiere 3.0

Nel frattempo mi guardo intorno, annuso e osservo, cosa sento? Cosa vedo? Sento il profumo del pane, banale forse direte? No di certo, è il profumo buono per eccellenza, che ci porta subito a una situazione di comfort e benessere. Poi vedo una squadra di panettieri e fornai che lavora bene, anticipando l’alba ogni mattina, e compiendo quella sequenza di gesti orientati a fare un ottimo lavoro, un ottimo pane.

Grazie alle nuove tecniche di confezionamento di ATP è riuscito a dare al pane una più lunga conservabilità, andando oltre la distribuzione di prossimità

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NUVOLA GRANDE QUADRA Focaccia leggera, grazie a una seconda lievitazione di oltre 20 ore su teglino. E’ estremamente soffice ma piacevolmente croccante, va rigenerata in forno preriscaldato a 200°C per circa 6’ cod 95017 | box da 12 x 270g

Antonio ci accompagna in un mini tour tra i Del resto il poeta dei nostri giorni Franco Armicarrelli con le cotte delle ore precedenti, abbia- nio suggerisce tra i versi di una sua concreta mo occasione di vedere diverse panificazioni e poesia: ”abbiamo bisogno di contadini, di poeti, mi accorgo che Antonio dà del tu al pane, lo si di gente che sa fare il pane”. E Antonio il pane capisce da come lo racconta, dalla luce che gli lo fa... e pure bene! brilla negli occhi dicendo Abbiamo iniziato da podi una pagnotta che sta chi mesi a distribuire la sperimentando per la liNuvola, la Focaccia RuAntonio dà del tu al pane: nea food service: “Lui è stica, il Panciotto Bianco un pane meraviglioso..”. quando parla non emerge e il Panciotto Moro e, solo l’expertise accumulata Quando parla non pur non potendo ancora farli provare con decisioemerge solo l’expertise negli anni, ma anche la accumulata negli anni, ne nella ristorazione, si passione per un mestiere sono gradualmente afma anche la passione per un mestiere antico facciati anche nel canaantico che non invecchia mai che non invecchia mai, le dettaglio, per cui non erano stati pensati dal che gli è stato affidato principio, ma dove han da due generazioni precedenti, che ha a che vedere con la produzio- saputo ritagliarsi uno spazio per qualità e prane di un alimento altamente simbolico come il ticità. Infatti in molti hanno colto l’opportunità di poter offrire un’idea di trasformazione in più pane ed è ogni giorno sempre più necessario.

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PANCIOTTO BIANCO Panino ad alta idratazione croccante all’esterno e morbido dentro, prodotto con farine biologiche di tipo 1 e 2 da filiera certificata e garantita 100% italiana lavorate in biga e con lievito madre. Prodotto parzialmente cotto, da rigenerare in forno preriscaldato a 200°C per 3-5 minuti cod 95016 | box da 18 x 100g

alla clientela o ancora una soluzione pronta per chi cerca un pranzo veloce in questi tempi di ristoranti chiusi. E vedendo la vetrina dello spaccio di Follador ci è subito chiara la molteplicità di forme, tagli e farciture alla quale questi pani possono essere ricondotti. Ma non ce ne andiamo con l’acquolina in bocca, infatti Antonio ci tiene a farci assaggiare alcuni dei prodotti che ancora non abbiamo inserito in assortimento (ovviamente) e devo dire che ne è valsa davvero la pena, le idee per il futuro non ci mancano e Antonio è così creativo che ne ha sempre una nuova da raccontarci. La visita volge al termine, non solo abbiamo raccolto nuove informazioni, una nuova esperienza e molte foto, ma soprattutto abbiam maturato la consapevolezza di esserci addentrati nel fantastico mondo della panificazione con l’accompagnatore giusto, Antonio Follador. Per ritornare in sede ci vogliono solo 30 minuti, ma mi bastano per pensare ancora al pane e al suo futuro. VALSANA | 07

Reportage fotografico di Beatrice Mancini

PANCIOTTO MORO Panino dal look integrale prodotto con farine biologiche di tipo 1 e 2 da filiera certificata e garantita 100% italiana, con l’aggiunta di orzo tostato e grano spezzato. Leggero al palato, ha un lieve aroma tostato. Da rigenerare in forno a 200°C per 3-5 minuti, in base alla croccantezza desiderata cod 95015 | box da 18 x 100g


intervista doppia

Giulia Basso giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste e direttore responsabile del nostro magazine, Selezione di Sapori, dal 2017

Giorgio Leopardi

Alessandro Meggiolaro

QUALE PORCHETTA? Laziale o veneta? Dalla sagre di paese ai ristoranti, la porchetta ormai ha conquistato tutto lo Stivale. E non solo 3 minuti di lettura ricetta veneta

Una delle ricette di punta della trattoria che Empedocle Leopardi aprì a Roma nel 1924 era la porchetta, piatto tipicamente laziale le cui origini risalgono ai tempi dell’Impero, che i romani amavano consumare accompagnata con vino dei Castelli. Durante la seconda guerra mondiale però, con i bombardamenti su Roma, la trattoria fu distrutta e il figlio di Empedocle, Francesco, nel 1947 decise di riprendere la produzione in casa propria, attrezzando un piccolo laboratorio esterno con dei forni a fascine, dove si cucinava il maiale per poi venderlo nelle piazze. “Con mio padre Ivo, che continua a lavorare con noi anche oggi, la produzione aumentò, comprammo uno spazio nel centro storico di Ariccia e cominciammo a vedere la porchetta anche all’ingrosso”, spiega Giorgio Leopardi, che con la sorella Gloria porta avanti l’attività di famiglia. Oggi i Leopardi hanno una cinquantina di dipendenti che lavorano in due stabilimenti: uno ad Ariccia, recentemente rinnovato e riservato alla produzione di porchetta IGP, e uno ad Albano Laziale per gli altri salumi: pancetta, guanciale e molto altro. Da una piccola produzione casalinga sono arrivati a sfornare ricetta laziale 4 generazioni 1000-1500 porchette a settimana. porchetta ARICCIA Ieri come oggi il lavoro è due stabilimenti rimasto artigianale e manuale, e 1500 porchette/settimana probabilmente anche per questo Giorgio Leopardi 1924 la fama della porchetta di Ariccia cotenna croccante Roma IGP dei Leopardi si è diffusa in IGP tutt’Italia e anche all’estero.

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1978

VENEZIA Da inizio Novecento realtà artigianale la porchetta è senza conservanti entrata a pieno Alessandro Meggiolaro titolo a far parte della tradizione Strà senza addittivi veneta, diventando un prodotto molto popolare, immancabile nelle sagre di paese. Proprio la porchetta è il prodotto di punta del salumificio artigianale Meggiolaro, specializzato in cotti arrostiti e nato nel 1978 dall’intuizione di Nello Meggiolaro e della moglie Marina. Sono stati loro ad avviare un piccolo laboratorio dove si sono occupati fin dall’inizio di tutte le fasi della lavorazione. Qui hanno ideato la loro prima ricetta, priva di additivi chimici e conservanti, e hanno sperimentato la cottura “naturale”, molto lenta e a basse temperature. Già da ragazzi i figli di Nello e Marina, Alessandro e Gessica, hanno imparato i segreti del mestiere, affiancando i genitori nella produzione. Nel 2008 si sono trasferiti nello stabilimento di Stra (VE), dove sono tuttora: “Nel frattempo abbiamo iniziato a partecipare ad alcune fiere di settore, dove i nostri prodotti sono stati subito notati, guadagnando recensioni lusinghiere ed entrando nel menù di alcuni ristoranti stellati - racconta Alessandro. Siamo rimasti una piccola realtà artigianale, ma siamo anche diventati un simbolo della qualità del made in Italy: oggi lavoriamo in modo continuativo anche con la Gran Bretagna, la Germania e la Repubblica Ceca. porchetta


“Abbiamo intervistato Giorgio Leopardi e Alessandro Meggiolaro, per capire le differenze tra i loro due prodotti”

TRONCHETTO DI PORCHETTA DI ARICCIA IGP

TRANCIO DI PORCHETTA AL FORNO

cod 80811 - peso 5 kg

cod 80855 - peso 6 kg

1) Nome del prodotto?

Tronchetto di Porchetta di Ariccia.

Trancio di porchetta al forno.

2) E’ tutelato da certificazioni di origine?

Sì, certificazione IGP.

No.

3) Origine della materia prima?

Suini nati e allevati in Italia.

Usiamo una carne di suino olandese, selezionata perché è tenera, rosata, e con una giusta proporzione tra frazione grassa e magra.

4) Quali parti anatomiche utilizzate?

Il tronchetto corrisponde alla porzione Partiamo da una mezzena intera, di cui non della mezzena di suino compresa tra la usiamo soltanto la spalla, perché ha un terza vertebra dorsale e l’ultima vertebra colore rossiccio che stonerebbe con il resto. lombare.

5) Quali spezie?

Sale, pepe, rosmarino e aglio.

Un mix di una ventina tra spezie e erbe aromatiche: le principali sono il rosmarino, l’aglio, il finocchietto, il ginepro, i chiodi di garofano e l’alloro.

6) Durata e temperatura della cottura?

E’ una cottura in forno molto lenta e omogenea, simile a quella a vapore, che dura circa 4 ore, con una temperatura che varia dai 220 ai 250 gradi.

La cottura in forno si divide in cinque fasi e dura 25 ore, con una temperatura media di 80 gradi a secco. E’ simile a quella dell’arrosto.

7) Perché è diversa dalle altre?

Per la materia prima, usiamo suini nazionali, e per il metodo di cottura, che consente di mantenere la croccantezza della crosta e un interno morbido: così la carne rimane rosa al taglio, molto saporita e succosa.

Perché è priva di conservanti e additivi. Quanto alla piacevolezza, la differenza la fa il tipo di cottura impiegata, che le dà il colore e il profumo d’arrosto, mantenendola burrosa all’interno.

8) Come consigli di mangiarla?

