VENEZIA NEWS - NOVEMBER 2024 - #293

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21.06.24 > 12.01.25

E POI DOMANI È LUNEDÌ

Si chiude alla fine di questo mese un’altra edizione della Biennale di sicuro e rassicurante successo, capace di coinvolgere sempre più capillarmente la città con le centinaia di mostre collaterali ad aprire spazi, palazzi, giardini altrimenti non visibili, non frequentabili. Da un punto di vista sistemico un consolidamento costante di edizione in edizione, vera diga alta, altissima al degrado dilagante di una città che avrebbe tutto, e di più, per eccellere in ogni sua espressione: culturale, sociale, comunitaria. Avrebbe, già, perché il condizionale non solo è d’obbligo, ma di giorno in giorno si fa sempre più inservibile per descrivere, come dire, uno stato delle cose di questo epicentro urbano unico al mondo che non funziona e che però potrebbe… Quando fa capolino sempre più nitido e grande il punto di non ritorno, questo tempo verbale si fa esercizio retorico di stile per dissimulare ciò che non potrà di fatto più accadere. Insomma, la Biennale è un salvagente a cui tutti ci aggrappiamo, un’apertura al mondo, alle genti del mondo, forte, piena, circolare. Il rischio però è quello che, aggrappati a questo solido e caleidoscopico salvagente, si finisca per non vedere quante altre navi attorno affondino senza offrire alcuna possibilità di salvezza a chi vi era sopra sin lì.

Quando una Biennale finisce è un po’ come quando si esce dal cinema dopo aver visto un film travolgente, eccitante, connotato da un ritmo narrativo e da una cifra visiva così emozionanti al punto da portarci via lontano per due ore dalla prosa arida del quotidiano. Si esce e per ancora un po’ di tempo prima di andare a dormire mente e cuore pulsano di sollecitazioni emotive, culturali, talvolta addirittura esistenziali, capaci di tenerci sospesi qualche metro più in su dalla realtà di ogni giorno, in una dimensione di pura ed elettrica fiction. Poi la mattina dopo è lunedì, e comunque qualcosa dentro di noi è cambiato, qualcosa di nuovo si è sedimentato, ma è pur sempre lunedì e il dovere, per la gran parte degli individui non così irresistibilmente vitale, bussa inesorabile. Diciamo che la Biennale dura un po’ di più di due ore, ecco, ma il copione rimane in fondo lo stesso. Certo, ad ogni suo svolgersi semina nuove idee, emozioni, intuizioni, costruisce nuove direzioni di riflessione per il mondo in divenire attraverso il confronto tra gli infiniti linguaggi espressivi racchiusi in questo asciutto e stringente lemma di quattro lettere: arte. E dici poco. Ma non solo. Con la sua spinta propulsiva e magnetica attrae nuovi soggetti in città provenienti da ogni dove, capaci di aprire nuovi orizzonti culturali, nuovi spazi fisici, coinvolgendo giovani e meno giovani sul terreno prezioso del lavoro. Fondazioni, gallerie, centri culturali internazionali: solo negli ultimi dieci anni si saranno insediati in città almeno trenta di questi soggetti attivi nelle arti. Un flusso continuo con picchi altissimi, un’energia che regala un bagliore di fiducia nel vuoto assordante di chi per dovere e mandato avrebbe quello di andare in cerca lui per primo nel mondo di

soggetti simili, stendendogli un tappeto rosso, soprattutto coinvolgendoli nel disegnare una visione di insieme prospettica e sistemica dell’industria culturale di quella che è, nonostante tutto, ancora una capitale mondiale della cultura. Sì, perché tutti questi nuovi interpreti da Oscar recitano delle parti strepitose, ma se mancano uno sceneggiatore e un regista non dico del loro calibro, ma perlomeno di una buona levatura, il film non tiene, perché privo di una storia ben scritta e girata. Inutile dire che qui, a Venezia, non solo non vi è chi gira almeno sufficientemente bene questa serie di arte e cultura potenzialmente da oscar, ma semplicemente il regista proprio non c’è e quel che è peggio non lo sa di non esserci. Un vuoto terrificante, deprimente, umiliante. Una classe dirigente incapace semplicemente di parlare la lingua di un futuro che è già qui, a portata di mano, che chiederebbe solo di essere accompagnato con uno straccio di visione a medio, lungo termine che comprendesse politiche di facilitazione residenziale per chi qui vorrebbe venire a vivere lavorando nell’industria culturale, che sapesse porsi come collante, come soggetto di coordinamento di queste decine e decine di nuovi soggetti internazionali insediatisi qui permanentemente, coinvolgendoli nella costruzione di una immagine, di una comunicazione, di una rete coordinata di eventi capaci nel loro insieme di far parlare questa città in termini complessivi con la lingua che si merita, quella dei linguaggi del mondo declinati artisticamente. Un’amministrazione che neanche è capace di individuare una figura di rilievo perlomeno nazionale, se non proprio internazionale come dovrebbe, a rivestire il ruolo di assessore alla cultura, che qui a Venezia dovrebbe avere la cifra, il livello di un ministro della cultura di un paese europeo di primo peso. Un assessore che incredibilmente nemmeno esiste, perché il nostro primo cittadino in modalità “Robocop”, dall’esuberanza e dal dinamismo esondanti, crede davvero di bastarsi ovunque, e quindi si tiene lui le deleghe, convinto davvero di saperla lunga anche su questo terreno, che per lui è semplicemente lunare, basta solo sentirlo parlare. Un’amministrazione che come ultimo, qualificante (sic) atto sul terreno della cultura ha avuto l’incredibile, demenziale coraggio di presentare Venezia in qualità di candidata al nuovo bando del Ministero della Cultura per la Capitale italiana dell’arte contemporanea 2026. Un’ennesima, nuova “gara” che se può avere una sua seppur minima utilità, questa sta nel fatto di stanziare un milione di euro per piccoli, medi centri provinciali che hanno bisogno di valorizzarsi su questo terreno da essi mai solcato prima, o quasi. Quindi la possibilità per piccole località di recuperare o costruire spazi nei quali poter ospitare progetti di arte contemporanea per attrarre interesse, turisti, attenzione dei media. Snocciolo solo alcune tra le 23 località che hanno partecipato a questo bando: Gibellina, Aielli, Bolsena, Quarto, Quattordio, Moliterno, Nichelino…e, ebbene sì, Venezia!! Cioè, la capitale mondiale dell’arte contemporanea, soffocata da un turismo

di massa ormai fuori controllo, attraversata comunque dai top player delle arti mondiali quotidianamente, sente il bisogno attraverso la sua amministrazione di concorrere a un bando simile, costruito ad hoc per chi mai è attraversato da questi mondi e che trova una sua piccola occasione per farsi minimamente conoscere. Una cosa davvero sconvolgente per pochezza, per cialtronaggine, per umiliante inconsapevolezza di dove ci si trova a vivere e ad operare. È un po’ come se la Francia bandisse un concorso per la capitale francese della moda aperta a piccoli centri con qualche tradizione nel design o nell’artigianato dei tessuti e a questo stesso concorso decidesse di partecipare Parigi. Ma ci rendiamo conto?? Inutile dire che Venezia, dalla commissione chiamata a giudicare le varie candidature al suddetto bando e presieduta da una delle più importanti protagoniste del sistema arte italiano, quella Patrizia Sandretto sempre presente qui in città e tra poco anch’essa ad insediarsi con una sede permanente della sua omonima fondazione torinese nell’isola di San Giacomo in Paludo, è stata desolantemente e giustamente bocciata da questo concorso. Io credo che si sia parlato davvero poco di questa enormità provinciale nel senso più deteriore del termine, non certo in quello dolce e caldo della piccola Italia dalle infinite bellezze, perché se simbolicamente va scelta una risoluzione, un progetto capace di restituire il vuoto assoluto di questa classe dirigente su questo

terreno, beh, io credo che quest’ultimo dica meglio e più pienamente di qualsiasi altro in quali condizioni siamo ridotti ad essere governati in questa meravigliosa città.

Quindi, ritornando al nostro caro e consunto condizionale, se questo stato delle cose della governance della città rimane tale, beh, l’unico tempo verbale servibile sarà quello assertivo dell’imperativo. Che potrebbe declinarsi in uno “scappiamo!”, o, vuoi mai che vi sia un rigurgito di vitale energia, “reagiamo!”. In mezzo potrebbero esserci svariate, possibili disposizioni mediane, ma accomunate tutte da una medesima condizione: o si cambia repentinamente passo o è finita, se non lo è già.

Nel nostro piccolo, e tornando per concludere a questa Biennale Arte firmata Pedrosa e in particolare al suo titolo Foreigners Everywhere, al fine vitale di sprovincializzare ancora di più questa città attraverso il loro coinvolgimento vivo nella vita sociale, urbana di Venezia, tra poco inizieremo con una nuova, forte rubrica a dare spazio in ognuno dei nostri numeri ai nuovi, veri veneziani di oggi, ossia quelle non poche persone che qui hanno deciso di venire a vivere, chi lavorando, chi semplicemente vivendo e respirando questo magico luogo. Qualche migliaio di persone su cui bisogna scommettere per un vero, nuovo futuro di una città ancora in ostaggio di visioni miopi, strabiche, penosamente ombelicali.

Mataaho Collective, Corderie, Arsenale - Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello

november2024

Ccoverstory (p. 12 ) Orto Giardino del Redentore – Intervista Adele Re Rebaudengo, Venice Gardens Foundation incontri (p. 22 ) Memorabile. Ipermoda – Intervista Maria Luisa Frisa tradition (p. 28 ) Festa di San Martino | Festa della Madonna della Salute | Lapidario del Seminario patriarcale di Venezia arte (p. 40 ) Oltre il cerchio – Intervista Marina Apollonio | Guida galattica per ritardatari alla Biennale Arte | Stranieri Ovunque/ Foreigners Everywhere | Adriano Pedrosa | Leoni: Nil Yalter e Anna Maria Maiolino | Polonia | Bordadoras de Isla Negra | Per non perdere il filo | Monte di Pietà | Svizzera | La Chola Poblete | Peter Hujar | Jean Cocteau | Portogallo | Kiluanji Kia Henda | Passengers in Transit | Janus | Brasile | Bouchra Khalili | Yuan Goang-Ming | Yu Hong: Another One Bites the Dust | Austria | Pacita Abad | Berlinde De Bruyckere | Pierre Huyghe | Spagna | Puppies Puppies | Cosmic Garden | Austin Young / Fallen Fruit | Santa Sede | Domenico Gnoli | Ernest Pignon-Ernest | Nebula | Italia | Madge Gill | Robert Indiana | Eva Jospin | Santiago & Rember Yahuarcani | Nigeria | Above Zobeide | Your Ghosts Are Mine | Disobedience Archive | Giappone | Josèfa Ntjam | Burtynsky | Intervista Ibrahim Mahama | Roberto Matta | Personal Structures | Loris Cecchin | Eduard Angeli | Francesco Vezzoli | Amendola. Burri, Vedova, Nitsch | Helmut Newton | Flavia Bigi | Il Polittico di Santa Chiara di Paolo Veneziano | Collezione Paolo Galli | Galleries musica (p. 98 ) Malika Ayane | Venezia Jazz Festival - Fall Edition | Sushi & Vinyl Sessions | Camilla Sparksss | Candiani Groove | Bissuola Live | Gianna Nannini | Eiko Ishibashi | Padova Jazz Festival classical (p. 106 ) Festival Luigi Nono 2024 | Otello | La traviata | Auditorium Lo Squero | Il figliol prodigo | Premio Alma Dal Co | Palazzo Pisani theatro (p. 120 ) Intervista Filippo Dini | Direttore Artistico Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale | Molto rumore per nulla | Toni Servillo | Racconti disumani | 1984 | La coscienza di Zeno | Lo stronzo | I Saw Light | Otello, di precise parole si vive | XVI VeneziainDanza | Carolyn Carlson | Festival Internazionale La Sfera Danza – Intervista Gabriella Furlan Malvezzi cinema (p. 134 ) Arsa di Masbedo | Alone Among Others | Cattiva luce | Alliance Française incontra Circuito Cinema | Cinema Senza Diritti | Venice Architecture Film Festival | Marcello, come here... | Paesaggi che cambiano | Cinefacts: Italo Calvino etcc... (p. 142 ) Invito al viaggio | Venezia e il Ghetto | Values in Letters | Parole: Suggestione citydiary (p. 149 )

2FESTA DELLA SALUTE

The story of a religious fete that is historical, folksy, and architectural. Venice renovates its appointment with tradition and ritual. On November 21, it will become the most authentic version of itself. t radition p. 30

N5 FESTIVAL NONO RISONANZE ERRANTI

TConcerts, screenings, round tables, and debates tell us all about composer Luigi Nono, a hundred years after his birth. The portrait of an intellectual and a complex, important artist of twentieth-century Italy drawn by the Foundation in his name. Innovation, awareness, and civil conscience in some of the most iconic places of his beloved Venice. classica l p. 106

NO3

FINISSAGE BIENNALE ARTE STRANIERI OVUNQUE

The most meaningful sights at the 2024 Venice Art Biennale in the words of our correspondents. A user’s guide for the last few chances to see live the collection of art picked by Biennale curator Adriano Pedrosa, which will take us on a discovery of the world’s farthest frontiers. biennale arte p. 47

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ORTO GIARDINO CHIESA SS. REDENTORE

Venice Gardens Foundation gifts the City of Venice with a beautiful restoration of a garden and orchard by the Redentore Church, at Giudecca, a place of magic between city and nature. The small park opens to the public for the first time. We discussed awareness, responsibility, sustainability, and self-sufficiency with Adele Re Rebaudengo, the Foundation’s president. cover story p. 12

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4 TEATRO STABILE VENETO NUOVA STAGIONE

Filippo Dini is the newly appointed director of Teatro Stabile del Veneto. He told us about his ideal theatre: a stage that becomes epicentre of expression, and catalyses the ordinary into extraordinary. Conversation, exchange, and a good dose of freedom for a theatre season featuring great interpreters and modern drama. t heatro p. 120

SVENEZIA JAZZ FESTIVAL FALL EDITION

From Canberk Ulas , ’s Middle East to Vanessa Moreno and Salomão Soares’s Brazil to Italy and its ever-growing talents, like Eleonora Strino, Daniele di Bonaventura, and Francesca Guccione. Venezia Jazz Festival Fall Edition is this, and more! musica p. 100

LA BELLEZZA DELLA SEMPLICITÀ

Il compendio è ora un luogo di frugale e equilibrata bellezza, ricco di dettagli botanici e di atmosfere rigogliose, ma privo di compiacimenti e di retoriche

Paolo Pejrone

Orto Giardino del Redentore, Grande uliveto - Photo Francesco Neri

cover story

Un organismo vivente in continua crescita e trasformazione, una bellezza pura offerta dalla natura che segue le stagioni, un’oasi unica dove il tempo e lo spazio sembrano sospesi. I Giardini Reali di San Marco, luogo a cui siamo particolarmente affezionati, sono un monumento restituito a Venezia nel 2019 dopo un lungo e impegnativo restauro condotto e realizzato da Venice Gardens Foundation. La Fondazione, ma soprattutto la sua presidente, Adele Re Rebaudengo, nella costituzione dell’idea di promuovere un’azione di ricerca e recupero di un patrimonio storico e botanico di grande rilievo in città ha usato la parola “Gardens”, optando per il plurale quindi, così sottintendendo la volontà di una missione di restituzione sistemica.

E così è stato. Forte dell’esperienza dei Giardini Reali, Adele Re Rebaudengo ha intrapreso una nuova sfida, durissima e affascinante, andando letteralmente a “scovare” un luogo unico di profonda valenza simbolica e spirituale: il Compendio del Giardino del Convento della Chiesa palladiana del Santissimo Redentore alla Giudecca, circa un ettaro dal canale della Giudecca fino alla Laguna retrostante. Il restauro conservativo e filologico, condotto secondo un rigoroso metodo scientifico e storico, con una particolare attenzione alla cultura botanica sviluppatasi nei secoli, ha rispettato l’originaria sacralità del luogo rendendo possibile un’attenta fruizione di questo meraviglioso spazio verde d’intesa con i padri cappuccini. Venice Gardens Foundation e i Frati Minori Cappuccini il 26 ottobre scorso hanno con orgoglio inaugurato l’Orto Giardino del Redentore, svelando per la prima volta dopo cinque secoli la bellezza della semplicità di questo luogo magico e sospeso, espressione profonda dei secolari principi francescani.

Dopo il successo dei Giardini Reali, la sua costante ricerca di valorizzazione degli spazi verdi monumentali a Venezia continua. Quale senso assume questa nuova “impresa”?

Per Venice Gardens Foundation restaurare un giardino, e in questo caso un orto-giardino, significa impegnarsi non solo nel restauro e nella conservazione di un patrimonio storico, artistico e culturale, ma anche e soprattutto di quello botanico e paesaggistico. Significa riconoscere il ruolo fondamentale che questi luoghi possono avere all’interno del tessuto sociale e comunitario di una città, soprattutto in una città speciale come Venezia, con tutte le sue bellezze e criticità. Restaurare un giardino rappresenta anche un modo per favorire una connessione profonda con la natura, basata su affinità, armonia e rispetto.

Seguendo con convinzione questi principi e ideali la Fondazione ha iniziato la sua attività in laguna restaurando i Giardini Reali, ricevuti in concessione dall’Agenzia del Demanio e dalla Città; giardini che oggi continua a curare e conservare e che vede crescere rigogliosamente di giorno in giorno. Cinque anni fa abbiamo poi deciso di estendere la nostra missione di mecenatismo all’Orto Giardino del Convento della Chiesa del Santissimo Redentore, un luogo storico, simbolico, alta espressione della spiritualità cappuccina, che abbiamo inaugu-

In Venetia Hortus Redemptoris Complesso del Redentore, Giudecca Dal 31 ottobre giovedì, venerdì e sabato www.venicegardensfoundation.org

rato il 26 ottobre 2024, dopo poco più di tre anni di duro lavoro. Vorrei sottolineare che il progetto non si esaurisce nel restauro, ma prosegue con la fase fondamentale della conservazione e del mantenimento. Questa responsabilità è affidata ai giardinieri della Fondazione, diretti dal capo giardiniere Edoardo Bodi, che applicano programmi di manutenzione e gestione specifici basati sulla fusione di antiche conoscenze e nuove tecniche, sempre ancorate ai principi di sostenibilità nel pieno rispetto della natura, dell’ecosistema e della biodiversità. Ciò include la coltivazione biologica, escludendo l’uso di sostanze chimiche di sintesi, e l’adozione di pratiche naturali per la cura del terreno, in modo tale da favorire la resistenza delle piante attraverso la gestione della fertilità del suolo, un aspetto che riteniamo essenziale in questo lavoro e che troppo spesso viene trascurato. Prestiamo molta attenzione anche al risparmio delle risorse naturali, dando grande valore al riuso, al riciclo e alla valorizzazione di tutti gli elementi esistenti. Ogni cosa trovata nell’Orto Giardino del Redentore è stata conservata e riutilizzata, a volte cambiandone il senso o l’uso originale. I masegni, ad esempio, sono stati ripuliti dal cemento e utilizzati come cordoli per delimitare i quadrati dell’orto. Abbiamo scelto di non lastricare i camminamenti, preferendo un materiale drenante per conservare l’acqua. L’autosufficienza idrica è un principio fondamentale del progetto: infatti non siamo collegati all’acquedotto, risolvendo l’approvvigionamento idrico scavando un pozzo profondo 120 metri. L’acqua estratta in falda, molto fredda, viene accumulata in vasche di decantazione dove raggiunge la temperatura ambiente prima di essere utilizzata nel sistema di irrigazione.

Quando prevediamo giorni di pioggia, invece, smettiamo di prelevare acqua dal pozzo e usiamo le vasche come cisterne per l’acqua piovana raccolta dai tetti, grazie a un sistema di captazione chiamato in gergo “barili di pioggia”.

Gestiamo, infine, in modo sostenibile i rifiuti vegetali e gli scarti organici. Attraverso un processo di compostaggio in loco, che può durare diversi mesi, questi vengono trasformati in nutrimento per il terreno, garantendone così la fertilità a lungo termine.

Ecco in sintesi i principi cardine del nostro impegno nel restauro e nella conservazione di un giardino.

Come ha scoperto questa nuova incredibile area verde?

E qual è stato l’iniziale rapporto con la comunità dei frati?

Nemmeno dieci giorni dopo l’inaugurazione dei Giardini Reali, il 7 dicembre 2019, mi sono presentata alla porta del Convento a chiedere a Fra Stefano, in rappresentanza della comunità di frati, se fosse disposto a concedere l’Orto Giardino alla Fondazione. In realtà non l’avevo mai visto, nemmeno su Google Maps; ne avevo giusto scorto uno scorcio passando in barca: è stata una pura intuizione, conseguenza di un’autentica rivelazione. Guardandomi indietro, mi sembra a tutt’oggi incredibile che abbia avanzato questa richiesta così e ancora più incredibile che loro abbiano detto sì. Il rapporto con i Frati è stato straordinario. Non si è trattato di un processo rapido, bensì di un paziente e profondo percorso di reciproca conoscenza, basato innanzitutto sulla stima e sul rispetto. Entrambe le parti hanno dovuto imparare a conoscersi, mettendosi spesso l’una al posto dell’altra, accogliendosi vicendevolmente, perché solo cercando di comprendere i desideri e le ragioni di chi

Aliving organism in continuous growth and transformation, a pure beauty offered by nature that follows the seasons, a unique oasis where time and space seem suspended. St. Mark’s Royal Gardens, a place we are particularly attached to, is a monument which was given back to Venice in 2019 after a long and demanding restoration carried out by the Venice Gardens Foundation. The Foundation, in particular its president, Adele Re Rebaudengo, with the idea of promoting an action of research and recovery of a historical and botanical heritage of great importance in the city, used the word “Gardens”, choosing the plural to suggest the desire for a mission aiming at a systemic recovery.

And so it was. After the experience of the Royal Gardens, Adele Re Rebaudengo has embarked on a new challenge which is at the same time very hard and fascinating, finding a unique place of deep symbolic and spiritual value: the Compendium of the Convent Garden of the Palladian Church of the Most Holy Redeemer on the Giudecca Island that covers about one hectare from the Giudecca canal up to the back Lagoon. The conservative and philological restoration, carried out according to a rigorous scientific and historical method, with particular attention to the botanical culture developed over the centuries, has respected the original holiness of the place, making it possible to carefully use this wonderful green area in perfect agreement with the Capuchin fathers.

On October 26th, the Venice Gardens Foundation and the Capuchin Friars Minor were proud to inaugurate the Vegetable Garden of the Redeemer, revealing for the first time in five centuries the beauty and the simplicity of this magical and suspended place, a deep expression of the ancient Franciscan principles.

After the success of the Royal Gardens, you go on with your constant search for the development of monumental green spaces in Venice. What is the meaning of this new venture of yours?

For the Venice Gardens Foundation, restoring a garden, and in this case a vegetable garden, means not only taking care of the restoration and conservation of a historical, artistic and cultural heritage, but also and above all of the botanical and landscape heritage conservation. It means recognizing the major role that these places can play within the social and community fabric of a city, especially in a special city like Venice, with all its beauties and its problems. Restoring a garden is also a way to create a deep connection with nature, based on affinity, harmony and respect. Following these principles and ideals the Foundation began its activity in Venice by restoring the Royal Gardens it received in concession from the Public Property Agency and the City. It still continues to take care of these gardens which are flourishing day by day. Five years ago, we decided to extend our patronage mission to the Vegetable Garden of the Convent of the Most Holy Redeemer Church, a historic, symbolic place, a high expression of Capuchin spirituality, which we inaugurated on October 26, 2024, after over three years of hard work. Let me to underline that the project includes not only the restoration of the Garden but also its conservation and maintenance. The Foundation’s gardeners, directed by the head gardener Edoardo Bodi, follow specific maintenance and management programs based both on ancient knowledge and new techniques, in the full respect of nature, ecosystem and biodiversity. This includes organic cultivation as well as the adoption of natural practices for soil care, in order to promote plant resistance through the management of soil fertility, an aspect that we consider essential in this work

Giovanni Merlo, Vero e reale disegno della inclita città di Venezia, 1696 (particolare). Gentilmente concessa da Fondazione Musei Civici di Venezia

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ORTO GIARDINO DEL REDENTORE ADELE RE REBAUDENGO

si ha di fronte e trovando soluzioni condivise si possono realizzare progetti in armonia, verrebbe da dire ancor più estesamente di pace, visti i tempi che corrono. È stato importante in questa particolare occasione per la Fondazione capire cosa significhi, in profondità, la ricerca della pace e della comprensione, anche quando ci sono delle difficoltà. Dopo cinque secoli in cui è sempre stato ad uso esclusivo del convento, i Frati hanno dovuto convivere per due anni con una squadra di 70 persone, ruspe e mezzi vari al lavoro nel Compendio. Certamente avranno un ruolo attivo nel Giardino, perché rimane il loro giardino. La manutenzione e la cura sarà affidata alla Fondazione, ma se qualche frate vorrà occuparsi di una parte di esso, sarà libero di farlo naturalmente.

In che condizioni ha trovato il Compendio, che dal canale della Giudecca si estende per circa un ettaro fino alla Laguna? Stiamo parlando di un luogo straordinario e profondamente simbolico, legato alla spiritualità dei Frati Cappuccini, con una storia di 500 anni, mai aperto al pubblico prima.

Il Convento è annesso alla Chiesa del Redentore, che venne commissionata ad Andrea Palladio da Papa Gregorio XIII e dalla Serenissima come voto per la fine della peste del 1575-1577, un vero simbolo di rinascita. Il Compendio non comprende solo l’Orto Giardino, ma anche le Cappelle di meditazione, la Serra, l’Apiario e le antiche Officine. Questi ultimi fabbricati, che si affacciano sull’Orto Giardino a nord e sulla Laguna a sud, erano di servizio, utilizzati dai frati come falegnameria, officina, lanificio, qui venivano confezionati i sai, e come luoghi adibiti alla preparazione del mistrà, liquore mescolato all’acqua, offerto in occasione della festa del Redentore. Anche queste strutture sono state affidate dalla Curia della Provincia Veneta e dai Frati Cappuccini a Venice Gardens Foundation nel maggio 2021, con l’autorizzazione della Santa Sede e della Soprintendenza. Sia la parte botanica dell’orto che gli edifici erano stati duramente segnati dal trascorrere del tempo e dall’Acqua Granda del 2019, che con i suoi 187 centimetri ha devastato tutta Venezia. Non era stato fatto alcun intervento dopo questo catastrofico accadimento; il degrado era evidente e il problema della salinità, sia sui muri degli edifici che nel terreno, era particolarmente critico.

Anche per il Giardino del Redentore è stata coinvolta una squadra qualificatissima di esperti. Quale la chiave del progetto?

Venice Gardens Foundation, per restituire al luogo bellezza e visione futura, dopo approfondite ricerche d’archivio ha elaborato un progetto, affidato all’architetto paesaggista di fama internazionale Paolo Pejrone, che riconduce all’importante tradizione degli orti conventuali, alla loro ricchezza e capacità di sperimentazione.

Il restauro del patrimonio botanico, artistico e architettonico ha seguito un approccio conservativo ed estremamente filologico. Il progetto ha contemplato il ripristino dell’impianto originario del Giardino che riprende il simbolismo della croce, già presente nel Seicento, come documentato nella pianta di Venezia del 1696 di Giovanni Merlo, con un reticolo di pergolati in legno di castagno scortecciato che definiscono gli spazi delle diverse coltivazioni: orto, frutteto, ulivi, che un tempo fornivano il sostentamento al Convento stesso, e un cuore centrale caratterizzato da una vasca di ninfee. È stato ripristinato il Giardino dei Semplici, dove venivano coltiva-

and that is too often overlooked. We also pay close attention to saving natural resources, underlying the importance of recycling all existing elements. We have kept and reused everything we found in the Garden of the Redeemer sometimes changing its original meaning or use. The masegni (paving stones), for example, have been cleaned of concrete and used as curbs to mark out the squares composing the vegetable garden. We have chosen not to pave the walkways and to use instead a drainage material to allow water to be saved. The main principle the project is based on is an independent water supply system. As we are not connected to the aqueduct, we have dug a 120-meter-deep well. The ground water, which is very cold, is accumulated in settling tanks where it reaches room temperature before being used in the irrigation system. On the contrary, when we expect rainy days we stop drawing water from the well and use the tanks as reservoirs for rainwater collected from the roofs, thanks to a collection system called “rain barrels”. Finally, we use vegetable and organic waste in a sustainable way. Through an on-site composting process, over several months, this waste is turned into nourishment for the soil allowing its long-term fertility. These are, in short, our key principles for the restoration and conservation of a garden.

How did you discover this amazing new green area? And how was your initial relationship with the friars’ community?

About ten days after the inauguration of the Royal Gardens, on December 7, 2019, I showed up at the door of the Convent to ask Brother Stefano, representing the friars’ community, if he was willing to grant the Vegetable Garden to the Foundation. Actually, I had never seen it, not even on Google Maps. I had just a glimpse of it while passing nearby by boat: it was a mere intuition. Looking back, I hardly believe I could make such a request in this way and that they could accept it.

Our relationship with the Friars was amazing. It was a patient and long process of a deep mutual knowledge, based essentially on a mutual esteem and respect. We have had to get to know each other, often putting ourselves in the place of each other because only by trying to understand the desires and reasons of our counterpart and by finding shared solutions we can carry out our projects harmoniously. On this particular occasion, it was important for the Foundation to understand what it does mean to seek peace and understanding, even when we are faced with difficulties. After five centuries characterized by an exclusive use of the garden, the Friars had to live for two years with a team of 70 people, bulldozers and various vehicles at work in the Compendium.

They will certainly continue to play an active role in the Garden, because it’s their garden. Although the Foundation will be entrusted with the maintenance and care of the garden if any friar wishes to take care of a part of it, he will be free to do so.

In what conditions was the Compendium, which covers about one hectare from the Giudecca canal up to the Lagoon, when you first saw it?

Let’s say that we are talking about an extraordinary and deeply symbolic place, linked to the spirituality of the Capuchin Friars, with a history of 500 years, never open to the public before.

The Convent is annexed to the Church of the Redeemer, which was commissioned to Andrea Palladio by Pope Gregory XIII and the Serenissima as a vow for the end of the plague of 1575-1577, a true symbol of rebirth. The Compendium includes not only the Vegetable Garden, but also the Meditation Chapels, the Greenhouse, the Apiary and the ancient Workshops. The latter which overlook the Vegetable Garden to the north and the Lagoon to the south, were used by the friars as a carpentry, workshop, wool mill – here the friars’ habits were made – and also as a place to prepare the

Adele Re Rebaudengo, Presidente Venice Gardens Foundation, e Edoardo Bodi, Capo Giardiniere, Orto Giardino del Redentore, Giudecca - Photo Francesco Neri
Orto Giardino del Redentore, Pergolato - Photo Francesco Neri
Orto Giardino del Redentore, Camminamento principale - Photo Francesco Neri

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te le erbe officinali per l’antica farmacia del Redentore che curava i malati, oltre al Giardino dei Fiori, il cui scopo originario era ornare gli altari, mentre oggi diventa fonte primaria di nutrimento per le api dell’Apiario. A questo proposito, è stato ricostituito un apiario con tre tipologie diverse di arnie a favo naturale. In collaborazione con Paolo Fontana, uno specialista del settore, verrà condotta una ricerca comparata sul benessere delle api e la qualità del miele.

