2 minute read
BONET...
Cacao In Polvere
Cacao in polvere con il 22-24% di burro di cacao, ideale da utilizzare in pasticceria cod 94229 · peso 1,5 kg
Advertisement
S’incomincia con una scena tratta da “Il servitore di due padroni” di Carlo Goldoni: Truffaldino (alias Arlecchino nella messa in scena di Strehler) si fa in quattro per servire due tavoli e due padroni. Gli capita in mano un budino e pensa ad alta voce:
“Che diavolo è sto bodin? L’odor l’è prezioso, el par polenta. Oh, se el fuss polenta, la saria pur una bona cossa! Voi sentir! No l’è polenta, ma el ghe someia… L’è meio della polenta!”
Ed è straordinaria la scena in cui Ferruccio Soleri, interprete di Arlecchino, fa danzare nella sua mano un budino flessuoso… elastico.
NON SOLO BUDINO...
E nella nostra memoria gastronomica non può non mancare un budino preparato dalla mamma, magari di quelli che la grande distribuzione mette a disposizione dagli anni ’60. Pochi ingredienti: semolino, latte, uova e zucchero, cotto al forno o a bagnomaria… impreziosito dal cioccolato. Il nome: dall’inglese pudding adattato in ‘pudino’ e poi, per incrocio col boudin, diventa budino o bodino. Un dolce semplice che è diventato nel tempo il simbolo di una regione: il Piemonte Stiamo parlando del bonèt o bunèt, uno dei più antichi dolci della tradizione dolciaria piemontese. Il format è quello ma cambiano gli ingredienti: un mix unico di cioccolato e rum.
Oggi lo troviamo in qualunque ristorante, ma ha alle spalle una straordinaria storia che ha per location le Langhe e il Monferrato e che si lega alla comparsa in Europa del cioccolato. Già nel Medioevo alla fine dei banchetti veniva servito un dolce al cucchiaio: si trattava, tuttavia, di una ricetta diversa rispetto a quella moderna, decisamente più semplice e meno ricca di ingredienti, e soprattutto senza cacao. Questa versione bianca, detta “alla monferrina”, altro non era che un dolce preparato con latte, uova, amaretti e zucchero: successivamente, grazie all’evolversi dei gusti e all’arrivo di nuovi prodotti da oltreoceano, intorno al XVIII secolo, il bonèt cambia forma diventando “cioccolatoso”, nella versione che noi tutti amiamo e che si è guadagnata l’etichetta di PAT (Prodotto AgroAlimentare Tradizionale).
Origine Del Termine
Ma cosa significa “bonèt” o “bunèt”? In molti si sono dibattuti sull’origine di questo nome così particolare e, ancora oggi, non c’è un’interpretazione certa. Secondo il vocabolario Piemontese/Italiano di Vittorio di S. Albino del 1859, il termine piemontese “bonèt” sta a indicare uno specifico cappello o berretto tondeggiante, in uso nel ‘700, che ricorda nella forma lo stampo a tronco di cono basso in cui veniva cucinato il budino. Questo stampo di rame veniva chiamato, appunto, bonèt ëd cusin-a, ovvero “cappello da cucina” o “berretto del cuoco” (fig. 1). Ma non è l’unica interpretazione: infatti, c’è chi pensa che il richiamo al cappello non derivi dalla forma del dolce, quanto piuttosto al fatto che venisse servito come fine pasto –quindi, come “cappello” a tutto ciò che si era mangiato – perché, all’epoca, era l’ultimo capo d’abbigliamento indossato prima di uscire di casa o da un locale.
Con quell’irresistibile tocco cioccolatoso e quel leggero retrogusto alcolico, il bonèt piemontese è un dolce delicato e sostanzioso, perfetto per concludere in bellezza un pasto. Che dire, se non... chapeau!
La Ricetta
Come sempre non esiste una ricetta codificata… si può dire che ogni famiglia in giro per il Piemonte ha la sua ricetta, a seconda della zona di produzione e della creatività di chi lo prepara. Fino a qualche decennio fa il bonèt tradizionale era a base di Fernet, non di rum, perché si credeva che questo liquore avesse delle particolari proprietà digestive. Inoltre, alcuni aggiungono all’impasto la nocciola Tonda Gentile delle Langhe, altri il caffè e, infine, c’è chi sostituisce il rum con il cognac.
La ricetta che proponiamo è quella dell’antico Albergo Solera di Asti, tratta da “La cucina del Piemonte” del 1990, una delle poche ricette storiche scritte.