Oltre al classico panino si può servire Nel classico panino o in un piatto, non ha come secondo, affiancata da un contorno. bisogno di altro se non, volendo, di un po’ D’estate è ottima come piatto unico, di sale e pepe. abbinata a pomodori pachino, parmigiano e glassa di aceto balsamico.

9) E quale vino in abbinamento?

Il classico vino dei Castelli romani, come da Visto che di base è un prodotto povero tradizione. si può nobilitare accompagnandolo con delle bollicine, anche ottenute con metodo classico: Franciacorta, Trentodoc o uno champagne.

10) Va scaldata prima di essere degustata? Generalmente va mangiata a temperatura Nulla vieta di scaldarla, ma è ottima a ambiente, ma è una questione di gusti. temperatura ambiente 11) La cotenna è commestibile?

Assolutamente sì. E’ una particolarità del Sì, ma consiglio di toglierla, perché il prodotto, perché impiegando carne di suini metodo di cottura a bassa temperatura nazionali è un po’ più grassa e riesce a non la rende croccante. mantenersi croccante anche sottovuoto.


spreco alimentare

QUANTO SPRECHIAMO? Un tema attuale ma che richiede un piccolo approfondimento, l’impegno di Valsana per il 2021 e qualche consiglio raccolto da voi clienti

Giulia Bassetto laureata in Commercio Estero, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari a Venezia e si occupa di Marketing in Valsana

3 minuti di lettura

PERCHE’ PARLIAMO DI SPRECHI? Nuovo anno, speriamo migliore del precedente, e nuovi propositi. Oltre a buttare giù qualche chilo di troppo in vista della bella stagione (e qui parlo per me), uno dei buoni propositi della lista che abbiamo stilato in Valsana è l’impegno per il 2021 a gestire meglio e quindi a ridurre gli sprechi. Si, abbiamo puntato piuttosto in alto ma nel corso del funesto 2020, che da poco ci siamo lasciati alle spalle, ci siamo resi conto della necessità di agire in questa direzione per tre motivi: ∙ economico: chiunque abbia un’attività si trova a dover affrontare questo tema e mettere a punto una strategia per la gestione degli sprechi significa evitare perdite economiche. Il delicato anno appena trascorso ci ha ricordato che la gestione di questa parte del processo non può essere relegata a un ruolo secondario; ∙ sociale: nella nostra filiera quando parliamo di spreco ci riferiamo a quello alimentare, perciò è evidente che buttare del cibo quando al mondo ci sono 821 milioni di persone che soffrono la fame (rapporto sulla sicurezza

coltivazione e raccolto

trasformazione

PERDITA ALIMENTARE

distribuzione

alimentare globale FAO, 2018) ci pone di fronte a una questione di ingiustizia sociale non trascurabile. E diciamocelo, i danni sociali aggiuntivi che ha creato il COVID-19 ci impediscono di girarci dall’altra parte; ∙ ambientale: produzione, raccolta, stoccaggio, trasformazione, distribuzione di prodotti agroalimentari sono tutte attività che comportano un elevato consumo di energie, di risorse idriche ed emissioni di tonnellate di CO2. Tutte risorse consumate ed emissioni generate inutilmente quando il cibo viene buttato. UN PO’ DI NUMERI Parlando di filiera è fuori di dubbio che lo spreco si crei quindi in tutte le sue fasi, ma per chiarire meglio il concetto di spreco la FAO - Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura - ha distinto due direzioni in cui questo viene generato, assegnandogli due nomi specifici: è considerato perdita alimentare (food loss) quando si assiste a una perdita di cibo tra le fasi di raccolta e distribuzione all’ingrosso; lo spreco alimentare (food waste) invece fa riferimento a sprechi di cibo che si verificano nell’ultima parte della filiera alimentare,

ristorazione

consumatore

e negozio

finale

SPRECO ALIMENTARE

SPRECO E PERDITA ALIMENTARE, la distinzione del concetto generale di spreco in relazione ai diversi livelli della filiera agroalimentare.


Qualche consiglio quindi vendita al dettaglio, ristorazione e consumatore (vedere infografica). Le cause alla base di questi sprechi sono varie: in ambito di perdita alimentare possono essere imputabili ad esempio a limiti nelle tecniche agricole o nelle strutture di stoccaggio, condizioni climatiche sfavorevoli, surplus produttivi, limiti nei processi di produzioni oppure dei sistemi distribuivi, errori nella previsione degli ordini o nella gestione delle scorte. Se parliamo di spreco alimentare invece le cause sono più generalmente legate a eccedenze negli acquisti, eccedenze di porzioni preparate, errori nella conservazione e, soprattutto per la realtà domestica, difficoltà a interpretare correttamente le etichette. A livello mondiale, secondo il report FAO 2019, il 30% del cibo prodotto ogni anno non viene consumato. Questa percentuale si traduce in 1,3 miliardi di tonnellate di cibo per un valore stimato di circa 900 miliardi di dollari. Di questa parte il 14% è perdita alimentare.

questo 2021. In questi mesi abbiamo notato una crescente sensibilità al tema degli sprechi e la volontà di adottare comportamenti virtuosi. L’aspetto economico della questione è quello che ci risulta di più facile comprensione: gestire bene le scorte e le eccedenze, evitare sprechi così da ridurre le possibili perdite è un beneficio apprezzabile e misurabile già nel lavoro quotidiano. Visti i numeri esposti poche righe sopra, però, dobbiamo essere consapevoli che i risvolti sociali e ambientali della questione non sono di minore importanza. Ovviamente lo spreco visto nell’ottica ambientale e sociale chiederebbe una trattazione a parte e l’adozione di alcuni comportamenti specifici. Per coloro che desiderano approfondire il tema, tutti i report citati in queste righe sono disponibili e scaricabili dalle relative pagine web.

30% CIBO PRODOTTO OGNI ANNO NEL MONDO CHE NON VIENE CONSUMATO

Sono numeri esorbitanti e che magari ci sembrano molto lontani dalla nostra realtà, quindi per essere un po’ più concreti prendiamo la lente d’ingrandimento e vediamo cosa succede nel giardino di casa nostra. Per farlo usiamo i risultati esposti nel settembre 2019, ottenuti dal progetto Reduce, realizzato dalla collaborazione tra Ministero dell’Ambiente e Università degli Studi di Bologna e che ha come obiettivo l’analisi dello speco alimentare nel Bel paese: in Italia lo spreco alimentare totale (quindi parliamo di spreco e perdita assieme) ammonta a circa 15 miliardi di euro, cioè lo 0,88% del Pil. Non male. COSA POSSIAMO FARE?

Tanti dati, informazioni e spunti che abbiamo deciso di riportare in sintesi in quest’articolo per sottolineare ancora una volta il nostro impegno a lavorare in questa direzione e chissà, arrivare magari a raccontarvi a fine anno le iniziative che metteremo in atto in

Ma tornando a parlare di comportamenti virtuosi, fin da subito possiamo fare qualcosa di concreto e per questo abbiamo raccolto un po’ di consigli che speriamo possano tornare utili. Se leggendoli vi dovreste rendere conto che non si tratta di nulla di nuovo, bene, allora siete già nella direzione giusta!

Oltre a essere noi i primi ad adottare dei comportamenti virtuosi, possiamo anche indirizzare quelli dei consumatori, i clienti finali della filiera agroalimentare di cui noi siamo tutti attori. Secondo un’indagine sullo spreco alimentare nelle famiglie italiane promossa nel 2018 dal Crea - Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria il 77% delle famiglie intervistate ha dichiarato di aver gettato cibo nella settimana precedente l’intervista. Per questo riportiamo anche qualche consiglio da rivolgere ai consumatori finali. In poche parole: dobbiamo fare gioco di squadra! Ultimissima cosa: noi tutti, oltre che operatori del settore, siamo anche consumatori, perciò ricordiamoci di mettere in atto anche nella vita domestica le buone pratiche che suggeriamo agli altri!

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in ristorante 1. Scegliere i giusti metodi di conservazione, sottovuoto in primis 2. Usare lo stesso prodotto in più declinazioni così da avere meno ingredienti in linea 3. Tenere in menù almeno una ricetta "salva scorte"

al negozio 1. Adottare le giuste tecniche di conservazione 2. Rifilare con precisione e cura i prodotti a banco 3. Spiegare al cliente il valore di alcune parti di prodotto che vengono percepite meno nobili (come la parte finale del prosciutto) 4. Proporre delle offerte, anche con angolo dedicato, per tutti quei prodotti che si avvicinano a scadenza o che sono evitati a causa di imperfezioni estetiche (ad esempio la frutta)

per il consumatore 1. Conservare i cibi in modo adeguato,ad esempio avendo cura di riporli nel giusto ripiano del frigorifero 2. Pianificare i pasti della settimana e quindi la spesa di conseguenza 3. Imparare a distinguere le date di consumo sulle etichette (da consumarsi entro il o preferibilmente entro il) 4. Consumare per primi i cibi più facilmente deperibili


il momento migliore per...

L’ORO DI BAGOLINO Giorgia Barbaresco laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari a Udine, è Responsabile Qualità in Valsana dal 2007

BA G OS S

In questo periodo dell’anno il Bagoss giunge a una stagionatura ottimale compresa tra i 16 e i 18 mesi: il suo momento migliore è proprio ora! 3 minuti di lettura

Quest’anno i nostri appuntamenti avranno un taglio diverso, forse un po’ meno scientifico, ma mi auguro possiate trovarli ugualmente utili. Il proposito è quello di individuare il prodotto che meglio si esprime in corrispondenza di ogni periodo di uscita del magazine

IL MOMENTO E’ ORA

sett mese anno COME SI RICONOSCE IL BAGOSS? Sullo scalzo è inciso il nome del formaggio (BAGOSS) in stampatello e i riferimenti di settimana, mese e anno di produzione (SETT, MESE, ANNO). Spesso la lunga stagionatura può sbiadire queste scritte, ma sapendo dove sono, si possono individuare semplicemente aguzzando un po’ la vista.