Vivendo questo spazio emerge con evidenza come il giardino sia costituito non solo da piante, ma anche da animali e si percepisce quanto questi esseri viventi forse più di noi siano indispensabili per l’equilibrio naturale.

In riva alla Laguna, luogo irrinunciabile da cui ammirare il tramonto, ombreggiata dalle chiome compatte e sempreverdi delle piante di pitosforo, con erba e fiori, si apre un’area appartata, mentre sul fronte dell’acqua una seconda pergola è avvolta da Rose banksiae “Alba Plena”, in contrasto con l’altro pergolato, coperto da piante di uva e da rose, glicini e bignonie.

Anche il restauro degli edifici, sotto la guida dell’architetto Alessandra Raso, è stato eseguito con la stessa cura filologica. Si tratta di edifici semplici, in linea con la regola di San Francesco d’Assisi. I muri interni ed esterni nel tempo erano stati coperti da strati di cemento, che sono stati rimossi manualmente con piccoli scalpelli, riportando alla luce il mattone originale, curato e trattato successivamente con impacchi anti-senilità. Lo stesso livello di attenzione è stato riservato alla Cappella di meditazione, un piccolo spazio di soli dodici metri quadrati dove regnano pace e silenzio; un luogo dove non è necessario fare nulla, solo fermarsi ad ascoltare nel profondo sé stessi.

Giardino, Orto, Cappelle di meditazione, Antiche Officine, Serra, Apiario del Convento della Chiesa del Santissimo Redentore. Quale era il valore simbolico di questo luogo?

Il Compendio risponde ai principi di povertà, semplicità e funzionalità stabiliti nelle costituzioni cappuccine, con un esteso e complesso giardino, o per meglio dire di un hortus nell’accezione latina, riferita a uno spazio verde, bello e utile, con un patrimonio vegetale comprendente alberi produttivi, fiori, ortaggi e piante officinali, in linea con i ruoli tradizionalmente svolti dai diversi Ordini religiosi. La collocazione, tra la Laguna, il Convento e le mura di confine, lo qualifica in effetti come hortus conclusus, uno spazio articolato e ben delimitato, in grado di assolvere a molteplici funzioni, la più importante delle quali per la spiritualità cappuccina, strettamente legata al Cantico delle Creature francescano, è l’idea di un anticipo del Paradiso, che nell’armonia tra natura e individuo offre già in terra un luogo gioioso e perfetto.

Un progetto ambizioso e straordinario per la realizzazione del quale avete coinvolto una qualificata teoria di partner, molti dei quali nella veste di preziosi finanziatori. In Venetia Hortus Redemptoris, questo è il titolo ufficiale del progetto, è stato reso possibile anche grazie alla lungimiranza delle istituzioni e alla generosità e alla visione di vari mecenati, che nel loro insieme si sono dimostrati capaci di creare una vicinanza concreta e intima con questo luogo di alto valore storico e spirituale al fine di favorirne il restauro, la protezione e la conservazione. I partner del progetto sono: Unione Europea NextGenerationEU, Ministero

mistrà, a liqueur mixed with water, offered on the occasion of the Feast of the Redeemer. In May 2021 the Curia of the Venetian Province and the Capuchin Friars entrusted the whole Compendium to the Venice Gardens Foundation with the authorization of the Holy See and the Superintendence. Both the botanical part of the garden and the buildings had been severely damaged by the passing of time and by the Acqua Granda of 2019, which devastated the whole city. No intervention had been made after this catastrophic event. Degradation was evident and the problem of salinity, both on the walls of the buildings and in the ground, was very critical.

A highly qualified team of experts has been involved for the Garden of the Redeemer too. What is the key to the project?

Venice Gardens Foundation, in order to give back all its beauty to this place and to envisage a future for it, has developed a project based on an in-depth archival research leading back to the important tradition of conventual gardens, their richness and capacity for experimentation. The project was entrusted to the internationally renowned landscape architect Paolo Pejrone. The restoration of the botanical, artistic and architectural heritage has followed a conservative and extremely philological approach. The project has focused on the restoration of the original layout of the Garden based on the symbolism of the cross, already present in the 17th century, as shown in Giovanni Merlo’s map of Venice dating back to 1696, with a network of pergolas in debarked chestnut wood that define the spaces of the different crops: vegetable garden, orchard, olive trees, which once provided livelihood to the Convent itself, with a pool of water lilies in the middle.

The Garden of the Simples, where medicinal herbs were grown for the ancient pharmacy of the Redeemer, has been restored, as well as the Garden of Flowers, whose original purpose was to decorate the altars, while today it becomes a primary source of nourishment for the bees of the Apiary. We have also recreated an apiary with three different types of natural honeycomb hives.

In collaboration with Paolo Fontana, a specialist in the field, a comparative research will be conducted on the well-being of bees and the quality of honey. When you visit this place it is evident that the garden is made up not only of plants, but also of animals and you can perceive how these living beings are more indispensable for the natural balance than we are.

On the banks of the Lagoon, an amazing place to admire the sunset, in the shade of the compact and evergreen foliage of pittosporum plants, with grass and flowers, a secluded area opens up, while on the water front a second pergola is surrounded by Rose banksiae “Alba Plena”, in contrast with the other pergola, covered with grape plants and roses, wisteria and bignonia.

The restoration of the buildings, under the supervision of architect Alessandra Raso, was also carried out with the same philological care. These are simple buildings, in line with the rule of St. Francis of Assisi. The internal and external walls over time had been covered by layers of concrete, which were removed using small chisels, bringing to light the original brick, which was later treated with anti-senility compresses. The same attention was paid to the Meditation Chapel, a twelve square meters space where peace and silence reign; a place where you don’t need to do anything, just stop and listen to your inner self.

Garden, vegetable garden, meditation chapels, ancient workshops, greenhouse, apiary of the convent of the Most Holy Redeemer Church. What was the symbolic meaning of this place?

The Compendium responds to the principles of poverty, simplicity and functionality established in the Capuchin constitutions, with an extensive and complex garden, or rather a hortus in the Latin

Orto Giardino del Redentore, Orto - Photo Mario Dal Co
Orto Giardino del Redentore, Vista dal campanile - Photo Carlo Soffietti
Orto Giardino del Redentore, Vista giardino dei pitosfori e laguna sud - Photo Francesco Neri

cover story

ORTO GIARDINO DEL REDENTORE ADELE RE REBAUDENGO

della Cultura – Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna, Fondazione di Venezia, Friends of Venice, Generali, Intesa Sanpaolo, The Guillon Family of Fondation Valmont, The Roger Thomas & Arthur Libera Family Foundation, The Venice International Foundation, Van Cleef & Arpels, Airelles, Fondazione Cologni Mestieri d’Arte, Fondazione Hillary Merkus Recordati, Siram Veolia, Luca Bombassei, Franca Coin, Massimo Sordella. È grazie al loro sostegno che oggi possiamo scoprire un’area di così straordinaria bellezza e profondità.

Quale impatto avrà il nuovo Giardino nell’economia sociale e culturale della città?

L’Orto Giardino del Redentore sarà aperto al pubblico dal giovedì al sabato, con orari variabili a seconda della stagione. A differenza dei Giardini Reali, che sono ad accesso gratuito, l’ingresso qui richiede il pagamento di un biglietto, una misura necessaria per sostenere i costi di gestione e manutenzione. Tuttavia, per favorire il ruolo sociale e comunitario di questo luogo, è stata prevista una tariffa ridotta per i veneziani, che potranno anche sottoscrivere una tessera annuale dal costo di soli 30 euro. Un abbonamento che contribuirà direttamente alla manutenzione del giardino e che ci auguriamo possa aiutare ad instaurare un senso di responsabilità tra i visitatori, incentivandoli a vigilare e a prendersi cura di questo luogo così prezioso per la comunità tutta. Le Antiche Officine ospiteranno mostre in armonia con la natura e l’essenza del giardino. Abbiamo già coinvolto due artisti: Remo Salvadori, che ha creato un alveare che accoglie i visitatori nel locale di ingresso del Compendio, e Lucia Veronesi, che ha realizzato un video che racconta i vari momenti del restauro. Oltre a questi due importanti lavori ci sono poi le fotografie di Guido Guidi e Francesco Neri a documentare il restauro. Sempre le Officine ospiteranno in alcuni periodi dell’anno anche il frantoio e la sala di smielatura per la produzione in sito del nostro olio e del nostro miele. L’Orto Giardino produrrà infatti olio, miele, ortaggi, erbe officinali, aromatiche e fiori.

Un Caffè, gestito da Illy, proporrà i nostri prodotti praticamente a “metro zero”, dal momento che proverranno perlopiù direttamente dall’orto. Verranno svolte ricerche botaniche, scientifiche ed artistiche che spazieranno tra diverse discipline, includendo teatro-natura, opere musicali, letterarie, narrazioni poetiche e canti polifonici. Saranno di particolare importanza anche i laboratori per bambini, che avranno una durata estesa nel tempo in modo tale da sviluppare nei più piccoli, tramite la conoscenza, un rapporto profondo e duraturo con la natura. Più che di sostenibilità, preferiamo parlare di responsabilità: quando ci innamoriamo di un essere vivente, che sia una pianta o un animale, ce ne prendiamo cura, lo difendiamo, lo preserviamo, e in questo atto scopriamo che la sua vita è strettamente legata alla nostra.

sense, referring to a beautiful and useful green space, with a plant heritage including fruit trees, flowers, vegetables and medicinal plants, in line with the roles traditionally played by the various religious Orders. Its location, surrounded by the Lagoon, the Convent and the boundary walls, qualifies it as a hortus conclusus, an articulated and well-defined space, capable of performing multiple functions. The most important one for Capuchin spirituality, closely linked to the Franciscan Canticle of the Creatures, is the idea of an anticipation of Paradise: the harmony between nature and man creates a joyful and perfect place also here on earth.

An ambitious and extraordinary project involving qualified partners, many of them playing the role of precious financiers.

In Venetia Hortus Redemptoris, this is the official title of the project, was also made possible thanks to the institutions foresight and to the generosity and vision of various patrons, who were able to create a close relationship with this place of high historical and spiritual value in order to contribute to its restoration, protection and conservation. The project partners are: European Union NextGenerationEU, Ministry of Culture – Superintendence of Archaeology, Fine Arts and Landscape for the Municipality of Venice and its Lagoon, Fondazione di Venezia, Friends of Venice, Generali, Intesa Sanpaolo, The Guillon Family of Fondation Valmont, The Roger Thomas & Arthur Libera Family Foundation, The Venice International Foundation, Van Cleef & Arpels, Airelles, Fondazione Cologni Mestieri d’Arte, Fondazione Hillary Merkus Recordati, Siram Veolia, Luca Bombassei, Franca Coin, Massimo Sordella. It is thanks to their support that today we can discover and enjoy an area of such extraordinary beauty and depth.

What will be the new Garden impact on the city’s social and cultural economy?

The Vegetable Garden of the Redeemer will be open to the public from Thursday to Saturday, at different times depending on the season. Unlike the Royal Gardens, which are free, you have to buy a ticket to visit this garden in order to help support the costs of management and maintenance. In order to promote the social and community role of this place, Venetians will enjoy a reduction or a membership card at only 30 euros per year. A subscription that will contribute directly to the maintenance of the garden and that we hope will help visitors to be more responsible, encouraging them to take care of such a precious place. The Antiche Officine – The Ancient Workshops – will host exhibitions in harmony with the garden essence. We have already involved two artists: Remo Salvadori, who created a beehive that welcomes visitors at the entrance of the Compendium, and Lucia Veronesi, who made a video that tells the various moments of the restoration. In addition to these two important works, Guido Guidi’s and Francesco Neri’s photographs are an exhaustive documentation of the restoration works. In some periods of the year, the Antiche Officine will also host the oil mill and the honey extraction room for the on-site production of our oil and honey. The Vegetable Garden will in fact produce oil, honey, vegetables, medicinal herbs, herbs and flowers. A coffee shop, run by Illy, will offer our products practically at “zero meter” considering that they mostly come straight from the vegetable garden. This space will be open as well to botanical, scientific and artistic research including different disciplines such as nature-theatre, musical and literary works, poetic narratives and polyphonic songs. Workshops for children will also play an important role aiming to develop in the little ones, through knowledge, a deep and lasting relationship with nature. It’s more about responsibility than sustainability. When we fall in love with a living being, whether it be a plant or an animal, we take care of it, defend it, preserve it and doing so we discover that his life is closely linked to ours.

IL LINGUAGGIO DEGLI ABITI

Photo Antonino Cafiero

Combinazioni inaspettate rendono le immagini memorabili

Per molti anni ha insegnato Pratiche curatoriali nella moda alla laurea magistrale in Arti visive e Moda dell’Università Iuav di Venezia, infondendo ai suoi studenti soprattutto un pensiero critico, rivendicando la necessità di infrangere i confini disciplinari, di promuovere continui sconfinamenti in altri campi, per l’urgenza di creare più domande che risposte. Lo stesso approccio con cui ha costruito e continua a costruire tutti i suoi progetti di ricerca, studio, lavoro e vita.

Incontriamo Maria Luisa Frisa a Venezia per farci guidare in anteprima dentro la “sua” Memorabile. Ipermoda, mostra organizzata in collaborazione con Camera Nazionale della Moda Italiana, che apre il 27 novembre al MAXXI di Roma, un progetto in forma di mostra e di libro che racconta il desiderio di bellezza che pervade questi nostri anni. Abiti favolosi, accessori unici, ma anche riviste, libri, video guidano l’esplorazione di un presente che la moda interroga con la sua capacità di essere reattiva a ogni impulso, sia esso sociale, politico, economico, culturale.

Memorabile. Ipermoda esplicita la capacità del progetto/gesto curatoriale di “fare storia”, in questo caso di rendere “memorabile” il modo in cui la moda e le sue forme riescono a rappresentare la contemporaneità e i temi che l’attraversano.

Partiamo dal titolo Memorabile. Ipermoda. In un momento in cui tutto passa e si consuma in fretta, quale la tua definizione di “memorabile”?

Bella domanda. Memorabile è qualcosa che ricordiamo, che ha a che fare con la nostra memoria, con il nostro ricordo, ed è anche qualcosa che provoca una grande emozione, per questo motivo diventa memorabile. Un’emozione, che non è detto sia sempre positiva, può essere anche qualcosa che ci colpisce in negativo. In questo momento abbiamo bisogno di immagini, di forme, di cose in grado di suscitare grandi emozioni, che quindi ricorderemo. Non è un caso se ultimamente si sente spesso parlare della “necessità di meraviglia”. Questa definizione di “memorabile” può essere anche la definizione della mostra stessa: un’immagine talmente forte che provoca emozione, perché in fondo abbiamo sempre più bisogno di emozioni, oltre che di una buona dose di romanticismo, e la moda è l’oggetto forse più comprensibile per tutti, è un linguaggio capace di raggiungere chiunque e, soprattutto, è quel territorio in cui ancora si lavora per destare meraviglia.

La moda, infatti, è da sempre legata a un’idea di sogno, ma è qualcosa di strettamente legato anche a noi, al nostro corpo. La moda è l’architettura più prossima al nostro corpo, l’oggetto, il manufatto, ciò in cui abbiamo bisogno di riconoscerci, e al tempo stesso lo strumento che usiamo quando vogliamo essere ricordati. Pensiamo a tante figure iconiche, come ad esempio la Marchesa Casati: ogni sua apparizione diventava un’immagine memorabile. Molto spesso la moda viene utilizzata per rendersi indimenticabili.

La mostra, attesissima, al MAXXI di Roma scandaglia il presente e il ruolo della moda tra il 2015 e oggi, con un’indagine a largo raggio sulla moda come struttura creativa fondamentale della società, della cultura e dell’economia mondiale. Da dove sei partita per costruire un panorama non solo vasto, ma evanescente e in continua evoluzione?

La mostra nasce da un fatto molto semplice, ovvero dalla lettura di un libro sull’oggetto-persona dell’antropologo Carlo Severi, che ha lavorato anche sul tema della “chimera”. L’oggetto-persona. Rito memoria immagine è un libro molto complesso che ho letto in maniera trasversale, come quando ti colpisce una cosa e vuoi utilizzarla, incorporarla nel tuo lavoro. Severi parla dell’oggetto abito come di qualcosa che possiede una grande forza anche estranea a noi, al di fuori di noi, e questa è la moda. Da qui mi è venuta l’idea di costruire una mostra che affrontasse questo tema e nello stesso tempo registrasse il momento presente, in cui la moda è attraversata da una smania di gigantismo e vuole a tutti i costi essere memorabile Ecco, allora, immagini che devono colpire la fantasia: abiti stratosferici nelle sfilate, che di fatto non sono più nemmeno sfilate ma veri e propri eventi, performance, happening in straordinarie location come l’inedito castello scozzese di Drummond scelto da Dior, la sfilata di Vuitton a Seul lungo il ponte sommergibile Jamsugyo sul fiume Hangang, o, ancora, l’ultima di Alessandro Michele per Valentino, che ha utilizzato come ‘passerella’ l’opera di un artista come Alfredo Pirri. Tutte queste azioni sono veramente molto forti emotivamente, restituiscono un altrove meraviglioso; la moda negli ultimi anni lavora proprio in questa direzione. Se dovessimo fare il paragone con le sfilate anche di pochi anni fa, diciamo fino al 2000, vedremo che avvenivano in posti molto tranquilli, l’una simile all’altra, con qualche eccezione per l’allestimento – penso ad esempio John Galliano da Dior –, però comunque non con la moltiplicazione di varianti che c’è ora, con immagini che sulla rete devono essere replicate infinite volte affinché tutti le possano vedere nello stesso momento, con la meraviglia accessibile a chiunque, anche solo attraverso lo schermo di un cellulare.

Il mio desiderio non era tanto di spiegare, e infatti in mostra spiego assai poco, quanto di mettere insieme questi elementi e di definire, restituire questo stato delle cose in perenne e dinamico divenire. Riguardo la selezione degli abiti è il curatore ad operare una scelta, e la scelta è sempre personale, anche perché, come diceva Harald Szeemann, «il curatore è un autore e la mostra è la sua opera».

Qual è l’oggetto o abito da non perdere in mostra e che hai voluto a tutti i costi?

Questo non lo posso dire. Il dato più importante e rilevante è che gli autori che ho interpellato hanno risposto tutti positivamente; un esempio su tutti Alessandro Michele, il quale ha mandato due abiti della nuova collezione che ha sfilato solo poche settimane fa. Sono molto contenta, ho ottenuto degli abiti veramente pazzeschi, tutti quelli che ho scelto hanno per me qualcosa di speciale. Quando chiedo che mi venga mandato un abito sono io a scegliere quale, quindi nella mia testa ho già ben chiaro ciò che voglio esporre e quello che mi serve per la mostra. Non è detto che sia per forza l’abito più bello, ma piuttosto l’abito che secondo me è più giusto,

i ncontri

perché quando è stato realizzato era espressione dell’urgenza di quel dato momento.

Certo una selezione va sempre fatta, non creiamo repertori enciclopedici. Tutti i designer che mi interessavano sono presenti. A partire da Miuccia Prada, la persona che più ha influenzato la moda contemporanea con il suo lavoro; è stata davvero un apripista e un’ispirazione per tutti. E poi ha avuto il coraggio, da qualche stagione, di chiamare un autore come Raf Simons a cofirmare le collezioni con lei, cosa che nessuno prima d’ora aveva mai fatto. Mi preme ricordare anche che nella moda non c’è solo couture, alta moda; in mostra, perciò, si possono ammirare anche alcuni vestiti o oggetti di direttori creativi indipendenti, come Marco Rambaldi per citarne uno, che con il loro lavoro rappresentano nel loro insieme un segmento davvero importante del settore. Per esempio ho voluto fortemente la tartaruga in oro e pietre di Francesco Vezzoli realizzata da Bulgari e la borsa Ikea progettata da Virgil Abloh, che costa cinquanta euro: pezzi sideralmente distanti dalle creazioni dell’alta moda, eppure espressione di uno stesso desiderio di intervenire non tanto sulle forme in sé, quanto su ciò che rappresentano, divenendo oggetti emblematici della volontà dei designer di segnare l’estetica del mondo attraverso le proprie creazioni che fermano un momento. Invece di indicarne solo qualcuno, allora, cito di seguito tutti gli autori e i marchi che ho voluto in mostra, proprio per restituirne la composita struttura e l’identità molteplice: ACT N°1, Alexander McQueen, Ann Demeulemeester (direttore creativo: Stefano Gallici), Armani Privè, Balenciaga (direttore creativo: Demna Gvasalia), Bottega Veneta (direttore creativo: Matthieu Blazy), Bulgari, Craig Green, Coperni, Delfina Delettrez, Diesel (direttore creativo: Glenn Martens), Dilara Findikoglu, Dior (direttori creativi: Raf Simons; Maria Grazia Chiuri), Dolce & Gabbana, Etro (direttore creativo: Marco De Vincenzo), Fendace (Kim Jones e Donatella Versace), Fendi (direttore creativo: Kim Jones), Ferragamo (direttore creativo: Maximilian Davis), Garbage Core, Grace Wales Bonner, Gucci (direttori creativi: Alessandro Michele; Sabato De Sarno), Iris van Herpen, J.W. Anderson, Jacquemus, Judith Clark, Loewe (direttore creativo: J.W. Anderson), Louis Vuitton (direttori creativi: Virgil Abloh; Pharrell Williams), Maison Margiela (direttore creativo: John Galliano), Marc Jacobs, Marco Rambaldi, Marni (direttore creativo: Francesco Risso), Max Mara, Medea, Miu Miu, Moncler Genius, Moschino (direttore creativo: Adrian Appiolaza), MSGM, Prada, (direttori creativi: Miuccia Prada e Raf Simons), Priscilla Anati, Rick Owens, Saint Laurent (direttori creativi: Hedi Slimane; Anthony Vaccarello), Schiaparelli (direttore creativo: Daniel Roseberry), Stone Island, Thom Browne, Valentino (direttori creativi: Pierpaolo Piccioli; Alessandro Michele), Versace, Viktor & Rolf, Virgil Abloh per Ikea.

Bottega Veneta, Women’s Collection FW23, Look 36 - Courtesy of Bottega Veneta

Come sei riuscita a rendere manifeste e tangibili le tue scelte in mostra?

La mostra viene ospitata nella galleria cinque del MAXXI, un luogo un po’ particolare, con il montacarichi in mezzo e una parete interamente di finestre. Non proprio una sfida semplice per l’allestimento. Gli architetti, i Supervoid basati a Roma e che sono davvero bravissimi, hanno immaginato delle pedane a semicerchio in materiale lucido, sembra quasi latex, nei colori pastello tipici del make-up, che diventano “teatrini”, come li chiamo io, ciascuno orientato in maniera differente in modo da creare disvelamenti o punti di vista diversi.

Inizialmente la mostra era pensata per temi, poi mi sono resa conto che la maggior parte dei pezzi potevano essere inclusi in diversi temi, per cui alla fine mi sono lasciata la libertà di decidere la disposizione finale direttamente in mostra, al cospetto diretto con gli abiti, nell’atto di posizionarli uno accanto all’altro, lasciando le tracce di un percorso per titoli/temi come fossero degli appunti su un taccuino, una nota scritta a margine di un libro. La bellezza delle mostre di moda, assai più che nelle mostre d’arte, sta nel poterci ‘entrare’, vedere ad esempio gli abiti in 3D, potendoci girare attorno e osservandoli da ogni possibile prospettiva o angolazione. Ogni singolo pezzo in questa mostra, dunque, sarà rappresentazione, racconto di una precisa ricerca, dichiarazione di poetica, espressione di un desiderio di essere parte attiva di una storia che si colloca nel presente; un presente non necessariamente lineare. Ogni oggetto in mostra esprimerà sé stesso ma allo stesso tempo sarà frutto di memorie, emozioni, intenzioni, visioni personali e collettive.

Le nuove generazioni di designer, confrontandosi con un patrimonio incredibile, attraverso le proprie creazioni restituiscono più un proprio percorso personale, oppure più estesamente una visione sistemica di una moda che ripensa sé stessa in un dialogo tra presente e passato? Quale l’equilibrio perfetto tra designer e brand? Stile e/o personalità?

La moda ha sempre lavorato sulla sua storia, è sempre successo, è l’unico sistema che si rinnova guardando al passato in maniera dichiarata. In Memorabile c’è naturalmente la parola “memoria” e non solo perché ricordo qualcosa, ma perché la moda ha sempre memoria della sua storia. Sicuramente sono cambiati moltissimo i paradigmi progettuali negli ultimi anni, tuttavia la memoria agisce costantemente: i marchi permangono al di là dei propri fondatori; pensiamo ad esempio a Dior o a Gucci e a quanti direttori creativi hanno avuto nel tempo. Tutti questi direttori creativi hanno dovuto e devono fare i conti con le icone del brand e al tempo stesso con la propria autorialità, pensando a portare il marchio nel futuro. Tuttavia la memoria degli elementi iconici di un brand rimane assolutamente necessaria, altrimenti si perde la riconoscibilità stessa del marchio. Questa è una

Dolce&Gabbana, Tropico Italiano SS17 Women’s Collection
Photo Monica Feudi - Modella Vanessa Moody - Courtesy of Dolce&Gabbana

i ncontri

sfida che oggi più che mai i direttori creativi devono affrontare: la dimensione dell’archivio, un laboratorio in cui i materiali che la storia del marchio ha sedimentato vengono continuamente riattivati e ridefiniti di senso. L’archivio supera così l’organizzazione cronologica per diventare un arcipelago in cui le diverse temporalità convivono nell’immaginazione del direttore creativo, che deve saperlo governare.

D’altro canto spesso dimentichiamo che sempre più la moda mette in atto diverse pratiche che appartengono all’arte contemporanea; è diventata assai più concettuale rispetto ad un tempo. Il direttore creativo non sta più seduto dietro un tavolo a disegnare la collezione, ma è colui che fattivamente costruisce un immaginario. Per me è l’equivalente di un allenatore di calcio, che deve coordinare tutto il mondo che costruisce: le collezioni uomo, donna, accessori… Oggi più che mai il direttore creativo lavora in una dimensione di riflessione, in cui i valori che dà al proprio progetto assumono sempre maggiore rilevanza. Pensiamo, ad esempio, al significato che ha avuto il femminismo nel lavoro di Maria Grazia Chiuri, oppure ad Alessandro Michele, con il superamento dell’idea di bellezza o di genere fisso, cosa che ha fatto anche Marco Rambaldi con i corpi non conformi. La moda si fa portatrice e veicolo di messaggi proprio perché avverte la propria responsabilità nell’essere un sistema così potente. Tra opportunismo ma anche vera credenza, la moda porta avanti e alla luce tanti temi che sono di fondamentale importanza in questo momento.

La moda e gli altri linguaggi. Sfilate sempre più performance che ricercano luoghi, atmosfere, artisti e personalità altre (musicisti, performer, sportivi...). Quali i valori contemporanei che plasmano i linguaggi e i modelli di produzione della moda? Visioni utopiche ed effimere o reale spinta verso un futuro prossimo?

Stiamo guardando il nostro tempo. La moda è uno straordinario sismografo: utilizza tutte le altre discipline, dall’arte al design, dal cinema alla musica, per registrare tutto. Non so se possa prevedere il futuro, ma sicuramente intercetta in maniera molto precisa le vibrazioni del momento e le rende comprensibili e tangibili. Pensiamo a come Armani ha registrato il passaggio tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, non solo con la donna in carriera ma anche con l’uomo, che veste con dei materiali femminili, leggeri, andando ben al di là dei canoni della sartorialità maschile tradizionale. L’uomo e la donna contemporanei sono stati vestiti da Armani e nessuno ha saputo interpretare quel passaggio come lui. La moda italiana è riuscita a decifrare perfettamente quel momento. Il prêt-à-porter – che qualcuno chiama Made in Italy, ma a me non piace come espressione – rappresenta proprio la capacità che ha avuto la moda italiana di realizzare un prodotto di qualità in serie per vestire gli uomini e le donne della fine del Ventesimo secolo. Quella è stata la grande rivoluzione: realizzare un prodotto di qualità più accessibile che non rappresentasse né l’alta moda inarrivabile, né la confezione priva di stile. Non a caso la parola “stilista” deriva proprio da questo processo: colui che dà lo stile alla confezione. L’industria italiana è stata fantastica e continua a produrre tutto quello che viene progettato nel resto del mondo. Da Dior a Vuitton tutto viene realizzato in Italia, perché l’industria italiana possiede una qualità per cui tutto è possibile. Nessuno dirà

mai da noi che qualcosa non si può fare, preferendo, grazie a delle qualità difficilmente imitabili da altri, trovare creativamente sempre delle soluzioni ai problemi. Questo è quello che ha prodotto il Made in Italy, ovvero un’altissima qualità artigianale unita a una straordinaria intelligenza industriale.

La moda continua ad essere sempre linguaggio, comunicazione e persino propaganda. Il ruolo della stampa: «I giornali stampati sono ancora come la punta di diamante su una corona» ha dichiarato Anna Wintour. È ancora così?

Nel libro della mostra abbiamo voluto inserire una serie di ristampe anastatiche di alcune interviste a designer e direttori e direttrici realizzate da riviste indipendenti: approfondimenti che può fare solo la carta stampata. Tuttavia oggi è davvero cambiato il ruolo della carta stampata. Per la mia esperienza con gli studenti posso dire che pochissimi comprano i giornali perché l’accesso all’informazione è completamente un altro rispetto a prima. Però è anche vero che i giornali ultimamente sono diventati delle piattaforme, dove si intrecciano la produzione di eventi e molte altre cose ancora. La carta stampata deve avere più un valore di critica e approfondimento, perché la notizia in sé ora è già bruciata nel momento stesso in cui si stampa. Personalmente, nella mia formazione le riviste sono state importantissime e in mostra c’è quindi un tavolo esclusivamente dedicato a riviste e pubblicazioni di moda. D’altra parte anche le case di moda stampano tantissimi libri. La carta stampata per me continua ad avere una grande importanza, diciamo solo che si è trasformata.

Hai voluto restituire Memorabile non con un classico catalogo da mostra, bensì attraverso un vero e proprio libro. Come è nata questa esigenza?

Il libro è stato complicatissimo. L’idea grafica è di Bruno, lo studio grafico con cui ho lavorato anche in passato, l’editore Marsilio. Il libro è costruito come se fosse composto da una serie di screenshot di sfilata, quindi come un montaggio continuo di immagini. I testi, invece, è come se li scrollassi sullo schermo del computer o del cellulare. Hanno contribuito al catalogo Emanuele Coccia, Alessandro Giammei, il bravissimo giornalista inglese Alexander Fury, Luis Venegas, Nick Rees-Roberts, Gabriele Monti, Silvia Schirinzi, Dylan Colussi, Judith Clark. Tanti punti di vista diversi per restituire la complessità della moda. Non voglio ci sia niente di assoluto o di chiuso, perché un lavoro come il mio si svolge e si dipana attraverso una serie aperta di domande alla ricerca di una visione volutamente incompleta della moda del presente, i cui confini sono il più possibile mobili e porosi. Un punto di partenza, non di arrivo.

