I L M A G A Z I N E D I VA L S A N A
GEN | FEB 2022
NOVITÀ A CATALOGO La carne fresca di Fassone Piemontese Coalvi e due nuovi panificati Follador DIETRO LE QUINTE Alla scoperta di come facciamo la selezione dei nuovi prodotti
EDITORIALE Abbiamo iniziato il nuovo anno, in cui speravamo di non sentire più nominare la pandemia, con la quarta ondata e, nelle prime settimane da noi, in azienda, sembrava di giocare a Squid Game: ogni giorno qualcuno andava a casa, perchè positivo o comunque in quarantena. Un inizio un po’ traumatico ma il peggio sembra passato. Così dicono, e vogliamo fortemente crederci. In due anni abbiamo imparato, per necessità, le regole di questo “gioco”: smart working, gestire di settimana in settimana le assenze, far fronte a una domanda fatta di alti e bassi in funzione di chiusure e contagi.
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Siamo pronti per affrontare le nuove sfide che ci aspettano nei prossimi mesi, siamo carichi e abbiamo voglia di riprenderci la nostra vita: le cene, i viaggi, le riunioni, le fiere, gli eventi. Abbiamo disegnato un calendario di attività bello denso, nel rispetto delle regole che la pandemia ci impone, ma con la voglia di ricominciare a mille. Troverete in questo numero il primo di una serie di laboratori che organizzeremo in Valsana, un appuntamento a numero chiuso dedicato ai nostri clienti per scoprire il mondo del sake nell’abbinamento con i formaggi. Ma le novità non mancano nemmeno nel nostro magazine: diamo il benvenuto nel team editoriale a Sara Mazzucco, dell’ufficio qualità, a cui abbiamo affidato la rubrica “Intervista con il macellaio” e a Elisa Cibien, dell’ufficio acquisti, che assieme a Enrico De Conto curerà la rubrica “I Sommelier” dedicata alle proposte di abbinamento con i vini. Vogliamo trasmettervi un’energia che speriamo essere contagiosa: le difficoltà non ci fermano, sono uno stimolo a fare sempre meglio. Buona lettura. Martina Iseppon
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SELEZIONE DI SAPORI: Il magazine di Valsana Team editoriale: Giulia Bassetto, Giulia Basso, Vittorio Castellani, Alessandro De Conto, Elisa Cibien, Enrico De Conto, Matteo De Santi, Gianluca Di Lello, Danilo Gasparini, Martina Iseppon, Sara Mazzucco, Anna Maria Pellegrino Direttore: Giulia Basso
In copertina: Enrico e Maria Rosso Foto di Beatrice Mancini Editore: Valsana srl Via degli Olmi, 16 Godega di Sant’Urbano Treviso Registrazione Tribunale di Treviso n. 2422 del 28/04/2017
SOMMARIO GENNAIO | FEBBRAIO 2022
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Viaggio in Valle Elvo · Tra Sordevolo e Pollone
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Novità a catalogo · Fassone Piemontese
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Novità a catalogo · Follador: più due
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Affinità di coppia · Sake e formaggio
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Dialoghi · I costi del latte crudo
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Chiedilo al macellaio · Un taglio... d’ascia
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Il prodotto dimenticato · Castelmagno
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Dietro le quinte · Selezioniamo con gusto
20 L’Italia è servita · Il baccalà alla vicentina 22 I sommelier · Cotti... al calice 23 L’internazionale · Le Reblochon 24 Conservazioni cosmopolite · Cera una volta 26 La cucina di QB · L’insalata in grotta 27
Notizie da Valsana · Calendario eventi
28 Notizie da Valsana · Cosa ne pensi del magazine?
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viaggio in valle elvo
TRA SORDEVOLO E POLLONE Alessandro De Conto Responsabile Commerciale
La visita al Caseificio Rosso della scorsa estate ci ha fatto scoprire alcuni formaggi nuovi, che poi vi abbiamo presentato in autunno, e nuovi stimoli per il futuro 4 minuti di lettura
TOMA DA POLENTA Formaggio vaccino a pasta morbida ottenuto da lunga maturazione; il sapore è dolce delicato, con profumi di cantina e sapori di burro cotto, latte fermentato e pascolo cod 31278 | peso 4,5 kg circa
In un territorio vocato storicamente all’industria del tessile, ma altresì ben dotato dal punto di vista pedoclimatico, nasce quasi 130 anni fa un caseificio. Sorge sulle spalle e sulle idee, è proprio il caso di dirlo, di Nonna Rosa che intravede un’opportunità di sostentamento e imprenditorialità nel produrre formaggi con il latte di tanti piccoli contadini o anche nello stagionare in piccole cantine il formaggio prodotto da altri nelle valli montane vicine. Nonna Rosa ha avuto uno sguardo lungimirante, perché oggi con due generazioni di mezzo, i suoi bisnipoti Enrico e Riccardo fanno ancora ciò che faceva lei: produzione e affinamento.
Abbiamo colto la palla al balzo e bruciato un po’ le tappe, coinvolgendo direttamente tutta la rete vendita in un primo percorso di valutazione del produttore e dei formaggi. La visita è stata davvero un bel momento di conoscenza soprattutto sul piano della stagionatura dei formaggi e dell’assaggio, ma come dico spesso, andiamo per ordine.
Certamente l’azienda è cresciuta e ora dispone di due sedi diverse. Il caseificio, originariamente situato a Sordevolo, è stato trasferito a metà anni ‘50 a Biella, ed è qui che Maria, moglie di Enrico, si occupa della produzione casearia. La sede più recente, nata sulla struttura di un ex industria tessile, volta alla stagionatura e alle spedizioni, è sita a pochi chilometri dalla prima, a Pollone. Ed è quest’ultima che abbiamo visitato l’estate scorsa con tutta la rete vendita, in una delle prime trasferte benevolmente concesse dalla pandemia.
ovest di Biella, allo scopo di
Da tempo avevamo in animo di approfondire un po’ la conoscenza di questo produttore, ormai storico fornitore di Valsana, che mai però eravamo riusciti a far decollare. Così ci siamo detti che forse era il momento di cambiare marcia, che il catalogo formaggi era davvero interessante ed era un peccato non cogliere ciò che di promettente intravedevamo.
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Arriviamo direttamente dalla Valle d’Aosta,
Il Caseificio Rosso nasce nel 1894 a Sordevolo, a nord mantenere in vita e promuovere la tradizione casearia del vicino territorio montano e pedemontano
Biella dista appena 1 ora e mezza di autobus ed è piuttosto comoda da raggiungere. Pollone è un paese a metà montagna, a circa 600 metri di altitudine e quando ci arriviamo, dal basso, mi dà l’impressione di essere inserito in un posto strategico per la produzione di formaggi, di essere un luogo ricco di pascoli, oltre che prossimo agli alpeggi. Enrico ci attende all’esterno della struttura e dopo i primi convenevoli subito ci coinvolge nella descrizione del territorio circostante e dà
il via a quel racconto della filiera produttiva del loro caseificio che ci interessa sempre molto. Il latte viene raccolto da un loro mezzo presso 22 allevamenti conferenti siti nel territorio biellese. Un lavoro faticoso soprattutto dal punto di vista del coordinamento: ottenere un latte con caratteristiche “tipo” da 22 conferenti diversi non è automatico, serve lavorare con l’allevatore sull’alimentazione delle bovine e anche sulla scelta della razza. In quest’ultimo dettaglio sta una buona parte della valorizzazione del territorio, infatti la famiglia Rosso cerca di mantenere elevata la popolazione della razza Pezzata Rossa d’Oropa, una Simmental che si è stabilita nell’alto biellese in epoca tardo romanica, adatta all’alpeggio e di discreta vocazione lattifera, arrivando a produrre in media circa 15 litri al giorno.
Il caseificio lavora circa 120 quintali di latte al giorno e si dà daffare per riuscire a mantenere robusto quel filo che collega territorio, materia prima e produzioni finite. I formaggi tradizionali prodotti, che conosciamo da almeno una dozzina d’anni, sono il rappresentativo Maccagno con cui abbiamo passato diversi alti e bassi nelle vendite, il Castel Rosso (ex Toma brusca) che incarna la tradizione delle tome a lait brusc, ossia fatte con latte acidificato naturalmente, e la Toma Valle Elvo che poggia le caratteristiche di base sull’esperienza delle tome delle vallate piemontesi. Ma siamo venuti in visita per scoprire quel che ancora non conosciamo e quindi ci addentriamo con Enrico nelle celle di stagionatura al piano terra.
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Caseificio Rosso è un fornitore storico di Valsana, con un catalogo prodotti davvero interessante: siamo andati a visitarli per dare nuova energia alla nostra collaborazione
viaggio in valle elvo
CASTELROSSO Formaggio prodotto con latte vaccino lasciato acidificare prima della coagulazione. Il sapore è dolce, a volte leggermente sapido con importanti sentori di erbe, frutta tostata, cantina e fungo cod 31041 | peso 3 kg circa
Sono diverse le cose che ci sorprendono, su tutte la cura minuziosa per il singolo formaggio, la stagionatura su assi di abete bianco che permettono al formaggio di respirare anche sulla faccia d’appoggio, e la grande varietà di muffe nobili che i Rosso devono tenere a bada, anche a causa della promiscuità di formaggi diversi all’interno della stessa cella. Quindi tanta pazienza e tanto olio di gomito per spazzolare i formaggi al momento giusto e cambiarli eventualmente di posizione, per asciugarli più o meno a seconda dell’esposizione all’aria. A onor del vero su alcune tome ci si aiuta massaggiando la crosta con un antimicotico, il caramello. In particolare, il trattamento inibisce la formazione di quella muffa grigia che è nemica sia di chi stagiona
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il formaggio sia di chi lo vende, la nota “pelo di gatto”. Prima della visita avevamo già fatto una preselezione di referenze da assaggiare, ma durante la passeggiata in stagionatura non possiamo che aggiungerne, immancabilmente, qualcun’altra. Bene, ritorniamo al piano terra, è arrivato il momento della degustazione, l’ora è propizia, e Maria ha preparato una tavolata che solo a guardarla invita alla seduta. Si susseguono tre orologi di formaggi, iniziamo da una verticale di Maccagno, passiamo a un tris di formaggi affinati, tra cui la prescelta Toma da Polenta, e concludiamo con due pezzi forti: un Castelrosso affinato per 6 mesi e il Birba Blu che abbiamo imparato a
Reportage fotografico di Beatrice Mancini
Gli aspetti che più ci hanno colpito durante la visita sono la cura minuziosa per ogni formaggio e la grande capacità di gestione della considerevole varietà di muffe nobili presenti nelle celle di stagionatura che si trasforma in tanta pazienza e grande lavoro
conoscere. Il tutto accompagnato da diversi tipi birra del Birrificio Un Terzo con cui il caseificio collabora. L’atmosfera è rilassata e gioiosa, facciamo due chiacchiere con i padroni di casa e cerchiamo di carpire dai nostri agenti quali formaggi potrebbero esser interessanti per i nostri clienti. In questa sede facciamo nascere l’idea di inserire in gamma la Toma da Polenta e il Birba Blu che poi abbiamo presentato a Sapori a ottobre e che il mercato sembra aver percepito positivamente. Alcune idee fanno capolino all’improvviso e altre invece arrivano, quasi naturalmente, con tempi più compassati. Con Enrico e Maria è successo così, ci conosciamo da tanti anni, ma forse solo recentemente abbiamo trovato il modo di fare un cambio di marcia.