L’Inizio d’anno è il momento migliore per degustare il Bagoss di Bagolino: è proprio in questo periodo infatti che le migliori produzioni estive giungono alla stagionatura ottimale (16/18 mesi), che a nostro avviso permette a questo formaggio magnifico di esprimersi in tutta la sua complessità, senza che la pasta risulti troppo asciutta. PRODUTTORE Collaboriamo con la famiglia Stagnoli da molto tempo, abbiamo iniziato con Giovanni che ha passato il testimone al figlio Francesco e ora siamo alla terza generazione con Oscar e Federico, che hanno ereditato la passione per l’allevamento e la trasformazione del latte e stanno dando un importante contributo all’azienda di famiglia, cercando di coniugare tradizione e rispetto degli standard di igiene e sicurezza. Passano l’estate in alpeggio con tutta la famiglia, prima in malga Scaie (1750 m slm) e dalla metà/fine di luglio, a seconda delle condizioni del pascolo, in malga Cornelle (2000 m slm).

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UN PO’ DI CURIOSITÀ L’origine del Bagòss risale probabilmente al XVI secolo, quando Bagolino, piccolo comune dell’alto bresciano in Val di Caffaro al centro delle Alpi, era un paese situato alla frontiera della Repubblica di Venezia. Siamo abituati alla colorazione gialla della pasta dei formaggi di alpeggio, ma il Bagoss si distingue perché il giallo è molto più carico e questo è dovuto all’aggiunta di zafferano al latte (foto 2), una delle sue peculiarità. Di sicuro lo zafferano non è un prodotto locale, ma era una spezia comune a Venezia, quando la Serenissima commerciava merci in tutto il mondo. Una leggenda dice che l’aggiunta dello zafferano aveva lo scopo di impreziosire il formaggio e conferire alla pasta un colore giallo intenso, era conosciuto infatti anche come “l’oro di Bagolino”. Ad ogni modo lo zafferano veniva già utilizzato nel Medioevo per colorare il formaggio, anche perché si sosteneva che il calore delle spezie aiutasse la “cottura” dei cibi nello stomaco, favorendone l’assimilazione. Bagolino è un paese conosciuto anche per il Carnevale in stile veneziano, altra tradizione tramandata nei secoli. Il nome è legato a quello degli abitanti di questo paese, i Bagossi per l’appunto, quasi come se il formaggio facesse parte della comunità e in effetti molte sono le piccole realtà che lo producono e che d’estate portano le vacche in alpeggio, anche perché il territorio offre circa 7000 ettari di pascoli ricchi di essenze, che differiscono in base all’altitudine e che si


traducono nella complessitĂ aromatica che ci offre questo formaggio. PRODUZIONE Il latte crudo, esclusivamente ottenuto da vacche di razza Bruna, viene prima filtrato (foto 1) spesso utilizzando, come vuole la tradizione, rametti e aghi di abete, poi parzialmente scremato per affioramento e infine lavorato nella tradizionale caldaia di rame riscaldata con il fuoco a legna. Questo vale per il prodotto estivo, che è esclusivamente quello che vi proponiamo. Non che il prodotto invernale sia da sminuire, ma quello estivo è sicuramente il migliore dal punto di vista del profilo aromatico e delle emozioni che ci regala. La crosta è dura e viene trattata costantemente con l’olio di semi di lino, proprio con l’obiettivo di controllare la formazione delle muffe e limitare l’eccessiva asciugatura. La crosta è l’unica protezione della pasta e deve restare integra il piĂš possibile per evitare le infiltrazioni di muffa durante la stagionatura. STAGIONATURA Nell’area di produzione sono abituati a consumare questo prodotto abbastanza fresco: per lo piĂš lo si trova disponibile sul mercato a 12 mesi di stagionatura, ma noi riteniamo che debba superare due estati perchĂŠ si possa esprimere al meglio, quando la pasta è asciutta ma non secca come può accadere nel prodotto piĂš stagionato.

La lunga stagionatura ci viene garantita grazie a un’appartatura fatta apposta per noi e costantemente monitorata anche con visite da parte nostra a ogni ritiro (foto 3). Anche per quest’attivitĂ c’è un passaggio di generazione, è sempre stato Natale (il nostro Presidente) l’esperto nella selezione delle forme fatta in concomitanza con il ritiro del Bagoss, e ora sta trasmettendo tutto il suo sapere al figlio Enrico che lo affianca in questa attivitĂ , esperienza che unisce aspetti lavorativi a relazioni umane fondamentali e preziose per noi. Le prime a “scendereâ€? sono le forme un po’ piĂš piccole (15-16 kg), quelle piĂš pesanti infatti sopporteranno meglio la stagionatura, che dovrĂ arrivare fino a circa 28 mesi prima che sia disponibile la successiva produzione. DEGUSTAZIONE Tagliamo un pezzo, lo teniamo fra le dita e lo spezziamo vicino al naso. Inspirate e annusate. Si distingueranno le note speziate, animali, leggermente affumicate, erbacee e di burro cotto. Assaggiamo e lo facciamo sciogliere lentamente in bocca, senza fretta, dapprima spiccheranno le note animali ed erbacee, la sapiditĂ e la leggera piccantezza, poi le note diventano sempre piĂš fini, si sentono il pascolo, le note speziate dello zafferano, e si ritrova il burro cotto. Apprezziamo l’intensitĂ e la lunghezza di questo grande formaggio che per un istante ci porta in montagna, lontano da tutto, in una piacevole e rilassante solitudine.

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PRESIDIO SLOW FOOD

BAGOSS DI BAGOLINO ESTATE 2019 cod 31090M19 | peso 18 kg circa disponibile anche in frazioni

đ&#x;”Ž IDENTIKIT LATTE: crudo vaccino LITRI LATTE PER FORMA: 300 PASTA: dura, semicotta, semigrassa CROSTA: bruna, tratta con olio di lino PRESSATURA: si STAGIONATURA: 16 - 28 mesi ROTTURA CAGLIATA: chicco di riso COTTURA PASTA: 40 - 45 °C


il mondo a tavola

LA RISCOSSA DELLA CUCINA SCANDINAVA Un gran tour attorno al mondo alla scoperta di diverse cucine, alcune famose altre un po’ piÚ misteriose: iniziamo il nostro viaggio nei paesi scandinavi, in Danimarca, Svezia e Norvegia

Vittorio Castellani giornalista “gastronomade� www.ilgastronomade.com

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LA CUCINA SCANDINAVA WEB MASTERCLASS - 18/02 ore 19.00 E’ possibile approfondire il tema partecipando a un webinar guidato da Vittorio Castellani. Valsana ha riservato 10 posti per i propri clienti: se sei interessato contattaci a marketing@valsana.it Per maggiori informazioni scannerizza il QR code a lato

3 minuti di lettura

L’alba del nuovo millennio ha rappresentato per i Paesi della penisola scandinava un momento di grande cambiamento dal punto di vista della cultura gastronomica. A vent’anni di distanza dall’inizio di quel fermento, partito da Copenhagen, in Danimarca e diffusosi rapidamente a macchia d’olio in Svezia e Norvegia, i menĂš dei ristoranti e le abitudini alimentari dei paesi nordici hanno subito grandi trasformazioni. Il merito di questa piccola-grande “rivoluzioneâ€? va attribuito a quel movimento che si è riconosciuto nei principi e nei dieci punti del New Nordic Manifesto, sottoscritto da un gruppo di cuochi e sostenuto dalle Istituzioni pubbliche degli stati membri, che vedevano nei principi di purezza, stagionalitĂ , etica, salubritĂ , sostenibilitĂ e qualitĂ le chiavi del cambiamento a tavola. PRIMA UN OCCHIO AL PASSATO Ripercorrendo velocemente a ritroso le tappe della cucina danese, svedese e norvegese, che affonda le sue radici negli anni precedenti alla rivoluzione industriale, ci troveremmo di fronte alle tradizioni di quella cucina ruvida e contadina di casa, che gli svedesi ricordano con il nome di husmanskost. Le tavole dell’epoca s’imbandivano di carne di maiale in tutte le forme, fresca o trasformata in insaccati, per i danesi e gli svedesi del sud, poichĂŠ il manzo e l’agnello erano usati con piĂš parsimonia. E poi tanto pesce, cereali, latte, patate, ortaggi a radice, cavoli, cipolle, mele, frutti di bosco. Per gli svedesi del nord e i norvegesi,

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oltre al pesce la facevano da padrone la selvaggina e tutti quegli alimenti che caratterizzavano la cultura lappone dei Sami, come la carne di renna, l’alce e in parte l’orso, ma anche funghi, bacche e licheni. Dai primi del ’900 cominciarono ad arrivare sulle tavole scandinave quella frutta e verdura mediterranea che insieme ai condimenti e a molte specialitĂ alimentari francesi, spagnole e in parte italiane diventeranno di gran moda negli anni ’60-70. Fu una tendenza che condizionò in modo sensibile i menĂš fino all’inizio del nuovo millennio, al punto che nei grandi ristoranti era piĂš facile trovare foie gras o maigret de canard che un qualsiasi prodotto di quella cucina locale husmanskost d’antan.