Progetti per il prossimo futuro?

Memorabile. Ipermoda che apre il 27 novembre, sarà accompagnata da un public program con una serie di incontri che mi terranno impegnata fino a marzo 2025.

Il 12 novembre esce per Einaudi il mio libro I racconti della moda, che presenterò proprio lo stesso giorno alla libreria Marcopolo qui a Venezia. Dopo di che sarò impegnata con le presentazioni del libro. Al momento sono concentrata su questi due progetti per me molto importanti.

Giorgio Armani Privé Bozzetto - Women’s Collection FW19 - Cortesy of Giorgio Armani Privé

L’ESTATE DI SAN MARTINO

Solo chi è stato bambino in una Venezia profondamente diversa da quella di oggi può cogliere il senso di una data, trascurabile all’apparenza, come l’11 novembre

Devo compiere da subito un distinguo, di valore esclusivamente sentimentale, legato al senso dell’infanzia trascorsa a Venezia, ahimè qualche lustro fa. Ebbene solo chi è stato bambino in una Venezia, profondamente diversa da quella di oggi, una città più viva di abitanti, ma molto meno viva di folle durante tutto l’anno, può cogliere il senso di una data, trascurabile all’apparenza, come l’11 novembre, Festa di San Martino. Per la Chiesa Cattolica tale data coincide con “La giornata del Ringraziamento”, rappresenta l’inizio giuridico dell’annata agraria, e ancora, volgendo lo sguardo al passato, in questo giorno venivano celebrate le Antestérie, antichi riti popolari, il cui primo giorno era detto dai greci pitoighìa, perché pare venissero spillate le botti e si assaggiasse il primo vino.

A Venezia l’11 novembre è San Martin, quello che andava in «sofita, a trovar la so’ novissa»... anche se andrebbe fatto ordine su questa prima strofa della poesia-canzone, in quanto la storia della fidanzata risalirebbe alla fine dell’800, forse inizio ‘900. San Martino di Tours era un soldato dell’Impero romano, che durante una ronda notturna nell’inverno del 335 divise il suo mantello con un mendicante seminudo. Dopo quella notte e la visione di Gesù in sogno vestito con la metà del suo mantello militare, Martino si convertì al cristianesimo. Potere del fashion system!

Il Santo in giro per soffitte per andare a trovare la fidanzata risulta abbastanza improbabile, molto meno invece la storia popolare veneziana circa il fatto che in zona San Francesco della Vigna, viveva un uomo anziano, di nome Martino, che aveva la velleità di corteggiare e concupire le giovani; una di queste, molto probabilmente per soldi, aveva ceduto ed il vecchio la considerava la sua “noviza”. Questa, probabilmente, aveva qualcun altro ed un giorno il vecchio Martino, ‘el sior Martin’, essendo andato a trovarla a casa, in soffitta, forse perché si trattava di una povera, non la trovò e... rimase di stucco o come meglio

dicono alcune versioni del canto «... xè anda par tera» o, in modo più veritiero «... col cul par tera». In origine questa antica canzone popolare veniva intonata da adulti che chiedevano l’elemosina nelle botteghe o ai passanti, prima che la questua diventasse solo ‘monopolio’ dei ragazzini con i coperchi delle pentole battuti fragorosamente a segnare il loro passaggio. Per i bambini veneziani San Martino è un meraviglioso biscottone di pasta frolla iper decorato a foggia equestre con tanto di cavaliere brandente un’elsa sguainata protesa verso l’alto. Allora era quasi un privilegio veneziano quello di ricevere l’11 novembre questo squisito dolce, nel mio caso, omaggiato a me e sorellina treccioluta, dal nonno materno finto burbero e da due stupende zie, quelle che tutti i bambini del mondo meriterebbero di poter avere. Confesso di essere stato un vorace fratello, che spesso divorava anche pezzi interi dell’equino di spettanza alla sorella, proverei tuttavia a far rientrare la cosa nella normale dialettica familiare oppure più banalmente nell’essere drammaticamente un golosastro! Ricordi familiari a parte, questo dolce che ha imboccato da tempo anche la strada verso la terraferma e oltre, rimane tuttavia una prerogativa del territorio veneziano. Impossibile non essere fatalmente attratti dal biscottone equinomorfo, con tutti i suoi decori fatti di pasta di zucchero colorata, i confetti, i cioccolatini e i terribili pallini argentei di zucchero, proiettili che minano la stabilità dei denti e rallegrano i dentisti per le conseguenze. Questo dolce è molto semplice nella sua struttura, ne esiste anche una versione fatta a medaglione con l’effige del santo a cavallo, preparata con la marmellata di mele cotogne molto asciutta e stampata, come fosse una moneta coniata, in medaglioni di 10-20 cm, adornati con un fiocco di nastro rosso, ma si tratta di una chicca per estimatori-filologi dei sapori, i bambini di ogni età vogliono anzi pretendono quello di pasta frolla, unico e inimitabile. Da comprare nelle pasticcerie artigiane, aiutando in questo modo a tenere viva la tradizione e la bontà autentica. Altrimenti si merita di finire come il Sior Martin!

di Fabio Marzari | VeNews 239, novembre 2019
Festa di San Martino 11 novembre
Chiesa di San Martino, Arsenale

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UNA FESTA, UNA CITTÀ

L’anno 1630, mentre colpiti la Dominante e lo Stato dall’orrido flagello della peste, il voto di erigere il sacro tempio dedicato a Santa Maria della Salute riuscì mezzo opportuno per placare l’ira del cielo e restituire all’afflitta patria la salute... Giannantonio Moschini La chiesa e il seminario di Sta. Maria della salute in Venezia, 1842

La Festa della Madonna della Salute, il 21 novembre, ricorda una tradizione tipicamente veneziana che segna in qualche modo l’avvio della stagione fredda in città. Si tratta di un culto semplice, devozionale e senza risvolti complessi, dove è una intera città che si reca in pellegrinaggio nella Basilica progettata dal Longhena e sfila davanti all’icona bizantina della Mesopanditissa, una Madonna nera, che salvò Venezia dalla peste del 1630-31. Il modo di festeggiare tale ricorrenza è rimasto più o meno simile nel corso degli anni e non potrebbe essere altri- menti, in Venezia le feste popolari hanno la forza di mantenersi immutate nei secoli e una certa refrattarietà al “foresto” da parte dei veneziani ben si coniuga con la supponenza serenissima che – incredibilmente – ancora considera campagna tutto ciò che è situato al di là del Ponte! Quindi il format della festa è ben collaudato e in base al noto brocardo “consuetudo tenet et est servanda” ogni modifica è bandita, quindi anche quest’anno, candele, palloncini per i più piccoli, frittelle e altre leccornie ipercaloriche e tanta, davvero tanta gente! Sarebbe tuttavia ingeneroso nei confronti di Longhena e della sacra icona bizantina banalizzare la festa come una semplice passeggiata alla Salute. In tempi più recenti il Cardinale Giuseppe Roncalli, Patriarca di Venezia, divenuto Papa Giovanni XXIII nel 1958, in un messaggio a tutti i veneziani ebbe a dire (con il plurale maiestatis): «Per cinque anni consecutivi avemmo il singolare favore di partecipare con voi e di presiedere alle annuali celebrazioni della Madonna della Salute, che si ricollegano al voto formulato dai padri vostri nel 1630, nella circostanza dolorosa di un morbo nefasto...». Non fu quella del 1630-31 la prima volta in cui i Veneziani fecero la triste esperienza di quanto fosse terribile la peste: quella del 1348 portò via i due terzi della popolazione, e quella del 1575, anche se meno violenta, fu così insistente e duratura che la Serenissima ricorse all’aiuto divino facendo voto di costruire la Chiesa del Redentore alla Giudecca. La peste del 1630, arrivata, pare da Mantova, è particolarmente violenta, e Venezia presenta uno spettacolo desolantissimo: i lazzaretti sparsi per le isole sono incapaci di contenere gli appestati che pertanto rimangono nelle case, il più delle volte senza medici, essendo insufficienti, quelli rimasti, per un servizio tanto intenso. Le medicine presto si esauriscono, ed anche le riserve di viveri vengono a mancare. Venezia, città di mare e di grandi commerci, forte della esperienza passata, prende ogni precauzione per evitare che il male entri nella laguna, ma il morbo compare improvvisamente in città portato, dicono gli storici, dall’ambasciatore di Carlo Gonzaga Nevers, il marchese de’ Strigis, che si reca a trattare la pace con l’Imperatore Ferdinando II, portando con sé preziosi doni, ed una lettera per il Doge Nicola Contarini. Il Senato della Repubblica lo blocca al suo ingresso in città e lo obbliga ad una quarantena, prima nell’Isola del Lazzaretto Vecchio e poi, per sua comodità, nell’Isola di San Clemente. Ma per inevitabile fatalità, o per imprudenza da parte del falegname che presta alcuni lavori di adattamento della casa, la peste che colpisce l’ambasciatore e i suoi familiari, compare nella contrada di San Vito, poi in quella di San Gregorio, ed in breve in tutte le contrade. In mezzo a tanta sventura, Venezia, ormai incerta e disorientata, si trova impotente a lottare contro il male. Il Patriarca Giovanni Tiepolo, con il Clero ed i fedeli, «versando lagrime di dolore e di compunzione», guida pubbliche processioni e solenni esposizioni del SS. Sacramento in Cattedrale, ad implorare la clemenza del Cielo. Il Doge e il Senato della città deliberano che per quindici sabati si facciano in San Marco particolari preghiere con processione, portando l’immagine miracolosa della Vergine, seguita da tutte le Autorità. Il 26 ottobre, primo dei quindici sabati, dopo la processione, sotto le volte maestose di San Marco, davanti alla statua della Madonna Nicopeia, il Doge, a nome di tutta Venezia, con voce che tradisce l’emozione, pronuncia il Voto di «erigere in questa Città e dedicare una Chiesa alla Vergine Santissima, intitolandola Santa Maria della Salute, e che ogni anno, nel giorno che questa Città sarà pubblicata libera dal presente male, Sua Serenità et li successori suoi anderanno solennemente col Senato a visitar la medesima Chiesa a perpetua memoria della Pubblica gratitudine di tanto beneficio»...

Our Lady of Good Health, November 21, is a Venetian tradition and it marks, in a way, the entering of the cold season. The tradition in itself is a quite simple one: a procession to the Basilica and a reverence to a depiction of the Madonna, who ended the plague of 1630 in Venice. Consuetudo tenet et est servanda, said the Latin, tradition holds and is here to stay: candles, balloons, beignet and other high-calorie candy, and many, many people all around! 1630 wasn’t the first time Venice faced the plague. In 1348, two thirds of the population had been wiped out by it, and the one of 1575, albeit less aggressive, was a very persistent one. It seems that the one of 1630 arrived from Mantua (Mantova) and was brought into Venice by the legate of Duke Carlo Gonzaga Nevers, Marquis de Strigis, in Venice to negotiate peace with Emperor Ferdinand II. The administrators of Venice force him and his party to quarantine but a breach in the quarantine protocol proves fatal for Venice. The ambassadors took abode on Lazzaretto (Vecchio) Island first, and then in the more comfortable San Clemente Island, separate from Venice. It seems that a handyman working on their residence became infected and unwittingly brought the disease into Venice. The plague travels quickly to all neighbourhoods and in the matter of months, Venice looks like the desolation of a lazaret. Infected people and corpses are everywhere, every- thing was in shortage: burial ground, drugs, physicians... there was little anybody could do. Venice Patriarch Giovanni Tiepolo “in tears of pain and contrition” leads public procession and solemn prayer for the clemency of God. The Doge and the Senate order that extra processions be held for fifteen Saturdays in San Marco. On October 26, on the first such Saturday, the people amassed by an icon of the Madonna, the Doge proclaims the city’s vows to erect a church to the Virgin Mary, Our Lady of Good Health, and to visit it every year on the day the City shall have been set free of the disease: the Doge, his successor, the Senate, all to show gratitude for the good grace.

Festa della Madonna della Salute
21 novembre Basilica di Santa Maria della Salute, Dorsoduro basilicasalutevenezia.it

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FESTA DELLA MADONNA DELLA SALUTE I FONDAMENTALI

BASILICA

Un’imponente gradinata, che sembra quasi emergere dall’acqua, conduce all’ingresso della Basilica a pianta centrale, sormontata da una doppia cupola scenografica. Sulla sommità della cupola maggiore si trova la statua della Vergine con il bastone di Capitana de mar. Progettata dal giovane Baldassarre Longhena, in stile barocco assolutamente innovativo, “la rotonda macchina che mai s’è veduta né mai inventata”, come egli stesso la definì, venne iniziata nel 1631 e però conclusa solo dopo la sua morte nel 1687. Una serie ricchissima di statue decorano la facciata principale e i lati esterni dell’edificio, continuando anche all’interno, secondo il tema della glorificazione di Maria. L’altare maggiore colpisce per la sua mole imponente e per lo straordinario gruppo marmoreo di Giusto Le Court che si trova sulla sommità: la Vergine appare maestosa con il Bambino in braccio, sopra un masso di nubi con tre putti angelici ai piedi; un angelo con la fiaccola caccia la peste che fugge precipitosa mentre una donna riccamente adornata ricorda la città di Venezia che sta supplice in ginocchio ai piedi della Madonna. Al centro dell’altare la splendida immagine della Madonna della Salute, la Mesopanditissa.

N.B. Dalla statua della Peste, raffigurata da Giusto Le Court sull’altare come una megera vecchia e sdentata, deriva il detto veneziano: Ti xè bruta come ea peste!

ENG An imposingly large staircase seems to rise from the water. Once in, you will see the inside of the double dome construct hovering it. On the top of the larger dome is a statue of the Virgin with the mace of Capitano da Mar (Admiral). Designed by a young Baldassarre Longhena in an innovative Baroque style, the construction of the church began in 1631 and was concluded after Longhena’s death, in 1687. Statues adorn the main façade and the outer sides of the building as well as the inside. The main altar is majestic in its size and is decorated by a marble group by Giusto Le Court. The Virgin Mary appears with the Child in her arms over clouds, puttos at her feet. An angel chases away the plague with a torch while a richly-adorned woman, Venice, reveres the Madonna.

Note: Le Court sculpted an allegory of the plague in the shape of a toothless old hag. Hence, the Venetian saying: you’re ugly as a plague!

ICONA

La venerata icona della Madonna delle Grazie detta “della Salute” fu trasportata a Venezia dal Doge Morosini nel 1670 dalla Cattedrale di San Tito di Candia, dopo la fine della guerra. La tavola del XIII secolo in stile bizantino è di particolare suggestione per il volto ombrato e gli occhi penetranti della Madonna.

N.B. A Candia era denominata anche “la Mesopanditissa”, dall’uso liturgico locale che la festeggiava a metà ( mezo ) tra la festa dell’Epifania (6 gennaio) e la festa di Maria Ipapantissa (2 febbraio). Da cui il termine “mesoipapantissa”, trasformato popolarmente in “mesopanditissa”.

ENG The icon of Our Lady of Graces, also known as Our Lady of Good Health, was brought to Venice by Doge Morosini in 1670 from St. Titus Cathedral in Candia (present-day Heraklion, Crete). The XIII-century Byzantine plate is highly suggestive for the Madonna’s shadowy face and piercing eyes.

Note: Mesopandotissa is a Greek/Venetian form of Mesoipapantissa, an appellative of the Madonna that originated in Crete that used to signify the feast took place midway (miso) to the Ipapantissa, whose day of celebration is February 2.

PONTE VOTIVO

Una fila ininterrotta di persone si reca in pellegrinaggio presso la maestosa Chiesa della Salute e lo fa percorrendo a piedi il ponte votivo, un ponte temporaneo costruito su barche, che attraversa il Canal Grande e collega le rive di Santa Maria del Giglio (San Marco) con la Basilica del Longhena (Dorsoduro).

N.B. Occasione unica per ammirare da una prospettiva insolita i profili dei palazzi e delle chiese affacciate sul Canal Grande. ENG Pilgrims can reach the Basilica on foot via the votive bridge, a temporary bridge over the Grand Canal that unites Santa Maria del Giglio and the Basilica.

Note: A chance to see the palaces overlooking the Grand Canal from an unusual perspective.

CANDELE

Il legame ancora vivo e intenso tra Venezia, i veneziani e la Madonna della Salute si traduce nella quantità di candele che durante la Festa vengono raccolte in Basilica, numeri tali da garantire il fabbisogno annuo per tutte le chiese della città. La tradizione vuole infatti che per rendere omaggio alla Madonna vengano portate e accese delle candele – non c’è una regola fissa per il numero, ognuno si comporta in base alle proprie volontà – affinché possa intercedere per la buona salute.

N.B. Nel campo antistante la Basilica numerosi banchetti vendono candele di ogni grandezza.

ENG Venetians are very devoted to Saint Mary up to this day, and you can tell from the number of candles that during the Feast are lit in the church – more than all the other churches in Venice, combined, over a year. Tradition dictates the candles (any number, you get to choose how many) testify your devotion and your plea for good health.

Note: Candles are sold just before the Basilica.

CROCCANTE E PALLONCINI

Il sacro e il profano come ogni festa religiosa che si rispetti convivono e si fondono perfettamente. Accanto al sincero sentimento religioso convive l’aspetto più laico e gioioso: banchi imbanditi di dolciumi, soprattutto croccante alle mandorle e gigantesche frittelle, aspettano i fedeli fuori dalla Basilica. Immancabili i palloncini colorati e i giocattoli per i più piccoli.

N.B. Da consumarsi rigorosamente per strada.

ENG The sacred and the profane, as is the case with any religious feast, peacefully coexist. Stands sell candy, especially almond brittle and beignets and wait for you after church. Balloons and toys are available for the younger ones.

Note: Eat right away! Why wait?

CASTRADINA

Piatto della tradizione a base di cosciotto di castrato (montone salato e affumicato) cucinato per ore e saltato in padella con cavolo verza. Un omaggio alla fedeltà dei Dalmati che, nel lunghissimo isolamento patito da Venezia durante la pestilenza, sono stati gli unici a rifornire gli abitanti di cibo, soprattutto il montone, diffusissimo in quei territori. Ecco perché a ricordo di quel travagliato periodo si è mantenuta la tradizione di mangiare solo nella festività della Salute la “castradina”.

N.B. Pietanza saporita per palati avvezzi a gusti forti.

ENG A plate of Venetian tradition, it is mutton chop, smoked and slow-cooked with savoy cabbage. An homage to the loyalty of the Dalmatians, who, in the long plague induced isolation of Venice, were the only one to send regularly supplies to town and feed the Venetians. Muttons are traditionally raised in their territories.

Note: Beware! Strong tastes ahead.

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SEMINARIO PATRIARCALE LAPIDARIO

FRAMMENTI DI VENEZIA

Dopo le devozioni alla Madonna

della Salute, dovuto tributo alla fede, alla tradizione e alla speranza, nella giornata a Lei dedicata, ma anche in qualsiasi altro giorno dell’anno, vale la pena osservare le lapidi, le lastre tombali, i bassorilievi disposti a parete attorno al cortile del Seminario e attardarsi a leggere le didascalie che ne raccontano la storia

Giovanni Casoni
Emanuele A. Cicogna
Giannantonio Moschini

B«ella scoperta, di una lapide romana in un muro di una casa demolita». Questa frase, che annuncia la fausta, inaspettata scoperta di un frammento archeologico romano da un edificio demolito sul rio di San Barnaba, si legge alla data dell’8 aprile del 1831 nei Diari di Emanuele A. Cicogna, l’erudito che molto si adoperò per la conservazione di oggetti storici e d’arte veneziani, salvandoli dalla dispersione sul mercato antiquario durante tutta la prima metà dell’Ottocento. Del fortunato ritrovamento Weber, collezionista e anch’esso mercante d’arte, come viene riportato ancora nei Diari, «avvisò Moschini: Moschini avvisò Casoni: Casoni avvisò me». La notizia della nuova scoperta veniva quindi comunicata a Giovanni Casoni, che nel suo ruolo di Ingegnere alle Pubbliche Costruzioni spesso era il primo a riconoscere tra le macerie dei cantieri preziosi reperti antichi, sui quali veniva interrogato Emanuele Cicogna per la sua riconosciuta competenza nella storia e nell’arte cittadina. Veniva, quindi, interessato anche l’abate Giannantonio Moschini, che era in grado di accogliere, quanto era possibile e valeva la pena salvare, queste sopravvissute memorie cittadine nel cortile del palazzo adiacente alla Basilica della Salute, divenuto sede del Seminario patriarcale dal 1818. In questa virtuosa catena di solidarietà civica e culturale, sostenuta da una rispettosa e reciproca amicizia, in una città che supinamente non era più in grado di reagire all’andamento dei tempi, si distinguevano le personalità di questi tre studiosi tra loro assai diversi per formazione, mestiere ed esperienze, ma accomunati dalla stessa passione per la conservazione del patrimonio storico e artistico veneziano. Tra questi Giannantonio Moschini, imbevuto di cultura classica e religiosa, era all’epoca anche l’unico solido punto di riferimento al quale affidare materialmente le disiecta membra provenienti da una città in parte saccheggiata, in parte demolita perché bisognosa di nuovi spazi, in parte costretta a inseguire sull’esempio delle grandi capitali europee un futuro urbano non abituale con l’apertura di più ampie vie pedonabili.

Responsabile di questo progressivo mutamento fu anche la Repubblica veneziana prima della sua caduta, perché oramai incapace di mantenere un patrimonio immobiliare esorbitante e in parte degradato, tale che lasciò, per esempio, andare in rovina la grande chiesa dei Servi di Maria a Santa Fosca e permise che i suoi preziosi altari fossero venduti e trasferiti fuori della città. Poi seguì il Governo francese che, pur nel lodevole impegno di creare nuovi giardini, fece abbattere chiese, conventi e ricoveri ospedalieri e sventrò il popoloso Sestiere di Castello per fare spazio alla via Eugenia, oggi via Garibaldi. Poi vennero gli Austriaci che, nell’ossessivo tentativo di fare di Venezia una città armata, convertirono l’uso di molti edifici religiosi destinandoli a caserme o polveriere, a cominciare da quelli che popolavano molte isole della laguna: San Giorgio in Alga, lo Spirito, San Giacomo in Paludo, Santi Cosma e Damiano alla Giudecca. Nel lapidario del cortile del Seminario della Salute si accumularono, così, in una sorta di museo all’aperto, gli elementi residui di queste invasive operazioni, prevalentemente consistenti nei beni riconducibili al patrimonio ecclesiastico, il quale soprattutto nel corso del XIX secolo fu in parte demanializzato, oggetto di molteplici demolizioni per il recupero dei luoghi, in parte smantellato di ogni antica ornamentazione e sovrastruttura recuperando la sola cubatura interna dell’edificio.

A fronte di tanti materiali recuperati, fu lo stesso Moschini a redigere nella sua pubblicazione del 1842, La chiesa e il seminario di S.ta

Maria della Salute in Venezia, uscita postuma due anni dopo la sua morte, un primo inventario di questa raccolta di reperti lapidei, dichiarandone la provenienza, descrivendone le forme e trascrivendone le epigrafi, in questo coadiuvato da Cicogna, il quale aveva dato principio alla compilazione del suo Delle Iscrizioni veneziane Con l’annessione di Venezia all’Italia nel 1866 il patrimonio storico degli ordini religiosi ancora presenti in città continuò ad essere demanializzato e a subire ulteriori spoliazioni, ma al contempo si registrò il maturare di una ritrovata coscienza volta alla conservazione della memoria collettiva. Con Niccolò Barozzi e poi con Federico Berchet furono i Civici Musei Veneziani a seguire l’esempio di Moschini e a conservare queste testimonianze del passato raccolte inizialmente nel Fondaco dei Tedeschi fino alla fine dell’Ottocento, quando venne istituito per la loro tutela l’Ufficio regionale per la Conservazione dei Monumenti, primo nucleo operativo delle attuali Soprintendenze.

Questi beni salvati in quegli anni difficili, oggi costituiscono un nucleo di straordinario interesse storico-artistico che, con l’avanzare della ricerca, trovano coerente collocazione nel più ampio profilo di studi su una Venezia scomparsa e, in questa prospettiva, il lapidario del Seminario veneziano raccolto da Giannantonio Moschini riveste un ruolo importantissimo e centrale. Ecco perché, dopo le devozioni alla Madonna della Salute, dovuto tributo alla fede, alla tradizione e alla speranza, nella giornata a Lei dedicata, ma anche in qualsiasi altro giorno dell’anno, vale la pena osservare le lapidi, le lastre tombali, i bassorilievi disposti a parete attorno al cortile del Seminario e attardarsi a leggere le didascalie che ne danno informazioni. Si riconosceranno i nomi di alcuni importanti personaggi le cui sepolture sono state qui trasferite, come nel caso di Tommaso Rangone, il medico filosofo, le cui spoglie riposavano nella chiesa di San Giuliano in Piazza San Marco. Di tante altre chiese, delle quali in questo cortile c’è la memoria, resta solo il richiamo nella toponomastica: nel centro storico Sant’Angelo, San Boldo, le Vergini, Sant’Antonio, il Santo Sepolcro, e nelle isole la Certosa, San Maffio e San Cipriano a Murano, San Giorgio in Alga e altre ancora. Tanti anche i resti di edifici dove oggi è difficile riconoscere il loro passato assistenziale e religioso: la Scuola della Carità, quella di San Teodoro, le chiese di San Leonardo, il chiostro di Santo Stefano, Sant’Agnese, Santa Giustina, San Vidal. Un itinerario stimolante quanto difficoltoso a contatto con un repertorio di memorie storiche e di stili artistici che esercita la voglia di approfondire la conoscenza di una Venezia che non c’è più. Non si trascuri poi di entrare nella chiesetta della Santissima Trinità, attigua al cortile del Seminario e riservata ai seminaristi, dove si può incontrare «incastrata nel muro – come si legge nella guida del Moschini – un’ancona di marmo rappresentante la B.V. (Beata Vergine) col bambino in braccio e a’ lati i santi Benedetto e Bernardo. Sotto queste figure leggesi in gotico carattere: MCCCLIII mensis madii factum fuit hoc opus. Stava nel campo dinanzi la chiesa di Santa Maria della Celestia e fu donata al Seminario dall’Ingegnere Giovanni Casoni il 23 maggio 1826». E ancora, infissa sulla stessa parete, una bella lunetta a bassorilievo con Daniele nella fossa dei leoni tra due figure di devoti. Due esempi di arte scultorea di straordinaria qualità che ben figurerebbero nella tanto attesa mostra, per il momento ancora purtroppo lontana, sulla scultura veneziana di epoca medievale. Poco più in là, si scorge una moderna lapide tombale: segnala i resti mortali del canonico Moschini.

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SEMINARIO PATRIARCALE LAPIDARIO

Seminario Patriarcale di Venezia
Ancona, Chiesetta della Santissima Trinità, Seminario Patriarcale
Lapidario, cortile del Seminario Patriarcale
Lapidario, portico del Seminario Patriarcale
Bassorilievo, Chiesetta della Santissima Trinità, Seminario Patriarcale

OUR 2024 PROJECTS IN VENICE

GREENHOUSE

Portugal National Pavilion at ACP - Palazzo Franchetti (II Noble Floor)

MALATH-HAVEN

Oman National Pavilion at Palazzo Navagero Gallery

THE ART OF SEEING - STATES OF ASTRONOMY

Georgia National Pavilion at Palazzo Palumbo Fossati

THE BLUE NOTE

Côte d’Ivoire National Pavilion at San Trovaso Art Space

THE NEIGHBOURS

Bulgaria National Pavilion at Sala Tiziano - Centro Culturale Don Orione

VLATKA HORVAT: BY THE MEANS AT HAND

Croatia National Pavilion at Fabrica33

WAN ACEL. TULI BAMU, TURI BAMWE, WE ARE ONE

Uganda National Pavilion at Bragora Gallery

BREASTS

ACP, Fondazione IEO Monzino, Contemporis ETS at ACP - Palazzo Franchetti (Mezzanine Floor)

DANIEL PEŠTA. SOMETHING IS WRONG

Museum Montanelli at Tana Art Space

DOMANI

Jacques Martinez at SPARC* - Spazio Arte Contemporanea

GYÖNGY LAKY & REBECCA TABER. BETWEEN WORLDS

Mima Begovic Art Projects at Magazzino Van Axel

H2O VENEZIA: DIARI D’ACQUA / WATER DIARIES

Lapis Lazuli: artE in collaboration with Fondazione Barovier&Toso at SPUMA

HENRI BEAUFOUR. PORTRAITS IMAGINAIRES

curated by Valerio Dehò at Palazzo Pisani Santa Marina

HUGO McCLOUD. NEW WORKS

Luce Gallery at Palazzo Contarini Polignac

INFINITY ART

Pahsi Lin at Cavana ai Gesuati

LEAPS, GAPS AND OVERLAPPING DIAGRAMS

Loris Cecchini at Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano

MARIA KREYN. CHRONOS

Ministry of Nomads Foundation at Chiesa Anglicana

MEMO AKTEN. BOUNDARIES

Vanhaerents Art Collection at Chiesa di Santa Maria della Visitazione

PASSENGERS IN TRANSIT

193 Gallery - Collateral Event at Ex Farmacia Solveni

REZA ARAMESH. NUMBER 207

MUNTREF and ICA MIAMI at Chiesa di San Fantin

MONGOL ZURAG: THE ART OF RESISTANCE

U. Tsultem, Herron School of Art+Design and Mongol Zurag Society at Garibaldi Gallery

THE ROOTED NOMAD

Kiran Nadar Museum of Art at Magazzini del Sale 5

TRANSCENDENCE

Wallace Chan at Cappella di Santa Maria della Pietà

ULYSSES: WE ARE ALL HEROES

Fondation Valmont at Palazzo Bonvicini

YOUR GHOSTS ARE MINE: EXPANDED CINEMA, AMPLIFIED VOICES

Qatar Museums at ACP - Palazzo Franchetti (I Noble Floor)

art e

VORTICE VITALE

Una bella emozione fu quando Karole Vail mi chiamò per propormi un’intervista per la mostra Peggy Guggenheim. Ultima Dogaressa, dedicata a sua nonna, che stava curando e a cui voleva partecipassi. Ero veramente sorpresa e onorata. Quello forse fu l’inizio di questa magnifica circostanza che ora mi regala una mia mostra alla Collezione Guggenheim. Ancora non riesco a crederci!

