14. Festival Internazionale di Danza Contemporanea, Courtesy La Biennale di Venezia Lisbeth Gruwez dances Bob Dylan - © Luc Depreitere
BIENNALE DANZA SPECIAL
mensile di cultura e spettacolo - n° 247 - anno 24 - Ott/Nov 2020 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/B - legge 662/96 - DCI-VE
EXHIBITIONS MUSEUMS CONCERTS SHOWS CLUBS FOOD&DRINKS...
OCT/NOV 2020 english inside
248-249 venice guide
e 3,00
CULTURE CLUB
FALL EDITION
Venice’s lifestyle department store
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NUOVE DATE 11.07.20 > 10.01.21
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Il filo
In questo
tempo a dir poco sospeso, camminare a piccoli passi su un filo teso sopra i minuti in divenire è divenuta una condizione, la Condizione di questo dilatatissimo presente. Un tempo in cui il domani si fa lentissimo e inorganizzabile, in cui il vissuto giorno per giorno convive con l’ansia di definire programmaticamente ciò che di fatto non si può programmare. È uno spazio mentale divaricato tra poli opposti eppure convergenti nel grande vuoto che
di Massimo Bran tutto ingurgita senza restituire alcunché di definito. Mai si è viaggiato così tanto mentalmente come in questa età pandemica che ci costringe in casa, o poco più. Il filo, sì, quest’idea di procedere a piccolissimi passi sospesi mentre l’immaginario dispiega tutte le sue trame visionarie, portandoci virtualmente in mille altrove: mi sembra questo il tema, la parola chiave di questo tempo. Un viaggio come una vera Odissea letteraria, che ci fa attraversare geografie, pezzi di storia, urbanistiche vicine e remote, in un piano solo leggermente inclinato, per permettere alla nostra mente di viaggiare circolarmente senza precipitare, procedendo piano. È una dimensione straniante, asincrona, turbante e al contempo rassicurante, poiché nel pieno dell’insicurezza più di sempre cerchiamo ancoraggi spazio-temporali prossimi e lontani. È un frullatore ad andamento lentissimo quello in cui
ruotiamo, senza capire cosa davvero diventeremo. Domani. L’attualità comunque incalza, le agende della vita pubblica quelle sono sempre complete, cozzando con questo galleggiare orizzontale che più o meno tutti ci avvicina. Diciamo però che perlomeno ci si sta illudendo che questo incubo di ordinaria quotidianità abbia prodotto una sana accelerazione nella scala delle priorità, dei problemi veri. Ci vogliamo illudere, al di là di chi stentoreamente ci assicura con instant book o editoriali a destra e a manca che certamente è così, che la metarealtà delle fake permanenti o del bullismo da strapazzo, figli di una stessa decadenza, che sembrava perennemente connotare non solo la disposizione in società di comuni cittadini, ma drammaticamente anche quella di figure pubbliche con altissime responsabilità nei confronti della collettività, stia vivendo una sua fase crepuscolare. Con grande cautela, insomma, c’è da sperare che arrivati al dunque di un concretissimo pericolo sia scattato quasi come un riflesso condizionato un rigurgito di profonda serietà, di verticale, istantanea idiosincrasia verso le fanfare truffaldine. Ecco, se proprio vogliamo isolare, al netto delle irritanti tirate sulle grandi opportunità che ogni crisi presenta, una vera occasione di maturazione civile della collettività, questa potrebbe esserlo davvero, questo girare le spalle abbassando la testa verso chi sbraita truce da balconi (sic) più o meno presidenziali agitando lo spettro della paura
Bob Dylan, Murder Most Foul
:editorial e teso
...Gattina mia, qual è la novità, che cosa c’è da dire? Ho detto che l’anima della nazione è stata lacerata, la sua lunga decadenza ormai è cominciata, e che siamo a trentasei ore dopo il giorno del giudizio Wolfman Jack parla in lingua, a pieni polmoni e non la smette più. Metti su una canzone, Mr. Wolfman Jack suonala per me nella mia lunga Cadillac. Suonami Only the Good Die Young, portami là dove hanno impiccato Tom Dooley. La Saint James Infirmary alla corte di King James, se vuoi ricordare è meglio che ti scrivi i nomi. Suonami anche Etta James, suonami I’d Rather Go Blind, suonala per l’uomo con la mente telepatica. Suona John Lee Hooker, suona Scratch My Back, per quello che teneva lo strip club e di nome aveva Jack. Guitar Slim, Goin’ Down Slow, Suonala per me e per Marilyn Monroe. Suona Please, Don’t Let Me Be Misunderstood. Suonala per la first lady che non si sente niente bene. Suona Don Henley, suona Glenn Frey, porta tutto all’estremo e poi mollalo lì. Suonala pure per Carl Wilson che guarda da lontano alla Gower Avenue, suona la tragedia, suona Twilight Time, riportami a Tulsa, alla scena del delitto. Suonane un’altra e Another One Bites the Dust, suona The Old Rugged Cross e In God We Trust. Monta su quel cavallo dal pelo rosa, prendi la strada deserta, sta’ lì e aspetta che gli esploda la testa. Suona Mystery Train per Mr. Mystery, l’uomo che cadde morto come un albero senza radici. Suonala per il reverendo, suonala per il parroco, suonala per il cane che non ha un padrone. Suona Oscar Peterson, suona Stan Getz, suona Blue Skies, suona Dickey Betts, suona Art Pepper, Thelonious Monk, Charlie Parker e tutta quella roba, tutta quella roba e tutto quel jazz, suona qualcosa per L’uomo di Alcatraz. Suona Buster Keaton, suona Harold Lloyd, suona Bugsy Siegel, suona Pretty Boy Floyd, gioca i numeri del lotto, calcola le quote, suona Cry Me a River per il signore degli dei suona Number Nine e suona il numero sei, suona per Lindsey e per Stevie Nicks, suona Nat King Cole, suona Nature Boy, suona Down in the Boondocks per Terry Malloy, suona Accadde una notte e One Night of Sin ti stanno ascoltando in dodici milioni. Suona il Mercante di Venezia, suona i mercanti di morte, suona Stella by Starlight da Lady Macbeth. Non tema Presidente, c’è aiuto in arrivo, saranno qui i suoi fratelli, gliela faranno pagare. Fratelli, che fratelli? Che cosa faranno pagare? Ditegli che li aspettiamo, vengano pure, sistemeremo anche loro. Love Field è dove l’aeroplano è atterrato, ma poi non è più ripartito. Impossibile stargli alla pari, secondo a nessuno. l’hanno ucciso sull’altare del sole nascente. Suona Play Misty for Me e That Old Devil Moon, suona Anything Goes e Memphis in June, suona Lonely at the Top e Lonely Are the Brave, suona per Houdini che si rivolta nella tomba, suona Jelly Roll Morton, suona Lucille, suona Deep in a Dream e suona Driving Wheel, Suona la Sonata al Chiaro di Luna in fa diesis e Key to the Highway eseguita dal re dell’armonica. Suona Marching through Georgia e Dumbarton Drums, suona Darkness and Death che verrà quando verrà, suona Love Me or Leave Me del grande Bud Powell, suona lo stendardo insanguinato, suona il delitto efferato.
14. BIENNALE DANZA
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:incontro1
09 :zoom
GIANCARLO MARINELLI
L’edizione 2020, che completa il quadriennio di Marie Chouinard, si presenta molto delicata, quasi spartana, nella direzione di un’esplorazione pura del gesto. Due settimane di spettacoli con 19 coreografi autori di 23 titoli, ma anche incontri e film che si snoderanno lungo il percorso dell’Arsenale per arrivare a Ca’ Giustinian/ The 2020 edition of the Dance Biennale is Director Marie Chouinard’s fourth and a delicate, almost spartan, one. A pure exploration of gesture. Two weeks of shows with 19 choreographers, 23 titles, films, and meetings
A tu per tu con lo scrittore e regista, direttore artistico del Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza e, di nomina recente, del circuito teatrale del Veneto Arteven, leader in Italia nel campo dello spettacolo. Far sì che tutti i teatri trovino un modo continuo e proficuo di dialogare con le compagnie è la sua mission/ Face to face with author, film director, and art director of the Classical season at Teatro Olimpico in Vicenza – a leader in the Italian showbusiness. His mission: bringing theatre and theatre companies together
DORSODURO MUSEUM MILES
VENEZIA JAZZ FESTIVAL FALL EDITION
Un viaggio lungo otto secoli di storia dell’arte mondiale, dalle Gallerie dell’Accademia a Punta della Dogana, passando per Palazzo Cini e Collezione Peggy Guggenheim. Dorsoduro Museum Mile rilancia la collaborazione tra le istituzioni culturali che hanno sede a Dorsoduro, offrendo al visitatore uno straordinario percorso culturale lungo poco più di un miglio/ An eightcentury journey into the history of world art, from the Gallerie dell’Accademia to Punta della Dogana via Palazzo Cini and the Peggy Guggenheim Collection. Dorsoduro Museum Mile is a cooperation among cultural institutions that will offer visitors a mile-long amazing itinerary in art
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L’autunno musicale caldo di Veneto Jazz abita di note le Sale Apollinee del Teatro La Fenice, il Museo di Palazzo Grimani, T Fondaco dei Tedeschi, l’ex Convento dei Crociferi (ora Combo) e il Complesso dell’Ospedaletto, oltre ad animare il salotto dello Splendid Venice Hotel e il jazz club del festival, il Laguna Libre/ The musical autumn of Veneto Jazz inhabits the Sale Apollinee at Fenice Theatre, the Museum at Palazzo Grimani, T Fondaco dei Tedeschi, the former Crociferi Convent (now Combo), and the Ospedaletto as well as Splendid Hotel Venice and the festival’s jazz club, the Laguna Libre
:musica
del diverso, dell’altro, del nuovo, in sostanza. La reazione, insomma, la disposizione reazionaria di una lunga teoria di piccoli statisti sembra dover subire un non proprio transitorio arretramento. Il vero, capitale banco di prova sarà il 3 novembre, elezioni Usa. Lì si capirà meglio se questo progressivo ribaltamento delle priorità anche proprio superficialmente comunicative, che sono comunque nodali nel produrre poi sostanza, produrrà un vero, prospettico cambiamento ricucendo valorialmente il nostro presente alle sue migliori radici liberaldemocratiche. Sì, perché la testa dell’“Impero” conta ancora dove stia guardando, eccome! Come sempre i poeti, o i songwriters per chi ancora non digerisce che uno di essi sia inopinatamente assurto all’Olimpo dell’Accademia di Stoccolma, fermano il tempo che ci scivola addosso per la tensione drammatica connaturata a ogni stato di vera crisi, tensione che ci impedisce di dare prospettiva storica al nostro pensare, immaginare, realizzare, necessaria per definire una direzione futura. Bob Dylan, chi altri?, in piena pandemia come a tutti è noto se ne è uscito con un fluviale nuovo pezzo, diciamo pure un poema, Murder Most Foul, sorta di viaggio omerico nel cuore della grammatica civile e culturale degli Stati Uniti, concentrandosi e partendo dalla vera perdita dell’innocenza di quel continente-paese, l’assassinio di J.F. Kennedy. Chi frequenta da più o meno sempre Robert Zimmerman non ha potuto non sentirsi colto per l’ennesima volta in contropiede dagli scarti del Nostro, narrativi, concettuali, politici. Uno che da 40 anni in qua ha sbattuto le porte in faccia a chi stucchevolmente continuava a volerlo costringere nell’improbabile ruolo di alfiere dei diritti civili, un destino che mai e poi mai si sarebbe augurato e che mai e poi mai ha cercato, che da decenni si guardava bene dal fornire indizio alcuno sulla sua disposizione verso il prosaico presente del nostro vivere sociale e politico, se ne esce improvvisamente fuori con questa scarnificata, definitiva litania, accompagnata da una viola e da un pianoforte, con una ritmica solo accarezzata, in un sound emozionalmente abrasivo e al contempo lieve, che attraversa in una trama al solito tessuta da un raffinato, densissimo citazionismo, le lacerazioni mal ricucite nel corpo di un paese con dei peccati originali mai davvero elaborati. Facendolo, ci trascina su un terreno che ognuno di noi teoricamente può solcare a suo modo, accompagnato pur anche dalle proprie rassicuranti certezze, e che però nessuno di noi penso possa attraversare senza un brivido di inquietudine, di desolazione, ma anche di emozione vivida derivante dal corpo di creazioni che questo spesso troppo facilmente vituperato Occidente ha saputo costruire. Sembra quasi un invito a camminare lievi dentro un’oscurità quasi inconsolabile che però non può, e mai potette definitivamente, neanche in quel tragico 1963 a Dallas, spegnere la luce del tempo che ci spetta, tra un’ora, domani, tra trent’anni. Naturalmente lui non sa che farsene di questa come di altri milioni di consimili elucubrazioni. A ciascuno la sua e per sé, quindi. Però, ecco, per quel che mi riguarda, dal primo, emozionante ascolto di Murder Most Foul ho sentito una tensione, una vibrazione vitale, quella di aggrapparsi alla poesia, al sax di Bird che vola libero, al nerissimo blues di un John Lee Hooker, alla roca voce radiofonica di Wolfman Jack in quegli irripetibili Sixties, tutte espressioni che irriducibilmente pretendono libertà, spazi aperti, contaminati. Meticci. Ecco, arbitrariamente, diciamo pure inopinatamente, mi è venuto di tirare Bob per la giacca nella mischia del presente con questo suo volo alto, certo troppo alto per essere sporcato in una prosaica arena in cui fermare un triviale, grottesco pupazzo dai capelli paglierini. Ricordando Kennedy, forse ci ha pure detto da dove veniamo. Anche.
:arte
SEGUE EDITORIALE DA PAGINA 5
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Un culto semplice, devozionale e senza risvolti complessi: un’intera città in pellegrinaggio verso la Basilica del Longhena per la prima volta senza resse di fedeli assiepati con le candele in mano per la simbolica accensione. Cronaca di un rito che è tradizione, appuntamento cittadino transgenerazionale, festa condivisa per eccellenza soprattuto quest’anno/ A simple, devote cult. A city in an inner pilgrimage to the Basilica, for the first time with no crowds. The chronicle of a ritual that is tradition, a multi-generational appointment, and a feast to share with everyone
24:incontro2
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Federico Pizzarotti – Sindaco di Parma
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Festival delle Idee
28:tracce2 Giambattista Piranesi
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Il Museo M9 è il centro di gravità di questo simposio contemporaneo, che sul contemporaneo per forza di cose si interroga: Corrado Augias, Fiona May, Jury Chechi, Camila Raznovich, Vito Mancuso, Valeria Parrella, Telmo Pievani, Federico Rampini alcuni dei protagonisti di un dialogo diffuso e allargato al pubblico/ The M9 Museum is the centre of gravity of a modern symposium that converges on modernity: Italian intellectuals and athletes converse and investigate our times with their audience
MADONNA DELLA SALUTE
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Giancarlo Marinelli – Direttore Artistico Arteven
Festa della Salute
35:arte
JR – Omélia Contadina Dorsoduro Museum Mile Plessi. L’età dell’oro Giovanni Soccol Venezia e lo Studio Glass Americano Le Muse Inquiete Youssef Nabil Open Space – David Jacobson Ocean Space Henri Cartier-Bresson, Jacques Henri Lartigue Venezia Anno Zero Galleries Not Only Venice: Liu Ye, Francesco Clemente, Norman Parkinson Part-Palazzi dell’Arte, Tintswalo - African Colors Virtual Tour
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FESTIVAL DELLE IDEE
32 :speciale
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09:zoom
14. Festival Internazionale di Danza Contemporanea Leone d’Oro, Leone d’Argento Protagonisti, Programma
50:musica
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Venezia Jazz Festival Fall edition Candiani Groove Brunori Sas Mogol One Republic Il Volo del Jazz Padova Jazz Festival
54:classical
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58:cinema
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Intervista a Ottavia Piccolo e Simone Marcelli I predatori Rebels from the East/West Il cinema italiano scopre il colore Paesaggi che cambiano Supervisioni Festival del mese Film del mese
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Romeo e Giulietta I due gemelli veneziani Arti Inferiori Mi amavi ancora…, Io Sarah, Io Tosca Il nodo, Le verità di Bakersfield 73. Ciclo di spettacoli Classici al Teatro Olimpico Lasciateci sognare
o
Ugo Pagliai e Paola Gassman, inossidabile coppia sul palco e nella vita, nei panni dei due innamorati veronesi inaugurano nel segno di Shakespeare la nuova stagione nei tre teatri dello Stabile del Veneto, a Venezia, Padova e Treviso. Nuove scintille nascono dall’incontro tra il Bardo e Babilonia Teatri/ Ugo Pagliai and Paola Gassman, a couple in life and on stage, playing the part of two lovebirds in Verona, inaugurate the new season of Teatro Stabile del Veneto in Venice, Padova, and Treviso
73:etcc...
Venice Fashion Week 2020 Venice in Silence, Giornate Fai d’Autunno Parole, 100 Gianni Rodari Libri del Mese
Oct/Nov
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ROMEO E GIULIETTA
:theatro
:classical
In occasione dei 100 anni dalla scomparsa di Camille Saint-Saëns, uno dei più importanti musicisti del Romanticismo francese dal destino controverso, Palazzetto Bru Zane ne celebra il ricordo con il consueto meritorio approccio filologico e musicale, proponendo un programma nutrito di concerti e conferenze per ricordarne la figura e l’opera/ For the 100 years since Camille Saint-Saëns’s death, Palazzetto Bru Zane celebrates the memory of the most important author of French Romantic music with a philological programme of concerts and conferences
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7. Venice Hospitality Challenge Combo Venice Osteria alla Frasca Unione Ristoranti del Buon Ricordo Ristorante Giglio 11. Venice Design Week, Meet the Makers Pellegrino Artusi Veneziani a Tavola – Marilisa Capuano
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PALAZZETTO BRU ZANE
Festival Camille Saint-Saëns Musikàmera Musica con le Ali Io Sono Musica Musica antica in casa Cozzi Teatri Verdi Beethoven Festival
4 ARTISTI X 4 WORKSHOP SGUARDI INEDITI SUL CONTEMPORANEO 1�4 ottobre 2020
Castelli di vetro
27�29 novembre 2020
con Jan Vormann
Oltre il muro: arte e contesto
29�31 ottobre 2020
Gennaio 2021
con S.O.B. Stefano Ogliari Badessi
con Cecilia Jansson
Chi guarda cosa?
con Alice Pasquini Esplorare la distanza
#SUPERAMENTI In collaborazione con
Media partner
Dorsoduro 701, Venezia guggenheim-venice.it
l’evento del mese the event of the month
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Movimento puro
Pure motion
© Alfred Mauve
In un’intervista
del 21 marzo scorso, Marie Chouinard aveva dichiarato: «Non ho cercato motivazioni strategiche o politiche relazionali nella scelta degli spettacoli. Ogni anno ho cercato di invitare i migliori approcci creativi che venivo a scoprire. Sono sempre stata poco interessata a personaggi famosi o al fatto che fossero giovani promesse, ma solo alla loro capacità di produrre un evento artistico. Il mio modello è stato la Biennale d’Arte, dove è lontana ogni tensione o valutazione del mercato dell’arte. Ho cercato l’edge of creation,
di Loris Casadei coreografi o performer capaci di produrre nuova danza. E non ho neppure indagato la loro conoscenza tecnica o storica della danza, ma li ho visti nella loro assoluta libertà compositiva senza gravosi legami con il passato. Non spetta a me giudicare, un passato assimilato diviene invisibile nella produzione del nuovo. Non sono neppure interessata ai trend, alla moda, ma solo e soltanto al prodotto, se sia arte oppure no». L’edizione 2020, che completa il quadriennio della Direttrice Chouinard, si presenta molto delicata, oserei dire spartana, nella direzione di un’esplorazione pura del gesto. Jone San Martín in totale assenza di scenografia mette in scena una ricerca di gesti su scrittura di Forsythe, e Oliver Dubois, direttore del Ballet du Nord, frammenti di oltre sessanta spettacoli, in una sorta di storia della danza. Interessante anche notare come la Biennale, attraverso l’attività del College e non solo, sempre di più si caratterizzi come produttrice e committente di spettacoli, da Your Body is a Battleground, di Adriano Bolognino, a IMA di Sofia Nappi, o promuova sul palco giovani di talento come Silvia Giordano, Emese Nagy e Melina Sofocleous, vincitori del bando Coreografi 2020. Gli undici danzatori del College, selezionati tra centinaia di candidature, porteranno invece in scena In Museum dal repertorio di
Marie Chouinard, una nuova versione del celebre Sacre du printemps ideato ad hoc dallo stesso Xavier Le Roy per gli allievi del College, e una nuova creazione firmata da Marco D’Agostin, già in programma con Avalanche. Conosciute al largo pubblico italiano Chiara Bersani, già protagonista nelle scorse edizioni di Biennale Danza, e Silvia Gribaudi, reduce da un successo senza precedenti con il suo Graces, intorno al gruppo marmoreo di Canova, teso a irridere il concetto di armonia classica e di stereotipata bellezza, per restituire un sorriso in stretto rapporto di complicità con il pubblico. Da seguire Matteo Carvone, triestino ma ormai operante in centro Europa, ora a Venezia con [Faun], duo maschile con tracce di Nižinskij. Ritorna anche un altro mito delle scorse edizioni, Lisbeth Gruwez con Piano Works Debussy e Lisbeth dances Bob Dylan, ripreso da uno spettacolo del 2016, che ebbi la fortuna di vedere a Casalecchio di Reno in un teatro strapieno. Della scuola di Jan Fabre, la Gruwez venne alla ribalta grazie a una pièce del 2005 con un nudo integrale molto esposto che riprendeva criticamente l’artista Yves Klein e le sue Antropometrie sulla musica di Volare di Modugno. Da citare anche, da Barcellona, l’esposizione coreografata di Noé Soulier e l’esplorazione del tempo di Guy Nader e Maria Campos. Di Claudia Catarzi da Firenze, oggi stabile a Bordeaux, già con Virgilio Sieni e Sasha Waltz, godremo un duo con percussionista dal titolo Posare il tempo. Claudia Castellucci, Leone d’Argento, presenta in prima assoluta Fisica dell’aspra comunione, mentre apre e chiude il Festival il Leone d’Oro La Ribot con i suoi Piezas distinguidas. Arricchiscono il programma una serie di incontri e conversazioni con gli artisti e i coreografi dopo gli spettacoli e un intenso ciclo di proiezioni di lungometraggi e cortometraggi per aprire lo sguardo sul mondo della danza e anche oltre. «AnD NoW! – 14. Festival Internazionale di Danza Contemporanea» 13-25 ottobre Arsenale, Ca’ Giustinian, Teatro Goldoni www.labiennale.org
In an interview given the last March 21, Marie Chouinard stated: “I looked for no
strategic or relational motivations as I wrote up the list of shows. Every year, I tried to invite the best creative approaches that I was able to discover. I always had little interest for celebrities, what I am interested in is a performer’s ability to make art. My model is the Art Biennale, where there is little place for market considerations. I look for the edge of creation – choreographers and performers who can create new dance.” This 2020 edition, the fourth in Dance Biennale Director Marie Chouinard’s hands, is very delicate, may we say Spartan, in its pure exploration of gesture. It is also worth noting how Biennale became a producer of notable shows, like Your Body is a Battleground by Adriano Bolognino, IMA by Sofia Nappi, and a talent scout: Silvia Giordano, Emese Nagy, Melina Sofocleous are the winners of the 2020 choreography competition. The eleven dancers participating in the 2020 edition of Biennale College, selected from hundreds of applicants, will stage In Museum from Marie Chouinard’s own repertoire, a new version of Sacre du printemps adapted by Xavier Le Roy for the College attendees, and a new piece by Marco D’Agostin, who also participated in the main programme with Avalanche. Also in the main programme will be Chiara Bersani, a longtime Biennale participant, Silvia Gribaudi, whose Graces enjoyed great success, and Mateo Carvone with [Faun], a male duo piece. Lisbeth Gruwez is back with Piano Works Debussy and Lisbeth dances Bob Dylan, an adaptation of her 2016 show. Worthy of mention are Noé Soulier’s choreographed exhibition and Guy Nader’s and Maria Campos’s time exploration. Claudia Catarzi will present Posare il tempo, a dancer-and-percussionist duo piece. The Dance Biennale programme lists meetings and discussions with performers and choreographers after the shows and film screenings to open our minds to the world of dance, and more.
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Il corpo come scrittura
Writing Bodies
Leone d’Oro a La Ribot, grande dame della danza contemporanea
The Golden Lion awarded to La Ribot, the queen of contemporary dance
María José Ribot Manzano, detta “La Ribot”, riceve il Leone d’Oro alla carriera a Venezia il 15 ottobre. Artista visuale, danzatrice, coreografa spagnola, nata da studi di danza classica a Madrid e poi in Francia, ha rifiutato la “dittatura del suo virtuosismo” nei primi anni del postfranchismo per seguire un discorso molto personale, il cui centro tematico è il corpo, luogo «dove si iscrivono piacere e dolore, spazio di lotta e rivendicazione, scontro e tortura». Così per Art Basel nel 2006, ad esempio, propone una performance danzata della durata di circa sei ore legata a un tema politico: le torture nelle prigioni di Guantanámo, intitolata Laughing Hole. Forse la più politica delle sue installazioni. Ma è nota soprattutto per i suoi Piezas distinguidas, interventi di durata variabile, spesso in origine improvvisati, visto il ruolo assegnato al pubblico, eseguiti in musei e istituzioni culturali. Un tema ricorrente nei suoi lavori è la vendita del corpo al miglior offerente, nuda, simulando un atto sessuale con il movimento delle anche ma con una sedia legata al corpo per coprire il sesso, a volte invece utilizzando bondage di varia natura e accenni di danza che vengono ostacolati con impedimenti e legami di vario genere. In risposta a numerose critiche concernenti l’esposizione del corpo, risponde che l’essere nudi concentra l’attenzione su di esso, che diventa così il centro di ricerca e che la nudità è una cosa come una altra e non necessariamente erotica. “Il corpo come scrittura”, è solita enunciare. Anche oggi, a 58 anni, si è posta questo problema, ma ha deciso di continuare a riproporre i suoi Piezas distinguidas come sempre. Lo spettacolo veneziano Más distinguidas è il secondo dei tre cicli di Piezas composti tra il 1993 e il 2003, eseguiti in quasi tutto il mondo. Il nome deriva da Les Trois Valses Distinguées du Précieux Dégoûté di Erik Satie, brani del 1914, scritti musicalmente senza divisione di battute, senza tonalità, concedenti grandi possibilità all’esecutore di interpretarli al ritmo voluto. Perfetto gemellaggio con il desiderio di La Ribot di rompere gli stereotipi sociali e della personalità.
María José Ribot Manzano – known as La Ribot – will be awarded the Golden Lion for Lifetime Achievement on the next October 15. A Spanish visual artist, dancer, and choreographer, La Ribot was trained classically in Madrid and in France. She rebelled against the ‘dictatorship of virtuosity’ after the restoration of democracy in Spain to later follow a very personal dance practice centred on the body, the place where “pleasure and pain are written, a space of struggle and appropriation, clash and torture.” For the 2006 Art Basel, she performed in Laughing Hole, a six-hour dance piece on a political topic: torture at the Guantanamo Bay detention camps. La Ribot is maybe best known for her Piezas distinguidas, pieces of variable length, originally mostly improvised given how the audience was to participate, performed in museums. A recurrent theme in her oeuvre is her auctioning off her body: naked, mimicking sexual acts, only a chair or bondage paraphernalia covering her and hindering her dance. She responds to critics by stating that being naked make us focus on the body, which is awarded its place as the object of research. “Body as a form of writing”, she would say. Even today, at 58, she decided to carry on performing in her Piezas distinguidas as she always did. The show she brings to Venice, Más distinguidas, is a collection of three cycles of Piezas composed between 1993 and 2003, since performed all over the world. In her motivation, Dance Biennale Director Marie Chouinard defines Ribot Manzano as “the extravagant grande dame of contemporary art, a leading figure in today’s dance, her rigorous and radical work critiques and mocks metamorphosis, hybridism, absurdity and freedom. […] Transdisciplinarity is the mark of her lack of discipline, her physical presence is absolute, she practices poverty with opulence, her actions are shape-shifting; she is a wild and minimalist tragédienne, her sense of humour first excoriates then liberates free-thinking. She makes us love freedom and its vibrant limits. She has fun. She makes us happy.” And surely she did in 2017, when she visited Venice with Gustavia, performed together with her friend and fellow dancer Mathilde Monnier. A black burlesque duo piece with falls, collisions, dance steps, hits, sighs, weeping contests, sexy dancers whose body doesn’t look like what one may expect, and cultured references to the Hamlet. The audience enjoyed those very much. Thirty-four pieces by La Ribot have been collected in a three-hour documentary, La Ribot distinguida of 2004 by Luc Peter; the film is freely available on the net and it’s very well worth a watch.
Photo Grégory Batardon
© Pablo Zamora
Nella motivazione, Marie Chouinard la definisce «gran signora stravagante dell’arte contemporanea, figura di spicco della danza attuale, la sua opera rigorosa e radicale critica e irride la metamorfosi, l’ibridismo, l’assurdità e la libertà […] La transdisciplinarità è la sua firma di indisciplinata, la sua fisicità è assoluta, pratica la povertà con opulenza, i suoi atti sono proteiformi, è una tragedienne selvaggia e minimalista, il suo umorismo prima scortica e poi libera il libero-pensiero. Ci fa amare la libertà e i suoi limiti vibranti. Si diverte. Ci rallegra». Così sicuramente è stato nel 2017, quando, sempre a Venezia, ha portato Gustavia, con l’amica Mathilde Monnier, capofila della danza contemporanea francese. Un burlesque in nero a due, con cadute, collisioni, passi di danza, botte, sospiri, gare di pianto, pose sexy di danzatori dal fisico non omologato a quello delle pin up, ma pieno di colte citazioni tratte soprattutto dall’Amleto di Shakespeare. Il pubblico si divertì molto, anche se l’artista nel dibattito seguente avvertiva che non necessariamente andava colto ogni dettaglio, ma la pièce era da apprezzare nel suo complesso. Onore al merito alla La Ribot: 34 pezzi della performer sono raccolti nel film documentario del 2004 La Ribot distinguida del regista Luc Peter, tre ore di pellicola disponibili gratuitamente in rete, assolutamente da vedere. «Ho sempre pensato che le opere d’arte debbano avere l’intenzione di essere un “Manifesto”. Más distinguidas e Another Distinguée portano in sé il profondo desiderio di rivoluzionare lo sguardo sulla danza e la sua posizione nelle arti; di compattare insieme l’aspetto coreografico e quello visivo, di cambiare lo spettatore e includerlo nel lavoro. La danza non ha una narrazione possibile; è poesia, è silenzio e concentrazione. Il suo territorio si amplia, ma non per questo si lascia afferrare facilmente». Loris Casadei
Cerimonia di consegna 15 ottobre h. 12 | Ca’ Giustinian Más distinguidas 13 ottobre h. 20 | Teatro alle Tese Another Distinguée 25 ottobre h. 21 | Teatro alle Tese www.labiennale.org
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Ritmo sovrano
Sovereign rhythm
Claudia Castellucci riceve il Leone d’Argento
The Silver Lion awarded to Claudia Castellucci
Drammaturga, coreografa e didatta, Claudia Castellucci alla Biennale, che la premia con il Leone d’Argento, presenta Fisica dell’aspra comunione su musiche tratte dal Catalogue d’Oiseaux, di Oliver Messiaen (1908–1992), originale e famoso pianista, organista, compositore, nonché ornitologo. Conosciutissimo per molte sue composizioni ispirate al canto degli uccelli che riteneva essere i più grandi musicisti sulla terra. Ed è sempre a lui che va il merito di aver riscoperto e portato in Occidente il Gagaku, raffinata musica di corte giapponese. Dal vivo sul palco, la coreografia di Claudia Castellucci sarà accompagnata dal pianista Matteo Ramon Arevalos. Nella motivazione al Premio Marie Chouinard afferma: «da tempo conosciamo questa coreografa seria, minimalista ed esigente, che lavora con sacralità alla sua arte». Mòra, la compagnia di danza del nuovo Leone d’Argento è nata nel 2015 all’interno della Socìetas, una volta Raffaello Sanzio, che opera dagli anni Ottanta con una continua ricerca sul movimento. In origine gli scopi di Mòra erano esclusivamente didattici e di puro studio. «Annotazioni sulla danza. La danza fu l’intuizione di creare un movimento profondamente silenzioso. La disciplina specifica la istruii nell’immenso capitolo del tempo – scrive Castellucci nelle pagine del catalogo –, tra le sue ermetiche chiusure e sproporzionate aperture. Non cercai né trovai nulla, nella tradizione, non per alterigia, ma per un accesso veramente primitivo. Mi affidai soltanto alla musica come fonte del ritmo da seguire. L’ammirazione della ginnastica mi condusse a chiedere a esperti i rudimenti fisiologici dello stare e del moto umano. Un dovere verso lo spettacolo mi spinse a creare una scuola, e poi una compagnia». Alcune caratteristiche precise emergono dal personalissimo percorso di Castellucci. In primis una devota attenzione al tempo, sottolineata da un legame metronomico con la musica. I danzatori ad esempio spesso utilizzano gli arti inferiori come strumenti di percussione sul terreno. Poi l’adozione di un tema. Le sue coreografie non hanno uno sviluppo narrativo preciso
A playwright, choreographer, and teacher, Claudia Castellucci will be awarded the 2020 Silver Lion. Castellucci will present Fisica dell’aspra comunione, a piece based on music from Olivier Massiaen’s (1908–1992) Catalogue d’Oiseaux. Known for the several compositions inspired by birds’ call, Massiaen was, in fact, a pianist, organist, composer, and ornithologist. We owe to him the popularization in the West of gagaku, the refined Japanese court music. Live on stage, Claudia Castellucci’s performance will be accompanied by pianist Matteo Ramon Arevalos. Mòra, Castellucci’s dance company, was born in 2015 as a study and educational group. In the founder’s words: “Notes on dancing. Dance is the intuition of deeply silent motion. I founded this specific discipline in the immense chapters of time, between hermetic closures and disproportionate openings. I wasn’t looking for anything, nor did I find anything, in tradition. Not because of arrogance, but to assure a truly primitive approach. I relied on music alone as the source of rhythm. The admiration I had for gymnastic prompted me to inquire experts about the physiological bases of human motion. I also felt it was my duty to start a school first, and then a company.” A few things emerge quite clearly from the choreographer’s story: she is extremely attentive to time. Dancers will often use their legs as a percussion instrument on the ground. And then there’s themes: her choreographies are not a precise narration, à la Marta Graham, but still, a thread is always perceivable. In her 2018 work, All’inizio della città di Roma, we can read reflections on the performative practices a nascent community must undertake, the definition of property boundaries, the sanctioning of crimes, the need for collective myth that will engender solidarity. Her Verso la specie takes place in deconsecrated churches, where six characters in black robes – a costume Castellucci loves – dance to the rhythm of bells. Again, the piece echoes Massiaen’s work inspired by Benedictine liturgical chants. Dance Biennale Director Marie Chouinard motivated the Silver Lion Award to Claudia Castellucci noting how in Fisica dell’aspra comunione “sober accents seem to emerge and delicate, modest flashes that take us back to the origin of creation and, in particular, to where it all begins: love for dance, love for art.”
Photo Pierre Planchenault
alla Martha Graham, ma è sempre percepibile e dichiarato il “filo rosso”, direbbe Goethe, delle Affinità elettive. Nella sua coreografia del 2018, All’inizio della città di Roma sono leggibili le riflessioni sugli atti, le pratiche che una comunità nascente deve affrontare, la definizione di confini di proprietà, la sanzione di crimini, la necessità di miti collettivi che suscitino solidarietà. Del 2019, quando Mòra si costituisce compagnia, la creazione di Verso la specie che si muoveva invece sul terreno privilegiato di chiese sconsacrate, dove sei figure in ascetico abito talare nero – costume molto amato da Castellucci – danzavano con movenze incisivamente segnate da musica ritmica, a illustrare il suono delle campane e il relativo movimento ondulatorio che esse suggerivano. Di Messiaen emula i rintocchi delle campane che provenivano filologicamente dall’Abbazia benedettina Saint Benoit d’En Calcat, famosa per i suoi canti liturgici. Sempre nella motivazione, Marie Chouinard nota come in Fisica dell’aspra comunione «emergano con accenti sempre sobri, delle folgorazioni delicate, sempre pudiche, che ci riconducono alle origini della creazione e, in particolare alla casa madre dell’amore per la danza e per l’arte, in generale».
Cerimonia di consegna 15 ottobre h. 12 | Ca’ Giustinian Fisica dell’aspra comunione 16 ottobre h. 21 | Teatro Piccolo Arsenale www.labiennale.org
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Marco D’Agostin AVALANCHE
Guy Nader / Maria Campos
TIME TAKES THE TIME TIME TAKES
Chiara Bersani
GENTLE UNICORN
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© Alice Brazzit
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© Alice Brazzit
La coreografia come dispositivo della memoria; luogo del ritrovamento, dell’invenzione o della scoperta di un passato. La danza come mezzo per far esplodere l’emotività […] Il corpo come territorio attraversato non solo da memorie, non solo da sussulti, ma anche dal suono: una geografia in cui i sensi e i significati – delle parole e dei movimenti – collidono, generando frizioni.
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© Alfred Mauve
…La nozione di tempo e il piacere della ripetizione rivela un eterno presente che evidenzia il qui e ora come stato di contemplazione, una qualità fugace ed effimera come la danza stessa.
Il Corpo non può più fuggire al suo essere politico: non può farlo quando s’immerge nella società imponendo la propria forma al mondo e ricevendo in risposta significati, interpretazioni e aspettative; non può farlo quando viene silenziato, allontanato dalle strade, dimenticato dalle folle.
Già interprete per Claudia Castellucci, Alessandro Sciarroni e Iris Erez, Marco D’Agostin (Valdobbiadene, 1987) inizia l’attività coreografica nel 2010 e da allora presenta i suoi lavori oltre che in Italia, in Francia, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, vincendo nel 2018 il Premio Ubu come miglior performer under 35. Nel 2013 è uno dei fondatori di VAN insieme ad altri otto artisti (Foscarini, Martini, Monga, Nardin, Panzetti & Ticconi, Russolillo). Avalanche, che ha debuttato ai Rencontres chorégraphiques internationales de Seine-Saint-Denis, si ispira a un universo distopico «che si nutre di inquietudine post-catastrofica, nel gesto di fragilità desolata, nel suono spezzato della parola in brandelli di lingue diverse, nella dualità degli interpreti, diversi nel costume uguale. Il silenzio prelude alla valanga, come perdita, come vuoto rarefatto in cui ascoltare il movimento. In Avalanche i due esseri umani protagonisti vengono osservati da un occhio ciclopico come antiche polveri conservate in un blocco di ghiaccio. Sono Atlanti che camminano all’alba di un nuovo pianeta, dopo essersi caricati sulle spalle la loro millenaria tristezza». Marco D’Agostin, who has performed for Claudia Castellucci, Alessandro Sciarroni and Iris Erez, began his career as a choreographer in 2010 and since then has presented his works in Italy, France, Great Britain, Spain and Belgium, winning the 2018 Ubu award as Best performer Under 35. He was one of the founders of VAN in 2013 along with 8 other artists (Foscarini, Martini, Monga, Nardin, Panzetti & Ticconi, Russolillo). Avalanche, which made its debut at the Rencontres chorégraphiques internationales de Seine-Saint-Denis, is inspired by a dystopic universe, and presents a man and a woman who have survived an imminent catastrophe and “walk towards the dawn of a new planet, after hoisting the burden of their sadness onto their shoulders.”
Danza e contact per Maria Campos, catalana; arti marziali per Guy Nader, libanese, che scopre la danza contemporanea in Catalogna. Insieme fondano nel 2006 la compagnia indipendente GN|MC con sede a Barcellona; i loro lavori sono stati presentati in festival e teatri internazionali, fra cui Francia, Belgio, Libano, India e Corea del Sud. TTTTTT (Time Takes The Time Time Takes), sei T per sei persone, in abiti bianchi argentei, colte in stato di relazione reciproca, che visualizzano in scena il ritmo – scandito dalle percussioni live di Miguel Marin –, un continuum che lavora come gli ingranaggi di un orologio, quello della vita che scorre, eternamente presente, con una qualità di energia semplice, bella, elegante, fisica e ipnotica. La sonorità del ticchettio si accompagna alle figure, spesso acrobatiche, di performers che si spostano come lancette su quadranti, come macchine corporee che il Dio Cronos manovra in un sistema di strategie coreografiche di gruppo con una musica pervasiva intessuta su schemi da meccanica di precisione, in coordinamento perfetto. Catalan artist Maria Campos and Guy Nader from Lebanon, who since 2006 have formed an independent company based in Barcelona, explore time with three other dancers in Time Takes the Time Time Takes – TTTTTT, six Ts for six people, in silvery white garb, captured in a state of mutual relation, who visualize the rhythm of time on stage, a continuum that works like the mechanism of a clock, of life flowing on, eternally present, with an energy that is simple, beautiful, elegant, physical and hypnotic. The sound of the ticking resonates with the often-acrobatic figures of the performers who move like the hands on the face of a clock, like body-machines that the God Chronos manoeuvres within a system of group choreographic strategies with a pervasive music woven into the patterns of perfectly coordinated precision mechanics.
Chiara Bersani (Lodi, 1985) è una performer e autrice italiana attiva nell’ambito delle Performing Arts, del teatro di ricerca e della danza contemporanea. Con i suoi 98 centimetri d’altezza sia come interprete che come regista/coreografa si muove attraverso linguaggi e visioni differenti. I suoi lavori, presentati nei circuiti internazionali, nascono come creazioni in dialogo con spazi di diversa natura e sono rivolte prevalentemente a un pubblico “prossimo” alla scena. La sua ricerca come interprete e autrice si basa sul concetto di “Corpo Politico” e sulla creazione di pratiche volte ad allenarne la presenza e l’azione. L’opera manifesto di questa ricerca è la performance Gentle Unicorn. Per il rigore nell’incarnare questo studio nel 2019 le viene attribuito il Premio Ubu come miglior nuova attrice/performer under 35. All’unicorno, figura mitologica di cui non si conoscono le origini e che ha cambiato forma e significati attraverso i secoli, «creatura senza patria e senza storia, usato e abusato dall’essere umano, privato del diritto di parola», Chiara Bersani consacra il proprio corpo – carne, muscoli e ossa, cuore, occhi e respiro – per risarcirlo dei torti subiti. Regalargli una storia, un amore, una scelta. Chiara Bersani (Lodi, 1985) is an Italian performer and author in the field of the Performing Arts, experimental theatre and contemporary dance. As both a performer and a director/choreographer, she moves through different languages and visions. Her research as a performer and an author is based on the concept of Political Body and on the creation of practices that aim to train its presence and action. The “manifesto” piece for this research is the performance Gentle Unicorn. For the rigour she has demonstrated in embodying this study, in 2019 she won the UBU prize as best new actress/performer under 35. To the unicorn, “a creature with no homeland and no history, used and abused by humans, deprived of the right to free speech”, Chiara Bersani consecrates her own body – flesh, muscles and bone, eyes and breath – to compensate for the injustices it has suffered. To give it a story, love, choice.
15 ottobreOctober h. 17 | Sale d’Armi
15 ottobreOctober h. 20 | Teatro alle Tese
16 ottobreOctober | Tese dei Soppalchi h. 19
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Jone San Martín
Lisbeth Gruwez
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LEGÍTIMO / REZO
Nel mio lavoro la danza è un linguaggio che mi permette di esprimere e connettere parti di me stessa che sono al di là della mia ‘comprensione’. Quando danzo come performer divento un filtro. Jone San Martín ha incorporato i saperi di decenni di familiarità con William Forsythe e li restituisce con ingegno, talento, passione. «William Forsythe mi offre gli schemi per come il solo potrebbe funzionare, il contenuto è una mia scelta», dichiara Jone. La performer basca è una sorta di “archivio vivente” del laboratorio del coreografo americano durante il periodo francofortese, crogiolo fertilissimo di azione, pensiero, innovazione, dal balletto alla performance, all’installazione, al site-specific. Il solo, che Forsythe stesso le ha disegnato a grandi linee, si sviluppa su suoni e parole destinati soltanto alle cuffie della danzatrice, che soffre di debolezza dell’udito da quando era trentenne. Il pubblico avverte, però, la musica inscritta nel corpo in costante movimento della San Martín, come guida nei meandri della problematicità di una danza che si critica e si analizza nel suo farsi. Legítimo/Rezo è diventato una sorta di “taccuino di chi danza” in cui raccogliere idee e memorie, interrogandosi in scena sul proprio lavoro mentre lo si fa e chiamando il pubblico a testimone. Jone San Martín has incorporated the knowledge garnered from decades of familiarity with William Forsythe and returns it with ingenuity, talent and passion. “William Forsythe gives me the outlines of how the solo could possibly work, the content is my choice”. The Basque performer is a sort of “living archive” of the American choreographer’s workshop during his time in Frankfurt, a fertile breeding ground for action, thought, innovation, from ballet to performance art, installations and sitespecific work. The solo, which Forsythe himself delineated for her, proceeds through sounds and words heard only in the headset of the dancer, who has been hearing-impaired since the age of thirty. But the audience perceives the music inscribed in San Martín’s constantly moving body, guiding them into the meanders of the problematics of a dance that analyses and critiques itself as it unfolds. Legitimo/Rezo has become a sort of “dancer’s notebook” in which to collect ideas and memories, questioning her work on stage as she dances and calling on the audience to bear witness. 17 ottobreOctober h. 17 | Sale d’Armi
PIANO WORKS DEBUSSY LISBETH GRUWEZ DANCES BOB DYLAN
Noé Soulier
THE WAVES PORTRAIT OF FRÉDÉRIC TAVERNINI
© Danny Willems
Indago sempre di più nelle possibilità di una coreografia organica. È più poetica per me di una coreografia rappresentazionale. È anche questione di pensare a ciò che si deve fare invece di pensare a ciò che ci si aspetta da te. Tenere la schiena dritta, qualsiasi cosa accada. Lisbeth Gruwez, figura di punta del panorama belga proveniente dal laboratorio artistico di Jan Fabre, tiene la scena con una presenza di fulgore abbacinante, interpreta e crea tutto ciò che sceglie e concepisce con il marchio di una personalità contundente, magnetica, sfrontata, elegante. A Venezia per la prima volta, Lisbeth si misura con la musica classica, quella ‘immateriale’ di Claude Debussy, insieme alla pianista Claire Chevallier, fronteggiandola con il suo linguaggio di movimento peculiare, elaborato nel solco più autentico della danza contemporanea come ambito d’approdo ideale nel suo percorso artistico. Le canzoni epocali firmate da Bob Dylan negli anni Sessanta e Settanta hanno invece indotto la Gruwez a intavolare un dialogo intimo con il grande menestrello, premio Nobel per la letteratura 2016. Maarten van Cauwenberghe suona dal vivo i vinili storici dylaniani, intrecciando con schiettezza i fili di inedite complicità naturali, di ascolti, di sguardi, di gesti. Il vissuto alchemicamente condiviso in grande sintonia di sentimenti e di percezioni è felicemente lontano da ogni tensione illustrativa. For the first time, Lisbeth Gruwez applies herself to classical music, and specifically the “immaterial” music of Claude Debussy with pianist Claire Chevallier. She confronts it with her particular language of movement, elaborated in the most authentic groove of contemporary dance as an ideal harbor within her artistic journey. The epoch-making songs written by Bob Dylan in the 1960s and 1970s led Lisbeth Gruwez to initiate an intimate dialogue with the great minstrel, winner of the Nobel Prize for Literature in 2016. Maarten van Cauwenberghe plays Dylan’s historic vinyl albums live, openly weaving the threads of unprecedented natural complicities, of listening, gazes, gestures. The life experience alchemically shared in a communion of feelings and perceptions is happily far from any illustrative inclination.
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© Pierre Ricci
L’esperienza delle nostre azioni corporee, sia nel presente sia nella memoria che ne abbiamo, è sempre frammentaria. È questa dimensione frammentaria dell’esperienza corporea che cerco di veicolare attraverso il movimento. Per farlo mi affido a compiti pratici che tutti conosciamo […] deviati rispetto alla loro funzione iniziale. Eliminando ciò che rende familiari queste azioni quotidiane, cerco di rivelare la stranezza e l’elusività dell’esperienza del nostro proprio corpo.
22 ottobreOctober h. 20 | Teatro alle Tese (Lisbeth Gruwez dances
Apripista di una nuova generazione di coreografi, Noé Soulier vanta una formazione completa che abbraccia tutta la danza occidentale, studiata tra Parigi Toronto e Bruxelles, ma anche una laurea in filosofia alla Sorbona e la scrittura di saggi. Direttore dallo scorso luglio del CDNC di Angers, Soulier alla Biennale presenta due lavori che mettono sotto la lente d’ingrandimento il gesto e la memoria del corpo, elementi cardine su cui poggia la sua ricerca. The Waves con due percussionisti dell’Ictus Ensemble e Portrait of Frédéric Tavernini, con lo stesso Soulier ad eseguire le musiche di Fargion al pianoforte. Inscrivendo le sue coreografie in un contesto concettuale – quale erede di una generazione di artisti come Jérôme Bel, Xavier Leroy, Tino Seghal – i suoi lavori sono all’insegna dell’armonia e della bellezza. A trailblazer for a new generation of choreographers, Noé Soulier has embraced all of western dance in his well-rounded training, which he completed between Paris, Toronto and Brussels, while also earning a degree in philosophy from the Sorbonne, and writing essays. He has been appointed to be the Director of the CDNC in Angers starting in July. At the Biennale, Soulier presents two works that scrutinize the gesture and memory of the body: The Waves, with two percussionists from the Ictus Ensemble, and Portrait of Frédéric Tavernini, with Soulier himself performing Fargion’s music on the piano. Inscribing his choreography into a conceptual context – as the heir to a generation of artists such as Jérôme Bel, Xavier Leroy, Tino Seghal – his works strive for both harmony and beauty.
Bob Dylan)
20 ottobreOctober h. 20 | Teatro alle Tese
17 ottobreOctober h. 20 | Teatro alle Tese (Piano Works Debussy)
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Matteo Carvone [FAUN]
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COLLEGE
COLLEGE
YOUR BODY IS A BATTLEGROUND
IMA
Adriano Bolognino
Sofia Nappi
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© Effy Grey
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…Ritengo essenziale il senso dell’ironia nella ricerca perché si mantenga autentica: sull’umano e sull’esperienza che tutti condividiamo, la complessa semplicità del vivere, motivo del nostro andare avanti senza mai saziarsi.
Matteo Carvone (Trieste, 1985) attivo con importanti coreografi come Forsythe, Emmanuel Gat, Wayne McGregor e dal 2009 coreografo freelance principalmente nel nord Europa, rivisita e mette in ‘gabbia’ la figura mitologica del fauno, che è anche un archetipo del balletto moderno da Nižinskij in poi, con cui si sono misurati coreografi come Lifar, Robbins, Amodio, Petit, Kylián, Béjart, Neumeier e la stessa Chouinard, che ne diede una provocatoria versione al femminile. Il [FAUN] di Carvone sta adesso tra parantesi quadre, quelle delle citazioni testuali e letterarie e quelle dei vettori in informatica, ovvero in una gabbia spaziale fisica e metafisica. Grilli, suoni siderali, meteorologici, animaleschi, acquatici, risate, respiri, gemiti, capogiri, lacerti di parole ordinario-poetiche, toni da inno, fiato corto per le corse, discussioni, urla isteriche, saltelli e svolazzi; e belati, campane, note in lontananza, da Don Juan di Haydn, dentro a un brontolio elettronico, a Vivaldi, a My Way con la voce di Nina Simone, in un concentrato di paesaggio bucolico audiovisuale. La luce viene anche da sottoterra. Due creature-maschio, a tratti gemellari, a torso nudo, con buffi pezzi di abbigliamento usati maccheronicamente, con biancheria a vista, manovrando tubi risonanti, condividono la scena, tra caccia e gioco, con autoironia, tra rispecchiamento reciproco, introspezione personale e comicità divertita. Matteo Carvone, who has worked with important choreographers such as William Forsythe, Emmanuel Gat and Wayne McGregor, and who has been a freelance choreographer since 2009, primarily in Northern Europe, revisits and “cages” the mythological figure of the faun: an archetype of modern ballet since Nijinsky, it has been a challenge for choreographers such as Lifar, Robbins, Amodio, Petit, Kyliàn, Béjart, Neumeier and Chouinard herself, who presented a provocative female version of the myth. Anchored to our contemporary era, Carvone presents [FAUN], a male duo on artificial grass, nature lost forever to the self-destructive fury of man.
Tra sport e palestra Adriano Bolognino sceglie la danza e, nella sua Napoli, studia con maestri-mentori fino all’approdo nel Lyceum di Mara Fusco. Passa poi a Milano, dove la danza contemporanea lo coinvolge. Il contatto con l’universo coreografico di Wayne McGregor si rivela fondamentale nel suo percorso di creatore dalla forte e precoce vocazione. Bolognino, classe 1995, ha già al suo attivo ha già diverse coreografie, si è formato sia nel classico che nel contemporaneo ed è stato attivo come danzatore anche con Marcos Morau della compagnia La Veronal. Vincitore del College Coreografi dello scorso anno con La più viva delle città morte, curioso della danza e della vita, il giovane autore partenopeo torna a Venezia con un’opera commissionata dalla Biennale. Your Body is a Battleground, che rimanda all’immagine in positivo/negativo di Barbara Kruger, creata e diffusa per la marcia delle donne di Washington nel 1989, grande manifestazione in favore della libertà femminile di autodeterminazione sul proprio corpo e sulla riproduzione e sull’aborto negli USA, vuole indagare nella coscienza di ciascuno e nella consapevolezza sociale dei ruoli oggi. Between sport and gym, Adriano Bolognino chose dance and, in his native city of Naples, he studied with mastersmentors until he ended up at Mara Fusco’s Lyceum, a breeding ground for dancers. He then went to Milan, where he was fascinated by contemporary dance. The contact with the choreographic universe of Wayne McGregor proved fundamental to his career as a creator with a strong and precocious vocation. Adriano Bolognino, who has already authored several choreographic works, was trained in both classical and contemporary dance, and was a dancer with Marcos Morau from the La Veronal company. Your Body is a Battleground is the title of the choreographic piece for La Biennale, inspired by the eponymous work by artist Barbara Kruger, in which the body in the programmatic title is the female body.