LA NUOVA FILOSOFIA... L’avvento del New Nordic Manifesto ha completamente ribaltato questo concetto esterofilo di cucina. Fin dalla sua apertura, il ristorante Noma di Copenaghen (abbreviazione di nordisk mad che significa “cibo nordico”) è stata la punta di diamante in prima linea nello sviluppo e nella mise en place delle idee che stavano alla base della New Nordic Cuisine, lanciata dagli chef danesi René Redzepi e dall’imprenditore Claus Meyer. Per questo motivo il Noma è stato nominato dalla classifica The World’s 50 Best Restaurants “miglior ristorante del mondo” dal 2010 al 2014. Il loro esempio è stato seguito a ruota da molti altri, come il Geranium di Copenhagen o il piccolo ristorante di Magnus Nilsson Fäviken nella Svezia rurale. ... E I RICONOSCIMENTI INTERNAZIONALI La Modern Scandinavian Cuisine rappresenta oggi una delle realtà gastronomiche più all’avanguardia, alla quale guardano con grande attenzione tutti i continenti. Insieme ai principi di una nuova ‘‘foodlosophy’’ sono arrivati anche i riconoscimenti di alcuni tra i più prestigiosi concorsi gastronomici al mondo, come il Bocuse d’Or, che negli ultimi anni ha visto i cuochi scandinavi sempre ai vertici delle classifiche. LA DIETA NORDICA E mentre la scalata continua, comincia a farsi spazio anche la Nordic Diet, che si mette in competizione con la Dieta Mediterranea, facendo forza su sette semplici principi fondamentali: 1. Preparare pasti equilibrati con particolare attenzione ai cereali integrali e alle verdure di stagione 2. Cucinare a casa con ingredienti freschi, compresi i pani auto prodotti 3. Mangiare di meno 4. Mangiare pesce almeno due volte la settimana

5. Mangiare vegetariano, almeno due volte la settimana 6. Mangiare carne al massimo tre volte la settimana 7. Trovare il tempo per mangiare ogni giorno in compagnia di familiari o amici

New Nordic Kitchen Manifesto Esprimere la purezza, la freschezza, la semplicità e l’etica che desideriamo associare alla regione scandinava

Seguire il ritmo delle stagioni nella preparazione dei pasti

Basare la nostra cucina su ingredienti e prodotti dei nostri luoghi, climi, paesaggi e acque.

Coniugare la richiesta di alimenti gourmet con i principi moderni e le conoscenze in materia di salute e benessere. Promuovere la varietà e la conoscenza dei prodotti nordici, dei produttori locali e delle rispettive culture Promuovere il benessere degli animali e il loro allevamento nel rispetto dei mari, dei nostri terreni agricoli e della natura. Sviluppare nuove realtà produttive legate agli alimenti nordici tradizionali.

Abbinare le migliori tradizioni della cucina nordica a quelle contemporanee di altri Paesi

Abbinare l’auto produzione locale con la condivisione regionale di prodotti di alta qualità.

Unire le forze e collaborare con le associazioni dei consumatori, i ristoratori, il mondo agricolo, della pesca, dell’industria alimentare, del commercio al dettaglio e all’ingrosso, dei ricercatori, degli insegnanti, dei politici e delle autorità su questo progetto a beneficio e vantaggio di tutti i paesi nordici.

Noma, Copenaghen Dal menù Seafood Season di Noma, “Ravioli” di gamberi: lattuga di mare avvolta attorno a gamberi grigi croccanti, spezie e foglia di ostrica facebook.com/nomacph

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novità a catalogo

CAPRA BLU Alessandro De Conto laureato in Ingegneria e appassionato di formaggi, è Responsabile del Team di Assortimento che si occupa della selezione in Valsana

CAPRA BLU Erborinato a pasta semidura prodotto con latte di capra pastorizzato e con l’aggiunta di muffe selezionate dal gusto equilibrato, leggermente piccante. Le forme vengono stagionate in ambienti freschi e umidi, su scalere di abete bianco, per circa due mesi. Al palato la pasta è compatta, ma scioglievole, leggermente piccante, con muffe piacevoli; al naso regala profumi di mela e pera matura, con note ircine appena percettibili cod 31271 | peso 2 kg circa

NOVITÀ

Erborinato di capra a latte pastorizzato di fattura piemontese, prodotto dal Caseificio Rosso a Pollone, nell’alto biellese 2 minuti di lettura

IL PROGETTO Negli ultimi mesi del 2020 abbiam voluto, e anche un po’ dovuto, selezionare un erborinato di capra che potesse compensare la mancanza del Blu di Capra Carozzi e seguentemente affiancarlo. Il Capra Blu del Caseificio Rosso è uscito vincitore dal panel test effettuato, ci ha colpito per l’equilibrio gustativo tra note ircine e sviluppo dell’erborinatura.

LA STAGIONATURA Le venature di colore grigio-blu son scarse quando la stagionatura è di circa 45 giorni, mentre sono più abbondanti via via che la stagionatura aumenta. Riteniamo che il prodotto raggiunga il suo meglio a circa 75-80 giorni: a naso le muffe cominciano a mostrare la loro elegante presenza e si combinano con le note caprine e le lievi note di frutta matura.

IL PRODOTTO Il formaggio, di fattura piemontese e prodotto con latte di capra pastorizzato, risente delle influenze francesi per la pezzatura (circa 2,5 kg come il Roquefort o il Blue d’Auvergne), mentre la diffusione del blu è più simile alla tradizione lombardo–piemontese (venature scarse e diffuse prevalentemente in corrispondenza dei fori). La crosta è piuttosto asciutta e di colore grigio chiaro con occasionali fioriture di penicillium bianco candido, al taglio la pasta è di colore bianco, di consistenza friabile nel centro e più fondente nel sottocrosta, dove la proteolisi inizia a fare timidamente il suo corso.

IL GUSTO In bocca fa sentire il suo carattere, anche se l’ingresso è dolce e prevalentemente lattico, poi emergono l’intensità e la lieve piccantezza delle muffe nobili e della cantina, la sapidità è ben dosata. Ben si presta a esser consumato in purezza, da provare anche in un cicchetto con un chutney di prugna e Teroldego oppure per impreziosire una crema di zucca. IL PRODUTTORE La famiglia Rosso gestisce l’omonimo caseificio a Pollone, paesino dell’alto Biellese in alta Valle Elvo, dal 1894!


PANNA GHIOTTA

NOVITÀ

Quattro nuovi dessert a base panna prodotti dalla Latteria di Chiuro con latte della Valtellina, simili alla panna cotta ma dalla consistenza più golosa 2 minuti di lettura

IL PROGETTO Ultimo progetto finalizzato dalla Latteria di Chiuro, che si è proposta di entrare nel mercato dei dessert pronti a cucchiaio: si tratta della Panna Ghiotta. Simile a una panna cotta, ma dalla consistenza un po’ meno soda, tuttavia la golosità non ne risente! I gusti sono dei grandi classici: Cacao, Pistacchio e Naturale, a cui si è aggiunto da poco un nuovo gusto, il cui assaggio bussa subito ai nostri ricordi dell’infanzia: la Panna Ghiotta Mou. IL PRODOTTO Si parte sempre dal latte, rigorosamente valtellinese, al quale vengono aggiunti la panna, gli aromi caratterizzanti e un preparato per panna cotta. La confezione è la medesima degli yogurt che da tempo conosciamo, dei vasetti da 120 grammi con sigillo termosaldato che consente al prodotto di avere una scadenza di 35 giorni alla produzione.

IL GUSTO Vero e proprio dessert, la Panna Ghiotta diventa un’ottima merenda pomeridiana o, perché no, una coccola dopo cena. Il sapore è dolce e armonico, appagante e mai stucchevole, la dosatura dello zucchero appare ben bilanciata così pure l’utilizzo degli aromi principali e degli addensanti. La gamma Chiuro acquisisce così nuova ricchezza e profondità, entrando di diritto nel mondo del dolce. IL PRODUTTORE La Latteria di Chiuro è una cooperativa composta da 33 soci. Le stalle dei conferenti si trovano nel raggio di pochi chilometri dallo stabilimento di produzione, garantendo trasferimenti rapidi e frequenti della materia prima. La lavorazione del latte appena munto avviene in uno stabilimento moderno ed efficiente. La filiera corta è confermata dall’attribuzione dei marchi “Latte fresco della Valtellina” e “Valtellina Qualità”. Metodi tradizionali di allevamento e tecnologie all’avanguardia: un matrimonio davvero ben riuscito!

PANNA GHIOTTA NATURALE Dessert a base panna dal gusto pulito, prodotto con latte dalla Valtellina cod 21524 | vassoio da 6 x 120 g

PANNA GHIOTTA MOU Ultima nata della linea, in bocca si rivela gradevole, appagante ma non stucchevole cod 21527 | vassoio da 6 x 120 g

PANNA GHIOTTA PISTACCHIO Al naso è intrigante, in bocca il pistacchio è delicato e la consistenza più cedevole cod 21526 | vassoio da 6 x 120 g

PANNA GHIOTTA CIOCCOLATO Simile a un buon budino fatto in casa sia per consistenza che per sapore cod 21525 | vassoio da 6 x 120 g


novità a catalogo

VOGLIA DI SALENTO Alessandro De Conto laureato in Ingegneria ma appassionato di formaggi, è Responsabile del Team di Assortimento che si occupa della selezione in Valsana

NOVITÀ

Terra di frontiera, che ha il mare come confine, battuta dal vento e riscaldata dal sole, intensa e generosa come il popolo che la abita 3 minuti di lettura

I CONTADINI Edoardo e i suoi fratelli non stanno mai fermi, ogni anno ci propongono un certo numero di novità, del resto la materia prima che producono nei campi salentini è di gran spessore e comprendiamo la loro voglia di valorizzarla al meglio. Ci piace ricordare che tutta la gamma de I Contadini esprime un grande valore qualitativo soprattutto in virtù del fatto che tutta la filiera produttiva si apre e si chiude nell’azienda agricola, le verdure sono rigorosamente lavorate dal crudo e ciò regala consistenze vivide e croccanti e sapori pieni. Già da un paio di mesi avevamo nell’anticamera dei nuovi inserimenti i prodotti che vi presentiamo ora. Si tratta di una nuova linea di pesti per condire i primi piatti, un carpaccio di zucchine, una giardiniera sottolio e infine un antipasto misto grigliato, quest’ultimo particolarmente interessante e speriamo foriero di ulteriori novità nei prossimi tempi. Ma vediamoli nel dettaglio. GIARDINIERA IN OLIO E.V.O. Le verdure rimangono croccanti come nella versione classica in agro, l’olio extra vergine di oliva dona rotondità, maggiore dolcezza e apre il fianco a un utilizzo diverso della giardiniera, non più da abbinare a bolliti e cotechini, ma maggiormente accostabile a pesce azzurro oppure a un’insalata con feta e legumi. ANTIPASTINO BBQ Melanzane, peperoni, zucchine e funghi champignon grigliati, il tutto profumato