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BIRBA BLU Erborinato vaccino a pasta semidura affinato con birra artigianale. Equilibrato, presenta note di burro e birra; l’erborinatura conferisce piccantezza e note di pera e banana cod 31279 | peso 2,5 kg circa
novità a catalogo
FASSONE PIEMONTESE: LA SFIDA CONTINUA Alessandro De Conto Responsabile Commerciale
NOV
ITÀ
Abbiamo imparato a conoscere Coalvi negli anni per la Bresaola e il Carpaccio di Razza Piemontese, ora integriamo in assortimento anche la carne fresca 3 minuti di lettura
1.300 numero di allevamenti sul territorio piemontese
50 numero medio di capi per allevamento
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macelli autorizzati
SCOPRI DI PIU'
Scopri tutte le referenze che abbiamo inserito nel nostro assortimento chiedendo al tuo agente di riferimento!
NUOVA LINFA Da tempo sentivamo il bisogno di cambiare linea di Fassone Piemontese, di avviare un rapporto nuovo che ci desse nuova linfa e nuove sicurezze. E così, quasi senza volerlo, durante una delle mille telefonate dell’estate scorsa, abbiamo scoperto che Coalvi (Consorzio di Tutela della Razza Piemontese) aveva già in corpo un progetto di distribuzione di carne fresca: credo non serva ribadire di quale razza ma bensì cominciare a entrare nel merito della proposta. La filiera di allevamenti che aderiscono al disciplinare si stende sul territorio del basso Piemonte, in particolare nelle province di Cuneo, Asti e Torino. Parliamo in totale di 1300 piccoli allevamenti a carattere familiare; è forse questo un unicum del territorio italiano, in particolare delle regioni del nord dove, al contrario, è sempre più scarsa la presenza di micro allevamenti familiari. IL DISCIPLINARE È grazie al lavoro di selezione degli allevamenti che i capi di Razza Piemontese forniscono un’eccellente qualità di carne e una migliore conformazione delle fasce muscolari del posteriore. Si ricorda qui infatti che il termine Fassone Piemontese (denominazione tutelata da un disciplinare) si rifà a un'espressione dialettale piemontese “da facon“ - “fassone“ - “della coscia” e si riferisce a un bovino con fasce muscolari iper sviluppate (ipertrofia muscolare). Il disciplinare Coalvi tutela e regola tutta la filiera, garantisce che l’ingrasso dei bovini da carne avvenga nel corso di almeno un anno, e si basi su un’alimentazione ricca di cereali (orzo, mais, crusca e soia) e foraggi. Solo tra i 12 e i 24 mesi di vita i bovini (maschi in questo caso) vengono avviati a un macello dove oltre all’abbattimento del capo, avviene anche il sezionamento nei vari tagli. VALSANA | 08
TRITA SCELTISSIMA PER TARTARE Carne trita ottenuta prevalentemente da tagli di posteriore di bovini di Razza Piemontese; è perfetta condita solo con olio evo e sale cod 84750 | box da 120 g x 10
HAMBURGER PRIME Hamburger di Fassone Piemontese ottenuto esclusivamente da carni senza aggiunta di altri ingredienti; perfetto per la griglia o per panini gourmet cod 84752 | box da 150 g x 10
CUBOTTO PER TAGLIATA DI COSCIA Monoporzione per tagliata ottenuta da tagli di coscia (fesa, noce e scamone) di Fassone Piemontese; ideale per la griglia cod 84751 | box da 200 g x 10
COSTATA DI FASSONE PIEMONTESE Uno dei tagli più famosi per la griglia; presenta una fibra muscolare ben sviluppata e una carne magra cod 84759 | box da 700 g x 5 su prenotazione
ASADO DI FASSONE PIEMONTESE Taglio di anteriore (costata di manzo) adatto per la cottura su griglia, dal gusto saporito conferitogli dalla marezzatura di grasso cod 84761 | box da 800 g x 3 su prenotazione
ENTRECÔTE DI FASSONE PIEMONTESE Chiamata anche Ribeye, è la parte anteriore del sottofiletto e il taglio perfetto per ricavare bistecche da cuocere ai ferri cod 84766 | 5 kg circa su prenotazione
LA SELEZIONE Il progetto che vi stiamo presentando colleziona una serie di proposte piuttosto importante che spazia dai prodotti di servizio (coscia sceltissima trita, hamburger e tagliata) ai grandi classici (lombate, costate, fiorentine, scamone, codone, controfiletto ecc), fino ad alcuni tagli più moderni (tomahawk c/osso nudo, coste per l’asado ecc). Abbiamo rilanciato il progetto del Fassone Piemontese, dopo diversi anni, perchè crediamo che sia una carne adatta ai tempi, adatta alle necessità di un consumatore che sempre di più privilegia la scelta di carni non troppo ricche di grasso di marezzatura e morbide. Inoltre è una razza che si presta a un concetto di sostenibilità della macellazione, ovvero si valorizza per intero. Dai tagli di posteriore per griglia, tartare, bresaole e carpacci, fino ai tagli di anteriore per bolliti, hamburger, arrosti e chi più ne ha più ne metta. Riflettete su quanto invece sia difficile ottimizzare anteriore e posteriore con le razze che hanno un’importante marezzatura di grasso, che si esprimono alla grande in griglia, ma poi... Questo è il grande cruccio di chi alleva bovini da carne oggi, riuscire a mantenere alto l’interesse del mercato per i tagli di anteriore in modo da mantenere calmierato il valore del posteriore. Quando smetteremo di mangiare bollito o di usare tagli come il reale, o la punta di petto, allora i tagli da griglia diventeranno un vero bene di lusso. LA TRITA SCELTISSIMA Lasciatemi ora spendere due parole sulla carne trita per battuta, si tratta di una carne sceltissima, ottenuta prevalentemente da tagli di posteriore di bovini adulti: si sa quanto sia saldo, nell’immaginario collettivo, il connubio tra battuta e Fassone Piemontese. La carne viene sminuzzata in modo classico con il cutter, e non contiene alcun tipo di conservante, la durata vita si aggira attorno ai 7-9 giorni al momento della consegna. Vi consiglio sempre di ossigenare la carne per 5-6 minuti prima di prepararla e servirla al cliente, in modo che riacquisti il suo colore originale e possa esprimere tutta la sua dolcezza e delicatezza, senza riportare fastidiosi sentori di sangue o stantio. La porzione è pari a 120 g. Ci auguriamo che la nuova linea trovi gradimento e solidità nel tempo. Non esitate a inviarci i vostri pareri, e qualora abbiate bisogno di tagli anatomici che al momento non sono in gamma avvisate subito il vostro agente di riferimento, provvederemo a muoverci il più velocemente possibile. VALSANA | 09
novità a catalogo NOV
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FOLLADOR: PIÚ DUE Alessandro De Conto Responsabile Commerciale
Si allarga la nostra proposta di panificati di casa Follador con una morbido pane in cassetta preaffettato e una croccante pizza in pala 2 minuti di lettura
NUOVI ARRIVATI
LA TAVOLOZZA
Quando si lavora con Antonio Follador difficilmente si corre il rischio di rimanere fermi: le idee, gli stimoli e le nuove proposte non mancano mai. Dopo l’esperienza positiva del primo anno di lavoro con i suoi panificati, il ritorno in termini di bontà e servizio è decisamente positivo e questo ci ha incoraggiato, prima a dar il via al progetto "panettoni", e poi a mettere in cantiere un altro paio di inserimenti sul fronte dei panificati.
Il secondo, la Tavolozza, ha in sé una spinta maggiormente innovativa, non tanto nella forma in cui si presenta, bensì nella resa finale. Si tratta di una pizza in pala biologica di dimensioni importanti (20x50 cm), l’impasto è lavorato partendo dalla biga e ripreso con un mix di farine biologiche di grano tenero, farro spelta, grano Senatore Cappelli, segale, riso e avena. Il nome “ Tavolozza” evoca creatività e fantasia, infatti sono multiple le soluzioni in termini di rigenerazione e farcitura. Il suggerimento è quello di rigenerare la pala in forno a 250°C per 5 minuti e all’uscita subito tagliarla a metà in modo che evapori la parte umida e venga preservata la fragranza del prodotto. Si può poi farcire a mo’ di panino e apprezzarne l’assoluta friabilità e croccantezza, vi assicuro che il risultato è straordinario.
Ci troviamo quindi a inserire ora il Pan Quadro e la pizza in pala “Tavolozza”. IL PAN QUADRO Il primo prodotto è un grande classico, va nell’ottica di offrire un’alternativa per toast, club-sandwich e base per crostini o tartine: si tratta di un pane in cassetta già preaffettato, in fette quadrate da 12 cm per lato. È un pane morbido e profumato, prodotto in pieno stile Follador, con lievito madre, farina di frumento di tipo 1, semola di grano duro rimacinato, farina di tipo 0, farina di farro bio di origine friulana e farina di segale integrale. Può essere consumato tal quale, ma indubbiamente un passaggio di rigenerazione di qualche minuto o in forno o nella tostiera può regalare croccantezza e fragranza.
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IMPRONTA FOLLADOR Entrambe le referenze sono abbattute subito dopo la produzione, decongelate e conservate in atmosfera modificata con una durata vita di 30 giorni al confezionamento.