Rappresenta bene il profilo di una giovane performer e creatrice-tipo nel panorama della danza italiana odierna, tra storia e presente, Sofia Nappi, nata in Toscana, formata in Liguria al nuoto, al pianoforte e anche alla danza. A diciassette anni parte per Vancouver, per studiare, e qui entra nel Byrne Creek Dance Group diretto da Shannon Tirling. Decide di dedicarsi professionalmente alla danza e continuare il suo training a New York, diplomandosi alla Ailey School nel 2017. La sua tendenza verso la coreografia è tanto evidente che i suoi lavori vengono per due anni consecutivi selezionati e rappresentati all’Ailey Citigroup Theater. Amplia il più possibile i suoi orizzonti partecipando a vari programmi e progetti come l’Intensive Forsythe Improvisational Techniques, Gaga Intensives a Tel Aviv e in Italia, b12 performances a Berlino, Hofesh Shechter Company Intensives in Italia e all’estero. Dopo Holelah con cui vinse il College Coreografi lo scorso anno, la Biennale la richiama ora per IMA. Sono le tappe di un itinerario migrante in cerca della sua strada, caratteristico degli autori contemporanei di ogni Paese, oggi connessi alle reti internazionali e pronti a proiettarsi in una dimensione globale. Born in Tuscany, Sofia Nappi offers a representative profile of a typical young performer and creator on the dance scene in Italy today, between history and present. At the age of seventeen, she left to study in Vancouver, where she danced with the Byrne Creek Dance Group directed by Shannon Tirling. She thus decided to dedicate herself to a career in dance and to continue her training in New York, where she graduated from the Ailey school in 2017. Her inclination towards choreography was so evident that her works were selected two years in a row to be presented at the Ailey Citigroup Theater. After last year’s Holelah, the Biennale Danza has asked her to return for IMA. These are the steps in a migrant journey as she seeks her path forward, typical of contemporary authors from many countries, who are connected to international networks and ready to project themselves outwards onto a global platform.
21 ottobreOctober h. 20 | Teatro alle Tese
22 ottobreOctober h. 18 | Sale d’Armi
22 ottobreOctober h. 18 | Sale d’Armi
© Rouch
…Credo in un tipo di arte non elitaria, che parli ai più, in un artista che sappia connettere pancia e testa attraverso il cuore. Credo in un’operazione artigianale del lavoro e credo fermamente nella sacralità del linguaggio del corpo.
…Immagino di creare un vero e proprio ‘dialetto’, un linguaggio da poter scambiare con i danzatori e creare attraverso i loro corpi […] Partire da un gesto, un’immagine, ripeterla, romperla. Entrare nelle viscere del danzatore senza mai perdere la parte esteriore. Lascio al pubblico la libertà di tradurre come desidera il mio linguaggio.
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COLLEGE
Danzatori
IN MUSEUM A MUSHROOM AT THE END OF THE WORLD LE SACRE DU PRINTEMPS
© Andrea Avezzù
Sono undici i partecipanti al College-Danzatori: Styliana Apostolou (Cipro), Magda Argyridou (Cipro), Giulia Cannas (Italia), Sandy Ceesay (Svezia), Toni Flego (Croazia), Silvia Galletti (Italia), Thalia Livingstone (Australia), Alice Ortona Coles (Regno Unito), Elisa Ruffato (Italia), Damiano Scavo (Italia), Luca Tomasoni (Italia). Le discipline di Somatic Approach in cui i giovani performer sono impegnati comprendono un ventaglio di approcci e di maestri tra cui Viola Esposti Ongaro per Feldenkrais, Marcella Fanzaga per Body-Mind Centering, Volker Moritz per Continuum, Kerstin Kussmaul per Myoreflex Training. Lo studio e la pratica dell’interpretazione del repertorio coreografico contemporaneo si articola intorno al lavoro peculiare di tre autori: Il Sacre du Printemps di Xavier Le Roy, in una nuova versione appositamente realizzata per il College e montata da lui e dai suoi danzatori Scarlet Yu, Sasa Asentic, Alexandre Achour; A Mushroom at the End of the World, nuova creazione di Marco D’Agostin; In museum di Marie Chouinard (2012), performance di danza interattiva preparata dalle sue interpreti Valeria Galluccio e Dorotea Saykaly. Eleven dancers for the College-Dancers: Styliana Apostolou (Cyprus), Magda Argyridou (Cyprus), Giulia Cannas (Italy), Sandy Ceesay (Sweden), Toni Flego (Croatia), Silvia Galletti (Italy), Thalia Livingstone (Australia), Alice Ortona Coles (UK), Elisa Ruffato (Italy), Damiano Scavo (Italy), Luca Tomasoni (Italy). The disciplines of the Somatic Approach in which the young performers are being trained include a range of approaches and masters such as Viola Esposti Ongaro for Feldenkrais, Marcella Fanzaga for Body-Mind Centering, Volker Moritz for Continuum, Kerstin Kussmaul for Myoreflex Training. The study and practice of performing the contemporary choreographic repertoire will focus on the specific work of three authors: the Sacre du Printemps by Xavier Le Roy, in a new version designed specifically for the College and staged by Le Roy and his dancers Scarlet Yu, Sasa Asentic, Alexandre Achour; a new creation by Marco D’Agostin; In Museum by Marie Chouinard (2012), interactive dance performance prepared by her interpreters Valeria Galluccio and Dorotea Saykaly.
Claudia Catarzi
POSARE IL TEMPO
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Olivier Dubois
POUR SORTIR AU JOUR
© Luca Hosseini
Il percorso è carnale piuttosto che concettuale e il pensiero è legato al “qui ed ora” che sostiene la scrittura della storia tra i corpi, guida le metamorfosi dei pensieri che vi operano e trasforma costantemente la materia prima: la figura umana […] Nel mio lavoro il tempo opera la progressione della composizione, lo spazio genera le connessioni e il peso radica il senso del gesto.
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© Julien Benhamou
Sono forse un artista che difende il luogo teatro come un assoluto di visioni mirate. Sono forse un bambino che sa già di non esserlo più.
14 ottobreOctober h. 20 (A Mushroom at the End of the World | Le sacre du printemps)
Formatasi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, Claudia Catarzi (Prato, 1983) ha iniziato il proprio percorso in danza lavorando nell’Ensemble di Micha Van Hoecke, per collaborare poi con Constanza Macras, Virgilio Sieni, Aldes/Roberto Castello, Company Blu/Certini & Zerbey, Yasmeen Godder, Ambra Senatore, Sasha Waltz. Un’ampia esperienza che continua al fianco di nomi importanti anche quando si cimenta, a partire dal 2011, con la creazione personale, ideando assoli premiati ovunque. Con lo studio a due Posare il tempo, Catarzi prosegue la propria ricerca sulle figurazioni, sui parametri della sua composizione e sul ritmo dei suoi paesaggi in movimento, visitati in un viaggio intimo e in una dimensione psicologica partecipata di sottile e forte impatto. La relatività delle connessioni è nella trama del suo operare scultoreo, in dialogo con il suono, per una scrittura scenica peculiare, per una costellazione pittorica di elementi corporei asciutti, privi di ogni compiacimento. Gli istanti, da decifrare e inseguire, si concatenano a opera della pura presenza in un’idea dell’arte del corpo raffinata, controllata, ampliata nei dettagli di una partitura dinamica esatta che elabora segni poetici in un montaggio accuratissimo, scevro di descrizioni nella propria chiarezza nettamente modellata e scandita. From Micha Van Hoecke to Constanza Macras, from Yasmeen Godder and Ohad Naharin to Sasha Waltz and Italian choreographers Virgilio Sieni and Ambra Senatore, Claudia Catarzi’s experience is vast and continues beside important names even when, since 2011, she turns to personal creation, conceiving solo pieces that have won awards everywhere. Currently an associated artist at the CDCN in Bordeaux, Claudia Catarzi presents Posare il tempo, a study for duo on movement in relation to the essential dimensions of space-time, the time that works towards the modification and evolution of things and the space that generates connections.
Spregiudicato, visionario, inventivo, radicale, sfacciato, agitatore, insurrezionale, eccentrico, ossessivo, Olivier Dubois è un antesignano dell’anomalia del corpo diversamente bello. Performer dionisiaco, si racconta facendo affiorare un’esperienza totale di consacrazione alla danza mentre pesca nella memoria di una sessantina di spettacoli lungo tutta una carriera con gli strumenti affilati di un’intelligenza messa al servizio del tavolo anatomico su cui analizzare più frammenti di sé, scelti per sorteggio. Dubois, ha lavorato con Sasha Waltz, Jan Fabre, Angelin Preljocaj, il Cirque du Soleil prima di imporsi come uno tra i migliori danzatori del mondo nel 2011, ed è stato direttore del Ballet du Nord/Centre Chorégraphique National de Roubaix dal 2014 al 2017. Creando e danzando il suo solo del 2018, Pour sortir au jour, titolo che rinvia all’antico Libro dei Morti egizio, Dubois celebra un rituale condiviso con il pubblico, offrendosi nella sua verità, scavando nelle sue viscere per trovare i tesori che contengono e trarne le vestigia delle proprie opere, come un aruspice regale. Daring, visionary, inventive, radical, brash, agitator, insurrectionary, eccentric, obsessive, Olivier Dubois is a forerunner of the anomaly of the diversely beautiful body. A Dionysiac performer, he tells his story by bringing to the surface a total experience of consecration to dance as he delves into the memory of over sixty performances, an entire career in which the sharpened tools of intelligence are placed at the service of the anatomical table on which he analyses fragments of himself, chosen at random. Dubois, hailed as one of the best dancers in the world in 2011, was the director of the Ballet du Nord/ Centre Chorégraphique National de Roubaix from 2014 to 2017. Creating and dancing his 2018 solo, Pour sortir au jour, a title that alludes to the ancient Egyptian Book of the Dead, Olivier Dubois celebrates a ritual he shares with the public, offering his true self, digging deep into his viscera to find the treasures they contain and draw out the remains of his own works, like a regal haruspex.
22, 25 ottobreOctober h. 15-17 (In Museum)
23 ottobreOctober h. 18 | Teatro Piccolo Arsenale
23 ottobreOctober h. 20 | Teatro alle Tese
13 ottobreOctober h. 17 (A Mushroom at the End of the World | Le sacre du printemps)
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:biennaledanzaprotagonisti
Silvia Gribaudi GRACES
COLLEGE
Silvia Giordano / Emese Nagy / Melina Sofocleous TRE NUOVE CREAZIONI
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martue
ottoct
h. 17 | Tese dei Soppalchi
Biennale College – Danzatori / Dancers
Marco D’Agostin A MUSHROOM AT THE END OF THE WORLD (2020, 30’) prima assoluta / world premiere
Xavier Le Roy LE SACRE DU PRINTEMPS (2020, 50’)
nuova versione per / new version for Biennale College Danza
h. 20 | Teatro Alle Tese (II)
La Ribot MÁS DISTINGUIDAS (1997, 60’) prima italiana / Italian premiere
14
merwed
ottoct
h. 20 | Tese dei Soppalchi
Biennale College – Danzatori / Dancers
Marco D’Agostin A MUSHROOM AT THE END OF THE WORLD (30’)
‘‘
© Matteo Maffesanti
Xavier Le Roy LE SACRE DU PRINTEMPS (50’)
…Uso l’umorismo per destrutturare il pregiudizio e indagare le deviazioni da un modello riconosciuto, alla costante scoperta di un clown fallibile e rivoluzionario, che osi attraversare la vertigine poetica dell’imperfezione per arrivare, suo malgrado, a creare scintille di bellezza e grazia. Mettendo al centro della ricerca il corpo e la relazione con il pubblico, la poetica di Silvia Gribaudi si nutre della ricerca costante di confronto e di inclusione nel cuore del tessuto sociale e culturale in cui sviluppa i suoi progetti performativi. Il suo linguaggio, peculiare, mescola i modi della danza con la comicità cruda ed empatica. Le sue tre grazie, le figlie di Zeus, Aglaia, Eufrosine e Talia, che Antonio Canova realizzò tra il 1812 e il 1815, per lei, maieutica e auto-sarcastica e complice del pubblico in scena, sono diventate uomini, nei corpi canonicamente belli di Siro Guglielmi, Matteo Marchesi e Andrea Rampazzo, co-autori. In GRACES, Gribaudi, ilare coreodanzatrice, domina il ritmo del gioco scenico, i ragazzi danzano giocando in agilità con i modi del balletto accademico, del vogueing, del wrestling, delle arti marziali, del musical, delle tecniche contemporanee; sono pronti a sorridere di sé e del proprio fascino maschile indossando calzoncini dorati da starlet; sanno divertirsi con la musica barocca, L’estro armonico, il valzer, la canzonetta, il jazz di Glenn Miller (Sing Sing Sing). Anche sull’identità di genere, e sui generi – alti e bassi – dello spettacolo, la coreo-performer sa scivolare in allegria, senza affliggersi e affliggere con gli scarti di antiche battaglie ideologiche. Focusing the research on the body and the relationship with the audience, Silvia Gribaudi’s poetics feed on a constant search for dialogue and inclusion in the heart of the social and cultural fabric in which she develops her performance projects. Her three Graces, Zeus’ daughters Aglaea, Euphrosyne and Talia, who were chiseled by Antonio Canova, the sculptor of mythical beauty, between 1812 and 1815, have for her, maieutic, self-sarcastic and complicit with the audience on the stage, become men in the canonically beautiful bodies of Siro Guglielmi, Matteo Marchesi and Andrea Rampazzo, her co-authors. 24 ottobreOctober h. 21 | Teatro Piccolo Arsenale
15
giothu
ottoct
h. 12:00 | Ca’ Giustinian, Sala delle Colonne
Sono tre le coreografe chiamate a ideare una creazione per la Biennale Danza 2020: Silvia Giordano, 31 anni da Cividale del Friuli, Emese Nagy, 30 anni da Budapest e Melina Sofocleus, 23 anni di Cipro. A ognuna di loro è stata affidata l’elaborazione di una creazione libera e originale di circa 20 minuti. A questo scopo le tre coreografe ammesse sono in residenza a Venezia dall’8 settembre e fino al 25 ottobre. Dopo una fase propedeutica, dedicata all’analisi del meccanismo compositivo e ideativo di Merce Cunningham – che servirà da spunto per la ricerca personale – le coreografe hanno lavorato per 6 settimane consecutive alla propria creazione con i 7 danzatori professionisti selezionati: Giorgia Bortoluzzi, Rebecca Carluccio, Stefano De Luca, Ludovica Di Santo, Mathilde Fasciana, Francesca Roini Andrea Scarfi. Nella fase di ricerca ed elaborazione delle tre creazioni originali le coreografe si sono potute confrontare con esperti, fra cui: Ashley Chen, per la metodologia e il repertorio di Merce Cunningham, Guy Cools come drammaturgo, i registi Simone Derai e Serena Sinigaglia nel ruolo di “occhio esterno” sul lavoro, Sander Loonen come lighting designer. Three choreographers have been selected to conceive a creation for the Biennale Danza 2020: Silvia Giordano (Italy), Emese Nagy (Hungary), Melina Sofocleus (Cyprus). They will have seven professional dancers to work with: Giorgia Bortoluzzi, Rebecca Carluccio, Stefano De Luca, Ludovica Di Santo, Mathilde Fasciana, Francesca Roini, Andrea Scarfì. They will be supported in their work by the tutors Ashley Chen, for the methodology and repertory of Merce Cunningham, Guy Cools for dramaturgy, directors Simone Derai and Serena Sinigaglia in the role of “outside eye” on their work, and Sander Loonen for the lighting design. 24, 25 ottobreOctober h. 18 | Tese dei Soppalchi
Cerimonia di consegna / Award Ceremony Leone d’Oro alla Carriera / Golden Lion for Lifetime Achievement
LA RIBOT
Leone d’Argento / Silver Lion
CLAUDIA CASTELLUCCI h. 17 | Sala D’armi A
Marco D’Agostin AVALANCHE (2018, 50’)
a seguire / to be followed by conversazione con il coreografo / a conversation with the choreographer h. 20 | Teatro alle Tese (III)
Guy Nader / Maria Campos TIME TAKES THE TIME TIME TAKES
(2015, 55’)
16
venfri
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h. 19 | Tese dei Soppalchi
Chiara Bersani GENTLE UNICORN (2018, 41’) h. 21 | Teatro Piccolo Arsenale
Claudia Castellucci FISICA DELL’ASPRA COMUNIONE (2020, 40’) prima assoluta / world premiere
17
sabsat
ottoct
h. 15 | Giardino Marceglia
FILM
AHNEN ahnen (1987, 78’)
di / by Pina Bausch Film inedito scoperto negli archivi del Wuppertal Tanztheater, AHNEN ahnen, diretto e montato dalla Bausch, racconta il suo lavoro, dall’ideazione fino alla messa in scena di uno Stück, mostrando il suo speciale rapporto con i danzatori e il processo creativo “segreto” del suo saper fare, di artista completa, innovatrice su ogni fronte: danza, teatro, musica e anche schermi.
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h. 17 | Sale d’Armi A
22
giothu
Jone San Martín LEGÍTIMO / REZO (2014, 75’)
h. 15-17 | Sala d’Armi E
h. 20 | Teatro alle Tese (III)
Marie Chouinard IN MUSEUM
prima italiana / Italian premiere
domsun
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IF THE DANCER DANCES (2018, 87’)
di / by Lise Freidman, Maia Wechsler Un tributo alla danza e all’eredità di un maestro imprescindibile come Merce Cunningham voluto nel 2015 da Stephen Petronio, già memorabile interprete di Trisha Brown, impegnato con i suoi danzatori a rimontare Rain Forest, capolavoro di Cunningham datato 1968. h. 18 | Sale d’Armi G
incontro / encounter
Noé Soulier PORTRAIT DE FRÉDÉRIC TAVERNINI
(2019, 40’) prima italiana / Italian premiere a seguire / to be followed by conversazione con il coreografo / a conversation with the choreographer
ottoct
h. 16 | Giardino Marceglia
FILM
THE GREAT GHOSTS (2018, 52’)
h. 18 | Sale d’Armi G
incontro / encounter
h. 18 | Sala d’Armi A
Adriano Bolognino YOUR BODY IS A BATTLEGROUND (2020, 18’)
(2015, 50’)
(Francia, 2014, 57’) di / by François Roussillon Questo adattamento filmico del 2014 ispirato al balletto di José Martínez, Les enfants de Scaramouche, una coreografia su musica di Darius Milhaud, mostra l’incredibile talento dei giovani allievi dell’École de Danse de l’Opéra national de Paris. Roussillon inquadra il lavoro di Martínez in una narrazione più ampia che racconta del giovane Enzo che sogna di diventare ballerino étoile.
di / by Jérôme Cassou Nel 2015, sotto choc per l’attentato al «Charlie Hebdo», la coreografa Nadia Vadori-Gauthier prende la decisione di danzare un minuto ogni giorno, di filmarsi e condividere i suoi video sui social. Il regista Jérôme Cassou ha realizzato una sorta di road movie seguendo la performer con una telecamera a mano, in giro per Parigi, raccogliendo preziose e puntuali testimonianze durante il processo di lavorazione su corpi, volti, voci.
Matteo Carvone [FAUN] (2019, 50’)
prima italiana / Italian premiere
LA CHANA (Spagna, 2016, 83’)
domsun
ottoct
Marie Chouinard IN MUSEUM
h. 16 | Giardino Marceglia
Screening of short films ONE ANOTHER (7’50”) di / by Kevin Frilet ALIGNIGUNG (15’50”) di / by William Forsythe
UNSPOKEN SPOKEN FIN WALKER (17’) di / by Condoco dance Company
OME (3’ 38”)
di / by Camila Arroyo HUMANA (5’ 25”) di / by Paulina Rutman
LIL BUCK AT FONDATION LUIS VUITTON (4’)
di / by Lil Buck
h. 18 | Tese dei Soppalchi
prima assoluta / world premiere
Melina Sofocleous NUOVA CREAZIONE (2020, 20’) prima assoluta / world premiere
ottoct
h. 14 | Giardino Marceglia
FILM
a seguire / to be followed by conversazione con la coreografa / a conversation with the choreographer
Emese Nagy NUOVA CREAZIONE (2020, 20’)
Olivier Dubois POUR SORTIR AU JOUR (2018, 90’) sabsat
Silvia Gribaudi GRACES (2018, 50’)
prima assoluta / world premiere
h. 20 | Teatro alle Tese (III)
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h. 21 | Teatro Piccolo Arsenale
Silvia Giordano NUOVA CREAZIONE (2020, 20’)
Claudia Catarzi POSARE IL TEMPO (2018, 55’) ottoct
prima assoluta / world premiere
Biennale College – Coreografi / Choreographers
h. 18 | Teatro Piccolo Arsenale
h. 18 | Giardino Marceglia
h. 20 | Teatro alle Tese (III)
LES ENFANTS DE SCARAMOUCHE
SILVIA GRIBAUDI
prima italiana / Italian premiere
UNE JOIE SECRÈTE (2019, 70’)
ottoct
h. 14 | Giardino Marceglia
incontro / encounter
Noé Soulier LES VAGUES (2018, 60’)
Melina Sofocleous NUOVA CREAZIONE (2020, 20’)
Biennale College – Danzatori / Dancers
Lisbeth Gruwez / Maarten Van Cauwenberghe / Voetvolk LISBETH GRUWEZ DANCES BOB DYLAN venfri
prima assoluta / world premiere
h. 15-17 | Sala d’Armi E
h. 20 | Teatro alle Tese (III)
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Emese Nagy NUOVA CREAZIONE (2020, 20’)
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prima assoluta / world premiere
h. 20 | Teatro alle Tese (III)
FILM
prima assoluta / world premiere
ASSEMBLAGE (USA, 1968, 58’)
h. 16 | Sala d’Armi G
NOÉ SOULIER
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Silvia Giordano NUOVA CREAZIONE (2020, 20’)
di / by Richard Moore Nell’autunno del 1968 Merce Cunningham ebbe l’opportunità di creare un ampio lavoro per la tv in insieme al regista Richard Moore. Assemblage è stato realizzato nella Ghirardelli Square si San Francisco e rappresenta la fusione di due idee distinte: un film sul luogo stesso, e un film sulla compagnia di danza. Cunningham e la compagnia hanno trascorso lì tre settimane, in simbiosi con il luogo provando e girando.
FILM
di / by Louise Narboni & Yoann Bourgeois In occasione della terza edizione di Monuments en mouvement Yoann Bourgeois è entrato al Panthéon. Fissato nel punto più alto della cupola, il celebre pendolo di Foucault ha suscitato la creatività del coreografo sul movimento e sull’equilibrio.
21
Biennale College – Coreografi / Choreographers
Sofia Nappi IMA (20’)
h. 20 | Tese dei Soppalchi
martue
h. 18 | Tese dei Soppalchi
prima assoluta / world premiere
LISBETH GRUWEZ
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incontro / encounter
OLIVIER DUBOIS
h. 16 | Giardino Marceglia
FILM
h. 16 | Giardino Marceglia
FILM
h. 16 | Sala d’Armi G
Biennale College – Danzatori / Dancers
Lisbeth Gruwez / Claire Chevallier / Voetvolk PIANO WORKS DEBUSSY (2020, 60’)
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di / by Lucija Stojevic La Chana è un lungometraggio documentaristico che conduce il pubblico dentro al cuore e alla mente della “Chana”, la danzatrice autodidatta Antonia Santiago Amador, nata a Hospitalet de Llobregat (Barcellona, 1946), star del flamenco negli anni ‘60 e ‘70. Nel racconto drammatico sul processo e sul potere della creatività, sull’invecchiare, perseverare e reinventarsi, la Chana riassume le contraddizioni della sua vita tra l’artista di talento in teatro e la donna dietro le quinte.
h. 21 | Teatro alle Tese (II)
La Ribot ANOTHER DISTINGUÉE (2016, 80’)
prima italiana / Italian premiere
** Il programma può subire variazioni / The program may be subject to change Per gli spettacoli l’acquisto dei biglietti e abbonamenti è previsto solo online / Online ticketing only Per gli incontri, la Cerimonia dei Leoni e le proiezioni l’accesso è consentito solo previa prenotazione sul sito / Meetings, Lion Award Ceremonies, and screenings are accessible upon reservation via website. www.labiennale.org
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Il teatro di domani
Un posto per ogni cosa
© Lorenzo Letizia
48. Festival Internazionale del Teatro rappresenta uno dei tanti momenti culturalmente elevati in cui la ‘piccola’ città di Venezia assume una dimensione gigante. Innanzitutto le sedi in cui si svolgono le rappresentazioni costituiscono di per sé una ragione esaustiva per assistere agli spettacoli: in questo anomalo e per molti versi drammatico 2020 l’Arsenale, privo di esposizioni legate all’arte o all’architettura, trasudava un fascino irresistibile, esso stesso quinta sublime di un teatro complesso che è la nostra quotidianità di individui in maschera per salvarci dal contagio. Un pubblico ridotto per ragioni di necessario distanziamento, una programmazione meno internazionale per le arcinote difficoltà di viaggiare, la forza consueta di un’onda anomala di cultura pura, di fervore giovane e di soffio vitale che propaga dai palcoscenici, in cui il lavoro di ricerca del direttore Latella viene riportato dai diversi spettacoli dove la tradizione si intreccia con la sperimentazione pura e in cui i linguaggi si liberano dai vincoli del teatro convenzionale, in alcuni casi divenuto parcheggio per molti attori in declino o in attesa di tempi e temi migliori. Ogni evoluzione non deve essere motivo di damnatio memoriae del passato, il teatro merita grande attenzione in quanto forma di resistenza attiva al declino culturale in atto da vari decenni in maniera evidente nel nostro Paese. Tuttavia il richiamo di un ambiente in cui si celebra il teatro e si sperimentano regie differenti e nuove interazioni con testi iper-contemporanei risulta estremamente intrigante anche per un frequentatore di teatro ‘tradizionale’. Il limite inevitabile di manifestazioni come la Biennale Teatro sta forse nell’auto-referenzialità di un pubblico che si colloca nella nicchia della nicchia e, quindi, spinge sempre in avanti l’acceleratore delle richieste, dando talvolta l’impressione di amare il paradosso per il gusto di marcare la differenza e l’appartenenza al clan dei “comunque oltre”. Questa annotazione è più di carattere sociologico, perché spesso il conformismo è radicato nel più pervicace anticonformista sin dal suo modo di vedere e raccontare gli spettacoli, di abbigliarsi in una certa guisa e di rapportarsi alla banalità necessaria del quotidiano. Tra i molti spettacoli, seguendo il tema della censura proposto nell’edizione 2020 si segnalano: About Lolita, un progetto di Biancofango con drammaturgia di Francesca Macrì e Andrea Trapani anche interprete con la bravissima Gaia Masciale e Francesco Villano e la regia di Francesca Macrì. Dalle note di regia: «... Lolita è un verbo: è giocare con il fuoco, è inciampare, fraintendere, desiderare fino a rimanere senza fiato. Lolita è più di ogni cosa, nel quotidiano, un giudizio, ma per noi è innanzitutto un dialogo con l’arte che per la sua natura, per essere tale, non può che accogliere in grembo, insieme, dolore e piacere, beatitudine e tortura... Lolita è roba da censura. Ma si può censurare il piacere? Si può censurare il pensiero del piacere? E che differenza esiste tra il piacere pensato e il piacere agito?». Un altro spettacolo molto convincente è stato: Niente di me – Uno studio di Arne Lygre con traduzione e regia di Jacopo Gassmann, con Sara Bertelà, Michele Di Mauro e Giuseppe Sartori. Dalle note di regia: «… L’amore, come la vita, è fatto di zone cieche, di parole non dette. E invece sembrerebbe non esistere censura nel rapporto tra Io e Lui, ma anzi, il costante tentativo di dire, portare in superficie ciò che si usa tacere. I protagonisti di Niente di me si affidano al dialogo anche quando è il tempo dell’azione e così rivangano e presagiscono, scompongono, nel tentativo di esercitare un controllo. Dicono. Nominano tutto e nominando si illudono di dare forma al mondo. Ma è una forma che non riesce a neutralizzare la censura perché il rimosso continua a vivere sotto la superficie. Dentro di loro... ». Fabio Marzari
© Andrea Avezzù
Nonostante le difficoltà imposte dall’epidemia, si è concluso nel migliore dei modi il 64° Festival Internazionale di Musica Contemporanea. Denominata Incontri, l’ottava direzione di Ivan Fedele del Festival veneziano non rinuncia all’impostazione di apertura alle tendenze, ai generi e alle pratiche della composizione musicale contemporanea internazionale. Un’impostazione che rifugge il segno ideologico vettoriale e realizza una sorta di occasione, di vetrina accogliente. Le scelte di palinsesto sono decise attorno a tre linee direttrici: l’individuazione di forti differenziazioni stilistiche e concettuali tra gli autori più significativi, la giovane vitalità compositiva della musica contemporanea, la sperimentazione e ricerca come dimensioni di creatività. L’apertura del Festival è coincisa con il conferimento del Leone d’Oro alla carriera al più importante compositore spagnolo vivente: Luis de Pablo. La lettura di un breve scritto poetico e autobiografico di de Pablo unita alla proiezione del documentario Déjame hablar, commoventi le immagini del maestro ottuagenario nel suo studio mentre compone, riflette e ascolta la musica, in un tutto tra esistenza e pensiero, richiama alla mente un Girolamo nello studio rinascimentale. Toccante il concerto successivo, dominato dal talento di Garth Knox, viola superba nel Concierto para viola y orquesta in prima mondiale. Un vero peccato che alle orchestre non siano concessi più turni di prove d’approfondimento, per cui l’esecuzione del solista, soprattutto in casi di eccezionalità come quello di Knox oppure di Haruka Nagao nell’impegnativo Concerto per violino e orchestra (Natura naturans) di Fabio Vacchi dei giorni successivi, risulta piuttosto separata dall’esecuzione orchestrale. Il concerto del giorno dopo è dedicato a Luigi Nono nel trentennale dalla scomparsa. Tre partiture per solista ed elettronica, sulle quali spicca l’esecuzione di Post-prae-ludium n. 1 per Donau da parte del tubista Arcangelo Fiorello. Al pianoforte il focus di quest’anno e, tra i tre concerti che accostavano ciascuno composizioni di Beethoven a composizioni novecentesche, brilla per prima la notevole esecuzione delle Françoise Variationen di Franco Donatoni (celebrato nel ventennale dalla scomparsa) di Pasquale Iannone. E per seconda la beethoveniana Bagatelle op. 126 di William Greco. Il teatro musicale viene onorato al Goldoni dalla prima italiana de I Cenci di Battistelli in una suggestiva mise en scène di spazializzazione sonora, video e presenza reale. Il progetto Sette canzoni per Bruno, realizzato da FontanaMIX Ensemble e dal collettivo In.NovaFert, dedicato a Bruno Maderna nel centenario dalla nascita, rende bene il concetto di apertura della Biennale di Musica Contemporanea di questi anni. Il concerto-documentario, molto apprezzato peraltro anche da spettatori piuttosto esigenti, rappresenta il momento finale di un lavoro di ricerca e di un laboratorio maderniano, tra compositori ed interpreti. Numerosi concerti di ensemble anche internazionali e prime di opere italiane e internazionali; di tutti ricordiamo in particolare le esecuzioni di partiture di Donatoni del Divertimento Ensemble diretto da Sandro Gorli, gli eventi di Giovanni Verrando e Jean-Luc Hervé, cesellati al limite della provocazione, il discorso di ringraziamento di Raphaël Cendo, premiato con il Leone d’Argento per la carriera futura, che dedica il suo Delocazione al personale sanitario che combatte in prima linea per la nostra salute. Andrea Oddone Martin
For reservations : +39 041 805 000 2 Screenings on Mondays, Saturdays and Sundays at 11am
Giancarlo Marinelli Direttore artistico di Arteven
:incontro
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Silenzio... parla il cuore
Giancarlo
Marinelli, vicentino di nascita e padovano d’adozione, è stato un enfant prodige che fin da giovanissimo ha saputo alternare la scrittura letteraria e teatrale alla regia. Autore di numerosi romanzi con i quali ha collezionato una serie di importanti premi, tra cui il Campiello, si divide tra la drammaturgia, l’organizzazione di festival teatrali, la regia e la produzione di trasmissioni tv per i palinsesti nazionali della RAI. Direttore artistico di recente nomina di Arteven, il circuito teatrale del Veneto, leader in Italia nel campo dello spettacolo, Marinelli si accende parlando del teatro con la consueta
di Fabio Marzari passione e grande competenza che contraddistingue il suo lavoro, e da profondo conoscitore della provincia veneta ne scaturisce un racconto differente dall’immaginario fortemente stereotipato di una terra dedita in gran parte al lavoro e poco incline alla cultura. Iniziamo dal suo nuovo ruolo di Direttore Artistico di Arteven, circuito territoriale di teatro di grande profondità storica e con pochi pari. Non me ne vogliano gli altri, ma numeri alla mano stiamo parlando del circuito più grande d’Italia. È il circuito in cui sono nato, come regista e come artista, perché purtroppo – e lo dico con sana invidia – non ho avuto la fortuna di molti miei colleghi che hanno potuto essere prodotti dagli Stabili. Io sono sempre stato un regista e drammaturgo prodotto dai privati che poi cercavano di vendere gli spet-
tacoli. Arteven è quindi il luogo in cui sono cresciuto, ho vissuto e ho imparato a fare teatro; tutte quelle persone – molte delle quali purtroppo non ci sono più – che dirigevano i teatri di Cittadella, piuttosto che di San Stino di Livenza, di Noventa o di Thiene, sono figure professionali che mi hanno insegnato come ci si rapporta con il pubblico e come si costruisce uno spettacolo. Quando Massimo Zuin e Pierluca Donin, entrambi sempre più oberati da impegni importanti – Donin è diventato nel frattempo presidente di tutti i circuiti teatrali nazionali – mi hanno chiesto di dare uno sguardo d’insieme ai tanti teatri che Arteven sovraintende, mi è sembrata la maniera migliore per cercare di mettere quello che ho imparato a servizio alle compagnie venete e dei giovani che stanno emergendo in un momento così difficile, contraccambiando in questo modo la possibilità che mi è stata data proprio da Arteven di essere diventato quello che sono oggi. La cosa che colpisce molto è il gran numero di teatri che si trovano al di fuori dei centri urbani maggiori, nelle piccole cittadine e nei paesi del Veneto. Mi lasci essere un po’ tranchant. L’esperienza mi insegna, con tutto il rispetto per le grandi città, che il vero pubblico, quello che attende lo spettacolo con più trepidazione, è quello dei piccoli centri in provincia. Bassani diceva che “il vero cosmopolita è provinciale”, proprio per indicare come la minore offerta che si ha nei piccoli paesi costringa inevitabilmente chi ne usufruisce ad avere un senso critico maggiore rispetto a chi magari vive, che so, a Milano e ha a disposizione un’offerta molto più ampia.
Come dico sempre, il teatro di provincia soprattutto per gli artisti emergenti è il vero palco di prova. Arteven ha il merito incredibile di aver portato nei teatri di provincia stagioni e un pubblico che non hanno niente da invidiare al Piccolo di Milano. È un pubblico preparato e abituato a vedere grandi spettacoli e grandi interpreti. A Noventa Vicentina, ad esempio, ricordo Il Mercante di Venezia con Giorgio Albertazzi. È un pubblico abituato oggi a vedere interpreti del calibro di Accorsi, Giuseppe Pambieri, Ivana Monti, Romina Mondello, Alessandro Preziosi, Moni Ovadia, Mariano Rigillo fino a Glauco Mauri. Per questo proprio quella provincia dal punto di vista non tanto dei numeri, quanto della crescita delle compagnie, risulta essere fondamentale. E non dimentichiamoci i grandi critici veneti che hanno fatto scuola a livello nazionale; il mio maestro Cibotto abitava a Rovigo! Fa specie vedere una città piccola e apparentemente marginale come Rovigo con un fervore culturale, una capacità di fare cultura incredibile, basti pensare ad esempio all’Accademia dei Concordi. Quindi a volte la forza è proprio di queste piccole realtà che fanno da motore trainante, quando invece nelle grandi città subentra una sorta di disillusione, quasi un distacco, dato forse dall’eccessiva abitudine, come appena diceva, ad avere tutto a portata di mano, che porta quasi a non dare più peso alla qualità dell’offerta culturale che si ha a disposizione. Sono perfettamente d’accordo. Ho vissuto in prima persona questo genere di cose. Quando Albertazzi o Lavia,
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piuttosto che la Proclemer o Mauri, venivano in Veneto, alle otto del mattino erano già davanti all’edicola a guardare cosa avessero scritto di loro Garbato, Cibotto, Antonio Stefani. Abbiamo davvero rappresentato e dobbiamo continuare a rappresentare una forza di qualità formidabile, e in questo certamente gioca un ruolo fondamentale Arteven. Dico che è il primo circuito in Italia perché ha saputo costruire un mondo di qualità e di pubblico vero all’interno dei teatri. Il mio compito è quindi oggi quello di proseguire su questa strada, chiaramente all’ombra di Pierluca Donin, che è tra quelli che mi hanno insegnato a fare teatro, cercando però, in un tempo così eccezionalmente problematico quale è il nostro, di “raccogliere le truppe” e far sì che tutte queste realtà e questi teatri trovino un modo continuo e proficuo di dialogare con le compagnie. Questa è la mia mission. Come sta il teatro a livello nazionale? Questa è una bella domanda. Sta in una maniera che… è sempre la stessa. Ne parlavo con un funzionario Rai – di cui non faccio il nome soltanto perché non lo ricordo, altrimenti lo direi tranquillamente – il quale mi disse che da un’indagine svolta avevano capito che il pubblico televisivo cambiava immediatamente canale appena vedeva un palcoscenico. Questo mentecatto, sempre che sia vero ciò che sostiene, non ha capito una cosa, ovvero che l’unica forma di antitesi all’omologazione è proprio il teatro, che il rincoglionimento digitale ancora non è riuscito a domare. Il teatro non si può replicare: in streaming o su YouTube non lo guarda nessuno. È l’unica forma non replicabile, non addomesticabile e quindi non politicamente gestibile da nessun potere. È successo che ci hanno provato a farlo, creando le scuderie, le squadre, soprattutto certi vecchi critici, creando i clan, ma tutto si è dissolto come neve al sole, perché poi alla fine per fortuna è solo il pubblico a decidere cosa vale e cosa no. Ho polemizzato col ministro Franceschini quando ha proposto una piattaforma tipo Netflix per il teatro; non sono davvero riuscito a non esprimere il mio disappunto per questa idea poco percorribile. La verità è che la politica ha sempre pensato, dimostrando una volta di più la sua cecità, anche a livello nazionale che il teatro non porti voti. Sbagliano clamorosamente, perché dove i teatri di provincia funzionano è matematicamente provato che il sindaco rimane in carica almeno per due mandati. Nelle scorse settimane ho seguito la Biennale Teatro, quest’anno per ovvie ragioni di emergenza Covid in versione un po’ ridotta, e l’aspetto che mi ha maggiormente colpito è stato vedere autori under 30 che, pur con tutta la loro naturale immaturità, possiedono una forza, una capacità, una voglia di fare e una passione che sono veramente incredibili. La potenza dei loro lavori è davvero importante, soprattutto se si considera un dato meramente anagrafico, perché molti giovani intorno ai 30 anni sono poco interessati alla cultu-
ra, distratti dai social più che dal teatro, salvo poi esserci dei climax in positivo di persone che sanno stupire in maniera assoluta. Questo è segno di una grande vitalità che fa molto piacere e regala qualche speranza, pur essendo la cultura da sempre un terreno fertile per l’auto-referenzialità. Tuttavia la funzione del teatro è e rimane fondamentale. Sottoscrivo assolutamente quello che dice! La storia ci insegna che dopo la Rivoluzione russa il popolo moriva veramente di fame, non avevano nemmeno di che scaldarsi in casa, ma i teatri erano sempre pieni e gli attori in teatro, non avendo i soldi per le scenografie, si ingegnavano salendo uno sopra l’altro per mimare un albero, o si stendevano per dare l’idea di un tavolo. Questo per dire che se c’è qualcosa che ha sempre sconfitto il male è il teatro. Quando la civiltà è in crisi, quello che sconfigge la crisi è il teatro: non è retorica, ma un dato storico. Dentro il teatro, anche in un periodo fortemente negativo e complicato come quello in cui stiamo vivendo, non viene mai a mancare l’energia vitale ed è questo il potere straordinario di quest’arte espressiva ed è su questo aspetto che, con tutti i miei limiti, vorrei andare a lavorare insieme agli artisti. Entrando nell’imminente stagione, quali sono le chicche che ci aspettano? La stagione è stata progettata dalla meravigliosa squadra di Arteven con due discriminanti: fino a dicembre abbiamo spettacoli molto “prudenti”, mentre la vera stagione, e quindi il ritorno anche a una pienezza delle compagnie, dovrebbe partire a gennaio. In questo momento il Toniolo e tutti i teatri hanno una programmazione che definirei molto prudenziale, sì, perché da un lato bisogna fare i conti economici con la metà della capienza dei posti a sedere utilizzabili e dall’altro con il terrorismo mediatico più o meno giustificato che ogni giorno rilancia i contagi come faceva con lo spread. Da direttore dell’Olimpico di Vicenza posso sottolineare una cosa che ho trovato davvero commovente, ovvero che anche con la metà della capienza i biglietti per la 73esima rassegna dei Classici sono andati esauriti tre settimane prima dell’inizio. Questo significa che il pubblico ad un certo punto avverte il richiamo dello stare insieme, dello stare a teatro, più forte di ogni male. Io sono un pessimista che si costringe a essere ottimista, ma in questo momento sono un ottimista che non vuole costringersi pessimista. Un’ultima curiosità: cosa si prova a lavorare all’Olimpico? Ho coronato un sogno che portavo dentro sin da bambino. Quando ero ragazzino ed entravo in quello spazio incredibile, avendo già il vezzo della letteratura e del teatro, pensavo a quanto sarebbe stato bello non dico addirittura dirigerlo, ma anche ‘solo’ arrivare a mettere in scena almeno un mio spettacolo in questo meraviglioso, unico teatro. A quarantasei anni ho già raggiunto il mio sogno di bambino, quindi quello che provo è proprio il fanciullesco orgasmo…
Il talento di Arteven È una storia di successi lunga 40 anni, quella di Arteven, l’Associazione regionale per il teatro veneto, si stima abbia portato in scena oltre 30mila spettacoli visti da oltre 7,5 milioni di spettatori, di cui 1,5 milioni di ragazzi delle scuole dell’obbligo. Attualmente l’Associazione, presieduta da Massimo Zuin e diretta da Pierluca Donin, insieme al neodirettore artistico Giancarlo Marinelli, è partecipata dalla Regione Veneto e conta oltre settanta associati pubblici. Si occupa direttamente di attività primarie dal vivo in oltre quaranta teatri veneti, organizzando sia stagioni teatrali che di danza, spettacoli di circo e musica e multidisciplinari. Era il 1979 quando a Mestre venne fondata Arteven con lo scopo di promuovere il teatro e la cultura nelle comunità del Veneto. Sono anni in cui il fermento teatrale è palpabile in tutta Italia: un po’ ovunque nascono gruppi di giovani che trasformano la loro passione in un lavoro, dando vita a organismi che operano sul territorio per diffondere l’arte scenica tra la gente, e compagnie che inventano nuovi linguaggi teatrali. È in questo terreno fecondo che mette radici il Circuito regionale veneto. L’idea di base nasce dall’esigenza di portare la cultura ai cittadini come un servizio alla persona, evitando la desertificazione dei piccoli centri la sera. La morfologia del Veneto diventa lo stampo sul quale si forgia la struttura organizzativa che ancor oggi riesce nella gestione a distanza, costituendo una rete di teatri e luoghi unica in Italia per dimensioni. I soci pubblici non ci sono ancora, ma iniziano ad associarsi i sistemi bibliotecari. Poi piano piano arrivano i Comuni, fino a un nuovo assetto con l’avvento del MIBAC e la nascita del FUS (il Fondo Unico per lo Spettacolo) nel 1985 che eroga all’Associazione il suo primo finanziamento per la diffusione del Teatro per i ragazzi. In questo periodo il Circuito si occupa prevalentemente dei giovani, facendosi conoscere in tutta Italia per la capacità di selezionare e organizzare spettacoli in grado di attirare quella delicata fascia di persone. Il numero dei ragazzi che varca le porte dei teatri in Veneto diventa un caso nazionale e Arteven è unanimemente riconosciuta come uno dei protagonisti del teatro rivolto ai più piccoli. Bisogna aspettare gli inizi degli anni Novanta, invece, per assistere alle prime stagioni strutturate per altro pubblico organizzate da Arteven. Sono assai poche, destinate ben presto ad aumentare esponenzialmente. Nel 1992, infatti, la Regione Veneto chiede al Circuito di subentrare nell’attività di Veneto Teatro, costretto a chiudere per fallimento. L’anno successivo inizia il percorso di rinascita con un’intensa attività di natura amministrativa e gestionale che salva letteralmente i teatri del Veneto lasciando le scelte artistiche ai direttori degli spazi, accentrando e ottimizzando queste scelte che assemblate tra loro diventano paragonabili ad acquisti di gruppo con un risparmio dovuto all’armonia delle tournée. È grazie a questa intuizione che il Circuito riesce a costruire una fitta rete di teatri dislocati nei più disparati Comuni della Regione, dove la crescita culturale passa anche dalle scene e andare a teatro diventa una consuetudine per decine di migliaia di spettatori ogni anno. I teatri in rete anticiparono di vent’anni quello che oggi è un concetto scontato, ovverosia che l’ottimizzazione dei costi passa dalla razionalizzazione in rete dei servizi. Alla prosa comincia ad affiancarsi la danza: nel 1995 nascono le prime stagioni, con molte prime nazionali. La consacrazione arriva però nel 2013, quando con Legge Regionale Arteven viene riconosciuta strategica dalla Regione del Veneto per le funzioni svolte sul territorio. Infine, dal 2015, Arteven diventa per il MIBAC unico circuito multidisciplinare del Veneto. Fiore all’occhiello dell’attività di Arteven continua a essere la programmazione rivolta alla scuola: lezioni mirate, progetti laboratoriali, spettacoli per ragazzi e fatti dai ragazzi, e ancora, editoria, convegnistica, corsi di formazione, postproduzioni, costituzione di reti virtuose, progetti europei. Ad oggi vengono organizzate oltre 1.000 recite l’anno per le quattro discipline dal vivo: prosa, danza, circo contemporaneo e musica.
Federico Pizzarotti Sindaco di Parma
:incontro Capitale e culturale
La bellissima
città di Parma avrebbe dovuto godere del privilegio di rivestire il ruolo di Capitale italiana della Cultura nell’anno 2020, invece ci ha pensato il Covid-19 a mutare radicalmente gli scenari. Alla dicitura “Parma 2020” è stato aggiunto un +21, estendendo al prossimo anno – che tutti auspicano essere salvifico sia dal punto di vista sanitario che dal punto di vista sociale ed economico – l’intenso programma di manifestazioni
di Fabio Marzari messe in cantiere. Il programma 2020+21 è ripartito sia con le attività già previste in calendario e rimaste in sospeso, sia con rinnovate riflessioni, scaturite proprio da questo periodo che ha visto e sta vedendo la cultura combattere in prima linea contro la crisi sociale in corso. Significativo è l’evento scelto per riaprire ufficialmente le attività: Hospitale – Il futuro della memoria, una grande installazione progettata e realizzata da Studio Azzurro per la Crociera dell’Ospedale Vecchio, oggetto di un importante intervento di rigenerazione urbana, che porterà a un museo multimediale permanente dedicato alla memoria della città, una città che si carica di nuovi significati, aprendosi a nuove riflessioni. Parma 2020+21 dimostra che la cultura può essere il migliore carburante
per la ripartenza. A parlare di questo e d’altro è Federico Pizzarotti, primo cittadino della città emiliana, persona molto stimata dai suoi concittadini che lo hanno riconfermato nel 2017 per un secondo mandato. Parma Capitale italiana della Cultura 2020-2021: come racconta la sua città a chi non ha avuto la fortuna di conoscerla ancora? Tre aggettivi: bella, elegante, di qualità. Ovviamente non sono sufficienti questi tre aggettivi per descrivere Parma, una città ricca di storia, arte e cultura. La nostra realtà è conosciuta prevalentemente come la Food Valley d’Italia: le nostre eccellenze eno-gastronomiche viaggiano in tutto il mondo e noi parmigiani in questi ultimi anni siamo stati bravi a farci conoscere nel mondo facendo sistema tra pubblico e privato. Abbiamo lavorato per portare in realtà asiatiche, americane ed europee la nostra cultura e la nostra storia, saldando patti di amicizia e gemellaggi con altre città. Il nostro obiettivo è far conoscere Parma per quello che è: una città viva e produttiva, che si rimbocca le maniche e produce qualità esportabile in tutto il mondo. Poi c’è la cultura, vero metronomo che scandisce la vita dell’Italia: siamo stati tra le prime città italiane a pensare alla cultura come simbolo del rilancio del nostro sistema. L’Italia è uno scrigno di ricchezze che
2 Capital, cultural
The beautiful
city of Parma should have been the Italian Capital of Culture for the year 2020, but Covid-19 had other plans. What could be done is adding a +21 to the original slogan, hoping for a brighter year to come in every aspect – socially, economically, and health-wise above all. The 2020+21 programme confirms most of the initiatives that were originally planned for the current year, plus new activities based on what we are experiencing now, as the world of culture does what it can to fight the on-going social crisis. A meaningful event opens the programme: Hospitale – Il futura della memoria is a large installation designed and set up by Studio Azzurro. It is an urban regeneration project that will house a multimedia museum dedicated to the memories of the city of Parma. Parma 2020+21 shows that culture can and will fuel regrowth. We talk about this, and more, with the city’s mayor, Federico Pizzarotti, now at his second term.
Parma, Italian capital of culture 2020-2021. Parma is beautiful, elegant, excellent. These three words are merely the starting point to describe Parma, which is a city rich in history, art, and culture. We are best known as a hub of the Italian ‘food valley’ – our excellent food products are sold all over the world. Our citizens worked
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nessuno al mondo può vantare, se non lo sfruttiamo noi chi lo dovrebbe fare? Siamo una superpotenza in ambito culturale e storico, dobbiamo rendercene conto. La cultura come motore di sviluppo, che nel caso di Parma coincide con un’area fortemente industrializzata e ricca. Un esempio virtuoso di felice convivenza tra il bello e l’impresa. Il modello Parma può essere esportato? Il modello Parma deve essere esportato, assolutamente! Guardi, è un modello molto semplice: un bel giorno ci siamo detti che tutti i comparti della città non possono viaggiare divisi l’uno dall’altro, così ci siamo seduti attorno a un tavolo, istituzioni, imprese, associazioni di categoria, forze produttive, e abbiamo deciso di fare sistema. Da quando la città ha fatto squadra tra pubblico e privato, al di là dei colori politici e delle varie visioni, siamo diventati Capitale della Cultura e la prima città italiana in assoluto ad avere l’effigie di patrimonio Unesco della Gastronomia. Abbiamo fatto quello che dovrebbe fare qualsiasi realtà territoriale importante e articolata: fare squadra con tutte le sue anime ed esportare il corpo intero della sua produttività in tutti i suoi settori. Così si diventa vincenti e ci si fa conoscere nel mondo. Oggi molte città sono venute a studiare il nostro modello e noi ne siamo naturalmente più che felici. Il caso di Venezia dimostra che di turismo si può morire, per eccesso o per difetto. Quale secondo lei una politica sul turismo che possa essere compatibile con la vita stessa delle città e dei suoi cittadini? Perché ancora non siamo in grado di costruire una visione strategica nazionale sul turismo? Torno alla domanda precedente e le rispondo così: pensi che quando siamo diventati Capitale della Cultura la prima cosa che abbiamo fatto è stata condividere la vittoria con le vicine Piacenza e Reggio Emilia. Ha vinto Parma, ma ci siamo detti: uniti siamo più forti perché sapremo combinare e sommare le nostre rispettive eccellenze.
Quindi convengo con lei: bisogna fare sistema a livello nazionale, ma tenendo sempre conto delle esigenze dei singoli territori. Quando gli stranieri pensano all’Italia, conoscono fondamentalmente poche città o territori: Roma, Firenze, Venezia, Pisa, la Toscana nel suo insieme e la Sardegna. Stop. Bene, allora perché vendere ‘solo’ la propria città, Parma, quando abbiamo l’opportunità di ‘vendere’ l’Emilia? Dobbiamo unirci per essere più forti, è finito il tempo dei campanilismi. Per questo abbiamo fatto nascere il progetto “Destinazione Emilia”. Siamo più forti uniti e abbiamo più eccellenze da presentare al mondo. Questa è la filosofia di Parma, questo il nostro spirito. È un obiettivo che stiamo centrando pienamente: il turismo da noi sta crescendo di anno in anno.