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LA GIARDINIERA IN OLIO EVO Ortaggi croccanti, lavorati singolarmente a mano dal fresco e conservati in olio extra vergine di oliva cod 93880 | box da 6 x 520 g

L’ANTIPASTINO BBQ Tocchetti di verdure fresche, tagliate e grigliate a mano, conservate in olio con menta fresca profumata cod 93882 | box da 6 x 230 g

CARPACCIO DI ZUCCHINE ALLA CRUDAIOLA Zucchine affettate finemente, marinate a crudo e conservate in olio e.v.o. cod 93881 | box da 6 x 230 g


IL PESTO DI OLIVE LECCINE Olive Leccine, Parmigiano Reggiano DOP 24 mesi, mandorle e basilico fresco cod 93883 | box da 6 x 100 g

IL PESTO DI MELANZANE Melanzane secche, Parmigiano Reggiano DOP 24 mesi, Pistacchio Verde di Bronte DOP e una manciata di menta cod 93884 | box da 6 x 100 g

IL PESTO DI CARCIOFI Carciofi freschi, Parmigiano Reggiano DOP 24 mesi, mandorle e basilico fresco cod 93885 | box da 6 x 100 g

IL PESTO DEI CONTADINI Verdure essiccate al sole, Parmigiano Reggiano DOP 24 mesi, mandorle pugliesi e basilico fresco cod 93886 | box da 6 x 100 g

IL PESTO DI POMODORI SECCHI Pomodori essiccati al sole, Parmigiano Reggiano DOP 24 mesi, mandorle pugliesi e basilico fresco cod 93887 | box da 6 x 100 g

abbondantemente da foglie di menta e conservato in olio evo, aceto di mele e succo di limone. Una bella sorpresa da abbinare a una sopressa, un prosciutto crudo a piacere o una burrata. CARPACCIO DI ZUCCHINE Zucchine marinate e tagliate sottilmente nel senso della lunghezza, belle croccanti, aromatiche e leggermente agliate. Decisivo il contributo della menta che aggiunge freschezza al palato. LA LINEA DI PESTI Nuova linea che propone cinque condimenti per la pasta in comode confezioni da 100 grammi, ideale per 2 porzioni. Si tratta di diverse verdure caratterizzanti, pestate con mandorle pugliesi e Parmigiano Reggiano Dop. Solo il pesto di Melanzane fa eccezione poichè è pestato con pistacchi anzichè mandorle. Pur essendo pensati per i primi piatti, cercherò di darvi anche alcune varianti di utilizzo. Partiamo con il Pesto di Olive Leccine: bello incisivo, del resto le olive han una bella intensità e con le mandorle vanno a nozze. Provatelo sulla pizza con la Nduja, provare per credere. Il Pesto di Melanzane si ottiene da un pestato di melanzane e menta con pistacchio, abbinamento divertente. Lo vedrei bene con una mozzarella di bufala in purezza. Nel Pesto di Carciofi, ottenuto con carciofi e basilico, le mandorle rimangono un po’ in secondo piano, il formaggio è ben dosato e il sapore leggermente astringente. Da provare con una pasta corta. Il Pesto dei Contadini è prodotto con verdure miste essiccate al sole pestate con mandorle e Parmigiano. La consistenza è rustica, il dosaggio dell’olio è corretto e il sapore è davvero convincente. Grande alternativa anche per un crostino di qualità. Ultimo il Pesto di Pomodori Secchi: sicuramente tra i pesti più riusciti della collezione, intenso, elegante, legato al territorio. Il basilico si sposa alla grande. Ricorda un pesto rosso siciliano. Bene, non mi resta che dirvi “arrivederci” alla prossima occasione in cui ci troveremo a parlare di altre novità de “I Contadini”. E sono sicuro che non passerà molto tempo! VALSANA | 19


dietro le quinte

COME TI TAGLIO... IN 5 PUNTI Vi raccontiamo i cinque aspetti che caratterizzano il processo di taglio dei formaggi in Valsana

Martina Iseppon laureata in Economia e Commercio a Venezia e Responsabile Marketing in Valsana dal 2003

4 minuti di lettura

Nel feeback di inizio anno sui contenuti del nostro magazine, una delle richieste che ci ha colpito è stata quella di “raccontarci un po’ di più”: raccontare cosa facciamo, in termini di selezione, lavorazione ed evasione degli ordini, ma soprattutto raccontare come lo facciamo.

Il Protagonista del Reportage

RISERVA DEL FONDATORE Pecorino di grandi dimensioni prodotto in Toscana dal Caseificio Il Fiorino con latte di Maremma e stagionato in cantina almeno 5 mesi codice 31340 forma da 18 kg circa ordine min 1/8

In effetti a volte siamo un po’ timidi e diamo per scontato che il modo in cui gestiamo i nostri processi interni sia lo standard. Anzi, essendo un po’ perfettini, spesso siamo anche insoddisfatti di molte cose. Ma poi quando abbiamo l’occasione di ospitare qualche visitatore, anche per delle verifiche di controllo o degli audit, spesso riceviamo dei complimenti. Quindi, bando all’imbarazzo, abbiamo deciso di raccontarvi come funzionano da noi alcuni processi e chi sono i ragazzi che lavorano “dietro le quinte” per cercare di garantire l’evasione puntuale degli ordini e lo standard di qualità che cerchiamo sempre di perseguire. Partiamo in questo numero dal processo più delicato, l’unica vera e propria lavorazione che avviene nel nostro magazzino: il frazionamento dei formaggi. Delicato, perchè questi prodotti sono gli unici ai quali applichiamo la nostra etichetta, sulla quale ci prendiamo al 100% la responsabilità. Per gli altri prodotti, in qualità di distributore, siamo comunque responsabili di verificare l’etichetta apposta dal produttore, ma per i frazionati la responsabilità è più diretta.

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COMPETENZA DELLE PERSONE

Per questo motivo, e anche perchè pensiamo sia fondamentale la capacità di valutare i prodotti nel momento in cui vengono frazionati, abbiamo affidato la responsabilità della lavorazione a una persona estremamente preparata: Enrico Salvador, laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari, che negli anni ha sviluppato un’ottima conoscenza sia dei prodotti che dei difetti che inevitabilmente si incontrano, lavorando dei formaggi artigianali. VALSANA | 20

Tagliare un formaggio prodotto con latte crudo, magari senza fermenti, è un po’ come aprire ogni volta una sorpresa. Per questo motivo Enrico lavora a stretto contatto con la nostra Responsabile Qualità, Giorgia Barbaresco, il cui ufficio si trova vicino alla sala di frazionamento: in caso di dubbi Enrico si consulta con Giorgia, per valutare assieme il caso e decidere cosa fare.

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FRESCHEZZA VS. DISPONIBILITÀ

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LAVORAZIONE IN PICCOLI LOTTI

Fino a qualche anno fa i formaggi venivano frazionati in base all’ordinato: un formaggio veniva cioè tagliato solo nel momento in cui ricevevamo l’ordine dal cliente. Oggi, a causa dei volumi movimentati e dei tempi ridotti tra ordine e spedizione, ma anche e soprattutto per effetto delle procedure che ci siamo dati per evitare possibili contaminazioni durante la lavorazione, questo non è più possibile. Motivo per cui siamo passati al confezionamento sottovuoto di tutti i formaggi e stiamo lavorando assieme al nostro ufficio acquisti sulla previsione di vendita dei frazionati, per avere una giacenza sempre disponibile per il prelievo, cercando di ottimizzare le previsione e sbagliare il meno possibile. L’obiettivo è ridurre al minimo il tempo che passa tra quando il prodotto viene tagliato e quando viene spedito ai clienti: i frazionati dovrebbero essere disponibili subito, ma tagliati da poco.

Il lavoro di Enrico è fatto di tante piccole operazioni ripetute più volte nel corso della giornata: non frazioniamo mai grandi quantità di prodotto, cerchiamo piuttosto di tagliare piccoli lotti di ciascun formaggio, per avere sempre un taglio fresco. Un’eredità che ci portiamo dall’esperienza della certificazione IFS-BRC - siamo stati certificati dal 2013 al 2016 - è infatti la lavorazione per categorie omogenee di prodotti. L’esperienza della certificazione è stata molto formativa,


anche se nel 2016 abbiamo deciso di rinunciarci, per i requisiti diventati negli anni troppo stringenti, che ci avrebbero costretto ad abbandonare alcuni dei produttori più piccoli con cui lavoriamo.

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PREVENIRE CONTAMINAZIONI

Il nostro ufficio qualità ha diviso i 120 formaggi che tagliamo in 17 gruppi omogenei per quanto riguarda il latte (crudo o pastorizzato), la crosta (pulita, con muffe oppure lavata) e la presenza o meno del lisozoma (essendo un allergene); erborinati e affinati costituiscono poi due gruppi a sè. Ogni gruppo viene lavorato separatamente per evitare contaminazioni tra le diverse tipologie di formaggi. Per lo stesso motivo, la sala viene pulita a fondo tra una lavorazione e la successiva. Per verificare l’efficacia della pulizia vengono inoltre effettuati periodicamente dei controlli microbiologici delle superfici da parte di un laboratorio di analisi accreditato.

Enrico Salvador è la persona che da noi si occupa della lavorazione e della cura dei formaggi. Laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari presso l’Università di Udine, lavora a stretto contatto con il nostro ufficio Qualità

Prevenire la contaminazione di muffe, allergeni ed eventuali patogeni è la nostra priorità, e riusciamo a garantirla solo tenendo separate le lavorazioni. Questo è il motivo principale che ci ha indotto a programmare il più possibile la lavorazione ed è lo stesso motivo che rende impossibile a volte il frazionamento last minute di un prodotto, pur avendo magari in casa l’intero.

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TANTA MANUALITÀ

Il lavoro di Enrico è essenzialmente manuale, con l’ausilio di un paio di macchine di supporto: la taglierina, utilizzata per alcuni formaggi, e la confezionatrice sottovuoto.