Alcune ricette di Antonio
UN TRAMEZZINO ALTERNATIVO
PAN QUADRO Pane morbido in cassetta, già preaffettato, prodotto con farina di frumento di tipo 1, semola di grano duro rimacinato, farina di tipo 0, farina di farro bio e farina di segale integrale. Ideale per toast, club-sandwich, o come base per crostini o tartine cod 95031 | peso 450 g circa busta da 8 fette box da 6 buste
Il pan quadro è l'ideale per tramezzini e sandwich: in questa deliziosa proposta di Antonio è stato utilizzato il Pan Quadro farcito con una crema di zucchine, tonno Bonito del Norte e fiori di zucca
PAN QUADRO VERSIONE TOAST Dalle dimensioni ideali per la realizzazione di toast, qui Antonio propone una versione classica con Cotto Alta Qualità Rustichello, del filante Formaggio Sesto in stanga, e rucola selvatica o valeriana
PIZZA IN PALA
TAVOLOZZA BIO Pizza in pala prodotta con un mix di farine biologiche di grano tenero, farro spelta, grano Senatore Cappelli, segale, riso e avena. Dalle dimensioni importanti, si distingue per friabilità, croccantezza e versatilità. Ideale farcita in superficie o in stile panino, anche in versione dolce cod 95030 | peso 650 g circa box da 8 pezzi
Dopo aver rigenerato la pala in forno a 250°C per 5 minuti, Antonio consiglia di utilizzarla come se fosse la base per una pizza: adagiateci sopra la mortadella, un po' di stracciatella di bufala e granella di pistacchio. Capolavoro assicurato!
LA TAVOLOZZA DOLCE Una versione dolce pensata per un dessert sfizioso: la tavolozza è stata spennellata con una bagna di acqua e rum, cosparsa di zucchero di canna, quindi rigenerata in forno a 250°C per 5 minuti. Antonio ha tagliato la pala a metà e l'ha farcita con crema pasticcera e gocce di cioccolato fondente.
affinità di coppia
SAKE E FORMAGGIO Giulia Bassetto Marketing e Comunicazione
Abbinamenti nuovi, sapori da scoprire, combinazioni intriganti: il nostro viaggio nelle affinità tra bevande e formaggi inizia dal Sake, il fermentato di riso del Sol Levante 2 minuti di lettura
L’ESPERTO SAKE: UN CUGINO DEL VINO
MARCO MASSAROTTO Noto imprenditore nel campo della digital communication e della sustainability, fondatore delle Cortina Accademy, si dedica negli anni al Giappone e fonda Nippon Concierge per la diffusione della cultura ed enogastronomia giapponesi. È consulente commerciale sul sake. ABBINAMENTI SAKE E FORMAGGIO (prenotazioni dal 8/2)
Sei interessato ad approfondire il mondo del sake con a noi e Marco Massarotto? Partecipa al laboratorio in Valsana il giorno 23 febbraio! Per info e prenotazioni chiamaci allo 0438 1883125, visita il link valsana.link/evento-sake o scansiona il codice QR
Un domanda su tutte: cos’è il sake? È la bevanda storica tradizionale del Giappone, prodotta da 3000 anni in tutto l’arcipelago nipponico. Si tratta di un fermentato con gradazione alcolica simile a quella del vino (12-17% vol) che sta suscitando grande curiosità e interesse tra sommelier, chef e appassionati. Ci prendiamo poche righe per descrivere questa bevanda, consigliando a chi è interessato ad approfondire di leggere il libro “Sake - Il Giappone in un bicchiere” di Marco Massarotto, che abbiamo intervistato e che ci ha aiutato a scrivere quest’articolo. AFFINITÀ ORGANOLETTICHE Il sake deriva dal riso, un ingrediente centrale nella cultura italiana: il riso accompagna gli ingredienti del territorio in alternativa al pane, quindi perché non anche in forma di bevanda? Il sake porta in tavola la possibilità di arrotondare, sgrassare e servire l’ingrediente di turno, interagendo molto bene perfino con i cibi salati: non a caso, la cucina giapponese è incentrata su sapori spesso sapidi, derivanti da fermentazioni, marinature e affinature. Il sale amplifica il sake esaltandone gli aromi fruttati, permettendo così alla bevanda di ammorbidire anche cibi importanti come formaggi o carne. I cibi sapidi, ricchi di umami (il quinto gusto scoperto dai giapponesi che ricorda sensazioni di sapidità e pienezza al palato), come il nostro Parmigiano Reggiano DOP o le ricche pappe al pomodoro, trovano nel sake un fattore di moltiplicazione di queste note. Pietanze spiccatamente dolci si armonizzano bene con sake dolci, mentre le note acide portano a esaltare la dolcezza della bevanda. Ma le caratteristiche forse più importanti del sake sono la bassa acidità e il finale corto:
EVENTO SU PRENOTAZIONE
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la prima permette di ammorbidire e sgrassare, mentre il finale corto si traduce in un fattore di esaltazione del cibo, lasciando al palato una memoria del piatto degustato. TECNICHE DI ABBINAMENTO In generale il sake si abbina al cibo per proporzionalità di corpo e complementarietà di acidità e sale, andando ad abbinare sake dolci e con bassa acidità a pietanze dolci, e sake più corposi con note di cereali a piatti più importanti e salati. Per fare alcuni esempi, sono molti i prodotti a noi vicini che si sposano con il sake: formaggi freschi e delicati interagiscono bene con sake leggeri e non filtrati, mentre i formaggi più stagionati trovano il perfetto abbinamento con sake corposi e invecchiati. Prosciutti, carni salade, salumi affumicati ma anche i grandi tagli da griglia come la fiorentina, nel sake trovano un abbinamento in grado di reggere la succulenza, smussare la sapidità e lasciare la bocca pulita ma profumata degli aromi della carne. Pesci, tra cui crostacei, vongole, ostriche o aragoste, vengono proposti con sake raffinati e delicati, che restituiscono una sensazione di eleganza, evitando sensazioni spigolose o metalliche. Infine i dolci, tra cui il gelato, che assieme ai sapori lattici e di cereali del sake garantiscono un’esperienza unica. IL SERVIZIO Essendo un prodotto da tavola va versato nel classico calice da vino bianco oppure nel tradizionale bicchiere ochoko quando si desidera servirlo caldo. La temperatura di servizio ottimale è tra i 5 e gli 8 °C (40-50 °C quando servito caldo), ma sarà necessario tenere in considerazione anche la tipologia di cibo abbinato così come le condizioni climatiche esterne.
tatenokawa x azumi kamiyama “leave no one behind kodakara apple” CANTINA TIPO INTENSITÀ E GRADO SERVIZIO CARATTERE CONSIGLI IL NOSTRO ABBINAMENTO
kurand matcheese
kura maibijin 2015 muroka genshu koshu nd matcheese
Tatenokawa prefettura: Yamagata
Miyoshikiku prefettura: Tokushima
Mikawa prefettura: Fukui
Sake alla frutta
Futsushu
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✺✺
✺✺✺
8% vol
15% vol
18% vol
Temperatura ideale: 8 - 10 °C
Temperatura ideale: 5 - 10 °C
Temperatura ideale: 5 - 10 °C oppure caldo
Leggero, fresco, di buona acidità
Dolce e con una forte acidità
Invecchiato, ricco, dal pronunciato gusto di umami
Ottimo come aperitivo, liscio oppure nei cockatail in miscelazione con altri liquori, perfetto con i dolci
Ideato per l’abbinamento con i formaggi, ottimo sia con quelli freschi che stagionati; da provare anche con i dessert
Può essere gustato liscio, freddo o caldo; ottimo con anguilla, frutti di mare, cioccolato fondente
STRAVACCO MORLACCO STRAVAGANTE
CACIO DI VENERE
BLUE STILTON CROPWELL BISHOP
cod 30288 | peso 2 kg circa
cod 31354 | peso 7,5 kg circa
Il sake infuso alla mela, con il suo portato lattico e fruttato, si lega bene a un formaggio con una pasta molle e ricca di sentori complessi come questo: un matrimonio di due “stravaganze”
Un sake sviluppato in collaborazione con uno chef giapponese specializzato in formaggi: dolcezze e acidità collaborano a esaltare formaggio ovino e tartufo
Junmai Ginjo
cod 46820 | peso 7,5 kg circa
Un sake senza filtratura, non diluito e invecchiato 5 anni per gestire il carico salino e di muffe di questo erborinato e avvolgerlo di aromi di frutta passita, miele, zucchero a velo e note ossidative
dialoghi
I COSTI DEL LATTE CRUDO Giulia Basso giornalista collaboratrice de Il Piccolo di Trieste
Sostenere i piccoli produttori-allevatori di alpeggio e riconoscere il valore, anche economico, dei loro prodotti: vi presentiamo i risultati di una ricerca che ci ha colpito e che è tra i driver del progetto Estrema d’Alpeggio Fontina DOP 4 minuti di lettura
L’intervista al prof. Francesia è il primo appuntamento di una serie di interviste a personaggi del settore agroalimentare su temi che ci stanno particolarmente cuore.
LA RICERCA IN SINTESI · Remunerazione oraria media dell’imprenditore zootecnico Produzione e vendita di latte crudo: 3,10 €/h Trasformazione in formaggi di un solo tipo: 5,28 €/h Trasformazione più diversificata (latte, formaggi, yogurt, gelato): 11,02 €/h
Carlo Francesia è il responsabile dell’unità di ricerca di Economia agraria dell’Institut Agricole Régional (IAR) della Valle d’Aosta. Laureato in Scienze agrarie, appassionato di temi legati al territorio, alla montagna e al marketing dei prodotti agroalimentari, è docente presso l’istituto di formazione superiore dello IAR. Insegna principalmente materie economiche, politica agraria, estimo e marketing nelle classi quarte e quinte, ma nel tempo si è occupato anche di corsi di formazione continua per adulti.