Il meglio deve ancora venire. Un nuovo modello di società per la via del progresso è il titolo del suo libro pubblicato per i tipi di Piemme. Lei ha precorso i tempi, primo sindaco del Movimento 5 Stelle e primo ‘eretico’ dello stesso Movimento. Dove sta andando il Paese secondo Federico Pizzarotti? Come ho scritto nel libro sta prendendo una direzione che non mi piace. Vedo poco coraggio e molto populismo. Nell’ultimo referendum ho votato no pur sapendo di essere in minoranza, ma le idee non si svendono: in che modo si potrà definire casta quella dei tagliati? La casta non si misura sul numero dei tagliati, ma sul grado di potere dei rimanenti: privilegi e stipendio, benefit e poteri rimangono invariati, e su un numero più ridotto di persone. Non dobbiamo piegarci al populismo galoppante, bisogna avere più coraggio. Qualche suggerimento per degli eventi imperdibili a Parma durante i prossimi mesi. Non ne abbiamo uno in particolare; ne abbiamo molti e si snodano lungo l’arco di due anni. Parma è vita e colore; sono convinto che chi verrà a trovarci rimarrà incantato da una città che sta riscoprendo un suo nuovo Rinascimento culturale.
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hard to establish strong relationships with Asian, American, and European regions based on history and culture. Our goal is to show Parma for what it is: a live, productive city that gets busy and makes things that the world loves. We have also been one of the first Italian cities to invest in culture as a way to relaunch the economic system. Italy is a chest of treasures that has no rivals – if we don’t take advantage of this, who will? We must realize this.
Culture, fuel for growth. The Parma Model is ready to be exported anywhere! Look, it is in fact very simple: one day, we decided that the several compartments of the regional economy cannot each go their own way. We sat at a table – institutions, businesses, associations, and professionals – and decided to work together systematically. Since then, institutions and private actors have been working together as a team. We were able to secure the title of Cultural Capital and the UNESCO recognized Parma as a City of Gastronomy. We did what any territory should do: foster teamwork and productivity and leave no one behind. That’s how you win, that’s how you make a name for yourself in the world. Many cities are now working to adopt this model and we are very proud of them. Tourism. Too much and too little. I shall go back to the previous question: when we were chosen as Italian Cultural Capital, the first thing we did was to share this honour with our neighbouring cities: Piacenza and Reggio. We are stronger together. Tourist destinations in Italy that are known worldwide are Rome, Florence and Tuscany altogether, Venice, and Sardinia, and that’s about it. But there’s so much more to get to know and visit. Now, I agree that teamwork is a strategy that should be applied at a national level, but an eye should be kept on the individual territories at all time. That’s why we initiated project ‘Destinazione Emilia’, Emilia being the whole region and not just one city. It mirrors our spirit, and it works, too: tourism grows year after year. The best is yet to come. To be fair, I am worried where Italy is going. There is no courage and there is a lot of populism. We recently voted on a referendum to cut the Italian Congress from 945 elected officials to 600; I voted against the proposition, still, it passed. I believe you cannot measure privilege based on the sheer amount of representatives but on how much power they have: privileges, benefits, wages will stay the same. How is that supposed to change anything? Populism doesn’t work; courage might. What to see and do in Parma. There is no single appointment that I will personally highlight – there are so many and will take place over a two-year timespan. Parma is life, Parma is colour. I know that those who will choose to visit us will be enchanted by a city that is living a cultural renaissance.
idee, luoghi, persone ideas, places, people
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Appunti per una rinascita 15
Se M9
non ha ancora trovato una sua identità museale, un merito non trascurabile va riconosciuto alla sua funzione, universalmente riconosciuta, di catalizzatore/contenitore di flussi di idee che hanno consentito in questo periodo di pensiero debole e incerto, di favorire l’incontro e il confronto tra individui, portando a Mestre, tra gli spazi bellissimi e funzionali del Museo del Novecento, ospiti illustri che hanno favorito una dialettica di cui si avvertiva la mancanza, specie in Terraferma.
di Fabio Marzari In questa direzione trova posto l’importante Festival delle Idee, giunto alla seconda edizione, che affronta, in un anno del tutto anomalo e si spera senza eguali in futuro, il tema “Idee per la rinascita”. Uno sviluppo necessario per lanciare una speranza nella ripresa, quanto mai ancora incerta, dettata da una recrudescenza del virus nelle ultime settimane, ampiamente annunciata. Un nutrito parterre di ospiti annunciati a far da richiamo al pubblico, che ha dimostrato di apprezzare la formula del Festival, per cercare di addivenire nel concreto a qualche proposta che sappia andare oltre le analisi e le ovvietà legate alla necessità inderogabile di una reformatio in melius. «Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno»: questo monito di Pablo Neruda rappresenta il leit motiv degli incontri mestrini dal 15 al 18 ottobre, con un’appendice veneziana al Padiglione Venezia ai Giardini della Biennale il 24 e 25 ottobre. Dopo una prima edizione cui hanno assistito oltre 8mila spettatori, a cui si aggiungono oltre 30mila visite al sito internet del festival e 390mila persone raggiunte con i social network, la seconda edizione si struttura sia con incontri dal vivo, sia con appuntamenti in streaming, con eventi contingentati nel rispetto delle norme vigenti per garantire la sicurezza di artisti e pubblico. Il Festival è patrocinato dalla Regione del Veneto e dal Comune di Venezia, con l’ideazione e la progettazione artistica di Marilisa Capuano con Tommaso Santini, organizzato da Associazione Futuro delle Idee, in collaborazione con Fondazione di Venezia, e co-organizzato da M9 Museo del ‘900. «Festival Delle Idee» 15-18 ottobre M9 Museo del ‘900-Mestre www.festivalidee.it
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h. 18 | M9 Terzo Piano
MASSIMO TEMPORELLI
Fisico e fondatore di “The FabLab”, presenta il libro F***ing genius con cui si fa divulgatore di cultura scientifica, tecnologica e di innovazione attraverso le biografie dei “fottuti geni” che hanno cambiato la storia: da Marie Curie ad Einstein. L’obiettivo? Spronare il pubblico, in particolare i giovani, a fare lo stesso, a trovare in sé stessi quella genialità che possa cambiare il mondo. h. 18.30 | M9 Corte
LAURA VALENTE Come sarà il museo del futuro? Contro una modernità ormai troppo veloce, troppo frenetica e complessa, insomma troppo moderna, bisogna ricercare nuove forme e nuovi linguaggi di diffusione dell’arte contemporanea, per un futuro sostenibile, solidale e fuori dagli schemi, ma soprattutto dal vivo, con gli occhi e con il cuore. Ne parla la presidente del Museo Madre di Napoli. h. 19.30 | M9 Terzo Piano
TELMO PIEVANI Filosofo, biologo, evoluzionista, presenta il progetto Planetbook: attraverso 200 fotografie d’autore sul tema della crisi ambientale, illustra il mondo e i suoi problemi dalla prospettiva dei ragazzi della “generazione Greta”, allo scopo di trovare soluzioni per salvare il nostro Pianeta. h. 20.30 | M9 Auditorium Cesare De Michelis
DONATO CARRISI
Scrittore e regista di La ragazza nella nebbia, dal quale ha tratto il film omonimo, con cui ha vinto il David di Donatello per il miglior regista esordiente. Presenta la sua ultima uscita editoriale La casa delle voci (Longanesi), una discesa nel nostro universo interiore, senza rinunciare all’atmosfera noir e di mistero che caratterizza i suoi bestseller. h. 21.30 | M9 Chiostro
CAMILA RAZNOVICH Ritrovare l’equilibrio con la natura che ci circonda è la parola d’ordine. La conduttrice televisiva del format Il Borgo dei Borghi e della storica trasmissione Kilimangiaro, pone l’accento sulla rinascita green.
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h. 17 | M9 Corte
ROBERTO BRAVIN (sezione imprenditori) Imprenditore con esperienza ventennale nel settore Automotive, da circa un anno la sua azienda Motorclass S.r.l. è diventata unica concessionaria Audi per la provincia di Venezia. h. 18.30 | M9 Terzo Piano
VALERIA PARRELLA Scrittrice, esordiente nel 2008 con il romanzo Lo spazio bianco (Einaudi), affronta i temi del futuro e della rinascita al femminile attraverso la presentazione del suo ultimo libro Quel tipo di donna (HarperCollins): un viaggio on the road di quattro donne occidentali attraverso la Turchia durante il Ramadan. h. 18.30 | M9 Corte
MARCO VIDAL (sezione imprenditori) Nato e vive a Venezia, dove prosegue le orme della famiglia dirigendo, assieme al fratello, Mavive Spa, fondata dal bisnonno e che ha scritto la storia della profumeria italiana, operando in 92 mercati nel mondo. È anche Amministratore Delegato di The Merchant of Venice Srl e Curatore del Percorso stabile sul Profumo del Museo di Palazzo Mocenigo. h. 19 | M9 Auditorium
TINO VETTORELLO Quale il futuro del mondo del food? Conoscenza delle materie prime per la creazione di piatti dal sapore antico, accompagnati da istanze contemporanee. Questa è la chiave, frutto di una lunga e importante esperienza, secondo Tino Vettorello. h. 19.30 | M9 Chiostro
FEDERICO RAMPINI Un viaggio nello spazio e nel tempo ma soprattutto nella cultura, in un confronto tra due mondi che da sempre nella storia si raffrontano, a volte amalgamandosi, ma restando comunque agli antipodi. Oriente e Occidente (Einaudi), sua ultima pubblicazione, è il tema cardine del dialogo (solo streaming) con il giornalista e saggista, ex vicedirettore del «Il Sole 24 Ore» e da anni corrispondente dagli States per «La Repubblica». h. 20.30 | M9 Chiostro
MARIANNA APRILE Con una versatilità che, in questi primi 19 anni di professione, l’ha vista protagonista della scrittura declinata a tematiche ampie dal lavoro all’economia, dalla nautica di lusso alla tecnologia, dall’attualità alle guide turistiche, e degli studi televisivi di approfondimento politico, Marianna Aprile parla di futuro e di parità di genere, di opportunità, di diritti e di doveri. «La parità è la prima tessera del solo domino virtuoso che possa condurci a una rinascita vera e non di facciata».
h. 20 | M9 Chiostro
CORRADO AUGIAS
JURY CHECHI + FIONA MAY
Per pensare il futuro è utile guardare al passato e farne memoria. È il focus dell’incontro con il giornalista, scrittore, autore teatrale e di programmi culturali per la tv, nonché conduttore televisivo, che vuole mettere in prospettiva i fatti del passato per inquadrare una mappa del presente, con cui orientarci. «Non c’è futuro, luminoso o obbligato che sia, che ci salvi dal dovere di trasmettere il passato, prima che tutto finisca travolto da un nuovo mondo, come presto o tardi certamente avverrà». Autore di numerosi libri, tradotti nelle principali lingue, i suoi monologhi teatrali vengono rappresentati nei maggiori festival e teatri italiani. Nel 2020 ha pubblicato Breviario per un confuso presente (Einaudi). h. 21 | M9 Auditorium
Sociologo, presenta (solo in streaming) la sua ultima provocazione letteraria, La società signorile di massa (La Nave di Teseo). Come può una società signorile essere anche di massa? Secondo Ricolfi si è ormai aperta la strada a un nuovo tipo di organizzazione sociale, fondata su tre pilastri: la ricchezza accumulata dai padri, la distruzione di scuola e università, un’infrastruttura di stampo para-schiavistico. Attraverso un quadro chiaro e spietato, il sociologo scardina le idee correnti sulla società in cui viviamo.
sabsat
Spirito di sacrificio, sani principi e tanto sudore. In questo periodo di crisi lo sport ci insegna a non mollare, avendo consapevolezza dei nostri limiti ma anche delle nostre potenzialità, per raggiungere risultati straordinari. “La regina del salto in lungo” e “Il signore degli anelli”, campioni leggendari e plurimedagliati, parlano di come rinascere, nelle difficoltà della vita come in quelle dello sport, attraverso la consapevolezza interiore e il credere in sé stessi, perché in ogni crisi c’è un’opportunità!
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h. 16.30 | M9 Corte
SARA BENEDETTI (sezione imprenditori) Il battesimo con il mondo dell’arte avviene sedici anni fa in occasione del lancio della prima edizione di ArtVerona, fiera di arte moderna e contemporanea. Dal 2013 è project ed event manager di Veronafiere, e dal 2019 ricopre anche l’incarico di responsabile di Vinitaly and The City. h. 18 | M9 Corte
LORENZO DI LAS PLASSAS Non esiste rinascita senza una trasformazione interiore, senza accettare il presente per migliorarlo, senza voler dare qualcosa di più. Il valore aggiunto è la misura del cambiamento. Giornalista, conduttore e inviato RAI di lunga data, Lorenzo di Las Plassas nel suo intervento parla di futuro, presentando il suo nuovo libro Lascia parlare il vento (Baldini+Castoldi), romanzo fortemente introspettivo. h. 19 | M9 Auditorium
GIANCARLO DE CATALDO Dopo i successi di Suburra e Romanzo criminale, che lo hanno elevato a grande scrittore e da cui sono state rispettivamente tratte una pellicola e una serie televisiva di successo, entrambe dirette da Stefano Sollima, presenta l’ultima fatica letteraria, Io sono il castigo, condividendo il suo punto di vista sul futuro e la rinascita. h. 19.30 | M9 Terzo Piano
VITO MANCUSO
«La Vita è la grande Dea, e la paura è la sua prima messaggera. E il messaggio della paura è chiaro: dobbiamo cambiare». Con queste parole Vito Mancuso, saggista e teologo, riflette sui lati positivi della paura, un’emozione che oggigiorno viviamo bene sulla nostra pelle, ma da cui non bisogna farsi irretire. Anzi, attraverso la consapevolezza della paura, trovare il coraggio di guardarsi dal di dentro, sfidare i timori e ritrovare la propria libertà. Dopo quattro bestseller tradotti in varie lingue, tra cui L’anima e il suo destino e Io e Dio. Una guida dei perplessi, lo scrittore parla del suo ultimo libro, Il coraggio e la paura (Garzanti).
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h. 16.30 | M9 Corte
LUCA RICOLFI
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h. 21 | M9 Terzo Piano
h. 21 | M9 Terzo Piano
LORENZO SIRONI (sezione imprenditori)
ELIANA LIOTTA
Managing Director Italian Icons per Campari, dopo essere stato Senior Marketing Director per lo stesso Gruppo dal 2017 al 2019, dal 2007 è responsabile dei nuovi lanci, delle campagne pubblicitarie, delle ricerche di mercato e del posizionamento del marchio per Reckitt Benckiser.
La pandemia dovrebbe aprirci gli occhi sul legame profondo fra la nostra salute e la salute degli animali e dell’ambiente. Combattiamo la diseguaglianza sociale, perché la povertà e la fame sono alleate dei virus. Giornalista, scrittrice e divulgatrice scientifica, Eliana Liotta ha pubblicato a giugno 2020 La rivolta della natura (La nave di Teseo) ed è autrice del best seller La Dieta Smartfood (Rizzoli), la prima in Europa certificata da un centro clinico e di ricerca.
h. 18 | M9 Corte
MARGHERITA AMARELLI (sezione imprenditori) Imprenditrice, diventa socia dell’omonima azienda di famiglia Fabbrica di Liquirizia Amarelli, di cui rappresenta la quattordicesima generazione. Sotto la sua guida marketing, Amarelli negli ultimi 20 anni è divenuto leader del segmento della liquirizia pura sul mercato Italiano.
h. 21.45 | M9 Chiostro
LUCA BARBARESCHI La rinascita di un Paese dipende dalla sua moralità, senza moralità non c’è crescita, afferma Luca Barbareschi, attore e regista di cinema e di teatro, nonché coproduttore del film di Roman Polanski L’ufficiale e la spia (J’accuse).
h. 19 | M9 Terzo Piano
DANIELE VICARI «Dobbiamo dimostrare di essere capaci di pensare e di costruire il futuro, perché abbiamo capito che possiamo sprecarlo assai facilmente. Non abbiamo bisogno di chissà quali strumenti, basta volerlo». Così il pluripremiato regista, scrittore e sceneggiatore parla del suo “work in progress”, Il Giorno e la Notte, esperimento sui limiti provocati dal Covid, in cui gli attori si filmano a casa coordinati da remoto. Autore di documentari inclementi e opere di potente realismo, come Sole cuore amore (2017), Diaz (2012) e Il mio paese (2006), Vicari lancia un nuovo messaggio, che faccia da passaparola: «Agire, cingere il presente con audacia e dare forma al futuro. Senza perdere più tempo». h. 19.30 | M9 Corte
EMILIA COSTANTINI «Se ci deve essere una rinascita, ci deve essere un inizio, che prende sempre spunto dalle buone idee che devono sorprenderci. Il teatro in particolare, il più colpito dalla pandemia, è proprio il luogo dove il senso della rinascita si avverte maggiormente, perché coincide con il ritorno all’incontro di una collettività, formata da attori e spettatori». Giornalista e critico teatrale del Corriere della Sera, per il quale si occupa di cultura e spettacolo, nonché autrice di sceneggiati e romanzi, presenta il suo nuovo libro e la sua visione di rinascita attraverso la cultura. h. 20 | M9 Auditorium Cesare De Michelis
h. 22.45 | M9 Chiostro
MORGAN L’ultimo Dandy – Omaggio a Philippe Daverio Esattamente un anno fa nello stesso Chiostro, il musicista, cantautore e compositore si esibiva in coppia con Philippe Daverio, regalando una serata emozionante, magica, un mix tra arte e musica, intimo, coinvolgente, stravagante quanto gli interpreti stessi. A un anno di distanza, e a un mese e mezzo dalla scomparsa del critico d’arte, Morgan ricorda la sua figura unica di Maestro, che con la sua verve estrosa e genuina ha saputo emozionare tutti gli appassionati d’arte e di cultura, ma non solo.
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h. 17 | PADIGLIONE VENEZIA Aperture straordinarie
EMILIO CASALINI
Giornalista, conduttore radiofonico e scrittore, dal 2020 è autore e conduttore del programma RAI3 #Generazione Bellezza. E di bellezza parla anche nel suo intervento sulla possibilità di rifondare l’Italia, puntando su ciò che la rende unica, il suo patrimonio artistico e culturale.
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PATRIZIO ROVERSI
h. 16.30 | PADIGLIONE VENEZIA Aperture straordinarie
Il pubblico lo ricorda per le prime cinque edizioni del quiz letterario di Rai 3 Per un pugno di libri e per la fortunatissima trasmissione Turisti per caso. Il conduttore televisivo, eterno viaggiatore, scrittore di numerosi libri di viaggio e di turismo responsabile, traccia attraverso la proiezione VR di Coi piedi nell’acqua un percorso nelle risaie tra il reale e l’immaginario, di cui è protagonista.
Medico degli astronauti dal 2000 al 2007, ideatore del Metodo Ongaro, che integra in modo scientifico medicina, psicologia e coaching, rappresenta da anni un punto di riferimento per centinaia di migliaia di persone. Presenta il suo nuovo libro Forte come l’acqua (Sperling & Kupfer).
FILIPPO ONGARO
idee, luoghi, persone ideas, places, people
:tracce Forma mentis
L’occasione è una mostra, che apre il
30 ottobre al Brolo, Centro d’Arte e Cultura di Mogliano Veneto, nell’ambito del Progetto Gianbattista Piranesi. Passato senza fine, una serie di azioni che celebrano l’artista, incisore e architetto in occasione dei 300 anni dalla nascita (Mogliano, 4 ottobre 1720–Roma, 9 novembre 1778), dedicata alle sue Carceri d’Invenzione, con 16 opere provenienti da una collezione privata.
di Giandomenico Romanelli L’inquietudine di una modernità in bilico tra passato oramai concluso, finito, e un presente incerto, infinito, non governabile, rende Piranesi drammaticamente attuale. Emerge dal testo introduttivo del catalogo del professor Giandomenico Romanelli, che ci ha gentilmente concesso di pubblicare di seguito, la contemporaneità dello spaesamento di un visionario vissuto tre secoli fa. Non c’è chi non veda in Piranesi, oltre che uno dei sommi dell’incisione di tutti i tempi, uno dei più singolari intelletti maturati in quell’età di rivolgimenti epocali e di acquisizioni fulminanti e luminose che ha spalancato il mondo alla modernità nel momento stesso in cui disseppelliva i ruderi, le rovine. «La poetica della rovina, annota Jean Starobinski, è sempre una meditazione davanti all’invadenza dell’oblio [...]. Il monumento antico era un memoriale, un ‘monito’, perpetuava un ricordo. [...] La melanconia della rovina sta nel fatto che è diventata un monumento della significazione perduta». L’impegno titanico di Piranesi pare essere proprio quello di impedire questa “perdita della significazione”, anzi, nei suoi scritti, egli eccita il presente a riannodare la monumentalità all’oggi, a rinverdire la volontà verso grandezze ciclopiche, verso glorie eterne. Piranesi non coltiva progetti da erudito (anche se amava, come ci testimonia uno dei suoi primi biografi Giovanni Lodovico Bianconi, mostrare e vantare competenze archeologiche e si appropriava
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spudoratamente di testi scritti per lui da grandi eruditi facendoli passar per propri) e nemmeno sensibilità che saranno (più tardi) definite pre-romantiche e romantiche: vi è in lui, al contrario, una volontà di progetto che scalza ogni tentazione nostalgica; una attitudine prometeica che si presenta come una sfida al tempo e alla storia per traguardare il futuro, un futuro eroico e monumentale ma, a tutti i costi, possibile. Le stesse Carceri di cui qui ci interessiamo e anche grazie a studi recenti che hanno messo a fuoco una dimensione appunto assai più progettuale che evocativa o fantastica di quegli straordinari prodotti, le stesse Carceri, quindi, portano in primo piano una attenzione architettonica e, si vorrebbe dire, strutturale a scapito della dimensione onirica e fantastica che è stata sempre esaltata. Diversa può essere invece la componente di visionarietà, destinata ad esser raccolta da uomini come Boullée e Ledoux. Tornando a Starobinski e al suo sguardo trasversale sull’Europa delle libertà, ritroviamo una osservazione che ci è assai utile: «Con le Carceri d’invenzione di Piranesi, il ‘capriccio’ architettonico s’eleva alla dimensione del capolavoro e del mistero». Il corto circuito tra architettura, capriccio e mistero qui evocati, si complica e si completa poche righe più sotto con «l’idea della morte ... rappresentata da crani, ossa e clessidre sparsi tra i bassorilievi frantumati». Se il tema del ‘capriccio’ riporta a un genere che ha goduto di grande fortuna dalla fine del XVII secolo in poi, il particolare capriccio piranesiano, che è destinato ad approdare alle Carceri, trova nell’“oscuro ardore” (Focillon) del veneziano la strada per «quella specie di divinazione dell’avvenire, in quell’architettura dell’età dei metalli» (ancora Focillon) il proprio fondamento e la propria ragion d’essere. L’impasto di idea della morte, oscuro ardore, sentimento del tempo, e divinazione dell’avvenire ci porta a riprendere il ragionamento proprio dalle prime manifestazioni «Giambattista Piranesi. Passato senza fine. Carceri d’Invenzione» 31 ottobre-31 gennaio 2021 Brolo Centro d’Arte e Cultura-Mogliano Veneto
dell’ideologia del grande Giambattista, cioè i suoi magici quattro Capricci (o Grotteschi) più la Caduta di Fetonte, che ci possono fornire la chiave non tanto per la decifrazione di significati iconograficamente dissimulati o criptati, quanto piuttosto per percepire il senso generale di un itinerario intellettuale e concettuale visionario e serrato. Con immagine certo suggestiva Alessandro Bettagno ha parlato dei Capricci come di uno «sfogo personale, canoro (...) una specie di nostalgica pausa prima di affrontare la Carceri e di sfidare (...) quelle Antichità che nei Capricci non sono possenti rovine di un mondo lontano ma frantumi di un mondo perduto». L’immagine è, appunto, suggestiva; ma a noi pare, oggi, che la linea Capricci-Carceri tracci invece un ben definito percorso di formazione ed esplicitazione di una chiara volontà progettuale. «Le Carceri portano alle estreme conseguenze la crisi dell’oggetto architettonico espressa dal Collegio e di cui Piranesi aveva già dato un’anticipazione metaforica in quelle vere e proprie rappresentazioni del crepuscolo del rococò che sono i quattro Capricci»: Tafuri individua qui con estrema lucidità il nesso logico, ideologico e linguistico che lega in termini oltremodo serrati le differenti tappe di un unico discorso sostanzialmente e precisamente architettonico, fortemente intenzionato in una lettura di alto spessore politico. Quel filo rosso, cioè, che Piranesi viene stendendo nelle sue riflessioni scritte (dalla dedica della Prima parte di Architettura e prospettive alla Magnificenza del 1761, al Parere e alle Osservazioni del 1765) non meno che nella sua produzione acquafortistica. Discorso sull’immaginazione e sull’invenzione, sul senso e i modi del progetto e della attività architettonica, su continuità e discontinuità del tessuto storico, sui metodi e i limiti del linguaggio, sull’autorità degli antichi, sul rigorismo e il funzionalismo in architettura, fino alla costruzione di quell’utopia negativa in che si sostanzia l’indagine critica del nostro impareggiabile “architetto veneziano”. E tuttavia i capricci – sia i quattro fogli con grottesche, sia gli altri di tipo antiquariale-rovinistico inseriti nella Prima parte, specie nei frontespizi – paiono per molti
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aspetti collocati in posizione strategica nel dipanarsi dell’itinerario piranesiano; e ciò sia in termini tematici, sia in quelli più precisamente di linguaggio e di segni, di complessità di costruzione e di scenografia che, infine, di ascendenze e suggestioni figurative da un lato e simbolico-allegoriche dall’altro lato. Si sa che i quattro capricci hanno alle spalle un’intera famiglia di trattazioni figurative rovinistiche vuoi di cifra romantico-arcadica che esoterico-iniziatica che scenografico-teatrale che antiquariale; altrettanto noti sono i problemi connessi con la ventilata frequentazione della bottega tiepolesca e dell’ambiente veneziano da parte di Piranesi immediatamente prima o durante la realizzazione di questi testi. Ma anche le opere di Salvator Rosa, di Ricci e Castiglione e Panini da un lato e le potenti suggestioni juvarriane dall’altro entrano nell’orizzonte piranesiano nel momento in cui l’architetto-incisore s’accinge al suo lavoro. Contesto composito e intrecciato, quindi, per un testo (dei testi, meglio) fortemente caricati di valenze che vanno al di là dei fogli e debbono leggersi anche tra i segni del bulino. Se, rispetto all’universo tardo barocco e rococò i capricci trovano un loro non disagevole – per quanto autonomo – inserimento, è altresì nell’itinerario piranesiano che essi chiedono una decifrazione che non sia in qualche modo tautologica nella riaffermazione della capricciosità del capriccio. Ed è proprio nello stridente rapporto di questi fogli (ripeto: i quattro grotteschi e il gruppo segnalato da Garms all’interno della Prima parte e, poi, nel ’50 inseriti nelle Opere varie: tutti studiati quale corpus da Andrew Robison nel suo Early Architectural Fantasies) con tutta la serie di architetture e scenografie contenute nelle stesse raccolte e condotte secondo un linguaggio di assai più geometrica, “rifinita” e tradizionale redazione, che pare di poter individuare la natura dei due diversi procedimenti seguiti da Giambattista nella sua serrata e destrutturante operazione critica. Da un lato egli risulta, infatti, perseguire una radicale scomposizione e frammentazione del segno che si libera e si moltiplica, ritorna su se stesso ed esplode nell’avanzare dei grandi neri trionfatori nelle carceri; dall’altro lato, Piranesi mette a segno un analogo procedimento e una simile attitudine critica sulla impalcatura strutturale della scena: le conseguenze di ciò sono state lette nelle loro valenze spaziali e architettoniche ma anche psicologiche e ideologiche da May Sekler, U. Vogt-Gökmil, Keller e, naturalmente, Tafuri. In una tale prospettiva, i quattro capricci-grotteschi potrebbero apparire addirittura più radicali e negativi delle stesse Carceri. Se queste, infatti, evocando le realizzazioni dei tempi della «grandezza della Romana Repubblica, e in quelli de’ potentissimi Cesari» mettono sicuramente l’architetto moderno di fronte alla propria impotenza indicandogli tuttavia la necessità di «spiegare con disegni le propri idee» e, soprattutto, gli evidenziano la possibilità di sottrarre l’architettura stessa «dall’arbitrio di coloro che i tesori posseggono, e che si fanno credere di potere a loro talento disporre delle operazioni della medesima» senza in realtà «effettivamente eseguire alcune»; se, quindi, dalla riflessione epica e tragica delle carceri questo può risultare con chiarezza, ai capricci non era dato che di smontare e rimontare mostruosamente grandezze del
passato e miseria presente nei baluginanti, algosi, ironici catafalchi e concrezioni marine, incubi e deliri, archeologie e pasticcerie di grottesche in-sensate. Qui soprattutto si ripropone – dopo le recenti scoperte in ordine alla durata, e quindi importanza, dell’ultimo soggiorno piranesiano in Venezia tra 1745 e 1747 – il problema del rapporto con Tiepolo e, in particolare, con i capricci incisi da questi esattamente in quel giro di mesi e d’anni: e non era venuto Piranesi a Venezia proprio – secondo la nota testimonianza del Bianconi – «per mettersi sotto il celebre Tiepoletto, di cui faceva, e giustamente, gran caso»? Né certo Andrew Robinson ha trascurato di sottolinearlo con chiarezza nel suo lavoro del 1986 indicando, oltre tutto, una piccola serie di corrispondenze puntuali tra incisioni dei due Giambattista sia a livello di tematiche che di precise ricorrenze iconografiche. Altri testi piranesiani certamente possono essere accostati ai Tiepolo e rivelare, quindi, quel carattere veneziano di tale momento su cui da ultimo ha attirato l’attenzione Alessandro Bettagno per i grotteschi e Moretti, ad esempio, per il disegno della gondola da cerimonia della Pierpont Morgan Library: e si potrebbe continuare. Ma vorremmo ripartire da una notazione per noi assai stimolante di Jörg Garms a proposito di due importanti testi piranesiani della Prima parte: le «Ruine di Sepolcro antico» e i «Vestigj d’antichi Edificj». Si tratta di due delle tavole di capriccio antiquario più vicine – linguisticamente – al momento dei grotteschi: diversamente che in Ricci e Panini, in questi lavori di Giambattista «architettura e rovine emergono da la materia primordiale per innalzarsi verso il cielo» (il corsivo è nostro). Un’esplosione o, meglio ancora, un’eruzione vulcanica che strappa al sottosuolo oggetti e tracce di passato e, sempre nel sottosuolo, si carica della incontenibile energia per proiettarli verso l’alto, come in una sarabanda primordiale tellurica e sfrenata. Un tale possente movimento tellurico (di sensibilità e coscienze, di conoscenze e sedimentazioni culturali, di memoria e passato: di storia, infine) che agita i materiali di Piranesi sembra proprio far affiorare, spingere in su – a formare catasta e coacervo, pila e catafalco – i frammenti parlanti di passate grandezze che un po’ alla volta si disporranno nel grande disegno (nella titanica ricomposizione impossibile) del Campo Marzio ovvero nella delirante lucidità neo-classica e addirittura eclettica dei Cammini. Il terremoto critico, lo sconvolgimento linguistico e tematico dei capricci-grotteschi ma anche di molte
tavole della Prima parte, di un gruppetto di disegni, della stessa Caduta di Fetonte (che si mostra in realtà proprio come un’immensa eruzione da una voragine mostruosa di forme architettoniche fino a una sorta di assunzione al cielo, nella sfera sfavillante al sommo della piramide!) quel terremoto-eruzione, questa deflagrazione ascensionale che mescola nei grotteschi ancora e proprio come in una materia impura, non raffinata, il magma primordiale e la decomposizione di sostanze marcite appare uno dei momenti cruciali dell’artista, un suo passaggio obbligato, e tuttavia da superare: talché gli emblemi dell’ossessione distruttiva, della suggestione necrofila, dell’allusione a un esoterismo nero ricadono quasi in forma di cascata verso la parte bassa delle composizioni, sul primo piano prospettico delle scene in forma di teschi e ossa umane, ma anche di rettili e oggetti casuali di un immaginario già morto (la tavolozza e i pennelli della «Tomba di Nerone», la faretra, trombe della fama e mazze ferrate, medaglie e cartigli, conchiglie, mascheroni, mantelli...) fino al montaggio ironico di simboli e forme e trovarobato teatrale abbandonato frettolosamente da divinità arcaiche e arcadiche in fuga precipitosa oltre i margini illusori (chè la raffigurazione del tutto è in trompe l’odio) del foglio: clava di Ercole, siringa di Pan, la falce di Crono, il caduceo di Ermete, urne, incensieri, meduse, spade, fiocchi, cordoni e cordami affastellati dentro all’urgenza di uno spazio e di un tempo che sono sul punto di finire, che sono, anzi, già finiti. Su questi stessi blocchi antichi e su queste modernità rocailles s’appoggiavano, altrettanto ironicamente fino a un attimo innanzi o forse prima della storia, dentro a un’età dell’oro senza tempo e senza luogo, mitica impossibile e patetica i vecchioni, i magi, le scimmie, i cani randagi e gli efebi degli scherzi di Giambattista Tiepolo. Anche lì urne e vasi, lapidi e rilievi: ma, attenzione, essi stanno sprofondando nella stessa «materia primordiale» di cui parlava Garms e donde emergevano i reperti piranesiani. Potremmo rovesciare le scene, il piano di base è il medesimo: a testa in giù gli scherzi di Tiepolo e a testa in su i grotteschi di Piranesi; di là si finisce come dentro alle sabbie mobili di una storia mitica, favolosa; di qua si viene emergendo prepotentemente nell’esplosione generatrice di un’era che comincia il suo corso. Una linea di demarcazione inesistente separa e unisce gli scherzi e i grotteschi: senza spessore e, insieme, invalicabile; da una parte il tempo – il tempo degli uomini – il tempo cui s’oppongono le magnificenze di una grandezza titanica e irripetibile; dall’altra parte il non-tempo, ovvero il tempo ultimo e finito, consumato e immobile nel non-
:tracce luogo di una notte luminosissima ed eterna. Da una parte «col sporcar si trova» di Piranesi; dall’altra parte le lapidi indecifrabili di geroglifici beffardi, ovvero la mancanza totale di parole come nel frontespizio con civette degli scherzi tiepoleschi: qui il passato ha perduto la possibilità di parlare, si è tramutato in altro dalla memoria e dalla storia, s’è fatto mito irridente e tragico insieme, comunque illusorio. Così le rovine, le are, i capitelli, le lastre di marmo, le piramidi, le cornici offrono il paesaggio ambiguo di fumigazioni esoteriche e altari per sacrifici di serpenti e alchemiche sperimentazioni e, magari, lo straniante contesto per la scoperta della tomba di Pulcinella (è forse l’allusione sarcastica alla frenetica e insensata – rispetto a una storia che non può esistere – attività degli archeologi?). Ma anche Piranesi sa affrontare armato della necessaria ironia il suo fatale combattimento con la storia: ironia filosofica, come sottolinea Robison a proposito del Democrito di Salvator Rosa che è certo all’origine di molti degli scherzi e capricci settecenteschi: Democritus omnium derisor// in omnium fine defigitur, e ironia tragica, addirittura – anche qui certo non casualmente in consonanza, a nostro avviso, tiepolesca – carica di corrosiva vena sarcastica, allusa e ribadita nell’indecifrabile tabella del quarto dei grotteschi (il più contraddittorio, straniante e senza-senso del gruppo) che termina in alto con un programmatico lapidario “ALLEGRAMENTE”. Una volta di più tuttavia è possibile anche cogliere le profonde diversità tra i due Giambattista: l’avarizia perfetta di un segno mai duplicato, l’espansione incontenibile delle campiture bianche in scene sul punto di autocancellarsi, di sprofondare nella più candida e nerissima notte della ragione; questo in Tiepolo. Piranesi ricorre, al contrario, a una furente poetica dell’accumulo che, paradossalmente, tende tuttavia a «una potenziale liberazione (...) dalla forma» (Tafuri); la deflagrazione piranesiana si pone quindi all’opposto dell’implosione tiepolesca. Tanto è vero che essa parte dall’oggetto e s’estende senza confini alla struttura architettonica, al complesso edilizio, alla città: «Il dissolversi della forma tocca nel Campo Marzio – e non più con la copertura onirica delle Carceri – la struttura urbana. Rimane, certo, – è sempre Tafuri a parlare – l’ulteriore copertura storicistica. Ma (...) Piranesi, anche nel Campo Marzio (anzi, principalmente nel Campo Marzio) usa quella copertura come arma a doppio taglio” fino al “concetto stesso di città”». È quindi vero che dai capricci grotteschi muove l’itinerario di Piranesi e, come sempre in lui, già questo momento racchiude tutta la molteplicità e complessità dell’intero suo processo culturale. E, infatti, tra i monti, le rocce e tutto lo spumeggiante universo minerale, zoo e fitomorfo in cui si affaticano simulacri di uomini alla ricerca di quel che non può esser trovato, Piranesi, marca, insieme, il proprio debito e la siderale distanza che lo separa dal mondo stesso di Tiepolo e lo pone, semmai, speculare interlocutore/contradditore della newtoniana utopia canalettiana, intesa a verificare le possibilità di una realtà urbana (e civile) quale «fabbricar potrebbesi», secondo l’espressione d’Algarotti. Quale è, quindi, nei capricci l’oggetto primo della critica piranesiana?
Una volta di più lo scardinamento d’un ordine nella distruzione di gerarchie formali e spaziali, di connessioni logiche prima e poi sintattiche e quindi grammaticali e, infine, semantiche: la stessa bufera critica che s’abbatte sui frontespizi della Prima parte, sulle Ruine di Sepolcro antico, sull’Ara antica sul Ponte trionfale intacca mano a mano e contamina irreversibilmente le Carceri, le Antichità romane, i Trofei, le vedute: tutto. L’originalità dei Grotteschi e del Fetonte è proprio in quel che si diceva della mescolanza ancora in atto tra antico e moderno accomunati in un unico moto di devastazione e nella presenza, innegabile, di un qualche ironico piacere della distruzione e gusto tragico e sarcastico nella constatazione della fine di tutto e di tutti in un grande rimescolamento di principi, regole, gerarchie e linguaggi. Linguaggi, appunto; che rivelano per ora oltre alla loro fondamentale e intima inanità, una natura sostanzialmente strumentale ma che non possono sottrarsi alla loro condizione di specchio, di riflessione seconda compiuta – in modo cosciente o “spontaneo” – sulla più generale evoluzione (e decadenza) delle strutture sociali e politiche. Torniamo ora, con questo bagaglio di riflessioni, alle Carceri. «Le Carceri, formano l’impalcatura monumentale dove s’esalta il genio edificatore dell’uomo, ma nello scopo finale di schiacciare e di distruggere gli uomini»: una volta ancora abbiamo seguito Starobinski nella sua lucida e spietata analisi. In queste due righe si condensa e deflagra la contraddizione di fondo della questione piranesiana, una esaltazione delle potenzialità infinite del genio demiurgico dell’uomo tecnologico e la maledizione di un destino senza speranza, negativo anche se non meno sublime: «Questo secolo, che esalterà l’idea della libertà, doveva cominciare col prender coscienza dell’orrore delle prigioni e in una maniera che aveva dell’ossessione». Piranesi denuncia quell’orrore ma si propone nondimeno di costruire delle carceri: «Piranesi ci dà la dimostrazione d’una libertà creatrice tutta presa a rappresentare la negazione della libertà». Sia quindi che si tratti del prodotto d’un furore visionario o di un progetto ‘reale’ le Carceri non solo non sfuggono a quella contraddizione, ma la trasformano in un potenziale eversivo e, insieme, terribilmente costrittivo. Lo si vedrà chiaramente in quel che avviene -nella disciplina architettonica non meno che nell’ideologia dell’urbano- dopo Piranesi: da una parte i ‘manifesti’ dell’architettura rivoluzionaria e parlante di Ledoux, Boullée e Lequeu (secondo la indissolubile triade proposta da Kaufmann in un suo celebre scritto) giù giù fino ai progetti utopici di Antolini, Pistocchi e dello stesso Selva ‘sognatore’ suo malgrado (spinto da Canova a progettare una immensa piramide napoleonica sul Moncenisio). Dall’altra il non meno furente -ma freddo- rigore tecnologico e tecnocratico degli ingegneri dei Ponts et Chaussées. Spetterà all’Ottocento tentare di dipanare una matassa che è ideologica non meno che disciplinare, tuttavia la titanica riflessione piranesiana sul tempo e sulla storia, sulla modernità e sulla morte appare, oggi come non mai, un passaggio stretto e ineludibile, lucidamente tragico, che continua a provocare e a interrogare. A inquietare.
Nota di bibliografia Si sono citati nel testo alcuni lavori di cui si dà puntuale referenza bibliografica. Superfluo rilevare che non si intende coprire la – per altro sterminata – bibliografia piranesiana, di recente ampliata in occasione delle mostre bi-centenarie cui si rinvia (così come si rinvia al catalogo della mostra del 2010 Le Arti di Piranesi a c. di M. De Lucchi, A. Lowe, G. Pavanello alla Fondazione Cini) bensì delineare contributi che hanno diretta attinenza con quanto scritto qui sopra. Si rileva, infine, che il termine di riferimento obbligato, per tutta questa materia (cioè la prima serie di opere piranesiane – fra le quali i Grotteschi –) è il volume di Andrew Robison, Piranesi. Early Architectural Fantasies. A Catalogue Raisonné of the Erchings, Washington 1986. Per altro, ai fini di una critica di amplissimo respiro e di originale e penetrante decifrazione di messaggi e di segni in ordine ai problemi architettonici di Piranesi è indispensabile partire dai testi di Manfredo Tafuri, La sfera e il labirinto. Avanguardie e architettura da Piranesi agli anni ’70, Torino 1980 e Il Complesso del Priorato sull’Aventino, nel volume – catalogo della mostra piranesiana a Venezia: Piranesi. Incisioni. Rami. Legature. Architetture a c. di Alessandro Bettagno, Vicenza 1978. Di tale importante volume che interessa certo nella sua globalità, si segnalano in particolare per il nostro discorso i testi di A. Bettagno, Capricci; di S. Garms, Prima parte di architetture e prospettive; M. Calvesi, Caduta di Fetonte; A. Gonzalez- Palacios, Diverse maniere d’adornare i cammini ed ogni altra parte degli edifizi... e, dello stesso, Vasi candelabri cippi sarcofagi tripodi lucerne ed ornamenti antichi... Negli atti del convegno Piranesi tra Venezia e l’Europa (fondazione G. Cini 13-15 ottobre 1978) a c. di A. Bettagno, Firenze 1983, si possono rinvenire alcuni interventi di primaria importanza: N. Penny, Antique Sculpture in the Work of Piranesi (pp. 45-50); M. Tafuri, Borromini e Piranesi: la città come «ordine infranto» (pp. 89-102); L. Moretti, Nuovi documenti piranesiani (pp. 127-154); L. Puppi, Appunti sull’educazione veneziana di Giambattista Piranesi (pp. 217-264); A. Bettagno, Incontro veneziano: Piranesi e Tiepolo (pp. 397-400). Si segnalano, infine, il testo di C. Bertelli, Le parlanti rovine, «GRAFICA grafica» II, 2, 1976, pp. 90-116. U. Vogt-Gökmil, Giovanni Battisti Piranesi: “Carceri”, Zürich 1958; P. May Sekler, G.B. Piranesi’s Carceri Etchings and Related Drawings, «The Art Quaterly», 25, 4 (1962), pp. 330-363. P.Panza, La croce e la sfinge. Vita scellerata di Giovan Battista Piranesi, Milano 2008. Né possono essere dimenticati alcuni testi per ragioni diverse a nostro giudizio fondativi di ogni lavoro piranesiano: G.L. Bianconi, Elogio Storico del Cavaliere Giambattista Piranesi, «Antologia» XXXIV-XXXVI (Roma 1779), pp. 265-284. H. Focillon, Giovanni Battista Piranesi, Paris 1918; ediz. italiana a c. di M. Calvesi e A. Monferini, Bologna 1967. M. Yourcenar, Le cerveau noir de Piranèse. Les Prisons imaginaires in Sous bénéfice d’inventaire, Paris 1962. Infine, è risultato per noi ineludibile: Jean Starobinski, L’invention de la liberté, Genève 1964 (ed. ital. 1965).
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Festa della Madonna della Salute the event of the month
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Al momento
la data del 21 novembre sembra assai lontana, da mesi conviviamo con la paura del contagio e i dati di crescita nella diffusione del Covid-19, quindi è difficile pensare ad una festa della Salute a distanza di sicurezza, ma è molto probabile, anzi certo - a meno che non intervenga un aiuto sostanziale da parte di qualche entità sovrannaturale! - che dovremo celebrarla sperimentando le file in ordine rigoroso e il distanziamento obbligatorio. Per una volta non vedremo resse di fedeli assiepati con le candele in mano per la sim-
di Fabio Marzari bolica accensione, prima di consegnarle alla Mesopanditissa, e altrettante file disordinate per il passaggio davanti alla sacra icona, per non dire del gran numero di persone davanti ai banchetti che vendono leccornie soprattutto dolci, tra cui le immancabili buonissime e gigantesche frittelle, lo zucchero filato e altri mirabolanti trionfi calorici. Già nel 2019 la festa arrivava dopo la terribile acqua alta che aveva fiaccato non poco gli animi e creato danni notevolissimi in città, quest’anno siamo nel bel mezzo di una pandemia, verrebbe da chiedersi cosa sarà il 2021, con terrore per la risposta e riti scaramantici di default. Provando a volgere in positivo la questione va detto che senza la peste del 1630 non avremmo avuto la magnifica Basilica a segnare il paesaggio urbano con le sue architetture - un brivido inevitabile corre pensando alle autorità cittadine contemporanee e alle idee che potrebbero avere per celebrare la post pandemia. Nel 1630 il doge era Nicolò Contarini, che non ebbe la sorte di vedere neppure l’inizio dei lavori per la Basilica, poiché fu vittima egli stesso della peste nel 1631. Le pagine di storia ci tramandano che «i provvedimenti del Senato furono molti, e senza numero le spese, ma sì gli uni come le altre tornarono per lo più inefficaci. La pietà dei Veneziani, la quale aveva trovato in altro eguale frangente salute e misericordia dal cielo, anche adesso volle al cielo ricorrere, invocando la Madre
Vergine, colei che fu riguardata dai Veneti siccome la loro principale avvocata e patrona. Perciò il 25 ottobre 1630, la Repubblica decretò la erezione di ricco tempio votivo in onore della gran Madre, sotto il titolo della Salute. E perchè la solennità del voto, che volevasi offrire a Dio in onore della Donna immortale, si amava sancita dall’adesione del popolo, acciocchè tutti, per sé e per i nipoti, sino alla più tarda posterità, si obbligassero pubblicamente; nella Basilica di San Marco, il dì appresso, radunato ogni ordine di cittadini, doge Nicolò Contarini, montato sulla tribuna al alto esterno del presbiterio, deposto ai piedi del Crocefisso il corno ducale, e profondamente curvato, pronunziò il voto solenne della nazione, al quale facevano eco le voci supplichevoli e le copiose lacrime del popolo. E sebbene il morbo infierisse in modo meraviglioso e orrendo, tuttavia il Senato dava mano alle opportune disposizioni per incominciare il votivo edifizio. Si tolse uno spazio di terreno presso la punta della dogana di mare, colà dove stava la chiesuola e l’ospizio della Trinità dei cavalieri teutonici. La mattina del 25 marzo 1631 era stabilita per collocare la prima pietra, ma ciò non poté mandarsi ad effetto, attesa la grave indisposizione del doge, che doveva in principalità compiere quest’atto. Ebbe luogo, in quella vece, il primo giorno dell’aprile susseguente. Ne compì quindi la cerimonia il patriarca Giovanni Tiepolo e poi il consigliere decano, o vice doge, Giulio Giustiniani, collocò la pietra benedetta a base del fondamento, e con essa vi gettò undici medaglie coniate espressamente per quella circostanza: dieci d’argento e una d’oro. Rappresentavano, nel loro dritto, la Vergine in gloria con il divino Paracleto, al basso la prospettiva della piazzetta di San Marco, per indicare la città, con la legenda: UNDE ORIGO INDE SALUS, e nel rovescio vedevasi il doge in supplichevole atteggiamento, accennando il modello del nuovo tempio, colla iscrizione : NICOLAO CONTARENO PRINCIPE SENATUS EX VOTO MDCXXXI [...]». (tratto da Francesco Zanotto , Il Palazzo Ducale di Venezia, volume IV)
Miracles, Italian style
At time
of writing, November 21 looks not too close a date, and we have been coexisting with the Coronavirus for quite a while, which makes it hard to think of a Salute Feast at safety distance. It is quite likely – certain, rather – that we will only be able to celebrate it by diligently queuing up and maintain social distance. For once, we won’t see crowds of faithful devoted, candles in their hands, and unorderly masses of people paying homage to Saint Mary. Last year was unusual, too, since the Feast came right after a flood and Venice was not in its highest spirits. One will wonder what 2021 has in store for us. Now let’s try to be positive, as much as we can, and remember that without the plague of 1630, the Basilica wouldn’t be there at all. At that time, the Duke of Venice was Nicolò Contarini, who succumbed to the plague himself in 1631 and little did he see of the nascent place of worship. History books list the several decrees of the governing bodies of Venice, and the copious amounts of money spent to counter the infectious disease – all to no avail. Venetian piety resolved to invoke the patronage of the Virgin Mary and, under her auspices of good health, build a temple in her honour. Crowds amassed, Duke Contarini bowed low before the Holy Cross and pronounced the vows of his Nation, echoed by the teary voices of the people. A lot of land was cut out from what were the customs offices and where an older temple used to stand. On April 1, 1631, the cornerstone laying ceremony was carried out by the Patriarch – and not the Duke, who would die a day later of the Plague, as we mentioned. Eleven coins were buried with the foundations, ten silver ones and a gold one. On their front, a depiction of Saint Mary with the Holy Spirit and the phrase UNDE ORIGO INDE SALUS (from origins, there comes deliverance). On their back, a supplicant Duke and a model of the upcoming temple. (Sources: Francesco Zanotto, Il Palazzo Ducale di Venezia)
21.11.2020 | I FONDAMENTALI DELLA FESTA* MADONNA DELLA SALUTE
La venerata icona della Madonna delle Grazie detta “della Salute” fu trasportata a Venezia dal Doge Morosini nel 1670 dalla Cattedrale di San Tito di Candia, dopo la fine della guerra. La tavola del XIII secolo in stile bizantino è di particolare suggestione per il volto ombrato e gli occhi penetranti della Madonna. N.B. A Candia era denominata anche “la Mesopanditissa”, dall’uso liturgico locale che la festeggiava a metà (mezo) tra la festa dell’Epifania (6 gennaio) e la festa di Maria Ipapantissa (2 febbraio). Da cui il termine “mesoipapantissa”, trasformato popolarmente in “mesopanditissa”. The icon of Our Lady of Graces, also known as Our Lady of Good Health, was brought to Venice by Doge Morosini in 1670 from St. Titus Cathedral in Candia (present-day Heraklion, Crete). The XIII-century Byzantine plate is highly suggestive for the Madonna’s shadowy face and piercing eyes. Note: Mesopandotissa is a Greek/Venetian form of Mesoipapantissa, an appellative of the Madonna that originated in Crete that used to signify the feast took place midway (miso) to the Ipapantissa, whose day of celebration is February 2.
BASILICA
ricorda la città di Venezia che sta supplice in ginocchio ai piedi della Madonna. Al centro dell’altare la splendida immagine della Madonna della Salute, la Mesopanditissa. N.B. Dalla statua della Peste, raffigurata da Giusto Le Court sull’altare come una megera vecchia e sdentata, deriva il detto veneziano: Ti xè bruta come ea peste! An imposingly large staircase seems to rise from the water. Once in, you will see the inside of the double dome construct hovering it. On the top of the larger dome is a statue of the Virgin with the mace of Capitano da Mar (Admiral). Designed by a young Baldassarre Longhena in an innovative Baroque style, the construction of the church began in 1631 and was concluded after Longhena’s death, in 1687. Statues adorn the main façade and the outer sides of the building as well as the inside. The main altar is majestic in its size and is decorated by a marble group by Le Court. The Virgin Mary appears with the Child in her arms over clouds, puttos at her feet. An angel chases away the plague with a torch while a richly-adorned woman, Venice, reveres the Madonna. Note: Giusto Le Court sculpted an allegory of the plague in the shape of a toothless old hag. Hence, the Venetian saying: you’re ugly as a plague!
numero, ognuno si regola in base alle proprie volontà – affinché possa intercedere per la buona salute. N.B. Nel campo antistante la Basilica numerosi banchetti vendono candele di ogni grandezza. Venetians are very devoted to Saint Mary up to this day, and you can tell from the number of candles that during the Feast are lit in the church – more than all of the other churches in Venice, combined, over a year. Tradition dictates the candles (any number, you get to choose how many) testify your devotion and your plea for good health. Note: candles are sold just before the Basilica.
CROCCANTE E PALLONCINI
PONTE VOTIVO
Una fila ininterrotta di persone si reca in pellegrinaggio presso la maestosa Chiesa della Salute e lo fa percorrendo a piedi il ponte votivo, un ponte temporaneo costruito su barche, che attraversa il Canal Grande e collega le rive di Santa Maria del Giglio (San Marco) con la Basilica del Longhena (Dorsoduro). N.B. Occasione unica per ammirare da una prospettiva insolita i profili dei palazzi e delle chiese affacciate sul Canal Grande. Pilgrims can reach the Basilica on foot via the votive bridge, a temporary bridge over the Grand Canal that unites Santa Maria del Giglio and the Basilica. Note: A chance to see the palaces overlooking the Grand Canal from an unusual perspective.