La prima parte del lavoro prevede la verifica dei piani di produzione previsti per la giornata e la programmazione delle attività , scegliendo a quale piano dare precedenza nella lavorazione. Enrico preleva quindi manualmente i formaggi da frazionare, scegliendo in base alla sua esperienza le forme da tagliare, tra quelle disponibili . Procede successivamente al taglio - : con la taglierina per alcune tipologie di formaggi; a roccia, a mano, per i formaggi a pasta dura; con il filo, sempre a mano, ad esempio per gli erborinati. Una volta effettuata la lavorazione, questa deve essere anche confermata a computer, per dichiarare il numero di frazionati creati a partire dall’intero prelevato, preservando la rintracciabilità del lotto padre; viene anche abbinato a ciascun frazionato il sacchetto in cui viene confezionato, garantendo la rintracciabilità della confezione. Infine, viene assegnato un lotto specifico a ciascuna lavorazione. I formaggi vengono successivamente confezionati sottovuoto , passati al metal detector per intercettare eventuali metalli presenti nella pasta (anche questa un’eredità della precedente certificazione) e infine pesati ed etichettati . Tanti passaggi e tanti controlli con l’obiettivo di garantire un taglio fresco, un prodotto di qualità e una lavorazione nel massimo rispetto degli standard igienico sanitari.


ti n e m a n i Abb piatto nel

abbinamenti a 4 mani

LATTE CRUDO E TRIGONELLA

HERBARIUS RÔTI

Abbinamenti da bere e da mangiare sulle note gustative di Herbarius, una delle caciottine di Eggemoa che ci ha conquistato 4 minuti di lettura

Se spingiamo lo sguardo oltralpe, verso nord-ovest, nei periodi invernali noteremo molti formaggi che fondono. Sul pane, sulle verdure o in una pentola in attesa di un affondo multiplo di cucchiaio. Se arrivassimo fino in Normandia potremmo prendere a prestito la ricetta del camembert rôti: scartate l’Herbarius, fate qualche incisione verticale con la punta del coltello e fate colare un po’ di miele. Il rosmarino non vi serve, la trigonella fa già il suo mestiere, quindi fate una bella corona di alluminio e posizionate in forno a 200°C per 12/15 minuti fino a che non fonderà. Voilà, posizionate al centro del tavolo per condividere momenti di scucchiaiate erotiche.

ti n e am n i b Ab calice nel

HERBARIUS

AA GEWURZTRAMINER

Piccolo formaggio prodotto da Michael Steiner di Eggemoa, un piccolo maso in Valle Aurina.

Trentino Alto Adige Sapete che sono un fan dell’abbinamento regionale, quindi partiamo da qui. Come direbbe qualcuno questo vino “rimescola le carte”, un po’ come il formaggio. Magari cercate di scegliere una versione non troppo alcolica, che preservi un po’ di acidità per contrastare la burrosità della pasta. Considerato il re dei vini aromatici, penso vi farà divertire accompagnando il lieve sentore affumicato della trigonella. Un abbinamento forse un po’ azzardato, ma tutto da scoprire.

Questa caciottina a crosta lavata viene prodotta con latte crudo ottenuto da vacche allevate nella valle ed è affinata con la trigonella, la spezia usata anche nel famoso pane alto altesino schuttelbrot. La texture è fondente ma sostenuta, il sapore dolce, piacevolmente morbido al palato, caratterizzato dalla trigonella. Un promemoria: la crosta è edibile! Infatti viene trattata solamente con acqua salata e affinata con la trigonella che viene aggiunta prima del confezionamento. Togliere la crosta sarebbe un vero delitto. codice 31603 | peso 280 g circa

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Cominciamo l’anno con un po’ di aria fresca, un po’ di profumo: quello delle montagne intorno al Caseificio Eggemoa e l’aroma di trigonella. Partiamo infatti con uno dei loro formaggi autoctoni, l’Herbarius. Questa piccola tometta di Micheal Steiner è a crosta lavata e a latte crudo di vacca bruna alpina. Stagionata per 6 settimane con lavaggio in crosta viene poi rifinita con la trigonella, altresì conosciuta come fieno greco, un’erba tipicamente usata in Trentino nella produzione di pane. Il risultato è un formaggio dolce, fondente e con la nota speziata unica della trigonella.

CHUTNEY PRUGNE, TEROLDEGO E RADICCHIO Per un assaggio invece in purezza, questa composta agrodolce vi può essere d’aiuto: le note calde del vino sia a naso che in bocca saranno il primo sapore, la parte burrosa del formaggio aiuterà ad amalgamare il tutto sprigionando poco dopo la nota della prugna, che creerà un bel contrasto con l’erbaceo della trigonella. A un certo punto il formaggio potrebbe prevalere quindi tenete a portata un bel calice di vino per tenerlo a bada.

Matteo De Santi laureato in Economia Aziendale a Pisa, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

MOSTARDA DI CIPOLLE

PANE A LIEVITAZIONE NATURALE

Questo abbinamento è un boccone dal gusto pieno che crea appetibilità. Le note piccanti della mostarda non sovrastano il sapore del formaggio, che al contrario si ingentilisce al suo cospetto. Il gusto del caramello della cipolla si lega bene con i sentori erbacei e di sottobosco.

Invece di mangiare il pane con la trigonella, ho mangiato il pane col formaggio alla trigonella. L’abbinamento c’è già per tradizione, ma ho voluto aggiungere qualche accortezza visto che partiamo dal formaggio non dall’erba. Quindi vi suggerirei di preferire un pane con note più acidule come un pane a lievitazione naturale. Dove la pasta rimane più umida anche dopo una leggera tostatura che vi scalda il boccone. Vedrete che la parte acida riuscirà a mitigare la grassezza del formaggio alla perfezione.

Herbarius. Se dovessi cercare 3 aggettivi per descriverlo sarebbero: buonissimo, profumatissimo, dolcissimo. Serve dire altro? Beh è tascabile, trasportabile ovunque. Poi la trigonella mi porta indietro nel tempo, in vacanza in montagna, quando ancora il mio palato acerbo non riusciva ad apprezzare tutte le decise sfumature aromatiche del Schüttelbrot. Sarà difficile, il vino si abbina al cibo, non ai ricordi (forse).

Enrico De Conto laureato in Tecnologia Alimentare a Udine, è un grande appassionato di vini e sommelier FISAR, si occupa di Acquisti in Valsana

GRECO DI TUFO DOCG

SANCERRE AOC

GIN&TONIC

Campania

Francia

Cockatil

Un formaggio della valle Aurina con un vino campano? Perché non provarci?! La stratificazione aromatica del formaggio è una sfida, una crosta lavata vestita di trigonella. Provate a concentrarvi sulle note delicatamente sulfuree del vino, sulla morbidezza di bocca che mitiga la sapidità della crosta e l’intensità della trigonella. Nella fase del morso poi tutta la fondenza e la dolcezza della pasta saranno bilanciate dalla sapidità e dall’acidità del vino.

Alle degustazioni alla cieca il mio amico di-vino è solito dirmi: “mi spieghi perché hai il naso che va oltralpe?”. Per quest’abbinamento vi suggerisco un vino a base Sauvignon Blanc, generalmente dotato di un’eleganza sconcertante. Trovo che vi siano diverse analogie aromatiche tra Herbarius e un Sancerre, la parte affumicata del formaggio ben si troverà con la sfumatura di polvere da sparo del vino. Come detto nei vini sopra poi, l’acidità darà una grande mano al palato.

Dire “Dammi un gin&tonic” potrebbe significare nel vero senso del termine ficcarsi in un ginepraio. Dalla regia mi suggeriscono un gin elegante, che non abbia solamente la nota di ginepro come guida.

ALTRO IN CANTINA?

Piuttosto andiamo alla ricerca di note vegetali e floreali, con un gusto secco e pulito. Per finire un’acqua tonica neutra non aromatizzata, ghiaccio in cubi e stelo di timo al limone. Buon viaggio!

Per quanto riguarda le linee guida da seguire nella scelta del vino, vi consiglierei un vino bianco di media struttura, con un ventaglio aromatico poco timido, acidità, sapidità e morbidezza ben percepibili. Eviterei, se possibile, trame tanniche troppo fitte, penso cozzerebbero con la parte amarognola della trigonella.


l’italia è servita

BIGOLI IN SALSA Danilo Gasparini docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova e al Master in Cultura del cibo e del vino di Ca’ Foscari ed è ospite e consulente fisso per Geo&Geo su Rai 3

Esistono i prodotti, i piatti fatti con i prodotti e le ricette dei piatti. Ecco, quest’anno cercheremo di raccontare l’Italia con dei piatti, fissati nel tempo in una ricetta, scelti da Nord a Sud secondo i nostri gusti e pensieri, a partire dai “primi”. Buon appetito!

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Dove e quando si mangiano

La Ricetta delle Ricette Scrive Alberto Capatti: “Le ricette sono testi unici, prescrittivi e, nello stesso tempo, ripetuti e variabili, attuali o attuabili mentre la scoperta della loro prima attestazione non porterebbe alcun ordine in campo gastronomico”. Ci aveva provato per gioco e con fantasia Ortensio Lando nel 1548. “Meluzza comasca fu l’inventrice di mangiar lasagne, macheroni con l’aglio, spezie e cacio” scrive, oppure “Dorotea Prisca da Bergamo fu l’inventrice dell’agliata, fu anche la prima che frigesse l’aglio e con l’aceto sel mangiasse”. Puro gioco letterario: i nomi di fantasia ma i piatti no, anzi. Ecco, noi cercheremo di raccontare l’Italia con dei piatti, fissati nel tempo in una ricetta, una delle tante perché la ricetta “è un testo sfuggente, a frammenti trasmesso in vivavoce da un amico, da un’amica, prima il titolo, poi qualche ingrediente e il modo di trattarlo…”, poi annotato in qualche foglio e tradotto in cucina e quando si fa si cambia! Abbiamo scelto dei piatti, delle ricette di quei piatti, da Nord a Sud…secondo i nostri gusti e i nostri pensieri, “con piena avvertenza e deliberato consenso”. Partiamo per così dire con i “primi”, che potevano essere anche piatti unici. Ci sarà tanta pasta: ma l’Italia è questa. Buon appetito!