· Consistenza media di stalla considerata 🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄 🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄 🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄 🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄🐄 🐄🐄🐄🐄🐄 45 vacche razza Valdostana Pezzata Rossa
· Fabbisogno di lavoro per produzione latte crudo (ore annue)
850 h/anno gestione prati
5350 h/anno
100 h/anno per vacca (45 vacche in media)
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Intervistiamo Carlo Francesia, dell’Institut Agricole Régional della Valle d’Aosta a proposito della sua ricerca sulla remunerazione del lavoro dell’imprenditore zootecnico, per capire quali sono i costi di una produzione di formaggi a latte crudo. Quello del piccolo imprenditore zootecnico montano è un lavoro duro, fisicamente pesante e a tempo pieno, senza sabati né domeniche. La produzione per la vendita del solo latte crudo prevede circa cento ore annue di lavoro per ogni vacca, cui si aggiungono circa 850 ore per la gestione dei prati. Si tratta di lavoro molto poco remunerato: con la sola produzione di latte crudo un allevatore guadagna poco più di 3 euro l’ora. Il discorso cambia quando, anziché conferire il latte in caseificio, si decide di intraprendere in “casa” la sua trasformazione in altri prodotti, dal formaggio allo yogurt. Lo studio realizzato qualche anno fa dall’Institut Agricole Régional della Valle d’Aosta ha cercato di mettere nero su bianco questi dati e sfruttarli per la costruzione di diversi scenari, per capire come valorizzare il lavoro dell’imprenditore zootecnico valdostano. Lo studio fa il punto su costi di produzione e redditività delle aziende lattiero-casearie valdostane di fondovalle, che fanno capo ai caseifici cooperativi. È una ricerca replicabile anche in altri contesti, a patto di modificare i parametri dipendenti dal territorio di riferimento, ci dice Carlo Francesia, uno degli autori. Quest’anno lo stesso metodo verrà usato per studiare le aziende valdostane di alpeggio.
Professore, perché avete deciso di avviare questo progetto? Dal mondo zootecnico ci è giunta la richiesta di indagare la questione dei costi di produzione del latte, mettendoli in relazione al prezzo pagato dai caseifici del “sistema Fontina” nell’ottica di immaginare un’eventuale trasformazione delle aziende zootecniche. Così abbiamo ipotizzato diversi scenari di trasformazione, con l’obiettivo di fornire spunti di riflessione agli imprenditori così come ai decisori politici. Quali sono gli scenari? Il primo contempla il semplice conferimento del latte crudo in caseificio, il secondo la trasformazione del latte in una tipologia di prodotto lattiero-caseario (formaggi freschi o formaggi stagionati), il terzo la trasformazione in molte tipologie di prodotti, dai formaggi allo yogurt, fino al gelato. Quali i risultati emersi? Con la differenziazione si genera valore aggiunto. Nei casi di differenziazione più spinta la remunerazione oraria raddoppia, passando dai 3,10 euro agli 8,65 euro, in certi casi arrivando fino a 11 euro l’ora. Ma c’è un problema. Quale? La trasformazione richiede alcuni investimenti: serve un laboratorio, una cantina per la maturazione, dei macchinari, un punto vendita. Ma il principale problema è legato ai picchi di lavoro. Un’azienda zootecnica montana è già oberata di lavoro: si stimano circa 4000-5000 ore annue divise per le due-tre persone parte del nucleo familiare. Aggiungere altre mansioni legate
alla produzione e alla maturazione dei formaggi comporta un surplus di lavoro che può arrivare anche a 4000 ore in più. Servono almeno altri due lavoratori, che hanno un costo medio di 11 euro all’ora. Che soluzione potrebbe esserci allora? Potrebbe entrare in gioco un sistema di tipo associativo. Mettendo in sinergia aziende che si specializzano in uno o due prodotti e li vendono con marchio comune nei negozi della valle si potrebbero evitare i problemi menzionati. Sarebbe una soluzione sostenibile, che consentirebbe all’azienda una vita migliore e potrebbe fornire uno stimolo ai giovani che vogliano intraprendere questo mestiere.
IL CONS IGLIO D EL PROF. F RANCES IA
Oltre all’aspetto economico, quali sono le altre ricadute positive di queste attività sul territorio? Un’azienda agricola zootecnica oltre a produrre cibo aiuta a conservare la biodiversità ambientale attraverso la presenza del bestiame nei pascoli e nelle superfici di alpeggio. Ciò garantisce anche una migliore regimazione delle acque e tenuta dei versanti. Altri aspetti rilevanti sono il mantenimento della popolazione sul territorio montano e la preservazione della relativa cultura. Oltre alla Fontina, c’è qualche altro formaggio del territorio che consiglierebbe? Mi piacciono molto le tome d’alpeggio, fatte con latte scremato. La più famosa è la Toma di Gressoney, un prodotto delicato, ottimo per applicazioni gastronomiche, che permette anche una buona produzione di panna d’affioramento.
TOMA DELLA VALLE DI GRESSONEY Toma prodotta in alpeggio con latte crudo parzialmente scremato, affinata da Nicoletta; dolce, fondente, con leggere note animali e di cantina cod 31208 | peso 3 kg circa
chiedilo al macellaio NOV
UN TAGLIO... D’ASCIA
ITÀ
Parliamo di Tomahawk: la costata che sta prendendo sempre più piede in Italia 2 minuti di lettura
Sara Mazzucco Ufficio Qualità
TOMAHAWK Taglio di carne dell’anteriore di bovini di Razza Piemontese dalle dimensioni importanti; è perfetto sulla brace o sulla griglia cod 84758 | 1,5 kg circa su prenotazione
ENTI
ABBINAM
LA MATERIA PRIMA La nostra selezione di quest’iconica “bistecca di brontosauro”, o cosiddetta Tomahawk, è prodotta da bovini di Razza Piemontese, provenienti da allevamenti iscritti al Consorzio di Tutela ‘Coalvi’. Al Consorzio aderiscono più di un migliaio di aziende, per lo più a conduzione famigliare, che allevano i bovini secondo un rigido disciplinare. La carne di Piemontese è stata oggetto di svariati studi che ne hanno confermato il ridotto contenuto di colesterolo e di grasso (< 2%), ma allo stesso tempo una notevole presenza di acidi grassi a lunga catena (i cosiddetti acidi grassi buoni) identificandola come una tra le carni più salubri dal punto di vista nutrizionale. Inoltre, una mutazione genetica della Razza Piemontese ha portato l’animale a sviluppare un’ipertrofia muscolare e una minore quantità di tessuto connettivo che conferiscono alla carne estrema tenerezza. CARATTERISTICHE Entriamo nel vivo: la Tomahawk di Piemontese può essere considerata una vera e propria costata di manzo ricavata dalla parte anteriore della lombata e più precisamente tra la sesta e la decima vertebra dorsale. Questo taglio deve il suo nome alla forma che assume una volta rifilato dalle cartilagini: l’osso della costola infatti viene lasciato ben pulito tomahawk
lombata
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e intatto nella sua intera lunghezza di ben 30 cm andando a ricordare l’impugnatura di un’ascia primitiva. La parte di carne che rimane attaccata è l’entrecôte: taglio molto pregiato, con una significativa quantità di fibre sottili che conferiscono un’estrema tenerezza alla carne e una diffusione omogenea del grasso, che in cottura si scioglie rapidamente conferendo un gusto intenso e succulento. IN TAVOLA Per esaltare al meglio questo taglio è preferibile optare per una cottura alla brace e gustare la carne al sangue: si esalterà così il un sapore unico, sapido e pieno di una carne estremamente morbida al morso. Una vera prelibatezza! ABBINAMENTI Puntarelle, Carciofi e Cipolla: assieme alla carne, disponete sulla griglia i carciofi tagliati a spicchi e insaporiti con la menta e le puntarelle pulite. Spolverate gli anelli di cipolla con zucchero di canna e fate caramellare sul fuoco. Patata al cartoccio: cuocetele con la buccia in forno avvolte nella stagnola per 1 ora. Incidete nel senso della lughezza e servite con panna acida, erba cipollina, olio evo, sale e pepe q.b.; un’ottima alternativa è utilizzare la salsa bernese.
il prodotto dimenticato
CASTELMAGNO Un erborinato italiano che si è guadagnato un posto a tavola alla corte di Carlo Magno Gianluca Di Lello Export Manager
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CARATTERISTICHE Può essere prodotto con tre latti: da disciplinare sono consentite aggiunte di latte ovino e caprino tra il 5% e il 20%, anche se nel caso di La Meiro viene prodotto con latte 100% vaccino. Esistono due tipologie di Castelmagno: di montagna e d’alpeggio. Quali sono le principali differenze? Il Castelmagno di montagna viene prodotto nel periodo tra ottobre e fine giugno con il latte delle bovine in stalla alimentate con fieno proveniente dai pascoli del territorio di produzione; l’utilizzo degli insilati è vietato. Nel prodotto di alpeggio, invece, il latte proviene esclusivamente da animali allevati in alpeggio tra fine giugno e ottobre, alimentati al pascolo con almeno 90% di flora locale e tutto il processo produttivo, compresa la caseificazione, avviene in quota, sopra i 1000 metri di altitudine. La distinzione visiva poi è immediata, già delle etichette: il prodotto di montagna ha l’etichetta blu, mentre il prodotto di alpeggio ha l’etichetta verde.
PRODUTTORE La Meiro è un’azienda familiare fondata da Giorgio Amedeo per la produzione e la stagionatura del Castelmagno di montagna DOP e d’alpeggio DOP, quest’ultimo Presidio Slow Food dal 2005. Grazie a Giorgio, al figlio Andrea e a tutti i malgari, questo formaggio viene preservato e valorizzato da generazioni.
TERRITORIO Siamo in Piemonte, precisamente nel cuneese, nei tre comuni previsti dal disciplinare DOP: Castelmagno, Pradleves, Monterosso Grana. La Meiro si trova a Chiappi, nella più alta frazione del comune di Castelmagno (CN), dove avviene la stagionatura all’interno di grotte sotterranee di tufo romano, una pietra naturale in grado di mantenere alto il livello di umidità.
CURIOSITÀ
4 cose da ricordare
Nuovo anno, nuovi propositi, “nuovi” prodotti dimenticati. In questo primo numero di “Selezione di Sapori” riscopriamo uno dei prodotti più importanti e antichi del panorama lattiero-caseario italiano: il Castelmagno. Le storie e gli aneddoti che avvolgono questo prodotto sono molteplici, per citarne una, tra le più eclatanti, c’è quella dell’amore sconfinato di Carlo Magno per questo formaggio. Oltre le leggende il Castelmagno, dopo aver raggiunto la DOP, si è ritagliato uno spazio importante nella gastronomia nazionale e internazionale anche grazie alle sue caratteristiche intrinseche: montagna, latte crudo, alimentazione animale sana e tecnica di produzione unica. Questi gli elementi che permettono a questo prodotto di sedersi al tavolo dei grandi erborinati europei.