Il sacro e il profano come ogni festa religiosa che si rispetti convivono e si fondono perfettamente. Accanto al sincero sentimento religioso convive l’aspetto più laico e gioioso: banchi imbanditi di dolciumi, soprattutto croccante alle mandorle e gigantesche frittelle, aspettano i fedeli fuori dalla Basilica. Immancabili i palloncini colorati e i giocattoli per i più piccoli. N.B. Da consumarsi rigorosamente per strada. The sacred and the profane, as is the case with any religious feast, peacefully coexist. Stands sell candy, especially almond brittle and beignets, and wait for you after church. Balloons and toys are available for the younger ones. Note: Eat right away! Why wait?
CASTRADINA
CANDELA Un’imponente gradinata, che sembra quasi emergere dall’acqua, conduce all’ingresso della Basilica a pianta centrale, sormontata da una doppia cupola scenografica. Sulla sommità della cupola maggiore si trova la statua della Vergine con il bastone di Capitana de mar. Progettata dal giovane Baldassarre Longhena, in stile barocco assolutamente innovativo, “la rotonda macchina che mai s’è veduta né mai inventata”, come egli stesso la definì, venne iniziata nel 1631 e però conclusa solo dopo la sua morte nel 1687. Una serie ricchissima di statue decorano la facciata principale e i lati esterni dell’edificio, continuando anche all’interno, secondo il tema della glorificazione di Maria. L’altare maggiore colpisce per la sua mole imponente e per lo straordinario gruppo marmoreo di Le Court che si trova sulla sommità: la Vergine appare maestosa con il Bambino in braccio, sopra un masso di nubi con tre putti angelici ai piedi; un angelo con la fiaccola caccia la peste che fugge precipitosa mentre una donna riccamente adornata
Il legame ancora vivo e intenso tra Venezia, i veneziani e la Madonna della Salute si traduce nella quantità di candele che durante la Festa vengono raccolte in Basilica, numeri tali da garantire il fabbisogno annuo per tutte le chiese della città. La tradizione vuole infatti che per rendere omaggio alla Madonna vengano portate e accese delle candele – non c’è una regola fissa per il
Piatto della tradizione a base di cosciotto di castrato (montone salato e affumicato) cucinato per ore e saltato in padella con cavolo verza. Un omaggio alla fedeltà dei Dalmati che, nel lunghissimo isolamento patito da Venezia durante la pestilenza, sono stati gli unici a rifornire gli abitanti di cibo, soprattutto il montone, diffusissimo in quei territori. Ecco perché a ricordo di quel travagliato periodo si è mantenuta la tradizione di mangiare solo nella festività della Salute la castradina. N.B. Pietanza saporita per palati avvezzi a gusti forti. A plate of Venetian tradition, it is mutton chop, smoked and slow-cooked with savoy cabbage. An homage to the loyalty of the Dalmatians, who, in the long plagueinduced isolation of Venice, were the only one to send regularly send supplies to town and feed the Venetians. Muttons are traditionally raised in their territories. Note: Beware! Strong tastes ahead. * Nel rispetto delle regole del distanziamento sociale.
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Riti collettivi
Un gruppo di persone vestite di nero
erano assiepate nel piazzale monumentale antistante la Basilica di San Giorgio. Passando in barca proprio davanti, osservavo da lontano queste persone certamente riunite per un’occasione triste, un funerale forse, che in realtà sembrava pieno di vita. Il corteo funebre procedeva con uno strano incedere, accompagnando e sostenendo una gigantesca salma-sagoma di carta che attraverso l’enorme portale di San Giorgio procedeva verso l’altare della Basilica. C’era un’atmosfera magica e sospesa anche
di Mariachiara Marzari se era tutto reale, una banda suonava la marcia funebre, mentre un drone ronzava riprendendo la scena dall’alto. Dove avevo vissuto quella stessa atmosfera? Ma, certo, stavo assistendo all’evento performativo di JR e Alice Rohrwacher, la Processione Omélia Contadina, l’ultimo viaggio del contadino-simbolo, protagonista del loro cortometraggio presentato come evento speciale alla 77. Mostra del Cinema di Venezia – ora in visione alla galleria Continua di San Gimignano, in occasione della mostra Omelia contadina, prima personale di JR (Jean René) in Italia, fino al 20 gennaio 2021–. Inquadratura dall’alto, una land art emozionante, dove tra campi verdi un contadino è steso in uno spazio immenso: “Ci avete seppellito ma non sapevate che eravamo semi”. «Non sapevamo come chiamare questo nostro lavoro perché non è un film né un’opera d’arte, è qualcosa che non rientra in nessuna di queste categorie per questo abbiamo deciso di chiamarla un’“azione cinematografica”. In realtà è un funerale, ma un funerale pieno di vita perché le persone che hanno partecipato sono vive e lottano per sopravvivere alle difficoltà a cui devono tenere testa ogni giorno. Era importante celebrare
questo rito per ripartire con una nuova vita, una nuova testimonianza», racconta Alice Rohrwacher e continua «nell’autunno scorso durante una passeggiata sul confine tra Umbria, Lazio e Toscana, raccontavo all’amico e artista JR le mie preoccupazioni sulla distruzione del paesaggio agrario, violato dal proliferare di monoculture intensive che stanno plasmando interi territori. Gli raccontavo, da figlia di un apicoltore, della grande moria di insetti che ne deriva, e delle lotte dei piccoli contadini che provano ad arginare questo fiume in piena di speculazioni, sussidi, pesticidi. Mentre guardavamo il paesaggio segnato da file ininterrotte di noccioli ci siamo detti che sembrava un cimitero. Sulla via del ritorno abbiamo deciso: se sembra un cimitero, dobbiamo celebrare un funerale. Un funerale, ma anche un inno di speranza dedicato a tutti coloro che giorno dopo giorno ci tengono in vita, producendo il nostro cibo». Così è nato il progetto Omelia contadina per sostenere la lotta di piccoli agricoltori e cittadini dell’altopiano dell’Alfina e in generale per scongiurare la scomparsa della civiltà contadina. Il lavoro di Alice Rohrwacher e JR va ben oltre lo schermo, dimostrando ancora una volta la forza e la potenza dell’arte. L’artista francese, noto in tutto il mondo per le sue installazioni su larga scala, a metà strada tra arte pubblica e fotografia, appartiene alla nuova generazione di artisti che reinterpretano l’identità delle metropoli contemporanee interrogandosi sulla loro natura a volte ambigua. Il suo lavoro, che mescola arte e azione e parla di impegno, di libertà e identità, è complesso e al tempo stesso poetico, mettendo a fuoco tematiche sensibili e a volte scomode. Per JR l’arte è uno strumento per cambiare il mondo. Omélia Contadina Regia di JR, Alice Rohrwacher 2020, 10’
Collective rituals
A group of black-clad people stand in the monumental square before the San Giorgio Basilica.
As I was passing by the island, I observed them. Certainly, they were there for some sombre occasion, a funeral maybe, but there was indeed life in their demeanour. The procession carried what may have been remains, but was in fact a cardboard shape, through the church’s portal and on to the altar. The atmosphere was magical and surreal as the band played a funeral march and a drone filmed the scene from above. Where did I once see this very same scene? It was Omélia Contadina, a performance event by JR and Alice Rohrwacher. The piece is a short movie presented at the last Venice Film Festival and now part of JR’s (Jean René) first personal exhibition in Italy. Says Rohrwacher: “We didn’t know what to call this work. It is not a film, nor an art piece – it’s something that fits no particular category, so we decided to call it a piece of action cinema. It is, indeed, a funeral, though a lively one, because participants are alive and fight to overcome the hardship of their lives. It is important to celebrate this ritual to start again with a new life […] last fall, we were hiking in central Italy as I was sharing with my friend JR my worries on the destruction of agricultural landscape brought about monocultures.” That is how the Omélia project was born. Alice’s and JR’s work goes beyond what can be seen on screen and shows once more how powerful art can be. French artist JR, known worldwide for his large-scale installations of public art and photography, belongs to a new generation of artists who reinterpret modern metropolitan identities and questions their sometimes duplicitous nature. His work mixes art and action and is all about commitment, freedom, and identity. It is complex and poetic as it focuses on sensitive, troublesome themes. For him, art is a tool we can use to change the world.
:arte
GALLERIE DELL’ACCADEMIA
PALAZZO CINI. LA GALLERIA
Abbiamo tutti ri-scoperto in questo periodo “diverso” quanto il nostro patrimonio artistico, proprio quello sotto casa, sia straordinario e ricco di sorprese, ed è proprio nell’ottica di un ripensamento a nuove forme di fruizione dell’arte nell’era del Covid–19 che si pone una preziosa iniziativa lanciata, a partire dal mese di ottobre, dalle Gallerie dell’Accademia che vedrà esposti nelle sale del Museo, a rotazione, alcuni capolavori della pittura veneta del Rinascimento provenienti da sedi museali internazionali. Apre questo importante progetto intitolato Un capolavoro per Venezia la Sacra Conversazione con i santi Caterina e Tommaso di Lorenzo Lotto (Venezia, circa 1480–Loreto, circa 1556) dal Kunsthistorisches Museum di Vienna che ben si presta al dialogo con una delle gemme delle Gallerie e della ritrattistica lottesca, quel Ritratto di giovane gentiluomo che il pittore realizzò durante il periodo veneziano alla fine degli anni venti del Cinquecento. Dello stesso periodo del ritratto di Venezia è anche la Sacra Conversazione di Vienna tra i più riusciti “dialoghi spirituali” del pittore e della pittura veneta in generale. Grazie al suo formato ridotto, che ben si presta all’intimità della devozione privata, al naturalismo del dolce paesaggio, alla grazia della dinamica gestuale, alla raffinatezza della scelta cromatica e infine al sapiente uso della luce che questa tela rappresenta uno dei raggiungimenti più alti dell’arte del pittore. Maria è adagiata sull’erba e sostiene il Bambin Gesù in piedi sopra un ceppo, colpisce la resa dei drappeggi dell’ampio abito azzurro, realizzato con il prezioso blu di lapislazzuli, alle sue spalle le fronde di una maestosa quercia proiettano ombre irregolari sulle figure. Santa Caterina, riconoscibile dalla ruota dentata, è inginocchiata di fronte a Maria ammantata da un prezioso vestito verde e volge lo sguardo verso San Tommaso che chiude la composizione sulla destra con il rosso del mantello. Straordinaria è la grazia e l’eleganza con cui Lotto realizza la figura dell’angelo sulla sinistra che sembra avanzare leggero in punta di piedi per incoronare Maria con un serto di pervinche. Un equilibrio perfetto tra sguardi, gesti, colori e luce e un profondo sentimento di armonia che ha colpito la critica lottesca sin dal Seicento quando il dipinto già si trovava nelle collezioni imperiali viennesi. Dal 15 ottobre (e fino al 15 gennaio 2021) sarà un’occasione imperdibile per apprezzare le straordinarie doti pittoriche di una delle più grandi e controverse figure del Rinascimento italiano. Franca Lugato www.gallerieaccademia.it
Una raffinata casa-museo custode di una preziosa raccolta d’arte antica di uno dei più importanti collezionisti del Novecento italiano, l’imprenditore e filantropo Vittorio Cini. Palazzo Cini è un unicum nel paesaggio veneziano perché racchiude al suo interno il tempo, non quello immobile e passato, ma quello “immortale”. Al primo piano, lo straordinario cuore rinascimentale della Collezione offre un viaggio nella storia dell’arte italiana attraverso l’incontro ravvicinato con le mirabili opere di Beato Angelico, Filippo Lippi, Sandro Botticelli, Piero di Cosimo e Pontormo, Ercole de’ Roberti, Cosmè Tura e Dosso Dossi. Al secondo piano, il tempo domina il dialogo serrato tra Piranesi Roma Basilico, che si fronteggiano mettendo a confronto la città antica delle incisioni di Piranesi e la città contemporanea ritratta nelle fotografie di Gabriele Basilico, svelando al pubblico una selezione inedita del lavoro del grande fotografo paesaggista. Le celebrazioni per i 300 anni dalla nascita di Giambattista Piranesi (Venezia, 1720 – Roma, 1778) trasformano la mostra in un omaggio, che si declina in una poesia urbana di Roma, un susseguirsi di luoghi simbolici della Città eterna rappresentati dalle 25 stampe originali realizzate nel ‘700 dall’incisore veneziano – selezionate dal corpus integrale conservato nelle collezioni grafiche della Fondazione Giorgio Cini – e dalle 26 vedute di Roma del fotografo milanese, realizzate con le stesse angolazioni delle incisioni piranesiane. Basilico, ispirato dalle celebri pagine che la scrittrice Marguerite Yourcenar dedicò a Giambattista Piranesi agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, ha ripercorso con la macchina fotografica tutti i luoghi delle vedute piranesiane restituendone la straordinaria modernità. www.palazzocini.it
In Conversazione con Lotto
Lo spazio del tempo
:incittà
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Museum Mile
Otto secoli di arte in un progetto corale a Dorsoduro I musei fanno sistema: il Dorsoduro Museum Mile rilancia la collaborazione tra le istituzioni culturali che hanno sede a Dorsoduro, offrendo al visitatore uno straordinario percorso culturale lungo poco più di un miglio. Un viaggio lungo otto secoli di storia dell’arte mondiale: dai capolavori della pittura veneziana medievale e rinascimentale delle Gallerie dell’Accademia, ai protagonisti della scena dell’arte contemporanea esposti a Punta della Dogana, passando per Palazzo Cini e Collezione Peggy Guggenheim, le storiche case-museo di Vittorio Cini e di Peggy Guggenheim, che ospitano le splendide collezioni di questi grandi mecenati. «Il rilancio del Dorsoduro Museum Mile, oggi, si fonda su forme di collaborazione tra istituzioni culturali di natura così diversa ma attive nello stesso contesto e unite nel comune intento di venire incontro alle nuove esigenze e alla sensibilità del pubblico» ha spiegato Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. «Pensare di attraversare il “tempo della storia dell’arte” in modo così completo, dal Medioevo alla più viva contemporaneità, fa di questo percorso ricchissimo e distribuito su un segmento di Dorsoduro così denso, un’occasione irripetibile in altre città» ha sottolineato il direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini, Luca Massimo Barbero. «Oggi più che mai la città ha bisogno di progetti corali come il Dorsoduro Museum Mile, che nasce dall’unione sinergica tra istituzioni veneziane che, come noi, credono del potere lenitivo dell’arte e della bellezza» ha dichiarato Karole P. B. Vail, direttrice della Collezione Peggy Guggenheim. «Rilanciare oggi un’iniziativa tanto ambiziosa come Dorsoduro Museum Mile – ha concluso Bruno Racine, Direttore e Amministratore Delegato di Palazzo Grassi - Punta della Dogana – e arricchirla di nuove opportunità per i visitatori, è il segno della necessità di pensare in modo collettivo, una risposta sinergica alla crisi che stiamo vivendo». Itinerari integrati, comunicazione condivisa e sconti sui biglietti d’ingresso ai musei, in particolare il visitatore che acquista un biglietto in uno dei Musei del Miglio ha diritto a un biglietto d’ingresso a prezzo ridotto nelle altre Istituzioni partner.
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Le forme di una nuova normalità
«Nel 1942, nel pieno della Seconda guerra mondiale, Peggy Guggenheim inaugura a New York la galleria-museo Art of This Century, immaginandola come “un centro in cui gli artisti siano benvenuti e possano collaborare alla creazione di un laboratorio di ricerca per nuove idee”. Grazie a questo luogo nacque un incontro generazionale tra i rappresentanti delle avanguardie europee fuggiti dallo scontro bellico e dai regimi totalitari e gli artisti della futura Scuola di New York. Anche Palazzo Venier dei Leoni, attuale sede della Collezione, ha costituito per trent’anni un luogo di ritrovo per giovani artisti, scrittori e intellettuali provenienti da tutto il mondo. Il museo continua tutt’oggi a proporsi come un luogo di sperimentazione, un centro di scambio e d’incontro che favorisca il mettere in gioco diverse competenze grazie anche a risorse accessibili come il luogo stesso e le opere, fonti inesauribili d’ispirazione e bellezza» (Karole P. B. Vail). La Collezione Guggenheim non si ferma, anzi rilancia il dialogo per coinvolgere sempre più pubblici diversi con uno sguardo particolare verso la Generazione Z, ovvero i ragazzi di età compresa tra i 16 e i 25 anni. Grazie all’importante collaborazione con Swatch Art Peace Hotel – laboratorio di sperimentazione, incontro, scambio culturale e centro nevralgico della creatività contemporanea a Shanghai, spazio di assoluta libertà artistica –, la Collezione Peggy Guggenheim presenta SuperaMenti. Pratiche artistiche per un nuovo presente, quattro incontri condotti da altrettanti artisti italiani e internazionali, una sfida alla situazione attuale attraverso l’attivazione di processi creativi e sociali volti a creare una “nuova normalità”. «Servire il futuro invece di registrare il passato» era uno degli obiettivi che Peggy Guggenheim auspicava per la sua galleria-museo newyorkese Art of This Century e oggi diventa il motto che guida il progetto. Protagonisti: Jan Vormann (1-4 ottobre, Castelli di vetro), Stefano Ogliari Badessi, in arte S.O.B (29-31 ottobre, Chi guarda cosa?), Alice Pasquini (27-29 novembre, Oltre il muro: arte e contesto), Cecilia Jansson (Gennaio 2021, Esplorare la distanza). Quattro voci, quattro linguaggi artistici distinti che spaziano dalla scultura all’installazione, dalla street art al disegno, che mettono in gioco la propria pratica artistica ideando una serie di workshop volti a favorire l’interazione e lo scambio, fisico o metaforico, tra i partecipanti, rafforzando il senso di cittadinanza e consolidando valori come la partecipazione, il rispetto dell’ambiente, l’appartenenza a una collettività. Quattro incontri sulla piattaforma Zoom, aperti a tutti, che permetteranno un dialogo diretto con l’artista, si terranno in preparazione ai tre giorni di workshop in presenza in diversi luoghi di Venezia, sempre nel rispetto delle norme di distanziamento sociale e di contenimento del Covid-19. Tutti i laboratori sono gratuiti, ed è necessaria l’iscrizione, fino a esaurimento posti. «Credo che da questi incontri ci sarà molto da imparare, ma anche da divertirsi. E questo è senz’altro un aspetto fondamentale: se, oltre ad aver imparato, i giovani usciranno da questi incontri con l’ambizione di superare la condizione presente, ma al tempo stesso divertiti, allora avremo creato un’esperienza bellissima» (Carlo Giordanetti, CEO Swatch Art Peace Hotel). Nell’affrontare i temi della contemporaneità attraverso la lente dell’arte, SuperaMenti rientra nella collaborazione, nata nel 2018, tra la Collezione Peggy Guggenheim e ASviS, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile che si occupa di promuovere i 17 Obiettivi dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite, toccando in particolare il goal 4: istruzione di qualità. www.guggenheim-venice.it
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PUNTA DELLA DOGANA
Tre sguardi sull’arte
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COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM
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Il visitatore acquista un biglietto in uno Punta della Dogana è che un luogo emblematico di Venezia, città simbolo del dei viaggio, Il della scoperta, scambio e della diversità, unoMile spazioo unico comedei unico è Musei deldello Dorsoduro Museum visitatore che acquista un biglietto intitolare uno il processo di creazione di un’opera d’arte. Untitled, 2020. Tre sguardi sull’arte della Membership Card di unae Mile delle ha Musei del Dorsoduro Museum oIstituzioni titolare di oggi, fino al 13 dicembre, è un’indagine condotta condivisa da Caroline Bourgeois, MunaMembership El e Thomas Houseago. diritto a Fituri un biglietto d’ingresso a prezzo ridotto della Card di una delle Istituzioni ha «Ci conosciamo da più di dieci anni e ogni volta che ci ritroviamo, intraprendianelle altre diritto a unIstituzioni biglietto partner d’ingresso a prezzo ridotto mo lunghissime conversazioni sull’arte. C’è stato un momento in cui era diventanelle altre Istituzioni partner to inevitabile che dovessimo curare una mostra insieme e abbiamo rapidamente convenuto su diverse scelte curatoriali inevitabili. Abbiamo ticket lavorato come fosThe visitor who buys an admission or holds simo un’unica persona, come se le nostre menti e i nostri istinti si fossero fusi. acosa Membership of of the museums of whosinCard buys anone admission ticket UnaThe èvisitor stata evidente dal principio: volevamo evitare le scelteor piùholds ovvie sullaa scultura moderna e la pittura, come Marcel Duchamp, Brancusi o Picasso. the Dorsoduro Card Museum Mile from Membership of one of can the benefit museums of Questo non significa cheprice non ammiriamo o rispettiamo profondamente questi reduced on the admission ticket of the the Dorsoduro Museum Mile can benefit from artisti fondamentali, al contrario, ma non volevamo concentrarci su di loro. Voleother partner institutions the reduced price one presentare the admission ofall’arthe vamo prenderci un rischio artistico al pubblico unticket approccio te contemporanea più delicato e sensoriale, un’esperienza corporea. other partner institutions Abbiamo presto deciso di allestire, proprio al centro di Punta della Dogana, lo L’importo biglietto ridotto è: /stanze dello studio di studio di un artista,del prendendo ispirazione da una delle TheHouseago, price of reduced admission is:immaL’importo del biglietto ridotto è: / salaticket Thomas una the stanza definita “drawing room”, da disegno, ginata per price potervi riflettere, scambiare idee,admission vivereCollection un momento conviviale, 13,00 € Peggy The of theGuggenheim reduced ticket is: pianificare... Analogamente, lo studio allestito nella mostra è uno spazio confortevole, 12,00 Palazzo - Punta della € sono Peggy Collection dove13,00 i visitatori invitatiGuggenheim aGrassi soffermarsi, prendere del tempoDogana per studiare, pensare, ad idee e immagini, giocare. Volevamo sì che sentissero 7,00dare€forma Fondazione Giorgio Cini – far Dogana 12,00 Palazzo Grassi - Punta della dentro di sé lo spirito di un artista». di Palazzo 7,00 € Galleria Fondazione GiorgioCini Cinia–San Vio La mostra presenta i lavori di oltre 60 artisti di diverse generazioni (nati tra il 9,00 € tra Gallerie dell’Accademia Galleria di Palazzo a hanno San iVio 1840 e il 1995), cui un numero importante diCini essi che loro studi, si frequentano, incrociano le proprie pratiche e traggono ispirazione gli uni dagli al9,00 € Gallerie dell’Accademia tri a Los Angeles, la città in cui anche Thomas Houseago e Muna El Fituri vivono. www.palazzograssi.it
:arte :incittà
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Oro puro
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Pochi artisti possono permettersi la sfrontatezza di collocare una loro opera in piazza San Marco, dialogando direttamente con la dirimpettaia Basilica, una delle forme architettoniche e artistiche più iconiche al mondo. A Fabrizio Plessi è concesso. Partendo da questo assioma il lavoro di Plessi racconta di una fascinazione eterna per Venezia, cascate d’oro che accarezzano le superfici, fluttuando in forme infinite, scivolando verso una scomposizione della materia che riporta alle vene pulsanti di un mondo in cui l’oro riaccende la speranza e non istiga la cupidigia. Un Eden sognato e voluto in un momento di grande difficoltà per la Città e per il mondo, un progetto finanziato dalla Maison Dior senza clamori mediatici. Era arduo il compito di tradurre con un’opera di grande impatto una raffinata sensibilità poetica e artistica senza cadere nell’effetto scenografico. Le immagini, che scorrono impetuose dalle enormi finestre del Museo Correr restituendo alla piazza un caleidoscopio cromatico cangiante secondo le diversissime luci delle 24 ore, mantengono intatto il loro valore artistico, non si fanno leggere solo con gli occhi, ma parlano al cuore, riguardano maggiormente una sfera emozionale piuttosto che una dimensione puramente estetica. L’oro che scalpita dalle viscere provocando un flusso continuo è la metafora di un nuovo orizzonte in cui la nobiltà, la forza e la purezza di un metallo possono segnare un domani diverso e migliore. Virgilio parlava di Auri sacra fames, nel lavoro di Plessi non c’è nulla di esecrando, ogni declinazione è votata non alla bramosia della sopraffazione, ma alla doverosa condivisione di una ricchezza, che significa miglioramento per tutti della condizione presente. Le lettere che a un certo punto formano con delicatezza la scritta “Pax Tibi”, come nella classica immagine dell’Evangelista Marco, sono un auspicio di serenità, un tributo alla speranza che non è utopia, ma bisogno collettivo di un domani rasserenato. La tecnologia a supporto di un pensiero creativo permette la realizzazione di un risultato eccellente, la video arte in Plessi non è la proiezione, in senso letterale, di un filmato, ma la capacità di scomporre e ricomporre infiniti pixel come in un grande telero del passato, sapendo creare un racconto meta contemporaneo che non teme alcun confronto col passato. Fabio Marzari
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Few artists can afford to be brazen enough to want their art placed in Piazza San Marco, right in front of the iconic Basilica. Fabrizio Plessi can. Plessi’s art is the story of an eternal fascination for Venice, a story told by golden waterfalls that caress its surfaces, waving and morphing into infinite shapes, sliding into material breakdown and showing the heartbeat of a world where gold rekindles hope and does not incite greed. A piece of Eden for our City and for the world, a project financed by Maison Dior. It was hard enough to create such an impactful piece of art without resorting to a mere spectacularism. Images run one after the other on the large windows at Museo Correr as they gift the Piazza with a kaleidoscope of colour, an outpouring of gold that signifies nobility, strength, and purity for a better tomorrow. Latin poet Vergil wrote of Auri sacra fames, the accursed hunger for gold, but there is nothing execrable in Plessi’s art, which is not at all about greed and subjugation, but about the due sharing of wealth. At one point, letters appear to for the phrase pax tibi, peace be with you – an auspice of serenity for us all. «Plessi. L’età dell’oro» Fino al 15 novembre Museo Correr, Piazza San Marco www.fabrizioplessi.net | www.visitmuve.it
Monumenti dell’anima
Giovanni Soccol, il labirinto come paesaggio interiore Formatosi alla scuola prima di Guido Cadorin, poi di Mario Deluigi e successivamente di Carlo Scarpa, Giovanni Soccol attraversa la corrente astratta negli anni Sessanta studiando le scenografie novecentesche e post-barocche, indagando certi spazi mistici di Zoran Music non meno che le atmosfere metafisiche e antimetafisiche di Cagnaccio o di Ghiglia, guardando alle visioni compatte e indecifrabili di Gennaro Favai. Si tratta di suggestioni e di frammenti sparsi che Soccol raccoglie e coltiva come tracce di memoria, come geroglifici di una storia palpitante, di un’esperienza irripetibile tutta da narrare. Il suo lavoro si concentra su cicli pittorici definiti: le Isole, le Basiliche, le Cisterne, le Petroliere, i
Labirinti, i Teatri. I Labirinti d’invenzione, titolo della sua mostra ospitata a Palazzo Contarini-Polignac – Magazzino Gallery a Venezia, dal 29 ottobre al 6 gennaio 2021, costituiscono la produzione più recente dell’artista, in cui scenari affascinanti e simbolici rappresentano una vera e propria indagine emotiva, approdando attraverso quest’universo intrecciato sensibile e immaginario, all’animo umano, al suo “paesaggio” interiore. Nelle imponenti architetture di queste tele, Soccol si appropria dell’archetipo del labirinto, rappresentando un’eterna metamorfosi tra il prima e il dopo della sua espressione pittorica, inoltrandosi in una visione che sembra sempre dissolversi, come le vie di
fuga da questi luoghi ingannevoli. Il suo universo geometrico appare immobile e quasi astratto, ma in realtà si mostra carico di vibrazioni vitali che pulsano dalla superficie pittorica colpita da tagli di luce e ombra. «Io cerco – afferma l’artista – di estrapolare certi elementi per farli diventare delle forze plastiche in grado di evocare sensazioni o situazioni». «Soccol. Labirinti d’invenzione» 29 ottobre-6 gennaio 2021 Palazzo ContariniPolignac – Magazzino Gallery - giovannisoccol.com
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Strade Maestre Le Stanze del Vetro laboratorio di idee per il futuro Nei momenti di difficoltà e incertezza, come l’attuale, il futuro può essere ridisegnato solo se fissato su solide basi del passato. Questo appare soprattutto in settori in cui la crisi era già presente prima della pandemia, accelerando processi ma allo stesso tempo ritrovando forse la strada maestra per quanto impervia. Stiamo parlando in particolare dal vetro di Murano che da anni stava registrando un progressivo declino produttivo: sempre meno fornaci attive e uno sparuto numero di Maestri sembravano aver segnato il destino dell’Isola del vetro. Tuttavia ritrovare le basi della grandezza di questa tradizione è il primo passo per ritornare ad amare e produrre il vetro come materiale d’arte.
Da anni a Venezia una realtà ha posto questo paradigma al centro della sua ricerca: Le Stanze del Vetro, un progetto culturale e uno spazio espositivo permanente sull’Isola di San Giorgio Maggiore, dedicato allo studio e all’esposizione delle forme moderne e contemporanee dell’arte vetraria. Emblematica la mostra in corso Venezia e lo Studio Glass Americano, curata da Tina Oldknow e William Warmus, che attraverso 155 eccezionali pezzi, vasi, sculture e installazioni in vetro create da 60 artisti americani e veneziani, dimostra l’eredità duratura e versatile della produzione di vetro veneziano in America. Nel 1960 la soffiatura del vetro si era da tempo industrializzata negli Stati
Uniti e molte abilità manuali erano andate perdute, così gli artisti dello Studio Glass avevano guardato all’Europa, e in particolare a Venezia e ai soffiatori di vetro di Murano, come guida. Ciò che ne seguì fu una “relazione amorosa” con la lavorazione del vetro veneziano: lo stretto rapporto tra artisti americani e veneziani ha saputo innescare un processo reciproco di rinnovamento della vivacità di un linguaggio storico artigianale e un ulteriore sviluppo capace di realizzare magnifiche opere d’arte. «Venezia e lo Studio Glass Americano» Fino 10 gennaio 2021 Le Stanze del Vetro, Isola di San Giorgio - lestanzedelvetro.org
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Monuments to the Soul
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Our own inner maze
Muse rivoluzionarie La Biennale del 1974 e la Libertà al Cile
Artist Giovanni Soccol developed his skill at the times of the 1960s abstract craze, by studying twentieth-century and post-Baroque scenography, investigating Zoran Mušič’s mystical spaces, the metaphysical and anti-metaphysical atmospheres of Cagnaccio and Ghiglia, and the compact, indecipherable visions of Gennaro Favai. Suggestions, scattered fragments that Soccol collects and cultivates as traces of memory. His art clearly concentrates on sycles: the islands, the basilicas, the cisterns, the tankers, the mazes, and the theatres. The ongoing exhibition at Palazzo Contarini-Polignac collects Soccol’s late production, where fascinating and symbolic sceneries represent emotional investigation of the human inner landscape.
Main roads
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Le Stanze del Vetro, ideas for the future Le Stanze del Vetro, a cultural project and a permanent exhibition space on the Island of San Giorgio Maggiore, dedicated to the study and exhibition of modern and contemporary forms of glass art. Emblematic is the exhibition Venezia and the Studio Glass Americano, which through 155 exceptional pieces, vases, sculptures and glass installations created by 60 American and Venetian artists, demonstrates the lasting and versatile heritage of Venetian glass production in America. By 1960 glassblowing had long since become industrialized in the United States and many manual skills had been lost, so the Studio Glass artists had looked to Europe, and in particular Venice and the Murano glassblowers, as a guide.
Aprire il Padiglione Centrale ai Giardini della Biennale per permette al pubblico di entrare, seppure a piccoli passi, nell’immenso patrimonio culturale rappresentato dall’ASAC – l’Archivio Storico della Biennale di Venezia che raccoglie i documenti e le collezioni legate alle attività dell’Istituzione dal 1895 a oggi – sembra un’operazione facile e opportuna dato il momento, tuttavia mostra le tracce di un percorso necessario e dovuto che nei prossimi anni dovrà svilupparsi a nostro avviso in modo sistematico, alternandosi alle esposizioni temporanee. Dare spazio alla storia significa offrire al pubblico una ricognizione su autori e opere che sono stati capaci di segnare sensibilmente la cultura e la società moderna e contemporanea. Visitare la mostra Le muse inquiete significa così ripercorrere attraverso cinema, arte, musica, teatro e poi danza e architettura i momenti fondamentali del Novecento durante i quali guerre, conflitti sociali, scontri generazionali e profonde trasformazioni culturali hanno premuto contro i confini dell’Istituzione veneziana. Ne emerge una
Biennale non solo luogo di produzione e riflessione delle tendenze più innovative delle principali discipline artistiche contemporanee, ma anche testimone privilegiato di molteplici cambiamenti, drammi e crisi sociali susseguitisi dalla fine dell’Ottocento a oggi, registrando come un sismografo i sussulti della storia. Visitare la mostra significa imbattersi in queste pagine di storia, dove le arti hanno accolto e sono state a loro volta travolte da un’ondata di sconvolgimenti sociali e politici che hanno ridisegnato le relazioni tra massa e individuo e le dinamiche di potere a livello mondiale. Il nostro percorso di approfondimento andrà a sottolineare di volta in volta episodi significativi e tangibili del ruolo fondamentale della Biennale di Venezia. La prima nostra tappa si sofferma sulla Sala 5, nel soppalco centrale, dove campeggiano enormi murales. «Nel settembre 1973 in Cile un colpo di stato organizzato da una forza militare guidata dal generale Augusto Pinochet rovescia il Governo democraticamente eletto di Salvador Allende, che muore
durante l’assedio del Palacio de La Moneda. La notizia sconvolge il mondo intero. La Biennale, che aveva appena nominato il nuovo Consiglio direttivo con presidente Carlo Ripa di Meana, decide subito di dedicare il primo anno di attività a “Libertà al Cile”. Il tema di fondo è quello dell’estromissione della cultura da parte di una dittatura, in questo caso particolare dal Cile di Pinochet, segnato dal forzato esilio oltre che dei politici anche di molti letterati e artisti. Si tratta di una materia fortemente politicizzata per riportare pubblico e attenzione mediatica sulla Biennale. Le manifestazioni del 1974, perciò, non riguardano solo l’arte visiva, ma coinvolgono anche altri campi mettendo assieme cinema, musica, teatro, fotografia e pittura. I luoghi che ospitano le rassegne sono i più diversi, sparsi in tutto il territorio veneziano fino ai comuni limitrofi. Il 5 ottobre 1974 l’apertura delle attività a Palazzo Ducale avviene con l’affollato convegno Testimonianze contro il fascismo, dove si riportano storie vissute da artisti, intellettuali e politici durante i regimi in Italia e all’estero; tra gli
altri è presente anche Hortensia Allende, vedova del presidente cileno. Molti pittori italiani e stranieri si ritrovano nei campi veneziani per dipingere grandi tele in solidarietà alle vicende del Paese sudamericano. Tra gli artisti presenti a Venezia, il cileno Sebastian Matta realizza due murales in campo San Polo e lo spagnolo Eduardo Arroyo capeggia la cosiddetta “Brigada Salvador Allende”, formata da tanti pittori italiani come Vittorio Basaglia, Vincenzo Eulisse, Paolo Gallerani, Alberto Gianquinto, Silvestro Lodi, Lino Marzulli, Fabrizio Merisi, Giorgio Nonveiller, Paolo Pennisi, Marcello Pirro, Giovanni Rubino, Guido Sartorelli, Tino Vaglieri e altri studenti dell’Accademia di Venezia e del Liceo artistico di Treviso. Tra i temi e le frasi ricorrenti nei murales El pueblo unido jamás será vencido (Il popolo unito non sarà mai sconfitto), l’inizio di una nota canzone legata la movimento Unidad Popular cileno, oppure versi di Pablo Neruda o immagini emblematiche di mani alzate, pugni chiusi, stelle rosse, visi a volte seri a volte urlanti. Oltre a questa manifestazione spontanea, all’interno del Padiglione Centrale della Biennale ai Giardini si organizza una mostra sul tema del manifesto politico cileno: cento e più opere fatte con tecniche grafiche differenti che rappresentano i cartelloni apparsi nelle città cilene tra il 1970 e il 1974, ovvero nel periodo fra l’ascesa alla presidenza di Salvador Allende e il successivo colpo di stato. Molti sono anche gli spettacoli teatrali e i concerti di musica, tra cui quelli del popolare gruppo degli IntiIllimani». (VP – Tratto dalla Guida Le muse inquiete) «Le muse inquiete. La Biennale di Venezia di fronte alla Storia» Fino 8 dicembre Padiglione Centrale, Giardini della Biennale www.labiennale.org
ARCHITETTURE
ARTE
SCOPERTE
ESPERIENZE
ARCHITETTURE SCALA CONTARINI DEL BOVOLO lunedì-domenica 10:00-18:00 info: cultura@fondazioneveneziaservizi.it | +39 0413096605
ARTE ORATORIO DEI CROCIFERI visite su prenotazione: booking@fondazioneveneziaservizi.it
SCOPERTE COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO visite su prenotazione: booking@fondazioneveneziaservizi.it
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L’uomo delle stelle...
A man among the stars
Youssef Nabil, mostra/biopic ai limiti dell’immaginario
A biopic and exhibition playing with imagination
Le mostre sono dei piccoli mondi in cui di volta in volta ci si ritrova avvolti, quasi invischiati. Once Upon a Dream a Palazzo Grassi (secondo piano), prima grande retrospettiva dell’artista egiziano Youssef Nabil, cinge il visitatore in una trama narrativa vagamente nostalgica che seduce attraverso immagini volutamente senza tempo capaci di condurci verso una realtà lontana. «Ho iniziato a osservare la mia vita come se fossi al cinema, guardando ogni singolo minuto del mio film personale» dichiara Youssef Nabil. Le sue fotografie dipinte sono infatti fotogrammi di uno stesso film che mostra un Egitto leggendario, quasi mitico, che appare sbiadito ed evanescente alla luce del contemporaneo, un Medio Oriente svanito che affronta il presente perdendo il passato. L’irresistibile passione per il cinema che l’artista nutre fin dall’infanzia e in particolare per i protagonisti dei manifesti che tappezzavano le strade del Cairo, egiziani o occidentali, diventano per Nabil gli eroi del suo mondo, fonte di ispirazione essenziale. La sovrapposizione di diversi livelli di lettura e il gioco tra descrizione, simbolismo e astrazione rappresentano la ricchezza del lavoro dell’artista. Fotografia, pittura, video e installazioni – più di 120
opere che ripercorrono poeticamente l’intera carriera dell’artista – vengono proposte dai curatori Matthieu Humery e Jean-Jacques Aillagon attraverso uno schema narrativo caratteristico delle produzioni cinematografiche. La scenografia e la trama del racconto seguono a grandi linee un copione, in particolare per il ritmo dato dalle opere, che assume la forma di una fiction personale, un diario privato al limite dell’immaginazione. Once Upon a Dream è infatti un racconto di iniziazione, tra fantasia e realtà, dove ciascuna tematica affrontata ha una valenza universale e allo stesso tempo individuale: la ricerca dei reperti identitari, le preoccupazioni ideologiche, sociali e politiche dei nostri giorni, la malinconia di un passato ormai lontano. Il percorso espositivo presenta opere realizzate all’inizio della carriera insieme a lavori più recenti, compresa la produzione filmografica dell’artista con le sue tre creazioni: Arabian Happy Ending, I Saved My Belly Dancer e You Never Left. Once Upon a Dream non vuole essere una semplice monografia, ma cede la parola all’artista per svelare una visione profonda delle sue aspirazioni che diventa visione condivisa di ogni uomo, trasformando il visitatore in compagno di viaggio. M.M.
One of the current exhibitions at Palazzo Grassi is the first large retrospective on Egyptian artist Youssef Nabil. It is one of those exhibitions that are little self-contained world you can enmesh in for a short while and feel like you travelled to some distant reality. Nabil’s painted photographs are frames of a movie on a legendary, almost mythical Egypt. The country’s images appear washed out, evanescent, a dimmed-out version of the Middle East that looks at the present while losing its past. The artist’s irresistible for cinema, which he has been nurturing since childhood, and for movie posters in particular, are an essential source of inspiration. The superimposition of layers of interpretation and a game of description, symbolism, and abstraction are what Nabil’s art is all about. Photography, painting, video art, and installations – over 120 pieces – have been laid out by curators Matthieu Humery and Jean-Jacques Aillagon in a narrative frame that loosely follows a script, we might say a personal piece of fiction or a private diary playing with imagination. Once Upon a Dream is a story of initiation, of fantasy and reality, where each theme has something of value that is at once universal and very personal: the looking for identity clues, ideological interests, melancholy for a past that is long gone. The exhibition is not merely a monograph, but also gives the floor back to the artist for him to unveil a vision of his aspirations that visitors, now travel companions, can share. «Youssef Nabil. Once Upon a Dream» Fino 10 gennaio 2021 Palazzo Grassi www.palazzograssi.it
…Polvere di stelle Kiss in the Desert (1927) di Ibrahim Lama e Layla (1927) di Stéphan Rosti segnano ufficialmente il debutto del cinema egiziano. Nonostante questa data sia ancora oggi notevolmente discussa, sappiamo che a partire dal 1918 l’Egitto ha prodotto 4.000 film, circa tre quarti della produzione cinematografica araba totale, affermandosi come il più grande produttore di pellicole mediorientale. Con 39 milioni di abitanti e un sistema educativo eccellente, l’Egitto diventò una forza dominante per la vita politica, sociale e culturale di tutto il mondo arabo. Nel 1936 arrivano sul grande schermo i primi film parlati nei quali illustri attori, cantanti e direttori di teatro egiziani sfoggiano i loro talenti, come Umm Kulthum in Ya Bahgat El-Eid (1936), che con il brano Ya Fuadi incanta ancora oggi i più malinconici orientalisti. Questa fase cinematografica sfarzosa, creativa e soprattutto musicale, che raccontava e rappresentava la vita delle classi più agiate della società, dà inizio a quello che gli studiosi hanno individuato come il Periodo d’oro (1930-1960) del cinema egiziano. I film prodotti in Egitto in questo periodo hanno influenzato il mondo arabo e internazionale a tal punto che venne coniato un termine specifico per indicare l’espressione cinematografica egiziana di questi anni: “Hollywood dell’Oriente” o “Niliwood”. L’attraente Hind Rostom, “Marilyn Monroe d’Arabia”, l’affascinante Rushdy Abaza ed infine “la Cenerentola araba”, Soad Hosny. Mohamed Bayoumi fonda il primo Film Studio nel 1924 e più tardi, insieme a Talaat Harb, sarà l’ideatore dello Studio Misr, la più ricca casa cinematografica associata alla produzione “dorata”. Durante questa fase, in Egitto venivano prodotti tra i 60 e 70 film all’anno. Persino la celebre cantante francese Dalida, nata al Cairo poiché figlia di una famiglia italiana immigrata in Egitto, inizia la sua carriera proprio a Niliwood, nella pellicola A Glass and a Cigarette (1955). Dal 1933 al 1963 l’Egitto affronta numerose sfide tra le quali la monarchia, il colonialismo, la Seconda guerra mondiale e l’ascesa al potere del generale Gamal Abd el-Nasser (1918–1970). Proprio Nasser, nel corso della sua corsa al socialismo arabo, nazionalizzò l’industria cinematografica nel 1964. Ciò permise ai registri egiziani di liberarsi dai vincoli commerciali imposti dal mercato cinematografico e di esprimersi con generi diversi, lontani dalle tendenze provenienti dall’Occidente. Durante il periodo della “Golden Age”, il cinema egiziano sceglie la varietà, abbandonando così le tematiche tradizionali fino ad allora conosciute e attese dal pubblico arabo: musicalità, festosità e melodramma. Erika Richter nel suo lavoro Realistischer Film in Ägypten (1974) studia la corrente realista della produzione d’élite mediorientale. Tra i registi realisti più importanti, ricordiamo Youssef Chahine (1926-2008) e Kamal Selim (1912-1946) e i loro capolavori: The Blazing Sun (1954), Cairo Station (1958), The Land (1969) e The Will (1939). Maria Casadei
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Personale, universale
Personal, universal
La nobile semplicità e la quieta grandezza di Cartier-Bresson a Palazzo Grassi
Cartier-Bresson at Palazzo Grassi
Hermann Broch negli anni Trenta definì Arte l’opera buona, intrisa di valore etico così da storicizzarsi nel futuro per sua bellezza piena di senso. Insomma: “Nulla ethica sine aesthetica”. Questa concezione è assolutamente ascrivibile agli scatti fotografici di Henri Cartier-Bresson, ospitati a Palazzo Grassi nella mostra Henri CartierBresson. Le Grand Jeu. Occasione rara per ammirare la selezione della selezione, il meglio del meglio: nel 1973 CartierBresson, all’apice della carriera e poco prima di ritirarsi, fu invitato da due amici collezionisti, Jean e Dominique de Menil, a individuare nel suo corpus artistico le migliori 385 fotografie così da dar vita alla Master Collection; quest’ultima è stata oggetto di un’operazione ancor più di nicchia promossa da Fondazione Pinault, nella persona di Matthieu Humery, che ha sottoposto la preziosa raccolta di immagini a cinque curatori – Annie Leibovitz, Javier Cercas, Wim Wenders, François Pinault,
Sylvie Aubenas – richiedendo loro di selezionarne circa cinquanta. Ecco la formula del grande gioco. Una mostra in cui le personalità di ciascun curatore si rivelano attraverso Cartier-Bresson e, senza conoscere le scelte altrui nel processo di curatela, vanno a volte tra loro a sovrapporsi, generando dei “doppioni”, come si nota per esempio con il mistico scatto livornese datato 1933, nelle stanze curate da monsieur Pinault e in quelle della conservatrice Sylvie Aubenas. Curatori d’eccezione, ampi spazi, più o meno illuminati, affacciati sul Canal Grande, per una delle fondazioni più iconiche nel panorama contemporaneo e a far da protagoniste le piccole immagini dell’Occhio del Novecento; tutte stampate in formato 30x40cm, in rigoroso bianco e nero, invitano lo spettatore a un ballo lento e intervallato, ad avvicinarsi a ciascuna, a tessere un legame speciale con le predilette, a entrare in empatia con l’universo di CartierBresson, iscriverlo nella propria memoria emotiva e visiva. Un’arte etica, dolce, al tempo stesso di denuncia, impegnata, che eternizza puri attimi spensierati di vita bucolica nella campagna italiana, le estreme condizioni di miseria nel mondo, i comizi russi, celebra l’intimità dell’amicizia, le sacre danze balinesi e alcune tra le più grandi personalità del Novecento (Camus, Chanel, Ezra Pound, Beckett, Colette, Matisse, Francis Bacon). Cartier-Bresson in quarant’anni di attività fotografica ha abbracciato il mondo intero col suo occhio, cercando i luoghi, i volti, dove si rifugiano i dettagli più salienti, per ridonare al mondo stesso una sua grande retrospettiva, nobile nella sua semplicità, di una rara immediatezza che colpisce e ci muove. Federico Jonathan Cusin
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In the 1930s, Hermann Broch defined Art as work that was good, imbued with ethical values, and able to historicize in the future thanks to its sensible beauty. Nulla ethica sine aesthetica. This concept fits very well Henri CartierBresson’s photographs, which are now at Palazzo Grassi for the exhibition Henri CartierBresson. Le Grand Jeu. A rare chance to see the best of the best: in 1973, Cartier-Bresson was at the peak of his career and soon to retire when he was invited by his art collector friends, Jean and Dominique de Menil, to choose the best 385 pieces in his oeuvre. Out of this set of 385, five curators – Annie Leibovitz, Javier Cercas, Wim Wenders, François Pinault, Sylvie Aubenas – chose 50 for the Big Game, or Grand Jeu. These exceptional curators, unaware of one another’s choices, invite the audience to a slow, rhythmed dance as they walk close to each image and empathize with CartierBresson’s universe, a universe of ethical, sweet art that could raise its voice when the situation called for it. It eternalizes pure, carefree moments of life in the Italian countryside, conditions of poverty around the world, political rallies, the intimacy of friendship, Balinese dance, and some of the most important personalities of the twentieth century. Throughout his career, the photographer embraced the world with his lens, looking for places and faces where the most relevant details would show up to gift us a noble, simple retrospective of amazing immediacy. «Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu» Fino 20 marzo 2021 Palazzo Grassi www.palazzograssi.it
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Il respiro della Terra David Jacobson, sculture in dialogo con la natura
Un contesto quasi bucolico, dove le opere diventano parte del tutto: i Giardini della Marinaressa sono protagonisti della collettiva internazionale Open Space, organizzata da European Cultural Centre Italia, che ha invitato gli artisti a dialogare con lo spazio pubblico. Tra questi, il londinese David Jacobson attraverso le opere Jane’s Japanese Love Boat, Earth Plug, Heavy Water, Aqueduct Sections, Footprints e Earth Lungs restituisce in maniera significativa questo rapporto. Jacobson vanta esposizioni in Francia, Svizzera, Spagna, Sud Africa, Stati Uniti, Italia e Giappone. L’artista sembra rileggere in modo contemporaneo alcune tendenze e movimenti d’arte di questi ultimi Paesi, in particolar modo le linee estetiche del Minimalismo, dell’Arte Povera italiana – di cui sfogliava di nascosto le pagine in biblioteca da giovane – e del vicino Mono-ha giapponese: il loro operare apparentemente semplice ma molto concettuale, con immagini nel suo caso massicce e concrete. Nato in Namibia, cresciuto a Londra e trasferitosi nel 1981 a Pietrasanta in Toscana, ancora oggi continua a lavorare in quello che fu lo studio dello scultore giapponese Isamu Noguchi (1904–1988), uno dei suoi maggiori punti di riferimento, insieme al maestro di Ikebana, Takashi Sawano (1948). Per David Jacobson non è insolito destinare le opere a
spazi pubblici urbani e – come in questo caso – dedicarsi ad aree verdi riservate alla collettività. Egli stesso afferma che «i parchi, i giardini e gli spazi verdi sono i polmoni delle nostre città». Ed è proprio questo concetto di natura come origine ed elemento che ci influenza costantemente a essere al centro della sua opera più emblematica esposta ai Giardini della Marinaressa. Earth Plug (2019) è un’opera site-specific, un’installazione invisibile, a confine tra la laguna e il cielo. Grazie a un compressore ad aria, il suolo si alza e si abbassa, simulando il movimento involontario dei polmoni. Come se la natura fosse un’entità a sé stante, che respira ormai a fatica, stanca del vero e proprio depauperamento attuato dall’essere umano. L’opera è stata concepita durante il lockdown, quando le immagini provenienti da tutto il mondo ci hanno mostrato quanto in fretta la natura pareva essersi reimpossessata dei propri spazi. David Jacobson crede fermamente che gli uomini siano parassiti della natura, però allo stesso tempo nega alla natura una componente umana, quindi una coscienza o la volontà di vendetta. La sua anima ottimista lo spinge a pensare che dalla bufera nasca sempre qualcosa di buono: «Non sono un uomo di scienza né di religione, sono solo uno scultore». Julija Kajurov
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Earth, breathing
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Campo e Fuoricampo
On- and off-field
Sculpture that speakes with Nature
Ocean Space, occhi puntati su Venezia
Eyes on Venice
An almost bucolic context where art becomes one with everything. The Giardini della Marinaressa are the protagonist in international collective exhibition Open Space, produced by the European Cultural Centre Italia. One of the participating artists, David Jacobson, used his pieces Jane’s Japanese Love Boat, Earth Plug, Heavy Water, Aqueduct Sections, Footprints, and Earth Lungs to stage a conversation with nature. The artist seems out to cultivate a new interpretation of modern art from the countries he worked in: France, Switzerland, Spain, South Africa, USA, Italy, and Japan. Born in Namibia, Jacobson grew up in London and moved to Tuscany in 1981. To this day, he works in the studio that used to be Japanese sculptor Isami Noguchi’s. For Jacobson, it is not unusual to place his work in public spaces, especially green areas. The most emblematic piece exhibited at Giardini della Marinaressa is Earth Plug (2019), a site-specific invisible installation. Thanks to an air compressor, the ground rises and lowers, simulating the motion of real lungs. The artwork has been conceptualized during lockdown, when images from all over the world testified how quickly nature repossessed the spaces that rightly belong to it.
