CONCLUSIONI
Dialogo (produttivo) tra le generazioni Silvio Cocco, Presidente Istituto Italiano per il Calcestruzzo Il calcestruzzo è essenzialmente amore, il che porta con sé, come è immaginabile, grandi soddisfazioni ma anche intense sofferenze. È un materiale che accompagna, consapevolmente o meno, il corso dell'esistenza di chi se ne prende cura, così come di chi lo fruisce, vivendoci accanto. È materia viva, pulsante, meravigliosa. E, spesso, drammaticamente e inspiegabilmente trascurata. Gioia e dolori, insomma, sta a noi trovare la strada per godere pienamente delle prime e lasciarci alle spalle i secondi. A conclusione di questo primo Rapporto Concretezza 2019, un'opera collettiva frutto dell'amore per il calcestruzzo e più in generale per il buon costruire, vorrei tracciare una rapida nota conclusiva che vuole essere da un lato un sincero ringraziamento a tutti coloro i quali mi hanno accompagnato e che mi accompagneranno in questa avventura, dall'altro un'ulteriore rappresentazione del “senso” di quest'opera, che svolgerò affidandomi, me lo consentirete, anche a una sorta di lessico familiare. Ripromettendomi di tornare sul tema dei ringraziamenti al termine di questo intervento, vorrei partire proprio dalle gioie e dai dolori, e da un ricordo “di famiglia” a cui ho peraltro accennato nella Prefazione di questa stessa opera, ma che ritengo utile, in questa sede, rimarcare e ampliare. Mi ero appena diplomato geometra all'istituto Vittorio Emanuele II di Genova, regalando una profonda emozione, tradotta di una sorta di autentica“lievitazione”, a me stesso e soprattutto a mio padre.
Dopo poche settimane, quando ho affrontato per la prima volta il mondo del lavoro, quel lievitare si è dissolto e i miei piedi sono mestamente tornati a calcare il suolo. All'impresa Mantelli, sempre sotto la Lanterna, un ingegnere dai capelli bianchi e una vita trascorsa in cantiere nel corso del mio primo colloquio mi aveva rivolto la domanda più penosa: cosa sai fare? Praticamente nulla, ho risposto io dopo un silenzio imbarazzato. Perché sì, avevo studiato moltissimo, mi ero impegnato a fondo, già, ma la pratica, l'esperienza sul campo? Praticamente nessuna traccia. Sono stato così costretto a rimboccarmi le maniche, a rincorrere il tempo perduto, a sudare e a “carpire” conoscenze pratiche e reali. Poco per volta, con pazienza e fatica, ho compiuto la mia strada, ho costruito lavoro. Ma non ho mai dimenticato quella prima volta, quella distanza infinita tra teoria e pratica che ho vissuto sulla mia pelle, quel non essere già preparato al mondo reale. Quel gap andava assolutamente colmato, mi sono sempre detto, trasformando nel tempo un insuccesso in missione, in un modo nuovo di fare formazione. Poi sono diventato anch'io padre e oggi sono anche nonno. Tempo fa una mia nipote, che vive e studia in Olanda, ha richiesto di svolgere un stage presso una mia azienda. Tutto facile? Non direi proprio. Il Ministero competente dei Paesi Bassi ha inviato, senza preavviso, un professore il quale ha voluto certificare la realtà aziendale dove avrebbe operato la “loro” alunna. Si è trattato di un atto non formale, ma sostanziale e frutto di un'indagine estremamente minuziosa. Una cosa seria, insomma. Il professoreispettore, dopo averci “vivisezionati”, è quindi rientrato in Olanda e ha dato il via libera, sostanziale e formale, allo stage, dopodiché ci ha inviato una lettera ufficiale in cui si diceva che eravamo autorizzati ad apporre sulla nostra carta intestata la dicitura attestante il fatto che eravamo una società autorizzata ad accogliere in qualità di stagisti gli studenti olandesi.