Apollonio. Oltre il cerchio
Mariana Apollonio, 1965 © Archivio Marina Apollonio

arte

COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM

Un’intervista speciale a una persona speciale, l’artista Marina Apollonio, in occasione di un evento speciale, la mostra che celebra la sua arte fortemente voluta e ora ospitata dalla Collezione Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni, o per dirla con le parole dell’artista, «a casa di Peggy». Una bellissima chiacchierata dove la vita e l’arte, ma soprattutto la curiosità sempre alle prese con l’invenzione e la creazione, l’intelligenza arguta, la passione indomita e l’ironia sagace si mescolano in un flusso di parole per raccontare un’idea di arte che, nello svolgersi del tempo, da movimento di avanguardia e di sovvertimento dell’ordine costituito diventa ora fluido pensiero contemporaneo. «Forse parlo troppo», si è chiesta Marina Apollonio nell’incedere della conversazione. Eppure, detto senza retorica alcuna, nel corso di questo dialogo il tempo era come se fosse un’entità astratta da non misurarsi, come i suoi cerchi in perenne movimento, suo heimat creativo; le parole risuonavano avvolgenti ed entusiasmanti in un racconto vivace che avremmo voluto non finisse mai. Così come la sua ricerca artistica, un corpo vivo e ancora in movimento. All’affermazione durante la conferenza stampa che la mostra alla Collezione Guggenheim fosse la chiusura del suo cerchio espressivo, lei ha ironicamente e prontamente risposto: «Eh no, guardate che c’è anche il quadrato!», invitando tutti a continuare a guardare alla sua arte come un processo in perenne divenire, a prescindere, per l’appunto, dallo scorrere meccanico delle lancette del tempo. Non è possibile di seguito riprodurre appieno l’unicità dell’esperienza di un dialogo aperto con questa straordinaria e affabile artista del nostro Novecento e dei nostri giorni, ma proviamo qui di seguito a restituire almeno in parte quanto abbiamo potuto imparare ulteriormente sulla sua arte facendoci liberamente guidare da lei stessa nel vortice vitale del suo instancabile creare.

Partiamo dall’inizio, da suo padre, Umbro Apollonio. Quale fu la spinta che la sua figura intima e professionale offrì alla bambina prima, alla giovane poi e infine all’artista compiuta Marina?

Sono riuscita a vedere la mia mostra! Prima donna artista vivente esposta alla Collezione Guggenheim (ride). Sicuramente, lo spirito e l’ironia li ho ereditati dalla famiglia di mio padre, Umbro Apollonio, professore e critico d’arte triestino. Una famiglia molto spiritosa, ironica, e tutta irredentista: mio nonno, i suoi fratelli, mio padre stesso avevano nomi come Virgilio, Dante, Italia, Anita, Garibaldi. Anch’io sono nata a Trieste, ma già a cinque anni ci trasferimmo a Milano, perché mio padre fu chiamato alla Mondadori. Rimanemmo lì qualche anno, fino alla sua nomina a direttore dell’Archivio Storico delle Arti alla Biennale di Venezia (1949-72), e ci trasferimmo in Laguna. A Trieste, mio padre lavorava per Arrigoni e si occupava di pubblicità, scriveva ed era in contatto con grandi intellettuali dell’epoca, come Umberto Saba e Italo Svevo. Quando Svevo morì, mio padre si occupò di sistemare tutti i suoi scritti inediti. Di quegli anni ho ricordi bellissimi: vivevo, seppur piccola, circondata da queste persone interessanti, brillanti, che mi facevano giocare. Dopo Milano, arrivammo a Venezia. Mio padre era molto all’avanguardia, circondato da artisti che trovavano in lui una comprensione che altri critici spesso non avevano. Molti lo aspettavano fuori dal

suo ufficio per parlargli, e lui ci raccontava di questi incontri, alcuni davvero esilaranti, come quello con un artista che si vantava di aver inventato una tecnica nuova usando burro invece che olio per dipingere! Ricordo bellissime tavolate con artisti come Giuseppe Santomaso, Emilio Vedova, Carlo Scarpa e Luigi Nono. Mio padre mi portava spesso con sé, e anche se non parlavo, mi sentivo in soggezione davanti a queste persone così importanti. Questi incontri hanno avuto un forte impatto su di me, anche se da bambina non ne avevo piena consapevolezza. Crescendo, avevo deciso di frequentare il liceo artistico, ma mio padre si oppose, dicendo che gli artisti facevano la fame. Così mi mandarono in collegio a fare studi magistrali, che per me furono una grande sofferenza. Mio padre incontrava figure internazionali della cultura e dell’arte che arrivavano a Venezia da tutto il mondo, soprattutto in occasione della Biennale. Viaggiava molto per conferenze e mostre, e un giorno fu persino invitato dal re Gustavo VI Adolfo di Svezia a un pranzo in suo onore. Ora comprendo appieno quanto sia stato importante per me e per la mia formazione. Dire che lui e le sue conoscenze hanno influenzato la mia vita e la mia arte è riduttivo: è stato qualcosa di molto più profondo e grande.

Nel 1968 conosce Peggy Guggenheim che acquisterà, tra le prime e i primi, una sua opera esposta nella galleria Paolo Barozzi a Venezia, Rilievo n. 505. Quale fu l’importanza di questo primo incontro?

Peggy Guggenheim era amica di mio padre e spesso andavamo a trovarla. Per quanto fossero molto diversi, entrambi erano considerati delle celebrità. Da piccola, ero affascinata dalla sua casa e dal suo giardino. In occasione della mia mostra, ho rivisto con emozione il grande albero che ricordavo allora, oggi diventato immenso. Peggy era una persona forte e speciale: gentile, ma non era una di quelle che accarezzano i bambini sulla testa. Mi metteva un po’ soggezione. Nel 1968, qualche anno dopo l’inizio delle mie ricerche artistiche e dei primi rilievi metallici, fui invitata alla Galleria Barozzi alle Zattere per una personale. Fu lì che Peggy Guggenheim acquistò Rilievo n. 505, a dimostrazione del suo impegno nel sostenere le giovani avanguardie italiane. È un ricordo indelebile e un riconoscimento che mi ha dato la forza e la certezza di seguire la mia strada, confermandomi di essere nel percorso giusto, un sostegno fondamentale anche perché la mia famiglia non credeva particolarmente nelle mie capacità.

Dopo le magistrali, avevo trovato lavoro in uno studio di architettura, una disciplina che mi sarebbe piaciuto molto studiare. Ero allora molto giovane, e ricordo che i miei, preoccupati, telefonarono all’architetto per sapere come me la cavassi, e lui rispose: «Vostra figlia è bravissima!». Dentro di me sapevo che era la mia strada, macinavo chilometri per conoscere architetti, artisti o ceramisti.

Quale significato assume ora questa retrospettiva proprio a casa di Peggy? Come nelle sue opere il cerchio del tempo sembra proprio girare costantemente, ritornando al suo punto di partenza… Questa retrospettiva mi ha dato l’emozione di rivedere e ripensare a tutta la mia vita. Mi sono trasformata da semplice attrice a

Aspecial interview to a special artist, Marina Apollonio, and a special event celebrating her art at Peggy Guggenheim’s in Venice or, in Apollonio’s words, “at Peggy’s”. Curiosity, invention, creation, intelligence, passion, and irony build the story of life and art. We listened closely to words on an idea of art that, over the course of time, started from pure avant-garde movement to subversion of existing order and ended up as fluid, modern art culture.

“Do I talk too much?” asked Marina Apollonio. This may sound cliched, I beg you to forgive me, but during this conversation, time felt so abstract, so unlike anything that can be measured. It looked, instead, like the artist’s perpetually moving circles – her creative Heimat. Words enveloped us as we enthusiastically shared story after story. We wished we could go on forever! We wish the same for Apollonio’s art research, a living, breathing body that is still growing. At her latest press conference, the artist was asked whether her exhibition at the Guggenheim Collection was the ‘coming full circle’ of her art expression. Her reply: “Not at all! There are squares, too!”. She then invited to see her art as a process, something that evolves beyond the mechanical ticking of a clock. There is no way to render exhaustively the uniqueness of a conversation with an artist as special in the history of twentieth-century art and as friendly as Marina Apollonio. What we can do is write down what we learned from her and from her art, asking her to guide us into her vital whirlwind of creation.

Let’s start with your father, Umbro Apollonio. What influence, in both personal and professional terms, did he have on you as a child, young woman, and accomplished artist? Spirit and irony are something I inherited from my father’s side, definitely. Umbro was a professor and art critic, born in Trieste. I was born in Trieste, too, though we left when I was five to follow him in Milan for his new job at Mondadori. We stayed a bit there, and then moved to Venice for his new post as a director of the Biennale Historical Archive, which he held from 1949 to 1972. My father was friends with all the intellectuals of Trieste of the time, from Umberto Sava to Italo Svevo. I have beautiful memories of Trieste, young though I was, I remember all these interesting, bright people, who knew and loved me.

Once in Venice, my father had an easy time befriending local artists. They felt understood, and he was always there for them. He once even entertained that painter who thought he did something revolutionary – no oil painting no more, butter painting! We often had Giuseppe Santomaso, Emilio Vedova, Carlo Scarpa, Luigi Nono, and other art personalities in our house. I never dared speak, I just didn’t know how anything I said could interest such important people!

I wanted to study art as soon as I could, but my father opposed it. Artists starve! I was sent to boarding school and studied humanities, mostly, and that has been quite a chore for me. He travelled a lot, too, to art events and conferences all around the world. Just a few words on my father. I realize just how essential he was for me, for my education. Not only him, all the people that he was close to, as well.

You met Peggy Guggenheim in 1968. She was one of the first buyers of your art when she acquired your Relief no. 505. How important was it, and has been, for you to meet her?

Peggy Guggenheim was close to my father, it was him who often took me to see her. They were different, though both considered celebrities in their own right. How I loved her house when I was a child! The garden, especially. The tree looked big to me as a child, and it grow even larger since. Peggy was a strong, special person. She was kind with me, but not overly affectionate, and I felt a bit intimidated by her.

On to 1968, I had started by research on metal relief a few years earlier, and I had been invited by the Barozzi gallery to produce a personal exhibition. It was in that occasion that I met Peggy Guggenheim again. She had already committed to supporting the Italian avant-garde, and she commissioned my Rilief, which still belongs to the Guggenheim collection, today, and is the starting point of the current exhibition. Meeting her was essential for my career as an artist, because it gave me recognition, the self-confidence I needed, the assurance that I was taking the right path forward, and the strength to keep on going.

In fact, my family didn’t believe in my ability much. After school, which I barely made out of, I found work at an architect’s studio. I was in my late teens. My parents called this architect to know how I was doing, they wouldn’t believe me if I told them! My employer reassured them, and told them I was doing great. I loved the job, too. It was more than just houses: I met architects, ceramists, artists…

Your exhibition at the Guggenheim. It almost feels like you’ve gone full circle.

This retrospective is such a gift. It allowed me to relive my own life and reflect on it. Marianna Gelussi, who curated it, has been working with me for years. In 2018, we were producing my exhibition Open Works in Barcelona, and we started thinking how we could produce my next one in a proper museum. We discussed Graz and Zurich, where I already had some pieces on display, but Marianna insisted: “We have to do it at Guggenheim’s!”. I thought: that’s aiming high! Then, Karole Vail called me to participate in the exhibition she was curating, Peggy Guggenheim: The Last Dogaressa I was surprised. I was honoured. That event set it all in motion, and now there’s a whole art exhibition about me at the Guggenheim. I can’t believe it!

You hate gender distinctions in art: an artist is an artist, whether they’re a man or a woman. Still, though, finding a place in the avant-gardes hasn’t always been easy for women… Dadamaino, a great artist, was a good friend of mine. We laughed so much together, and especially, we supported one another when, as female artists, we couldn’t find much space on the art scene. When she was excluded from the kinetic art exhibition in Milan, even though she was a friend of Manzoni’s, she was so disappointed. We are talking of the 1960s, women were relegated in the background. Over time, she grew as an artist, participated in the Biennale in 1980, and eventually found her consecration in

arte

COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM

MARINA APOLLONIO

protagonista. Quando con Marianna Gelussi, ora curatrice di questa mostra, stavamo lavorando alla mia installazione Open Works a Barcellona nel 2018, parlavamo della possibilità di una mia mostra in una sede istituzionale. Marianna insisteva che la facessimo alla Collezione Peggy Guggenheim, ma io pensavo fosse troppo per me! Poi, una grande emozione è stata quando Karole Vail mi ha chiamato per un’intervista sulla mostra Peggy Guggenheim. Ultima Dogaressa, dedicata a sua nonna, e voleva la mia partecipazione. Sono stata sorpresa e onorata. Forse quello è stato l’inizio di questo magnifico percorso, che oggi mi regala una mostra alla Collezione Guggenheim. Ancora non riesco a crederci!

Nel suo porsi senza filtri lei incarna perfettamente la contemporaneità. Non ammette e non considera distinzioni di genere nell’arte: un artista è artista, non un uomo o una donna. Tuttavia trovare uno spazio al femminile nei movimenti d’avanguardia crediamo non sia stata cosa propriamente facile in quegli anni...

Ero molto amica di Dadamaino, una grande artista. Ridevamo tantissimo e ci davamo man forte, perché come donne artiste facevamo fatica a trovare spazio. Quando non fu invitata a una grande mostra di arte cinetica a Milano, nonostante fosse amica di Manzoni, ci rimase malissimo. Negli anni ‘60 le donne erano spesso messe in secondo piano. Dadamaino era simpaticissima, divertente, bravissima, abbiamo condiviso moltissime avventure artistiche. Nel tempo lei è cresciuta moltissimo fino ad arrivare alla sua prima Biennale nel 1980 e alla definitiva consacrazione. Una mostra recente a Firenze da Tornabuoni Arte ha proposto le mie opere, quelle di Carla Accardi e di Dadamaino come le Avanguardie al Femminile. Una consacrazione? Non credo e non ho mai creduto al femminismo inteso come esclusività di genere, in questo credo di essere contemporanea.

Qual è la sua personale definizione di arte? È un virus, è qualcosa che uno ha dentro. Dadamaino diceva: «Come artiste, ci siamo prese un virus da piccole e non ci passa più». In generale tutti gli artisti dell’Arte Programmata, Concreta, Cinetica e Optical, Minimalista, Geometrica hanno un comune interesse verso un certo pensiero razionale, la maggior parte di loro sono designer o architetti. Oggi c’è la corsa a voler stupire, a piacere a tutti i costi. Io allora ero cosciente di non piacere, la mia arte era troppo all’avanguardia. Ero consapevole delle difficoltà di essere compresa come artista e anche delle scarse possibilità di vendita delle mie opere. Era ricerca allo stato puro.

Lei non contempla l’idea di aleatorietà: “niente è casuale” afferma. Le regole che sottendono ai suoi lavori sono quindi quelle della logica, del rigore, della matematica al fine di creare stimoli percettivi attraverso una combinazione di forme pure e di movimento. Come nasce una sua opera? Non riesco a fare qualcosa che non sia studiato, controllato. Deve essere tutta di cervello, connessa da un sistema rigoroso. Quando dal poco riesco a tirare fuori molto, allora ho raggiunto un’opera compiuta.

Quale il ruolo della percezione nelle sue realizzazioni?

In mostra c’è un’opera composta da un cerchio bianco e nero, con al centro un quadrato. Quest’opera piacque molto a Bruno Munari, che capì subito. Per me era un genio, anche lui un po’ pazzo.

Quale il ruolo del colore o dell’assenza di esso?

Il colore ha una sua forma, e dare una forma precisa al colore non va bene per la mia ricerca; deve essere puro. Le scanalature bianche favoriscono la percezione dei riflessi del colore fluorescente, mentre le altre creano una diffusione cromatica precisa e calcolata, mai casuale.

the art world. We grew distant because her art got more political. She took me to her anarchist gatherings and wanted me to join. I mean, I was a bit wild – what artist isn’t? – they were free and inventive and special… I just wasn’t wild enough. A recent exhibition in Florence also had my art as well as Carla Accardi’s and Dadamaino’s as representatives of the ‘female avant-garde’. I don’t of this as a consecration, nor have I ever believed in feminism as an exclusionary category. I feel quite modern in this belief.

What is your definition of art?

Art is a virus. It’s something one has inside. Dadamaino used to say: “We’re artist, we caught this virus as kids, and now we’re stuck with it”. Generally, artists who adhere to kinetic art, concrete art, optical, minimalist, geometric… share an interest in some form of rational thought. Most of them are designers or architects.

Today, I see the world of art as a competition: all want to surprise, to be liked at all costs. Back in my time, I was aware that many didn’t like me. My art was pushing it too far. I was aware of the difficulties in being recognized as an artist and of that fact that my art didn’t have a large market at all. It was research, pure research.

You don’t believe in randomness. Nothing is casual, according to you. The rules underpinning your art are logic, rigour, mathematics, building a combination of pure form and motion. How do you create art?

I can’t bring myself to do something unless I study it, and I control it. It needs to have a brain, to be connected rigorously. When I am able to make much starting with little, that’s when I know that I made good art.

What role for perception in your creations?

On exhibition at the Guggenheim, there’s a piece of mine showing a black and white circle with a square within. Bruno Munari loved it. He got it, he understood it immediately. He was a genius, and also wild!

What role for colour, or absence thereof?

Colour has its own shapes, and shaping colour is not what I want in my research. Colour must be pure. The white fluting highlights the reflections of neon colours, while the other create a sort of chromatic spread that is precise, calculated, never random.

Mariana Apollonio. Oltre il cerchio, installation view - Courtesy Collezione Peggy Guggenheim - Photo Matteo De Fina

#BiennaleArte2024 labiennale.org

Orario [Opening Hours]

20.04 30.09 h. 11 19

01.10 24.11 h. 10 18

Chiuso il lunedì [Closed on Mondays]

Biennale Arte Guida galattica per ritardatari

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ALTO GRADIMENTO

REVIEW

A cura di PATRIZIA BRAN

Il titolo della 60. Esposizione Internazionale d’Arte è tratto da una serie di lavori realizzati a partire dal 2004 dal collettivo Claire Fontaine, sculture al neon di diversi colori che riportano in un numero crescente di lingue le parole “Stranieri Ovunque/Foreigners Everywhere”. Prendendo spunto da questo stringente e insieme apertissimo titolo, vi proponiamo un nostro personale viaggio etimologico alla radice della parola “straniero”, che restituisce i rischi e le insidie, ma anche la storia e la poesia, insiti nelle mille e una sfumature delle lingue del mondo e delle loro altrettante, possibili traduzioni.

Dayuhan in tagalog (lingua ufficiale delle Filippine assieme all’inglese) in Tagalog (the official language of the Philippines together with English) Il termine deriva da dayo =venire da lontano o essere estraneo ad un posto e dal suffissoan che viene spesso utilizzato per indicare persone, luoghi o cose legate ad un’azione o qualità. The word is coined from the word dayo , meaning “from far away” or “being a stranger”, and the suffixan , which is often used to refer to persons, places or things linked to an action or a quality.

[phyi rgyal gyi mi] in dzongkha (lingua ufficiale del Buthan) in Dzongkha (Bhutan official language) Il termine è formato dall’aggettivo phyi =“estraneo”, dal verbo rgyal =“vincere”, “conquistare”, dalla particella del genitivo gyi e dal termine mi =“persona”, quindi letteralmente significa “popoli stranieri conquistatori.” It comes from the word phyi =“foreign” or “alien”, the verb rgyal =“to win”, “to conquer”, gyi “genitive particle”, mi =“person”. Together, it conveys the idea of “victorious foreign people or conquerors”.

Chayraq runa in quechua (lingua parlata dai popoli indigeni delle Ande) in Quechua (the language spoken by natives in the Andes) Il termine deriva dalla parola quechua chayraq =“nuovo” e runa =“persona”, quindi letteralmente persone nuove o nuovi arrivati. The word comes from chayraq meaning “new” and runa meaning “person”, so its literal meaning is “new persons or new

Vahiny o vazaha in malgascio (lingua ufficiale del Madagascar) in Malagasy (Madagascar official language) Indica uno straniero anche se tale concetto va al di là dell’identificazione basata sull’apparenza fisica o la provenienza geografica. Racchiude in sé l’idea di uno status sociale dominante che spesso implica una scarsa conoscenza della cultura malgascia. It refers to a foreigner although the idea of foreigner is not based on his physical appearance or his geographical origin. It embodies the idea of a predominant social status which often implies a poor knowledge of Malagasy culture.

Atzerritar in basco (lingua parlata nei Paesi Baschi e nel dipartimento francese dei Pirenei Atlantici) in Basque (language spoken in the Basque Country, extending over a strip along eastern areas of the Bay of Biscay in Spain and France, straddling the western Pyrenees) Il termine è composto dalla parola atze =“dietro”, herri =“paese” e dal suffissotar =“originario di”. It is formed from the words atze meaning behind, back, herri meaning country and the suffixtar meaning coming from.

[pardesi] in punjabi (lingua parlata nella regione del Punjab, a cavallo della frontiera tra Pakistan e India) in Punjabi (language spoken in the Punjab region in Pakistan and India) Il termine è composto dalla parola par =“altrove”, “al di là” e dalla parola desi , termine colloquiale per indicare qualcosa che è tipico della propria terra o qualcuno appartenente alla propria comunità, quindi letteralmente “qualcosa o qualcuno che non appartiene alla comunità locale”. The word comes from par , meaning “far” or “distant”, and desi , which refers to someone or something belonging to one’s own country or community. So, pardesi can be understood as people who are “far from their own country” or “not belonging to the local community.”

Dúnan in bambara (una delle lingue parlate in Mali e in altri Paesi dell’Africa occidentale) in Bambara (a language spoken in Mali and in some other Western African countries) Il termine ha una connotazione positiva in quanto significa anche “ospite”. This word has a positive connotation as it means also “guest”.

Qallunaat in inuktitut (lingua parlata dal popol Inuit del Canada artico) in Inuktitut (a language spoken by Inuit people in Canadian Arctic)

Si riferisce a persone che non appartengono alla comunità Inuit, in particolare ai bianchi.

[gaikokujin] in giapponese in Japanese Il termine è composto da tre parti: gai =“fuori” o “esterno”, koku =“paese”, jin =“persona” o “individuo”. Quindi, letteralmente il termine gaikokujin significa “persona proveniente da un paese esterno”. It is formed of three words: gai =“outside”, koku =“country”, jin =“person”, so literally “a person from a different country”.

[vel · inaˉt · avar] in tamil (lingua parlata nel Sud dell’India, in Sri Lanka, Singapore e in altri territori che si affacciano sull’Oceano indiano) in Tamil (language spoken in Southern India, Sri Lanka, Singapore and other Indian Ocean regions) Il termine è composto da due parole: velinadattu =“da un altro paese” e var =“persona”. It is a combination of two words: velinadattu meaning “from another country” or “foreign” and var meaning “person”.

Letteralmente significa “colui che si comporta stranamente” o “colui che parla in modo strano”. It refers to people who are not Inuit, typically white people considered as a group. It literally means “a person who behaves in a strange way” or “a person who speaks in a strange way.”

Tauiwi in maori (lingua parlata in Nuova Zelanda) in Maori (language spoken in New Zealand) Il termine abbraccia vari significati che vanno da europeo, estraneo, non-Maori, ma può voler dire anche la possibilità di scambi culturali e di reciproco rispetto. It is often used to refer to people who are not of Maori descent or who are from outside New Zealand. Despite its association with otherness, tauiwi can also represent opportunities for cultural exchange, understanding, and mutual respect. man bilong narapela ples in tok pisin (lingua creola basata sull’inglese parlata in Papua Nuova Guinea) in Tok Pisin (New Guinea Pidgin, a creole language spoken throughout Papua New Guinea)

Dall’inglese “man belonging to another place”=“uomo appartenente ad un altro posto”. From the English sentence “man belonging to another place.”

Dé’éyóní in navajo (una delle più diffuse lingue native negli USA, parlata dagli indigeni negli stati di Arizona, Nuovo Messico, Utah) in Navajo (one of the main native languages in the USA, mainly spoken by natives in Arizona, New Mexico and Utah)

Letteralmente significa “persona in terra straniera”. Its literal meaning is “a person in a foreign land.”

Popa’a in tahitiano (lingua parlata nella Polinesia francese) in Tahitian (a language spoken in French Polynesia) Deriva dalla parola pa’apa’a =bruciato, quindi indica letteralmente “l’uomo bianco bruciato dal sole”. It comes from the word pa’apa’a which means burnt, so it literally means “white foreigner burnt by the sun.”

[wàiguórén] in cinese mandarino in Chinese (Mandarin) waiguo pengyou letteralmente significa “amico straniero”, è un termine di rispetto per riferirsi ad ospiti provenienti da un altro paese. The term waiguo pengyou literally means “foreign friend”, this is a respectful term used to describe guests from other countries.

[ajnabi] in urdu (lingua ufficiale del Pakistan, oltre all’inglese, basata sull’alfabeto persiano) in Urdu (official language of Pakistan alongside English based on the Persian alphabet) Il termine deriva dall’arabo che significa per l’appunto “estraneo”, “strano”, “barbaro”. The word comes from the Arabic meaning stranger, barbarian.

Lu’umo’ob in lingua maya yucateco (una delle lingue indigene parlate in Messico nella penisola dello Yucatán) in Maya yucateco (one of the native languages spoken in the Yucatán peninsula of Mexico) Il termine deriva da lu’um =“terra” o “terreno” eo’ob =suffisso che significa “più d’uno”, quindi letteralmente “da varie terre”, ovvero persone che vengono da terre e culture diverse da quella Maya. The word comes from lu’um meaning “land” and the suffixo’ob , meaning “more than one”, so it literary means “from different lands” or people not belonging to Maya land and culture.

Alejò in yoruba (lingua parlata nel Sud-Ovest della Nigeria e in alcune zone del Benin e del Togo) in Yoruba (a language spoken in South-Western Nigeria and in some areas of Benin and Togo) Il termine si riferisce a “straniero” in senso positivo, in quanto il suo significato primo è “ospite”. Il termine oyinbo viene usato invece per riferirsi esclusivamente alle persone di origine europea. Da yìnbó =sbucciare, graffiare, togliere; letteralmente significa “persona senza pelle”, perché appunto ha la pelle chiara. This word has a positive connotation, its first meaning in fact is “guest”. The word oyinbo is mostly used to refer to people of European descent. It is coined from the word yìnbó meaning to peel off, so it literally means “a person with a peeled-off or lightened skin.”

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REVIEW

L’eleganza del riccio

Adriano Pedrosa, onori e oneri di una Biennale deflagrante

La 60. edizione della Mostra Internazionale d’Arte, inedita e a tratti sorprendente, celebrazione in progress della multiforme identità dello straniero, del lontano, dell’outsider, del queer e dell’indigeno, ancora una volta si dimostra necessaria, capace di manifestare apertamente contro tutte le istanze pericolose che il mondo sta drammaticamente esprimendo, ma soprattutto di intercettare una comunità globale che, se i dati finali saranno confermati, è in continua crescita. E per fortuna!

Ciò che appare certamente chiaro è che la formula Biennale resiste ed è sempre più vincente nel riuscire a costruire geografie culturali sempre più allargate, istituendo un dialogo fattivo tra mondi e Paesi lontanissimi tra loro. Certo non è potuta rimanere immune e nemmeno indifferente ai conflitti in atto, pur rispettando la sovranità dei singoli Paesi esercitata sui Padiglioni, con Israele che non ha mai aperto le porte e la Russia, da due edizioni non presente, che ha ceduto il suo spazio alla Bolivia.

La Biennale tuttavia non è stata a guardare e si è fatta attraversare da tutte le istanze culturali, sociali, politiche, ideologiche che connotano il momento. In questa zona di interesse, in cui tutti possiamo ancora fino al 24 novembre immergerci, tra Giardini e Arsenale, la libertà se non garantita al 100% è almeno rivendicata. Tuttavia, pur riconoscendo l’identità curatoriale di Adriano Pedrosa, a cui va il merito di aver insinuato il dubbio nel concetto di “globalizzazione” e di aver fatto cadere il velo su realtà lontane dall’Occidente, ci saremo aspettati da parte sua una presa di posizione più forte, un battersi tenacemente per difende quello che di fondamentale ci ha mostrato, il diverso da noi, per riuscire a vedere meglio gli Stranieri Ovunque/Foreigners Everywhere Avremmo voluto che questo sguardo laterale, magnificamente offerto dai 331 artisti partecipanti, una amplissima teoria di voci nuove a queste platee, una volta aperta la mostra fosse strenuamente difeso davanti alle critiche di univocità di visione e di mancanza di confronto con lo status quo dell’arte contemporanea. Avremmo voluto vedere annettere questi territori dalle canoniche torri di controllo artistiche occidentali, acquisendone lo stesso livello e la concreta centralità nel sistema dell’arte internazionale.

Forse però Adriano Pedrosa, la cui visione è maturata lungo il percorso consumatosi nel cuore del Sudamerica, misurando con i propri occhi e con la propria mente – da uomo e professionista che ha girato per lavoro tutto il mondo attraversando le profonde differenze culturali, sociali e antropologiche che lo compongono – la disparità dell’essere uomo e artista in contesti ben poco protetti, instabili, connotati da stridenti contrasti nelle condizioni di vita, è consapevole che in un mondo che consuma velocemente tutto la rivoluzione di pensiero e poi di azione deve essere costruita con calma e fermezza, instillando appunto il dubbio. Forse la sua Biennale è solo l’inizio di un cambiamento necessario. Mariachiara Marzari

The elegance ENG of the hedgehog

Celebrating the multifaceted identities of the foreigner, the outsider, the queer, and the indigenous, the Art Biennale once again openly confronts the world’s increasingly dangerous currents, while above all capturing a continuously growing global community. The Biennale formula endures, managing to create ever-expanding cultural geographies. It certainly hasn’t remained indifferent to ongoing conflicts, even while respecting the sovereignty of individual countries in their pavilions – with Israel’s pavilion never opening and Russia absent for two editions. However, while acknowledging Pedrosa’s curatorial identity, we would have expected a stronger stance from him and for this lateral perspective, magnificently offered by the 331 participating artists, to be vigorously defended against critiques of a one-sided vision and a lack of engagement with the contemporary art status quo. Perhaps his vision, developed in the heart of South America and shaped by the disparity of being both a man and an artist in often unprotected contexts, understands that in a world that consumes everything rapidly – even ideas of revolution – thought and action must be built patiently and firmly, subtly instilling doubt.

Stranieri Ovunque/Foreigners Everywhere Fino 24 novembre Giardini, Arsenale, in città www.labiennale.org

Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Jacopo Salvi

Corpo libero Nil Yalter e Anna Maria Maiolino, Leonesse d’oro

La 60. Esposizione Internazionale d’Arte, su indicazione puntuale e pertinente – in perfetta linea con la sua Biennale – del curatore Adriano Pedrosa, ha reso omaggio a due grandi figure dell’arte contemporanea, conferendo il Leone d’Oro alla carriera a Nil Yalter e Anna Maria Maiolino. Pur provenendo da contesti culturali diversi, entrambe le artiste condividono un approccio che mette al centro il corpo e l’esperienza umana, declinandoli in modi distinti e complementari. Tuttavia entrambe non sono sempre state al centro della scena, anzi, l’azione di Pedrosa e della Biennale ha garantito loro una giusta posizione preminente e ha restituito al pubblico due punti di vista fondamentali dell’arte del XXI secolo. Nil Yalter, nata al Cairo e cresciuta tra Turchia e Francia, è considerata una pioniera nell’uso del video e dei media digitali per esplorare temi legati alla migrazione, all’esilio e alla condizione femminile. La sua opera in mostra al Padiglione Centrale dei Giardini, Exile Is a Hard Job, è un’esplorazione profonda e poetica della vita dei migranti, della loro invisibilità e della lotta per la dignità. Attraverso un complesso intreccio di video, fotografie e documenti, Yalter mette in luce il dramma della migrazione degli anni ‘60, così simile a quella contemporanea. L’uso di video e foto trasforma il vissuto personale in un racconto collettivo, dando voce a chi è spesso ridotto al silenzio. L’artista riesce a coniugare l’aspetto documentaristico con una dimensione poetica (il titolo è infatti quello di una poesia di Nazim Hikmet, costretto all’esilio).