Una piattaforma collaborativa che nonostante le difficoltà del momento continua ad alimentare il dibattito su scienza e arte come strumenti di cambiamento culturale e sociale significativi e necessari. Nella ex Chiesa di San Lorenzo, Ocean Space, centro globale per catalizzare la ricerca e il sostegno di tematiche oceaniche attraverso l’arte, fondata e guidata da TBA21–Academy, è uno spazio aperto, dove le barriere fisiche non esistono e la parte espositiva – Oceans in Transformation. Territorial Agency in corso fino 29 novembre – si compone e si alimenta della parte attiva, fatta di conversazioni, incontri, dibattiti e proiezioni pronti ad accogliere sia proposte utopistiche sia soluzioni concrete
«Open Space – David Jacobson» Fino 16 febbraio 2021 Giardini della Marinaressa, Castello - ecc-italy.eu/exhibitions/nowopen davidjacobsonartist.com
per il presente. Ne è un esempio Feet in the Water, Eyes on the Land, ideato da Pietro Consolandi nell’ambito dei progetti speciali di Ocean Fellowship – il programma di ricerca trimestrale dei borsisti in residenza –, ciclo di proiezioni di documentari e film d’artista che raccontano l’incontro fluido tra acqua, terra e aria, nella laguna veneta e oltre. Il primo appuntamento, il 16 ottobre, è dedicato a una selezione di cortometraggi realizzati a Venezia dai partecipanti al Laboratorio di Cinema Documentario del dipartimento di Visual Arts and Fashion IUAV. In programma il cortometraggio di 13 minuti Ardeidae, regia di Daniele Tucci, Corrado Chiatti e Chiara Faggionato (studenti alla IUAV): un gruppo di turisti cinesi è
in visita a Venezia, la voce dell’audioguida racconta e descrive le bellezze della città, dalla Basilica di San Marco ai palazzi affacciati sul Canal Grande, sottolineandone il fascino unico. Le immagini però non rappresentano le calli, le piazze e i canali: contrastando con la poesia degli ambienti evocata dalle parole, vediamo scorrere fabbriche abbandonate, legname accatastato in riva alla laguna e altre rovine contemporanee... «Feet in the Water, Eyes on the Land» Ardeidae 16 ottobre h. 18.30-20.30 Ocean Space Chiesa di San Lorenzo www.ocean-space.org
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A co-working platform that, no matter the difficult times, feeds the conversation on science and art as tools for cultural and social change. At San Lorenzo Church, Ocean Space is a global centre that catalyses research on the oceans founded and supported by TBA21Academy. It is an open space with no physical barriers. Its exhibition area, Oceans in Transformation. Territorial Agency is built upon the centre’s activities: conversations, meetings, debates, screenings that range from the concrete to the utopian. The first event, part of the Feet in the Water, Eyes on Land programme, will take place on October 16 and will be a screening of short movies produced in Venice by the local IUAV University.
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I diari della felicità
Diaries of Happiness
Jacques Henri Lartigue, l’antidoto di positività senza tempo
Lartigue’s personal narrative of history
Autunno, normalmente tempo di nostalgia, tristezza, grigiore, che in questo particolare anno assumono un grado di intensità particolare. Il consiglio, per tutti coloro che non l’avessero ancora visitata, ma anche per coloro che l’hanno già vista, è di non perdere la mostra Jacques Henri Lartigue. L’invenzione della felicità alla Casa dei Tre Oci alla Giudecca, troverete tra le sale l’antidoto alla malinconia avvolti dal calore di una positività senza tempo. Molto prima dell’invasione senza senso e ossessiva dei selfie, passando per i leggendari e iconici diari visivi composti dalle polaroid di Andy Warhol, Lartigue trasforma la fotografia nella compagna indispensabile
A multifarious artist, divided between painting and photography, Jacques Lartigue built up a narrative – his personal narrative of history – in which each photograph is accompanied by a description, a caption, resulting in a collision between words and images. In the meticulous task of montage that takes place in his albums, each photograph tells its story but something else as well: some of the photographs, for instance, return several times, in different albums, toying once more with the story that is told, and distancing themselves from the dictatorship of the meaning imposed and immediately recognized.
per poter raccontare la propria esistenza. «Per Lartigue, tuttavia, il senso dei suoi diari visivi e di quelli che possono essere definiti album di famiglia, non è quello di un racconto tel quel della propria vita, ma ritrovare in essi ciò che è valso la pena di vivere, eliminando – con un rigore che spesso è stato scambiato per cinismo – tutto ciò che, nel riguardare gli album, non lo avrebbe rireso felice. Artista poliedrico, diviso tra pittura e fotografia, Jacques Henri Lartigue costruisce una narrazione – la sua personale narrazione della storia – in cui ogni fotografia viene accompagnata da una descrizione, una didascalia e il cui risultato è una collisione di parole e immagini. Nel meticoloso lavoro di mon-
taggio realizzato nei suoi album, ogni fotografia racconta se stessa ma anche altro: alcune fotografie, per esempio, ritornano più volte, in album diversi, rigiocando la narrazione e sottraendosi alla dittatura del significato imposto e immediatamente ri-conosciuto. Insomma, immagini capaci di entrare nella storia e di essere al contempo il frammento leggero di un sentimento profondo» (Denis Curti, catalogo Marsilio). «Jacques Henri Lartigue. L’invenzione della felicità. Fotografie» Fino 10 gennaio 2021 Casa dei Tre Oci, Giudecca - www.treoci.org
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SPARC* - Spazio Arte Contemporanea
TENSIONI SUPERFICIALI Angela Grigolato, Elena Della Corna, Giulia Milani, Noemi Durighello, Stefano Cescon
D3082 | Woman Art Venice
EUTOPIA Poteressere: le trame relazionali di Patrizia Fratus FinoUntil 28 ottobreOctober
FinoUntil 29 novembreNovember
VENEZIA ANNO ZERO Dal 17 marzo al 17 maggio 2020 Andrea Morucchio ha registrato circa 30 ore di video per documentare svariate aree di Venezia durante il periodo di lockdown. «La bellezza e lo spirito della città lagunare sono riemerse dal momento in cui tutte le attività legate alla mono economia basata sullo sfruttamento del turismo di massa si sono fermate. Il caos e la folla tra calli, campi e canali, lo sporco e la spazzatura abbandonati ovunque, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua della laguna, il rumore, i plateatici di bar e ristoranti fuori controllo, i negozi traboccanti di prodotti scadenti per i turisti... tutto ciò è improvvisamente scomparso, permettendo alla città di manifestare una bellezza toccante e metafisica. Una bellezza e un fascino senza precedenti nella storia della città lagunare, l’effetto di un evento epocale su scala internazionale che a Venezia ha improvvisamente resettato gli effetti deleteri causati dalle amministrazioni degli ultimi decenni. Le riprese video e la relativa registrazione di suoni come lo stridio dei gabbiani, il tubare dei piccioni, lo sciabordio dell’acqua o le voci e la musica provenienti dalle case riescono ad esprimere più della fotografia le sensazioni che ho provato in questa situazione». Il titolo Venezia Anno Zero è una citazione evocativa del capolavoro neo-realistico di Rossellini Germania Anno Zero, gli scatti non sono solo poetici ma esprimono una visione dell’anima della città e dei suoi residui abitanti, la base da cui poter iniziare un percorso virtuoso che inverta la tendenza autodistruttiva che ha caratterizzato la storia di Venezia negli ultimi anni. Il cortometraggio ha vinto nella sezione “Venezia una città” il Premio della diciassettesima edizione del Video Concorso Francesco Pasinetti.
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Venezia Anno Zero is a project by Andrea Morucchio that documents Venice by video during the lockdown period caused by the Coronavirus. About 30 hours of video were recorded from March 17 to May 17, 2020. “The beauty and spirit of the lagoon city re-emerged from the moment when all the activities related to the mono economy based on the exploitation of mass tourism stopped. The chaos and the crowding between calli (streets), campi (squares) and canals, the dirt and rubbish abandoned everywhere, the pollution of air and lagoon water and the noise, the stalls of bars and restaurants that are out of control, the overflowing shops of cheap products for tourists.... all this has suddenly disappeared allowing the city to manifest a poignant and metaphysical beauty. An unprecedented beauty and charm in the history of the lagoon city, the effect of an epochal event on an international scale which in Venice has suddenly reset the evident deleterious effects of its management in the last decades. The video footage and related recording of sounds such as the screeching of seagulls, the cooing of pigeons, the lapping of water or the voices and music from the houses manage to express more than the photograph the sensations that are felt in this situation.” The title Venezia Anno Zero is clearly an evocative quotation of Rossellini’s neo-realistic masterpiece Germania Anno Zero for which the shots are not only poetic but express a vision of the soul of the city and its residual inhabitants from which hopefully we can start a virtuous path that reverses the self-destructive trend that has characterized the history of Venice in recent years. The short film won the prize of the 17th edition of the Francesco Pasinetti Video Competition in the Venezia una città / Venice a city section. morucchio.com
Cinque giovani artisti, nati negli anni Novanta (ad eccezione di Cescon, che è del 1989), che lavorano a Venezia. Nessuno di loro è veneziano di origine, nessuno di loro assume Venezia come soggetto della propria pratica. Angela Grigolato impiega lo scanner come mezzo ipnotico, attraverso cui l’occhio fotografico azzera la distanza ottica applicandosi a materiali organici e inorganici per contatto – quasi a volerli abbracciare, leccare. Elena Della Corna manipola le colle dell’imprimitura della tela e i pigmenti come materiale scultoreo, che si addensa in pelli, piccole masse biomorfe, tracce solide – e anche i lavori su tela marcano una fase che non precede, ma piuttosto segue, l’estroflessione dalla bidimensionalità. Giulia Milani dipinge figure umane o frammenti di corpo (piedi, mani, pancia, volto) senza mai attingere a uno stato di messa a fuoco che definisca il volume, la posizione, l’attimo. Il suo sguardo si sofferma sulla pelle del soggetto, una superficie sbavata, per tentare di contenere un’identità elusiva. Noemi Durighello abita la tela e la carta con collisioni permanenti tra forme che proiettano uno spazio e il gesto/colore che lo nega, sbarrando l’illusione di accesso non mediato agli oggetti della quotidianità, o viceversa ricucendone la prossimità nei quaderni a inchiostro del periodo di confinamento. Stefano Cescon ha trovato nella cera, nella stearina e nella paraffina gli strumenti metamorfici per impostare un processo sedimentario di colori e transizioni tonali che non è mai interamente programmabile, benché soggetto alle deterministiche leggi della fisica. Insieme costruiscono tensioni superficiali./ An exhibition about the practice of the most promising young artists, born in the ’90s (except for Cescon, born in 1989), all work in Venice. Angela Grigolato uses the scanner as a hypnotic instrument, through which the photographic eye neutralizes the optical distance applying itself to organic and inorganic materials through contact –as if it tries to hug or lick them. Elena Della Corna shapes the glues of the primer on the canvas and uses pigments as a sculptural material. She puts it in skins, small biomorphic masses, and solid traces. Even the work on canvas expresses a phase that doesn’t precede but comes after the extroversion of bi-dimensionality. Giulia Milani paints human figures and body parts (feet, hands, bellies, faces) without ever properly focusing to define volumes, the position, or the moment. Her gaze wanders around the skin of the subjects, a blurred surface, trying to contain its elusive identity. Noemi Durighello inhabits the canvas or paper with permanent collisions between shapes, she projects a space and a gesture or colour that negates it. In this way, she shuts down the illusion of unmediated access to ordinary objects, or vice versa she reduces their proximity – as in her ink diaries made during the recent quarantine period. Stefano Cescon found in wax, paraffin, and stearin the metamorphic instruments to construct a sedimentary process of colours and tonal transitions, which is never totally predictable, even if it is still subject to physics laws. All together, they build superficial tensions.
Nuovo progetto dedicato al lavoro delle donne nell’arte: nella “galleria sulla strada”, le vetrate trasformate in vetrine ospitano l’interessante e originale indagine di Patrizia Benedetta Fratus, una narrazione del femminile sulla violenza e sulla rinascita nel mito, nella storia e nel presente. Un nuovo tassello del progetto di arte relazionale che l’artista bergamasca porta avanti da anni: «un’indagine sull’arte come strumento di sperimentazione intellettuale ed empirica, di consapevolezza, autosufficienza e autodeterminazione. Mezzi necessari per una sana emancipazione, femminile e umana». I suoi arazzi sono il risultato di gesti e tecniche tradizionali. Il suo punto di partenza sono gli scarti di materiale tessile che vengono pazientemente annodati, raccolti in matasse, intrecciati in una nuova trama organica, da cui scaturiscono forme e frammenti di storie. Figure mitiche, simboli primordiali, immagini che definiscono il valore di un processo identitario. L’opera/azione che Patrizia Fratus produce e condivide trova uno spazio nelle case di accoglienza: spazi protetti, dove vivono donne e bambini con storie di violenza. Insieme all’artista, le ospiti intraprendono un percorso di recupero del proprio valore: gli scarti di tessuto si trasformano in metafora delle ferite, mentre il gesto creativo diventa, allo stesso tempo, rielaborazione del dolore del passato e progettazione del proprio presente. Nello spazio di D3082 tre donne residenti in una casa accoglienza del bresciano, diventano protagoniste con i propri ritratti, insieme a una nuova visione di sé stesse./ A new project on women working in art: at this “street gallery”, glass walls are turned into showcases as they surround artworks by Patrizia Benedetta Fratus, a narration on femininity on violence and rebirth in myth, in history, and in the present. A new piece of the project of relational art that Fratus has been working on for years: “an investigation on art as a method of intellectual, empirical experimentation. An experimentation on awareness, self-sufficiency, and self-determination. These are the essential tools of emancipation, whether female or generally human.” Her tapestries have been made with traditional techniques. The starting point are cloth scraps that are patiently tied, amassed, and organically woven anew to create forms and fragments of stories. Mythical figures, primordial symbols, images define an identity-finding process. The action/artwork that Patrizia Fratus creates and shares finds its places in shelters: protected spaces where abused women and children can live. Together with the artist, shelter guests undertake a process to recover their full self-worth: cloth scraps are a metaphor of wounds and the creative gesture is at once the re-elaboration of past pain and the project for one’s own present. At D3082, three such women are the protagonists, together with their portraits and a new vision for themselves.
SPARC* – Spazio Arte Contemporanea VeniceArtFactory, Campo Santo Stefano, San Marco 2828a www.veniceartfactory.org
D3082 | Woman Art Venice Domus Civica, San Polo 3082 www.d3082.org
IL GIARDINO BIANCO
IL TEMPO E LA MATERIA David Dalla Venezia, Ettore Greco e Marialuisa Tadei
SALE DOCKS
DEBORDAGE Fotografie tra finzione e realtà Piero Marsili Libelli FinoUntil 22 novembreNovember
a cura di/curated by Anna Caterina Bellati FinoUntil 25 ottobreOctober
Un’unica mostra, un percorso libero, quanto ben orchestrato che si snoda fra i muri e le stanze de Il Giardino Bianco Art Space a Castello. Tre artisti a confronto, la spinta dell’arte fra il transeunte e l’Eternità, il divenire e l’Assoluto. Lo scultore padovano Ettore Greco, proseguendo la strada intrapresa da Auguste Rodin, Medardo Rosso e Alberto Giacometti, plasma con abilità, in gesso o terracotta, figure in disfacimento, atleti a colloquio con sé stessi fra dubbi e paure, grovigli di amori inquieti, statue e busti acefali, in piedi o protesi, un Daimon che proietta le sue ombre nere alle pareti e la testa di Cristo dai capelli e barba scolpiti nel vento: il verbo che si fa carne. L’artista di origine francese David Dalla Venezia dipinge invece oli minuziosi, ironici e creativi, ritratti psicanalitici nei quali indaga l’effimero e la caducità dell’uomo il cui corpo, attraverso i suoi arti, si fa grande natura morta, in una sorta di horror vacui pulsante, dove la finitudine ‘animalesca’ ha il suo contraltare nel caotico librarsi di insetti come fiori: nella sua fantasia un torso umano capovolto può persino diventare un gigantesco fallo, tronco di un albero che può a sua volta dar vita a una infinita chioma di farfalle, emblema di resurrezione e di salvezza contrapposta al peccato. Levità spirituale e solidità permanente di forme, nella concretezza astratta delle sculture di Marialuisa Tadei, la cui arte muove dall’idea di manifestare la bellezza del divino insita nella natura dell’uomo e nel cosmo. Le sue opere, incentrate sull’analisi della Natura primigenia come punto d’inizio o “centro”, si distinguono per interezza, sinuosità delle superfici, sfumature di colore e luminosità ancestrale. È di una bellezza ascosa e trascendente la figura orientale del Niger et albus Monachus in marmo bianco di Carrara, Terrae ruber venter è una meditazione sanguigna e levigata sul ventre accogliente della Madre Terra, in rosso Francia, mentre Lucis albus amplexus è un bianco abbraccio di luce nel manto lattiginoso dell’onice bianco, che contrasta con L’Abisso nero in marmo nero Marquina. La circolarità morbidamente ritmica di Fiore di Luna o ascensionale di Chiave di sol, è un recupero della tradizione come àncora di concetti espressi nella loro storicità e rigenerati dal contemporaneo. (Luisa Turchi)/ A single exhibition and a free itinerary at Giardino Bianco Art Space. Three artists offer their visions of the transient and eternity, of becoming and of the absolute. Sculptor Ettore Greco takes on the steps of Auguste Rodin, Medardo Rosso, and Alberto Giacometti to model, in gesso or terracotta, figures in a state of decay, athletes facing their doubts and their fears, tangles of troubled love, headless statues and torsos, a daimon casting black shadows on the wall and the head of a Christ, his hair and beard chiseled by the wind. David Dalla Venezia paints detailed oils, ironic and creative psychoanalytic portraits that investigate the transient nature of man in a sort of pulsating horror vacui. The abstract concreteness of Marialuisa Tadei’s sculptures show art that manifest the beauty of the divine inherent to the nature of man and of the cosmos. Her art, focused on the analysis of primordial nature as the centre or starting point, stands out for the plasticity and curviness of surfaces, colour nuances, and ancestral luminosity.
Piero Marsili Libelli (Firenze, 1947) non può essere identificato in una precisa categoria di fotografi. Il suo campo d’azione riguarda tutti gli aspetti dell’umanità, catturati dal suo occhio in ogni circostanza, dal dramma al piacere e da diversi punti di vista. I suoi scatti, pur nell’attuale condizione post-fotografica, caratterizzata da un’inedita inflazione delle immagini, non hanno il sapore della nostalgia. Che si tratti di immagini di reportage – dalla Romania durante la caduta di Ceaus˛escu, passando per l’Afghanistan post 11 settembre, fino al Giglio dopo il naufragio della Concordia – o di ritratti di personalità del mondo del cinema, del teatro e dell’arte, all’occhio di Marsili Libelli va riconosciuto il merito di avere sempre saputo debordare il reale, abitandolo ed eccedendolo al tempo stesso. La sua fotografia possiede la rara qualità di rafforzare la propria credibilità a partire dal costante inserimento di elementi “incredibili”. I talebani con i Ray-Ban, la rivoluzione rumena raccontata attraverso l’immaginario di uno stilista d’oltre cortina, il ritratto di Joe Pesci seduto sul bagno oppure quello di Roy Lichtestein a fianco di una pompa per l’acqua (così somigliante ad una scultura di Oldenburg), sono tutti esempi di una pratica fotografica che ha saputo situarsi sul confine tra documentario e fiction, confondendo politica dell’istantanea e poetica della messa in scena. Le immagini di Marsili sono ambigue: frontali, sfrontate, appropriatrici o di gusto surrealista, ma sempre inquiete, in bilico tra documento e visionarietà. Marsili è capace di incantare il mondo, di registrarlo senza fissarlo, di scostare l’illusione dell’oggettività, di interpretare, in definitiva, la fotografia come paradossale arma contro lo status quo, contro l’immutabilità delle convenzioni, dell’industria culturale, della guerra e dei rapporti di potere./ Piero Marsili Libelli (Italy, 1947) cannot be ascribed to a specific category as a photographer. His field of action spans over all aspects of the human condition, captured by his lens in all situations, from the dramatic to the enjoyable from different points of view. His photographs show no nostalgia, whether they be part of a journalistic photo feature (post-communist Romania, post-9/11 Afghanistan, the shipwrecked Costa Concordia) or portraits of cinema, theatre, and art personalities. We must recognize Marsili Libelli’s ability to capture reality overflowing – he inhabits and exceeds the real. His photography possesses the rare quality of a strengthened credibility built upon incredible elements. Afghans wearing Ray-ban sunglasses, the Romanian Revolution told through the eyes of an imaginary local couturier, Joe Pesci’s portrait as he sits on a toilet, Roy Lichtenstein’s by a water pump… all exemplify photography on the verge between documentation and fiction, mudding the waters of snapshot and mise-en-scene. These images are ambivalent, too: frontal, shameless, appropriating, surreal, always restless. Marsili Libelli has been able to enchant the world, to record it as it evolved, to push aside the illusion of objectivity, to interpret photography as a weapon against the status quo, the immutability of convention, of the cultural industry, of war, and of power struggles.
The new frontier of art lands at A plus A Gallery in Venice. Whatever it Takes comprises about 200 pieces, each for sale in a quite original way. To buy any, you won’t need money. The art has been awarded to those who cultivated a personal, long-lasting relationship with the artists. The artists themselves established the rules of this barter contract: meeting a therapist, housing them for a weeklong vacation, writing a love poem. Demands were not strict, so as to foster a more direct, original rapport between the public and the artists. The latter, in the end, decided who to give their art to, independently assessing its market value. Results are interesting, especially given how the practice came to encourage fruitful relationships between artist and sponsor. Some pledged to plant a tree and to never uproot it, some will have to name a collective of young artists, some other pledged to author and edit critical text on one of the participating artists. At the base of the project is an in-depth research on the economy and sociology of art promoted by the curators of the School for Curatorial Studies Venice, who elaborated the project after being inspired by a phrase used by the former European Central Bank President, Mario Draghi (“Whatever it takes”) and confronted their ideas with the interaction principle, the social glue that anthropologist Marcel Mauss analyses in his essay The Gift. Mauss believed that gift exchange initiated an indelible relationship between the giver and the receiver. The world of art galleries uses this practice to get closer to the living community of artists and art enthusiasts, meeting a need that grew with the recent crisis.
Il Giardino Bianco Art Space via Garibaldi, 1814 www.artspacevenice.it
Sale Docks Magazzini del Sale, Dorsoduro 265 www.facebook.com/saledocks
A plus A Gallery Calle Malipiero, San Marco 3073 www.aplusa.it
WHATEVER IT TAKES La nuova frontiera dell’arte è sbarcata alla galleria A plus A di Venezia. Whatever it Takes ha presentato circa 200 opere, messe in vendita in maniera più che originale. Per comprarle, infatti, non è stata necessaria una somma di denaro. I lavori sono andati a coloro che hanno voluto instaurare un rapporto duraturo e intimo con gli artisti. Gli stessi autori delle opere hanno stabilito i requisiti del baratto: dall’incontro con uno psicologo, a una casa vacanze disponibile a vita per circa una settimana all’anno, fino all’impegnarsi a imparare un poema d’amore al telefono. Le richieste non sono state sempre categoriche, rendendo l’incontro tra il pubblico e l’artista personale, diretto e originale. Sono stati poi gli artisti a decidere a chi affidare la loro opera, stabilendo autonomamente il ‘valore’ di mercato. I risultati sono stati interessanti, soprattutto per la capacità di stabilire importanti relazioni e collaborazione partecipate tra artista e acquirente, relazioni, in alcuni casi, imperiture. C’è chi dovrà piantare un albero e non sradicarlo mai, chi potrà assegnare il nome a un collettivo di giovani artiste e chi ancora dovrà scrivere ed editare i testi critici di uno degli artisti. Alla base del progetto una profonda ricerca economica e sociologica promossa dai curatori della School for Curatorial Studies Venice, che hanno elaborato partendo dal famoso “Whatever it Takes” di Mario Draghi e dopo essersi confrontati con lo studio delle teorie di diversi economisti come Carl Menger, Ludwig von Mises, Friedrich August von Hayek, John Maynard Keynes, Wray Randall, Warren Mosler, Alex Kampa, approfondendo in particolare quel principio di reciprocità inteso come “collante sociale” in grado di costruire una rete di relazioni che l’antropologo Marcel Mauss analizza nel suo testo Saggio sul dono. Egli riteneva che dallo scambio di doni nascesse un rapporto indelebile tra chi dona e chi riceve. Nel saggio, inoltre, si andava a delineare come lo scambio di beni fosse la base dell’unione tra economia e società. Il mondo delle gallerie d’arte vuole con questo baratto avvicinarsi alla comunità vivente degli artisti e degli appassionati d’arte, rispondendo a un bisogno che con la recente crisi si è andato a fortificare: l’interdipendenza delle persone, la “comunità”, lo “stato” e il “linguaggio della collettività” anche nell’arte. (Irene Machetti)
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Alle origini dell’essere
L’estetica del cambiamento
Liu Ye, dipinti come pagine di libri
Fondazione Bisazza, la moda secondo Norman Parkinson
La personale di Liu Ye (Pechino, 1964), ideata da Udo Kittelmann per la prima volta a Prada Rong Zhai a Shanghai nel 2018 e da qualche mese a Milano, offre un’immersione nella letteratura, nella storia dell’arte e nella cultura Occidentale e Orientale, messaggi pittorici sensibili connessi a due mondi spesso ritenuti contraddittori. In Storytelling il visitatore, seguendo il racconto fiabesco che si intreccia con una sottile ironia, la parodia con un divertito lirismo, viene immerso in un’atmosfera sospesa. Muovendosi tra i 35 dipinti di piccolo e medio formato, che si dispiegano negli spazi della Fondazione Prada come lungo una carrellata visuale, il visitatore si trova a leggere una storia dopo l’altra, come se ogni
immagine fosse la pagina di un libro, scoprendo l’immaginario intimo e sensuale di Liu Ye che descrive ogni sua opera come un proprio autoritratto. «Guardare le immagini – afferma Kittelmann – e approfondire le “storie” che raccontano significa sempre cercare di non ostacolare il flusso di piacere e avventura che offrono [...] Le sue opere sanno veicolare lo scambio di esperienze e allo stesso tempo dare vita a nuove storie». L’artista ha raccontato il suo percorso con queste parole: «Sebbene non sia mai diventato un artista astratto, ciò che mi interessa è rendere essenziale il carattere narrativo e tendere alla semplificazione». In mostra sono presenti illustrazioni di eventi storici e immagi-
nati, trasposizioni di leggende popolari, ritratti di attrici e musicisti famosi e rappresentazioni di personaggi di fantasia tratti dai cartoon. Alcuni quadri invece citano esplicitamente opere di altri artisti come Piet Mondrian e Rogier van der Weyden e movimenti culturali come il Bauhaus. Un’altra serie di opere imita le forme di cataloghi d’arte e di libri di narrativa. «Liu Ye. Storytelling» Fino 10 gennaio 2021 Fondazione Prada-Milano www.fondazioneprada.org
L’inglese Norman Parkinson (1913– 1990) è stato uno dei pionieri della fotografia di moda del XX secolo. Parks, come si faceva chiamare, ha lavorato con le maggiori riviste – «Harper’s Bazaar», «Queen» e «Vogue» – spingendo la fotografia di moda oltre i suoi tradizionali confini. Per la prima volta le modelle vengono ritratte fuori dallo studio, all’aperto, in contesti di vita quotidiana, infondendo sempre nel suo lavoro una forte dose di British humor. Una retrospettiva, curata da Cristina Carrillo de Albornoz, organizzata e ospitata dalla Fondazione Bisazza insieme ad Iconic Images, ripercorre vent’anni della fotografia di moda attraverso lo sguardo di Norman Parkinson e di altri quattro fotografi come Milton H. Greene, Terence Donovan, Terry
Photo Norman Parkinson
O’Neill e Jerry Schatzberg. La mostra racconta lo spirito di cambiamento del periodo 1948-1968 facendo emergere il nuovo modo di fare fotografia e di rappresentare la donna: il Dopoguerra e gli anni ‘50 segnano la rinascita dell’alta moda e l’ascesa di maestri quali Dior e Chanel, mentre la moda degli anni ‘60 rompe definitivamente gli schemi, influenzata dai cambiamenti sociali che vedono protagoniste le nuove generazioni, e porta alla ribalta creatori geniali come Yves Saint Laurent e rivoluzionari come Mary Quant. «Norman Parkinson, Fashion Photography 1948-1968» Fino 13 Dicembre Fondazione Bisazza, Montecchio Maggiore normanparkinson.fondazionebisazza.it
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Tempi moderni
Il segreto delle cose
Francesco Clemente, visioni d’artista in lockdown
Andrè Derain, la rivoluzione della storia dell’arte
Risalendo via Maistra, con alle spalle uno dei laghi più rinomati al mondo, si giunge, attraverso un percorso che si snoda in istantanee degne di Youth. La giovinezza di Paolo Sorrentino, al numero 57, sede della Vito Schnabel Gallery di St. Moritz. Spazio acquistato dal figlio del noto pittore e regista Julian Schnabel nel 2015, dopo essere stato per anni sede del gallerista e collezionista svizzero Bruno Bischofberger. Vito Schnabel Gallery, impeccabile, raccolto, white-cube, presenta la mostra Francesco Clemente: 7-23 2020. Quattro grandi tele realizzate dal noto artista napoletano durante i mesi di aprile e maggio di quest’anno, mentre si trovava nel suo studio newyorke-
se durante il lockdown. I dipinti di Clemente sono caratterizzati da cromatismi sgargianti e immagini amene, a tratti fanciullesche, afferenti all’universo immaginifico del pittore, ispirato anche dalle stampe giapponesi ukiyo-e. Su ogni tela è ben visibile la data in cui è stata realizzata, parte integrante dell’opera: il tempo dedicato alla pittura ha scandito i giorni di quarantena di Clemente, che condivide con l’osservatore una meditazione spirituale, un desiderio di evasione, comprensibile paura e rifugio nei valori dell’affetto, del luminoso, del condiviso. Cuori formati dall’unione di catene, papaveri che svettano su sfondo dominato da colori pop, una clessidra gigante in cui quasi
tutti i granelli di sabbia si sono raccolti sul fondo. Tra le quattro grandi tele di Clemente spiccano per intensità cromatica e deriva esotica un camaleonte e una farfalla che l’artista metaforicamente utilizza come dicotomia tra preda e predatore: un virus apparentemente inarrestabile ai tempi del lockdown, ma anche una critica alle recenti derive delle condizioni socio-politiche statunitensi. Federico Jonathan Cusin «Francesco Clemente: 7-23 2020» Vito Schnabel Gallery, St. Moritz (Svizzera) www.vitoschnabel.com
Nei primissimi anni del Novecento, una manciata di artisti cambiò completamente il modo di vedere l’arte, protagonisti di una vera e propria rivoluzione sia pittorica che scultorea: Derain, Picasso, Matisse, Braque, Giacometti. Derain e Matisse diedero vita tra il 1905 e il 1910 a un movimento per il quale si coniò il termine “Fauve”, cioè il gruppo dei “Selvaggi”, a causa degli infuocati colori che caratterizzavano le loro opere. Fu Derain a introdurre Picasso nel mondo dell’arte africana e con Derain Picasso fece i primi passi verso il Cubismo. Braque e Derain strinsero amicizia proprio verso il 1909: il primo apprezzò molto il Primitivismo di Derain e quest’ultimo guardò molto al moderno
classicismo di Braque. A Giacometti piaceva la capacità di Derain di cambiare stile rifacendosi alla tradizione dell’arte antica. Al Museo d’arte Mendrisio una grande mostra, curata da Simone Soldini, Francesco Poli e Barbara Paltenghi Malacrida, permette di riscoprire lo Sperimentatore controcorrente: Andrè Derain e la sua singolare raffinatezza intellettuale, i suoi continui scarti stilistici e la sua ossessiva volontà di spingere la pratica pittorica sull’orlo dell’abisso del nulla, nell’ostinata e impossibile intenzione di arrivare all’“archipeinture”. «Andrè Derain. Sperimentatore controcorrente» Fino 31 gennaio 2021-Museo d’arte, Mendrisio museo.mendrisio.ch
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Riscatto e Bellezza La Collezione Fondazione San Patrignano al PART di Rimini «L’amore è un sentimento che si rigenera tanto più lo si distribuisce, ma la distribuzione deve essere gratuita, perché i sentimenti non si vendono, si possono solo regalare: non ci costano e ci vengono elargiti ogni giorno della nostra vita». Troneggia la frase di Vincenzo Muccioli, il fondatore della Comunità di San Patrignano, alla fine del documentario che illustra gli esordi, la fatica e i traguardi di quella che è forse una delle comunità di recupero più note per le dipendenze. E il grande ritratto del suo fondatore, realizzato dall’artista Yan PeiMing, accoglie, insieme a quello di Gian Marco Moratti, principale sostenitore della Comunità sin dagli albori del progetto, ogni visitatore del Part – i Palazzi dell’Arte a Rimini, ovvero il duecentesco Palazzo dell’Arengo e il trecentesco Palazzo del Podestà – oggetto di un importante intervento di riqualificazione a fini culturali e di rigenerazione urbana, per poter collocare la collezione di più di sessanta opere d’arte della Fondazione San Patrignano, donate da artisti contemporanei, collezionisti e galleristi. Iniziativa italiana di endowment su modello anglosassone, tutte le opere potranno essere alienate solo dopo un periodo di cinque anni, contribuendo a finanziare progetti rieducativi e professionali per la Comunità. Arte come valore, processo virtuoso e creativo secondo le speranze di Letizia Moratti, cofondatrice della Fondazione, coadiuvata dal sindaco di Rimini Andrea Gnassi: le donazioni per uno scopo. Restauro architettonico, allestimento museale e illuminotecnica, sono stati curati dallo studio AR.CH.IT. guidato da Luca Cipelletti che si è avvalso anche della collaborazione di Alberto Pasetti Bombardella: evitando la rigidità della “scatola nella scatola”, si è
seguito il criterio della reversibilità e della libera collocazione delle opere, nel rispetto delle strutture preesistenti. I basamenti e i pavimenti, sono stati realizzati in pietra di San Marino, già materiale locale, mentre i supporti espositivi metallici riprendono il bronzo dei serramenti, molto leggeri e quasi invisibili nelle polifore. Il parquet in rovere dialoga con la sequenza di capriate palladiane, mentre il modulo Arengo, con i suoi 32 metri di lunghezza, è oggi la ‘lampada’ più grande mai realizzata in un museo. Clarice Pecori Giraldi, coordinatrice curatoriale, ci ricorda come la collezione sia un work in progress, e come alcuni artisti, fra i quali David Tremlett, abbiano lavorato con i ragazzi della Comunità, all’opera murale sitespecific di ingresso al Part Dal soffitto in giù. Andreas Slominski ci lascia una Wieselwippbrettfalle o trappola per topi, facendoci riflettere su quali siano le nostre esche nella vita, come la droga. Vanessa Beecroft si fa fotografare in VBSS. 002 come una Madonna antica che nutre gemelli non suoi, allattandoli al seno come se avesse fra le braccia il cuore nero di una nazione affamata di cibo e amore, così come Giovanni Iudice in Le stelle del mare dipinge la notte dei profughi in spiaggia. In Samsia, di Ibrahim Mahama, il braccio abbandonato con numeri e lettere tatuati è segno identificativo che consentirà il riconoscimento e la restituzione ai propri cari della persona dopo calamità naturali, designando un’appartenenza critica, un’origine, come le scritte di produzione sui sacchi di iuta. Damien Hirst crea un cuore trasparente di farfalle multicolori, Beautiful Black and White Love Charity Painting. Piange lacrime picassiane come lame la Madonna piangente di Francesco Vezzoli, ricamata su tessuto. Una lacrima
©Henrik Blomqvist
di luce come macchia bianca taglia invece la figura di Carlina di Julian Schnabel, davanti al sipario. Il tema della vanitas con i suoi teschi, clessidre e fiori recisi, interessa Anne De Carbuccia che costruisce “isole effimere di potere” davanti a palazzi o grattacieli, Women Empowerment. Luca Pignatelli affascina con la sua Persepoli, ‘proiezione’ scultorea e bidimensionale su un tappeto persiano, mentre le grandi teste silenti in resina di Igor Mitoraj, come Luci di Nara testimoniano lo straniamento e la perdita di identità, ridotte a metafisici simulacri di volti perduti. Siamo i Dormienti in ginocchio di Mimmo Paladino, prigionieri di noi stessi e delle nostre idee che possono diventare gabbie, Bunker fatti come reticolati di tubi di acciaio, loculi cimiteriali come quelli di Mona Hatoum. Emilio Isgrò ritaglia uno spazio per le Tavole della Legge, ovvero la sua Bibbia di vetro, che pone l’attenzione sulla parola, al di fuori della fede soggetta per sua natura a interpretazioni legate ai modi, tempi e persone. E comunque, Justice will be done, sembra dire Loredana Longo, con le sue lettere bruciate su tappeti. Matteo Pugliese in Dragonfly esprime la volontà bronzea di libe-
rarsi dal dolore che ci crocifigge. Il granchio umanizzato con le sue chele sul Barile Esso di Bertozzi & Casoni ci ricorda ancora la sopravvivenza tenace della natura nonostante tutto, mentre il cane di Alberto Garutti suscita istintiva simpatia (incisa sulla panca dove si trova, la dedica a chi si siederà parlandone). Michelangelo Pistoletto cerca se stesso e gli altri, insieme a noi, in Tra specchio e tela. Anche Shilpa Gupta pensa a uno specchio semicoperto da una tenda di velluto rosso, con la scritta “guardo alle cose”, che continua poi sullo specchio, con “occhi diversi dai tuoi”. Chi guarda si trova infatti riflesso, da solo o con altri, comprendendo che si vede il mondo a seconda dell’ambiente in cui si vive e l’Altro è sempre altrove, con altri occhi, che però possono diventare anche i nostri, relazionandoci. Alessandro Busci ricrea un San Siro Rosso di riverberi e pioggia, in cui non avvertiamo voci e grida ma solo silenzio confuso, mentre Tullio Pericoli in Sedendo e mirando dipinge paesaggi interiori della memoria marchigiana di gabbiani e cieli nebbiosi, neve e strade. Pietro Ruffo disegna e unisce con abilità una storica Italia a pezzi. Tra ombre e sole, la finestra Untit-
led (4301) di Elisa Sighicelli appare una rappresentazione della realtà sott’acqua, mentre Iva Lulashi in Wiedbi, sottolinea in una immagine sfuocata di ‘rianimazione’ la vicinanza-lontananza di vitamorte così come percepita. Mario Schifano dipinge alberi di smalto che tendono a scomparire come per troppa luce. Il bianco di Untitled di Agnes Martin invita alla contemplazione e al misticismo, che prelude al grande affresco staccato del Giudizio Universale di Giovanni da Rimini, collocato nella Sala dell’Arengo per volere della Diocesi, in dialogo col futuro nel contemporaneo che avanza. All’interno del museo, a parte, due mostre temporanee, nello Spazio 1 e 2, Convivium (Francesco Bocchini, Vittorio d’Augusta, Luca Giovagnoli, Marco Neri e Nicola Samorì), tra figurazione e astrazione, a cura di Annamaria Bernucci e Piero Delucca, e Magna Carta (Denis Riva, pittore trevigiano) a cura di Massimo Pulini, carte disegnate e dipinte, squarci di luce. «Perché se ci nascondiamo, non scordiamolo mai, è perché abbiamo paura della nostra luce». Luisa Turchi Part-Palazzi dell’Arte Rimini, Piazza Cavour www.palazziarterimini.it
Disruptively Exquisite Proposing modern Venetian and Italian dishes crafted with integrity, Gio’s Garden and Terrace is an unexpected haven in the midst of Venice’s contemporary art scene. Between meals, stop by for a bespoke selecton of contemporary serves with unrivaled views. Gio’s welcomes visitors 7 days from morning until late.
©2020 Marriott International, Inc. All Rights Reserved. All names, marks and logos are the trademarks of Marriott International, Inc., or its affiliates.
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Opening the cage of art
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Freedom in African colors in Didier Guillon’s vision
The Loneliness of the Soul 15 November 2020-28 February 2021
Tracey Emin has long had a fascination with the Norwegian expressionist and painter of The Scream, Edvard Munch: in her words, “I’ve been in love with this man since I was eighteen”. In 1998 she even created a haunting video piece filmed at the same Oslo jetty that was the location of many of his well-known works. It is just one example of how, like Munch, she embraces even the most painful experiences to create art. The exhibition features more than 25 of Emin’s works including paintings, some of which will be on display for the first time, as well neon and sculpture. These works, which explore the loneliness of the soul, have been chosen by Emin to sit alongside a carefully considered selection of 19 oils and watercolours drawn from the rich collection and archives of Oslo’s Munch Museum in Norway. Seen together, the dark territories and raw emotions that both artists navigate will emerge as a moving exploration of grief, loss and longing. Royal Academy of Arts, London www.royalacademy.org.uk
LYGIA CLARK
Painting as an Experimental Field, 1948-1958 Until 25 October
ing his creativity with a splendid mélange of rudimentary and sustainable materials: paper, glass and metal elements in the shape of the animal silhouette. The name of the innovative exhibition has been borrowed from the Xitsonga dialect, mostly spoken in South Africa. The word Tintswalo means “mercy” and expresses the concepts of gratitude and love, powerful facets in the African social and cultural imaginary. As in many of his previous exhibitions, Guillon gathers many works in one single space, giving the public a feeling of overcrowding and threat. The intent is to raise global awareness on the endangered gorillas. The result is a collection of twenty works covering all surfaces and walls, as well as the ground: an intriguing cascade of gorillas on a honeycomb cardboard (only in the Munich exhibition), a shining attractive metal profile of the animal figure, a series of serigraphs featuring a rich variety of textiles, and then sketches, collages, “puzzles” and 3D assemblies of dismantled
pieces on cardboard, metal, wood. ITintswalo - African Colors is also part of a partnership between Fondation Valmont and Publicolor initiated in 2019 for the White Mirror exhibit. The new art show strongly supports Publicolor, a non-profit humanitarian organization based in New York. Founded in 1996, its mission is to help underprivileged populations by recruiting the most at-risk students from underperforming schools. Its newly developed program invites low-income students to paint the walls of their schools with warm colors in order to create a more welcoming environment. The Publicolor project fascinated and inspired Guillon’s Fondation, since both consider art a powerful and dynamic vehicle for changing people’s lives. The impact of the Publicolor program is showing significant progress on young students’ behaviours and lives. Fondation Valmont similarly aims to improve society, focusing on young people and on art as the only affordable way to achieve a better future. For this reason and to the benefit of Publicolor, Fondation Valmont, La Maison Valmont Munich and La Maison Valmont Berlinare are offering all artworks for sale in order to enhance donations for Publicolor. Federica Cracchiolo «Tintswalo - African Colors» October 6th - February 6th, 2021 La Maison Valmont Munich October 8th - March 20th, 2021 La Maison Valmont Berlin www.fondationvalmont.com
A pioneer in abstraction. Born in 1920 in Belo Horizonte, Lygia Clark went on to become one of Brazil’s most important modern artists. For more than three decades, she created works that encouraged physical and sensorial encounters, challenging the traditional relationship between artist, object and viewer. To celebrate the 100th anniversary of her birth, this show reexamines Clark’s formative years from 1948 to 1958, a pivotal decade in which she fluctuated between figuration and geometric abstraction. It charts Clark’s stylistic evolution in three distinct chapters, addressing the most significant developments in her approach to form, colour and sense of order. Guggenheim, Bilbao www.guggenheim-bilbao.eus
FANTASTIC WOMEN Surreal Worlds Until 11 November
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The latest exhibition by FrenchSwiss entrepreneur, artist and art collector Didier Guillon has at its centre the gorilla Ivo. The story of this unique exhibition, that will be held both in Munich (from October 6th to February 6th 2021), and in Berlin (from October 8th 2020 to March 20th 2021), actually dates back to 2017, when Guillon and his youngest daughter Valentine visited the Berlin Zoo, where the first encounter with the huge ape took place. The sight of the gorilla deprived of its natural freedom made Valentine express the wish to open the cage and free the animal. She soon grew desperate to set the gorilla free and her father promised her that they could set it free using fantasy and art. An immediate thought to assuage her distress that turned into a symbol of freedom. The journeys made in South Africa by Guillon in 2019 further nourished the artist’s imagination and Ivo soon became a symbol of African colors and landscapes. “As he meets the Tsonga people, Ivo takes the name of Tintswalo and dresses up with all African colors”, wrote Guillon in January 2019, Cape Town. After his first solo art exhibition on Ivo, The Elegant Symmetry of the Gorilla, conceived in an effort to make the charismatic animal into an icon of African culture, Guillon’s artistry has been enriched with new ideas. He hence gave birth to an unusual art show, convey-
TRACEY EMIN / EDVARD MUNCH
While a great number of the male surrealists – Magritte, Dalí, Miró, and Max Ernst – remain widely known and celebrated, few people today still have much familiarity with the majority of female Surrealists. And this in spite of the fact that many of these women artists were part of the inner circle around the French writer, poet and chief apologist of Surrealism, André Breton, and actively took part in seminal Surrealist exhibitions of the day. Fantastic Women – Surreal Worlds is the first, fascinating and comprehensive presentation of 34 women surrealist artists from Europe, the US and Mexico. The exhibition showcases their diverse approaches to the ideas of the movement, tracing the outline of their oeuvre and highlighting their singular contribution to the Surrealist vocabulary. Alongside well-known names like Louise Bourgeois, Frida Kahlo, Leonora Carrington and Meret Oppenheim, this will be the first opportunity to experience artists like Kay Sage, Leonor Fini and Toyen in Denmark. Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, Denmark louisiana.dk
rock, jazz, world... rock, jazz, world...
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Racconto d’autunno
Fall Tale
© Joanna Wizmur
Ha il sapore
della rinascita la terza edizione di Venezia Jazz Festival Fall edition che, dopo un’estate giocata per amore e per necessità nella freschezza delle fondamenta all’aperto, ritorna nei luoghi della musica. Si ricomincia così a fare musica dal vivo, privilegiando progetti territoriali e qualche bellissima proposta europea, fra nuove sonorità, maestri contemporanei e giovani talenti, ma soprattutto contaminazioni, dalla letteratura all’elettronica e all’etnica. Dal 3 ottobre al 14 novembre l’autunno musicale di Veneto Jazz abita
di Giuseppe Mormile direttore artistico di Venezia Jazz Festival Fall edition
le Sale Apollinee del Teatro La Fenice, il Museo di Palazzo Grimani, T Fondaco dei Tedeschi, l’ex Convento dei Crociferi (ora Combo) e il Complesso dell’Ospedaletto, oltre ad animare il salotto dello Splendid Venice Hotel e il jazz club del festival, il Laguna Libre. Il festival ospita anche la seconda edizione del Premio “Tomorrow’s Jazz”, dedicato ai giovani talenti del jazz italiano, qualificata vetrina per musicisti emergenti. Si inaugura il 3 ottobre alle Sale Apollinee del Teatro La Fenice con gli svizzeri VEIN nelle cui vene scorrono diverse influenze, dalla classica al rock, dal folk al jazz contemporaneo. L’8 ottobre dalla Sala della Musica del Complesso dell’Ospedaletto, l’unico concerto in streaming (diretta sulla pagina FB di Veneto Jazz e «Venezia News»): Walter Lucherini, fisarmonicista esperto di mantici, bandoneonista e compositore, e Amilcar Rafael Soto Rodriguez, chitarrista e cantante di Villa El Salvador (Perù) propongono un intreccio di folk, latin e jazz. Il 15 ottobre Combo, nell’ex Convento dei Crociferi, ospita uno dei progetti più creativi del Festival, Fanfara Station, con il cantautore e polistrumentista tunisino Marzouk Mejri, il
trombettista statunitense Charles Ferris e Marco Dalmasso aka Ghiaccioli e Branzini, DJ e produttore. Il 17 ottobre alle Sale Apollinee il concerto di un solista del calibro di Gabriele Mirabassi, da più di trent’anni al vertice tra i migliori clarinettisti del panorama mondiale, sostenuto dal magma sonoro e creativo di Simone Zanchini, considerato uno dei più originali e innovativi fisarmonicisti della scena internazionale. Il 24 ottobre a Palazzo Grimani prendono vita le sonorità di Africation del percussionista e polistrumentista senegalese Dudù Kouaté, con il contrabbassista Alvise Seggi. Il 31 ottobre, ancora a Combo, Debora Petrina, cantautrice e compositrice, incontra le storie dello scrittore Tiziano Scarpa, alternando canzoni e racconti in rima. Il 5 novembre al T Fondaco dei Tedeschi il quartetto del sassofonista Diego Borotti all’insegna del post-bop, mentre il 14 novembre alle Sale Apollinee, l’ultimo appuntamento internazionale con il piano solo di David Helbock in Playing John Williams. Ricco il programma dei locali del Festival, con il salotto live dello Splendid Venice Hotel che ospita tre grandi voci soul, ovvero Kenneth Bailey il 15 ottobre, Stevie Biondi il 22 ottobre e Donna Gardier il 12 novembre, e la nutrita proposta di Laguna Libre con Microrchestra (9 ottobre); Chiara Petronella (chitarra e voce) e Annamaria Moro (violoncello e voce) il 16 ottobre; Ayşe Cansu Tanrıkulu, voce di origine turca, e Rosa Brunello, al contrabbasso, il 23 ottobre; il giovane chitarrista Luca Zennaro con il nuovo album (30 ottobre); l’imperdibile cUORE, concerto con giocattolo del contrabbassista Daniele Vianello (6 novembre); con jam session finale del Festival il 13 novembre. Venezia Jazz Festival Fall edition Fino 14 novembre vari luoghi a Venezia www.venetojazz.com
The third edition of the Venezia Jazz Festival – Fall Edition feels like rebirth as music returns to its right-
ful places. There will be live music performances, territorybased projects, visiting artists from all over Europe, established professionals, young talents, and above all, new contaminations, from literature to electronic music. From October 3 to November 14, Veneto Jazz’s autumn in music will meet you at the Sale Apollinee at Fenice Theatre, at the Museum of Palazzo Grimani, at T Fondaco dei Tedeschi, the Convento dei Crociferi, and the Ospedaletto, as well as in participating hotels and cafés, like the Splendid Venice Hotel and the Laguna Libre. Opening day will be October 3, when Swiss band VEIN will perform at the Fenice Theatre in a programme of classical, rock, folk, and contemporary jazz. On October 8, the only live-streamed concert of the programme will take place at the Ospedaletto: accordionist Walter Lucherini and guitarist/singer Amilcar Rafael Soto Rodriguez offer a mix of folk, Latin, and jazz. On October 15, Marzouk Mejri from Tunisia, Charles Ferris from America, and Marco Dalmasso from Italy will cooperate in Fanfara Station, one of the most creative projects of the Festival, at Convento dei Crociferi. On October 17, a solo performance by Gabriele Mirabassi at Fenice Theatre. Mirabassi has been for over thirty years one of the best renowned clarinettist in the world. On October 24, Dudu Kouaté from Senegal will stage Africation, with help from double bassist Alvise Seggi. On October 31, Debora Petrina, composer and singer/ songwriter, will alternate songs and stories by Venetian author Tiziano Scarpa. Check out the whole programme in the coming pages, which includes concerts at the Splendid Venice Hotel and at Laguna Libre night club.
GIOVEDÌ 15 OTTOBRE
SABATO 24 OTTOBRE
VENERDÌ 6 NOVEMBRE
h. 19 | Splendid Venice Hotel
h. 18.30 | Museo di Palazzo Grimani
TOO HIGH TRIO
DUDÙ KOUATÉ, ALVISE SEGGI
h. 20.30 | Laguna Libre, Fondamenta Cannaregio
Kenneth Bailey sax e voce - Ivan Zuccarato tastiere Davide Devito batteria
h. 21 | Combo (ex Convento dei Crociferi)
FANFARA STATION //
MARZOUK MEJRI - CHARLES FERRIS & GHIACCIOLI E BRANZINI Marzouk Mejri voice, percussion, Tunisian winds, loops Charles Ferris trumpet, trombone, loops Ghiaccioli e Branzini electronics and programming
Africation
Dudù Kouaté voce, xalam, zucche, djembè, talking drum, lolo, kanjira, didjeridoo - Alvise Seggi contrabbasso, violoncello, basso elettrico, oud arabo
Prendono vita le sonorità di Africation del percussionista e polistrumentista senegalese Dudù Kouaté, con il contrabbassista Alvise Seggi. Un viaggio introspettivo ma anche uno sguardo attento sul mondo e sull’Africa, con strumenti musicali capaci di rapire l’ascoltatore./ The sounds of Africation by Senegalese percussionist and multi-instrumentalist Dudù Kouaté come to life, with the double bass player Alvise Seggi. An introspective journey, but also a careful look at the world and at Africa, with musical instruments capable of captivating the listener.
DANIELE VIANELLO DUO cUORE, concerto per giocattolo Daniele Vianello contrabbasso, composizioni Dario Zennaro chitarra
GIOVEDÌ 12 NOVEMBRE h. 19 | Splendid Venice Hotel
DONNA GARDIER
Donna Gardier voice - Ivan Zuccarato tastiere Paolo Andriolo basso
VENERDÌ 30 OTTOBRE h. 20.30 | Laguna Libre, Fondamenta Cannaregio
LUCA ZENNARO TRIO When Nobody Is Listening VENERDÌ 16 OTTOBRE h. 20.30 | Laguna Libre, Fondamenta Cannaregio
PATRONELLA/MORO DUO Chiara Patronella chitarra e voce Annamaria Moro violoncello e voce
SABATO 17 OTTOBRE h. 9.30-13 / 14-16 | Sale Apollinee, Teatro La Fenice (a porte chiuse)
PREMIO TOMORROW’S JAZZ
Luca Zennaro chitarra Michelangelo Scandroglio contrabbasso Mattia Galeotti batteria
SABATO 31 OTTOBRE h. 18.30 | Combo (ex Convento dei Crociferi)
TIZIANO SCARPA E DEBORA PETRINA
Le cose che succedono di notte
Canzoni e musiche di Debora Petrina voce, tastiere e chitarra Racconti e rime di Tiziano Scarpa
Esibizione di band e solisti finalisti
VENERDÌ 13 NOVEMBRE
h. 19.30 (per il pubblico)
MIRABASSI/ZANCHINI DUO
h. 20.30 | Laguna Libre, Fondamenta Cannaregio
Gabriele Mirabassi clarinetto - Simone Zanchini fisarmonica
JAM SESSION VJF FALL EDITION
GIOVEDÌ 22 OTTOBRE h. 19 | Splendid Venice Hotel
STEVIE BIONDI TRIBUTO A BILL WITHERS Stevie Biondi voce - Ivan Zuccarato tastiere Leo Di Angilla percussioni
Direttamente da Londra, Donna Gardier, ex voce degli Incognito, cantante per Sting nel Sacred Love Tour (2004 e 2005) e nelle registrazioni in studio e grande personalità artistica in ambito dance negli anni ‘90./ Directly from London, Donna Gardier, former voice of Incognito, singer for Sting on the Sacred Love Tour (2004 and 2005) and in studio recordings and great artistic personality in the 90s Dance scene.