La Storia dei Bigoli Il termine bigolo fa riferimento alla sua somiglianza con i vermi o, come suggerisce, forse, l’etimologia latina, con il (bom)byculus che è il bacherozzo, come per indicare un cibo vile e povero.

I bigoli sono molto diffusi nel Mantovano e in Veneto, specialmente nel Vicentino, nel Padovano e nel Veronese ma anche in Istria. Una particolarità sono i Bigoli di Bassano. Diversi poi i modi in cui vengono cucinati e serviti. Nel vicentino era il piatto tradizionale della Festa della Madonna del Rosario (7 ottobre).

Michele Savonarola, nel suo Libreto de tutte le cose che se manzano (Venezia 1515) parla già dei menuei o menudei, un tipo di pasta filiforme diffusa in tutto il territorio fatta prima a mano poi, lo vedremo, con l’ ingegno, il torchio. Il bigolo è il fiore all’occhiello delle paste casalinghe venete, chiamati in Friuli Venezia Giulia fusarioi, perché la pasta veniva arrotolata col fuso da filare. Generalmente si usava farina integrale di grano duro ma anche tenero, ora si fanno anche con farina 00 e anche con le uova. La farina viene impastata con acqua e un pizzico di sale, fino a ottenere un impasto duro e omogeneo che viene, una volta fatto riposare, inserito a pezzi nello speciale torchio - torcio bigolaro - azionato da braccia robuste, da dove escono, passando per la trafila in bronzo, degli spaghettoni di diametro non inferiore a 2,5 mm e lunghi 25-30 cm. A mano a mano che i bigoli escono dal torchio vengono infarinati con la farina di mais, tagliati e posti ad asciugare sulla tavola.

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Modi di dire “Magnarghe i bigoli in testa a qualcun”: superare qualcuno in abilità.


La Ricetta

“Bìgoli in Salsa” Almanacco della Cucina Regionale Italiana 1937 XV Milano, 1936 Mettete sul fuoco entro una casseruola mezzo bicchiere di olio, una cucchiaiata di burro ed una cipolla finemente affettata. Quando quest’ultima comincerà a disfarsi ed a prendere colore unitevi cinque acciughe diliscate, pulite e tagliate a pezzettini. Bagnate con mezza tazza di acqua nella quale avrete stemperato un cucchiaio di salsa di pomodoro; condite abbondantemente con pepe e fate proseguire lentamente la cottura sino a quando l’intingoletto non apparirà sufficientemente ristretto. Fate cuocere in una pentola con abbondante acqua, al giusto salata, mezzo chilo di pasta scura (bigoli) e, cotta che sia «al dente», scolatela e lasciatela sgocciolare. Conditela con il sugo sopra descritto, cospargete abbondantemente con formaggio grattugiato e servite.

I bigoli in salsa I bigoi in salsa è stato il piatto “canonico” della vigilia di Natale e del Mercoledì delle Ceneri, forse di origine veneziana, con qualche influsso della cucina ebraica.

Gli Ingredienti Per quanto riguarda la salsa si possono sostituire le acciughe con le sarde, aggiungere un trito di prezzemolo, o utilizzare un trito finissimo di aglio al posto della cipolla.

Quanto al torcio... Si narra che nel 1604 Bartolomio Veronese, chiamato Abbondanza, pastaio in Padova, brevettò il “torcio bigolaro” di sua invenzione e chiese autorizzazione, ottenendola, all’allora Consiglio del Comune per potersene servire nel suo lavoro.

Il Prodotto

Le Varianti Molte le versioni del piatto. Abbiamo cercato di fare sintesi. Non sarà la ricetta “canonica”, ma a noi piace così anche perché ci “obbliga” a bere con gusto. Tradizionalmente asciutti, oltre al condimento con le sarde nel padovano vengono conditi con i rovinassi (regaglie di pollo), ma c’è anche chi li predilige con le acciughe, col tonno, con la granceola. In Istria con il sugo di pollo. Alla festa del Rosario di Vicenza vengono cotti in brodo d’anatra, e possono essere anche con verdure e con altri tipi di carne. Durante la festa dei Bigoi al torcio di Limena vengono serviti: Bigoi con le vongole, Bigoi in salsa, Bigoi e fasioi, Bigoi al lardo, Bigoi col lievore (salmì di lepre).

Curiosità

ACCIUGHE CANTABRICHE SOTTO SALE codice 93673 | latta da 1 kg

A Castel d’Ario (Mantova) si tiene nel mese di febbraio la Bigolada, nata nel 1935 ( ma ha origini più antiche); nell’edizione del 2017 sono stati distribuiti 12 q. di bigoli. A Limena (PD) ha sede la Confraternita dei bigoi al torcio, sorta nel 2004, con annessa festa bigolara nel mese di aprile.


il prodotto dimenticato

LA RUFFIANA Gianluca Di Lello laureato in Sviluppo e Cooperazione Internazionale a Bologna, ha frequentato il Master in Cultura del Cibo e del Vino di Ca’ Foscari ed è Export Manager in Valsana

Dalle selve al tagliere, elegante e toscana nell’animo: parliamo della Ruffiana, ve la ricordate? 3 minuti di lettura

LA RUBRICA Nel corso dell’anno e dei vari numeri del magazine 2021, vi accompagnerò alla riscoperta di alcuni prodotti che Valsana ha selezionato con molto entusiasmo ma che nel tempo sono stati, pian piano, dimenticati. Prodotti a cui siamo molto affezionati per le loro qualità organolettiche, ma soprattutto per la loro capacità di farci narrare storie, territori e progetti virtuosi. Questa rubrica si pone l’obiettivo di puntare nuovamente i riflettori su questi prodotti ed evitare la loro scomparsa dal nostro assortimento. IL CONTESTO Iniziamo dalla Ruffiana: erano i miei primi mesi in Valsana quando alla presentazione dell’evento Sapori ho avuto il piacere di incontrare David Orlandi, che grazie ai suoi racconti mi ha permesso di conoscere da vicino l’azienda di famiglia, Le Selve di Vallolmo. Sin dalle prime battute di David, pregne di passione, orgoglio e toscanità, ho capito di trovarmi di fronte a un progetto di valore volto a esaltare territorio, prodotti e biodiversità. Vengo da una famiglia di norcini abruzzesi e per questo conosco molto bene queste dinamiche. L’azienda alleva suini di Grigio del Casentino, una razza autoctona toscana, in stato semi brado: sono liberi di grufolare nel bosco, correre, muoversi e nutrirsi di cibi che il territorio dona, come ghiande e castagne. Durante le stagioni più fredde la loro dieta viene integrata solo con elementi naturali tra cui cereali e legumi lavorati dal mulino interno all’azienda. I maiali vivono così per circa 15 mesi, fino al raggiungimento di un peso compreso tra i 160 e i 180 chili,

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prima di essere macellati. Questo metodo di allevamento, oltre a ridurre l’impatto ambientale e garantire il benessere animale, fa sì che le carni di Grigio del Casentino presentino delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali di pregio, come il grasso definito nobile perché ricco di Omega 3, proprio come quello della Cinta Senese. E con queste carni di ottima qualità David insieme alla sua famiglia produce saporitissimi salumi, tra cui la Ruffiana. IL PRODOTTO La Ruffiana è un salame toscano di media dimensione, prodotto con carni selezionate macinate a grana sottile, aromatizzate e condite con sale di Cervia, pepe nero macinato e finocchio selvatico in seme e fiore. Dopo essere stato condito, l’impasto viene insaccato in budelli naturali e da questo momento la Ruffiana stagionerà per almeno 45 giorni a temperatura e umidità controllate. In questa delicata fase, la minuziosa supervisione permette al prodotto di fermentare senza intoppi e diventare un salame profumato e saporito. È così che si concretizza il miracolo della Ruffiana, pronta a essere affettata e servita. La fetta si presenta abbastanza compatta, al naso offre un bouquet di profumi invitanti tra cui spicca il finocchietto. In bocca la parte grassa fa la sua parte regalando dolcezza e fondenza, il tutto reso elegante dalle note di finocchietto che padroneggiano le sensazioni retro olfattive. Che dire, un vero capolavoro della norcineria toscana… il mio consiglio, solo per questa volta, è: lasciatevi “infinocchiare”!


5 cose da ricordare su questo prodotto 1. PRODUTTORE L’azienda Selve di Vallolmo viene fondata da Claudio Orlandi negli anni ’80 come allevamento di suini Large White. Nel 2000 Claudio sente il bisogno di perfezionare la propria attività di allevatore e inizia a trasformare le carni puntando sull’alta qualità della materia prima: una delle missioni dell’azienda infatti è la conservazione e valorizzazione della razza autoctona Grigio del Casentino.

RUFFIANA GRIGIO DEL CASENTINO Salume ottenuto da suini di razza Grigio del Casentino, prodotto con tagli di prima qualità selezionati con cura, conditi con pepe e sale di Cervia integrale e aromatizzati con finocchio selvatico. Goloso al palato, dal sapore dolce e delicatamente speziato; ben riconoscibile il contributo del finocchietto

2. RAZZA Il Grigio del Casentino è una razza suina autoctona toscana che nasce dall’incrocio di maiali Large White e maiali di razza Cinta Senese o Mora Romagnola.

cod 78354 | peso 2 kg circa

3. GEOGRAFIA

4. STORIA

5. IN CUCINA

Selve di Vallolmo è situata a Poppi (AR) in Toscana, all’interno del Parco Nazionale delle foreste Casentinesi. La valle è circondata da foreste appenniniche, è attraversata dal fiume Arno e ospita antichi borghi medievali e luoghi mistici come l’Eremo di Camaldoli e il santuario francescano della Verna. Se siete in zona fate un salto in queste terre e rimarrete incantati dalla perfetta sintonia creatasi tra storia e natura.