Non tutti sanno che il Castelmagno appartiene alla categoria degli erborinati spontanei. Significa che lo sviluppo delle muffe avviene senza induzioni: la pressatura manuale imperfetta e l’ambiente di stagionatura umido permettono la proliferazione della tipica e preziosa erborinatura del Castelmagno. Negli altri erborinati come Gorgonzola o Roquefort, invece, viene aggiunto il Penicillium Roqueforti per favorire lo sviluppo delle muffe.
IN CUCINA Idea fast: gnocchi al Castelmagno con nocciole. Condite i vostri gnocchi con fonduta di Castelmagno e arricchite il tutto con granella di nocciole tostate. Il sapore erbaceo del Castelmagno, la dolcezza degli gnocchi e le note tostate della nocciola vi stupiranno. Idea slow: raviolo ripieno di patate e Castelmagno condito con fonduta di Morlacco. Piemonte e Veneto che si amalgamano perfettamente: un po’ impegnativo ma assolutamente soddisfacente.
CASTELMAGNO STAGIONATO DI MONTAGNA Classico formaggio piemontese DOP prodotto con latte crudo e stagionato almeno 6 mesi
cod 31031 | 4 kg circa cod 31031F04 | 1 kg circa
dietro le quinte
SELEZIONIAMO CON GUSTO Martina Iseppon Responsabile Marketing
È il cuore del nostro lavoro ed è anche una delle attività che più ci piace: la ricerca di nuovi prodotti, la valutazione organolettica e la scelta delle novità da proporvi 4 minuti di lettura
Lo scorso anno vi abbiamo raccontato come sono strutturate alcune attività operative, dal frazionamento dei formaggi all'evasione degli ordini. Quest'anno ricominciamo dal principio, per raccontarvi come funziona il processo di ricerca, selezione e inserimento dei nuovi prodotti: un'attività che rappresenta il cuore pulsante di Valsana, che più ci identifica e differenzia.
155 numero di nuovi prodotti inseriti nel 2021
"Selezioniamo.. con gusto" è il payoff con cui abbiamo scelto di presentarci, perchè in due parole esprime al meglio quello che facciamo: scegliamo i prodotti, o ancora meglio i produttori su cui vogliamo investire, e lo facciamo "con gusto", perchè ricercare nuove idee, scegliere con chi lavorare, aiutare i piccoli produttori a sviluppare assieme il mercato e, a volte anche il prodotto, è davvero quello che più ci piace fare.
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2,4% quota di fatturato da nuovi prodotti nel 2021
30 appuntamenti annuali del team di assortimento
IL TEAM DI ASSORTIMENTO
Chi è il fortunato che si occupa di questa attività? È una domanda che ci viene rivolta spesso, ed è anche una posizione per la quale riceviamo tante candidature. In realtà nella nostra azienda non c'è un solo fortunato: l'attività di selezione viene portata avanti dal team di assortimento, un gruppo di lavoro che coinvolge i responsabili di più funzioni aziendali. Innanzitutto Alessandro De Conto, nostro Direttore Commerciale: una figura naturalmente coinvolta nel processo di ricerca e selezione, in quanto raccoglie le richieste della rete vendita e, nella relazione con il mercato, riesce a intercettare la domanda, le dinamiche competitive e lo stadio del ciclo di vita in cui si trova ciascun prodotto. Nel team di assortimento è poi coinvolto anche il marketing. Ebbene sì, anche io faccio parte di questo gruppo di privilegiati, con un duplice obiettivo: da un lato aiutare il commerciale a intercettare quei trend che ancora non sono bisogni dichiarati, dall'altro per immaginarci fin da subito, nel confronto diretto con il produttore, le attività a supporto dei nuovi inserimenti.
Non poteva mancare nel team di assortimento la nostra Responsabile Qualità, Giorgia Barbaresco. Lei è la "tecnica" del gruppo, quella che fa più domande, sia durante le visite che nella verifiche documentali, ma che sa anche mettersi nei panni del produttore, grazie alla sua esperienza in produzione, e che ci permette di garantire lo standard di qualità che negli anni è diventato parte dell'identità della nostra azienda. E infine l'ufficio acquisti, nella persona di Enrico De Conto. Sono proprio gli acquisti infatti a relazionarsi in prima persona con i produttori, una volta che è stato deciso l'inserimento a catalogo, per gestire gli ordini. Capire i tempi di consegna e valutare se la shelflife è compatibile con la logistica, analizzare il listino prezzi, verificare la rotazione dei prodotti, sono tutte attività determinanti per il buon esito dell'inserimento. Insomma, un team che unisce competenze diverse, ma accomunato da un palato "educato" a scegliere prodotti in grado di regalare emozioni.
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LE DIREZIONI DI RICERCA
Come scegliamo su quali prodotti o linee focalizzare l'attività di ricerca e selezione? A inizio anno, e poi ogni due settimane, il team di assortimento si incontra per definire o rivedere le direzioni di ricerca, ossia capire su quali prodotti o linee di prodotto focalizzare l'attenzione. Un primo input fondamentale sono le richieste della rete vendita: quando più agenti raccolgono le stesse esigenze da più clienti, la richiesta viene inserita nella lista delle proposte di inserimento. Ma alcuni percorsi di ricerca posso partire anche dalla volontà di intercettare alcuni trend, come l'attenzione al benessere animale, la filiera corta, l'etichetta corta o più di recente la sostenibilità della produzione o del packaging. Altre volte abbiamo la necessità di sostituire un prodotto già in assortimento, perchè la rotazione delle scorte non è sostenibile o perchè non riusciamo più a garantire una qualità costante del prodotto.
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Pignoli per scelta LE MODALITÀ DI SELEZIONE
Quando "battezziamo" i prodotti da inserire, ci attiviamo per identificare i produttori che potenzialmente rispettano i nostri standard di qualità e di valori. La ricerca di produttori può avvenire per passaparola, attraverso suggerimenti raccolti dalla rete vendita o dagli stessi clienti, ma anche da altri produttori. Oppure, in alcuni casi, anche attraverso una ricerca online. Le fiere sono un altro canale importante di incontro, grazie alla possibilità di incontrare di persona i produttori e di assaggiare assieme i prodotti. Ma, a volte, la curiosità di scoprire un nuovo prodotto può nascere anche da una campionatura che lo stesso produttore ci invia, sia novità da fornitori con cui già lavoriamo, sia da nuovi contatti. Alla rosa di produttori selezionati in questa prima fase chiediamo innanzitutto di inviarci una campionatura, assieme alle schede tecniche e al listino prezzi, per poter fare una valutazione completa del prodotto e del suo posizionamento di mercato.
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IL PROCESSO DI INSERIMENTO
La prima valutazione organolettica è solitamente una valutazione comparata, in cui assaggiamo contestualmente più campionature dello stesso prodotto, ma di diversi produttori. A volte riusciamo a organizzare un blind test, in cui i prodotti vengono valutati alla cieca, per cercare di essere più oggettivi possibile nella scelta. Il produttore che passa questa prima fase di selezione viene quindi ricontattato per organizzare una visita sul campo: solitamente Alessandro, assieme a Giorgia, visitano personalmente l'azienda selezionata per toccare con mano modalità di allevamento, ambienti di produzione e di stagionatura, tecniche di lavorazione. Se anche questa fase viene superata, si procede con la richiesta di alcune campionature successive, per due motivi: assaggiare diversi lotti di produzione e verificare che la qualità del prodotto sia costante, ma anche verificare le modalità di confezionamento, etichettatura e spedizione, per capire se il prodotto ha i requisiti normativi e "riesce a viaggiare bene". Nel frattempo ufficio qualità e ufficio acquisti iniziano l'uno a verificare il rispetto dei requisiti normativi, analizzando le schede tecniche e gli altri aspetti documentali, e l'altro gli aspetti logistici, quali le tempistiche di spedizione, ma anche gli accordi commerciali su requisiti di prodotto e zone distributive, per redarre un capitolato di fornitura. Se va tutto a buon fine viene inserito il codice prodotto e iniziamo a lavorare sulla raccolta dei materiali per raccontare il prodotto, che solitamente prevedere la presentazione nel magazine e un incontro con la rete vendita, dove le novità vengono fatte assaggiare ai nostri agenti, preferibilmente assieme al produttore. Un processo piuttosto lungo, che ha l'obiettivo di riuscire a valutare in modo accurato la qualità del prodotto e la serietà del produttore, per riuscire a mantenere quegli standard sui quali la nostra azienda ha costruito la propria reputazione. Ci perdonerete allora se qualche volta siamo un po' lenti nel rispondere ad alcune richieste!
"Nessuno ci ha mai chiesto così tante informazioni, campionature o documenti": è il commento che spesso riceviamo dai produttori nella fase di selezione, dall'assaggio dei prodotti alla visita sul campo. Un processo articolato per garantire il rispetto dei nostri standard di qualità
l’italia è servita
IL BACCALÀ? OVVIO, ALLA VICENTINA! Proseguiamo il gustoso viaggio errante proponendo il nostro menu italiano: ripartiamo da un secondo veneto
Danilo Gasparini docente di Storia dell’agricoltura e dell’alimentazione all’Università di Padova
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Poesiola del Bacalà Chi xe che gà inventà “Polenta e bacalà”? No ghe xe al mondo un piato che possa starghe a peto, sia lesso o mantecato, col pien o col torceto. …Fato a la visentina, fato a la capuçina, de sera o de matina: che roba soprafina!
Il viaggio continua
Il baccalà... di Vicenza
È il momento dei secondi, secondo oramai la consolidata tradizione del “servizio alla russa”, voluto dal diplomatico russo Alexander Kurakin a inizi ‘800, servizio che smontava il piatto unico, “alla francese”, in una sequenza: per semplificare antipasti, primi, secondi, dolce, frutta… E come per i “primi”, semplifichiamo, molto, le scelte! Per il Nordest, il Veneto in particolare, non potevano che cadere sul “baccalà alla vicentina”. Per tante ragioni.
Questo piatto identifica Vicenza gastronomicamente, non meno di quanto non la identifichi il Palladio in un mondo ben diverso e più importante, ovviamente. È uno dei gastrotoponimi – quando un luogo si identifica con un prodotto, un piatto - più riconosciuti, tanto quanto il prosciutto di Parma o i fagioli di Lamon. Attorno poi a questo piatto è nata una delle più sontuose e attive confraternite: la Confraternita del bacalà alla vicentina, con una “c” mi raccomando.