GIOVEDÌ 5 NOVEMBRE h. 18 | T Fondaco dei Tedeschi
DIEGO BOROTTI NU4TET Hyperbop
SABATO 14 NOVEMBRE h. 19.30 | Sale Apollinee, Teatro La Fenice
DAVID HELBOCK
Playing John Williams - Piano solo
Diego Borotti saxofoni, EWI, composizione, direzione Fabio Gorlier pianoforte, tastiere Davide Liberti contrabbasso, basso elettrico Mattia Barbieri batteria, elettronica
VENERDÌ 23 OTTOBRE h. 20.30 | Laguna Libre, Fondamenta Cannaregio
TANRIKULU/BRUNELLO DUO
Ayşe Cansu Tanrıkulu voce - Rosa Brunello contrabbasso
Il primo lifestyle department store di DFS Group in Europa ospita il quartetto del sassofonista Diego Borotti. Una musica nel segno del post-bop, con radici nella tradizione del jazz e le fronde nella commistione di suoni acustici ed elettronici, nella musica classica del ‘900, nel funk e nella world-music./ DFS Group’s first lifestyle department store in Europe hosts the quartet of saxophonist Diego Borotti. A music in the style of the post-bop, with the roots in the tradition of jazz and the fronds in the mixture of acoustic and electronic sounds, in classical music of the 20th Century, in funk and in world-music.
L’ultimo appuntamento internazionale del festival con il piano solo di David Helbock dedicato al grande compositore di colonne sonore, vincitore di Oscar e Grammy che ha firmato alcune delle musiche da film più iconiche degli ultimi decenni, riviste secondo il prisma del jazz da uno dei più accreditati pianisti europei./ The last international event of the Festival with the piano solo by David Helbock dedicated to the great composer of soundtracks, winner of Oscars and Grammys who signed some of the most iconic film soundtracks of recent decades, revised according to the prism of jazz by one of the most accredited European pianists.
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Casa dolce casa
Le regole non scritte
Nel groove del Candiani
Brunori, segni particolari: cantautore
Photo Ben Depp
Riparte la stagione Groove del Candiani, come sempre all’insegna della musica internazionale che porterà nell’auditorium artisti e concerti inediti con imperdibili appuntamenti nel segno del jazz, della world music, della contaminazione dei linguaggi volti a toccare i temi della tradizione, dell’impegno e della libertà. A salire per prima sul palco dell’auditorium sabato 17 ottobre sarà Shingai con Ancient Futures. Cantante e bassista dei Noisettes, la indie band inglese che in pochi anni d’attività ha fatto il pieno assoluto di pubblico e critica, oggi Shingai Shoniwa scrive finalmente un nuovo capitolo nella sua brillante carriera musicale con nuovo progetto che esplora la relazione con le sue radici ma attinge parimenti a pop, soul, jazz ed elettronica per creare l’avanguardia di una nuova era del pop, dove gli strumenti suonati e la programmazione digitale siedono felicemente accanto alle melodie e ai ritmi ispirati alla sua eredità africana. Domenica 25 ottobre ecco una formazione italiana ma conosciuta anche oltre i confini quella che vede il chitarrista piemontese Maurizio Brunod proporre alcune originali riletture di suoi vecchi brani con un ensemble dal sapore cameristico; al suo fianco due giovani talentuosi musicisti come il pianista Emanuele Sartoris e il contrabbassista Marco Bellafiore. Il 31 ottobre sarà la volta di Yilian Cañizares & The Maroons con
Erzulie: il nome è quello di una dea del pantheon del Voudon (Vodou) haitiano, è l’energia femminile, lo spirito che controlla e custodisce il passaggio da un mondo all’altro, è l’essenza della femminilità e della passione: ogni donna è emanazione di Erzulie e a lei Yilian Cañizares, giovane cantante e soprattutto violinista formatasi a Caracas e perfezionatasi in Svizzera, dedica la sua nuova fatica discografica e la dea la ricompensa con il fluire sicuro di una serie di composizioni che mettono in luce compiutamente la ricca e complessa personalità dell’artista. Da non perdere l’appuntamento di domenica 15 novembre con Robert Fonseca. Yesun è il suo nono album solista, componente del leggendario ensemble Buena Vista Social Club. Un’esplosiva miscela di jazz, musica classica, rap, funk ed elettronica. Per rompere le forme e abbattere i confini ma sempre in costante ricerca delle radici profonde della tradizione afrocubana. A salire sul palco dopo pochi giorni, giovedì 19 novembre sarà Carmen Souza con il suo Silver Messengers. Sono le origini portoghesi e capoverdiane a legare Carmen Souza, sintesi creola di tutto il soul del mondo, e Horace Silver, celebre pianista jazz oltre che eccellente compositore statunitense. «Candiani Groove» 25, 31 ottobre, 15, 19 novembre Centro CandianiMestre - www.culturavenezia.it/candiani
Dario Brunori, in arte Brunori Sas, è una brillante eccezione nel panorama della musica italiana. Inizia a farsi conoscere tardi come cantautore, eppure nel giro di pochi anni sforna un successo dopo l’altro toccando il cuore del pubblico, che ne decreta un incredibile successo portandolo nell’olimpo dei dischi di platino nel 2017 con A casa tutto bene. Cantautore calabrese che scrive anche spettacoli teatrali e che fa incursioni televisive, ad esempio col suo Brunori Sa, show in cui Dario compie un viaggio tra i vari temi e contraddizioni della società contemporanea, rimane uno dei pochi che coltiva il proprio stile personale e che mantiene viva, rinnovandola, la tradizione del cantautorato italiano.
In occasione dell’uscita del suo ultimo album Cip!, e in preparazione del prossimo tour, Brunori affronta un viaggio all’insegna di una nuova semplicità, alla ricerca di un rapporto più profondo con la natura, della comprensione dell’amore che in diversi modi e nel tempo lega le persone, e interrogandosi su tutti i contrasti che inevitabilmente definiscono la società e le parole di chi la canta. Il suo ultimo singolo Al di là dell’Amore a pochi mesi dall’uscita ha già scalato le classifiche musicali italiane. Il cantautore fa il suo esordio nel mondo della musica 10 anni fa con Vol.1, un canzoniere italiano fatto di brani semplici e diretti che incontra da subito il gusto del pubblico, gli anni a seguire
si rivelano molto fiorenti per la sua carriera musicale, lo vedono infatti impegnato nella scrittura di colonne sonore per il mondo cinematografico e di nuovi album. La sua musica è lo specchio delle sue emozioni più profonde, le sue canzoni parlano di vita, amore, paura e dolore in maniera autentica e reale ed è per questo che il suo pubblico diventa più vasto di anno in anno. Massimo Zuin Brunori Sas 20 novembre PalaInvent-Jesolo www.azalea.it
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In arte Mogol Al Padiglione Venezia, la versione di Giulio Un ponte virtuale con la Biennale Architettura 2021, ma anche un’opportunità per immaginare e plasmare un mondo diverso e invitare i giovani a credere in questo futuro prossimo, apparentemente così incerto. Sono queste le radici di Aperture Straordinarie, il progetto voluto dal Comune di Venezia che non ha così rinunciato all’apertura del proprio Padiglione nei Giardini della Biennale, decidendo di dare voce e spazio gratuitamente alle realtà culturali che negli ultimi mesi hanno attraversato una profonda crisi allestendo un salotto con i tessuti creati da designer e artigiani locali. L’inaugurazione del 29 agosto ha visto ospitare un omaggio a Ennio Morricone: filo conduttore
le musiche della Venice Chamber Orchestra, composta da 20 giovani orchestrali del conservatorio del Veneto e le colonne sonore di C’era una Volta l’America e Nuovo Cinema Paradiso. Alle note del compositore sono seguite quelle di Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. Ospite del ciclo di Conversazioni il 24 ottobre, Giulio Rapetti, in arte Mogol, è considerato il più importante autore italiano di testi di canzoni. Il grande pubblico collega immediatamente il suo nome a quello di Lucio Battisti con il quale scrive capolavori come Fiori rosa fiori di pesco, Emozioni, La canzone del sole e I giardini di marzo nel periodo che va dal 1967 al 1980. Mogol ha scritto i testi di oltre 1500 brani, dai primissimi anni
’60 a oggi, incasellando successo dopo successo, da Al di là (1961) che valse la vittoria al Festival di Sanremo a Luciano Tajoli, fino alla hit L’emozione non ha voce (1999) di Adriano Celentano. Il paroliere ha condiviso la sua creatività con moltissimi artisti, fra cui Tony Renis, Gianni Bella, Morandi, Cocciante, Mango, Mina, Vanoni, Patty Pravo, Equipe 84, PFM, Luigi Tenco e Renato Zero, raccontandosi nell’autobiografia Il mio mestiere è vivere la vita (Rizzoli, 2016). Mogol 24 ottobre Padiglione Venezia www.labiennale.org
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Parte di me
Inno alla musica
One Republic, è la somma che fa il totale
A Padova un festival di eccellenze europee
Cosa succede se uno degli artisti e produttori più famosi al mondo, Ryan Tedder, si imbatte per caso in un servizio televisivo dedicato al lockdown nella sua amata Italia e scopre la voce unica di un grande artista italiano come Giuliano Sangiorgi e la musica dei Negramaro? Il passo che ha portato Ryan ad invitare i Negramaro a collaborare con i OneRepublic è stato breve e lo scorso 29 maggio ha dato vita a Better Days-Giorni migliori. Un incontro spontaneo che ha preso forma in pochissimi giorni attraverso uno straordinario quanto spontaneo scambio di messaggi su Instagram. Il successo travolgente dei One Republic arriva nel 2007 con l’album di debutto Dreaming Out Loud, grazie alla hit Apologize
che ha sconvolto le classifiche mondiali con oltre 10 milioni di download e il maggior numero di airplay nella storia. Nel 2009 è la volta del secondo album Waking Up che includeva le hit All The Right Moves, Secrets e Good Life, tutte in testa all’airplay chart. Il frontman e cantautore Ryan Tedder ha collaborato alla realizzazione dei successi di Leona Lewis (Bleeding Love, Happy), Beyoncè (Halo) e a 21 di Adele, Grammy award come Album of the Year. La band pubblicherà il quinto album in studio – il primo da Oh My My del 2016 – quest’anno. La band ha già rilasciato i singoli Rescue Me e Wanted. Il frontman degli One Republic, Ryan Tedder, è impegnato con una serie di pro-
getti che lo vedono al lavoro con alcuni fra i nomi più famosi del mondo del pop (è stato produttore esecutivo e co-autore dell’ultimo disco dei Jonas Brothers e ha scritto hit per Camila Cabello, P!nk, 5 Seconds of Summer, Sam Smith e Anitta). Tedder è inoltre impegnato come giudice nel talent show televisivo Songland, di cui è anche produttore e si appresta a filmare la seconda stagione. Massimo Zuin One Republic 29 ottobre Kioene Arena-Padova www.zedlive.com
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Punte di diamante A Sacile il jazz vola alto Il jazz di Controtempo torna dal vivo con il Il Volo del Jazz, al suo sedicesimo anno di vita. Otto i concerti (affiancati da diversi altri eventi), per oltre 40 musicisti sui palchi della rassegna, dal 16 ottobre al 18 dicembre, selezionati dal direttore artistico Loris Nadal con il criterio della curiosità e dell’intenzione di offrire al pubblico occasioni uniche di arricchimento musicale e culturale, con le punte di diamante del jazz italiano e l’eccellenza dei jazzisti provenienti dall’estero a raccontare altri territori e culture: perché il jazz è meticcio per definizione e senza confini. Il via venerdì 16 ottobre, con una prestigiosa anteprima fuori abbonamento, la doppia replica del
concerto di Stefano Bollani che si esibisce in Piano variations on Jesus Christ Superstar, personale rivisitazione del capolavoro di Lloyd Webber e Rice. Il 31 ottobre sarà la volta del sassofonista Daniele Sepe con The cat with the hat che vede la partecipazione del batterista Hamid Drake, sentito omaggio al grande sassofonista argentino Gato Barbieri. Il 14 novembre ecco Francesco Bearzatti per la prima assoluta di Zorro con il live painting di Davide Toffolo, frontman dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Sabato 21 novembre si torna al Teatro Zancanaro per il concerto del batterista e percussionista francese Manu Katchè, noto per
© Roberto Cifarelli
aver collaborato con star della musica rock del calibro di Peter Gabriel, Sting, Dire Straits, Tracy Chapman, Tori Amos. Sabato 28 novembre va in scena Cosmic Renaissance: un viaggio cosmico del quintetto plasmato da Gianluca Petrella, trombonista refrattario alle etichette che - avendo già da tempo sistemato ogni questione di fama e autorevolezza relativa al pianeta Terra - veste di nuovo i panni dello skipper intergalattico per turisti degli altri pianeti, oltre le convinzioni del jazz più compiuto. «Il Volo del Jazz» 16, 31 ottobre, 7, 14, 19, 21, 28 novembre Teatro Zancanaro-Sacile - www.circolocontrotempo.org
Photo Valentina Cenni
Un inno all’Europa, con un cast artistico proveniente da Gran Bretagna, Belgio, Svezia, Germania e Olanda, oltre a una notevole rappresentanza di musicisti statunitensi che dell’Europa hanno fatto la loro seconda casa. Riflettori puntati, tra gli altri, su David Murray, Binker Golding, Lucy Woodward, ma tra i protagonisti della ventitreesima edizione del festival, in programma dal 3 al 22 novembre, ci saranno anche molti italiani. Anzi, sono proprio le star di casa nostra a brillare particolarmente, a partire dal super trio che affianca Enrico Rava, Stefano Bollani e Gianluca Petrella. Ed ecco quindi due serate alla Sala dei Giganti (Palazzo del Liviano), la prima per gli estimatori del grande jazz saldamente ancorato alle radici della tradizione afroamericana, la seconda che proietta questa stessa musica verso la contemporaneità. Il 5 novembre due fenomenali pianisti come Dado Moroni e Danny Grissett si confronteranno sul repertorio di Charlie Parker, mentre il 13 il sassofonista Binker Golding, astro emergente della scena jazz londinese, trasferirà la lezione di tenoristi come Coltrane e Michael Brecker dentro le trame di un emozionante e moderno jazz metropolitano. Per le sue ultime serate, il festival approderà al Teatro Verdi con un trittico di concerti dalla forte caratterizzazione. Il 19, il sassofo-
nista statunitense David Murray si presenterà alla testa di un trio dalla composizione ideale per esaltare il suo percorso stilistico, il 20 il clima sarà decisamente coinvolgente con il gruppo del cantante Gegè Telesforo, celebre volto televisivo. Enrico Rava, Stefano Bollani e Gianluca Petrella: a metterli uno a fianco dell’altro sembra di osservare il podio olimpico del jazz italiano. Il loro concerto a Padova (il 21 novembre) è appena la seconda esibizione nella storia di questo supergruppo, che riunisce sullo stesso palco i più estrosi e creativi solisti del nostro jazz e il grande decano della musica improvvisata nazionale. L’attività concertistica si svolgerà nel più rigoroso rispetto delle normative e ordinanze per gli spettacoli dal vivo, in seguito alle quali i posti disponibili saranno limitati. La produzione del festival si adeguerà prontamente a qualunque variazione normativa nell’interesse della sicurezza. Il Padova Jazz Festival è organizzato dall’Associazione Culturale Miles presieduta da Gabriella Piccolo Casiraghi, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova e con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo. «Padova Jazz Festival» 3-22 novembre Palazzo del Liviano, Teatro Verdi Padova - www.padovajazz.com
opera, classica, contemporanea opera, classical and contemporary music
:classical Fotogrammi in musica
Music stills
© BnF (Design Tapiro)
In occasione
dei 100 anni dalla scomparsa di Camille Saint-Saëns (1835-1921), uno dei più importanti musicisti del Romanticismo francese dal destino controverso, Palazzetto Bru Zane ne celebra il ricordo con il consueto meritorio approccio filologico e musicale, proponendo un programma nutrito di concerti e conferenze per ricordarne la figura e l’opera, ma soprattutto per far conoscere a un vasto pubblico le sfumature della personalità di questo autore, in bilico tra il pianista virtuoso e il compositore pioniere. Si formò alla scuola francese classica di pianoforte, lasciando solo 34 opere per piano, nessuna da considerare suo testamento musicale. Tuttavia per Saint-Saëns il pianoforte era un laboratorio personale, strumento delle sue sperimentazioni tecniche e confidente delle sue passioni. Compositore fecondo e colto, si impegnò nella rivalorizzazione dei maestri del passato, collaborando all’edizione completa delle opere di Gluck e dirigendo quella di Rameau. Eclettico, difese tanto Wagner quanto Schumann. Da insegnante, ebbe tra i suoi allievi Fauré e Messager. In qualità di critico musicale, firmò numerosi articoli che attestano uno spirito forte e lucido, per quanto molto legato ai principi dell’accademismo. Fu questo stesso spirito unificatore e al tempo stesso critico a indurlo a fondare, nel 1871, la Société nationale de musique, e poi a darne le dimissioni nel 1886. La storia della musica riserva ad alcuni lavori di Camille Saint-Saëns un posto particolare. La fama internazionale del Carnevale degli animali, del Primo Concerto per violoncello, della Danza macabra, del Secondo Concerto per pianoforte, della Sinfonia “con organo” e di Samson e Da-
lila lo ha reso persino più celebre, per i posteri, di Gounod e di Massenet. Tuttavia, considerando l’ampiezza del suo catalogo, molti tesori sembrano ancora oggi dimenticati dai programmi dei concerti. Al musicista spetta tra gli altri un primato assoluto, quello di essere stato il primo compositore di colonne sonore per film. Fu nel 1908, a 73 anni, e l’elemento anagrafico ne riporta il vigore e la curiosità di uomo rivolto al futuro, che musicò la colonna sonora, termine improprio, meglio dire compose la partitura per il film L’assassinat du Duc de Guise. Si tratta del primo esempio di composizione creata appositamente per una pellicola cinematografica da un musicista di fama; a quell’epoca, infatti, i film venivano usualmente sonorizzati con improvvisazioni o brani di repertorio. Gli autori del film, André Calmettes e Charles Le Bargy, furono consapevoli dell’importanza storica che ciò implicava: tutta la loro operazione era in effetti incorniciata da un tentativo di nobilitare il cinema, nel contesto di una realtà produttiva chiamata – significativamente – Film d’Art. L’assassinat è in effetti un’opera sontuosa, che guarda al miglior teatro, e cerca il suo soggetto in drammatici eventi della storia francese: la congiura di palazzo contro Enrico di Guisa, ucciso nel 1588 dalla guardia del re Enrico III di Valois. Camille Saint-Saëns scrivendo per quella pellicola cambiò la storia del cinema: per la prima volta, un compositore di spicco creò musica originale “cucita” sulle immagini di un film. Nacque così ciò che da allora viene chiamata “musica per il cinema”. «Camille Saint-Saëns, l’uomo-orchestra» Fino 8 novembre Palazzetto Bru Zane www.bru-zane.com
To commemorate
the 100 years since Camille Saint-Saëns’s death (1835-1921), Palazzetto Bru Zane offers a concert programme of concerts and conferences to remember the composer and his oeuvre as well as to popularize his revolutionary music. Saint-Saëns was trained as a classical pianist, although he only authored 34 piano pieces, none of which are primarily featured as his musical testament. For him, the piano was a personal workshop, an instrument for technical experimentation and the confidant of his passion. A fecund, educated composer, he revered past maestros and defended both Schumann and Wagner. As an educator, he taught, among others, Fauré and Messager. As a musical critic, he was lucid an strongwilled, all the while respecting the academic principles of his time. In this spirit, he founded the Société Nationale de la Musique in 1871. The history of music has a special place for some of Saint-Saëns’s pieces. The international fame he earned for The Carnival of the Animals, for the First Cello Concerto, for the Dance Macabre, the Second Piano Concerto, and for Samson and Dalila placed him a step above his contemporaries Gounod and Massenet. Another primacy earned in his career is the authorship, at the age of 73, of the first ever film soundtrack. The movie in question is The Assassination of the Duke of Guise of 1908. At that time, most movies were accompanied by improvisation or repertoire pieces. The film’s authors, André Calmettes and Charles le Bargy, intuited how much their innovation would be historically important and Saint-Saëns, by authoring that soundtrack, changed the history of cinema forever.
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h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane
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LA MÉLODIE COME EVASIONE
Camille SAINT-SAËNS, Élégie in fa maggiore op. 160; Sonata n. 1 in re minore op. 75; Élégie op. 143 Havanaise in mi maggiore op. 83 Maurice RAVEL, Pièce in forma di Habanera Sonata per violino e pianoforte n. 2 M. 77 Maria Milstein violino Nathalia Milstein pianoforte Viaggiatore instancabile, incallito sperimentatore, il catalogo di Saint-Saëns attesta i diversi modi in cui ha esplorato le possibilità offerte dalla coppia violino-pianoforte. Analogamente, Maurice Ravel, rompendo con l’accademismo parigino, cercherà ispirazione per la propria sonata addirittura nel blues d’oltreoceano./ An indefatigable traveller and a seasoned experimentar, Saint-Saëns shows the different ways he explored the possibilities offered by the violin-piano duo. Similarly, Maurice Ravel, breaking off from Parisian academism, would find inspiration for his sonata in American blues.
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IL CARNEVALE DEGLI ANIMALI
VIOLINO E PIANOFORTE: ESOTISMO E SENTIMENTO
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h. 15.30 | Palazzetto Bru Zane
Mélodies di SAINT-SAËNS, FAURÉ, HAHN, DUBOIS Cyrille Dubois tenore Tristan Raës pianoforte La mélodie francese costituisce anche un rifugio prezioso per i compositori della Belle Époque. Cyrille Dubois e Tristan Raës, raffinati conoscitori di tale repertorio, ci fanno rivivere questa “evasione” in forma di mélodie./ French mélodies are a precious refuge for Belle-Époque composers. Cyrille Dubois and Tristan Raës, refined connoisseurs of this repertoire, make us experience this world of evasion.
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h. 19.30 | Palazzetto Bru Zane
I QUARTETTI DI SAINT-SAËNS
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h. 17.30 | Palazzetto Bru Zane
Saint-Saëns è autore di 127 mélodies composte sull’arco di otto decenni, tra il 1841 e il 1921. La conferenza introduce al mondo delle sue mélodies, un mondo fatto di sperimentazione, in tempi dove la mélodie viveva ancora a stretto contatto con l’antica romance./ Saint-Saëns authored 127 mélodies over eight decades, from 1841 to 1921. This conference introduces us to the mélodie world, a place of experimentation on the ancient form of romance.
Appuntamento per i più piccoli - dai 4 ai 7 anni e i loro genitori - con una delle pagine più conosciute del musicista, composta nel 1866 in occasione di una festa di carnevale. La composizione è formata da 13 brani che descrivono in modo divertente e ironico le caratteristiche di alcuni animali. Particolare curioso è che l’Autore ne proibì la pubblicazione prima della morte, perché considerava questo lavoro un semplice divertimento ad uso familiare e per gli amici./ A musical appointment for children aged 4 to 7 (and their parents) with one of the most famous pieces by SaintSaëns, composed in 1866 for a carnival party. The work is composed of thirteen pieces that describe as many animals in playful and ironic fashion. A curiosity: the author forbade the public performance of this work before his death, as he considered it to be a divertissement for the amusement of family and close friends only. *I concerti del festival Camille Saint-Saëns, l’uomo-orchestra vengono trasmessi in diretta su bru-zane.com e saranno in seguito disponibili su Bru Zane Replay (bru-zane.com/replay).
L’ART POUR L’ART: CAMILLE SAINT-SAËNS AUTORE DI MÉLODIES, TRA SPERIMENTAZIONE E NEOCLASSICISMO
Giuseppe Clericetti relatore
Musiche di Camille SAINT-SAËNS Roberto Paruzzo e Susanne Kristina Satz pianoforte a quattro mani Serena Abagnato illustrazioni in presa diretta Giulia Carli danza e mimo Elisabetta Garilli voce narrante
Camille SAINT-SAËNS, Quartetto per archi n. 1 in mi minore op. 112; Quartetto per archi n. 2 in sol maggiore op. 153 Quatuor Tchalik Saint-Saëns affronta i Quartetti a sessant’anni suonati, coerentemente con l’atteggiamento di una generazione cresciuta nel rispetto dell’esempio di Beethoven e che considerava la composizione di un quartetto per archi un vertice raggiungibile solo nel pieno possesso dei propri mezzi artistici./ SaintSaëns began working on quartets past the age of sixty, given how composers of his generation revered Beethoven so much that they followed his example in reserving string quartet compositions to one’s age of full maturity as a musician.
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Titoli di testa
Prima della prima
La nuova stagione di Musikàmera
Malibran e Fenice, ripartenza ad altissima quota
Martedì 13 e mercoledì 14 ottobre nelle Sale Apollinee del Teatro La Fenice la “nuova” stagione autunnale di Musikàmera, che recupera e riorganizza alcuni degli appuntamenti persi nel corso degli ultimi mesi a causa della pandemia, prosegue con un doppio recital fuori abbonamento che vede protagonista l’ensemble La Pifarescha, organico strumentale di fiati e percussioni composto da Stefano Vezzani, Marco Ferrari, Mauro Morini, David Yacus e Fabio Tricomi: un tipo di formazione molto diffuso, con il nome di piffari, nell’Europa del Medioevo e del Rinascimento. Il programma prevede l’alternanza di brani popolari e colti legati all’esperienza dell’alternarsi continuo della guerra e della pace,
tipico di quel lontano periodo storico. Il 19 ottobre ecco Sol Gabetta e Bertrand Chamayou: carismatica, cosmopolita, esuberante, la violoncellista argentina Sol Gabetta per la prima volta ospite della rassegna in duo con Bertrand Chamayou, colto e raffinato interprete. Robert Schumann ha un posto privilegiato nel cuore di Heinz Holliger, alla Fenice il 3 e 4 novembre con Anita Leuzinger al violoncello e Anton Kernjak al pianoforte. Romancendres (come, nel passato, Gesänge der Frühe) sono ispirati alla figura del compositore tedesco e lo omaggiano attraverso il ricordo delle romanze per violoncello e pianoforte, che
la moglie Clara avrebbe bruciato dopo la morte di Schumann. Ospiti di Musikamerà il 10 e 11 novembre, il Quartetto Adorno si è fatto conoscere a livello internazionale aggiudicandosi il Terzo Premio, Premio del Pubblico e Premio Speciale per la migliore esecuzione del brano contemporaneo di Silvia Colasanti nell’edizione 2017 del Concorso Internazionale Premio Paolo Borciani, primo gruppo a riuscirci nella storia trentennale del Concorso. «Musikàmera» 13, 14, 19 ottobre, 3, 4, 10, 11 novembre Teatro La Fenice - www.musikamera.org
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In perfetto equilibrio Alla Fenice, esordi d’esperienza Il 28 ottobre Musica con le Ali presenta il concerto con i giovani Gennaro Cardaropoli (violino), Roberto Baraldi (violino), Alfredo Zamarra (viola) e Luigi Puxeddu (violoncello), che si esibiranno con musiche di Beethoven e Mendelssohn insieme all’affermato Quartetto Noûs. Con questo concerto e con i seguenti si rinnova la fortunata formula che spesso nella stagione organizzata al Teatro La Fenice ha visto la presenza dei giovani talenti insieme a musicisti celebri e in carriera, per offrire un’importante occasione di crescita professionale agli interpreti sostenuti da Musica con le Ali. Il 5 novembre sarà la volta di Emma Parmigiani (violino) e
Ludovica Rana (violoncello), che si esibiranno insieme al celebre pianista Alessandro Taverna in un programma che spazia da Debussy a Prokofiev, a Brahms. Il 25 novembre risuoneranno invece nelle Sale Apollinee alcune delle più celebri arie d’opera di Verdi, Puccini, Donizetti, Cilea e Gounod, eseguite dal soprano Sabrina Sanza e dal tenore Valerio Borgioni, vincitori 2020 del prestigioso riconoscimento AsLiCo; al pianoforte Giorgio Martano. «Dopo i tanti mesi di sospensione dell’attività concertistica dal vivo e il meraviglioso concerto che ne ha segnato la ripresa, lo scorso 19 luglio nella Sala Grande del Teatro La Fenice, oggi siamo soddisfatti di poter offrire al nostro pubblico
un interessante calendario di cinque appuntamenti autunnali», dichiara Carlo Hruby, Presidente dell’Associazione Musica con le Ali. «Desidero ringraziare il Sovrintendente Fortunato Ortombina, il Direttore Generale Andrea Erri e tutto lo staff del Teatro La Fenice per la proficua collaborazione e per la condivisione dei nostri obiettivi, volti al sostegno dei migliori giovani musicisti italiani e alla sempre più capillare diffusione dell’ascolto della musica classica tra le nuove generazioni». «Musica con le Ali» 28 ottobre, 5, 25 novembre Teatro La Fenice www.musicaconleali.it
La Fondazione Teatro La Fenice torna alla sua programmazione lirica in forma tradizionale, «con quel pizzico di orgoglio di chi – per citare le parole del Sovrintendente Fortunato Ortombina – in questi momenti di gravi difficoltà, è riuscito a sfruttare al meglio le proprie risorse per continuare a produrre e diffondere musica e cultura. Il teatro è vivo e deve essere un punto di riferimento per la comunità che ha intorno. La gente deve poter continuare a venire a teatro: insomma, nonostante la situazione critica non ci diamo per vinti, c’è e ci sarà sempre qualcosa da vedere alla Fenice». Il Teatro veneziano torna a proporre al suo pubblico spettacoli lirici in forma scenica tradizionale: al Teatro Malibran, proporrà un dittico di titoli completamente inediti per i palcoscenici veneziani, vale a dire Prima la musica e poi le parole di Antonio Salieri e Der Schauspieldirektor (L’impresario teatrale) di Wolfgang Amadeus Mozart. Si tratta di un nuovo allestimento realizzato dalla Fondazione Teatro La Fenice nell’ambito dell’ormai collaudata collaborazione con l’Accademia di Belle Arti, con la regia di Italo Nunziata e la direzione musicale di Federico Maria Sardelli. Lo spettacolo sarà in scena il 9, 11, 15, 17 e 20 ottobre. Il 18, 21, 22, 23, 24 e 25 ottobre tornerà in scena alla Fenice Il
barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, nel collaudatissimo allestimento firmato dal regista Bepi Morassi con le scene e i costumi di Lauro Crisman e il light design di Andrea Benetello. La Stagione dei concerti comincerà a fine ottobre con Juraj Valčuha che, alla testa dell’Orchestra del Teatro La Fenice, dirigerà La mer di Claude Debussy nell’orchestrazione di Maurice Ravel e i Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij: organici di quasi novanta elementi, dunque, grazie a un set scenografico inedito che consentirà ai professori d’orchestra di rispettare il distanziamento sociale imposto dalle misure di contenimento anti-Covid. Riccardo Muti e il Teatro La Fenice festeggiano insieme le loro ‘nozze d’oro’ con un concerto straordinario in programma il prossimo 23 novembre. Il maestro dirigerà l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini in un evento di grande prestigio che cade a cinquant’anni esatti dalla sua prima apparizione del maestro a Venezia. Il programma musicale del concerto vedrà Muti misurarsi con due celeberrime pagine sinfoniche: la Sinfonia n. 3 in re maggiore d 200 di Franz Schubert e la Sinfonia n. 9 in mi minore Dal nuovo mondo di Antonín Dvořák. «Stagione Lirica e Balletto 2020-2021» Programmazione di ottobre e novembre Teatro La Fenice, Malibran - www.teatrolafenice.it
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Nel segno di Ludwig/1
Condizioni sonore
Nel segno di Ludwig/2
Tre spettacoli celebrano il genio di Bonn
Il Verdi di Padova inaugura la stagione
A Vicenza i 250 anni di una leggenda
Alla ricerca di normalità, Io Sono Musica riparte al Toniolo dopo la brusca interruzione che ha investito praticamente tutto il mondo culturale (e non) dal marzo di quest’anno. La produzione pianistica di Beethoven, in particolare quella delle ultime magistrali Sonate, sarà oggetto il 16 ottobre del programma musicale del primo concerto di Omaggio a Ludwig, affidato ad Andrea Lucchesini, uno dei pianisti italiani più affermati sulla scena internazionale, capace di suscitare l’entusiasmo del pubblico per la combinazione tra solidità di impianto formale, estrema cura del suono, raffinatezza timbrica e naturale capacità comunicativa. In programma le Sonate per pianoforte di Beetho-
ven op. 109 ed op. 111, tra le sue opere più complesse e di difficile esecuzione, il testamento musicale del compositore. Insieme a lui la preziosa presenza di Giovanni Bietti, voce narrante del concerto, considerato uno dei migliori divulgatori musicali italiani. La produzione sinfonica beethoveniana e quella dei concerti per strumento solista ed orchestra sarà ben rappresentata nel secondo concerto di Omaggio a Ludwig, nel quale si esibiranno il 30 ottobre l’Orchestra di Padova e del Veneto, con la direzione di Marco Angius, e la talentuosa pianista Maya Oganyan. Il terzo appuntamento di Omaggio a Ludwig il 7 novembre rappresenta la prima esecuzione
assoluta, commissione degli Amici della Musica di Mestre, di una pièce teatrale scritta dal veneziano Sandro Cappelletto, critico musicale e storico della musica, ed interpretata dall’attrice Ottavia Piccolo, che a Venezia è molto legata, insieme al Quartetto di Venezia, una delle gemme della nostra Città. Al centro la figura della cognata di Ludwig van Beethoven, Johanna Reiss, vedova di suo fratello Carl, contro la quale il compositore condusse una feroce guerra giudiziaria per ottenere la tutela del nipote. «Io Sono Musica» 16, 30 ottobre, 7 novembre Teatro Toniolo-Mestre amicidellamusicadimestre.it
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Locus amoenus Fondazione Benetton, letteratura in musica Si conclude la settima stagione concertistica di Musica antica in casa Cozzi organizzata dalla Fondazione Benetton e da almamusica433, con la direzione artistica di Stefano Trevisi, e dedicata a Venezia. Il Carteggio Aspern è un capolavoro dello scrittore americano, naturalizzato inglese, Henry James che, nell’arco della sua vita, visita Venezia una ventina di volte e alla città dedica, in particolare, questo acclamato racconto breve. La storia è ambientata in una Venezia di fine Ottocento, ricordando quanto la città sia stata fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo uno dei salotti letterari più importanti d’Europa. Uno studioso si reca a Venezia per
poter studiare l’inedito carteggio del poeta Aspern; sarà un viaggio nella Venezia popolare e nella Venezia decadente degli stranieri che hanno eletto la Serenissima come loro buon rifugio. Il concerto in programma il 17 ottobre, con Francesca Paola Geretto, soprano, e Stefano Trevisi, pianoforte, propone pagine cameristiche che descrivono la città come locus amoenus. Il concerto conclusivo della stagione il 30 ottobre, con l’ensemble Anonima Frottolisti, racconta il lato più popolare, per quanto estremamente colto, del gusto musicale cortese e profano dei secoli XV e XVI di una Venezia poco conosciuta. I brani eseguiti provengono, nella quasi tota-
lità, dal Manoscritto Apografo Miscellaneo Marciano, custodito nella biblioteca storica della città di Venezia, un’opera straordinaria e una testimonianza musicale completa. I racconti, le maschere, i personaggi, l’amore, la vita sono solo alcuni dei temi trattati dal repertorio eseguito: una “fotografia” dell’estetica e della ricerca letterale e musicale dell’epoca. Uno spaccato veneziano tanto prezioso quanto inedito per un concerto che ci restituirà non solamente i suoni ma anche le danze dell’epoca, grazie alla partecipazione del gruppo Tripudiantes Dovarensis. «Musica antica in casa Cozzi» 17, 30 ottobre Chiesa di San Teonisto-Treviso www.fbsr.it
Il Quadrophobia Wind Quartet, al Verdi di Padova il 14 ottobre, è un originale progetto di musica da camera, attivo da dieci anni sulla scena nazionale, nato dall’esigenza di proporre al pubblico una insolita miscela timbrica. Due appuntamenti per il progetto Salotto Musicale Padovano: il trio composto dai gemelli Armellini e dal flautista Tommaso Benciolini interpreta il 21 ottobre un programma interamente dedicato alla musica italiana del Novecento e di oggi, mentre il 27 ottobre spazio al récital di Alessandro Taverna, pianista oggi nel pieno di una brillante carriera internazionale da solista, con programma che comprende un omaggio a Beethoven nel 250° anniversario della nascita. Musica e parole si intersecano, invece, nell’evento inaugurale della stagione del Teatro Verdi (4 novembre) in cui si rinnova la collaborazione tra il Teatro Stabile del Veneto e l’Orchestra di Padova e del Veneto, che a partire da quest’anno proporrà i concerti della propria Stagione al Verdi in condizioni sonore ottimali grazie alla camera acustica donata all’OPV da Fondazione Cariparo: Ludwig Van è il titolo che, in occasione del 250esimo anniversario dalla nascita di Beethoven, porta in scena un ritratto intimo e privato, che ci svela la complessa personalità di un artista immenso. Il 10 novembre il Trio Rachmaninov che presenta il suo cd edito da Velut Luna dedicato a Beethoven nel 250° anniversario della nascita.
«Stagione 2020-2021» 14, 21, 27 ottobre, 4, 10 novembre Teatro Verdi-Padova - www.teatrostabileveneto.it
Una speciale rassegna beethoveniana, realizzata con la direzione artistica di Sonig Tchakerian, per tre imperdibili appuntamenti sulle note di Beethoven, introdotte dalle parole illustrative di eminenti critici musicali. Si parte martedì 13 ottobre al Teatro Olimpico con la Sonata per pianoforte e violino in la maggiore op. 47, composta da Beethoven tra il 1802 e il 1803 e dedicata al musicista e compositore francese Rodolphe Kreutzer, con Sonig Tchakerian al violino e Andrea Lucchesini al pianoforte. Si prosegue il 17 a Palazzo Chiericati con la Maratona B &B Beethoven & Brunelli, suddivisa in sei concerti durante la giornata. Fedele allo spirito di laboratorio culturale del Festival delle Settimane Musicali al Teatro Olimpico, dove i giovani talenti possono entrare in contatto con musicisti di chiara fama, l’appuntamento si configura come una singolare maratona in musica che celebra i 250 anni della nascita di Ludwig van Beethoven. Il terzo ed ultimo appuntamento è domenica 18 ottobre alla Chiesa di Santa Corona con la celeberrima IX Sinfonia di Beethoven, scritta tra il 1822 e il 1824, nella trascendentale trascrizione di Franz Liszt per soli, coro e pianoforte: ci saranno Maurizio Baglini al pianoforte, Annamaria Dell’Oste soprano, Laura Polverelli mezzosoprano, Giuseppe Varano tenore, Daniele Caputo baritono e il Coro del Friuli Venezia Giulia diretto da Cristiano Dell’Oste. «Beethoven Festival» 13, 17, 18 ottobre Teatro Olimpico-Vicenza www.settimanemusicali.eu
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Non voltare la testa
Durante
la Mostra del Cinema al Lido nella Villa degli Autori, in occasione della presentazione del film Occident Express, abbiamo incontrato Ottavia Piccolo e il regista Simone Marcelli per parlare della pellicola e del documentario Lo sguardo su Venezia, in cui Ottavia è la voce narrante e le cui riprese si sono concluse all’inizio di ottobre, che uscirà nei primi mesi del 2021. Occident Express, regia di Simone Marcelli, scritto da Stefano Massini e interpretato da Ottavia Piccolo con l’Orchestra
di Fabio Marzari Multietnica di Arezzo, racconta l’incredibile storia di Haifa, un’anziana donna di Mosul costretta a mettersi in fuga con la nipotina di 4 anni, percorrendo in tutto 5.000 chilometri, dall’Iraq fino al Baltico, attraverso la cosiddetta “rotta dei Balcani”. Simone Marcelli, perché questo film, dopo lo spettacolo teatrale sempre con Ottavia Piccolo protagonista? SM. Perchè parla di una storia vera, perché c’è bisogno di raccontare queste storie, perché il testo di Massini è un testo che arriva dritto e puntuale, perché Ottavia Piccolo
è una grande interprete e inoltre perché ho voluto accettare una sfida con me stesso: fare teatro al cinema. Questa è una cosa che nessun regista vorrebbe fare, perché è una sfida maledettamente complicata: si rischia di fare solo una documentazione video con l’effetto del teatro in televisione, oppure di essere invasivi, non rispettando il testo e la messinscena. Ho voluto confrontarmi con questo equilibrio sin dal testo di Massini e dalla musica di Enrico Fink, oltre naturalmente che con la magistrale interpretazione di Ottavia. Cosa ho potuto fare? Ho voluto lasciare dei segni. Il viaggio di Haifa è una storia vera, un viaggio che è una linea, più o meno coerente, da un punto A a un punto B, quindi è un segno su una carta geografica e quel segno ha in sé poche informazioni: la partenza, le tappe, l’arrivo. Di segni su un foglio è fatto il racconto del viaggio di Massini, che nella recitazione di Ottavia Piccolo si trasformano in paura, dolore, speranza. Segni sono le note di Fink e segni, linee arrabbiate e amorevoli, sono i di-segni delle animazioni di Simone Massi, a mio avviso il più grande creatore di animazioni attualmente in Europa. È una persona di un’integrità totale; i suoi disegni sono fatti completamente a mano: disegna ogni tavola che vediamo, 500 tavole ogni minuto, e sono segni anche quelli.
Un regista può solo provare a leggere questi segni e raccontarli a modo suo, senza essere invadente, quando si avvicina al racconto del teatro per il grande schermo. E del documentario su Venezia in lavorazione per Sky Arte cosa può dirci? SM. Tutto è nato circa un anno fa dall’incontro con Carlo Montanaro, importante studioso di pre-cinema e di cinema muto, che possiede una grandissima collezione di macchine per la visione. Carlo è veneziano e io amo molto Venezia. Sono toscano, ma milanese da 20 anni per questioni lavorative. Mi ricordo sempre il primo viaggio a Venezia da solo; era il Carnevale del 1986, quando la festa era ancora al suo massimo splendore. Come tutti i foresti avverto un po’ di sudditanza psicologica nei confronti della città, perché chi si avvicina a Venezia rischia due cose: o di essere incapace di raccontarla, o di cadere nel cliché più trito. Parlando con Carlo e con Ottavia abbiamo cominciato a ragionare sul rapporto fra l’immagine della città e la sua realtà, che è cambiata nel corso dei secoli e dei decenni anche a seconda del proliferare delle immagini. Venezia, un’ icona immensa e universale, come la Monna Lisa, quanto con la sua immagine ha potuto influire sull’evoluzione-trasformazione-involuzione di
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sé stessa? Ci sono due linee narrative: Carlo Montanaro racconta l’evoluzione tecnica dell’immagine partendo dalla camera ottica di Canaletto, passando dai mondi nuovi ai chiari di luna di Naya, ai Lumière; Ottavia Piccolo racconta invece la trasformazione della città: da meta del Grand Tour a destinazione di viaggi di nozze nella Belle Époque, dalla nascita della Mostra del Cinema e del Lido a Venezia come destinazione per il turismo di massa, fino a divenire uno sfondo per i selfie - ma chi è poi al centro dell’attenzione? È la faccia o quello che sta dietro? E poi quello che sta dietro è Venezia o Las Vegas? -. Poi arriva il Covid e il vuoto irreale di Piazza San Marco nei giorni del lockdown e della pandemia: un dramma e un’opportunità per la città di ripensare sé stessa, come è sempre stato durante e specie dopo le grandi pestilenze a Venezia. Facciamo un passo indietro e ritorniamo allo spettacolo teatrale da cui ha tratto il suo film. Il tema è l’assuefazione di noi occidentali distratti da troppe informazioni, che purtroppo hanno l’effetto di lasciarci indifferenti anche di fronte a tragedie quasi alle porte di casa nostra. SM. Il rischio della comunicazione in forma di news è questo: riesce a rendere drammaticamente asettica la sofferenza, normalizzandola, fino quasi a non farci più caso. Si porta a sminuire il valore dell’umanità che vive queste sofferenze: scatta quasi la tentazione di dividere l’umanità in chi è degno di notizia e in chi no. Occident Express è un frammento del nostro tempo. Ci sono cose che fai senza sceglierle, sono semplicemente loro che scelgono te. Così Haifa non sceglie di mettersi in cammino: qualcosa di più grande decide per lei, obbligandola a lasciarsi tutto alle spalle. Una donna coi capelli bianchi costretta a tagliare il filo della sua esistenza, mettendosi alla ricerca di una meta. Dalle terre aride di Hulalyah, nel nord dell’Iraq, risalendo l’Europa fino ai ghiacci del mar Baltico, Haifa strappa con i denti una tappa dopo l’altra, ogni volta morendo, ogni volta nascendo, ogni volta scoprendo qualcosa degli altri e di sé. Il rischio è quello però di parlare ad un pubblico già sensibilizzato. Sarebbe invece importante parlare anche a coloro i quali a teatro non ci vanno e che per forza di cose faticano a comprendere quante Haifa ci siano nel mondo. Il tentativo di fare questa trasposizione per il grande schermo e anche per il piccolo - avrà una distribuzione anche televisiva - è quindi quello di cercare di ampliare il pubblico in un’ottica la più trasversale possibile. Qualche curiosità su Lo sguardo su Venezia. SM. Sono riuscito a fatica a ottenere i permessi per girare
anche durante le settimane di chiusura totale, cercando di ripercorrere con la telecamera le stesse prospettive deserte nei luoghi dipinti da Canaletto e fissati nelle stampe. Il lunedì di Pasquetta ero in piazza San Marco a mezzogiorno e quando hanno suonato le campane ero l’unico essere umano presente. Era una situazione veramente surreale, però magica. Mi viene la pelle d’oca ripensandoci, era tutto così incredibile! Il documentario vuole essere una riflessione anche filosofica. Venezia è una città delicata da sempre. Sin dalla sua nascita è cresciuta rimanendo un organismo estremamente delicato, in un equilibrio di profonda sottigliezza. Il rischio ora è di diventare una drammatica, banale Disneyland all’insegna della più meccanica, scontata monocultura turistica, senza un futuro decentemente vivibile. Spetta ai veneziani, agli intellettuali, a chi fa parte della città, indipendentemente dalla provenienza, il compito di riflettere e agire per costruire una visione della città più altamente normale. La Chiesa della Salute esiste “grazie” a una drammatica pestilenza ed ora la si visita ammirati per la bellezza dell’opera architettonica; senza la peste non ci sarebbe stata. Quindi questa nuova peste contemporanea ci obbliga a uno sforzo di ripensamento profondo della città, del suo senso di esistere contemporaneo, della sua identità presente in sostanza. In questa direzione ci troviamo di fronte ad una grande opportunità da cogliere. Il progetto del documentario vuole restituire questa possibilità questa urgenza. A tal fine ci siamo serviti della collaborazione di associazioni, categorie, realtà veneziane che hanno avuto una loro parte attiva nell’ideazione del progetto, senza tuttavia attribuirsene la paternità esclusiva. Vorremmo stimolare il desiderio di riflettere collettivamente su cosa la città voglia e possa essere tra dieci o vent’anni, in un futuro prossimo. Quali luoghi della città sono coinvolti nel progetto? SM. Il racconto di Carlo Montanaro si svolge dentro la sua Fabbrica del Vedere, dove sono conservati tutti i suoi marchingegni fenomenali che in parte spiegherà, e dove vengono proiettati i primi film, i primi spezzoni girati a Venezia, dai Lumiere ai primi lungometraggi girati in città. Poi ci si sposta nella vecchia casa di Carlo Naya. Ottavia inizia a recitare dalla chiesa della Salute parlando dell’arrivo della peste, per poi spostarsi al Lido, all’aeroporto Nicelli, per raccontare la nascita della Mostra del Cinema e l’invenzione del Lido come importantissima destinazione balneare: il Des Bains, l’Excelsior, luoghi che sono derivazione dell’iconicità veneziana. Non manca la Venezia sfondo dei selfie più popolari, come anche angoli più nascosti. Abbiamo girato in mezzo
alla città, tra i sempre più pochi residenti veneziani, sperando di essere insieme a loro a raccontare questa storia. Poche città al mondo hanno la possibilità di mantenere una quotidianità nel loro passato. Questo accade ogni giorno a Venezia. Abbiamo intervistato infine Cesare De Seta, uno storico esperto di Grand Tour, e Paolo Sorcinelli, storico sociale che ha analizzato a fondo le malattie nelle varie epoche del passato come momento di cambiamento, di cesura forte nell’evoluzione storica delle società e soprattutto delle mentalità degli individui. Ho avuto la fortuna di vedere Occident Express a teatro e mi ha colpito la totale assenza di retorica nel racconto, oltre alla straordinaria, consueta bravura di Ottavia Piccolo… OP. Questo Massini ci dà delle soddisfazioni! Ogni volta scrive in maniera diversa. Il suo è un racconto asciutto, sa far parlare i protagonisti con le loro parole. «Rimandiamoli a casa loro», «Aiutiamoli nel loro Paese», «Che ci vengono a fare qui?»: per rispondere a chi fa affermazioni del genere voglio raccontare questa storia di Haifa. Mi aiuta a non voltare la testa dall’altra parte. Mi metto in cammino con lei e dopo non sarò più la stessa. Sono consapevole che a teatro ci vanno soprattutto le persone che già sanno. Abbiamo fatto oltre 100 repliche di Occident Express, siamo andati dovunque, però penso che davvero il nostro compito sia di raccontare il più possibile in modo non retorico, non ricattatorio. Il focus è il racconto puro. Siamo sommersi dalle immagini e questo certe volte finisce con l’anestetizzarci. Ho trovato straordinario il fatto che Simone Marcelli abbia scelto di riprendere lo spettacolo non aggiungendo nient’altro se non le animazioni di Simone Massi, mantenendo intatta la forza della parola, che a teatro è sempre la più forte. È riuscito a mixare la forza del teatro con le immagini, che non sono mai scontate. Non disperiamo di riprenderlo a teatro, anche se ho altri progetti ora; ma lo teniamo lì, pronto, perché purtroppo è sempre di stretta attualità. Il documentario su Venezia di Simone Marcelli. Il suo punto di vista. OP. L’incontro con Carlo Montanaro è stato pronubo di questa idea, perché raccontare lo sguardo del mondo su Venezia da quando è cominciato questo tipo di “vendita” della città, prima per i grandi viaggiatori, poi man mano per tutti, rappresenta una prospettiva affascinante e coinvolgente. Tutti possono venire a Venezia, bisogna però capire come e perché. Quanto accade qui trova eco sui notiziari di tutto il mondo, quindi vogliamo cominciare a pensare che Venezia debba mantenere sempre il suo naturale ruolo di capitale delle culture. Sono e siamo tutti consapevoli che un documentario, un film, uno spettacolo teatrale non cambiano il corso degli eventi, però fornire dei piccoli segnali su come si potrebbe guardare Venezia con altri occhi, questo penso si possa e si debba fare. Grazie a Simone Marcelli, che ha gli occhi buoni e uno sguardo attento e preciso, e grazie a Carlo Montanaro, che ha uno sguardo visionario.