Anna Maria Maiolino, di origine italiana ma formatasi artisticamente in Brasile, affronta tematiche legate all’identità, alla corporeità e alla memoria, intrecciando il personale con il collettivo. Le sue sculture sono esposte nel Giardino delle Vergini, in uno dei piccoli casotti all’esterno del percorso all’Arsenale, forse un po’ troppo defilato rispetto al valore delle sculture stesse, forme organiche e materiche realizzate in argilla e ceramica. Queste opere evocano una dimensione primordiale e arcaica, richiamando il legame profondo tra

corpo e terra. Le sculture biomorfe e grezze sembrano emergere da un tempo lontano, quasi pre-umano, e riflettono un forte legame con l’atto creativo come gesto rituale, dialogano con l’ambiente circostante del giardino quasi fossero parte della natura stessa o di un’origine ancestrale e universale.

Le differenze tra Yalter e Maiolino risiedono principalmente nel modo in cui affrontano i temi della loro ricerca. Yalter, con il suo sguardo politicamente impegnato, utilizza le tecnologie contemporanee per raccontare storie di esclusione e di resistenza, focalizzandosi sul presente e sulle emergenze sociali del nostro tempo. La sua arte è denuncia, ma anche atto di resilienza, capace di dare visibilità a chi vive ai margini della società. Maiolino, al contrario, sembra guardare al passato e alle radici più profonde della condizione umana. Le sue sculture evocano un tempo circolare, quasi mitico, dove il corpo diventa un simbolo di creazione, rigenerazione e appartenenza a una storia comune. Entrambe condividono un approccio che mette al centro l’esperienza femminile e il corpo, seppur declinato in modi diversi. Per Yalter, il corpo è un luogo di lotta e di resistenza contro le oppressioni contemporanee; per Maiolino, invece, è un simbolo di trasformazione, un contenitore di memoria e identità. Per entrambe, tuttavia, l’arte è un mezzo per affrontare e reinterpretare le tensioni del mondo moderno. Irene Machetti

ENG The 60th Venice Art Biennale paid homage to two great figures of modern art, Nil Yalter and Anna Maria Maiolino, by awarding them the Golden Lion for Lifetime Achievement. Yalter was born in Cairo and raised in Turkey and France. She pioneered video art and digital media to explore topics such as migration, exile, and the female condition. Her piece Exile Is a Hard Job is an in-depth, poetic exploration of the life of migrants, of their invisibility, and their struggle for dignity. Using video, photographs, and documents, Yalter sheds light onto the 1960s migration wave, which has much in common with the present ones. Anna Maria Maiolino is Italian in origin, but studied mainly in Brazil. She works on the topics of identity, corporality, and memory, blending the personal with the collective.

LEONE D’ORO ALLA CARRIERA
Nil Yalter | Padiglione Centrale, Giardini
Anna Maria Maiolino | Giardino delle Vergini, Arsenale
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello

biennale arte

ALTO GRADIMENTO

REVIEW

TROUILLARD

NATIONAL PARTICIPATION

Polonia

Repeat After Me II

Una riflessione profonda sulla tragedia della guerra in Ucraina:

Repeat After Me II è un progetto innovativo concepito dal collettivo artistico ucraino Open Group (Yuriy Biley, Pavlo Kovach, Anton Varga) e curato con sensibilità da Marta Czyz, che si focalizza sul conflitto che ha avuto inizio nel febbraio 2022, un evento che ha segnato drammaticamente non solo l’Ucraina, ma tutta Europa e il mondo intero.

Centro dell’installazione audiovisiva sono i racconti toccanti di civili rifugiati, le cui voci trasmettono il realismo di esperienze strazianti e quotidiane. Attraverso i suoni delle armi, che sono diventati parte della loro realtà, i protagonisti offrono una testimonianza diretta e potente della guerra. Questi rumori – dai missili ai colpi di mitra – vengono riprodotti e il pubblico è invitato a ripeterli, creando un’atmosfera di coinvolgimento e connessione. Questa interazione si trasforma in una sorta di “karaoke militare”, un modo per unire i partecipanti a coloro che hanno vissuto la tragedia in prima persona, rendendo palpabile l’orrore e la disperazione della guerra. La giustapposizione di opere datate 2022 e 2024 all’interno di Repeat After Me II mette in luce la continuità drammatica del conflitto e le evoluzioni nell’industria della guerra. I suoni violenti sono resi con una disinvoltura sorprendente dopo una breve introduzione dell’interprete, simile al contenuto degli opuscoli distribuiti dal Ministero della Cultura e dell’Informazione ai civili, che forniscono istruzioni su come riconoscere i suoni delle armi e rispondere adeguatamente in situazioni di crisi. In questo modo l’installazione acquista un significato ancora più profondo: si configura come un potente strumento di consapevolezza ed educazione, offrendo un modo per affrontare l’inevitabile confronto con la violenza e la sofferenza.

All’interno dello spazio protetto del Padiglione Polonia, nel cuore dei Giardini, i visitatori si trovano così avvolti da una colonna sonora che riporta i suoni di una guerra reale. Questi rumori risuonano nella memoria di chi l’ha vissuta, imprimendosi in modo indelebile nella coscienza collettiva. Repeat After Me II non è, dunque, solo un’installazione, è un invito a riflettere, a sentire e a non dimenticare. Ci esorta a riconoscere l’umanità dietro ogni racconto di guerra e a onorare coloro che hanno sofferto a causa di conflitti che, troppo spesso, appaiono lontani, ma che in realtà possono toccare ciascuno di noi.

ENG A reflection on the tragedy of the Ukraine War: Repeat After Me II is an innovative project by Ukrainian art collective Open Group. At the centre of the audio-video installation are the stories of civilian refugees, whose voices convey the reality of excruciating, though sadly common, experiences. Using samples of the sound of weapons, the protagonists offer a powerful, direct testimony of the ongoing war. This noise – from missiles to machine gun sound – are played for the audience, and they in turn are invited to repeat them, thus creating an environment of empathy and connection. This interaction is a sort of ‘military karaoke’, a way to turn the horror into something we can see and feel, together with the desperation induced by the war. Some of the art dates back to 2022, reminding us how long the war has been going on, and how the military industry evolved. A leaflet issued by the Ministry of Culture instructs civilians how to recognize weapons by sound, and how to act in each situation – a chilling reminder of what daily life looks like in conflict zones. Giardini www.labiennale.art.pl

Scelti
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda

STRANIERI OVUNQUE | FOREIGNERS EVERYWHERE Bordadoras de Isla Negra

Untitled

Nel percorso espositivo di Alberto Pedrosa è evidente come l’interesse degli artisti per artigianato, tradizioni e tecniche di lavorazione manuale sia un motivo ricorrente e caratterizzante. Tra queste opere, spicca in particolare quella di un gruppo di donne autodidatte di un piccolo villaggio costiero cileno, le Bordadoras de Isla Negra. Queste donne, tra il 1967 e il 1980, hanno raccontato attraverso i ricami la loro quotidianità: Untitled (1972) è un’opera tessile vibrante, che mescola lavoro a maglia, uncinetto e ricamo, il tutto arricchito da colori vivaci e da un impressionante senso narrativo e prospettico. Il loro lavoro non si limita a una semplice rappresentazione, incarna una rivendicazione identitaria e un omaggio alla ricchezza delle tradizioni artigianali, invitando allo stesso tempo lo spettatore a riflettere sul valore e sull’autenticità dell’artigianato in un mondo globalizzato.

ENG At the Biennale’s main exhibition, curated by Alberto Pedrosa, it is apparent how the interest of artists for traditional art and crafts is a recurring, characterizing idea. Among the several pieces, one stands out: a group of self-taught women in a small Chilean, the so-called Bordadoras de Isla Negra, used embroidery to tell the stories of their daily lives. Untitled (1972) is a living piece of textile art of impressive narrative sense. Corderie, Arsenale

COLLATERAL EVENT

Per non perdere il filo

Karine N’guyen Van Tham – Parul Thacker

Un’esperienza immersiva che celebra la connessione tra l’artigianato e l’arte: le opere di Karine N’Guyen Van Tham e Parul Thacker, pur provenendo da culture e metodi di lavoro diversi, si intrecciano attraverso una tradizione veneta, quella di “fare filò”, che incoraggia il dialogo e la condivisione. Nelle loro creazioni tessili, il gesto di tessere diventa simbolo di legami umani e storie condivise, evocando memorie e significati profondi. L’invito finale a lasciare un pezzo di filo rappresenta un gesto potente di unione e comunità, trasformando il visitatore in parte attiva dell’opera e sottolineando l’importanza della connessione, sia tra le persone che con il proprio passato. ENG An immersive experience celebrating the connection between arts and crafts: art by Karine N’Guyen Van Tham and Parul Thacker, while coming from different cultures and work methods, mix and blend with the Venetian tradition of filò, a gathering that encourage conversation and sharing. In their textile creations, the actual weaving rises into a symbol of human relationships and shared stories, evoking memories and meanings.

Fondazione dell’Albero d’Oro Palazzo Vendramin Grimani, San Polo 2033 fondazionealberodoro.org

NOT ONLY BIENNALE

Monte di Pietà

Un progetto di Christoph Büchel

Un’affascinante critica al nostro rapporto con il valore e il debito. Trasformando Ca’ Corner della Regina in un “Monte di Pietà”, cioè ritornando indietro attraverso la sua stessa storia, Christoph Büchel invita il pubblico a riflettere su ciò che consideriamo veramente prezioso, mettendo in discussione il potere del denaro. La confusione di oggetti affastellati in tutti gli spazi del Palazzo simboleggia il complesso cortocircuito tra cultura ed economia, mentre l’opera The Diamond Maker esplora la fragilità del valore in un contesto di consumismo e indebitamento. In un’epoca in cui la finanza sembra predominare, l’approccio provocatorio dell’artista offre uno spunto di riflessione profondo e necessario, invitandoci a riconsiderare criticamente il nostro legame con gli oggetti e la società che li produce e richiamando l’attenzione sull’umanità che si cela dietro ogni transazione economica.

ENG A fascinating critique of our relationship with value and debt. Ca’ Corner della Regina, a palazzo in Venice, has been turned into a monte di pietà, or pawn shop, which it once was. Christoph Büchel invited the public to reflect on what we really consider precious, questioning the power of money. His provocatory stance will make us reflect on our relationships with objects and the society that makes them, focusing on the humanness behind every economic transaction.

Fondazione Prada

Ca’ Corner della Regina , Santa Croce 2215 www.fondazioneprada.org

Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello
Courtesy Fondazione dell’Albero d’Oro
Courtesy Fondazione Prada - © Marco Cappelletti

biennale arte

ALTO GRADIMENTO

REVIEW

NATIONAL PARTICIPATION

Svizzera

Super Superior Civilizations

Le motivazioni che mi hanno portato a scegliere il Padiglione Svizzera sono diverse e riguardano sia il mio pensiero critico che, lo ammetto, l’interesse personale di ricerca che guida attualmente il mio lavoro di storico dell’arte. Il Padiglione riflette il recente interessamento della Svizzera verso pratiche artistiche legate alle sessualità divergenti e alla storia dell’arte non mainstream. Il curatore del Padiglione è Andrea Bellini, direttore del Centre d’Art Contemporain di Ginevra, mentre l’artista scelto è Guerreiro do Divino Amor, che aveva già avuto una personale nel 2022, Superfictional Sanctuaries, curata proprio da Bellini e ospitata nell’Istituzione da lui diretta. Ora l’artista svizzero-brasiliano per il Padiglione ha sviluppato il progetto Super Superior Civilizations, che fa parte della saga Superfictional World Atlas. I due nuovi episodi presentati all’interno dello spazio ai Giardini, Il Miracolo di Helvetia e Roma Talismano, esplorano la politica in relazione all’architettura dei luoghi, giocano con le identità nazionali, manipolandole in modo bizzarro, indagano corpi “non conformi” e mescolando elementi della queerness brasiliana ed europea. Le due video installazioni creano un’allegoria tra Roma, il Brasile e la Svizzera. Nella prima, Il Miracolo di Helvetia, la Svizzera è rappresentata come un paradiso terrestre dove natura, tecnologia, democrazia e capitalismo si intrecciano in un equilibrio onirico, legati da elementi kitsch. La seconda installazione, Roma Talismano, utilizza l’architettura classica e i simboli della civiltà romana, espressione di una presunta superiorità politico-culturale, come sfondo per la performance della cantante e artista brasiliana Ventura Profana. La performer transessuale mostra il suo corpo nudo, modificato con protesi, incarnando la figura della lupa capitolina, madre simbolica della civiltà occidentale. Durante la performance, la lupa canta il

famoso discorso di Giorgia Meloni, «Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana», pronunciato in piazza San Giovanni a Roma nel 2019.

Nella Biennale degli Stranieri Ovunque, che dà voce a chi è stato a lungo silenziato, Guerreiro do Divino Amor manipola elementi del passato e del presente della cultura italiana, mescolandoli con componenti latino-americane. L’artista dimostra una profonda conoscenza dei diversi linguaggi culturali, che distorce per crearne uno nuovo e universale, capace di mettere in discussione la presunta superiorità culturale occidentale.

ENG The Swiss Pavilion reflects the country’s interest in non-mainstream sexuality and art. Curator Andrea Bellini chose Brazilian-Swiss artist Guerrero do Divino Amor and his project Super Superior Civilizations, part of a larger saga. The two chapters that we see at Biennale explore politics viz. Architecture, they play with national identities by manipulating them into bizarre entities, investigate ‘non-conformist’ bodies, and mix Brazilian and European instances of queerness. In the first video installation, Switzerland is depicted as heaven on earth, a place where nature, technology, democracy, and capitalism blend together beautifully, held together by kitsch props. The second installation uses classical architecture and Roman civilization symbols, the expression of a supposedly superior political and cultural stance, as background for a show by Brazilian performer Ventura Profana. Profana, who is trans, shows her naked body, altered with prosthetics, to incarnate the light of Rome, the symbol of all Western civilization.

Giardini www.prohelvetia.ch

Scelti da LUIGI CREA
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda

STRANIERI OVUNQUE FOREIGNERS EVERYWHERE

La Chola Poblete

Per la prima volta nella storia della Biennale è stata assegnata una Menzione d’onore a un’artista trans: La Chola Poblete. L’artista argentina, con il suo lavoro, sfida il colonialismo radicato nelle sue terre attraverso una visione trans-indigena. Utilizzando acquerelli, tessuti e fotografie, oltre al potere della sessualità, fonde l’iconografia religiosa occidentale con pratiche ancestrali indigene. Come donna trans, non bianca e latino-americana, non solo rappresenta una voce, ma riesce a ritagliarsi uno spazio nella storia della Biennale, fondendo la sua identità queer e le sue origini indigene nella sua arte, invertendo così le relazioni di potere coloniali.

ENG For the first time in the Biennale’s history, a special mention has been awarded to a trans artist: La Chola Poblete. The Argentinian artist challenges colonialism with her trans-indigenous art: watercolour, textiles, photographs combined with the power of sexuality and a blending of western and indigenous religious practices. As a non-white, Latin-American trans woman, La Chola Poblete has a place of her own at Biennale.

Arsenale

COLLATERAL EVENT

Peter Hujar: Portraits in Life and Death

La mostra si compone delle fotografie del libro Portraits in Life and Death del 1976, unica pubblicazione dell’artista, con prefazione di Susan Sontag. Il percorso espositivo parte dalle immagini dei corpi mummificati delle catacombe di Palermo, visitate da Hujar grazie a una borsa di studio, e termina con i ritratti dei suoi amici della scena artistica newyorkese tra gli anni ‘70 e ‘80. Poco apprezzato in vita, Hujar morì nel 1987 a 53 anni per complicazioni legate all’AIDS. Le sue foto, intime e psicologiche, ritraggono i soggetti spesso in posizione distesa ed esplorano i temi della vita e della morte. Sontag definì i fotografi “angeli della morte”: la mostra sembra far risuonare le immagini di Hujar come messaggi tra i diversi mondi.

ENG The exhibition includes photographs from book Portraits in Life and Death of 1976, the artist’s only book, and a foreword by Susan Sontag. The exhibition starts with images of mummies from the catacombs of Palermo, Italy, which Hujar studied on a scholarship, and ends with portraits of the friends he had in New York in the 1970s and 80s. Little appreciated in life, Peter Hujar died of AIDS complications in 1987, aged 53. His intimate, analytical photographs portray people mostly laying down, and explore the theme of life and death.

Istituto Santa Maria della Pietà

Calle della Pietà, Castello 3703 peterhujararchive.com

NOT ONLY BIENNALE

Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere [già terminata] Accusato di superficialità e criticato per i suoi molteplici interessi – dalla pittura al cinema, dal design alla fotografia e alla poesia – Jean Cocteau si inserisce pienamente nel clima di Biennale Arte 2024. La sua omosessualità, più o meno dichiarata, e la dipendenza dall’oppio hanno contribuito a far sì che fosse emarginato dall’ambiente artistico del suo tempo e mai accolto nel gruppo dei surrealisti. Questo outsider mescola eroticità e mondo onirico, mito e passioni, mostrandoci uno sviluppo estetico e una fluidità culturale che anticipano l’arte del nostro presente. Nonostante la mostra sia terminata a settembre, la segnaliamo perché è stata una delle protagoniste della stagione Biennale.

ENG Accused of shallowness and critiqued for the extent of his interests –painting, cinema, design, photography, poetry – Jean Cocteau is a perfect fit in the 2024 Venice Art Biennale. His homosexuality, more or less known about, and his opium addiction made him an outcast in the art milieu of his time, and was never accepted by the surrealists as one of their own. Cocteau was an outsider who mixed eroticism, dream, myth, and passion. His aesthetical development and cultural fluidity are a forerunner of contemporary art. Collezione Peggy Guggenheim www.guggenheim-venice.it

Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù
Courtesy Collezione Peggy Guggenheim - Photo Matteo De Fina
Peter Hujar, Self-Portrait Lying Down, 1975 © The Peter Hujar Archive, LLC, Courtesy of Pace Gallery, New York

biennale arte

ALTO GRADIMENTO

REVIEW

NATIONAL PARTICIPATION

Portogallo

Greenhouse

Tre giorni di finissage, con performance e conversazioni il 21, 22 e 23 novembre, costituiscono l’ultima possibilità per il pubblico di vivere appieno l’esperienza d’arte partecipativa offerta dal Padiglione del Portogallo con Greenhouse, il “giardino creolo” composto e cresciuto nel corso dei sette mesi della mostra, in cui il piano nobile di Palazzo Franchetti si è animato con un ricco e variegato programma. Il concept curatoriale interdisciplinare ha preso forma dalla riuscita collaborazione tra l’artista Mónica de Miranda, la storica Sónia Vaz Borges e la coreografa Vânia Gala, le quali, grazie anche alla provenienza da ambiti culturali diversi, sono riuscite a dar vita ad un’opera d’arte collettiva e performativa che resterà negli annali come un vero e proprio manifesto artistico della cultura della diversità, in linea con Stranieri Ovunque firmata da Adriano Pedrosa. In antitesi alle monocolture delle piantagioni d’epoca coloniale, fino a quelle attuali dell’economia di mercato globale, il “giardino creolo” di piante native africane ricreato a Palazzo Franchetti, riferendosi agli orti ricchi di biodiversità densamente piantumati dagli schiavi come atto di resistenza e sopravvivenza, ha generato nei sei mesi di esposizione uno spazio aperto di liberazione, possibilità e molteplicità nel contemporaneo. L’approccio collettivo e interdisciplinare delle tre co-curatrici ha permesso l’accoglienza e la partecipazione del pubblico ad una serie di incontri, spettacoli, dibattiti e performance per promuovere il pensiero critico attraverso la pluralità delle voci, come per esempio le lecture di curatori di altri padiglioni della Biennale Arte, fra i quali: Abraham Oghobase della Nigeria, Azu Nwagbogu del Benin, Cindy Sissokho della Francia, Hicham Khalidi, Manal Al Dowayan dell’Arabia Saudita, Maria Madeira di Timor-Leste, Molemo Moiloa del Sud Africa. Nella stessa direzione è da intendersi il contributo dell’artista angolano Kiluanji Kia Henda, presente nella mostra di Pedrosa e incluso qui come direttore

artistico della performance Resurrection/ Insurrection, che esplora processi storici e contemporanei della violenza coloniale, l’insurrezione anti-coloniale e la resurrezione post-coloniale. Il Padiglione Portogallo vuole in questo modo ricordare due importanti anniversari: il Centenario della nascita di Amílcar Cabral, leader della Guinea-Bissau, fondamentale per l’indipendenza del Paese, e il 50. anniversario della Rivoluzione dei Garofani, che depose la dittatura portoghese (1974). La performance Grounded Soil, prevista per il finissage, è l’atto finale della trasformazione del Padiglione in uno spazio di azione e dialogo. Da non perdere!

ENG The Biennale’s closing days, November 21, 22, and 23, will be the last chance to experience fully the participative art experience at the Portuguese Pavilion. Greenhouse is a ‘creole garden’ that grew over the Biennale months. Artist Mónica de Miranda, historian Sónia Vaz Borges, and choreographer Vânia Gala created a collective art piece that is sure to be remembered as a prime example of diversity culture, a creation that aligns with the 2024 Venice Art Biennale’s theme, Foreigners Everywhere Antithetical to the monoculture of colonial times, the ‘creole garden’ of native African plants created at Palazzo Franchetti takes after the orchards enslaved people planted as an act of resistance. Over six months, it grew into a space of liberation and potential. A contribution by Angolan artist Kiluanji Kia Henda explores the historical and modern process of anticolonial resistance. The Portuguese Pavilion thus intends to celebrate two important anniversaries: the centenary of Guinea-Bissau leader Amílcar Cabral’s birth and the 50th of the Carnation Revolution, which put an end to dictatorship in Portugal. Palazzo Franchetti, San Marco 2847 www.greenhouse2024.com

Scelti da GIOVANNA TISSI
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù

STRANIERI OVUNQUE | FOREIGNERS EVERYWHERE

Kiluanji Kia Henda

Il topos della paura, generato negli esseri umani dal confronto con la diversità, è il comune denominatore dei tre suoi lavori presenti in mostra: The Geometric Ballad of Fear (2015) e The Geometric Ballad of Fear (Sardegna) (2019), serie di fotografie a colori e in bianco e nero, e l’installazione Espiral do Medo, ready-made di ringhiere metalliche recuperate in Angola, ma comuni a tutto il Global Sud, dove fungono da protezione di ogni edificio. Un manifesto della durezza e insieme della fragilità delle barriere, reali e immateriali, in difesa delle abitazioni, dei paesi o dei continenti, come dello straordinario potere dell’arte di trasformare/sublimare la realtà in bellezza (nel passato, come nel presente o nel futuro). Quando la paura (dell’altro) genera bellezza.

ENG The topos of fear, caused in human beings when confronted with difference, is the common trait of two photograph series and one installation, an assembly of metal fences recovered from Angola, though common throughout the Global South. We are looking at a manifesto of fences that are strong and weak at once, real and imaginary, as well as at art’s power to sublimate reality into beauty. When fear (of the Other) generates beauty.

Arsenale

IG @kiluanjikiahenda

COLLATERAL EVENT

Passengers in Transit

Oltrepassata l’insegna di un’antica farmacia veneziana, si è trasportati in un nuovo altrove dove emergono storie di migrazione e di diversità come fil rouge dei lavori delle cinque artiste della diaspora africana in Africa, nei Caraibi e negli Stati Uniti, qui riunite. Un immaginario contemporaneo attraverso il quale le artiste esplorano la complessità delle identità nella società globale, attingendo ciascuna a tradizioni e costumi locali e condividendo l’affermazione di un Io che va oltre i confini geo-politici, nel rispetto della diversità, di genere e di cultura. Quando l’arte ha il potere di trasformare, superando limiti spaziali e sociali.

ENG We step into an old Venetian pharmacy and we find ourselves into an elsewhere where stories of migration and otherness complement art by five artists of the African diaspora. These five women collected a modern imaginary to explore the complexity of identities in global society, each drawing from local traditions and customs and sharing a self-affirmation that goes beyond political boundaries, all the while respecting otherness, gender, and culture.

CCA Lagos (Centre For Contemporary Art) 193 Gallery Venice “Ex Farmacia Solveni”, Dorsoduro 993-994 ccalagos.org

NOT ONLY BIENNALE

Janus

La mostra Janus, con cui Palazzo Diedo ha aperto un nuovo capitolo per la cultura e l’arte a Venezia, simboleggia l’impegno della Fondazione Berggruen «a costruire sul passato in modo contemporaneo». Undici artisti di fama internazionale – Urs Fischer, Piero Golia, Carsten Höller, Ibrahim Mahama, Mariko Mori, Sterling Ruby, Jim Shaw, Hiroshi Sugimoto, Aya Takano, Lee Ufan, Liu Wei – sono stati invitati a dialogare con l’architettura di Palazzo Diedo, chiuso dagli anni ‘80, oggi restituito alla città. Le loro opere sitespecific sono ispirate ai mestieri tradizionali di Venezia, come gli affreschi, gli stucchi, il vetro di Murano, i tessuti preziosi e i pavimenti tipici.

ENG This exhibition “builds upon the past in contemporary fashion”. Eleven world-renowned artists have been invited to relate to the architecture of Palazzo Diedo, itself a new hotspot of art in town, and to create site-specific art inspired by traditional Venetian arts and crafts, like fresco, stucco, Murano glass, precious fabric, and typical Venetian flooring. Palazzo Diedo, Fondamenta Diedo, Cannaregio 2386 berggruenarts.org

Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello
Urs Fischer, Omen, 2024 - Courtesy of Urs Fischer studio and Berggruen Arts & Culture
Installation view - Courtesy 193 Gallery

biennale arte

ALTO GRADIMENTO

REVIEW

NATIONAL PARTICIPATION

Brasile

Ka’a Pûera: we are walking birds

Un presente sacro, la cerimonia performativa di Ziel Karapotó e Olinda Tupinambá: Venerdì Santo, 19 aprile 2024, durante la vernice della 60. Biennale Arte, ai Giardini, nello spazio adiacente al Padiglione modernista progettato dall’architetto Mindlín, il sole è alto, i corpi seminudi si muovono in corrispondenza aleatoria intorno a un cerchio; Olinda dipinta di rosso soffia sul fumo espirato da Ziel, che spezza le pallottole degli invasori. Si evoca la cura, soprattutto per gli sguardi curiosi del pubblico concentratissimo sulla registrazione mediatica dell’evento. L’aria è quella dei tempi in cui l’opera d’arte non era un semplice oggetto di contemplazione e collezionismo, bensì un dispositivo di connessione con il Divino. Gli spiriti sono scesi, nessuno è più lo stesso, la magia trasformatrice dell’arte dei Pajé del territorio Hãhãwpuá ci ricorda come la loro cultura antica sia ancora incompresa dalla stragrande maggioranza, discendente dai conquistatori, per secoli oppressi dalle dottrine rivelate che si sono sentiti minacciati dai corpi vivi e senza colpa di coloro che avrebbero violentato ed espropriato. Ho la forte sensazione che di quel luogo, nel cuore dei Giardini della Biennale, in quel magnifico spazio di scambio culturale che Venezia offre al mondo, non siano ospiti ma legittimi regnanti, loro per tutti i popoli indigeni che lottano per il riconoscimento del diritto ad esistere e prosperare sulla terra. E l’esibizione intitolata Ka’a Pûera: noi siamo uccelli che camminano ci mostra un cammino possibile di superamento del trauma del genocidio commesso dagli europei, le condizioni del perdono che passa attraverso la restituzione di capitale simbolico ed economico, il riconoscimento e la protezione delle terre e delle risorse, e soprattutto la lotta senza quartiere alle ideologie suprematiste che vanno estirpate ovunque siano. E così i rappresentanti dei popoli Tupinambá, Wapichana, Baniwa, Pataxó, per tutti gli altri 300 popoli indigeni in territorio Hãhãwpuá, sono invitati ad occupare lo spazio che è sempre stato loro. Curatori e artisti, emancipati da una grande consapevolezza dell’importanza culturale e politica del movimento indigeno, sanno benissimo l’importanza di iscrivere le loro istanze nella piattaforma dell’arte contemporanea antropofagica d’invenzione Europea, cassa di risonanza rilevante per la resistenza indigena.

Così il mantello Tupinanbá, oggetto sacro diventato reliquia, si è trasformato con Glicéria, artista in mostra, in opera d’arte contemporanea e strumento per una richiesta di restituzione degli undici esemplari conservati in istituzioni museali internazionali.

Per qualche istante durante l’inaugurazione è sembrato che le istituzioni organizzatrici del Padiglione, la Fondazione Bienal de São Paulo, con il suo consiglio onnipresente e il Ministero degli Esteri con il corpo diplomatico dell’Ambasciata, fossero state rimpiazzate dagli ospiti Tupinambá, Wapichana, Baniwa, Pataxó e tutto è parso naturale e giusto.

Un piccolo momento nel cammino di redenzione per la salvezza di un territorio che molti, ma non tutti chiamano Brasile.

SALVATORE

ENG A sacred present: the ceremonial performance by Ziel Karapotó and Olinda Tupinambá that took place on the last April 19, 2024 saw two bare bodies, moving in seemingly random ways around a circle. Olinda, painted in red, blows on the smoke breathed out by Ziel, crushing to pieces the invaders’ bullets. Art is not a mere object of contemplation or collection, but a device that connects us with the Divine. The spirits descended, nobody is the same anymore, and the transformative magic of Pajé art shows us how their ancient culture is still so foreign to most. I believe that that place at the Biennale belongs to them, to all indigenous people fighting for their right to exist and prosper.

Representatives of the Tupinambá, Wapichana, Baniwa, Pataxó people, standing also for the other 300 indigenous people of the Hãhãwpuá territory, are invited to occupy a space that has always been theirs. These emancipated curators and artists know the cultural and political importance of indigenous movements and know the importance of inscribing their instances in the European-derived contemporary art platform. A small step in the redemption story to save a territory most, though not all, call Brazil.