Le storia Il Prodotto
BACCALÀ ALLA VICENTINA MARCOLIN Stoccafisso essiccato naturalmente, cotto in forno alla vicentina; si presenta a pezzettoni, grazie alla dimensione importante degli stoccafissi. Dal sapore intenso ed equilibrato.
Le ricette “sbagliate”...
Per quanto possa apparire poco verosimile il merluzzo è, senz’altro, fra i prodotti determinanti della storia. Questo pesce, noto nelle tavole di quattro continenti, è stato infatti, per oltre un millennio, uno degli elementi più importanti del commercio internazionale. In un romanzo di Walter Scott l’autore fa dire a un pescatore, nel mentre discute con un cliente il prezzo del merluzzo: “Non è un pesce che stai comprando, sono vite di uomini”. Sul nome lo sappiamo che noi veneti chiamiamo baccalà quello che in realtà è lo stoccafisso, il pesce bastone tanto per capirci. Anche sul leggendario viaggio di Pietro Querini, mercante veneziano, sappiamo tutto, come pure della sua fortuna sulle tavole quaresimali venete, semel in anno (una volta l’anno). Ma su questo rinviamo agli studi di Otello Fabris, Alfredo Pelle, Amedeo Sandri e Virgino Scapin. De hoc sufficit!
codice 95854 - peso 500 g codice 95855 - peso 1 kg VALSANA | 20
Non del baccalà mantecato, non del baccalà alla veneziana, alla cappuccina… Ma del “bacalà alla vicentina” vogliamo parlare. Pellegrino Artusi, la nostra suprema guida, dedica al baccalà otto ricette: baccalà alla fiorentina, alla bolognese, e al n. 513 lo “Stoccafisso in umido”, con l’aggiunta però di salsa di pomodoro. Non è il nostro! Piero Compresi, a commento della ricetta, cita il medico senese Ugo Benzi (1376-1439) che redige le “Regole della sanità et natura de’ cibi” (comparse a stampa a Venezia nel 1518). Scrive il nostro: “È il stochfis un pesce, ch’alcuna volta è trasportato da Norvegia, dove viene in copia nell’Italia… Dura anni, come fanno alcun’altri salati: ma inanzi che cuocerlo, bisogna prima smacarlo, et azzacarlo molto bene con mazze di legno, et indi si taglia a pezzi, et s’allessa: è un cibo saporoso preprandosi con buone spetie, et è di buono, et lodabile nutrimento…”. Siamo ancora lontani dalla nostra ricetta.
La Ricetta
Baccalà alla Vicentina Confraternita del Bacalà alla Vicentina “Una ricetta che è il frutto di studi e di comparazioni tra le numerose ricette in auge nei ristoranti e nelle trattorie più famose del Vicentino tra gli anni trenta e cinquanta” Ingredienti per 12 persone: 1 kg di stoccafisso secco, 250/300 g di cipolle, ½ litro di olio d’oliva extravergine, 3 sarde sotto sale, ½ litro di latte fresco, poca farina bianca, 50 g di formaggio grana grattugiato, un ciuffo di prezzemolo tritato, sale e pepe Ammollare lo stoccafisso, già ben battuto, in acqua fredda, cambiandola ogni 4 ore, per 2-3 giorni. Aprire il pesce per lungo, togliere la lisca e tutte le spine. Tagliarlo a pezzi. Affettare finemente le cipolle; rosolarle in un tegamino con un bicchiere d’olio, aggiungere le sarde sotto sale, e tagliate a pezzetti; per ultimo, a fuoco spento, unire il prezzemolo tritato. Infarinare i vari pezzi di stoccafisso, irrorati con il soffritto preparato, poi disporli uno accanto all’altro, in un tegame di cotto o alluminio oppure in una pirofila (sul cui fondo si sarà versata, prima, qualche cucchiaiata di soffritto); ricoprire il pesce con il resto del soffritto, aggiungendo anche il latte, il grana grattugiato, il sale, il pepe. Unire l’olio fino a ricoprire tutti i pezzi, livellandoli. Cuocere a fuoco molto dolce per circa 4 ore e mezzo, muovendo ogni tanto il recipiente in senso rotatorio, senza mai mescolare. Questa fase di cottura, in termine “vicentino” si chiama “pipare”. Servire con polenta.
... e quella giusta
La confraternita
Considerato cibo dei poveri, in Quaresima, il baccalà a Vicenza diventa nel tempo una pietanza dei ricchi perché la cottura “alla vicentina” trasforma “il volgarissimo, legnoso, arido e poco gustoso stoccafisso in un cibo delicatissimo, morbido, profumato e ricco d’infiniti sapori. Ma per ottenere sì miracolosa trasformazione – scriverà un anonimo gastronomo vicentino degli anni trenta - occorrono molti e costosi condimenti […] così che “il cibo dei poveri” finisce per diventare accessibile soltanto a chi possa pagarlo degnamente”, tanto che lo si può mangiare soltanto “in quelle famiglie in cui il culto della buona cucina viene mantenuto all’altezza…” mentre nelle osterie “il bisogno di venderlo a basso prezzo lo rende già meno perfetto”.
Così è andata la storia fino alla fondazione della “Confraternita del bacalà” nata a Sandrigo nel 1987, voluta dall’Avv. Benetazzo. Come atto conseguente avverrà il deposito ufficiale della “vera” ricetta del “Bacalà alla vicentina”, a imperitura memoria. Dimenticavamo: baccalà accompagnato rigorosamente con polenta gialla, come la mantellina che copre la sontuosa cappa velluto bruno-argenteo, che simboleggia le squame del merluzzo. Cappa e mantellina che assieme alla collana con il logo della confraternita costituiscono la divisa dei golosi confratelli.
Illustrazione di merluzzi (in alto) e illustrazione di pergole per far seccare il baccalà a Terranova (in basso). Immagini gentilmente concesse da Biblioteca Internazionale La Vigna, Vicenza
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i sommelier
COTTI... AL CALICE Tre salumi, una doppia proposta di abbinamento, e due punti di vista diversi, maschile e femminile 2 minuti di lettura Enrico De Conto Ufficio Acquisti
Prosecco col fondo Questo abbinamento vuole giocare sul contrasto tra la grassezza della pancetta e la bollicina non troppo aggressiva che solitamente caratterizza questi vini. Il residuo amarognolo del vino e la sua sapidità contrasteranno poi la dolcezza della carne.
Vino Nobile di Montepulciano La porchetta è sì grassa, ma pure le sue note aromatiche vanno valorizzate. Il Nobile di Montepulciano esalterà il carattere tostato del salume e gli aromi di erbe aromatiche. La trama tannica del vino aiuterà poi la bocca a prepararsi a un nuovo morso di porchetta.
Alsace Pinot Gris L’abbinamento del Pinot Gris Alsaziano con lo speck cotto penso possa farvi divertire: le note di fiori bianchi, frutta matura e un pizzico di zenzero andranno a braccetto con gli aromi del cibo. Un vino da scoprire, giocato su mineralità e freschezza.
Elisa Cibien Ufficio Acquisti
PANCETTA COTTA Pancetta del Salumificio Marini, cotta al forno, delicatamente speziata con semi di finocchio selvatico e un trito di erbe; il sapore è delicato, ricco di profumi di spezie fresche cod 78200 | peso 3 kg circa
PORCHETTA DI ARICCIA IGP La classica porchetta romana prodotta da Leopardi, dolce e con un importante contributo delle spezie; da mangiare con la cotenna cod 80811 | peso 5 kg circa tronchetto a metà
Cerasuolo d’Abruzzo DOC Vino a base di uve Montepulciano con un buon corpo e con i profumi e le acidità del frutto fresco. La nota vincente è il tannino che alla fine del sorso rivela una leggera nota mandorlata, amara, che ben accompagna la speziatura della pancetta.
Buttafuoco DOC dell’Oltrepò Pavese Uvaggio con Croatina, Bonarda e altre uve autoctone, presenta sentori floreali e di frutti rossi, un corpo rotondo, caldo e un profilo non particolarmente acido. Consiglio un’annata giovane che meglio evidenzia la speziatura del salume.
Fiano di Avellino DOCG
SPECK COTTO BERNARDI Speck prodotto da Karl Bernardi, cotto e leggermente affumicato, lavorato secondo la tradizione altoatesina cod 81054 | peso 3,5 kg circa
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Abbinamento tutt’altro che territoriale: un vino strutturato, dal profumo intenso di frutta matura e frutta secca. Si esprime in modo misurato, con equilibrio tra sapidità e acidità. La chiave dell’abbinamento è la nota leggera di zolfo, roccia e legno bruciato, tipica delle uve che crescono su suoli vulcanici.
l’internazionale
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LE REBLOCHON
Uno dei formaggi cardine degli inverni francesi, grazie al suo apporto energetico e di godimento Matteo De Santi Export Manager
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STORIA Il Reblochon nasce grazie a la droide de siege, una tassa che l’esattore riscuoteva dalle malghe in Alta Savoia per conto di nobili e monaci, e veniva calcolata in base ai litri di latte prodotti in un giorno. La tassa veniva pagata con burro e formaggio, ma un contadino deve pur campare no? Quindi il buon mungitore il giorno della conta praticava una munta parziale in modo da dichiarare una quantità inferiore di latte. Appena l’esattore se ne andava gli animali venivano munti una seconda volta. Questa munta aveva la particolarità di essere molto più cremosa rispetto alla prima, per cui fu deciso di utilizzare la seconda munta per creare un formaggio diverso che esaltasse questa caratteristica. Da qui nacque il Reblochon. ATTUALITÀ Il Reblochon è una delle grandi DOP francesi e conta una produzione di 16 tonnellate all’anno nel 2020. Parliamo di una produzione regionale dell'Alta Savoia, territorio al confine con la Svizzera, che può essere suddivisa in latiere e fermier. La nostra è una selezione fermier, un concetto francese che amplifica quello di filiera chiusa aggiungendo alcune specifiche: l'utilizzo di solo latte crudo e la lavorazione subito dopo la mungitura. Paccard, l’affinatore, completa il lavoro svolto dalla malga aggiungendo la stagionatura di 3-4 settimane. Parlando con alcuni dei nostri clienti francesi ho realizzato quanto il Reblochon sia valorizzato e sminuito allo stesso tempo, mi spiego. È un formaggio che dà il meglio di sé quando il latte presenta una crema abbondante e intensa, quindi quando il pascolo è più grasso, in primavera e inizio estate. Però in quel periodo non viene quasi per niente consumato perché per i francesi è legato alla tradizione dei formaggi invernali. Chiariamoci, è un ottimo formaggio tutto l’anno, ma sarei curioso di vedere se per noi
italiani, che non abbiamo questa limitazione, possa diventare godibile nel momento in cui è più performante. Vedremo, intanto non fatevi scappare un assaggio in questa stagione, che se i francesi hanno sempre fatto così qualche motivo ci sarà! IL CUGINO ITALIANO Vi chiederete se esiste un'alternativa italiana a questo formaggio: la risposta non è una sola, ma per mantenere l’asticella alta vi propongo lo Steiner, formaggio a crosta lavata di Eggemoa prodotto tutto l’anno a 1300 metri, in Alto Adige. Troverete una pasta cremosa molto simile a quella del Reblochon e un risultato in cucina di tutto rispetto. Fate un test per godervi un bel piatto di "Steinerflette"!