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De consolatione philosophiae
Common ground
Animali sociali e dove trovarli
La guerra fredda in sala
Pietro Castellitto ha presentato in concorso a Venezia 77 nella sezione Orizzonti la sua opera prima I predatori di cui è anche sceneggiatore e interprete, un film “ricco di cattiveria, satira e coraggio di andare sopra le righe”, che gli è valso il premio per la migliore sceneggiatura, scritta all’età di 22 anni. Ha dichiarato il regista/attore: «Sono profondamente felice di presentare il mio film a Venezia. Lo sconquasso della pandemia ha distrutto molte certezze aprendo le porte a un nuovo scontro fra culture e visioni del mondo, premessa fondamentale per qualsiasi era artistica. C’è un che di bellico in quest’alba veneziana e farne parte è motivo di orgoglio. Ringrazio Alberto Barbera e tutti i selezionatori per la fiducia data». La distruzione delle certezze e Nietzsche in qualche modo hanno una loro presenza nel film di Castellitto. Sarà per la laurea in filosofia o per la derivazione familiare – madre Margaret Mazzantini, scrittrice di talento e di successo, argomenti non sempre in unione tra loro nel panorama letterario e di Sergio, attore tra i più importanti e capaci nel mondo dello spettacolo italiano – Pietro Contento Castellitto, nato nel 1991, ha debuttato nel cinema a tredici anni in una piccola parte
Una partita a ping pong da una parte all’altra del muro di Berlino, a colpi di film. La nuova rassegna autunnale Rebels from the East/ West, ospitata dalla V-A-C Zattere grazie alla call lanciata insieme al Comune di Venezia Porte Aperte, nasce per indagare i tentativi di dissidenza politica, formale e concettuale al cinema che si sono sviluppati all’interno della sfera d’influenza sovietica e atlantica. L’evento è promosso da Rete Cinema in Laguna e curato da iCine Magazzino del Cinema, per la parte est, e dal Cineclub Venezia per la parte occidentale. Due blocchi a confronto, due potenze politiche e militari, due regimi, due modi di fare cinema, di organizzare i contenuti della propria propaganda: il contraltare di questa vecchia divisione del mondo è rappresentato anche dalle diverse forme assunte dalla controcultura, dalla contestazione, dalle rispettive opposizioni interne. Abituati a vedere sempre i cattivi dall’altra parte, attraverso il dialogo tra i film proposti (da East a West) lo spettatore potrà rintracciare temi, forme e idee comuni all’interno dei due blocchi mettendo così in discussione concetti, tracciando linee e trovando affinità nella differenza tra blocco sovietico e atlantico. La rassegna nasce dal dialogo tra due delle realtà costitutive del progetto Rete Cinema in Laguna, collettivo composto da associazioni, persone ed imprese locali che lavorano in ambito culturale a Venezia - in particolare nel settore del cinema ed dell’audiovisivo - nato durante il periodo di confinamento dalla considerazione comune che sia necessario mettere insieme le forze, competenze e professionalità per ripensare insieme la città culturale che ci piacerebbe abitare. Cineclub Venezia è un’associa-
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nel film del padre Non ti muovere (2004). Viene diretto dal padre in altri due film: La bellezza del somaro del 2010 e Venuto al mondo del 2012. Nello stesso anno viene scelto da Lucio Pellegrini per interpretare il ruolo di Marco nella commedia È nata una star? con Luciana Littizzetto e Rocco Papaleo. Nel 2018 interpreta Secco in La profezia dell’armadillo di Emanuele Scaringi, per cui vince il premio Biraghi ai Nastri d’argento 2019. Pietro non ha scelto il cinema per “pigrizia” mentale, la sua storia è quella di un giovane intellettuale figlio del suo tempo e capace di avere solide e forti passioni popolari, come quella per la Roma, la squadra del cuore, che lo vede in questo periodo impegnato a girare con il ruolo da protagonista Speravo de morì prima, produzione originale Sky in cui interpreta Francesco Totti, idolo della tifoseria giallorossa ed emblema di un’intera città, tra i vincitori dell’indimenticabile Mondiale 2006 in Germania. Nel film I predatori emerge chiara una visione della società contemporanea profondamente divisa e incapace di trovare occasioni di dialogo nella diversità delle provenienze. L’innocente ossessione del protagonista del film verso Nietzsche diventa il pretesto per
capire come il pensiero presente rivesta un carattere di debolezza fin troppo accentuato e nel rovesciamento dei ruoli quasi quasi viene da pensare che i Vismara, pur chiusi nella loro patetica indulgenza, se non vera e propria ammirazione verso il fascismo, quello ostentato nei simboli e nelle attitudini mentali, in fondo siano quasi meglio dei complicati Pavone, intellettuali e capaci di ascoltare solo sé stessi. Castellitto ha la notevole abilità di non parteggiare per nessuno, gioca con i personaggi in modo credibile, offrendo allo spettatore uno spaccato di mondo assai riscontrabile nella realtà. L’occhio stralunato del giovane protagonista, filosofo dalle tradite speranze, è anche l’occhio della camera, che racconta da differenti angolazioni storie di persone che sopraffanno altri individui. «Di predatori un po’ ne ho incontrati nella mia vita, dobbiamo anche ricordarci che le umiliazioni che subisci ti aiutano a diventare ciò che sei, e che se non incontri predatori non sviluppi nemmeno l’ironia, che è una dote indispensabile al cinema come nella vita». Fabio Marzari I predatori di Pietro Castellitto Dal 22 ottobre al cinema www.comune.venezia.it/cinema
zione che intende proporsi come punto di riferimento per aspiranti e giovani filmmaker, agevolando la produzione di opere audiovisive. Attraverso l’attività didattica e formativa promossa da Cineclub Venezia con la pubblicazione di bandi e la promozione di workshop, può essere possibile disporre dell’attrezzatura necessaria a girare corti e documentari e mettere in pratica insegnamenti altrimenti solo teorici. Cineclub Venezia vuole essere un punto d’incontro per promuovere e realizzare, anche in concorso con altri organismi o istituzioni, proiezioni, eventi, pubblicazioni e altre iniziative tese a far diffondere e valorizzare il patrimonio culturale nei settori della cultura cinematografica e dell’audiovisivo. iCine Magazzino del Cinema, laboratorio per immagini in movimento dell’associazione ICI VENICE, è referente del progetto scolastico Atmosfere Sonore, in collaborazione con il Liceo Artistico Guggenheim di Mestre. Nell’estate scorsa ha organizzato A Brighter Summer Day, rassegna cinematografica d’essai diffusa in vari luoghi di Venezia che ha visto la proiezione di più 15 film nel solo mese di luglio 2020, suddivisi in tre retrospettive e una mostra monografica dedicata alla cineasta Shirley Clarke. «Rebels from the East/West» Fino 5 dicembre V-A-C Zattere retecinemainlaguna@gmail.com
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a cura di Loris Casadei
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E fu il colore L’introduzione del colore nel mondo del cinema ha una storia tortuosa, costellata da una miriade di invenzioni, brevetti e tentativi artigianali, tutti finalizzati a mostrare allo spettatore delle immagini realistiche. Se già nel periodo del muto la pellicola veniva colorata con vari espedienti (imbibizione, viraggio, mordenzatura, colorazione a mano e pochoir), con il passare degli anni vennero usati procedimenti sempre più sofisticati. Si è passati dalla sintesi additiva in bicromia, ad esempio l’inglese Kinemacolor, usato dall’italiano Luca Comerio, a quella in tricromia e con supporti ad elementi lenticolari o a reticolo colorato, come il Dufaycolor, a procedimenti a sintesi sottrattiva a due o
tre colori. In Italia la sperimentazione sul colore inizia soprattutto sui cortometraggi: proiettati assieme ai lungometraggi, avevano diritto al 3% dell’incasso. Dopo la legge del 1947 che attribuiva un ulteriore 2% per meriti artistici si impose il colore come ‘valenza artistica’ per meri fini economici e non come scelta stilistica. Quindi vi fu un proliferare di cortometraggi a colori a partire da Ceramiche umbre di Glauco Pellegrini girato con pellicola Ferraniacolor e presentato alla Mostra di Venezia del 1949: vi fu un tentativo di colorazione già in un documentario del 1940 L’ebbrezza del cielo di Giorgio Ferroni dove il finale venne girato con il sistema inglese Dufaycolor. Molti registi, che non apprezzavano i colori troppo sa-
turi della pellicola della Ferrania, optavano per la belga Gevaert G. 30 che tendeva, però, al pastello. È del 1950 il primo lungometraggio 16mm a colori, Mater Dei, girato con il sistema Ansco Color: due anni dopo uscirà Totò a colori in Ferraniacolor. A ottobre una rassegna alla Casa del Cinema si focalizza su questo interessante argomento cinematografico. Andrea Zennaro «Il cinema italiano scopre il colore» Fino 27 ottobre Videoteca Pasinetti
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Venuti dallo spazio Nuovi, antichissimi modelli urbani Quasi cinquant’anni fa fu pubblicato il rapporto intitolato The Limits to Growth (1972), tradotto in italiano come I limiti dello sviluppo. Il lavoro era stato commissionato al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston dal Club di Roma, un’istituzione non strutturata e di estrazione non radicale, fondata nell’aprile del 1968 dall’imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King insieme a premi Nobel e leader politici e intellettuali, che cercava alternative per la soluzione dei problemi ambientali e sociali allora emergenti. Il 14 ottobre L’ultima chiamata di Enrico Cerasuolo racconta altri particolari di quella vicenda, per la rassegna Paesaggi che cambiano
della Fondazione Benetton. Una settimana più tardi ecco Citizen Jane di Matt Tyrnauer: nel 1960 Jane Jacobs, con il suo libro The Death and Life of Great American Cities, scosse il mondo dell’architettura e della pianificazione criticando il modello di sviluppo delle città moderne a favore del recupero a misura d’uomo dei nuclei urbani ed enfatizzando il ruolo di elementi quali la strada, il marciapiede, l’isolato, il parco di quartiere. Una concezione urbana attualissima, che ha molto a che fare con quell’idea di prossimità e vicinanza di cui si parla e si dibatte ovunque, specialmente dopo il lockdown mondiale ma che, in realtà, ancora stenta a imporsi. Jacobs, cittadina, attivista e scrit-
trice visionaria, portò avanti idee controcorrente impegnandosi in prima persona nella sua New York per la difesa di molti luoghi vissuti e amati dai cittadini, da quelli iconici come Washington Square Park ai piccoli spazi anonimi di quartiere, tutti messi in pericolo da spregiudicate operazioni di rinnovamento urbano del tutto estranee agli stili di vita e ai desideri degli abitanti. «Paesaggi che cambiano» 14, 21 ottobre Auditorium Spazi Bomben-Treviso www.fbsr.it
Il paesaggio che ho dentro
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L’alba di un nuovo cinema
Molecole di Andrea Segre ha inaugurato l’edizione 77 della Mostra internazionale d’Arte Cinematografica del Lido. Dedicato ad una Venezia inedita, resa deserta dal lockdown, mostra personaggi e luoghi, ma non dimentica di parlare del regista e del suo lavoro. Se dovessimo individuare le tendenze del cinema contemporaneo, favorite e rese possibili dalle ‘nuove’ tecnologie digitali, oltre al rapporto sempre più stretto tra film e videoarte, indicheremmo sicuramente la continua contaminazione tra forme. E queste si manifestano con insistenza sopratutto nelle autobiografie, nei ritratti e nei diari, categoria nella quale farei ricadere Molecole. Dal punto di vista teorico forse occorrerebbe tornare a Michail Bachtin nel suo Estetica e romanzo. Al cinema ha goduto di una buona notorietà La lunga vacanza di Johan Van der Keuken del 2000. Il regista, scoperto un male incurabile, decide di lasciare un suo testamento, un reportage di viaggio al termine della vita tra Oriente e Africa riprendendo i suoi incontri con una piccola telecamera portatile. Seguono molti altri tra i quali, non dimenticabili, 365 Days Project del 2007 di Jonas Mekas, con un breve filmato per ogni giorno dell’anno e Kim Ki-Duk con Arirang del 2011. Il regista si autointervista sul timore della morte. Ma, spettatore di Molecole, non potevo non riandare a Les plages d’Agnès o a Les glaneurs et la glaneuse di Agnes Varda. Il primo film è del 2008 ed inizia con un significativo passo del gambero della regista sulla spiaggia per iniziare i suoi ricordi, così come l’uso degli specchi, per vedere non solo solo ciò che ci sta di fronte, ad iniziare dal nostro viso, ma anche ciò che è dietro di noi. La regista li definisce “documentari soggettivi”, un affresco di vita, della sua vita, ma anche di tutto ciò che la circonda e l’ha circondata. Gli uccelli in volo di Marey e i gabbiani sulla liscia laguna veneta, le immagini di vegetali, calli o piccole rues, albe e tramonti, inserimenti di video sulla vita familiare, interviste di personaggi che emergono solitari indicano una scuola che probabilmente avrà ancora molto da dire.
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LUMIÈRE FILM FESTIVAL
FESTA DEL CINEMA DI ROMA
TRIESTE SCIENCE + FICTION FESTIVAL
TORINO FILM FESTIVAL
Dopo aver lasciato il segno ai festival di Angoulême, Deauville e San Sebastián, i film della selezione ufficiale del Festival di Cannes 2020 faranno tappa al Lumière Film Festival di Lione dal 10 al 18 ottobre. Nel corso di otto giorni dedicati alla celebrazione del cinema passato e presente, il pubblico e gli addetti ai lavori potranno assistere alle anteprime dei 23 film del concorso alla presenza di attori e membri della troupe. La rassegna di Lione sarà anche l’occasione per celebrare il ventesimo anniversario di In the Mood for Love di Wong Kar-wai, incluso nella sezione Cannes Classics: presentato in concorso nel 2000, il film vinse tra l’altro il premio per il miglior attore protagonista, Tony Leung. In programma anche celebrazioni per il sessantesimo anniversario di Breathless e L’Avventura, omaggi a grandi registi come Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini, il primo film di Joan Micklin Silver (a cui Lumière 2020 dedica una retrospettiva), il primo lungometraggio di Juliet Berto, per riflessioni che spaziano dal cinema di una volta al mondo di oggi, con il primo film di Melvin Van Peebles, un film su Charlie Chaplin che sicuramente farà la storia, un Bruce Lee rivisitato e altre gemme imperdibili.
Se, per stessa ammissione del direttore artistico Antonio Monda e degli addetti ai lavori, risulta difficile parlare di “festa”, un grande applauso deve essere fatto solo per volerci essere ed essere riusciti a organizzare un’edizione per forza di cose ‘straordinaria’. Mai come quest’anno il disegno della Festa mescola la cultura alta con quella popolare: al film su Francesco Totti, e all’Incontro Ravvicinato con il grande campione, si alterna una magnifica pellicola sperimentale come Marino y Esmeralda, mentre a Stardust, il film su David Bowie, si alternano le tre magnifiche opere di Steve McQueen, Lovers Rock, Mangrove e Red, White and Blue. Tra gli incontri italiani ci sarà quello con Gianfranco Rosi, che racconterà il suo modo unico – e straordinario – di fare cinema; Gabriele Mainetti, che mostrerà in anteprima mondiale le sequenze iniziali del suo attesissimo film Freaks Out, e i Manetti Bros, che a loro volta mostreranno in anteprima alcune scene dell’altrettanto atteso Diabolik. Le sezioni sono rimaste inalterate, ma i luoghi della Festa sono ulteriormente aumentati: oltre agli appuntamenti ormai stabili con il MAXXI, la Casa del Cinema, il Macro e il Palladium, quest’anno la programmazione avverrà in numerosi altri luoghi in tutta la città.
Il più importante evento italiano dedicato all’esplorazione della fantascienza e del futuro in programma dal 29 ottobre al 3 novembre dal vivo nel capoluogo giuliano e online su MYmovies, conferma anche per la 20° edizione Education Program, il progetto dedicato a studenti, famiglie e insegnanti con un ricco calendario di eventi dal vivo e online a ingresso gratuito. Educazione significa crescita, consapevolezza, trasformazione, capacità di immaginare il futuro. L’Education Program (EP), il progetto di educazione nato in seno al centro ricerche e sperimentazioni cinematografiche e audiovisive La Cappella Underground di Trieste è lo spazio in cui lo studio di saperi e pratiche, sostenuto da un approccio multidisciplinare, consente di intervenire sul cambiamento e il benessere di bambini, ragazzi e adulti. Il suo strumento “di lavoro” sono le immagini, la cui natura riflessiva facilita l’esplorazione profonda delle identità, personali e collettive, delle relazioni, della realtà e delle direttrici del tempo, in tutta la loro complessità. Completa l’Education Program del Trieste Science+Fiction Festival uno speciale percorso di visione di film sulla piattaforma MYmovies che consentirà a ragazzi e famiglie di conoscere alcuni dei più affascinanti lungometraggi in concorso.
«Di fronte all’alternativa di far saltare il Festival per gli enormi problemi del momento attuale abbiamo deciso di reinventarci – spiega il direttore Stefano Francia di Celle – ponendoci come massima preoccupazione il rispetto del lavoro dei produttori, dei distributori e degli esercenti che vogliamo promuovere. Le sezioni saranno rafforzate e semplificate ed è stato ridotto il numero dei film». Ad aprire il festival, il 20 novembre, sarà Ballo ballo, commedia musicale costruita sulle note dei più grandi successi di Raffaella Carrà che segna l’esordio nel lungometraggio del regista uruguaiano Nacho Álvarez. Un anno con Godot, opera seconda del regista francese Emmanuel Courcol, è invece il film che il 28 novembre chiuderà la manifestazione. Il film, nella selezione ufficiale dell’ultimo Festival di Cannes, è una commedia ispirata a un’incredibile storia vera. Prodotto da Dany Boon (Giù al Nord) e Robert Guédiguian, diretto da Emmanuel Courcol (sceneggiatore di Welcome e Nel nome della terra), ha per protagonista un attore di teatro (Kad Merad) che per sbarcare il lunario accetta di tenere un seminario in carcere. Il 38° Torino Film Festival celebra poi Franca Valeri proponendo l’anteprima mondiale di Zona Franca, un inedito ritratto della “signora dello spettacolo” appena scomparsa, realizzato da Rai Teche e firmato da Steve Della Casa.
10-18 ottobre www.festival-lumiere.org
15-25 ottobre www.romacinemafest.it
29 ottobre-3 novembre www.sciencefictionfestival.org
20-28 novembre www.torinofilmfest.org
CA’ FOSCARI SHORT FILM FESTIVAL
Il cortometraggio DceraDaughter di Daria Kashcheeva è il vincitore del Concorso Internazionale della decima edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival, il primo festival in Europa interamente organizzato e gestito da un’università, che per la prima volta quest’anno si è “diffuso” in tutta la città di Venezia, con proiezioni che si sono svolte, oltre che allo storico Auditorium Santa Margherita, anche in sedi come la Fondazione Ugo e Olga Levi, il Centro Candiani del Comune di Venezia, la Fondazione Querini Stampalia, la Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ D’Oro, il Museo di Palazzo Grimani, il Museo Archeologico Nazionale, la Fondazione Bevilacqua La Masa, il Concilio Europeo dell’Arte In Paradiso Art Gallery e l’Hotel NH Venezia Rio Novo. La cerimonia di chiusura della decima edizione è stata inaugurata dalla neo-rettrice dell’Università Ca’ Foscari di Venezia Tiziana Lippiello, che ha conferito il Ca’ Foscari Honorary Fellowship a Dario Argento, collegato in videoconferenza e impegnato a rimarcare innanzitutto l’importanza di osare, che sia con la macchina da presa, con le storie («Che i critici all’inizio pensavano fossero sciocchezze»), con la musica o con i colori. cafoscarishort.unive.it
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LASCIAMI ANDARE
Regia di Stefano Mordini Con Stefano Accorsi, Valeria Golino, Maya Sansa, Serena Rossi, Lino Musella, Antonia Truppo
A MOSAIC OF STYLES & ARTS
ACH OF THE TEN ROOMS IS CHARACTERIZED BY A PRECISE IDENTITY. DURING THE RESTORATION, THE HISTORY AND TRADITIONS OF VENICE WERE CAREFULLY PRESERVED, AND ARE NOW ENHANCED BY THE MODERN DESIGN OF THE SELECTED FURNISHINGS AND FABRICS.
COSA SARÀ
Regia di Francesco Bruni Con Kim Rossi Stuart, Lorenza Indovina, Barbara Ronchi, Giuseppe Pambieri, Fotinì Peluso
Regia di Peter Marcias Con Paola Cortellesi
77. Mostra del Cinema 77. Mostra del Cinema
Marco e la compagna Anita aspettano un bambino. La gravidanza della donna è per Marco motivo di gioia, soprattutto dopo la tragedia vissuta con la sua prima moglie. I due, infatti, hanno perso un figlio a causa di un incidente domestico e in seguito hanno divorziato, abbandonando la casa in cui avevano visto morire il loro bambino… Dall’8 ottobre
Bruno Salvati di lavoro fa il regista, ma non di certo uno di quelli dalla carriera sfavillante. Recentemente si è separato da sua moglie Anna, madre dei suoi figli Adele e Tito. La sua vita viene scossa da un triste colpo basso: è affetto da una patologia e ha bisogno assolutamente di un donatore… Dal 24 ottobre
CARO DIARIO
Regia di Alessandro Rossellini
Regia di Nanni Moretti Con Nanni Moretti, Giovanna Bozzolo, Sebastiano Nardone, Antonio Petrocelli, Carlo Mazzacurati
THE ROSSELLINIS
Prima donna dell’Italia repubblicana a ricoprire la presidenza della Camera dei deputati. Nilde Iotti viene raccontata tramite immagini di repertorio e parole di chi l ‘ha conosciuta. La voce narrante di Paola Cortellesi accompagna questa scoperta, leggendo i pensieri trascritti dalla stessa Iotti. Dal 9 novembre IL CATTIVO POETA
Regia di Gianluca Iodice Con Sergio Castellitto, Francesco Patanè, Tommaso Ragno, Fausto Russo Alesi, Clotilde Courau
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Il film è diviso in tre episodi distinti. Nel primo il protagonista gira in Vespa per le vie di una Roma estiva. Nel secondo decide di raggiungere un amico a Lipari. Nell’ultimo, ricostruisce le tappe della lotta contro la malattia di cui ha sofferto per un anno. Dal 12 ottobre MI CHIAMO FRANCESCO TOTTI
Alessandro, primo nipote del leggendario cineasta, avvertendo il peso di un cognome artisticamente così importante decide di realizzare il suo primo film, incentrandolo proprio sulla sua famiglia. I sui parenti si sono ritrovati a essere i protagonisti non solo di una documentario, ma anche di una terapia di gruppo… Dal 26 ottobre I AM GRETA
Regia di Nathan Grossman
Regia di Alex Infascelli Con Francesco Totti
77. Mostra del Cinema
HOTEL HEUREK A T +39 0 41 5 24 6 4 60 WWW.HOTEL-HEUREKA.COM
NILDE IOTTI. IL TEMPO DELLE DONNE
Documentario sullo storico capitano della Roma, che nelle ore antecedenti al suo addio al calcio ripercorre la sua vita e la sua carriera. Tra momenti calcistici importanti, ricordi e scene più intime, Francesco racconta se stesso come uomo e come calciatore. Dal 19 ottobre
Un ritratto della studentessa svedese che ha inizio sin dalle prime proteste avviate nell’agosto del 2018 nel suo Paese, quando 15enne aveva cominciato uno sciopero della scuola con un sit-in di fronte al Parlamento chiedendo di ridurre l’emissione di anidride carbonica… Dal 2 novembre
1936. Giovanni Comini è stato appena promosso federale, il più giovane che l’Italia possa vantare. Dovrà sorvegliare Gabriele d’Annunzio e metterlo nella condizione di non nuocere e mandare all’aria l’imminente alleanza con la Germania di Hitler... Dal 12 novembre SI VIVE UNA VOLTA SOLA
Regia di Carlo Verdone Con Carlo Verdone, Anna Foglietta, Rocco Papaleo, Max Tortora, Mariana Falace
Il professor Umberto Gastaldi, la grintosa strumentista Lucia Santilli, l’anestesista Amedeo Lasalandra e il suo assistente Corrado Pezzella, grande donnaiolo. Professionisti ed esperti, ma anche divertenti e abili ideatori di scherzi: la loro vittima preferita è Amedeo, permaloso e abbastanza ingenuo da credere un po’ a tutto… Dal 26 novembre
Teatro Goldoni Venezia Programma Ott → Dic 2020
teatrostabileveneto.it
29 Ott → 01 Nov 2020 Ugo Pagliai e Paola Gassman Romeo e Giulietta Una canzone d’amore
L’inossidabile coppia in un’inedita versione della storia d’amore per eccellenza
03 → 06 Dic 2020 Carlo Goldoni/ Valter Malosti I due gemelli veneziani
Tradizione e contemporaneità per una perfetta macchina di divertimento
10 → 13 Dic 2020 Rocco Papaleo Peachum
Un’epopea al rovescio dedicata all’antieroe de L’opera da tre soldi
prosa, danza, cabaret drama, ballet, cabaret
:theatro Su il sipario!
Ring up the curtain!
Photo Eleonora Cavallo
«Il teatro vive e quindi apre. Il tea-
tro aperto è un segnale di speranza che si possa tornare al più presto a una situazione di normalità. In base alle disposizioni in arrivo con il nuovo Dpcm non sappiamo ancora di quanto potrà essere la capienza delle nostre sale. Anche se dovessero essere solo pochi posti noi apriremo lo stesso, resteremo in trincea perché siamo un teatro pubblico, quindi al servizio del territorio». Con queste parole, che non nascondono un quanto mai necessario spirito combattivo, il presidente Teatro Stabile del Veneto Giampiero Beltotto ha aperto la conferenza di presentazione della nuova Stagione che prenderà il via da fine ottobre, per proseguire poi fino a dicembre, al Teatro Goldoni di Venezia, al Verdi di Padova e al Teatro Mario del Monaco di Treviso. Per garantire la massima sicurezza ai propri spettatori, nel rispetto dei provvedimenti del Governo, la direzione dello Stabile si è avvalsa della consulenza del professor Palù, uno dei maggiori virologi italiani che «ha fornito la sua consulenza per l’elaborazione di un piano di prevenzione dei contagi, così da far lavorare in tranquillità i dipendenti a contatto con il pubblico e anche tutte le maestranze che dietro le quinte fanno sì che lo spettacolo vada in scena», ha chiarito Beltotto. Non resta dunque che prendere finalmente posto in platea con la massima serenità, e attendere che il sipario si alzi su questa tanto sospirata stagione. Al centro del programma della rassegna di prosa degli ultimi mesi del 2020 troviamo le produzioni dello Stabile del Veneto: a inaugurare le stagioni del Teatro Goldoni il 29 ottobre e del Teatro Mario Del Monaco il 20 novembre è lo spettacolo Romeo e Giulietta. Una canzone d’a-
more, co-produzione con lo stabile di Bolzano che sarà in scena anche a Padova dall’11 al 15 novembre, proposta dalla compagnia Babilonia Teatri. In questa originale versione del classico shakespeariano la celeberrima storia d’amore è affidata a Ugo Pagliai e Paola Gassman, inossidabile coppia sul palco e nella vita. «Quando abbiamo deciso di mettere in scena Romeo e Giulietta avevamo chiare due scelte: gli unici personaggi di Shakespeare presenti nello spettacolo sarebbero stati Romeo e Giulietta e a interpretarli sarebbero stati due attori anziani – si legge nelle note di regia – Le scene in cui Romeo e Giulietta s’incontrano e dialogano, isolate dal resto del testo, assurgono a vere e proprie icone di un amore totale e impossibile. Il fatto che a pronunciarle siano Paola Gassman e Ugo Pagliai, coppia da più di cinquant’anni, le rende commoventi e profonde. Le rende concrete e per quanto poetiche non suonano mai auliche». Quella offerta da Babilonia Teatri è una riflessione dai contorni assolutamente informali, dove trovano spazio approfondimento e leggerezza. Attori e registi si confrontano a viso aperto, condividendo col pubblico le domande che le parole del Bardo hanno fatto sorgere durante la costruzione dello spettacolo. È un confronto che vuole aprire degli squarci nel testo, per scoprirne la vertigine e la follia, la violenza e la bellezza. L’intento è provare a immaginare cosa Shakespeare non ha scritto, tra canzoni d’amore cantate in playback, lanci di coltelli, e balli illuminati solo da lucciole magiche che appaiono e scompaiono tra le mani degli attori. Romeo e Giulietta 29 ottobre-1 novembre Teatro Goldoni; 11-15 novembre Teatro Verdi-Padova; 20-22 novembre Teatro Mario del Monaco-Treviso - www.teatrostabileveneto.it
“Theatres live
, theatres open. An open theatre is a signal of hope that we may soon get back to normalcy. Whatever restrictions might be put in place, we will open, we will fight because we are a public theatre, hence at the service of our community.” With these words, the President of Teatro Stabile del Veneto Giampiero Beltotto opened the conference on the new programme at his theatre, which will start in late October. To guarantee safety for audience and professionals, the theatre hired virologist Giorgio Palù to help devise a plan of action. At the centre of the programme is prose: opening the season at Teatro Goldoni on October 29 is Romeo e Giulietta. Una canzone d’amore, a production of Babilonia Teatri. In this original rendition of the Shakespearean classic the most famous love story in the world is entrusted to the skill of Ugo Pagliai and Paola Gassman. “When we decided to stage Romeo & Juliet we were adamant on two choices: the only characters from the original play would have been those two, and two older actors would play them. The scenes where Romeo and Juliet meet and talk, isolated from the rest of the script, rise up to become icons of total, impossible love. The fact that Paola Gassman and Ugo Pagliai, a couple since over fifty years, read those lines make them deeply touching. It makes them real and, while poetic, never go as far as elegiac.” The production of Babilonia Teatri is a reflection in informal terms, with space for thought as well as for lightness. Actors and directors work sincerely and share with the audience the doubts that William Shakespeare raised with his words: vertigo, folly, violence, and beauty.
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Il gioco dell’attore
L’attesa è finita
I due gemelli veneziani: Goldoni secondo Malosti
Al Multisala Pio X di Padova ritorna la rassegna Arti Inferiori
Al suo primo incontro con Carlo Goldoni, il regista Valter Malosti si cimenta con I due gemelli veneziani, «una gran macchina di divertimento con un intreccio trascinante fatto di duelli, amori e disamori, fughe, prigioni, ritrovamenti – si legge nelle note di regia – Ma è anche una farsa nera, inquietante, sulla famiglia, l’identità, l’amore (anche brutale) e la morte». Scritta nel 1747, prima della Riforma goldoniana, è legata al modello della Commedia dell’Arte e «rivela gli ultimi lampi di quella grazia eversiva degli attori (dell’Arte) che tra la fine del ‘500 e la fine del ‘700 dominarono le scene europee. La loro forza risiedeva in una tecnica magistrale che combinava l’improvvisazione, i ruoli multipli, la maschera, un uso del corpo che potrebbe ricordarci la danza contemporanea, il ritmo, la capacità di cambiare mille registri vocali». Ne I due gemelli si trovano i germogli di quello che sarà il teatro goldoniano, l’attenzione alla società e agli uomini, in quel “gran teatro del mondo” che è fonte di ispirazione, dove il sorriso è reso amaro dagli umori di una società cinica e fredda, animata dall’interesse economico, dall’egoismo e dall’ipocrisia. In scena al Teatro Goldoni dal 3 al 6 dicembre, I due gemelli è una produzione Teatro Stabile del Veneto, TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Metastasio di Prato, Luganoinscena.
Photo Tommaso Le Pera
I due gemelli veneziani 3-6 dicembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it
È stata una lunga attesa ma la voglia di ricominciare e recuperare il tempo perduto è davvero tanta. Così, mentre stanno riaprendo le porte dei teatri, torna da vivo anche la rassegna di teatro contemporaneo Arti Inferiori al Multisala Pio X – MPX di Padova con cinque spettacoli in programma tra ottobre e dicembre per recuperare quelli sospesi nella stagione scorsa. Si comincia giovedì 8 ottobre con l’imprevedibile pièce della compagnia Elsinor, Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, in cui attori, interpreti e pubblico vivono un’esperienza unica e irripetibile grazie alla presenza di personaggi che cambiano a ogni replica. Il secondo appuntamento è il 22 ottobre, con La Scimmia di Giuliana Musso, liberamente ispirato a Una relazione per un’accademia di Franz Kafka. Nello spettacolo la Musso sceglie di allontanarsi da Kafka per avvicinarsi a temi più antropologici e in particolare, affronta l’adattamento dell’individuo ad un sistema culturale violento, dominante, pericoloso, «in questa mia scrittura la trasformazione della scimmia in umano diviene chiara metafora dell’iniziazione dell’individuo al sistema culturale patriarcale. La conquista della razionalità è descritta come perdita di sé, di autenticità, di coerenza, perché è una razionalità che essenzialmente reprime i bisogni primari degli
individui». Il 7 e l’8 novembre va invece in scena Segnale d’allarme – La mia battaglia VR di Elio Germano e Chiara Lagani, ovvero la trasposizione in realtà virtuale del celebre spettacolo dell’attore romano, tratto dalla traduzione italiana di Mein Kampf di Adolf Hitler. Coinvolto in uno dei primi esperimenti di mondiali di teatro in realtà virtuale, lo spettatore, dotato di visore, sarà portato a piccoli passi a confondere immaginario e reale, immergendosi nell’opera e diventandone parte egli stesso. Giovedì 12 novembre, Anagoor con Rivelazione – sette meditazioni intorno a Giorgione accompagna il pubblico in un viaggio alla scoperta di una delle figure più misteriose ed emblematiche della storia dell’arte. La compagnia, Leone d’Argento della Biennale Teatro 2018, indaga il mistero di Giorgione osservando la costellazione delle sette sorelle, le Pleiadi: «Volgiamo lo sguardo verso questa ideale costellazione. Per ciascun astro una meditazione. Silenzio, natura umana, desiderio, giustizia, battaglia, diluvio e tempo sono i temi che nutrono le sette contemplazioni di altrettante opere di Giorgione…». Infine, sabato 5 dicembre il duo Musica Nuda di Petra Magoni & Ferruccio Spinetti presenta Turandó, scritto e diretto da Marta Dalla Via. «Arti Inferiori» 8 ottobre-5 dicembre Multisala Pio X MPX-Padova - myarteven.it
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La verità nascosta
Evitare l’irreparabile
Ettore Bassi e Simona Cavallari in un intrigante testo di Zeller
Ambra Angiolini e Ludovica Modugno combattono il bullismo in scena
Il Teatro Toniolo riparte e recupera gli spettacoli sospesi nella stagione 2019/2020 a causa dell’emergenza sanitaria. Il programma si rimette in marcia e propone sei opere, avviando il motore d’accensione con il dramma Mi amavi ancora… di Florian Zeller, interpretato da Ettore Bassi, Simona Cavallari, Malvina Ruggiano e Giancarlo Ratti. Giovane romanziere, talentuoso drammaturgo e da quest’anno anche regista esordiente al grande schermo con The Father, presentato al Sundance Film Festival e ancora in uscita, Zeller dà conferma della propria vocazione anche in questa nuova opera teatrale. Il «Times» l’ha definito “the most exciting playwright of our time” e il regista della pièce
in scena al Toniolo, Stefano Artissunch, concorda: «Non mi capita spesso di leggere un testo teatrale e arrivare a commuovermi». Artissunch definisce l’opera come una scrittura raffinata, ricca di colpi di scena e densa di umorismo, in cui tuttavia sono incanalati dolore e paura, che sorgono da un’incertezza che accomuna tutto l’umano eppure non è mai banale, l’incertezza che la conoscenza e la familiarità di una persona non sia mai senza macchia. È quello che accade ad Anne, protagonista dello spettacolo, quando rinviene la bozza di una commedia incompiuta del marito Pierre, scrittore e drammaturgo morto in un incidente d’auto. Il testo, che narra di un uomo sposato, scrittore, innamorato di
una giovane attrice, si trasforma in terribile tradimento nella mente della vedova. Nasce in lei la brama di verità per un’infedeltà forse solo illusoria e alimentata dal dolore del lutto. Nella ricerca febbrile dell’amante-nemica, Anne percorre un labirinto di paure, ricordi, smarrimento, risate e immaginazione, «dove il passato e il presente giocano a nascondino come la verità e la menzogna» (S.A.). Federica Cracchiolo Mi amavi ancora… 21-29 ottobre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
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Le Divine Laura Morante diventa Tosca passando per Sarah Bernhardt Ad ottobre è ripartita la Stagione teatrale del Toniolo di Mestre, dal programmatico titolo Il Teatro Toniolo riparte: sei spettacoli “a misura Covid” – monologhi o comunque pochi attori in scena – pensati per recuperare la stagione passata, interrotta bruscamente dall’emergenza sanitaria. Dal 25 novembre al 6 dicembre va in scena Io Sarah, io Tosca, “opera per voce recitante e pianoforte” in cui Laura Morante è Sarah Bernhardt, l’attrice a cui Victorien Sardou dedicò La Tosca, il celebre dramma trasformato in libretto da Luigi Illica e Giuseppe Giacosa e messo in musica da Giacomo Puccini. La Bernhardt, tra le più grandi attrici teatrali (e anche cinematografiche) del XIX secolo, è
la voce narrante dello spettacolo: ormai costretta su una sedia per via di un incidente in palcoscenico, rilegge il ruolo di Tosca e ricorda le vicende personali che hanno ispirato la storia tragica del triangolo amoroso composto dalla cantante Floria Tosca, dal pittore liberale Mario Cavaradossi e dal barone Scapia, capo della polizia papalina, nella Roma del 1800. La realtà e la finzione finiscono per mescolarsi in un gioco di specchi che coinvolge parole e musica e che unisce la leggenda del personaggio con il respiro del cuore pulsante di una donna esistita per davvero, il tutto evocando anche una terza, complessa e indimenticabile artista indissolubilmente legata al capolavoro pucciniano:
Maria Callas. In scena con Laura Morante c’è anche Mimosa Campironi, attrice e musicista, autrice del testo e impegnata al pianoforte nell’esecuzione dei brani da lei stessa composti per il melologo. Lo spettacolo, diretto da Daniele Costantini, è una produzione Nuovo Teatro che ha visto la luce nel corso del Macerata Opera Festival 2020 come Madame Tosca, per poi diventare Io Sarah, Io Tosca. Livia Sartori di Borgoricco Io Sarah, Io Tosca 25 novembre-6 dicembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
Photo Serena Serrani
Sta tutto lì, appena il sipario si apre, in quell’aula scolastica ingobbita al centro, con quella sorta di collina nel mezzo che rende precario l’equilibrio di banchi, sedie, personaggi. Si capisce subito che non ci sarà niente di facile o di comodo nel dialogo serrato tra la professoressa di scuola media e la madre di un alunno che ha ricevuto un provvedimento di sospensione. L’incontro genitoredocente si svolge in tempo reale: mio figlio è stato sospeso, è tornato a casa con un invito a presentarmi qui da lei e il corpo pieno di lividi. Perché? È stato vittima di bullismo? O il bullo è lui? O, ancora, è l’insegnante, ad averlo trattato come non si dovrebbe? Sta qui “il nodo” del titolo, e scioglierlo – o meglio, reciderlo, perché di nodo gordiano si tratta – sarà durissimo, una discesa agli inferi, un confronto implacabile tra le due donne, figure tragiche, che trascina con sé dolore, infinito smarrimento e soffocante senso di colpa. Il testo della drammaturga americana Johnna Adams, tra i più interessanti della sua generazione, contemporaneo ed essenziale, scardina il caso particolare per rivolgersi all’universale, si pone le domande assolute – come nelle tragedie greche – cercando le cause e non gli effetti: quali sono le responsabilità educative dei genitori e quali quelle delle istituzioni? Di chi è la colpa se i nostri
figli si trasformano in vittime o carnefici? Com’è possibile si possa scatenare una violenza tale da indurre un ragazzo o una ragazza a uccidersi? Dove sbagliamo? Chi sbaglia? Di chi è la responsabilità? Tutti questi interrogativi e molti altri sono amplificati dal medium teatrale, perché se è vero che il mondo dei social ci propone quasi ogni giorno contributi sul tema, è altrettanto vero che è propria del palcoscenico la capacità di mettere a nudo, nella sintesi e nell’intensità che lo contraddistinguono, le più profonde contraddizioni dell’uomo e le ragioni ultime del suo agire. Su Facebook ci può capitare di vedere il video di un singolo episodio, a teatro invece una madre e una professoressa diventano tutti noi come singoli individui e tutti noi come società e ci pongono di fronte alle nostre responsabilità: per ogni ragazzo ferito, umiliato, ma anche per chi umilia e ferisce, siamo noi ad essere sconfitti, come individui e come società, nostra è la responsabilità, nostri la pena e il dolore. Ambra Angiolini e Ludovica Modugno, dirette da Serena Sinigaglia, portano in scena non già un testo teatrale sul bullismo, ma soprattutto un confronto senza veli sulle ragioni intime che lo generano. Livia Sartori di Borgoricco Il nodo 11-22 novembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it
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Un autentico tesoro
Sulla strada del ritorno
Massironi e Citran, se gli opposti si attraggono…
Anna Zago e Andrea Pennacchi chiudono il 73. Ciclo di Spettacoli Classici
Il Teatro di Mirano riapre le proprie porte il 21 e il 22 ottobre con il recupero dello spettacolo Opera XXX – I semi della follia di TeatroImmagine, che catapulta L’affaire de rue de Lourcine, opera del 1857 di Eugene Labiche, nella Venezia dell’epoca post Beatles degli anni ‘70, tra vaudeville e Commedia dell’arte. L’11 e il 12 novembre, l’atteso appuntamento – finale della scorsa stagione rinviato causa Covid – con due attori molto amati dal pubblico, Marina Massironi e Roberto Citran, interpreti magistrali del dramma comico di Stephen Sachs, Le verità di Bakersfield, per la regia di Veronica Cruciani. Al centro della brillante commedia del drammaturgo statunitense, ispirata a fatti realmente accaduti, troviamo due destini, due vicende umane lontanissime che s’incrociano sullo sfondo di un’America spaccata da forti divari sociali. Maude, barman cinquantenne disoccupata, vive emarginata in una roulotte e incarna perfettamente lo stereotipo dispregiativo del “white trash”. Lionel, invece, è un newyorchese, esperto d’arte di livello mondiale, abituato a frequentare la buona società. Un giorno, nel disordine della sua caotica casa-roulotte, Maude scova un possibile tesoro: un presunto quadro di Jackson Pollock, e sarà proprio Lionel a volare a Bakersfield per fare l’expertise dell’opera che, in caso di autenticazione, potrebbe cambiare completamente vita alla donna.
Photo Marina Alessi
«La Città a Teatro» 21, 22 ottobre; 11,12 novembre Teatro di Mirano www.miranoteatro.it
Crudele, infida, violenta, adultera e assassina: il prototipo dell’infamia femminile. Questo era Clitennestra per i greci: una kynopis, tradotto “faccia di cagna”. Un vero e proprio mostro. Uccide il marito e l’amante di lui a colpi di scure. Ma la sua storia, non tanto diversa da numerosi casi di donne criminali dei nostri giorni, offre lo spunto a importanti riflessioni sulla natura del diritto e della giustizia. Emarginata e confinata dal mito nel girone infernale dei colpevoli e dei reietti, Clitennestra rovescia questo gioco, sfrutta la nostra necessità di sentir perdonate le nostre colpe attraverso lo specchio oscuro delle sue. Noi torniamo da Clitennestra per liberarci dal male, mentre lei viene a noi e ci chiede, a sua volta, di liberarla. E in questo feroce, disperato rapporto, c’è tutto il senso sacro del teatro. Anna Zago rivisita il mito greco in modo rivoluzionario con Clitennestra. I morsi delle rabbia, nuova produzione di Theama Teatro, scritta e interpretata dalla Zago e realizzata con la consulenza artistica e la regia di Piergiorgio Piccoli. Lo spettacolo, presentato nel cartellone del 73. Ciclo di Spettacoli Classici, debutta in prima nazionale dal
16 al 20 ottobre, nel Giardino del Teatro Olimpico di Vicenza, ‘casa’ della rassegna diretta e curata da Giancarlo Marinelli, che proprio per questo numero abbiamo avuto il piacere di intervistare (vedi pp. 24-25). Naturalmente sempre sulle tracce dei classici, e altrettanto naturalmente proiettato nel contemporaneo, chiude il Ciclo, il 22 e 23 ottobre, Andrea Pennacchi con il suo Una Piccola Odissea, sempre in prima nazionale. Con il nuovo spettacolo, prodotto da Teatro Boxer, Pennacchi si muove proprio sul filo del tema dell’edizione 2020, il nostos, il ritorno a casa del più celebre eroe errante, ma anche il ritorno dell’autore veneto alla sua infanzia. «Sono venuto in possesso di una copia dell’Odissea abbastanza presto: quand’ero alle medie, mio padre gestiva lo stand libri alla festa dell’Unità del mio quartiere […] la pioggia aveva danneggiato una versione in prosa della Garzanti, e mio papà me la regalò. Non c’era differenza, per me, tra Tolkien e Omero, era una grande storia, anzi una storia di storie, in cui non faticavo a riconoscere le persone che amavo: mio padre che torna dal campo di concentramento, mia madre che aspetta, difendendosi dagli invasori, i lutti, la gioia». Se l’Odissea è il racconto dei racconti, la piccola Odissea è il gioco dei giochi. Ulisse come un padre operaio e gli eroi greci come un coro di figure familiari e antiche a un tempo; la storia di un bambino che diventa attore, e di un attore che torna bambino. Un racconto orale a più voci, che parte dalla capanna dei racconti del principe e guardiano dei porci Eumeo, dove inizia la riconquista di Itaca del prode Odisseo. «73. Ciclo di Spettacoli Classici» 16-20, 22-23 ottobre Teatro Olimpico-Vicenza www.tcvi.it
Inseguendo un sogno Si avvicina ai venti anni di attività questo festival di danza, che anche nell’attuale difficile periodo, vuole, già a partire dal nome Lasciateci sognare, lanciare il cuore oltre l’ostacolo e svolgere la sua mission: «creare contatto, confronto, scambio generazionale, opportunità di crescita o semplicemente l’opportunità di essere visti da operatori e critici e, per il pubblico, aprire la mente alla pluralità di linguaggi della danza». Anima e organizzatrice del festival è Gabriella Furlan Malvezzi, insegnante di danza, coreografa, con un impressionante palmares di premi e riconoscimenti, anche se lei preferisce definirsi “operatrice culturale”, proprio per l’attività prioritaria di facilitare la crescita di giovani artisti, che sempre con maggiore difficoltà trovano possibilità di esprimersi. La serata inaugurale al Teatro Verdi di Padova, lo scorso settembre, con cinque brani presentati da DANCEHAUSpiù centro di produzione della danza riconosciuto dal Ministero, è stata un buon esempio della struttura dell’intero Festival, che renderà Padova per oltre due mesi la “città della danza”. Evento centrale della rassegna, il 3 ottobre, la premiazione delle eccellenze della danza: Sfera d’oro ad Amedeo Amodio, dal Teatro dell’Opera di Roma alla Scala con Carla Fracci, nonché fondatore e primo direttore artistico di Aterballetto. Altra iniziativa tradizionale del Festival è la Vetrina di danza contemporanea, che il 4 ottobre propone estratti di opere di diverse compagnie operanti in Italia. Apre la serata, la presentazione del nuovo libro del guru della danza contemporanea italiana, Alessandro Pontremoli e di Gerarda Ventura, La danza, organizzare per creare (Feltrinelli). Evento da non perdere, domenica 11, De Homine della famosa compagnia parigina IFunamboli, diretta da Fabio Crestale. In linea con molta della produzione attuale, il brano affronta di temi sociali quali il bullismo e l’omofobia e della gerarchia che si stabilisce tra esseri umani sulla base dei comportamenti manifestati. La domenica successiva, 25 ottobre, doppio appuntamento con Danzare il sogno della compagnia Dance Sky Land, una coreografia di Monia Masiero sul percorso di vita dell’essere umano che dal basso si può elevare nella grazia e nella bellezza; e con Romanza di CIE Twain che presenta uno spettacolo per due interpreti, creato più di dieci anni fa da Loredana Parrella, oggi affidato a quattro danzatori che si alternano in un gioco di simbiosi, minimalismo fatto di ripetizioni, diventando un’esplosione ipnotica ed emotiva. Come ci ha insegnato La Ribot, Leone d’Oro alla Biennale 2020, la danza può essere impegnata, ma allo stesso tempo divertire. Non è da mancare in questo senso l’1 novembre a Beast Without Beauty di e con Carlo Massari e la compagnia C&C COMPANY, un brano dal sapore post-esistenzialista del teatro di Beckett. In chiusura di programma, un duetto dell’emergente giovane coreografa e danzatrice Jessica D’Angelo in un altro spettacolo a carattere sociale, αGLUTEN, produzione Artemis Danza in Coproduzione con La Sfera Danza, dedicato ai momenti di difficoltà e esclusione vissuti ogni giorno da chi soffre di celiachia. Nella stessa serata, l’8 novembre, anche Davide Valrosso in Who is Joseph, una produzione del Festival Oriente Occidente, Festival Kilowatt e Anghiari Dance Hub. Loris Casadei «Lasciateci sognare – Festival internazionale di danza» Fino 8 novembre Teatro Verdi e Teatro ai Colli-Padova www.lasferadanza.it
www.artecommunications.com
info@artecommunications.com
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C’è moda e moda
Venice in Silence Fotografie mute ma eloquenti, bellissime ma drammatiche, reali ma metafisiche, sono le incredibili immagini che compongono la raccolta Venice in Silece di Gaby Wagner, le cui passioni per la fotografia e per Venezia emergono prepotentemente dalle pagine del suo libro. «Il Coronavirus e il lockdown – racconta Gaby Wagner nella prefazione – hanno reso Venezia una città fantasma. Deserta e splendente durante il giorno, spettrale e colma di fascino la notte. Non ho potuto resistere all’opportunità di riscoprire, sotto questa nuova luce, la mia magica città, che amo profondamente. Ho fotografato la sua travolgente bellezza riflessa nel liquido specchio dei canali, la magnificenza e perfezione delle architetture gotiche e rinascimentali, la diversità e unicità delle facciate illuminate dal cielo intensamente blu e dal sole abbagliante, provando una gioia indescrivibile. Ascoltando il battito del mio cuore, camminavo, completamente sola, nella notte scura tra le calli strettissime in un silenzio misterioso, non percependo niente se non il rumore dei miei passi. Una vita surreale, in cui io mi trovavo al centro di tutta questa esaltante meraviglia, con il privilegio di avere solo per me un mondo colmo di fascino, a tratti inquietante ma bellissimo [...]». Gaby Wagner, Venice in Silence , Ediciones El Viso, 2020
Giornate particolari
Photo Roberto Rosa
Venezia è ancora di moda? Parto da que-
sta provocazione per introdurre Venice Fashion Week, permettendomi da subito un suggerimento: cambiarne il titolo e caratterizzarlo maggiormente secondo la naturale vocazione della città come luogo ad alto contenuto estetizzante. Fashion week ricorda l’effimero assoluto di un nugolo cospicuo di fashion victim continuamente alla ricerca di stupire e stupirsi con outfit sempre più estremi. Anche Re Giorgio, Armani, ha decretato la fine di questa follia riportando a un equilibrio le stagioni della moda,
di Marzio Fabi con meno collezioni e più riflessioni, perciò lascerei le fashion week alle vere capitali della moda. Tuttavia al di la delle sigle, il merito di Venezia da Vivere, nelle persone di Laura Scarpa e Lorenzo Cinotti, ideatori e organizzatori, è di aver dato all’evento identità culturale, contribuendo al dibattito internazionale sulla moda sostenibile, dando visibilità ai giovani talenti creativi, promuovendo designer e marchi nazionali e internazionali e impegnandosi a salvaguardare e promuovere l’alto artigianato veneziano con eventi, performance, sfilate di moda, conferenze e mostre che si svolgono in hotel, gallerie d’arte, boutique e atelier artigiani. Sin dalla sua fondazione la città sfida la storia, i corsi delle maree e le difficoltà logistiche, ed è un esempio di resilienza e inventiva che ha mantenuto e difende uno stile di vita a misura d’uomo. L’impegno di Venice Fashion Week è quello di promuovere Venezia come luogo per sperimentare nuovi stili di vita, città dell’Alto Artigianato e piattaforma di networking per aziende innovative
e per le eccellenze del territorio. Dal 22 al 31 ottobre un fitto programma di appuntamenti coinvolge la città con la parte creativa nelle botteghe, nelle sartorie e negli atelier aperti per l’occasione. Tuttavia in questo spazio vorrei poter parlare di una Signora della Moda, Luciana Boccardi, giornalista e profonda conoscitrice dei modi e delle mode intorno alla moda. La Boccardi, come è universalmente conosciuta e come è appellata anche nel titolo di un libro di Alda Vanzan a lei dedicato, rappresenta uno degli ultimi esempi di una venezianità colta, ironica ed elegante, che ha attraversato il periodo dei miti veri della moda e ha potuto toccare con mano e raccontare puntualmente il fervore creativo del made in Italy e dei grandi couturier internazionali. La Boccardi si rivolge con il tu al signor Armani, come viene chiamato da tutti i suoi collaboratori, questo basta a definire la portata del personaggio. È stata ed è ancora una firma di punta del «Gazzettino» e ha creato la rubrica Mode e Modi per la versione online del giornale. Nella settimana veneziana della moda viene presentato il suo ultimo libro Burlesque – Dizionario surreale per i tipi di La Musa Talia, con la prefazione di Arrigo Cipriani. Dice di sé: «Sono una fuori serie. Niente cerchi magici, in nessun caso della mia vita. Sono una fuori cerchio, con tutti i problemi e i vantaggi che questo può comportare. È stata una scelta precisa che ho dovuto in qualche caso pagare cara. Ma sono ancora qua, viva, attiva». «Venice Fashion Week 2020» 22-31 ottobre venicefashionweek.com
L’edizione 2020 delle Giornate FAI d’Autunno è dedicata alla sua fondatrice, Giulia Maria Crespi, scomparsa lo scorso luglio. Mille aperture a contributo libero in 400 città in tutta Italia, organizzate per la prima volta in due fine settimana, il 17 e 18 e il 24 e il 25 ottobre. Anche quest’anno promotori e protagonisti sono i Gruppi FAI Giovani, ideali eredi e testimoni dei valori che per tutta la vita hanno guidato la Fondatrice e Presidente Onoraria del FAI – Fondo Ambiente Italiano: l’inesauribile curiosità, la voglia di cambiare il mondo e l’instancabile operosità per un futuro migliore per tutti. Ispirandosi alla sua figura, i giovani del FAI scenderanno in piazza per “seminare” conoscenza e consapevolezza del patrimonio di storia, arte e natura italiano e accompagneranno il pubblico alla scoperta di luoghi normalmente inaccessibili, poco noti o poco valorizzati: un caleidoscopio di meraviglie. Storiche dimore signorili, castelli, giardini, chiese, conventi e tante altre “chicche” come borghi, parchi, luoghi di produzione e commercio solitamente riservati agli addetti ai lavori si sveleranno attraverso racconti che meraviglieranno i visitatori. Tra le aperture più interessanti a Venezia troviamo Palazzo Corner Mocenigo, una delle residenze patrizie più monumentali e sfarzose del Rinascimento, oggi sede della caserma “Piave” della Guardia di Finanza, il seicentesco Palazzo Pisani che ospita il Conservatorio, il Negozio Olivetti di Piazza San Marco opera dell’architetto Carlo Scarpa e l’incantevole Casa Bortoli sul Canal Grande, un “museo particolare” ricco di oggetti d’arte. A Treviso sarà possibile visitare la Cappella dei SS. Cirillo e Metodio ai margini del roseto, progettata dall’architetto Mario Botta, mentre a Vicenza apre al pubblico l’Ex Chiesa di San Bovo. A Cadoneghe, Villa Da Ponte, salvata dalla rovina, si presenta come un piccolo scrigno affrescato, mentre a Badia Polesine (Rovigo) è possibile visitare Villa Valente Crocco, sequestrata alla mafia e oggi Casa della Cultura e della Legalità, e l’antica Abbazia della Vangadizza le cui origini risalgono al IX secolo. www.giornatefai.it
Dopo un periodo di lavoro
intenso oppure di particolare tensione, nel quale l’attenzione si è concentrata, ad esempio, su un imminente pericolo, reale o soltanto temuto, oppure a seguito di una assunzione di un compito particolarmente delicato, tutti sanno che occorre un periodo di benefico riposo, di distensione, che è necessario un intervallo finalizzato a “ricaricare” le energie nervose spese oltre misura. Questo necessario distacco dalla vita quotidiana è considerato come una “assenza”, indispensabile per poter riprendere successivamente la “solita” vita. Ma questa “assenza”, questo periodo di voluta calma, distaccata, questa pausa, in genere, è considerato poco significativo, viene dato per scontato, naturale, logico, ma viene un po’ tanto trascurato dalle analisi. Questa volta invece riteniamo meriti soffermarci e sia opportuno fare in proposito qualche riflessione. Questo periodo di non lavoro, di non attività non è per nulla da sottovalutare, da considerare, come spesso capita, una semplice omissione, un tempo sprecato, improduttivo, inutile. Al contrario, non soltanto fa parte del ciclo naturale della vita, ma è da considerarsi indispensabile, necessario, benefico. Molti di noi, in questa estate speciale, con tutte le precauzioni del caso, sono stati in riva al mare. Quanti si sono soffermati ad apprezzare quell’attimo speciale in cui l’energia di un’onda è terminata e incomincia la ricarica di quella successiva?