Giardini www.bienal.org.br

Scelti da LUCIO
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda

EVERYWHERE

Bouchra Khalili

The

Mapping Journey Project

Una mappa, una mano che tiene un pennarello, il disegno in tempo reale di tortuosi e pericolosi viaggi di anni. Bouchra Khalili, artista e studiosa franco-marocchina, sviluppa strategie collaborative di narrazione insieme ai membri delle comunità escluse dall’appartenenza alla cittadinanza. L’istallazione The Mapping Journey Project offre la possibilità di orientarci nello spazio del nostro tempo. Una bussola per i nostri sentimenti fatta di racconti dei protagonisti delle migrazioni al centro della cronaca degli anni ‘20, che tracciano su mappe fisiche le loro personali odissee aiutandoci a capire e a diventare anche noi un po’ più migranti.

ENG A map, a hand holding a marker, a real-life drawing of windy, dangerous travels. Bouchra Khalili, a Moroccan-French artist and scholar, develops collaborative narrative strategies with members of marginalized communities. Installation The Mapping Journey Project will help us find our way in space. It is a compass for our feelings made of stories of migrants in the 2020s who trace, on physical maps, their personal Odysseys to help us understand them better and maybe make a bit of a migrant out of ourselves, too.

Arsenale

www.bouchrakhalili.com

COLLATERAL EVENT

Yuan Goang-Ming: Everyday War

Il Palazzo delle Prigioni è uno dei miei luoghi preferiti di pellegrinaggio, indimenticabile la presentazione di Tehching Hsieh alla 57. Biennale d’Arte. A confermare anche quest’anno la consistenza della qualità della programmazione del Taipei Fine Arts Museum of Taiwan è la mostra Yuan Goang-Ming: Everyday War, un progetto che racconta la realtà di un’incombente guerra che si combatte a rallentatore nelle nostre città, nelle nostre case, invisibile in tutta la sua violenza. Una maniera per me diversa e seduttrice di raccontare la tragedia. ENG Taiwan’s participations to the Venice Art Biennale always leave a mark. This year, we saw yet another confirmation of the quality of their productions. Project Yuan Goang-Ming: Everyday War tells the story of a war to come, fought in slow motion in our cities, our houses. Invisible in its violence. A different, interesting way to show tragedy.

Palazzo delle Prigioni, Castello 4209 www.taiwaninvenice.org/2024

NOT

ONLY

BIENNALE

Yu Hong: Another One Bites the Dust

In una chiesetta romanico-bizantina, fondata dai frati agostiniani nel X secolo, ora sconsacrata, si dipana sull’altare un polittico di grandi dimensioni che occupa lo spazio in maniera solenne. Dai fondi oro dei pannelli ad arco prende forma un’umanità contemporanea che richiama e al contempo allontana i temi epici dell’arte sacra – nascita, vita e morte –, per lo più figure di donne e bambini in pose contorte, che esprimono angoscia mentale o pericolo fisico imminente, sia reale che fantastico, prese da internet e dai social media. Yu Hong e il suo approccio al realismo soprannaturale ci conduce al di fuori dei limiti delle convenzioni storico-artistiche.

ENG In a Romanesque-Byzantine church founded by Agostinian monks in the tenth century, a large-scale painting installed atop the altar dominates the space. Gilded backgrounds and arched panel frame depictions of modern humans that both recalls and rejects the canons of sacred art. It is mostly figures of women and children in twisted poses, showing mental angst or imminent peril, both real and fantastic, collected on the internet. Yu Hong’s approach to supernatural realism takes us beyond the scope of historical art conventions.

Chiesetta della Misericordia, Cannaregio 3549 IG @yuhongstudio

Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello
Courtesy National Culture and Arts Foundation © Yuan Goang-Ming
Courtesy Lisson Gallery - Photo George Darrell

biennale arte

ALTO GRADIMENTO

REVIEW

BIDORINI

NATIONAL PARTICIPATION

Austria A Language of Resistance

Anna Jermolaewa, nata a Leningrado nel 1970, dal 1989 è rifugiata politica a Vienna a seguito delle accuse di propaganda antisovietica. Artista concettuale combina installazioni, video e fotografia, mantenendo sempre una sottile vena ironica. Il suo contributo alla Biennale 2024 risponde in modo incisivo ai temi della migrazione e della resistenza, in sintonia con il fil rouge della mostra di Adriano Pedrosa. A Language of Resistance si compone di cinque installazioni distribuite tra le diverse sale e il cortile interno del Padiglione Austria, tutte accomunate dal tema della resistenza non violenta, un argomento di pressante attualità che l’artista tratta da anni nelle sue opere multimediali. Jermolaewa, nota per il suo impegno politico e sociale, esplora con queste opere la relazione tra arte e attivismo, intrecciando esperienze personali e riflessioni storiche. Rehearsal for Swan Lake (2024), realizzata in collaborazione con la ballerina e coreografa ucraina Oksana Serheieva, rievoca il ricordo d’infanzia dell’artista, quando alla televisione sovietica veniva trasmesso di continuo il balletto Il lago dei cigni di C ˇ ajkovskij durante i momenti di crisi politica, come il crollo di regimi, diventando un codice per i capovolgimenti del potere. In questo contesto il balletto assume il ruolo di simbolo di cambiamento politico e viene reinterpretato come un atto di resistenza. Il video, lo specchio, la sbarra e lo spazio vuoto creano ancor più il senso del tempo passato e presente: si fan le prove per un cambio di regime. Nel video Research for Sleeping Position l’artista viene ripresa con telecamera fissa mentre cerca di riposarsi sulle panchine coi dissuasori nella stazione di Vienna, dove dormì per settimane al suo arrivo in Austria. Anche qui il tempo gioca un ruolo importante, coinvolgendo empaticamente lo spettatore e riportando la mente a situazioni contemporanee.

In Unione Sovietica era vietato possedere album di musica occi-

dentale rock o jazz. Per sovvertire il divieto gli ingegneri del suono sovietici inventarono un modo per copiare gli album su pellicole radiografiche scartate dagli ospedali. Ribs (2022/24) mostra queste lastre sul visore per radiografie di un medico, mentre alcune pellicole radiografiche vengono riprodotte una volta al giorno su un giradischi. Un’altra opera significativa, The Penultimate (2017), si compone di una serie di piante e di vasi con mazzi di fiori (tra cui gelsomini, garofani, rose, tulipani), ciascuno di essi rappresentante una “rivoluzione colorata” o una sollevazione popolare legata a un particolare contesto storico. Dai garofani della Rivoluzione dei Garofani in Portogallo, ai fiori di loto della Primavera Araba, questa natura morta floreale incarna il potere simbolico delle rivolte popolari contro i regimi autoritari.

ENG Anna Jermolaewa was born in Leningrad in 1970. Since 1989, she has been living as a political refugee in Vienna, after being accused of anti-Soviet propaganda back home. A conceptual artist, Jermolaewa combines installation, video, and photography with a vein of subtle irony. Her contribution at the 2024 Venice Art Biennale is her take on migration and resistance: A Language of Resistance comprises five installations on non-violent resistance, which the artist and activist has been working on for years. Rehearsal for Swan Lake (2024) is a childhood memory of Jermolaewa, back from where the Soviet TV broadcasted Swan Lake at the time of political crisis, unwittingly turning into a signal in its own right. In Research for Sleeping Position, the artist is shown trying to rest on ‘hostile architecture’ benches at a train station in Vienna, where she slept for weeks upon her arrival in Austria.

Giardini www.biennalearte.at

Scelti da MARIA LAURA
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda

STRANIERI OVUNQUE FOREIGNERS EVERYWHERE

Pacita Abad

Pacita Abad si definisce la donna del colore, e difatti il colore, oltre alla sua tecnica della trapunta, risulta il tratto distintivo della sua arte. Filippina di nascita, l’artista è costretta a migrare negli Stati Uniti per motivi politici e in seguito con il marito viaggia in più di 60 paesi, soprattutto in Oriente. In ognuno dei paesi visitati raccoglie tessuti di ogni tipo, che poi utilizza e reinventa nelle sue opere, aggiungendo al colorato lavoro a trapunta paillettes, perline, conchiglie, pietre, specchietti. Ci piace perché usa una tecnica non convenzionale per metterci di fronte a drammatiche problematiche come la migrazione, la povertà e lo stravolgimento delle tradizioni.

ENG She calls herself a woman of colour, and colour is indeed Pacita Abad’s distinctive feature. Born in the Philippines, she was forced to leave her country for political reasons. She and her husband settled in America, though also visited a large number of countries in the East. In each of them, Abad collected fabrics of all kinds, which she then used and reinvented into her art. A non-conventional technique to inspire us reflections on migration, poverty, and revolutionizing traditions. Arsenale www.pacitaabad.com

COLLATERAL EVENT

Berlinde De Bruyckere:

City of Refuge III

City of Refuge III comprende tre gruppi di opere scultoree che dialogano con la monumentalità della chiesa di San Giorgio Maggiore. Al centro vi sono figure di arcangeli, velate e senza volto, che rappresentano l’ibridazione tra umano e divino. L’uso di specchi nelle installazioni crea riflessi frammentati, evocando una molteplicità di realtà. Le sculture sono accompagnate da installazioni nel chiostro, dove gli elementi naturali si trasformano in simboli di rinascita e redenzione. Ci piace per il potere evocativo delle monumentali sculture in dialogo con la perfezione dell’architettura palladiana.

ENG Three groups of sculptures speaking to the monumentality of San Giorgio Maggiore Church. At the centre, we see veiled, faceless archangels representing the hybridization of the human and the divine. The use of mirrors in the installations creates shattered reflections and evokes a diverse, multi-faceted reality. All around, natural elements are used as symbols of rebirth and redemption.

Abbazia di San Giorgio Maggiore

Benedicti Claustra Onlus

Isola di San Giorgio Maggiore www.abbaziasangiorgio.it

NOT ONLY BIENNALE Pierre Huyghe Liminal

Un’esperienza immersiva che esplora il confine tra umano e non umano. Utilizzando l’intelligenza artificiale, Pierre Huyghe crea un ambiente in continua evoluzione, dove le sue opere non solo rappresentano, ma interagiscono attivamente con il visitatore. Le installazioni, tra cui un corpo umano senza volto immerso in un paesaggio lunare, sollecitano una riflessione su una realtà post-umana. Attraverso sensori e intelligenza artificiale, l’osservatore diventa parte di una dimensione parallela, dove il reale e il fittizio si intrecciano. Ci piace perché l’artista inventa un modo totalmente nuovo di fare arte, in cui il contenitore diventa un corpo vivo e il visitatore ne diventa parte attiva.

ENG An immersive experience that explores the border between the human and the non-human. Using AI, artist Pierre Huyghe created an environment of evolution where are not only represent, but interact with the audience. A faceless human body elicits our reflection on what post-human reality may look like. We will be part of a parallel dimension, where real and fictional blend together.

Punta della Dogana www.pinaultcollection.com

Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello
Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU
Courtesy Berlinde De Bruyckere

biennale arte

ALTO GRADIMENTO

REVIEW

NATIONAL PARTICIPATION

Spagna

Migrant Art Gallery

Il Padiglione della Spagna (e non è l’unico) si distingue per la scelta rivoluzionaria della prima artista di origine straniera a rappresentare il Paese. Sandra Gamarra Heshiki, infatti, è nata a Lima e abita a Madrid, si muove su una linea sottile che attraversa continenti, culture e memorie storiche. Pinacoteca Migrante è il titolo della sua installazione, una riflessione critica sul passato coloniale spagnolo che esplora il modo in cui le ombre dell’imperialismo continuano a proiettarsi sulla contemporaneità.

La Pinacoteca Migrante è un museo immaginario che raccoglie circa cinquanta opere tra dipinti e sculture. Attraverso un processo di appropriazione e trasformazione, Gamarra Heshiki rivisita capolavori dell’arte europea del Seicento, li distorce e li ricontestualizza, mettendo in luce il retaggio disumanizzante del colonialismo. Uno degli esempi più significativi è il suo Retablo de la Naturaleza Moribunda, un’opera a pannelli dorati che richiama i dipinti di Velázquez e Zurbarán, e che trasforma i simboli di opulenza e potere in riflessioni sul degrado e la morte causati dal colonialismo. La pratica artistica di Gamarra Heshiki si fonda sulla copia, un atto che diventa strumento di emancipazione e sovversione. Attraverso la sua arte, l’artista pone interrogativi sulla legittimità dei musei europei come depositari di un patrimonio che spesso si è costruito attraverso la violenza e l’appropriazione. La copia, anziché essere un atto subordinato all’originale, diventa una forma di riscatto, una maniera per raccontare storie alternative e per ribaltare la narrazione dominante.

In Máscaras Mestizas, Gamarra Heshiki affronta il tema del razzismo nascosto nelle opere d’arte del passato. Prendendo spunto dal Gruppo di famiglia in un paesaggio di Frans Hals, inverte la gerarchia visiva del dipinto, facendo emergere il piccolo servitore africano quasi invisibile nell’originale, nascondendo invece le figure europee in un monocromo che le rende evanescenti. L’aggiunta di una coperta termica dorata, utilizzata per salvare i migranti nel Mediterraneo, drammatizza ulteriormente il messaggio di una storia

MACHETTI

coloniale mai veramente chiusa.

Il Padiglione spagnolo si trasforma in uno spazio che invita alla riflessione critica che ha il suo clou nelle sculture del centrale

Migrant Garden, che evoca il genocidio dei Charrúas in Uruguay, unendo la memoria storica di un popolo sterminato con l’immagine di una pianta invasiva: un simbolo della migrazione e dell’impatto culturale che non conosce confini. L’arte di Sandra Gamarra Heshiki non è una mera celebrazione della bellezza estetica, ma un atto di resistenza culturale. Attraverso le sue opere, l’artista ci costringe a confrontarci con le complessità della storia, con le ingiustizie del passato e con le sue ripercussioni nel presente.

ENG The Spanish Pavilion stands out for its revolutionary choice of picking a foreign artist to represent the country. Sandra Gamarra Heshiki, though living in Madrid, was born in Lima. Her installation Pinacoteca Migrante is a critique on Spain’s colonial history that explores the way past imperialism still cast a shadow on the present. Pinacoteca Migrante (lit. ‘wandering gallery’) is an imaginary museum that collects some fifty pieces. The artist revisits masterpieces of seventeenth-century European art, distorts them, and re-contextualizes them, showing colonialism’s heritage of dehumanization. One of the most brilliant examples is her Retablo de la Naturaleza Moribunda, whose satire of Velázquez’s and Zurbarán’s paintings and the opulent symbols of power they depict is a reflection on the debasement and death caused by colonialism. In Máscaras Mestizas, Sandra Gamarra Heshiki shows racism in art: working on Frans Hals’s Family Group in a Landscape, the artist inverts the painting’s hierarchy, allowing the little African servant – almost invisible in the original – to finally come to prominence, while hiding the Europeans in barely-visible monochrome.

Giardini

IG @spanish.pavillion.venice2024

Scelti da IRENE
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda

STRANIERI OVUNQUE | FOREIGNERS EVERYWHERE Puppies Puppies

Puppies Puppies è il nome d’arte di Jade Guanaro Kuriki-Olivo, artista nata a Dallas da madre giapponese e padre portoricano. Nel giardino ideato da Carlo Scarpa nel Padiglione Centrale, in un angolo, ecco che appare A Sculpture for Trans Women... (2023), creata in 3D sul corpo dell’artista, che incarna la sua lotta per il diritto a essere sé stessi, a scanso di ogni convenienza sociale. Durante il vernissage Biennale, Jade ha dipinto il suo volto sulla scultura in bronzo, un atto di identificazione e appropriazione fortissimo. Electric Dress (2023) all’Arsenale, scultura che si riferisce all’omonima opera di Atsuko Tanaka del 1956, rende omaggio alle vittime di un omicidio di massa avvenuto nel 2016 nel night club queer Pulse in Florida. Ci piace perché parla con forza e delicatezza delle tematiche queer.

ENG A Sculpture for Trans Women..., 3-D modelled on the artist’s own body, is the way she fights for the right to be herself, no matter any social opportunities. On the Biennale’s opening day, Jade Guanaro Kuriki-Olivo a.k.a. Puppies Puppies painted her face on the bronze sculpture, a powerful act of identification and appropriation. Electric Dress is a sculpture that takes after the similarly titled piece of 1956 by Atsuko Tanaka and is an homage to the victims of the 2016 Pulse Club massacre.

Padiglione Centrale, Giardini e Arsenale IG @puppiespuppiesjade

COLLATERAL EVENT

Cosmic Garden

Chanakya Foundation

Il Salone Verde si apre a un’esperienza artistica molto interessante incentrata su dipinti e sculture di Madhvi Manu Parekh, che si integrano a perfezione con i ricami creati dalle artigiane della Chanakya School of Craft, diretta da Karishma Swali. La scuola ha lo scopo di aiutare e promuovere il lavoro artigianale femminile favorendo l’emancipazione e creando lavoro e indipendenza. Il ricamo è sempre stato prerogativa maschile in India, la svolta è dare l’opportunità alle donne di lavorare in questo ambito. Ci piace perché attraverso la collaborazione tra arte e artigianato di alto livello (Dior usa i loro ricami) si promuove il lavoro delle donne in un paese, l’India, in cui questo non è assicurato.

ENG The Green Hall opens to a very interesting art experience centred on paintings and sculptures by Madhvi Manu Parekh that integrates beautifully with embroidery by the craftswomen at the Chanakya School of Crafts. The School promotes female crafts, facilitates emancipation, and fosters labour and independence. Arts and crafts promote women’s access to independent labour, which is not to be taken for granted in a country such as India.

Salone Verde, Calle della Regina, Santa Croce 2258 chanakya.school

NOT ONLY BIENNALE

Austin Young / Fallen Fruit.

The Marriage of The Sea (The Rape of Venice)

Austin Young / Fallen Fruit ha saputo guardare Venezia e rappresentarne insieme la bellezza e la decadenza. La nuova opera di grandi dimensioni è stampata sui rivestimenti murali di Palazzo Cesari Marchesi in tessuto e tende velate. «Come artista, cerco di creare un’esperienza sublime che cambi le sensazioni che si provano entrando nella stanza, con l’obiettivo di condividere le mie percezioni attraverso un’esperienza estetica», afferma Young. Prendendo a piene mani da Tiziano fino alle allegorie marine dei manuali di biologia, l’artista ci mette davanti a una raffinata apocalisse. Entra in punta di piedi in una Venezia fragile per poi esplodere in un crescendo di colori e contrasti di una bellezza spiazzante.

ENG Venice: beauty and decadence. This new large-scale piece has been printed on canvas and installed on the walls at Palazzo Cesari Marchesi. “As an artist, I try to create a sublime experience that will change you as you enter the exhibition hall. My goal is to share my perceptions using aesthetic experience” says Young. The artist took inspiration from images ranging from Titian to marine biology books, which he uses to introduce Venice’s fragility and turning into an explosion of colour and contrast.

The Pool NYC, Palazzo Cesari Marchesi

Campo Santa Maria del Giglio, San Marco 2539
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù
Courtesy Chanakya Foundation
Courtesy The Pool NYC - Photo Maria Rosce

biennale arte

ALTO GRADIMENTO

REVIEW

NATIONAL PARTICIPATION

Santa Sede

Con i miei occhi

Curiosando nella lista etimologica dedicata al verbo “vedere”, può essere interessante soffermarsi sulla sua accezione di “scorgere con gli occhi della mente”, al fine di saper distinguere. Uno sguardo introspettivo che rinnova la percezione sull’esterno. Così come li definiva Sant’Agostino, servono oculi interiores per fare esperienza della mostra del Padiglione Santa Sede nella Casa di Reclusione Femminile di Venezia alla Giudecca – occasione che ha anche portato per la prima volta un pontefice a visitare la Biennale di Venezia.

Aver partecipato a Con i miei occhi non significa aver fagocitato un’altra mostra. Il tempo necessariamente si dilata per visitare il Padiglione e osservare le opere di Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Suor Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, Claire Tabouret. Nell’overdose – spesso pseudo-artistica –di questa Biennale Arte, il Vaticano richiede un pellegrinaggio, una certa liturgia per raggiungere la sede espositiva e una specifica modalità di visita. Gli ingressi sono contingentati. Si accede attraverso una registrazione online a cui si allega un documento di identità. Allontanandosi dal gremito circuito di Giardini e Arsenale, si deve galleggiare sulle acque lagunari, salire sul vaporetto – versione meccanica dello psicopompo Caronte – per raggiungere la riva opposta. Ci attende questo insieme di otto isole che confluiscono in Dorsoduro, ma la cui identità è orgogliosamente autonoma. La Giudecca è un varco spazio-temporale che condensa in sé Palladio, case popolari, hotel di lusso, ex industrie, giardini, monasteri e gallerie d’arte. Si scende all’imbarcadero Palanca e in pochi passi si raggiunge Fondamenta de le Convertite. La peregrinazione è compiuta. L’ingresso del carcere è anticipato dalla monumentale installazione Father di Cattelan, che ricopre la facciata della cappella adiacente al carcere con una gigantografia di piante dei piedi in bianco e nero. Se, come afferma l’artista, «i piedi, insieme al cuore, portano la stanchezza e il peso della vita», sono anche trait d’union per la storia dell’arte e delle Sacre Scritture; dall’Ultima Cena, ai capolavori di Mantegna e Caravaggio. Il personale dell’Istituto Penitenziario ci attende. Documenti controllati, telefoni ritirati. Nessuna traccia video-fotografica rimarrà dopo la visita. La memoria visiva sopperirà a questa sana disintossicazione digitale. Si accede dove il concetto quotidiano di libertà decade. Qui l’arte ci educa ad allenare una sensibilità altra. Ecco le detenute, i nostri Virgilio, che ci condurranno alla scoperta delle opere. Sostengono che «vincere significa sentirsi liberi, anche se per un istante». La collettiva curata da Chiara Parisi e Bruno Racine è un unicum in grado di fondere consistenza artistica a consapevolezza sociale. La Santa Sede, che nei secoli tanto rappresenta il Divino quanto l’errare dei mortali che lo rappresentano, ha compiuto una scelta giusta perché coraggiosamente umana.

FEDERICO JONATHAN CUSIN

ENG

“I can see that” – meaning you understand what you’re looking at, not merely seeing it. Looking inside ourselves can be just as valuable as perceiving the outer world. Saint Augustine wrote of our ‘inner eyes’, which you will use to visit the Holy See Pavilion at the Female Correctional Facility in Giudecca, Venice. Art by Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, and Claire Tabouret will be the end journey of a pilgrimage-like journey to the island of Giudecca, itself a charming microcosm that includes council houses, luxury hotels, abandoned industrial sites, parks, monasteries, and art galleries. Security guards escort us in, check our IDs, and keep our phones for the duration of our visit. No photo or video trace will remain. Our visual memory will take care of that, and we shall enjoy some time of digital detox. We keep walking, and we feel the ordinary concept of freedom no longer applies, here. Art is trying to educate us to a different kind of sensitivity. Inmates will guide us to discover the art; they maintain that “to win means to be free, if but for a moment”.

Casa di reclusione femminile Venezia, S. Eufemia, Giudecca 712 www.vatican.va

Scelti da

STRANIERI OVUNQUE | FOREIGNERS EVERYWHERE

Domenico Gnoli

Sous la chaussure

Per chi si è sentito un po’ appesantito e con il “morale sotto i tacchi” dopo l’indigestione artistica in Arsenale, una teofania empatizzante qui lo attende: Sous la chaussure (1967) di Domenico Gnoli. Opera rara da ammirare – confluisce in collezione privata nel 2021 dopo essere stata battuta per £2,182,500 da Christie’s – presenta una lenticolare visione sotto alla suola di una scarpa maschile. Gnoli elegantemente incanta con la sua autonoma e irripetibile metafisica della quotidianità. ENG Those who feel a bit weighed down, maybe even demoralized, after their art overdose at Arsenale, shall be welcomed by empathizing theophany at this exhibit: Sous la chaussure (1967) by Domenico Gnoli is a peculiar piece of art. Auctioned at Christie’s for £2,182,500, it has been acquired by a private collector in 2021. The painting is a lenticular representation of man’s shoe sole, and an elegant enchantment in its self-supporting, unrepeatable depiction of everyday metaphysics.

COLLATERAL EVENT

Ernest Pignon-Ernest: Je Est Un Autre

Ernest Pignon-Ernest ci ricorda l’importanza di rompere con le convenzioni. Di non appassire seguendo, spesso inconsciamente, dettami sociali preconfezionati. Lo fa con il suo repertorio di migranti, viaggiatori e poeti a grandezza naturale. Figure di donne e uomini coraggiosi, tra cui Pier Paolo Pasolini – antesignano che già in Comizi d’amore (1964) ci percepiva come un popolo di scandalizzati conformisti. Possiamo e vogliamo migliorare?

ENG Ernest reminds us of the importance of breaking away from customs. We shall not wither away, often unconsciously, by mindlessly following predetermined social norms. The way he convinces us is by showing a repertoire of natural-size migrants, travellers, and poets: brave men and women, including Pier Paolo Pasolini, who back in 1964, already called his Italian contemporaries a people of indignant conformists. Can we improve? Do we want to?

Espace Louis Vuitton Venezia Calle del Ridotto, San Marco 1351 www.fondationlouisvuitton.fr

In Nebula, mostra curata da Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi per Fondazione In Between Art Film, otto lavori scelgono la nebbia non come tema ma come atmosfera. A Nebula Giorgio Andreotta Calò dedica la sua nuova opera (che prende lo stesso tema), un’opera sociale creata nell’anno del centenario dalla nascita dello psichiatra veneziano Franco Basaglia. Monito alla percezione della salute mentale, la video installazione attrae per le presenze che la abitano. Da una pecora-guida, a un primo piano su una Cassandra contemporanea che fa pensare al paradosso di Olbers: «Com’è possibile che il cielo notturno sia buio nonostante l’infinità di stelle presenti nell’universo?». Con Nebula l’arte accoglie un puro approccio di ricerca sul campo. ENG Eight artworks inspired by fog, not theme-wise, but rather in their atmosphere. Giorgio Andreotta Calò’s Nebula is a social piece of art created in the hundredth anniversary of Franco Basaglia, a pioneering reformer psychiatrist from Venice. An admonition on the way we perceive mental health, this video art is interesting because of the presences that inhabit it, including a modern Cassandra wondering about Olbers’s paradox: “If there is an infinite number of stars in the universe, how can the night sky be dark?” Complesso dell’Ospedaletto, Barbaria de le Tole, Castello 6691 inbetweenartfilm.com

Arsenale
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello
© Louis Vuitton - Photo Daniele Nalesso
Giorgio Andreotta Calò, Nebula - Photo - Lorenzo Palmieri

biennale arte

ALTO GRADIMENTO

REVIEW

NATIONAL PARTICIPATION

Italia

Due qui / To Hear È un’esperienza immersiva quella che si vive varcando la soglia del Padiglione Italia nello spazio delle Tese delle Vergini all’Arsenale. Giocando sull’assonanza del titolo Two Here, due qui, acusticamente “to hear”, nell’intenzione del curatore Luca Cerizza il progetto si svela quale una sorta di viaggio all’ascolto che muta nel procedere lungo le tre navate di questa basilica del contemporaneo. Protagonista-artifex è Massimo Bartolini, toscano, classe 1962, a rappresentare l’Italia in occasione della 60. Biennale Arte. Grazie ad una collaborazione decennale con il critico d’arte Luca Cerizza, Bartolini ha ripensato questi luoghi come una sorta di labirintica cattedrale tripartita; lo scheletro centrale dei ponteggi diventa metafora sonora e parlante attraverso una foresta di tubi innocenti trasformati in organo apparentemente freddi e statici, che prendono vita grazie ai suoni che emettono via via in una melodia continua in la bemolle composta da Caterina Barbieri e Kali Malone, giovani talenti di un filone elettronico e sperimentale: si percorre questo viaggio verso la conoscenza, dove, come spiega lo stesso Bartolini, “prestare ascolto” è uno strumento per il miglioramento di sé stessi nel mondo. Proprio perché si tratta di un viaggio esperienziale, lo si può percepire nell’assoluto silenzio contemplativo di fronte alla piccola scultura in bronzo collocata in cima a una lunghissima canna d’organo raffigurante un Pensive Bodhisattva, una statuetta del Buddha solitaria in una stanza praticamente vuota, figura di un buddismo che non agisce ma pensa, che ha raggiunto l’illuminazione e invita all’ascolto dei suoni prodotti dall’organo che definisce un tempo sospeso, in un’attesa che indirizza lo spettatore al centro del percorso, guidandolo verso la piscina circolare. Una vasca con potere ipnotico, che ha al suo interno un’onda pulsante che rapisce in una sorta di trance sensitiva e che nel suo cambiare la forma sembra voler alludere al movimento della vita. Una moderna e minimalista rivisitazione della fontana barocca, fulcro attrattivo delle piazze di un tempo quale luogo di convivialità, contrapposto alla foresta, simbolo di solitudine. Uscendo dall’intrico del labirinto si apre il Giardino delle Vergini, dove un coro a tre voci, campane e vibrafono, composto da Gavin Bryars insieme al figlio Yuri, canta ispirandosi al testo del poeta argentino Roberto Juarroz, raccontando di un essere umano che a

seguito di una metamorfosi è divenuto albero, in un rapporto osmotico-panico con l’altro da sé ed è connesso al mondo attraverso le sue radici. Così, spiega Luca Cerizza, l’apparente immobilità del Bodhisattva diventa una forma più attenta di ascolto e di relazione. Tre spazi per tre diverse esperienze acustiche, laddove anche il silenzio diviene voce parlante rivolta alla mente. In sintonia col tema portante proposto dal curatore Adriano Pedrosa Stranieri ovunque, la lettura di Bartolini si inserisce perfettamente grazie all’idea di non essere straniero ed estraneo agli altri, partendo proprio dal non esserlo in primis verso sé stessi.

ENG A visit at the Italian Pavilion exhibition is an immersive experience, a journey into listening we are cued in by its very title: Two Here – or to hear, as it were. Behind the installation is Massimo Bartolini, who reshaped the spaces at Arsenale into a sort of labyrinth-like cathedral divided in three, showing a frame of scaffold tubes that remind of organ pipes, and in fact come to life as a melody in A- begins sounding off and accompanies us into a journey of knowledge. According to Bartolini, to ‘lend an ear’ is a way to improve yourself. With this being an experiential journey, we can also perceive the same in utter silence as we contemplate a small bronze sculpture perched atop a long organ pipe. A Pensive Bodhisattva, a Buddha commanding an almost empty hall, who does not act, only meditates, is enlightened, and invites us to listen to the organ sounds as we walk towards the pool at the centre. The pool has a sort of hypnotic power. Its circular waves capture us into a sort of trance, and as it changes, we are reminded of the motions of life. A modern, minimalist reinvention of baroque fountains, once the focus of Italian town squares and symbols of conviviality, opposite forests, the symbol of solitude. As we walk out of the labyrinth, we step into the green, where a chorus, bells, and vibraphone ensemble tells the story of a human being turned into tree – an osmotic, Panic relationship with otherness, connected to the world with its roots. Thus, explains art critic Luca Cerizza, the Bodhisattva’s apparent immobility grows into a more focused form of listening and relatability.