NOME Reblochon Savoie AOP Fermier PRODUTTORE Fromagerie Joseph Paccard
Appunti gastronomici La ricetta invernale per eccellenza è la Tartiflette: strati di fette di patate bollite, cipolla saltata con pancetta e infine Reblochon a coprire il tutto. Siccome "manca" un po’ di spessore viene anche aggiunta della creme fraiche per amalgamare il tutto. Altre ricette che potete considerare sono la Reblochonade (come la tartiflette, ma senza pancetta) e le Crozets de Savoie, che è una pasta di grano saraceno di piccole dimensioni cotta al forno con Reblochon, pancetta e funghi, molto simile ai pizzoccheri.
REGIONE Rhône-Alpes, Francia LATTE 🐄 vaccino Crudo Termizzato Pastorizzato RAZZE Abondance, Montbéliarde e Tarine PASTA molle, non cotta, pressata, di colore avorio CROSTA liscia e di color nocciola STAGIONATURA almeno 5 settimane SAPORE dai profumi intensi, al palato si rivela dolce, con marcati aromi di frutta secca e fieno PESO 450 g circa CODICE 46666
conservazioni cosmopolite
CERA UNA VOLTA Vittorio Castellani giornalista “gastronomade” www.ilgastronomade.com
Utilizzata fin dalla notte dei tempi, la cera d’api sta ritornando in auge, dopo essere stata usata per secoli come involucro per l’affinamento e la conservazione di tante delizie 4 minuti di lettura
Prima che gli uomini elaborassero tecniche di conservazione degli alimenti funzionali, le api c’erano già arrivate. Per poter conservare al meglio il loro miele, questi ingegnosi insetti hanno “inventato” la cera, prodotto di secrezione delle ghiandole ceripare delle api operaie, poste nella parte ventrale del loro addome. Questo piccolo contenitore esagonale, chiamato favo, è un meraviglioso agglomerato di migliaia di cellette costruite perfettamente dalle api per le loro necessità alimentari e produttive: può contenere infatti il miele, il polline e le loro larve. PERCHÈ LA CERA
SAN PIETRO IN CERA D’API Formaggio vaccino stagionato ricoperto in crosta con cera d’api. Al palato è dolce, con note di miele spiccate e sentori di vaniglia cod 30339 | peso 2,5 kg circa
La cera d’api crea un rivestimento naturale che protegge gli alimenti dopo il periodo della stagionatura, evitando la formazione di muffe o lo sviluppo di odori e sapori sgradevoli, come può accadere con il sottovuoto. Inoltre, è una sostanza chimicamente stabile, che resiste all’idrolisi e all’ossidazione e non si scioglie in acqua. Resiste al freddo e si liquefa al di sopra dei 62°C. Vantaggiosa anche per i lunghi trasporti perché non incide in nessun modo sul prodotto conservato, né altera la composizione chimicofisica e organolettica del prodotto al suo interno. La cera d’api rende possibile e favorisce il fenomeno della traspirazione, alla stregua dell’epidermide, del legno e del guscio d’uovo. La protezione della cera poi evita il rapido essiccamento del prodotto, garantendo la possibilità di fare scorte. LE ORIGINI L’uso della cera d’api è attestato dalla fine del VI millennio a.C., troverà larga applicazione nell’antico Egitto per l’imbalsamazione, ma bisognerà aspettare il Medioevo per scoprire
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che era in grado di conservare, trasportare e mantenere salumi e formaggi morbidi e freschi fino a 12 mesi dall’inceratura. La cera poi, affinando i prodotti, migliorava il gusto con sentori dolci e floreali e se, casualmente, veniva ingerita non aveva controindicazioni. Secondo la Medicina Tradizionale Cinese rappresentava anzi un rimedio. Il medico Zhang Zhongjing vissuto nel I secolo d.C. sosteneva che l’odore denso del miele nutriva la milza, quello della cera, sottile, nutriva lo stomaco; per questo usava prescrivere una zuppa di colla e cera per curare diversi problemi intestinali. Nel corso del tempo l’industria alimentare ha sostituito l’uso della cera d’api con prodotti di sintesi: plastiche, paraffine, alluminio e mille altre sostanze contaminanti per l’ambiente e non così salubri per gli alimenti. Per fortuna oggi si assiste a un recupero da parte di alcuni produttori illuminati di questo prodotto sicuro, ecologico e biodegradabile a impatto ambientale zero, decisamente sostenibile. LA CERA OGGI Oggi la cera d’api rappresenta un additivo alimentare autorizzato nell’Unione Europea (E901). Solitamente si utilizza la cera d’api bianca o Alba (E901i), sbiancata con una forte luce solare o perossido di idrogeno o la cera d’api Flava di colore giallastro o grigio-marrone, con sentori balsamici e/o di miele (E901ii). Possono essere utilizzate come rivestimento protettivo e lucidante, ma anche come aromatizzante. Non è semplice rintracciare le origini dell’uso della cera d’api come involucro e conservante nel corso dei millenni, ma è certo che venisse utilizzata per proteggere durante il trasporto alcuni tra i cibi più pregiati. Vediamone alcuni.
I FORMAGGI L’utilizzo della cera d’api nel rivestimento dei formaggi non consentiva solo la protezione contro la contaminazione e lo sviluppo di microrganismi, ma migliorava anche il sapore e l’aspetto visivo del prodotto. Come ad esempio per l’Edam Holland IGP, un formaggio a pasta semi dura olandese dalla città di Edam, dalla caratteristica forma sferica. In origine, nel XIV secolo, pare avesse un rivestimento in cera d’api colorata naturalmente per proteggerlo dalla luce (causa di muffe), ma anche per distinguere le diverse
tipologie o destinazioni, considerato che già in epoca coloniale veniva esportato dalle Filippine al Messico. La cera serviva a protegge il formaggio dall’essiccazione e dalla muffa, a mantenerlo extra morbido oltre ad aromatizzarlo al profumo di api, venne sostituita in epoca moderna con la paraffina, inaugurando la stagione industriale seguita da altri formaggi come il Mobo danese o il celebre Mini Babybel®, oggi commercializzato in 76 Paesi dei cinque continenti.
LA BOTTARGA Mentre si discute ancora se la bottarga sia un prodotto “inventato” dagli antichi greci o dagli arabi, che la diffusero nel bacino del Mediterraneo fino all’Andalusia con il nome di butarhah’, è cosa certa che sia arrivata fino in Asia per mano dei Portoghesi che la intodussero a Taiwan, dove ancora oggi rappresenta un vanto locale con il nome di wūyúzǐ. Pare che l’idea di rivestire la bottarga
di uno strato di cera neutra per evitarne l’essiccazione fosse venuta proprio a loro. Anche in questo caso però la cera lasciò il posto alla paraffina, tranne che nelle migliori produzioni giapponesi karasumi. Introdotta in Giappone dalla Cina in epoca Ming, si trovano testimonianze della sua produzione, prima con uova di triglia e sgombro, poi di muggine, nella prefettura di Nagasaki, a partire dal 1675, spesso con copertura di cera d’api.
IL PASTIRMA Diffuso dalla Turchia all’Egitto passando per Armenia, Azerbaijan e Grecia, con nomi diversi: Pastirma, Basturma, o Pastarma, prima di arrivare negli Stati Uniti con una ricetta e denominazione modificata (Pastrami) con la diaspora ebraica, anche questo popolare insaccato di carni bovine ricoperto di spezie veniva talvolta protetto e conservato nella cera
d’api, mescolata con olio e/o grasso animale. Era questo un escamotage per mantenere morbide le carni e per permettere all’impasto di çemen, a base di paprika, fieno greco e aglio, di aromatizzarlo. Ma ahimè, anche in questo caso, con il tempo e l’industrializzazione dei processi produttivi, la paraffina e le plastiche hanno preso il posto di un prodotto naturale.
la cucina di qb
L’INSALATA IN GROTTA Anna Maria Pellegrino Cuoca e foodblogger
A foglia intera, riccia o belga: l’indivia è una tela bianca per ricette leggere e gustose 4 minuti di lettura
Insalata è un termine generico con il quale vengono indicati gli ortaggi appartenenti alla grande famiglia della Compositae e accomunati dal fatto che devono essere consumati freschi. Sembra che la parola derivi da “insalare” ovvero condire con sale non solo le Compositae, ovviamente, ma un più ampio numero di ortaggi, insaporiti da un’emulsione realizzata con sale, olio e limone (citronette) o aceto (vinaigrette).
Ho fatto un giro del mondo e sono ritornata con tre ricette con le quali testare questo ortaggio prezioso: una minestra che sembra una vellutata e resa ricca dal roux e dal brodo di pollo, la classica torta salata che salva la cena e l’indivia cotta alla napoletana, come fosse una scarola, per restare leggeri con gusto.