Se ci spostiamo al campo musicale, sugli spartiti notiamo spesso, tra una nota e l’altra, l’esistenza di segni “particolari”, ben diversi dalle note: le pause, che, in fogge differenti, costringono gli strumenti al silenzio programmato, imponendone la durata. Una frase musicale esprime il suo significato se è ben definita, esaltata da momenti silenziosi, in cui il cervello dell’ascoltatore ha il tempo di assimilare e apprezzare il fraseggio, il motivo. Anche il campo dei trasporti ci offre a piene mani esempi di quanto siano essenziali le soste. Un treno, un autobus, una metro, un tram, non avrebbero senso se i loro percorsi non fossero stati programmati con le adeguate fermate che consentono la salita e la discesa dei passeggeri: in difetto sarebbe stato compromesso addirittura lo scopo del mezzo di trasporto. Ma volgendo il nostro sguardo altrove, se spostiamo la nostra attenzione anche soltanto sulla giornata, più o meno lunga a seconda delle stagioni, tutti sappiamo che si alterna alla notte. Quest’ultima, essendo priva di luce naturale, permette il riposo degli esseri umani e quindi la loro vita. In altro campo, l’espressione grafica prevede che al termine di ogni parola vi sia un’assenza di scritto, uno spazio, che permette di distinguere ciascuna parola da quella successiva. E questo spazio “bianco” è tutt’altro che insignificante. Ha addirittura, tipograficamente
Pausa di Renato Jona
:parole
Ma più semplicemente riferendoci a noi stessi, consideriamo anche soltanto il semplice respiro: cosa sarebbe questo, senza un attimo di intervallo, per consentire al corpo umano di invertire la direzione del fiato? Anche i più chiacchieroni di noi, come potrebbero esercitare quest’‘arte’ se non alternando i tempi delle parole con momenti di indispensabile silenzio? Pur… breve che sia, è sempre necessario! E nella vita quotidiana non abbiamo forse creato, apprezzato, codificato la pausa caffè? E quando non riusciamo a risolvere qualche problema complesso, non necessitiamo di una pausa di riflessione? Questa ci permette di valutare più a fondo del caso in esame, quegli aspetti che, a tutta prima, non avevamo valutato o che forse erano stati considerati involontariamente in modo superficiale. I… “diversamente giovani” ricorderanno che le prime trasmissioni televisive, quelle ancora in “bianco e nero”, tra una emissione e l’altra, mostravano un delicato quadro bucolico di pecorelle con la sovrascritta “Intervallo”, accompagnata dalla musica Toccata per Arpa (allegro della Sonata VI in La maggiore di Pietro Domenico Paradisi). E alla sera gli spettatori attendevano, una volta al giorno, la breve trasmissione di distacco, chiamata Carosello, costituita da sola pubblicità, graziosa, garbata. A quei tempi non si pensava ancora di rovesciare sullo spettatore una valanga di pubblicità, spesso volutamente shoccante, talvolta insistentemente ripetuta, che frequentemente interrompe in modo fastidioso il filo della narrazione programmata.
parlando, lo stesso valore dello spazio scritto. Tanto è vero che, nello scritto destinato a un giornale, vale come “battuta” e occupa lo stesso spazio di una lettera. Un gioco estetico nelle tipografie consiste poi nel dilatare o stringere tra parola e parola, gli spazi non scritti in modo da ottenere con regolarità inizi e fine righe: per alludere a questa esigenza, si è dato un nuovo significato a un verbo già esistente. Si dice, infatti, “giustificare”. Un ultimo richiamo, certamente non esaustivo delle esemplificazioni, ma che non può essere omesso parlando di pausa. E infine non possiamo omettere un esempio a tutti noto: Qualcuno, molto… Autorevole, quando ha creato il Mondo, ha impiegato ben sei giorni, ma il settimo «cessò da tutta la Sua opera che aveva compiuto. E benedisse il settimo giorno, lo santificò, poiché in esso aveva cessato da tutta la Sua opera». Con un esempio così, non v’è dubbio che non dobbiamo esagerare nel ritmo lavorativo, ma dobbiamo considerare indispensabile il riposo fisico, mentale e spirituale, valutarne la grande importanza, non ritenerci così capaci da oltrepassare l’armonico ritmo. Tutte queste sospensioni, interruzioni, pause, opportunamente distribuite nella nostra vita sono quelle che ci consentono di vivere! È poco? Cerchiamo perciò di apprezzarle nel loro giusto valore, di accorgerci che esistono, di non trascurarle, di utilizzarle nel migliore dei modi. Altrimenti la fretta, la smania compromettono il nostro equilibrio: in tal caso significa proprio che abbiamo bisogno di…una pausa!
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100 Gianni Rodari Nuovi progetti didattici ideati e prodotti dalla Fondazione di Venezia
È la lettura la grande protagonista dei due nuovi progetti didattici ideati e prodotti dalla Fondazione di Venezia insieme all’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto per l’anno scolastico 2020-2021. L’Italia bizzarra di Rodari è in particolare il titolo del progetto realizzato in collaborazione con Einaudi ragazzi – 100 Gianni Rodari e dedicato alle scuole primarie della regione in occasione del centenario della nascita di Gianni Rodari. L’idea di fondo è quella di accompagnare gli scolari in un viaggio immaginario lungo il nostro Paese, guidati dalle poesie, le filastrocche e i racconti brevi del maestro di Omegna. Trenta i laboratori programmati, con chiusura delle iscrizioni il 16 ottobre, da tenersi, dove possibile, nel rispetto delle prescrizioni anti-Covid, nelle singole classi alla presenza di un operatore, oppure in collegamento remoto su piattaforma digitale gratuita. Ogni classe partecipante al progetto avrà la possibilità di cimentarsi con diverse attività, tutte pensate per stimolare diverse aree di apprendimento, da quella linguistico-logica a quella espressivo-emotiva, fino all’area logico-grammaticale, ma anche per consolidare le conoscenze dei bambini in ambito artistico e geografico. La lettura delle filastrocche e delle poesie di Rodari sarà dunque accompagnata da diversi giochi con le parole (dal “Binomio fantastico” fino a “L’errore creativo”, solo per fare un paio di esempi) e sarà seguita dalla realizzazione di vere e proprie illustrazioni con cui i giovanissimi partecipanti daranno forma al loro originale viaggio ne L’Italia bizzarra di Rodari. È invece dedicato ai ragazzi dagli 11 ai 13 anni il secondo dei progetti in programma ad ottobre, realizzato in collaborazione con M9 – Museo del ’900, M-Children e la libreria Il libro con gli stivali. Il suo titolo è Amici di lettura e prevede la lettura con cadenza mensile di quattro diversi libri, sotto la guida di Susi Danesin, attrice, lettrice e formatrice, impegnata sia nella lettura di alcuni brani tratti dai libri protagonisti del progetto, sia nell’interazione con i ragazzi su alcuni dei temi portanti di ogni singola trama. Il progetto, le cui iscrizioni si chiuderanno il 23 ottobre, si svilupperà attraverso specifici incontri a cui potranno partecipare al massimo venti ragazzi e che saranno ospitati nella sede della Fondazione di Venezia e negli spazi del Museo M9 e di M-Children. Per informazioni è possibile contattare Giorgia Mimmo, responsabile del progetto, chiamando il numero 0412201273, oppure scrivendo all’indirizzo g.mimmo@fondazionedivenezia.org www.fondazionedivenezia.org
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VENEZIA SECOLO VENTUNO 14 ottobre h. 17
Presentazione del volume Venezia secolo ventuno. Visioni e strategie per un rinascimento sostenibile di Sergio Pascolo (Conegliano, Anteferma edizioni, 2020). Introduce Gianpaolo Scarante. Nicola Pianon, Senior Partner di The Boston Consulting Group, conversa con l’autore. Aula Magna, Ateneo Veneto ateneoveneto.org
LOC. FIES 1
16 ottobre h. 18.30/19.30
Presentazione della collana editoriale «Loc. Fies 1» insieme agli autori dei 4 libri-documenti: Filippo Andreatta, Roberta Da Soller, Mara Ferrieri e Luca Ruali saranno in conversazione tra loro e con il pubblico in presenza alternandosi nel ruolo di autore e moderatore tra una presentazione e l’altra. «Loc. Fies 1» è la collana editoriale di Centrale Fies, il centro di residenza e produzione dedicato alle arti performative e al redesign thinking territoriale e politico, nato da un’idea di Virginia Sommadossi (art director della comunicazione e identità visiva di Centrale Fies) e dell’architetto Luca Ruali.
Fujiyama Tea Room, Calle lunga San Barnaba, Dorsoduro | prenotazioni: eventi@b-r-u-n-o.it
GIORNATA DI STUDIO. DONAZIONE EUGENIO DA VENEZIA 16 ottobre h. 10
Attivo tra le due Guerre Mondiali, Eugenio Da Venezia è uno dei più significativi esponenti della pittura veneziana degli anni Trenta. La Querini Stampalia, in collaborazione con la Fondazione Museo Civico di Rovereto, gli rende omaggio nell’annuale Giornata di Studio a cura di Giuseppina Dal Canton. Nell’occasione sarà presentato il volume degli atti delle Giornate di studio 2016, 2017, 2019. Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org
AD ALTA VOCE Al Centro Culturale Candiani torna la rassegna letteraria Ad Alta Voce, realizzata in collaborazione con l’associazione Voci di Carta. Un ciclo di presentazioni di libri, perchè scrittori e lettori possano incontrarsi e conoscersi. ANCORA UN DOMANI. RACCONTI IN 3D 16 ottobre h. 18.30
di Guido Vianello (Mazzanti Libri, 2020) Una raccolta di sedici storie che uniscono esperienze individuali a fatti di cronaca ed eventi storici collettivi, collegate dalla prospettiva di uno sguardo corale. ALLE ORIGINI DELLA CIVILTÀ VENETA 23 ottobre h. 18.30
di Gina Pigozzo Bernardi (Piazza editore, 2020) Un viaggio nel tempo alla scoperta della lingua paleoveneta attraverso trascrizioni, incisioni e reperti. Centro Culturale Candiani-Mestre www.comune.venezia.it
CIÒ CHE RESTA
17 ottobre h. 15/16.30
Alessandro Bonaccorsi, visual designer e illustratore, fondatore del corso di
Disegno Brutto, propone il laboratorio per tutti Ciò che resta - Visitare un museo con il Disegno Brutto a Punta della Dogana. Un museo è un luogo di ispirazione e meditazione, ricco di stimoli percettivi; con questo laboratorio, attraverso il disegno usato con l’approccio liberatorio e non giudicante del Disegno Brutto, i partecipanti dialogheranno con le opere e gli ambienti, cogliendone suggerimenti e impressioni. Un percorso mnemonico per raccogliere ciò che resta nella memoria, ciò che si impiglia, che rimane intrappolato: sono chiavi che permetteranno di rivivere l’esperienza ogni volta che lo si desidera. Punta della Dogana, Dorsoduro 2 www.palazzograssi.it
GLI INCONTRI DELLA DOMENICA MATTINA Toni Jop e Venezia siamo stati noi 20 ottobre h. 10.30
(Città del Sole Ed., 2019) Nella Venezia di Toni Jop c’è vita, personaggi noti e meno noti si incrociano, in maniera piuttosto bizzarra così come si intessono odori, suoni, umori. Tutto si sviluppa in un arco temporale che oscilla tra gli anni ‘60 e la fine degli anni ‘80, un arco di tempo che contiene i ritmi di una città ancora padrona del suo respiro millenario assieme ai prodromi di una “rivoluzione” – il turismo di massa – che oggi mette in discussione i suoi tesori. A raccontare questa Venezia, con una buona dose di sagace umorismo, è un giornalista di lungo corso che ha pilotato le visioni raccolte in questa collana di brevi racconti autobiografici. Aula Magna, Ateneo Veneto ateneoveneto.org
INCONTRO CON LEONARDO CAFFO 22 ottobre h. 19.30
Il terzo appuntamento proposto dalla Libreria MarcoPolo è con Leonardo Caffo, filosofo e co-curatore del Public Program 2020 di Triennale Milano. L’autore presenta il suo saggio Quattro Capanne (nottetempo, 2020), in dialogo con Chiara Valerio, autrice di romanzi, racconti, critica letteraria e di teatro.
Teatrino di Palazzo Grassi, Campo S. Samuele www.palazzograssi.it
ART CONVERSATION: BERTILLE BAK 27 ottobre h. 18
L’artista Bertille Bak, ospite quest’anno della residenza d’artista della Pinault Collection a Lens, presenta il lavoro portato avanti durante il suo periodo di residenza e lavori realizzati negli anni precedenti. La serata inizia con la proiezione dei video Faire le mur (2008, 17’) e Transports à dos d’hommes (2012, 15’) e prosegue con l’incontro con Alain Fleischer, direttore di Le Fresnoy, e Caroline Bourgeois, conservatrice presso la Pinault Collection. Teatrino di Palazzo Grassi, San Samuele www.palazzograssi.it
FESTIVAL DEI MATTI 6, 7, 8 novembre
L’unidicesima edizione del Festival dei Matti a Venezia proverà a mettere in discussione, in un mondo che sembra voler categorizzare ad ogni costo le vite degli uomini, quelle stesse categorie
e la loro provenienza. Sano, malato, normale, matto, cittadino, straniero, regolare, irregolare, abile o disabile sono parole di un vocabolario di larghissimo consumo, ritenute necessarie a dire chi siamo. Parole che sanciscono la nostra “identità”, il nostro profilo sociale. Ma queste parole ci servono o ci asservono? Di cosa sono fatte le “identità” di cui parlano, di quali discorsi, saperi e poteri si sostanziano? Il titolo di quest’anno è Favole Identitarie perché, dietro le quinte di quelle parole si scorgono racconti impastati di invenzione e consolazione, racconti monolitici, lacunosi, racconti fortezza a cui assegnamo il compito di precederci, di darci collocazione morale e politica, ma che rischiano di inchiodarci a trame senza via d’uscita. A queste favole il pensiero critico cerca di opporre resistenza e può riuscirci almeno fino a che non smarrisce la consapevolezza delle proprie contraddizioni trasformandosi esso stesso in una favola identitaria, forse persino piu insidiosa delle altre. Una tre-giorni di incontri, conferenze, seminari, letture e spettacoli con tanti ospiti, per riportare al centro del dibattito pubblico il tema del rapporto tra normalità e follia. www.festivaldeimatti.org
CASA DELLE PAROLE 10 novembre h. 18.30
L’incontro mensile dedicato agli amanti della letteratura, con letture in lingua inglese, seguite da traduzione in italiano. Il secondo appuntamento della stagione è dedicato al tema Il Maestro. Teatrino di Palazzo Grassi, Campo S. Samuele www.palazzograssi.it
LA SCOMPARSA DI MIA MADRE 26 novembre h. 18
Proiezione del pluripremiato documentario La scomparsa di mia madre di Beniamino Barrese, finalista agli European Film Awards e unico titolo italiano all’ultimo Sundance, dedicato all top model, icona degli anni ‘60, Benedetta Barzini, madre del regista. Maria Luisa Frisa e Gabriele Monti, dell’Università Iuav di Venezia, introducono il film alla presenza della protagonista Benedetta Barzini e del regista. Teatrino di Palazzo Grassi, Campo S. Samuele www.palazzograssi.it
MASCARILLA 19 CODES OF DOMESTIC VIOLENCE 1 dicembre h. 18.30
Mascarilla 19 – Codes of Domestic Violence è il primo progetto promosso dalla Fondazione In Between Art Film per partecipare al dibattito internazionale sul dramma degli abusi domestici e sul loro inasprirsi nei mesi di emergenza da Covid-19. Durante l’incontro con i curatori del progetto, saranno proiettati gli otto film realizzati dagli altrettanti artisti invitati a misurarsi con il tema: Iván Argote (Colombia/Francia, 1983), Silvia Giambrone (Italia/Inghilterra, 1981), Eva Giolo (Belgio, 1991), Basir Mahmood (Pakistan/Paesi Bassi, 1985), MASBEDO (Italia, Nicolò Massazza, 1973 e Iacopo Bedogni, 1970), Elena Mazzi (Italia, 1984), Adrian Paci (Albania/Italia, 1969), Janis Rafa (Grecia, 1984). Teatrino di Palazzo Grassi, Campo S. Samuele www.palazzograssi.it
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a cura di Fabio Marzari
Louise GLÜCK, Averno (Editore Dante & Descartes) Premio Nobel per la Letteratura 2020 in Averno (2006), raccolta ormai ritenuta un classico, Louise Glück, «esplora concetti come “mente” e “anima” da un punto di vista originale, spesso dal sapore amaro; si propone di esaminare la “frattura nell’anima umana / che non è stata fatta per appartenere / tutta alla vita”, e si chiede come un’anima che sopravvive all’esistenza corporea può trovare appagamento, sapendo che le innumerevoli gioie della vita — “le bacche rosse del sorbo selvatico”, “le migrazioni notturne degli uccelli” — saranno svanite per sempre». Dan BROWN, La Sinfonia degli Animali (Rizzoli) L’Autore combina musica e scrittura per una nuova generazione di lettori, usando le tecnologie più avanzate per coinvolgerli nella lettura. Il libro è accompagnato dalla prima opera musicale dell’autore: un album di musica classica che eleva la lettura a esperienza multisensoriale e si rivolge sia ai bambini che agli adulti. Un libro senza tempo da leggere in modo tradizionale oppure ascoltando le composizioni musicali - una per ciascun animale - con un’app interattiva per smartphone disponibile per il download gratuito via web oppure con un QR code. I disegni sono dell’illustratrice ungherese Susan Batori. Stefano ZUFFI, Eterni Ragazzi. Raffaello e Mozart due vite allo specchio (Enrico Damiani Editore) Cosa accomuna Raffaello e Mozart? Che cosa rende la loro opera così spontanea e insieme così universale? Figli d’arte, allevati all’interno di piccole, ma esigenti corti signorili, sono entrambi dotati di una sorprendente attitudine, sostenuta da una memoria formidabile. Entrambi appaiono capaci di produrre la propria arte al primo tocco, con totale e invidiabile naturalezza, ed entrambi sono celebri per le avventure d’amore. Nella breve maturità, si trasferiscono nella rispettiva capitale, per lavorare uno per il papa e l’altro per l’imperatore, e cimentarsi con pari successo nei generi più diversi, da brevi composizioni a opere grandiose e solenni. Infine, forse per la fiduciosa convinzione nel primato della bellezza, della luce e del perdono universale, nessuno dei due sembra avere percezione dei clamorosi passaggi storici che stanno cambiando il mondo. Barack OBAMA, Una terra promessa (Garzanti) In uscita dal 17 novembre in tutto il mondo si tratta di un memoir in due volumi in cui il primo presidente di colore della storia americana racconta in prima persona la sua storia, da giovane alla ricerca di un’identità a leader del mondo libero, e descrive la propria educazione politica e i momenti decisivi del primo mandato della sua storica presidenza, un periodo di profonde trasformazioni e sconvolgimenti. «Spero che, oltre a essere una lettura appassionante e utile, questo libro diventi soprattutto una fonte di ispirazione per le ragazze e i ragazzi degli Stati Uniti e di tutto il mondo, e li spinga a raccogliere il testimone della corsa, a levare la propria voce e a fare la propria parte per rendere il mondo un posto migliore». Federico PIZZAROTTI, Il meglio deve ancora venire. Un nuovo modello di società per la via del progresso (Piemme) Come si combatte il populismo? Che tipo di società auspichiamo per i cittadini di oggi e di domani? Quello del sindaco è un viaggio di sola andata dentro ai problemi che attanagliano l’Europa e i singoli Paesi dell’Unione. La paura dell’altro, la rabbia e l’insicurezza sociale che si trasformano in razzismo, violenza ed egoismo sfrenato si possono sconfiggere solo con una politica inclusiva e solidale. Al sovranismo che porta a una guerra tra poveri, si deve contrapporre un progressismo moderno e allo stesso tempo combattivo, che faccia tesoro delle sconfitte subite dalla vecchia sinistra e sappia ridare speranza ai più deboli, alle periferie del mondo, a chi ha sofferto oltremodo la crisi economica e le trasformazioni imposte dalla globalizzazione. Il viaggio di un sognatore, pieno di passione e ottimismo, che guarda a un nuovo modello di società e alla costruzione di una nuova classe dirigente. Con prefazione di Gianrico Carofiglio.
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A MAJESTIC SETTING FOR CONTEMPORARY CUISINE Accompany the charm of autumn with a delicious journey through the bounty of the fall harvest. Drop in for dinner at Club del Doge Restaurant to sample Chef Daniele Turco’s truffle tasting menu accompanied by Marchesi di Barolo, a joy of local and fresh ingredients at the height of their flavour. EXPLORE THE DESTINATION AT THEGRITTIPALACE.COM
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Vento di passioni
Sembra un
tempo infinito quello che riporta alla scorsa edizione del Venice Hospitality Challenge, molti eventi epocali sono occorsi a Venezia e nel mondo e la vera notizia è il regolare svolgimento dell’edizione 2020. Poter vedere il 17 ottobre quindici maxy yacht - record di partecipanti - schierati sulla linea di partenza del circuito acqueo cittadino di Venezia ha già del prodigioso, considerati i tempi presenti. L’iniziativa, giunta alla settima edizione, assume un valore simbolico ben oltre la sfida tra equipaggi di altissimo livello che
di Fabio Marzari gareggiano con le insegne dei migliori alberghi veneziani a testimoniare quanto la città sappia offrire in termini di eccellenza nell’ospitalità. La passata edizione ha visto trionfare The Gritti Palace, che ha conquistato l’ormai celebre cappello del doge, il corno dogale, che per l’edizione 2020 viene realizzato dalla storica vetreria muranese Signoretto. Quando venne ideata da Mirko Sguario voleva essere una “bischerata tra amici” alla fine della stagione estiva, un modo per rilanciare la vocazione marinara della città, ma anche per stringere la convivialità con il tono di sfida tra colleghi nel campo dell’alta hôtellerie veneziana. Nel giro di pochi anni Venice Hospitality Challenge si è evoluta in “Gran Premio” attraverso un circuito cittadino che non ha eguali per bellezza al mondo. Passione per il mare, cura estrema nell’offrire sempre il meglio in termini di ospitalità e quest’anno anche una forte e coraggiosa dimostrazione di sapere e volere andare avanti malgrado le avversità che nessuna previsione avrebbe potuto solo azzardare, diventano elementi fondamentali per ripensare al domani di Venezia, città aperta e accogliente, nuovamente al centro dell’interesse di viaggiatori di ogni provenienza. Non sappiamo ancora per quanto tempo il
Covid-19 continuerà a essere una costante nelle nostre vite, ma non sarà per molto, dopo ogni tragedia sorge inevitabilmente la volontà di superarla circondandosi di bellezza. Venezia è un efficace vaccino per l’anima con il suo immenso carico di meraviglie e i leggendari alberghi, che custodiscono i segreti dell’accoglienza sibaritica, offrono la cura migliore per ristabilire un percorso di ritrovata serenità dopo questo tormentato periodo. Venezia ha bisogno di condividere un’immagine positiva che trasmetta tutte le sue potenzialità di destinazione imprescindibile e l’immagine delle vele spiegate al vento con lo sfondo delle architetture lagunari restituisce la speranza di nuove energie per un domani differente. Non è stato facile anche dal punto di vista della gestione aziendale affrontare una stagione del tutto imprevedibile e complessa, seguita alla chiusura forzata di tutte le attività, i segni di questo momento storico sono tangibili nello sguardo di ciascun individuo, sempre velato di malinconia e preoccupazione. Ma il sapore della sfida porta sempre a riaccendere gli animi, infiammandoli di passione. Questi i partecipanti all’edizione 2020, in rigoroso ordine alfabetico: Alajmo Ristorante Quadri, Bauer Palazzo, Ca’ Sagredo Hotel, SINA Centurion Palace, Belmond Hotel Cipriani, San Clemente Palace Kempinski, Hotel Danieli a Luxury Collection Hotel, Hotel Excelsior Venice Lido Resort, The Gritti Palace a Luxury Collection Hotel Venice, Hilton Molino Stucky Venice, Hotel Londra Palace, Palazzina e The St. Regis Venice. Ai maxi yacht abbinati agli alberghi si aggiungono il Moro di Venezia che partecipa per il Salone Nautico di Venezia, mentre New Zealand Endeavour Covid-19 gareggia con un equipaggio di medici veneziani in prima linea sul fronte ospedaliero contro la pandemia. 7. Venice Hospitality Challenge 17 ottobre Bacino San Marco www.venicehospitalitychallenge.it
Winds of passion
Fifteen maxi yachts – a record number of participants – will line up before Venice on October 17, and
this is already quite an event, considering the times. The Venice Hospitality Challenge, now at its seventh edition, symbolizes much more than an athletic challenge among the best sailing teams in the world, who will compete each for one of the most famous luxury hotels in Venice, which goes to show how much the city of Venice can offer in terms of excellent hospitality. Mirko Sguario, the main actor behind the competition, ideated it as a light-hearted, fun event for friends to celebrate the end of summer, to commemorate the seafaring tradition of the city, and also to foster conviviality with a bit of a friendly challenging spirit among colleagues in the world of top-class Venetian hôtellerie. Over the course of a few years, the Venice Hospitality Challenge evolved into a grand prix in its own right, also thanks to a city circuit that has no rivals anywhere in the world. Passion for the sea and for hospitality and a strong, brave demonstration of what it takes to go forward are the essential element for Venice to think about its future. Venice is an open, welcoming city, that is back on the mind of travellers of any origin. The participants to the 2020 edition, listed in alphabetical order, are: Alajmo Ristorante Quadri, Bauer Palazzo, Ca’ Sagredo Hotel, SINA Centurion Palace, Belmond Hotel Cipriani, San Clemente Palace Kempinski, Hotel Danieli a Luxury Collection Hotel, Hotel Excelsior Venice Lido Resort, The Gritti Palace a Luxury Collection Hotel Venice, Hilton Molino Stucky Venice, Hotel Londra Palace, Palazzina, and The St. Regis Venice. Also participating will be SV Moro di Venezia, representing the Venice Boat Show, and SV New Zealand Endeavour, manned by Venetian physicians who have been working to fight off the pandemic.
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Spirito libero
Combo Venice, luogo di incontro e di ospitalità
La sottile linea della sensibilità
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In un anno poco adatto ai grandi viaggi, la scoperta del nostro Bel Paese, esercizio che andrebbe sempre praticato, diventa fonte di inesauribili soddisfazioni, volgendo nello spazio di poche centinaia di km lo sguardo dalla magnifica Laguna ad una altrettanto affascinante città, che – non me ne vogliano i lucchesi – non è la primissima che salta in mente quando si pensa alla Toscana. Lucca è un concentrato d’arte, bellezza, unicità condita con un pizzico di fierezza un po’ snob che la rende differente nel panorama di una Regione patrimonio universale. E la sua originale bellezza la si ritrova in ogni angolo, tra le anguste vie del centro, pulitissime e senza traffico, grazie ad una rigorosa e implacabile ZTL che non ammette deroghe o indulgenze. In questa rubrica si parla di cibo e quando si ha la fortuna di trovare un ristorante in cui si immagina da subito il pretesto per poter tornare ancora, vale la pena condividere queste informazioni per elargire i più che meritati complimenti ad una squadra di ragazzi giovani che hanno creato una realtà degna di nota. In piazza del Giglio, vicino al magnifico Duomo di San Martino, al numero 2, in un edificio antico, si trova il ristorante Giglio, stellato Michelin, detto a solo titolo di cronaca, per non essere fuorviati dal bagliore degli astri. Lo spazio interno è sapientemente strutturato, accogliente, minimalista, con una spiccata personalità, le alte pareti e il soffitto affrescato completano l’insieme di una sala dove trascorrere del tempo in modo piacevole, comodamente seduti sulle seggiole rivestite di elegante velluto verde, attorno a tavoli rotondi ben distanziati apparecchiati con sobrietà bon ton, in cui ogni eccesso è bandito. La cucina è il punto forte naturalmente, qui si trova colorem et substantiam, il lavoro di squadra dei trentenni Benedetto Rullo, Lorenzo Stefanini e Stefano Terigi riesce a rendere una selezione di piatti innovativi, di grande equilibrio, in cui la lezione della cucina italiana non viene svilita da sperimentazioni ridicole dal vago sapore esotico. Qui si pratica una sedimentazione di esperienze, una koinè di sapori e di saperi, in cui la curiosità e la cultura di ciascuno contribuisce a formare un’architettura dei fornelli saldamente strutturata. Il cibo d’altronde è vita per definizione che si nutre di dissonanze rese armoniche. Nel caso di Stefano Terigi c’è anche un forte link con Venezia, città dove ha vissuto e dove ha conseguito la laurea in arti visive allo IUAV con una tesi su Ferran Adrià. La ricerca delle eccellenze si ritrova naturalmente anche nelle proposte della cantina, varia e mai banale, con un’attenzione alle migliori aziende che sanno rendere il loro prodotto un vero derivato dell’uva, oltre che nei prodotti usati per la cucina, tutti davvero capaci di rendere emozioni al palato. Ma c’è un dettaglio che sopra tutti ha colpito la mia immaginazione, riportandomi alla purezza di un sapore ancestrale sublime: il loro pane fatto in casa, croccante, profumato, autentico come solo nei migliori ristoranti si riesce a trovare, con dell’olio locale eccellente. Pura emozione. Fabio Marzari www.ristorantegiglio.com
Quanto variegata sia l’offerta di Venezia lo si comprende quando si accolgono amici che arrivano da fuori e soggiornano in luoghi che per mancanza di abitudine noi non foresti abbiamo poco frequentato o peggio non conosciamo affatto. Oltre alla bellezza di questi posti capita, come nel caso di Combo, di soffermarsi sull’idea che sottende il progetto e se ne scopre la portata innovativa: «Combo ha scelto la sua casa. Un luogo in cui veneziani e viaggiatori si incontrano e si mescolano: da sempre l’ex convento dei Crociferi offre accoglienza e quiete ai suoi avventori e incoraggia un dialogo tra la città e il mondo. Un nuovo modello di ospitalità integrata attorno a cui gravitano artisti, viaggiatori, studenti; nel cuore
della città ma con tutti i privilegi dei sentieri meno battuti. Questa è Venezia, per noi». Un luogo accogliente come nell’anima di Venezia stessa, aperto a tutti, in cui è naturale incontrarsi, conoscersi, scambiarsi consigli sulla città, assaggiare i sapori locali, scoprire nuovi artisti, ascoltare musica o semplicemente rilassarsi. È un luogo pensato per restituire quell’energia che solo nella dialettica tra mondi diversi può crescere, si ascoltano altre lingue e si può vedere Venezia attraverso gli occhi e l’esperienza di chi arriva da altri Paesi, un incontro con viaggiatori più che con turisti. E sono proprio i viaggiatori quelli cui affidare la rinascita della città come meta, coloro i quali sanno interpretare lo spirito libero di un
viaggio, aprendo la mente alle contaminazioni e alle suggestioni estetiche e sensoriali dei luoghi visitati. Combo è anche bar, bacaro e ristorante con un menù eclettico che cambia con le stagioni e combina ingredienti locali a piatti di ispirazione internazionale, è possibile scegliere tavoli con vista affacciati sul canale o immersi nel silenzio dei cortili. F.M. Combo Venice Ex Convento dei Crociferi Campo dei Gesuiti, Cannaregio 4878 - thisiscombo.com
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Le buone azioni Osteria alla Frasca, per credere ancora in Venezia In un angolo nascosto di Venezia dalle parti di Fondamente Nove si trova l’Osteria alla Frasca, un piccolo, delizioso locale che ha alle spalle una storia più che centenaria, aperta nel 1903 ha saputo mantenere intatto negli anni il sapore di un tempo, quando Venezia era una città popolata di abitanti e le calli e i campielli brulicavano di voci e di vita. Il caso ha voluto che durante la Mostra del Cinema mi venisse chiesto da una carissima amica di Roma di scegliere un locale autentico e piacevolmente informale per una colazione di lavoro. Alla Frasca era stato il locale individuato. Quello che non sapevo e che ho scoperto grazie alla committente della colazione,
la stessa che almeno un decina di anni fa mi aveva presentato Luciano Orlandi dell’Osteria Boccadoro, è che Luciano aveva preso in gestione l’Osteria alla Frasca, creando un continuità di sapori con campiello Widmann, dove ha sede Boccadoro. La casualità di una scelta aveva ancora una volta unito le persone, sempre le stesse! L’impronta della cucina di Luciano, abruzzese di origine, appassionato e profondo conoscitore dei tesori lagunari, incluso l’orto alle Vignole che fornisce ai suoi piatti sempre delle verdure dai sapori spettacolari, ha conferito ancor più grazia alla cucina della Frasca, gestita dal figlio di Orlandi. L’aspetto che merita tuttavia di essere eviden-
ziato risiede nella scelta controcorrente di Luciano che ha deciso di credere ancora in Venezia investendo in un’ulteriore attività in un momento non facile per la ristorazione e per l’intera città di Venezia. Tenere in vita un locale storico riempiendolo di contenuti di qualità è la sfida vera, portare a tavola sempre prodotti eccellenti e creare soddisfazione nell’ospite è la conseguenza di una capacità che si coniuga col talento. Cito un piatto, su tutti: gnocchetti di patate con scampi e carciofi. Buoni oltre il limite del buono. F.M. Osteria alla Frasca Corte de la Carità, Cannaregio 5176 t. 0412412585
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Meet & Greet
Un piatto per la ripartenza L’Unione Ristoranti del Buon Ricordo segna la ripresa
You only find out just how diverse is the hospitality offer in Venice when friends visiting from out of region stay at places that us residents overlook, or maybe don’t even know. Some are as beautiful as your favourite; others, like Combo, have something more to them: “Combo chose its home in the former Convent of the Crociferi, or Cross-bearers, a place where Venetians and travellers have been meeting for ages and one that symbolizes integrated hospitality at the heart of the city, yet off the beaten track. For us, this is what Venice is about.” The venue will recharge you with that energy that can only come from diversity and discovery. Book a room or a table and enjoy a rotating menu of both local and international fare.
Good deeds
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For true believers only Restaurant Alla Frasca hides away in a quaint little corner in Venice. Opened in 1903, it maintained that old-time vibe of when Venice had real people living in it – many more than it is the case today. The current owner, Luciano Orlandi, who also runs the exquisite Boccadoro Restaurant, applied all his knowledge of local food and wine in both locales, where he also serves fresh produce from the nearby island of Vignole. TWhat we like best of this story is seeing how local businessmen believe in growth, even in times as uncertain as the ones we live in. To keep historical places of aggregation alive, all while serving customers to the best of expectations and beyond, is a talent to be praised.
Il titolo dell’edizione 2020, l’undicesima, è certamente emblematico e non poteva essere diversamente: Design a Step Forward. Un passo avanti per Venezia e per tutti coloro che amano viverla come città e non come museo o peggio come Disneyland. Eppur si muove, il Festival dedicato al design e all’innovazione porta dal 3 all’11 ottobre idee e progetti da tutto il mondo e, allo stesso tempo, valorizza attraverso vere e proprie visite guidate percorsi di artigianato e di cultura urbani a Venezia, facendo scoprire al pubblico come i designer progettano gli oggetti che ci circondano migliorandoli con creatività, per ergonomia o tecnologia. «Venice Design Week – afferma Lisa Balasso, direttrice artistica del Festival, organizzato dall’associazione culturale “Arte e Design Venezia” – è un punto di incontro e dialogo su come il design di ogni singolo oggetto o sistema che ci circondi sia fondamentale per migliorare la qualità del vivere quotidiano. La settimana del design Xxx è inoltre il momento ideale per scoprire la Venezia da un punto di vista particolare». La modalità di svolgimento della settimana in un anno così speciale sono sia online che in presenza: le numerose mostre ospitate in laboratori artigianali, concept store, studi sono visitabili rispettando il distanziamento fisico, mentre le conferenze si tengono con doppia modalità in presenza e in streaming, ampliando così al pubblico nazionale e internazionale la fruizione e la partecipazione. www.venicedesignweek.com
MEET THE MAKERS Dopo i difficili mesi dovuti al lockdown, che hanno costretto alla chiusura totale le attività legate alla ristorazione non da asporto, l’Unione Ristoranti del Buon Ricordo, una realtà composta da oltre 100 esercizi tra Italia, Europa e Giappone, ha ripreso con entusiasmo e vigore la sua missione di offrire la miglior cucina di territorio, esaltando le differenze e creando un percorso gastronomico unico e insuperabile attraverso i sapori tradizionali e autentici delle Regioni italiane. «Il Buon Ricordo ha scelto di ripartire da ogni singolo ristorante, dalla specialità simbolo di ogni locale come testimonianza della più vera cucina della tradizione. Ai nostri clienti, cari amici che ci sono stati vicini nei terribili mesi di chiusura e che sono tornati a trovarci appena riaperti, vogliamo regalare qualcosa di semplice, un coccio, che per noi vuol dire tantissimo. Il nostro sogno è quello di poter riguardare questi piatti della “ripartenza” tra 10 anni e sorridere compiaciuti. Vorrebbe dire che abbiamo vinto la nostra battaglia. È appena iniziata, ma noi non cederemo di un metro: regalare emozioni è la nostra missione» ha dichiarato il Segretario generale operativo Luciano Spigaroli.
Un momento particolare come questo infatti non poteva non dare un segnale tangibile e duraturo con uno storico “piatto”, che si rifà all’idea brillante dell’incisore pubblicitario e critico d’arte italiano Dino Villani (1898-1989), a cui si associò un gruppo di ristoranti di qualità con l’obiettivo di ridare prestigio alle tante espressioni locali dell’arte culinaria italiana, a quel tempo scarsamente valorizzata. Ecco allora che il famoso piatto del “Buon Ricordo”, simbolo di ciascun locale, decorato a mano da 56 anni dai maestri delle Ceramiche Solimene di Vietri sul Mare, si arricchisce fino al 31 dicembre 2020, per ogni singolo ristorante del Buon Ricordo, di una scritta semplice, ma pregna di significato: “LA RIPARTENZA 2020”. Un gradito omaggio agli ospiti a ricordo di una piacevole esperienza gastronomica. Dal 1964 l’Unione di questi ristoranti salvaguarda e valorizza le tante tradizioni e culture gastronomiche del nostro Paese, accomunando sotto l’egida della cucina del territorio ristoranti e trattorie di campagna e di città, da Nord a Sud. Daniela Paties Montagner www.buonricordo.com
Maker Mile nasce a Venezia per puntare l’attenzione sui mestieri che contribuiscono a definire l’identità della laguna. Il progetto vuole valorizzare le attività artigianali, i saperi e le tecniche proprie di ciascuna di esse, ma anche riattivarle e metterle in costante dialogo con realtà attuali inerenti al design, al branding e alla digitalizzazione. Tra ottobre e dicembre sono in programma un ciclo di incontri dal titolo Meet the Makers, con l’obiettivo di creare un ambiente stimolante e di confronto riguardo ai temi dell’artigianato e del design contemporaneo, nelle loro varie sfaccettature ed espressioni. In occasione di questi tre appuntamenti ospitati dalla Fondazione V-A-C (Zattere, Dorsoduro 1401) nelle date dell’8 ottobre, 13 novembre e 17 dicembre, i visitatori sono calati in una dimensione specificamente veneziana puntando l’attenzione su design e artigianato tipici della laguna. Xxx Il primo evento, Frammenti di Artigianato e Design in laguna, l’8 ottobre, presenta cinque artigiani con diverse specializzazioni, accomunati dalla modalità di produzione artigianale, dall’attenzione per il materiale, dalla cura per i dettagli e da un design autentico e di altissima qualità. Si tratta di Fernando Masone, Daniela Levera, Stefano Morasso, Marisa Convento, Piero Dri. Al loro fianco un ospite d’eccezione, il designer Omri Revesz, che rappresenta il trait-d’union tra le realtà autentiche veneziane e quelle più internazionali e legate al design contemporaneo. L’evento è parte della programmazione ufficiale della Venice Design Week. info.makermile@gmail.com
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I fondamentali della cucina
Il cibo italiano e il bicentenario della nascita di Pellegrino Artusi In questo difficile momento storico, con il Covid-19 ancora non debellato, la ristorazione italiana guarda alla lezione immortale del maestro Pellegrino Artusi, a 200 anni dalla sua nascita avvenuta il 4 agosto 1820. Artusi, nato a Forlimpopoli (FC) è stato scrittore, gastronomo e critico letterario italiano, oltre che autore del celebre libro di ricette La Scienza in Cucina e l’Arte di mangiar bene, conosciuto semplicemente come “l’Artusi”, un manuale di cucina del 1891, autentico bestseller tradotto in numerose lingue – inglese, tedesco, spagnolo, francese, russo –, un vero capolavoro della cucina italiana e del servire a tavola, ricco di spunti linguistici e dissertazioni. È stato Pellegrino Artusi a liberare la ricetta dal suo carattere tristemente prescrittivo, trasformandola in un racconto di vita, arricchito di ricordi e facezie, leggerezza e scienza. Un’opera singolare, e non un semplice ricettario dunque, che esalta il piacere del buon cibo che conta ben 111 edizioni con oltre un milione di copie vendute. Ironia della sorte, Artusi all’inizio non trovò nessun editore disposto a pubblicarlo, quindi sborsò di tasca propria il denaro per un libro che sarebbe divenuto un successo quasi planetario. Artusi curò personalmente le prime quindici edizioni – dal 1891 al 1911– incrementando via via le ricette raccolte durante i suoi svariati viaggi in Italia, che dalle 475 iniziali raggiunsero le 790, spaziando dagli antipasti ai dolci. Non avendo eredi diretti, lasciò i diritti d’autore ai suoi due cuochi: Marietta Sabatini e Francesco Ruffilli, che ereditarono una somma considerevole. Giuseppe Prezzolini nel 1958 dichiarò: «“Dammi l’Artusi”. “Cercalo nell’Artusi”. “Cosa Dice l’Artusi?”. L’opera dell’Artusi è un’autorità e
Davanti allo spettacolo della laguna, stagionalità, territorialità, freschezza, tradizione e innovazione. Prelibatezze di pesce e di carne, pasta fatta in casa, proposte vegetariane, insalatone, panini gourmet, taglieri, specialità cucinate in vasocottura. 2 portate: 30 e 3 portate: 38 e un classico… È un libro unico, un capolavoro, apparso inspiegabilmente nella maturità di una vita dedita ad altri scopi, illuminato da un’ispirazione che pare quasi come grazia divina, come Pinocchio di Collodi». Per le celebrazioni del bicentenario di Pellegrino Artusi, La Tavola Italiana - Milano (associazione no-profit nata per cambiare l’approccio ai prodotti agroalimentari con l’obiettivo di far scoprire le eccellenze sparse in tutto il territorio nazionale) con il suo fondatore e presidente, Stefano Goracci, ha avviato una collaborazione con la “Fondazione Casa Artusi” di Forlimpopoli (che ne tutela e valorizza l’eredità storica e gastronomica) per realizzare una serie di iniziative della durata di 12 mesi, sino al 4 agosto 2021. Gli operatori aderenti all’iniziativa hanno realizzato
un piatto secondo le indicazioni delle ricette del libro di Artusi, allestendo anche nei vari locali uno spazio dedicato al grande Gastronomo, favorendo una ulteriore conoscenza e diffusione della sua opera attraverso vetrine con un elemento scenografico e/o digitale/multimediale. Alla fine di questa iniziativa, una giuria composta dagli istituti alberghieri in collaborazione con i partner istituzionali andrà ad individuare e premiare le migliori scelte per i festeggiamenti del cibo italiano e del grande Pellegrino Artusi. Come scrisse Pellegrino Artusi nella prefazione del suo manuale: «La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà piacere, perchè quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria». Daniela Paties Montagner
Aperto dalle 11 alle 22.30
Bistrot By Do Leoni c/o Hotel Londra Palace Riva degli Schiavoni, 4172 - Venezia Tel. 0415200533 - doleoni@londrapalace.com
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ricette dedicate di Pierangelo Federici
sposano questo progetto e i suoi contenuti. Avevamo contattato anche alcuni nomi importanti della cultura internazionale, che hanno declinato loro malgrado l’invito a causa delle restrizioni anti-Covid. In questo periodo la città si è riempita di cartelloni che promuovono l’evento con i ritratti degli ospiti. Raccontaci come nascono questi collegamenti e come gestisci i rapporti con i personaggi della cultura, del giornalismo, dello sport e dello spettacolo. Contattiamo gli ospiti direttamente grazie a una rete di rapporti consolidata e proponiamo loro il format e il focus del Festival, invitandoli quindi a dialogare su un tema specifico. In alternativa contattiamo chi li segue e ne gestisce le attività. Poi, una volta al festival, ovviamente presentano anche i loro lavori, ma tutto ruota attorno alla tematica principale. I rapporti spesso nascono così: da contatti derivano altri contatti, poi si solidificano, crescono. Grazie all’immagine di competenza e serietà professionale che mi sono costruita nel tempo, diventa più facile arrivare a personaggi che, grazie al loro background e al loro alto profilo, sono in grado di darci le informazioni e gli spunti migliori.
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MARILISA CAPUANO Marilisa Capuano nel 2006 apre la sua agenzia di press office, comunicazione creativa e organizzazione eventi. Collabora con Biennale di Venezia, con i grandi festival italiani, alla realizzazione di eventi e mostre internazionali, oltre che occuparsi dell’organizzazione e della comunicazione di eventi aziendali e istituzionali.
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L’intervista Prima di affrontare l’argomento clou di questa breve intervista, racconta ai miei lettori in sintesi la tua attività professionale. Come si svolge, quali sono stati i punti di forza e quali gli obiettivi futuri? Il mio percorso professionale nasce dal mondo della comunicazione culturale: ho avuto modo di lavorare spesso a progetti importanti non solo a Venezia, acquisendo esperienza e “rubando” i segreti del mestiere, di cui ho fatto tesoro. Sono partita da Venezia Spettacoli, oggi Dal Vivo Eventi che è stata la mia scuola, per poi passare attraverso il Festival di Sanremo, La Biennale di Venezia, Lugano, Palazzo Te a Mantova. Tra arte, cinema, letteratura e grandi eventi musicali in Piazza San Marco, solo per citarne alcuni. Un itinerario professionale ma anche di vita, perché ho potuto conoscere artisti, persone, realtà con cui ho consolidato rapporti duraturi e creato connessioni. Soprattutto, lavorando all’interno di festival, ho capito che la comunicazione e l’ideazione di eventi sono due aspetti in stretta connessione.
Dopo il chiaro successo dello scorso anno, il tuo Festival delle Idee torna per la seconda edizione dal 15 al 18 ottobre. Come è nata l’idea di questo evento? Da molti anni coltivavo l’idea, il sogno, di creare un Festival per la mia città e nella mia città. La nascita di M9 ha acceso la lampadina: assieme a Tommaso Santini abbiamo maturato la convinzione che un polo culturale nel cuore di Mestre non potesse non avere un suo festival. I rapporti e, torno a dire, l’esperienza e la visione accumulata negli anni, mi hanno permesso di realizzare un progetto alla portata di tutti. Il format è costruito attorno a una serie di incontri con uomini e donne del mondo della cultura, dello sport, della scienza, dell’imprenditoria, che condividono la loro visione di futuro, quest’anno sul tema Idee per la rinascita, fornendoci spunti e chiavi di lettura, molto spesso originali e sorprendenti, che possono aiutarci a interpretare meglio la realtà. Un arricchimento che comprendo perché l’ho ricevuto anch’io nel corso della mia vita grazie all’incontro con tante ‘anime’ diverse. Quest’anno il sottotitolo della manifestazione è Idee per la Rinascita . Troppo semplicistico pensare soltanto al riferimento con il dopo lockdown: i significati sono anche altri? Rinascita post-lockdown, sicuramente, ma anche idee per far rinascere e ripensare i ‘settori’ di cui fanno parte gli ospiti del festival; che poi sono i tasselli che compongono la nostra quotidianità e la nostra società. Non è facile selezionare i personaggi giusti per affrontare al meglio simili tematiche, ma man mano che il festival cresce, cresce anche il livello dei protagonisti, che
Immagino tu possa contare su stretti collaboratori per le varie fasi organizzative di questo e altri eventi... Da anni lavora con me un team affiatato e molto preparato, composto da persone che grazie alla loro competenza sono in grado di ricoprire in modo indipendente un ruolo al tempo stesso specifico e complementare con quello dei colleghi. È una squadra che funziona, anche grazie alle esperienze maturate assieme in progetti fuori Venezia.
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Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 248-249 - Anno XXIV Venezia, 1 Ottobre 2020 Con il Patrocinio del Comune di Venezia Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996 Direzione editoriale Massimo Bran Hanno collaborato a questo numero Omar Arangath Mara Bisinella Loris Casadei Maria Casadei, Federica Cracchiolo Federico Jonathan Cusin Pierangelo Federici Renato Jona Julija Kajurov Franca Lugato Andrea Oddone Martin Daniela Paties Montagner Giuseppe Mormile Livia Sartori di Borgoricco Luisa Turchi Andrea Zennaro Massimo Zuin Si ringraziano Giandomenico Romanelli Giancarlo Marinelli Federico Pizzarotti Katia Amoroso Viviana Bianchi Marilisa Capuano Emanuela Caldirola
Cambiamo discorso. Questa è una rubrica di cucina, che dire quindi del rapporto col cibo oggi, un’epoca dove legioni di esegeti cantano le magnifiche sorti dei piatti? Sinceramente secondo te è giusto che gli chef possano ambire allo status di opinion leader? Premetto che non ho un grandissimo rapporto con la cucina, quindi non sono un’esegeta. Amo però la buona tavola, non mi piace la nouvelle cuisine e non amo gli chef stellati. Sono d’accordo con Arrigo Cipriani quando dice che gli chef non devono essere star e inseguire la notorietà, ma essere bravi cuochi e mirare all’autenticità dei piatti che propongono. Come lo è Tino Vettorello, che sarà protagonista al Festival.
:venews lo trovi qui:
Grazie Marilisa. Per ultimo facciamo un gioco che mi servirà per creare la tua ricetta dedicata. Se aprissi ora il frigorifero di casa tua, cosa ci troverei dentro? Ti faccio la lista della spesa nuda e cruda: yogurt, mozzarelle, pesto alla genovese, funghi, pancetta, prosciutto crudo, acqua e Coca-Cola Zero. Cosa potrà uscire da questo mix?
Recapito redazionale Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041-2410133 fax +39 041-2417357 redazione@venezianews.it www.venezianews.it
Bookshop di Palazzo Grassi e Punta della Dogana; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città. Direttore responsabile Massimo Bran Guida spirituale “Il più grande”, Muhammad Alì
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La ricetta I piatti si trasformano a seconda dei tempi e delle mode, così prima ancora di parlare di ingredienti, credo sia interessante osservare come oggi le ricette si elaborino seguendo criteri gustativi che rispondono agli stili di vita. Tutto questo accade senza che ci si renda conto di privilegiare un’alternanza di sensazioni, tattili e gustative, lontanissime dalle esigenze che avevano i nostri nonni. Capisco che il contenuto del tuo frigo possa apparire disordinato, ma in realtà mi suggerisce la chiave per parlare delle nuove tendenze in cucina: acidità e croccantezza. I FUNGHI CON LO YOGURT L’apporto acido regala una sensazione di freschezza che ben dispone al boccone successivo, il croccante è da sempre sinonimo di golosità. Pulisci i tuoi funghi, lavali e asciugali delicatamente con carta da cucina. Ora tagliali a fettine sottili e spruzzali subito con del succo di limone (così eviterai che anneriscano). In una ciotola mescola lo yogurt con un cucchiaio d’olio evo, una punta di senape, un battuto sottile di scalogno e prezzemolo, sale. Versa la salsa sui funghi e cospargi con frutta secca, come pistacchi, nocciole o mandorle, oppure semplicemente del pane croccante sbriciolato. Se vuoi fare una figura da vera gourmet, ti suggerisco una spolverata di polvere di limone e una macinata di pepe nero al momento del servizio.
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