Tese delle Vergini, Arsenale www.duequi-tohear.it

Scelti da MICHELA LUCE
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù

STRANIERI OVUNQUE | FOREIGNERS EVERYWHERE

Madge Gill

Crucifixion of the Soul

Si srotola in infiniti racconti la leggerissima tela di calicò dipinta elegantemente ad inchiostro, dove i turbamenti dell’animo della londinese Madge Gill si rincorrono ossessivi alternando scacchiere e scale vorticose a volti ripetuti, che nascondono il suo stesso autoritratto. Svelano come attraverso vetrate frantumate le inquietudini mentali della sua difficile esistenza, frutto di abbandono nell’infanzia e drammi familiari in età adulta, che si placano come se una mano invisibile la guidasse per farli emergere ed esorcizzare. La Crocifissione dell’anima emoziona toccando le corde dell’ignoto.

ENG

An infinite number of stories into a delicate calico canvas, preciously painted in ink, where Madge Gill’s inner turmoil shows in alternating checkerboards, staircases, faces hiding her own self-portrait. These images look like shattered stained glass, and reveal the mental disquiet of a difficult existence: Gill had been abandoned as an infant and had a difficult life as an adult. In her art, it looks as if an invisible hand guides her to make all bad memories come out and exorcize them.

Padiglione Centrale, Giardini www.madgegill.com

COLLATERAL EVENT

Robert Indiana: The Sweet Mystery

Yorkshire Sculpture Park

Dagli oblò all’ultimo piano delle Procuratie Vecchie si abbraccia con lo sguardo Piazza San Marco, così come Robert Indiana dalla sua finestra del loft a New York riusciva a vedere lo scheletro argenteo del Manhattan Bridge. Iconica immagine che torna nei suoi quadri, così come gli oggetti della cultura pop, trovati e riutilizzati, alternati alle parole impresse sulle tele o divenuti sculture, per lanciare messaggi in apparenza astratti, in realtà legati al quotidiano e alla sua profonda spiritualità. Il dolce mistero; uno sguardo, oltre...

ENG From the top floor of the Procuratie Vecchie building, one can embrace in one look all of Piazza San Marco, much like Robert Indiana, from his New York loft, could watch the silvery frame of the Manhattan Bridge. This iconic image shows us regularly in his art, as do items of pop culture, collected and recycled, alternating with words printed on canvas or turned into sculpture. These messages are only apparently abstract, but speak, in fact, about daily life and spirituality. Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 105 www.robertindianavenice2024.com

NOT ONLY BIENNALE

Eva Jospin

Selva

Avvolgente e straniante, fiabesca e teatrale, misteriosa e magica è la Selva ricreata dall’artista parigina Eva Jospin in uno straordinario, scenografico allestimento nel portego del Museo Fortuny. La natura quale luogo di passaggio e di vita, ma al contempo fonte da cui trarre i materiali utilizzati, legno, cartone, fibre vegetali, tessuti. Un dialogo senza tempo che si schiude sotto un arco serliano in un gioco a trompe-l’oeil per aprirsi in una magnifica foresta di cellulosa dal sapore barocco. «Entrando in una selva oscura...».

ENG All-encompassing and subtly alienating, fairy tale-like and theatrical, mysterious and magic: the Selva (forest) created by artist Eva Jospin is a place of passage, of life, as well as a source for the very material used in making the art: wood, cardboard, fibre, cloth. A timeless conversation reveals under the arch in a trompe-l’oeil that welcomes us into a Baroque forest… Museo Fortuny, San Marco 3958 fortuny.visitmuve.it

Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda
Courtesy MUVE - Photo Benoît Fougeirol
© 2024 Morgan Art Foundation Ltd./ Artists Rights Society (ARS) su concessione di The Robert Indiana Legacy Initiative

biennale arte

ALTO GRADIMENTO

REVIEW

STRANIERI OVUNQUE | FOREIGNERS EVERYWHERE

Santiago Yahuarcani

Rember Yahuarcani

Rappresentanti di una cultura profonda e lontana, Santiago e Rember Yahuarcani portano con sé il potere ancestrale delle loro radici amazzoniche. Padre e figlio, entrambi appartenenti alla comunità Uitoto del Perù, presentano un corpus di opere che intreccia mitologia, storia e battaglie contemporanee, trasformando l’arte in un potente mezzo di narrazione e resistenza. Gli Uitoto sono un gruppo indigeno originario dell’Amazzonia, principalmente concentrato in alcune regioni della Colombia e del nord del Perù. Il loro mondo spirituale fa riferimento a una complessa rete di divinità, legate agli elementi naturali, agli animali, alle piante e ai fenomeni atmosferici che proteggono e guidano la comunità. Le storie orali, tramandate attraverso racconti, canzoni e danze, sono il cuore della cultura uitoto e, tra queste tradizioni, l’arte occupa un ruolo fondamentale. Le opere dei due artisti, pur essendo profondamente legate alla comune eredità culturale, si distinguono per approcci fra loro complementari. Santiago Yahuarcani, patriarca della famiglia e apprezzato custode della tradizione artistica uitoto, con la sua esperienza e profonda conoscenza dei miti rappresenta la voce degli antenati, delle generazioni che hanno vissuto in simbiosi con la foresta. Le sue opere esaltano la bellezza della natura e il sacro legame che il popolo uitoto intrattiene con essa, evocando i cicli della natura, l’equilibrio tra gli esseri umani e l’ambiente, e l’importanza della memoria collettiva. I suoi dipinti e le sue sculture sono intrisi di un senso di sacralità e ritualità che trasforma l’arte in una forma di preghiera, un omaggio agli spiriti e alla terra. Al suo fianco, Rember Yahuarcani, figlio e allievo, prende il testimone della cultura uitoto ma lo trasforma attraverso uno sguardo personale e contemporaneo. Se da un lato continua a raccontare le storie degli antenati, dall’altro la sua arte si fa ponte tra due mondi: quello delle leggende indigene e quello delle problematiche globali, come la

crisi climatica, la deforestazione e l’identità culturale in un mondo globalizzato. Rember utilizza pittura, scultura e installazioni per dare vita a un immaginario visivo in cui gli spiriti della foresta non sono solo custodi del passato, ma attori fondamentali per affrontare il futuro. All’Arsenale le opere di Santiago e Rember Yahuarcani si trovano in dialogo all’interno di uno spazio che sembra appartenere ad un tempo antico, offrendo una riflessione sulla connessione tra uomo e natura e su come le tradizioni indigene possano fornire risposte profonde alle sfide contemporanee. In un’epoca di crisi ambientale e disconnessione dalle radici culturali, il loro lavoro ci invita a fermarci, ascoltare e riflettere su ciò che stiamo perdendo e su cosa possiamo ancora salvare. Le loro voci, come quelle della foresta che rappresentano, sono potenti, vive e necessarie. ENG Santiago and Rember Yahuarcani are representatives of a profound and distant culture, carrying with them the ancestral power of their Amazonian roots. Father and son, both members of the Uitoto community in Peru, present a body of work that weaves together mythology, history, and contemporary struggles, transforming art into a powerful tool of storytelling and resistance. Santiago Yahuarcani, the family patriarch and respected guardian of Uitoto artistic tradition, uses his experience and deep understanding of myths to represent the voice of ancestors, generations who lived in harmony with the forest. His works celebrate the beauty of nature and the sacred bond the Uitoto people have with it, evoking the cycles of nature and the balance between humans and the environment. Rember uses painting, sculpture, and installations to bring to life a visual imagery in which the spirits of the forest are not just guardians of the past but key figures in facing the future.

Arsenale

IG @santiago_yahuarcani / @rember_yahuarcani

Scelti da MARY Mc MILLAN
Santiago Yahuarcani, Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù (detail)
Rember Yahuarcani, Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù

NATIONAL PARTICIPATION

Nigeria

Nigeria Imaginary

Palazzo Canal, per la prima volta trasformato in spazio espositivo, diventa esso stesso un ‘dispositivo’ all’interno della visione curatoriale di Aindrea Emelife. La sede ospita un manifesto dell’immaginario nazionale composto dalle opere site-specific di otto artisti nigeriani, in un’atmosfera che evoca un senso di invecchiamento indistinto ma carico di un potenziale rinnovato. Nell’esprimere un’identità nazionale attraverso un collage di ideali e storie personali, il Padiglione unisce diverse espressioni artistiche in una visione comune, facendo emergere il fermento culturale collettivo della Nigeria. ENG Palazzo Canal, transformed into an exhibition space for the first time, hosts a manifesto of national imagination composed of site-specific works by eight Nigerian artists. In expressing a national identity through a collage of ideals and personal histories, the Pavilion brings together diverse artistic expressions into a shared vision, highlighting Nigeria’s collective cultural vibrancy. Palazzo Canal, Dorsoduro 3121 www.nigeriaimaginary.com

COLLATERAL EVENT

Above Zobeide

Exhibition from Macao, China

Ispirandosi a una delle città invisibili di Italo Calvino, Wong Weng Cheong riflette sull’impatto del desiderio materialistico sulle società e sugli ecosistemi. Gli erbivori mutanti con zampe sproporzionatamente lunghe simboleggiano una natura costretta ad adattarsi agli ambienti modificati dall’uomo: figure che evocano fragilità ma anche resistenza. L’uso dell’estetica digitale e delle immagini iperrealistiche conferisce all’installazione un aspetto onirico, in cui l’artificiale e l’organico si confondono, enfatizzando l’apocalittica tensione che si cela dietro il progresso. Zobeide è una città metaforica che rivela i paradossi del desiderio umano, offrendo al tempo stesso una prospettiva su come l’umanità possa riscoprire un equilibrio in armonia con l’ambiente.

ENG Drawing inspiration from one of Italo Calvino’s invisible cities, Wong Weng Cheong reflects on the impact of materialistic desire on societies and ecosystems. Zobeide, with its mutant herbivores, is a metaphorical city that reveals the paradoxes of human desire, while also offering a perspective on how humanity can rediscover a balance in harmony with the environment.

Istituto di Santa Maria della Pietà Calle della Pietà, Castello 3701 www.MAM.gov.mo

NOT ONLY BIENNALE

Your Ghosts Are Mine Expanded Cinema, Amplified Voices

Prodotta da Qatar Museums e co-organizzata da Mathaf: Arab Museum of Modern Art e da Doha Film Institute, l’installazione di film e video ospitata a Palazzo Franchetti offre un’esplorazione immersiva nel cinema sperimentale proveniente dal mondo arabo. Spaziando fra i generi – fiction, documentario, animazione e memoir – il progetto affronta dieci temi, ciascuno sviluppato in una sala dedicata. Ogni spazio tematico, inoltre, offre una diversa esperienza di fruizione del cinema, in un accostamento di immagini e media che sfida le convenzioni della narrazione lineare, stimolando una riflessione sul cinema come mezzo di espressione culturale, identitaria e di trasformazione sociale. ENG Through a variety of genres such as fiction, documentary, animation, and memoir, the project is organized into ten themes, each developed in a dedicated room. Each thematic space offers a unique cinematic experience, breaking away from traditional linear storytelling and prompting reflection on cinema as a means of cultural expression, identity, and social transformation.

ACP- Palazzo Franchetti (piano nobile) San Marco 2847 www.dohafilminstitute.com

Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù
Abdallah Al-Khatib, Little Palestine: Diary of a Siege, 2021 Courtesy Doha Film Institute - Photo DFI
Wong Weng Cheong, Above Zobeide, 2024 - Courtesy the artist

biennale arte

ALTO GRADIMENTO

REVIEW

STRANIERI OVUNQUE | FOREIGNERS EVERYWHERE

Disobedience Archive

In questa Biennale di frontiera, spazio liminale che getta lo sguardo e l’esperienza vicinissimo e lontanissimo dall’ordinario, raccogliendo dell’arte contemporanea la sua tensione orizzontale, di vasta ricerca di aperture e contaminazioni in grado di creare approdi insoliti, disordinati, disomogenei, spicca chi ha ragionato con l’idea di uno spazio espositivo plurimo coniugato a un tema fendente e trasversale, come quello dell’estraneità. E se da un lato lo spazio espositivo poliedrico, persino caleidoscopico allestito da Pedrosa non può che rinviare all’idea originaria dell’internazionalismo dell’arte, forzandola oltre i confini nazionali negati a partire dall’appello agli Stranieri ovunque del titolo, l’ubiquità e la trasversalità che ne derivano non possono non far riflettere sulla pervasività del tessuto connettivo che regge il sistema delle arti: è infatti con l’estensione globale dell’economia capitalistica che questa Biennale si confronta sottotraccia. Ed è così che le opere di gusto vernacolare, peculiare, come manufatti, tessuti, artigianato artistico, entrano nel mercato dell’arte, mostrandosi al mondo; è così che le sottoculture, salendo in superficie, si parificano, perdendo ogni carattere catacombale e sovversivo, per darsi alla nuova normalità, per spalmarsi sul grande arazzo del capitalismo globale. Che ha vinto e trionfa. Pur nella sua contraddittorietà. Che sta appunto nel suo volersi fare spazio, ambiente, culla, cornice. Ecco, le opere più interessanti di questa biennale neocapitalista sfuggono allo spazio, sconfinano. Diventano suono, quindi relazione dinamica con lo spazio che contempla anche il suo contrario, la dispersione, il silenzio, il vuoto. Come nel polittico dinamico Disobedience Archive curato da Marco Scotini come un dispositivo pre-cinematografico e pre-globalistico, The Zoetrope, che impone una fuga dalla forma, da ogni messa in forma, e dal tempo della fruizione, disegnando una spirale centrifuga su cui si innestano video testimonianze di artisti, che lungo la linea retta che ha segnato l’imporsi dell’egemonia totale capitalistica hanno segnato altrettante disperate vie d’uscita, tentativi di disallineamen-

to. Una poetica conativa resistenziale che forse è il vero fulcro da cui potrebbe scaturire l’intera esposizione. La più politica e contraddittoria di sempre. Diaspore e soggettività nomadi dunque non come espressioni del neocapitalismo, che tutto ammette tranne il suo contraddittorio, ma come espressioni di-sperate e di-speranti, che si allontanano quindi dalla meta (-spa in sanscrito è la meta e la disperazione non è altro che un allontanamento da essa), da ogni meta in un moto perpetuo che impedisce ogni sedimento, ogni fossilizzazione. Il che risponde al lavoro importante di Scotini che da sempre ragiona su Storia e archivi e che traccia l’idea di una Biennale come istituzione costituente e non costituita, sciolta da ogni vincolo tradizionale e aperta a continue rigenerazioni, negando ogni appartenenza monopolistica, sovranista, centralizzata e gerarchica. ENG A frontier Biennale, so close and yet so far from everyday experience, so vast in its tension, open to research and contamination. On one hand, the diverse exhibition area created by curator Antonio Pedrosa cannot but make us think of the original idea of art internationalism, pushed beyond the borders of nationality – the 2024 Venice Art Biennale is aptly named Foreigners Everywhere, after all. On the other hand, the ubiquity and transversality will make us reflect on the pervasiveness of the connections that keep the art system afloat. The Biennale does, in fact, confront the global extension of capitalist economy. Vernacular, peculiar pieces of art like manufacts, textiles, crafts enter the global art market, show up in the world, emerge, lose any catacombic, subversive characteristics they might have had, and become part of the new normal. This is the most political, contradictory Biennale ever: diasporas and nomadic subjectivities come loose of tradition and refuse to belong to any given monopoly or hierarchy.

Nucleo contemporaneo, Arsenale www.disobediencearchive.org

Scelti da RICCARDO TRIOLO
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Marco Zorzanello

NATIONAL PARTICIPATION

Giappone

Compose

Circolare, fortuita e generativa come la vita, l’arte di Yuko Mohri brilla in questa Biennale per eloquenza e forza espressiva. Le sculture sonore di Mohri sono sorrette da una felice confluenza di tematiche dell’oggi: il riuso degli oggetti, la loro dislocazione, la poesia dell’ordinario, la cultura locale, la crisi globale. La forza di questo Padiglione sta nell’apparente distanza dal tema di questa Biennale, che l’artista distilla e rende più rarefatto e concettuale. L’estraneità si fa sconfinamento, col ricorso al sonoro, col gioco sul tempo durativo, che mentre corrompe produce, con la sublime violazione del qui verso un altrove spazio-temporale, attraverso una voragine originaria. Poesia.

ENG Circular, serendipitous, and generative. Much like life, Yuko Mohri’s art shines for its eloquence and expressive force. His sound sculptures are held in place by a precise construct of modern themes: recycling objects, positioning objects, finding poetry in the ordinary, local cultures, global crisis. The strength of the Japanese Pavilion lies in the apparent distance with the Biennale’s official themes, which the artist distills and makes thinner, more conceptual.

www.venezia-biennale-japan.jpf.go.jp

COLLATERAL EVENT

Josèfa Ntjam

Swell of Spaec(i)es

Non è un caso che il ricorso al video (e all’IA) incontri un’estetica primordiale, embrionale, alchemica in questa Biennale di sconfinamenti, spaesamenti e derive. Il visivo che tende al sonoro, la decolonizzazione come perdita di confini formali. L’essere Stranieri Ovunque come metamorfosi, come nascita perpetua. L’atto creativo come necessità biologica. Nel cortile dell’Accademia di Belle Arti e negli spazi dell’Istituto delle Scienze

Marine Josèfa Ntjam mette in mostra un nuovo mito della creazione, plasmato da modi antichi ed emergenti di concepire l’universo.

ENG It is no chance that video and AI are so in tune with the primordial, embryonic, alchemic aesthetics of this Biennale of encroachment, alienation, and deviation. Decolonization as loss of formal borders. Being Foreigners Everywhere is a metamorphosis, a continual rebirth. Being creative is a biological imperative. Marine Joséfa Ntjam stages a new myth of creation.

Accademia di Belle Arti di Venezia, Zattere, Spirito Santo, Dorsoduro 423 Palazzina Canonica – CNR ISMAR (Istituto delle Scienze Marine) Riva dei Sette Martiri, Castello 1364/A www.las-art.foundation/programme/swell-of-spaecies

Burtynsky

Extraction/Abstraction

Una mostra che ci porta altrove. Un altrove violato e documentato dall’occhio di Edward Burtynsky, che ci conduce in luoghi che esistono al di là della nostra esperienza comune. Perché essere stranieri significa anche proiettarsi nel futuro del nostro habitat, ricondurre la forma alla sostanza immergendosi in fotografie apparentemente indecifrabili, che finiscono per rivelare verità spiazzanti e consegnarci premonizioni senza appello.

ENG An exhibition that will take us elsewhere, a violated place, documented by Edward Burtynsky. The artist will take us beyond commonplace experience, because being a foreigner means being able to project the future of our habitats and taking forms to new substance. These seemingly undecipherable photographs end up revealing shocking truths and unappealable premonitions.

M9 – Museo del ‘900, Mestre www.m9museum.it

NOT ONLY BIENNALE
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Matteo de Mayda
Courtesy the artist - Las Art Foundation © ADAGP, Paris, 2024 - Photo Andrea Rossetti
Uralkali Potash Mine #1, Berezniki, Russia, 2017 (detail)
© Edward Burtynsky, Courtesy Nicholas Metivier Gallery, Toronto

biennale arte

ALTO GRADIMENTO REVIEW

Foreigners Everywhere_Part

3

Difetto d’identità

Non siamo mai stati moderni, ma il modernismo ci insegue ovunque. Appartenenti a un destino che non abbiamo potuto evitare, dominati dalla tecnica che ci abita, siamo perennemente interrogati dallo spirito moderno sulle possibili maniere di stare al mondo.

Per l’artista modernismo ha significato la necessità di commentare e conversare sul vuoto lasciato dall’ideologia moderna, dalla morte di Dio, un compito impossibile che nessuno gli ha mai assegnato, una pena autoinflitta, un esilio volontario in terra sconosciuta che lo rende perennemente straniero, condizione nella quale sopravvive con creatività.

Per il tecnocrate, esperto di amministrazione e controllo, modernismo ha significato prosperità, opportunità di espansione, di appropriazione di territorio pubblico, di estrazione di ricchezza dalle postazioni di controllo panottiche privilegiate, potendo regnare liberamente nel contesto del nuovo ordine organizzativo e istituzionale, nel contesto di alienazione che la condizione moderna ha prodotto.

Se per l’artista la ragione moderna è dialogo, corrispondenza, ascolto, per il tecnocrate è classificazione, ordine e controllo. Due forme di razionalità che hanno partorito due diverse eredità della cultura europea: il pensiero critico creativo e quello burocratico gestionale, che ha spesso prevalso nei momenti che contano. La superiorità tecnologica moderna, che ha nutrito il delirio europeo per un ordine universale, ha configurato il mondo nella forma di un piano cartesiano il cui tratto distintivo si è delineato in una sorta di linea retta di demarcazione, la stessa che agli inizi del XX secolo ha tracciato i confini delle nazioni e, conseguentemente, determinato i destini dei popoli, decisi a tavolino sulle pagine degli atlanti. Queste linee rette inorganiche hanno sezionato in parti squadrate i corpi di popoli interi secondo i criteri di una geometrizzazione della realtà che in pochi anni si sarebbe trasformata nella più profonda ingegnerizzazione della società, operata da tecnocrati di regime i quali, invece di operare sulla realtà, sono intervenuti sul linguaggio, sui segni e sulle narrative, creando quei mostri, conseguenze paranoiche dell’illuminismo, in arte impersonificati dai modernismi autoritari alla Greenberg. È nel lignaggio di questa ratio, paranoica e irresistibile ai tecnocrati di primo livello, ossessionati dal desiderio di categorizzare e controllare la storia, sopravvissuta al postmodernismo e reincarnata nel decolonialismo degli ultimi anni, che vuole inscriversi la mostra di Adriano Pedrosa Stranieri Ovunque. Un ritorno alla solidità delle classificazioni moderne che, rinnegando la liquidità e scivolosità dei surplus di significati della realtà, cercano di configurare un ordine definito dai confini inattaccabili usando la posizione privilegiata del curatore per influenzarla e sedimentarla. Le gabbie rappresentative sono presentate orgogliosamente, a dispetto di una realtà sempre più fluida e meticcia, storta e complessa. A riunire in un quadro coe -

rente tutte le categorie prescelte da Adriano Pedrosa c’è il concetto di straniero. Il curatore propone un’interpretazione della parola che comprende la totalità degli esseri umani, per poi prediligere una propria selezione di categorie specifiche presentate in mostra: arte folk, outsider, queer, indigena. Le categorie folk e outsider art, storicamente imposte dalle oligarchie culturali eurocentriche, appaiono nel contesto dell’arte contemporanea del 2024 reazionarie. La cronaca recente ci ha insegnato, infatti, come i cammini personali, unici, di artisti cresciuti fuori dalle accademie e ai margini del mercato e delle istituzioni, dalle diverse condizioni sociali, mentali, di conoscenza, sono stati e saranno sempre di un valore che trascende le categorie nelle quali sono stati relegati, utili solo a stigmatizzare e a riaffermare il loro status subalterno. Riconosciuti dalle istituzioni e premiati dal collezionismo, sono oggi protagonisti indiscussi dell’arte contemporanea, chiamati non più artisti outsider o folk, ma artisti e basta. Il gesto di riconoscimento di Pedrosa, dunque, invece di emancipare riafferma sulla grande piattaforma culturale della Biennale antichi stigma che il tempo e l’instancabile lavoro comunitario stava lentamente cancellando.

La categoria queer è chiamata in causa per il suo significato letterale, ‘strano’, che ha origine appunto nella parola straniero. Questa connessione etimologica offre motivo di riflessione ed approfondimento. Come sempre, tutte le parole acquistano significati diversi in funzione del tempo e dello spazio in cui sono utilizzate, a seconda dei contesti; se queer è stato un termine offensivo in Inghilterra negli anni ‘70, contemporaneamente in Germania poteva non esserlo e se negli anni è stato simbolo di inclusione di genere, fino a poco tempo fa gay non era considerato queer, oggi c’è chi immagina anche i cisgender sensibili alla causa dell’identità di genere fluida, degni membri della comunità queer. Questa fluidità inclusiva è una caratteristica preziosa che si contrappone ad una piattezza classificatoria curatoriale che rimette a un senso comune banalizzato, spinta dal desiderio di calare sulla realtà quell’ordine prestabilito di cui si nutre, rifiutando l’evidenza della permeabilità dei concetti irregimentati nelle tesi proposte. Mi sono chiesto che cosa abbia davvero voluto affermare il curatore, al di là delle sue buone intenzioni, quando ha dedicato una sezione di Stranieri Ovunque all’astrazione queer, un’ennesima inutile categoria, retaggio modernista e identitario allo stesso tempo, che riassume la doppia prigione ideologica che ha prodotto nel suo pensiero l’assenza di prospettive rilevanti. La sua posizione istituzionale privilegiata porta con sé la responsabilità del suo potere, del suo ruolo di influenzatore che è un riferimento per molti, così come lo è la sua narrativa, una gabbia classificatoria in risposta alla quale mi vengono in mente le parole dissonanti di Paul B. Preciado nel suo celebre discorso Yo soy el monstruo que os hable, informe para

Stranieri Ovunque, Manauara Clandestina, Migranta, Padiglione Centrale, Giardini
Courtesy La Biennale di Venezia - Photo Andrea Avezzù

biennale arte

REVIEW

una academia de psicoanalistas : «Per libertà intendiamo uscire, intravedere un orizzonte, costruire un progetto, avere la possibilità, anche solo per brevi istanti, di sperimentare la comunità radicale di tutto ciò che è vivo, di ogni energia, di ogni materia, al di là delle tassonomie gerarchiche che la storia dell’umanità ha inventato». In queste parole impregnate dei traumi generati dal modernismo e del tentativo disperato di sfuggire dalle loro conseguenze c’è tutto lo spirito emancipatorio del subalterno. Arte è una forma di sapere pre-categoriale, il suo capitale è di ordine simbolico, parla di ciò che non siamo capaci di tematizzare con precisione, che sfugge alle impalcature ideologiche che vogliono prestare alle opere significati che in esse non vi sono, caratteristiche artificiali funzionali e chiavi di accesso che riducono le loro potenzialità di entrata ed interpretazione, che tendono a trasformarle in categorie mercatologiche pronte al consumo immediato. Il riscatto viene da tutto ciò che gli artisti mettono in mostra, le loro biografie che ci rivelano come, in un mondo in cui l’io-soggetto è un prodotto sociale degli altri, sia sempre possibile e necessario un cammino personale che non coincida con le aspettative dell’altro, e dalle loro opere, capaci di resistere e trascendere le pressioni ideologiche dei curatori e quelle feticizzanti dei mercanti. Gli artisti presenti in mostra ci ricordano che il coraggio della dissidenza è riconoscere il valore dello scarto reale rispetto all’immagine ideale, copia identica di un originale che non è mai esistito, chimera identitaria di paradisi perduti. Un esempio per tutti è Manauara Clandestina, capace di mettere in gioco il suo essere corpo, nel nome del padre e della figlia, e il suo avere un corpo, in espansione tecnologica ed estetica. La sua Migranta è sempre in movimento oltre sé stessa, tra l’esplosione dei desideri e l’abbraccio intimo con la foresta, tra l’immersione nel corpo liquido e la sete di liquido del corpo. Al cospetto del narcisismo astorico delle costruzioni identitarie che rivendicano coesione di valori assoluti, la risposta degli artisti è l’infedeltà a tali valori e la coltivazione della capacità creativa di evasione da queste gabbie. Ad ogni nuovo canone, espressione delle pressioni di narrative identitarie nazionaliste, suprematiste, razializzate, geopolitice, corrisponde sempre in alternativa un tesoro nascosto che risiede ai margini, una lezione che nasce nella resistenza che si rifiuta di conformarsi all’imposizione del nuovo ordine. La lotta continua è contro l’uniformazione alle aspettative dell’altro e passa per l’accettazione del costante stato di inadeguatezza rispetto ai modelli di identità (falsificate) in voga in un dato momento storico. Dallo stesso testo di Preciado: «Tutti abbiamo un’identità. O meglio, nessuno ha un’identità. Occupiamo tutti un posto diverso in una complessa rete di relazioni di potere. Essere contrassegnati da un’identità significa semplicemente non avere il potere di definire universale la propria posizione identitaria». Libertà è essere in difetto al cospetto della fede che non hai, del desiderio che non puoi permetterti, in difetto rispetto alla mancanza che dovresti sentire, alla colpa che dovresti avere, all’essere che dovresti divenire. L’inadeguatezza incolmabile di chi resiste è una resistenza che rende invisibili, in un’epoca in cui è visibile solamente il tratto che ricalca quelle mappe disegnate a linee rette sul piano cartesiano dentro i confini inventati di una realtà fatta di forme prestabilite, fatte per essere dimenticate.

Identity ENG defect

We have never been modern, but modernism haunts us everywhere. Belonging to a destiny that we could not avoid, dominated by the technology that inhabits us, we are perpetually questioned by the modern spirit on the possible ways of being in the world.

For the artist, modernism has meant the need to comment and speak on the void left by modern ideology, by the death of God, an impossible task that no one has ever assigned to them, a self-inflicted punishment, a voluntary exile in an unknown land that makes them perpetual strangers, a condition in which they survive with creativity.

For the technocrat, expert in administration and control, modernism has meant prosperity, opportunities for expansion, for appropriation of public territory, for extraction of wealth from privileged panoptic control posts, being able to reign freely in the context of the new organizational and institutional order, in the context of alienation that the modern condition has produced.

If for the artist modern reason is dialogue, correspondence, listening, for the technocrat it is classification, order and control, two rationalities that have given birth to two different legacies of European culture, creative critical thinking, and managerial bureaucratic thinking, which has often prevailed in the moments that matter. Modern technological superiority, which has fed the European delirium for a universal order, has configured the world in the form of a Cartesian plane, whose distinctive feature has been the straight line of demarcation, the same one that at the beginning of the 20th century traced the borders of nations, and consequently determined the destinies of peoples, decided at a table on the pages of atlases.

These inorganic straight lines have cut the bodies of entire peoples into parts, according to the criteria of a geometrization of reality that in a few years would have become the most profound engineering of society operated by regime technocrats who, instead of operating on reality, have operated on language, signs and narratives, creating those monsters, paranoid consequences of the Enlightenment, in art personified by Greenbergish authoritarian modernisms.

It is in the lineage of this ratio, paranoid and irresistible to the first-level technocrats, obsessed with the desire to categorize and control history, that has survived postmodernism and reincarnated in the decolonialism of recent years, that the exhibition Foreigners Everywhere wants to inscribe itself.

A return to the solidity of modern classifications that, denying the liquidity and slipperiness of the surplus of meanings of reality, seek to configure an order defined by unassailable boundaries using the privileged position of the curator to influence and sediment it. The representative cages are proudly presented, despite an increasingly fluid and mixed reality, crooked and complex. The concept of foreigner brings together in a coherent framework all the categories chosen in Adriano Pedrosa’s exhibition. The curator proposes an interpretation of the word that includes all human beings, and then favors his own selection of specific categories presented in the exhibition, folk art, outsider, queer, indigenous.

biennale arte

ALTO GRADIMENTO REVIEW

The categories folk and outsider art, historically imposed by Eurocentric cultural oligarchies, appear, in the context of contemporary art in 2024, reactionary.