STORIA E VARIETÀ L’indivia è una pianta erbacea biennale coltivata annualmente (il primo anno si sviluppa la parte destinata al consumo), originaria delle regioni orientali del bacino del Mediterraneo, tra il Caucaso e il Turkmenistan e conosciuta sin dall’antichità più dai farmacisti che dai cuochi: decotti e infusi delle sue foglie servivano per depurare il fegato, regolare la secrezione biliare e stimolare l’appetito. Un vero e proprio ortaggio detox. Alla fine del Settecento la specie venne divisa da Jean-Baptiste Lamarck, botanico e zoologo francese, in due varietà principali: l’indivia a foglia intera e l’indivia a foglia riccia. L’indivia a foglia intera viene comunemente chiamata scarola e le varietà più conosciute sono la bubicopf; la fiorentina delle cascine, dal cespo così voluminoso da raggiungere anche un chilogrammo di peso; la seance, dalle foglie verde scuro; la bionda a cuore pieno. L’indivia a foglia riccia viene chiamata semplicemente insalata riccia, con cespi molto aperti, e tra le varietà si possono contare l’ottava, dal cuore molto chiaro; l’atleta, quasi tutta bianca; la campero, dalla foglia lunga; la zidane, dalle foglie finissime. Un discorso a parte merita l’indivia belga, quasi una cicoria. Nata nel 1850 a opera di Bréziers, giardiniere capo della Società Orticola di Bruxelles, che provò a coltivare della cicoria nelle grotte in cui normalmente venivano prodotti i VALSANA | 26
funghi champignon: il buio delle grotte e i terreni sabbiosi sbianchirono naturalmente l’ortaggio dando origine alla varietà dalla forma allungata che tutti conosciamo. STAGIONALITÀ E QUALITÀ Non stanchiamoci mai di concentrarci sui prodotti di stagione: sono più freschi, danno più gusto e per di più costano sicuramente meno delle primizie. Come riconoscerne la qualità? Bisogna osservarne il colore vivo e brillante, constatarne la consistenza croccante e la succosità delle fibre. Nel caso di lattuga, indivia e altre insalate, cavoli, sedani, bietole, finocchi, rape non compratele se le trovate ingiallite, afflosciate e di colore poco brillante. Prendete solo la quantità che vi necessita, perché in casa si conservano poco, lavatele bene e asciugatele, riponendole in un contenitore ermetico, nella parte bassa in frigorifero. Acquistate nel loro massimo fulgore esprimeranno al meglio le loro qualità, che nel caso delle insalate amare sono davvero molte: sono detossinanti e dall’alto potere depurativo, hanno pochissime calorie (15-20 per 100 g di prodotto) contengono vitamine A e C, folati, vitamine del gruppo B (ad azione anti fame) e soprattutto fibra, indispensabile per facilitare il transito intestinale. Hanno infine una buona quantità di calcio e di potassio e pochissimo sodio. COTTURA E ABBINAMENTI Crude, appena condite con olio evo di qualità e sale in fiocchi, alla griglia, stufate o brasate, spadellate velocemente con spezie e sfumate con sake. Il loro essere “neutre” da un punto di vista del gusto vi consentirà di utilizzarle come una tela bianca, sulla quale esprimere la vostra creatività. Con una sola accortezza ovvero quella di eliminare il “cuore” del cespo, solitamente più amaro e che in cottura potrebbe risultare meno gradevole.
MINESTRA DI INDIVIA CHE SEMBRA QUASI UNA VELLUTATA BURRO BRUSSINO cod 2090 | peso 125 g
Una minestra così buona sarebbe piaciuta anche a Mafalda, nota detestatrice della pietanza. Un vero piatto comfort da declinare in molti modi: sostituendo l’indivia con la scarola, per esempio, oppure la tipologia di formaggio. Il brodo di pollo la renderà, assieme al roux, più voluttuosa, ma potete realizzarla anche con del profumato brodo vegetale. DOSI per 4 persone PORTATA: primo piatto DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ COTTURA: 30’ INGREDIENTI 200 g di indivia belga, mondata 80 g di San Pietro in Cera d’Api 80 g di Burro Brussino 60 g farina bianca “00” 800 ml di brodo di pollo 4 fette di pane casereccio tostato olio evo sale pepe nero macinato al momento
PROCEDIMENTO Lava l’insalata, elimina il cuore centrale e affettala. In una casseruola prepara un roux: sciogli dolcemente il burro, aggiungi la farina setacciata, tosta per 2’, unisci l’indivia e copri con il brodo caldo. Mescola bene e cucina per 20’. Nel frattempo taglia il pane a cubetti piccoli, spruzzali di olio evo e tostali in una padella antiaderente fino a farli diventare croccanti. Con una mandolina ottieni dal formaggio abbondanti scaglie. Frulla la minestra, versala nelle fondine individuali, aggiungi i cubetti di pane tostato, abbondanti scaglie di formaggio e servi con una macinata di pepe.
TORTA SALATA AL FARRO INTEGRALE CON INDIVIA E TOMA
FARINA 0415 FARRO MONOCOCCO INTEGRALE cod 93768 | peso 500 g
Sapete la differenza tra torta salata e quiche? Bene, la farcia della prima è realizzata con molti ingredienti legati da ricotta o formaggio filante mentre la seconda vede le uova e la crème fraîche presenze insostituibili. E la differenza tra pâte brisée e pasta brisée? Ve lo dico la prossima volta, nel frattempo cimentatevi con la realizzazione di questa torta salata molto profumata, fin dalla farina. DOSI per 6 persone PORTATA: secondo piatto o piatto unico DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 20’ più il riposo COTTURA: 40’ INGREDIENTI > PER LA FROLLA SALATA: 250 g di farina di farro monococco Petra 125 g di burro salato freddo 1 tuorlo 20 g di acqua fredda > PER LA FARCITURA: 10 cespi di indivia 3 uova bio 200 ml di latte intero 200 g di Toma da Polenta 100 g di parmigiano grattugiato 2 scalogni 3 cucchiai di erbette di provenza olio evo, noce moscata, sale PROCEDIMENTO In un mixer “sabbia” il burro cubettato e la farina, aggiungi il tuorlo e l’acqua, lavora brevemente il composto per ottenere un panetto liscio. Fai riposare in frigorifero per circa 30’, meglio un’ora. Monda l’indivia, incidi ed elimina il torsolo senza staccare le foglie. Affetta gli scalogni e soffriggili con un filo d’olio in una casseruola, adagia l’indivia, sala e bagna con qualche cucchiaio di brodo vegetale o acqua. Copri e fai stufare per 20’. Elimina dalla toma la crosta e cubettala. In una terrina sbatti le uova con il parmigiano, il latte e la toma, insaporisci con la noce moscata e le erbette. Porta il forno a 180°, statico, stendi la pasta briseè in una tortiera da 22-24 cm di diametro coperta da carta forno, bucherella il fondo, distribuisci l’indivia, versa il composto di uova e formaggio. Inforna per circa 35-40’. Sforna, fai riposare 10’ e servi a fette, decorando con la toma sciolta con qualche cucchiaio di latte.
INDIVIA ALLA NAPOLETANA, COME FOSSE UNA SCAROLA Indivia saltata come fosse una scarola e usata per farcire una piadina romagnola all’olio evo e farina di riso Venere che assomiglia a una piada. Sembra di essere nel cast di “Sei personaggi in cerca di autore” e invece siamo in cucina per realizzare un piatto decisamente delizioso: basterà togliere l’acciuga e vi sentirete subito vegani. Se poi voleste togliere anche l’uvetta e i pinoli potrei togliervi il saluto. DOSI per 4 persone PORTATA: secondo piatto o piatto unico DIFFICOLTÀ: minima PREPARAZIONE: 10’ COTTURA: 15’ INGREDIENTI 800 g di indivia 2 spicchi d’aglio 2 cucchiai di oliva nera Itrana 1 cucchiaio di pinoli 1 cucchiaio di uvetta colatura di alici olio evo sale pepe nero macinato al momento > PER IL SERVIZIO: 4 Piadine Stirata all’olio evo
PROCEDIMENTO Lava e monda l’indivia e tagliala a julienne. In una pentola dal fondo spesso scalda l’olio con l’aglio schiacciato, così da profumarlo. Eliminalo, aggiungi l’indivia, regola di sale e cuoci per 10’, controllando la cottura. Aggiungi gli ingredienti restanti, mescola e porta a termine la cottura a fuoco vivo. Nel frattempo in una padella antiaderente scalda le piadine. Regola di gusto l’indivia cotta, profumala con il pepe, farcisci le piadine e servile piegate a metà con un po’ di ketchup casalingo, se gradito.
PIADINA STIRATA ALL’OLIO EVO cod 95019 | peso 140 g x 2
notizie da valsana
CALENDARIO EVENTI Vi segnaliamo i prossimi appuntamenti che abbiamo in calendario: due fiere e due opportunità di formazione 1 minuto di lettura
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23.02 SAKE E FORMAGGI
17.03 > 20.03 ALTE IMPRESE
Appuntamento in Valsana per esplorare una nuova frontiera di abbinamento con i formaggi: il Sake. Solo su prenotazione, 30 posti disponibili
Tre giorni al Caseificio Cugusi, Montepulciano (SI), per la masterclass "Vita da Pastori", organizzata da alteimprese.it di cui siamo partner
27.02 > 02.03 SALON DU FROMAGE
26.03 > 28.03 TASTE
Torniamo a Parigi al Salon du Fromage, ultima fiera pre-Covid del 2020, in un mercato che ci sta dando grandi soddisfazioni, la Francia
Vi aspettiamo a Firenze per la nuova edizione di Taste che quest'anno si sposta in una nuova sede più spaziosa, la Fortezza da Basso
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COSA NE PENSI? Quanto è utile il nostro magazine? Quali solo le tue rubriche preferite? 5 domande per aiutarci a migliorare
Martina Iseppon Responsabile Marketing
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L'inizio di un nuovo anno è tempo di bilanci, per valutare ed eventualmente ritarare o rivedere le varie attività. Cerchiamo di farlo sempre in modo sistematico attraverso degli incontri individuali con i nostri agenti e commerciali per cercare di capire quali delle diverse attività di comunicazione, eventi e promozionali sono risultate efficaci e quali invece hanno bisogno di una revisione. Per quanto riguarda il magazine ci siamo chiesti se, dopo diversi anni che lo proponiamo, risulta ancora essere uno strumento utile per i nostri clienti, come viene utilizzato e quali sono le rubriche che risultano più gradite. Quest'anno abbiamo pensato di chiederlo direttamente a voi. Abbiamo strutturato un breve questionario: 5 domande per aiutarci a migliorare i contenuti e il formato della nostra rivista aziendale.
UN QUESTIONARIO SUL NOSTRO MAGAZINE Ti chiediamo di dedicarci 2 minuti per rispondere a 5 domande. Grazie fin d’ora per il tuo feedback, ci aiuterà a migliorare Per compilare il questionario puoi usare questo link: valsana.link/magazine2022 o scansionare questo QR code:
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