In Toscana la Finocchiona è anche detta Ruffiana perché l’oste la utilizzava con astuzia per arruffianarsi i clienti di facile beva. Uno stratagemma usato anche dai contadini di fine ‘800 che, per coprire i difetti del vino da vendere ai nobili cittadini, offrivano sempre qualche fetta di finocchiona prima della degustazione!

Preparate delle bruschette, conditele con un buon olio extra vergine di oliva, tagliate delle fette di Ruffiana, riempite un calice di vino rosso e il gioco è fatto. Se invece avete voglia di destreggiarvi in cucina, potete utilizzare la ruffiana per condire una torta salata o uno sformato di patate.

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la cucina di qb

RICETTE DEL CAVOLO (NERO) “Cavolfiore. Un cavolo che ha fatto l’università.” Anna Maria Pellegrino cuoca e foodblogger: la sua ricerca è volta alla qualità e identità della materia prima, che presuppone lo studio della storia degli ingredienti, nella consapevolezza che il cibo è parte fondamentale dell’identità di un popolo

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UN PO’ DI STORIA DEL CAVOLO

RICETTE DEL CAVOLO (NERO)

Conosciuto in tutto il bacino del Mediterraneo, dove cresce spontaneo, e coltivato fin dal 2000 a.C.: Greci ed Egizi ne erano ghiottissimi. Ritenevano, infatti, che mangiarlo crudo consentisse loro di bere senza ubriacarsi. Per i Romani il cavolo era addirittura miracoloso, capace di preservare da tutti i mali e dagli eccessi, di scacciare malinconie e tristezze.

La varietà del Cavolo nero è caratterizzata da un’altezza del fusto superiore rispetto alle altre, con foglia liscia o bollosa ed è coltivata quasi esclusivamente in Toscana, in tre varietà: primaticcio, tardivo o verdino.

Catone li adorava, Orazio li spadellava con un po’ di lardo e Apicio li cucinava con mazzetti aromatici e miscele speziate. Ancor oggi, lessateli con qualche seme di cumino, succo di limone o un po’ di aceto bianco e nessuno nel condominio scoprirà il vostro menu. TENGO FAMIGLIA, ALLARGATA Cavolo, cavolfiore, cappuccio, romanesco, broccolo, verza, cavoletto di Bruxelles, cime di rapa, Pak choi, cavolo cinese o giapponese, cavolo rapa verde o blu, rapa giapponese, d’autunno o piatta: ecco le diverse varietà appartenenti alla famiglia delle Crucifere, genere Brassica. Poi ci sono le cultivar locali: il Cavolo Broccolo delle Puglie, il Ramoso di Calabria, il Bianco precoce di Albenga, Il Broccolo di Verona e il Violetto di Sicilia e di Napoli. Tutti comunque sono caratterizzati dalla dolcezza aromatica, dalla croccantezza e dall’incredibile valenza nutritiva: il cavolo è ricco di vitamine (C, B, K, A, PP), fibre, sali minerali (calcio, ferro, fosforo, potassio, zolfo) ma anche proteine e acido folico. Antianemico, emolliente, diuretico e depurativo e con pochissime calorie! E’ appena un po’ “ventoso”, ma il distanziamento sociale sarà un discreto alleato.

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L’apporto nutritivo è ancora più importante: vitamine A e C (soprattutto nelle foglie bollose) e proteine, di cui è il più ricco fra tutti i cavoli. Dopo aver eliminato i gambi più coriacei il cavolo nero può essere lessato, cotto al vapore, stufato in padella e servito con burro oppure olio e limone, protagonista di zuppe, minestre, frittate o crostini, come la cucina toscana racconta: ribollita, minestra di pane e cavolo e bistecche di maiale con cavolo nero. UN CONSIGLIO In rete si trovano molte ricette in cui il cavolo è protagonista e iniziano tutte, dopo la pulizia dalle coste più coriacee con “fate bollire per 20’ “ (in realtà basta “sfilarle” come se tirassimo un cordoncino). Vi assicuro che non serve: procuratevi un’ampia casseruola, riempitela di foglie pulite e spolverate con una presa di sale: l’azione osmotica del minerale “tirerà” fuori l’acqua dal prezioso ortaggio. Pochi minuti di cottura, non più di 5’, vi restituiranno foglie croccanti e verdi, al posto di un mapazzone marroncino. Ma ora basta chiacchiere e indossate i grembiuli per le ricette che prepareremo insieme: alcune più lunghe e altre più veloci, così che non possiate dire che non avete tempo per volervi bene.


FILETTI DI ACCIUGHE IN OLIO DI GIRASOLE codice 94193 | peso 205 g

COME DEI CROSTINI DI PITIGLIANO Questo antipasto è un piatto povero, tipico della cucina contadina di Pitigliano, tradizionalmente consumato la vigilia di Natale. In questa ricetta ho sostituito le delicate cimette del cavolfiore con le verdi foglie del cavolo nero che ben si abbracciano alla bella sapidità della salsa ottenuta con i filetti di acciughe. Attenzione: crea dipendenza. PORTATA: antipasto, vegetariano DOSI per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 10’ INGREDIENTI 300 g di cavolo nero 4 fette di pane toscano 8 filetti di acciughe Testa 2 spicchi d’aglio olio evo e olio

PROCEDIMENTO Lava e monda le foglie di cavolo nero, trasferiscile in un’ampia casseruola, aggiungi una presa di sale e a fuoco dolce vedrai che le foglie si cucineranno nella loro acqua. Mettile a sgocciolare in un colino e poi tritale a coltello. Schiaccia uno spicchio d’aglio vestito e scalda un paio di cucchiai di olio evo in una casseruola, aggiungi l’aglio e il cavolo tritato. Salta per qualche minuto e metti da parte. Nel frattempo porta sul fuoco un pentolino, aggiungi i filetti di acciuga e un po’ del loro olio di conserva, scalda dolcemente, schiacciando e mescolando con un cucchiaio di legno, fino a ottenere una salsa omogenea, metti da parte. Passa le fette di pane già tostato con il secondo spicchio, spennella con un filo di olio evo, dividile in tre parti, distribuisci un cucchiaio di verdure e continua con la salsa. Servi immediatamente.


RISOTTO DI CAVOLO NERO E BLUE DI NICOLETTA FORMAGGIO IL BLUE DI NICOLETTA

Il risotto si mantecherà esclusivamente con il Blue di Nicoletta: niente burro, niente Parmigiano grattugiato. Vi colpiranno piacevolmente l’armonia cremosa dei sapori, pur mantenendo le loro personalità decise.

codice 31217 | peso 2,5 kg

PORTATA: primo piatto DOSI per 4 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 20’ INGREDIENTI 300 g di cavolo nero 280 di riso Carnaroli Cascina Oschiena 50 g di scalogno 50 ml di vino bianco secco 30 g di lardo di Colonnata 80 g di Blue di Nicoletta sale iodato brodo vegetale essenza di timo Pri.ma Bio

PROCEDIMENTO Lava e monda le foglie di cavolo nero, trasferiscile in un’ampia casseruola, aggiungi una presa di sale e a fuoco dolce vedrai che le foglie si cucineranno nella loro acqua. Mettile a sgocciolare in un colino e poi tritale a coltello. Affetta lo scalogno, cubetta il formaggio, privandolo della crosta. In una padella sciogli il lardo, fai appassire lo scalogno e salta il cavolo nero. Metti da parte. Nel frattempo tosta a secco il riso per 5’, sfuma con il vino bianco e continua la cottura per circa 10-12’ aggiungendo il brodo caldo, unisci il cavolo e cucina il risotto per altri 2’. Lontano dal fuoco manteca con il Blue di Nicoletta, copri e fai riposare altri 2’. Servi immediatamente con una spruzzata di essenza di timo.

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RIBOLLITA, LA TRADIZIONE TOSCANA NEL PIATTO La ribollita è la zuppa toscana per eccellenza, simbolo del mondo contadino e preparata con pane raffermo e verdure, comfort food senza rivali. In quella tradizionale si prevede l’uso di fagioli cannellini secchi, che necessitano dell’ammollo per un’intera notte, ma potrete usare tranquillamente quelli al naturale, in vasetto di vetro. PORTATA: primo piatto, vegana DOSI: per 6 persone DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 1h e 15’

FAGIOLI CANNELLINI AL NATURALE codice 96206 | 6 x 300 g

INGREDIENTI 300 g cavolo nero 300 g cavolo cappuccio 300 g verza (1/2 verza) 200 g fagioli cannellini al naturale DelSanto 200 g carote, 200 g cipolle bianche 200 g sedano 200 g pomodori tondi 1 mazzetto di prezzemolo e uno di basilico 1 pizzico di nepitella o mentuccia essiccata olio extravergine d’oliva pane toscano a fette sale iodato e pepe nero di mulinello

PROCEDIMENTO Lava e monda le verdure, trita non troppo finemente sedano, carota e cipolla, a tocchetti il pomodoro, a julienne il cavolo nero, la verza e il cappuccio. Frulla e passa al setaccio i 2/3 dei cannellini e metti da parte. In un tegame di coccio fai dorare il trito di sedano, carota e cipolla con 3 cucchiai di olio, aggiungi il pomodoro a tocchetti, mescola bene e infine unisci le verdure rimanenti e gli aromi (basilico, prezzemolo e nepitella). Copri con un paio di bicchieri d’acqua e continua la cottura per circa 30’. Trascorso il tempo aggiungi la purea di fagioli, continua la cottura per altri 30’ e infine i fagioli interi, proseguendo la cottura per altri 10’. Regola di sale e fai riposare coperto. Il giorno successivo riporta a bollore (da cui il termine “ribollita”) e metti sul fondo della zuppiera le fette di pane raffermo o biscottato, versa la zuppa e servi immediatamente con una macinata di pepe e un filo di olio extravergine a crudo.


Valsana S.r.l. ∙ Via degli Olmi, 16 ∙ 31010 Godega di Sant’Urbano (TV) ∙ Italy Tel. (+39) 0438 1883125 ∙ Fax (+39) 0438 64976 ∙ valsana@valsana.it ∙ www.valsana.it


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