Recent chronicle has taught us how the personal, unique paths of artists who grew up outside of academies and on the margins of the market and institutions, from different social, mental and knowledge conditions, have been and will always be of a value that transcends the categories in which they have been relegated, useful only to stigmatize and reaffirm their subordinate status. Recognized by institutions and rewarded by collectors, they are today the undisputed protagonists of contemporary art, no longer called outsider or folk artists, but simply artists.

Pedrosa’s gesture of recognition therefore, instead of emancipating, reaffirms, on the great cultural platform of the Biennale, ancient stigmas that time and tireless community work were slowly erasing.

The queer category is called into question for its literal meaning, ‘strange’, which originates precisely in the word foreigner. This etymological connection offers reason for reflection and analysis.

As always, all words acquire different meanings depending on the time and space in which they are used, depending on the context, and if queer was an offensive term in England in the 70s, at the same time in Germany it might not have been and if over the years it has been a symbol of gender inclusion, until recently gay was not considered queer, today there are those who imagine even cisgender people sensitive to the cause of fluid gender identity, worthy members of the queer community.

This inclusive fluidity is a precious characteristic that contrasts with a curatorial classificatory flatness that refers to a banalized common sense, driven by the desire to impose on reality that pre-established order on which it feeds, rejecting the evidence of the permeability of the concepts regimented in the proposed theses. I asked myself what the curator really wanted to affirm, beyond his good intentions, when he dedicated a section of Foreigners Everywhere to queer abstraction, yet another useless category, both a modernist and identitarian legacy, which summarizes the double ideological prison that produced in his thought the absence of relevant perspectives.

His privileged institutional position brings with it the responsibility of his power, of his role as an influencer that is a reference for many, as is his narrative, a classificatory cage, in response to which I am reminded of the dissonant words of Paul B. Preciado in his famous speech Yo soy el monstruo que os hable, informe para una academia de psicoanalistas : «By freedom we mean going out, glimpsing a horizon, building a project, having the possibility, even for brief moments, to experience the radical community of all that is alive, of all energy, of all matter, beyond the hierarchical taxonomies that the history of humanity has invented». In these words, imbued with the traumas generated by modernism and the desperate attempt to escape from their consequences, there is all the emancipatory spirit of the subaltern.

Art is a form of pre-categorical knowledge, its capital is of a symbolic order, it speaks of what we are not capable of precisely thematizing, which escapes the ideological scaffolding that wants to lend works

meanings that are not there, artificial functional characteristics and access keys that reduce the potential for entrance and interpretation, which tend to transform them into market categories ready for immediate consumption.

Redemption comes from everything that artists put on display, their biographies that reveal to us how, in a world in which the self-subject is a social product of others, a personal path that does not coincide with the expectations of the other is always possible and necessary, and from their works, capable of resisting and transcending the ideological pressures of curators and the fetishizing ones of merchants.

The artists present in the exhibition remind us that the courage of dissidence is recognizing the value of the real discard compared to the ideal image, an identical copy of an original that never existed, an identity chimera of lost paradises.

An example for all is Manauara Clandestina capable of putting into play her being a body, in the name of the father and daughter, and her having a body, in technological and aesthetic expansion.

A Migranta always in motion beyond herself, between the explosion of desires and the intimate embrace with the forest, between immersion in the liquid body and the thirst for the body’s liquid. In the face of the ahistorical narcissism of identity constructions that claim cohesion of absolute values, the artists’ response is infidelity to such values and the cultivation of the creative capacity to escape from these cages.

To each new canon, expression of the pressures of nationalist, supremacist, racialized, geopolitical identity narratives, always corresponds alternatively a hidden treasure which resides on the margins, a lesson that is born in the resistance that refuses to conform to the imposition of the new order.

The continuous struggle is against conforming to the expectations of the other, and passes through the acceptance of the constant state of inadequacy with respect to the (falsified) identity models in vogue at the moment.

From the same text by Preciado: «We all have an identity. Or rather, no one has an identity. We all occupy a different place in a complex network of power relations. To be marked by an identity simply means not having the power to define one’s identity position as universal».

Freedom is being in defect in the presence of the faith you don’t have, the desire you can’t afford, in defect with respect to the lack you should feel, the guilt you should have, the being you should become.

The unbridgeable inadequacy of those who resist is a resistance that makes invisible, in an era in which is visible only the trait that traces those maps drawn in straight lines on the Cartesian plane within the invented boundaries of a reality made of pre-established forms, made to be forgotten.

arte

PALAZZO DIEDO IBRAHIM MAHAMA

Il cielo in una stanza

Intervista

Fra le 100 persone più influenti nel mondo dell’arte secondo la classifica di Art Review – che lo colloca al sesto posto – il ghanese Ibrahim Mahama, protagonista alla Biennale Architettura 2023 di Lesley Lokko con l’installazione Parliament of Ghosts, è tornato a Venezia invitato a Palazzo Diedo per Janus, progetto espositivo inaugurale di Berggruen Arts & Culture, nuovissimo centro per la promozione dell’arte e della cultura contemporanee, che include programmaticamente anche la rigenerazione degli antichi mestieri d’arte veneziani. Esempio di una creatività che unisce storia, tradizione e contemporaneità, Three Little Birds è un’opera site-specific per il soffitto di una sala di Palazzo Diedo che l’artista ha realizzato nello studio Red Clay a Tamale, dove vive e lavora, compiendo quotidianamente una vera e propria rivoluzione culturale a beneficio di tutta la comunità. Lo racconta nel corso dell’intervista seguita al talk Yes We Can, dove, insieme allo scrittore senegalese Ibrahima Lo, è stato protagonista della conversazione moderata da Adriana Rispoli, curatrice della Fondazione Berggruen.

È la prima volta che si confronta con un progetto permanente in un palazzo storico. Come è nata la scelta di utilizzare lo stucco? E come si inserisce questa esperienza nel suo modo di fare arte?

La tecnica ha guidato l’intero progetto. Quando ho ricevuto l’invito per Palazzo Diedo, ho voluto affrontare le questioni politiche del Ghana utilizzando la terra rossa come omaggio al mio Paese. Per esempio, nel progetto sulla Ferrovia della Gold Coast ho riutilizzato l’infrastruttura ferroviaria – in epoca coloniale impiegata per l’estrazione di risorse – trasformandola in un parco giochi. Un’idea di Ghana post-indipendenza che resta comunque legata al lascito dell’estrazione e, di conseguenza, della colonizzazione. Ho quindi scelto di lavorare con materiali che producessero una forma storica, ma allo stesso tempo pratica, in modo che i bambini potessero sviluppare nuove visioni del mondo. Per il progetto a Palazzo Diedo ho ricercato una relazione tra questi lavori e i dipinti, gli affreschi antichi di scuola italiana, chiedendomi come avrei potuto combinare tecniche utilizzate per raffigurare angeli, santi e re con soggetti che rappresentano oggetti in decadimento come la ferrovia. Per me il concetto di religione o Dio non

è legato solo alle storie bibliche, ma anche e soprattutto al nostro rapporto con la Terra. È da qui che è nata l’idea. Volevo usare immagini della ferrovia come soggetto per l’affresco a soffitto, realizzandolo con materiali come argilla, stampi in gesso, fibre. Ho portato le opere a Venezia per far sì che gli artigiani locali le trattassero così che sembrassero lavorate qui. Ora, installate permanentemente sul soffitto, spero possano parlare a un contesto politico globale pur adattandosi al contesto veneziano.

La decorazione a bassorilievo di Three Little Birds, quindi, sembra rispettare i canoni dell’arte classica anche nella scelta cromatica, mentre dal punto di vista iconografico rappresenta storie che aprono a mondi alternativi rispetto alla cultura e alla tradizione artistica occidentali. Ci trasporta sulla rotta della Railway della Gold Coast, che oggi, grazie al suo lavoro, è arrivata fino a Tamale, in Ghana. Quanto è importante raccontare a Venezia – epicentro dell’arte contemporanea – questa storia che parla del passato coloniale del Ghana e, allo stesso tempo, apre una finestra sul presente di Tamale?

Oggi siamo consapevoli di vivere in un mondo senza un unico centro. Venezia resta di fondamentale importanza in termini di offerta culturale, a partire dalla Biennale naturalmente, ma allo stesso tempo in Ghana, e più specificamente al KNUST, dove mi sono formato, ci interroghiamo su come aprire altri centri culturali e su come distribuire arte e cultura su più fronti.

Da artista so che molte delle opere che creo finiranno in musei

Ibrahim Mahama and Giovanna Tissi

importanti in tutto il mondo, il che significa che i ragazzi che vivono a Kumasi o altrove in Ghana non le vedranno mai, dato che lì manca un contesto istituzionale che possa ospitarle. Questo è un problema che va affrontato, dobbiamo intervenire. Se non esiste una struttura di questo tipo, dobbiamo in qualche modo usare i ‘resti’ del mondo in cui viviamo per occuparli con l’arte. In Three Little Birds – il titolo è tratto da una canzone di Bob Marley – la composizione si rifà a dipinti storici con i loro punti di fuga. L’idea era di rappresentare i ragazzi seduti sulla ferrovia, che abbiamo ricostruito a Tamale, che si dissolve nel punto di fuga. Trovo interessante esplorare modi per rappresentare forme storiche e tradizionali e al contempo persone o visioni di futuro in un contesto come Venezia, perché la Biennale propone da sempre idee su nuovi futuri e nuovi modi di guardare noi stessi. Tuttavia la nostra arte contemporanea, a dispetto di quanto radicale possa sembrare, è ancora molto legata al pensiero modernista, che può essere limitante in termini di pratica artistica e di impatto sulla vita quotidiana delle persone. È stato importante combinare questi contesti storico-artistici diversi nel mio lavoro qui a Venezia.

YES WE CAN… C’è una relazione con il messaggio che vuole far circolare in Europa attraverso il suo lavoro a Palazzo Diedo?

Certo, c’è una relazione molto forte. Ogni cultura interpreta i significati in modo diverso e l’arte dovrebbe essere accessibile a tutti come parte fondamentale dell’educazione culturale. L’arte ha la capacità di elevare lo spirito delle persone e di stimolare l’immaginazione dei bambini; può rendere il mondo un posto migliore, sia fisi-

The sky ENG inside a room

Among the 100 most influential people in the art world according to the Art Review ranking – which places him in sixth position – the Ghanaian Ibrahim Mahama, whose installation Parliament of Ghosts was exhibited in Lesley Lokko’s 2023 Architecture Biennale, is back to Venice. He has been invited to Berggruen Arts & Culture opening exhibition, Janus at Palazzo Diedo, a brand new centre for the promotion of contemporary art and culture including as well the regeneration of ancient Venetian art crafts. Three Little Birds, an example of creativity that combines history, tradition and contemporaneity, is a site-specific work for the ceiling of one of Palazzo Diedo rooms. The artist realized this work in the Red Clay studio in Tamale, where he lives and works, carrying out an everyday cultural revolution in favour of the whole community as he explains during the interview he gave soon after the Yes We Can talk, he took part in together with the Senegalese writer Ibrahima Lo, which was presented by Adriana Rispoli, curator of the Berggruen Foundation.

It’s the first time you worked on a permanent project housed in a historic building. How and why did you choose stucco? How does this choice fit into your work history?

The technique is what was important to me, because when I was offered the opportunity to exhibit at Palazzo Diedo, I wanted to create something that addressed both the political issues in Ghana and the potential of practical creation, the idea of building something in red clay as a gift to my community. Take my work on the Gold Coast Railway, for instance: I used it as a starting point, the upcycling of the railway infrastructure once used for resource extraction at the time of colonization into a playground, or this idea of post-independence Ghana, which remained deeply connected to the legacy of extraction. I would then use this material to produce a form that becomes historical, though at the same time quite practical, in terms of how children can have new visions of the world. I considered this in relation to historical paintings and frescoes in Italy, which is one of the historical proponents of these painting techniques. How could I combine the techniques that we use to depict angels and kings and queens, and biblical stories with, for instance, objects that are in a state of decay? I’ve always believed that the idea of religion and God is not really tied to specific biblical stories, but rather to our relationship with the Earth. Basically, that’s where it comes from.

I wanted to use those images while also integrating traditional fresco techniques with materials I wanted to use: clay, plaster mould casting, fibre. I deliberately brought the art here, as it was, so that Venetian masters could treat it making it look as if it was made in Venice. My work is also going to be installed permanently in the ceiling, and to me it is very important that it speaks to a political, global context, while also fitting into the context of Venice.

The bas-relief decor in Three Little Birds seems to adhere to classical art canons, on one side, also in terms of chromatic choices, while in terms of iconography, it reflects stories that open to worlds different from those of traditional Western art. These stories take us on the route of the Gold Coast Railway, which thanks to your work, has now reached Tamale, Ghana. How important is it to tell this story about Ghana’s colonial past and to open a window on Tamale’s present in Venice, the epicentre of modern art?

I think that in the world we live in, we are certainly aware that there is no single centre. Venice remains significant, with the Biennale and its other offerings, but at the same time, particularly in

Ibrahim Mahama, Three Little Birds, 2023 (detail)

arte

camente che ideologicamente e spiritualmente. L’iconografia di Three Little Birds parla proprio di questo potenziale, dell’idea che un luogo come Tamale, che solitamente nessuno avrebbe visitato o conosciuto, possa diventare uno spazio capace di proporre nuovi modi di pensare, di fare, di relazionarsi. Questo è molto importante, perché siamo ancora praticamente a livello zero; e quando si parte da zero, si ha il potenziale e l’opportunità di osservare il mondo da una prospettiva nuova e di scegliere di agire diversamente, assumendosi il rischio del cambiamento, poiché è in gioco la libertà di moltissime persone e abbiamo il dovere di garantirla. Attraverso l’arte cerco di pensare a come evitare in futuro questi “viaggi della speranza” forzati, a come costruire una società in cui le persone vogliano rimanere e crescere lì dove si sono formate piuttosto che fuggire altrove. Sono consapevole dei problemi economici che determinano questa condizione triste e diffusa, ma credo che sia qualcosa a cui il futuro dovrà trovare risposta al più presto se non vogliamo che questo processo ci trascini tutti in un caos drammaticamente ingestibile.

Crede sia importante la presenza di visitatori occidentali in Ghana per la circolazione di una diversa visione del Paese e, più in generale, dell’Africa?

Abbiamo ospitato molte persone al Red Clay Studio. Di recente, ad esempio, Li Fang, una ricercatrice cinese di arte contemporanea attiva in Sudafrica, Chris Russo, artista e insegnante di Los Angeles rimasto da noi in una residenza di un mese durante la quale ha organizzato laboratori per bambini delle elementari, Laura Triboldi, proveniente da Brescia, che sta per iniziare l’università. Hanno vissuto e viaggiato insieme e lavorato con i bambini in diversi villaggi rurali, dove hanno anche sperimentato tecniche tradizionali come quella della ceramica in terracotta. È fondamentale che vedano le condizioni che ci spingono a costruire le nostre istituzioni e a comprendere la complessità del nostro contesto. Quando si visita Tamale, storicamente associata alla povertà, di solito lo si fa per visitare le riserve naturali del Nord del paese dove poter vedere gli animali selvatici. Nessuno pensa di trovarci qualcosa di rilevante dal punto di vista culturale. Anche prima dell’Indipendenza la gente del nord era vista solo come forza lavoro, sminuendo la loro umanità e il loro contributo reale alla società.

Il Red Clay Studio è fondamentale perché permette di confrontarsi con la complessità non solo di Tamale, ma del mondo intero. In genere, dopo aver partecipato alle attività del Red Clay, i visitatori – anche quelli che provengono da contesti istituzionali occidentali – cominciano a porsi domande: «Stiamo davvero agendo nel modo migliore? Distribuiamo l’arte in maniera efficace? Facciamo il possibile per garantirne l’accesso?». Alla fine la questione si riduce a questo: alla disponibilità o meno di risorse. Constatare come, anche in un contesto dalle risorse estremamente limitate, si possano realizzare iniziative significative spinge a riflettere su cosa e quanto sarebbe possibile fare disponendo di mezzi ben maggiori.

Grazie al Red Clay Studio e al suo lavoro è possibile stimolare visioni al servizio di un futuro decisamente migliore in Ghana. Sono sufficienti l’arte e la cultura per determinare un paradigma diverso per il futuro in questo Paese? Sì, l’arte e la cultura possono stimolare un futuro ottimista in Ghana. L’arte ci permette di superare il concetto di guadagno e successo, focalizzandoci sul tempo, sul potenziale e sul processo creativo, anche quando questo nasce da un fallimento o vi ci può condurre. Ciò ci mette in una posizione unica per ripensare costantemente il nostro approccio, e questo è proprio quello che voglio fare con il Red Clay. L’idea alla base del progetto è proprio di affrontare i fallimenti e le promesse del periodo post-indipendenza del Ghana. Kwame Nkrumah, nel suo discorso, dichiarò che l’indipendenza del Ghana non aveva senso senza l’indipendenza dell’intero continente africano. Insieme avremmo potuto costruire un sistema nuovo, ed è proprio ciò che nel mio piccolo ho provato a fare. Da giovane artista ho trovato una sorta di libertà nel mio lavoro e ho voluto condividerla con la comunità. Ora desidero che le generazioni più giovani possano vivere ed immergersi in questa visione molto prima di quanto sia stato per me possibile fare, facendo propria in tempi rapidi una comprensione del mondo che forse a me, da ragazzo, non era possibile elaborare. Si tratta di un processo che avrà un’influenza diretta sul tipo di adulti che diventeranno e sul tipo di politica che svilupperanno. La responsabilità diventa centrale nella costruzione di questa nuova, consapevole visione del mondo: se avranno successo, si impegneranno a condividerlo con la comunità in cui vivono. Penso che questo sia il contributo più importante che il mio lavoro possa dare al nostro Paese. Anche se ogni tanto credo che questo Paese in quanto sistema non lo riconosca, ma non importa. Alla fine, ciò che importa davvero sono le persone, indipendentemente dal contesto in cui si trovano ad agire. È per questo motivo, quindi, che sto cercando di concentrarmi con tutte le mie forze su questo progetto che pone al suo centro le persone, gli individui, al fine di renderli sempre più consapevoli delle proprie possibilità espressive e delle proprie capacità potenziali per far sì che si possano concretizzare nel miglior modo possibile.

Ibrahim Mahama, Three Little Birds, 2023 - Courtesy of the Artist and Palazzo Diedo - Berggruen Arts Culture

Ghana and Kumasi, where I trained, the focus is: how do we open more cultural centres in the world? How do we distribute arts and culture across the board? For instance, as an artist, I know that a lot of the art that I’m making is going to be shown in major museums around the world, meaning kids who are in Kumasi or elsewhere will never see it, because there is no institutional context for this art to be in, and this is a problem.

As artists, we must intervene within those systems. If such a system does not exist, we must somehow use the leftovers of the world that we live in. As far as Three Little Birds goes, I took the title from one of Bob Marley’s songs, and the iconography I chose features three children sitting on the railway line that we built in Tamale. It takes after traditional historical paintings showing vanishing points. The idea, here, was to compose the picture with the kids sitting and the railway somehow vanishing, going into the vanishing point.

I thought it was quite interesting to think about ways in which we could depict traditional, everyday historical forms, people or potentials of the future in a context like Venice, because after all, the Biennale is always proposing ideas of a new future and new ways to look at ourselves.

But still, our contemporary art, regardless of the radicality it proposes, is still very much tied to modernist thinking, which can become very limiting in terms of how wide and far the practise can go and how much it can affect people’s lives. For me, it’s important to combine these different art historical contexts within the context of my work in Venice.

YES WE CAN…What relationship is there with the message you want to share in Europe using the art we will see at Palazzo Diedo?

Yes, I think there is a strong relationship there. It’s always been a matter of different meanings in different societies. Also, everyone around the world should have access to art. Art should be taught as a basic starting point for culture.

Art has the potential to uplift the spirits of people, the imagination of children, and it can make the world a much better place, both physically and ideologically, as well as spiritually. Certainly, I think that’s true for most art. The iconography in Three Little Birds at Palazzo Diedo speaks about that idea of potential, showing how a place like Tamale, which, ordinarily, nobody would have visited or even known, can suddenly become a place that can propose new ways of thinking, new ways of doing, new ways of relating to one another. This is very important because we are at a point of ground zero and sometimes, when all you have is ground zero, you have the potential and the opportunity to look at the world again and then decide to do things differently, embracing the risk of change because the freedom of many is at stake, and we must make sure that we guarantee the freedom of these people through what we do. Through my art, I try to think how we can prevent these journeys in the future. We need to build a society that people would aspire to be part of and to live in, rather than one they seek to escape.

I know about the existing economic issues, but nonetheless I think that it’s something that the future will have to address.

How important do you think the presence of western travellers to Ghana is to publicize a different vision of the country and, more generally, of Africa?

We’ve hosted a number of people at Red Clay recently. Li Fang, a Chinese woman doing a PhD in contemporary art in South Africa, Chris Russo, an artist and art teacher from Los Angeles who came for a month-long residency to do workshops with school kids, and Laura Triboldi from Brescia, Italy, who is just about to start university. All of them lived together, travelled together, and held

workshops with the schoolchildren. The workshop was organised by Chris and they all helped and worked with the kids in the communities, in different places and villages where they could see the women who make pots and could also try their hand at those techniques in those rural contexts. I think it was important for them to see the conditions that allow us to build the type of institutions and the work we do, not from a point of view of pity, but from a point of view of understanding the complexities of the world we live in. When one visits Tamale, a place historically associated with poverty, the aim is to visit the national parks in the north of the country to see the animals, no one ever really thinks to see anything associated with the intellect. Historically, that’s what it always was. Even before independence, people from the North were always seen as just labourers. They said: “Oh, people in the North are very hardworking, they’re very strong and come to our place to carry their goods on their backs”, and things like that. And that denigrates their humanity in such a way that people from there are never really seen and heard from an intellectual point of view. Even the labour that they do provide is not really seen as a contribution. For me, the establishment of Red Clay in Tamale is significant because it allows people to engage with the complexities not just of Tamale but of the entire world, including their own origins. Typically, after participating in activities at Red Clay and returning home – even from a Western institutional context – visitors start to question whether we are truly doing everything right. Are we distributing art effectively? Are we ensuring that people have access to it? These are important questions, not to assert familiarity, but to witness and understand that even with limited resources, meaningful initiatives can be achieved. How can we do better with more resources? Ultimately, it comes down to a matter of resources –whether they are available or not.

Thanks to Red Clay Studio and to your work, it is now possible to stimulate visions of a different, optimistic future for Ghana. Are art and culture enough to determine a different paradigm for Ghana’s future?

Yes, they are. Art is the only platform where we truly set aside considerations of profit, success, or failure. Instead, we focus on time and what is possible – what the potential is, even if that potential arises from failure or leads to it. This gives us a unique opportunity to continually renew our thinking. That’s certainly what I aim to do with Red Clay. The concept behind Red Clay is to engage with the failures and promises of Ghana’s post-independence era. In his independence speech, Kwame Nkrumah stated that the independence of Ghana is meaningless unless it is tied to the liberation of the entire African continent. Collectively, we could work together to establish a new system. Certainly, that’s what I tried to do with my work. I wanted to convey to the community the idea that I, as an artist at a very early age, found some kind of success and freedom in my work and my thinking in such a way that younger people can see the same at a much earlier age than I did and would come to realisation about the world in certain ways that maybe I couldn’t when I was a child.

This will affect even the kind of politics that we practise, the kind of adults we’ll raise. We’re going to have a very different perception about the world and the society that they live in, a society where responsibility becomes very important to them and where success, when achieved, must contribute to the community and the world we inhabit. For me, that’s the most powerful aspect of the work I do for the country, even though sometimes I say that the country as a system doesn’t recognize it, that shouldn’t matter; what truly matters is always the people. I strive to focus my attention on that.

arte

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Odissea nello spazio A Ca’ Pesaro la prima mostra istituzionale su Roberto Matta

«Io penso che ogni artista è sulla terra per creare un mito, o, piuttosto, per ricreare in maniera originale un mito primordiale, e che tutta la sua vita, tutta la sua ricerca debba essere vista come un’Odissea». È proprio un’Odissea quella che si rivela varcando la soglia del secondo piano di Ca’ Pesaro, fattosi cosmo dell’opera immensa e magnetica del surrealista cileno Roberto Matta (1911–2002), instancabile esploratore dell’umano e sublime architetto di realtà immaginate, la cui eredità, spesso trascurata, ancora merita la nostra attenzione. Di fatto, si contano su una mano le grandi esposizioni europee dedicategli negli ultimi cinquant’anni, malgrado l’influenza cruciale esercitata non solo sui pittori a lui coevi – tra tutti, i surrealisti americani –, ma anche sulle generazioni future che, dal videogioco al cinema, ancora attingono alle atmosfere allucinate e fantascientifiche condensate nelle sue tele.

Ampliando dunque l’ambizioso programma di approfondimento e riscoperta degli autori del Novecento, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia offre al pubblico un inedito viaggio intergalattico nella poetica di questo artista nomade e visionario, partendo proprio da un’opera di proprietà del museo, ossia Alba sulla terra (1953), primo “Matta” ad entrare ufficialmente in una collezione pubblica italiana. Il percorso espositivo, tracciato dai curatori Norman Rosenthal, Dawn Ades e Elisabetta Barisoni, inizia in medias res, catapultando lo spettatore nelle fantasie robotiche e siderali di Coïgitum (1972), un colosso di ben dieci metri in cui l’immaginario surrealista si piega allo sfondamento dello spazio generando eserciti di spore metalliche, che paiono marciare fuori dalla tela. Da qui, un anello tematico e cronologico abbraccia l’intera produzione pittorica e scultorea di Matta, dagli anni giovanili a Parigi sino al prolifico incontro con l’architettura di Le Corbusier, che segnò per sempre il suo approccio spaziale.

Cruciale fu poi l’ingresso al circolo di André Breton, dove iniziò ad esplorare l’automatismo psichico reinterpretando la tradizione surrealista nelle sue celebri figure aperte in cui, progressivamente, riversò ferventi ideologie socialiste. Sin dagli anni ‘40, Matta si avvicinò infatti ai temi dell’attualità politica, rappresentando dapprima la condizione di solitudine dell’uomo nella società di massa, per approdare poi a una seria e convinta militanza di matrice comunista, affievolitasi – senza mai sopirsi del tutto – solo negli anni ‘80. D’altronde, sarà lo stesso Duchamp a definirlo «il pittore più profondo della sua generazione», non solo per l’accesa coscienza politica, ma anche per le acute riflessioni sul ruolo rivelatore dell’artista nella società contemporanea: «Io non sono un pittore», disse più volte, «io sono uno che dimostra», che fa vedere. E di fatto, come un moderno Ulisse, Matta esplora le profondità dell’inconscio, riesumando i segni visivi delle angosce umane per condensarli in una personale mitologia la cui universalità resta, ancora oggi, terribilmente attuale. Adele Spinelli ENG “I believe every artist has been sent on Earth to create a mythology, or to recreate in original form some primordial myth, and that throughout their life, all their research is some kind of Odyssey”. It does look like an Odyssey, indeed, what we see at the Ca’ Pesaro Museum: a collection of art by Chilean surrealist Roberto Matta (1911–2002). The exhibition begins in medias res, with the robotic, spaceship-age fantasies of Coïgitum (1972), a thirty-foot surrealist Colossus generating metal spores that seem to be piercing through the canvas. From here, a thematic and chronological loop embraces Matta’s production, from his early years in Paris to his meeting with le Corbusier’s architecture, which left a permanent mark on his spatial approach. By the 1940s, the artist grew closer to politics, first with an interest on man’s condition of loneliness in mass society, then with staunch communist militancy, leaving a heritage of art as a detector and revealer of social reflection.

Roberto Matta 1911-2002
23 Marzo 2025 Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna capesaro.visitmuve.it
Roberto Sebastián Matta, Coïgitum, 1972, Collezione Alisée Matta - © Roberto Matta, by SIAE 2024

arte

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i confini

Personal

Structures, la ricchezza della pluralità

Riflettendo sui significativi eventi degli ultimi anni, inclusa la pandemia, i conflitti globali e le crisi ambientali, la mostra biennale di arte contemporanea Personal Structures, organizzata dallo European Cultural Centre (ECC) nelle sue sedi di Palazzo Bembo, Palazzo Mora e Giardini della Marinaressa, con Beyond Boundaries, emblematico titolo scelto per l’edizione 2024, incarna la resilienza dello spirito umano e la capacità di trascendere i limiti imposti dalle circostanze esterne.

Nata nel 2002 come piattaforma per consentire agli artisti di diversa provenienza di condividere le proprie opere e idee, Personal Structures si è evoluta in un format che valorizza molteplici approcci ed espressioni artistiche, documentando la pluralità del mondo dell’arte contemporanea.

Tra le esperienze più significative e da non perdere, spicca l’installazione Invisible Flags di Yoko Ono, nei Giardini della Marinaressa. L’opera consiste in nove aste bianche senza bandiere che si affacciano sulla laguna veneziana. Prive di simboli nazionali, queste aste evocano la potente rappresentazione di una visione utopica, dove l’unità globale e la pace prevalgono sui confini nazionali. Dalla sfera politica alla ricerca sull’essenza più intima dell’essere umano: al primo piano dello storico Palazzo Mora, le opere di Miles Greenberg e Hermann Nitsch, esposte fianco a fianco, invitano ad esplorare i temi del corpo, della fisicità e delle emozioni. L’installazione di Katerina Kovaleva a Palazzo Bembo sembra voler esprimere il punto di convergenza tra l’essere umano, intrappolato in uno stato di fragilità e precarietà, e il contesto storico che determina il suo destino. Attraverso un paracadute sospeso a cupola dal soffitto, l’artista interpreta lo stato di sospensione tra cielo e terra come una metafora della nostra dipendenza dalle circostanze esterne. Gli oltre duecento artisti internazionali, presenti complessivamente nelle tre sedi, navigano nel complesso panorama globale contemporaneo, offrendo intuizioni che vanno oltre il convenzionale e aprendo percorsi a nuove conversazioni che confluiscono in un ricco calendario di incontri. Tra gli appuntamenti del mese di novembre – la mostra chiude il 24 come la Biennale – segnaliamo l’artist talk del 6 novembre a Palazzo Mora con Paul Ygartua, che, attraverso la sua opera A Dream Come True, esplora un futuro plasmato dalla tecnologia, in cui l’umanità affronta scelte riguardanti la sopravvivenza, la libertà e l’identità. L’arte come terapia e strumento potente per affrontare le questioni di salute mentale è invece al centro della conferenza Art Therapy and Autism Awareness del 10 novembre a Palazzo Michiel. Marisa Santin

Beyond ENG Boundaries

Reflecting on the significant events of recent years, including the COVID-19 pandemic, global conflicts, and environmental crises, the biennial contemporary art exhibition Personal Structures, organized by the European Cultural Centre (ECC), welcomes visitors to the historic venues of Palazzo Bembo, Palazzo Mora, and the Marinaressa Gardens, embodying the resilience of the human spirit and the ability to transcend limits imposed by external circumstances. Founded in 2002 as a platform for artists from diverse backgrounds to share their work and ideas, Personal Structures has evolved into a format that values multiple approaches and artistic expressions, documenting the plurality of the contemporary art world. From Yoko Ono’s symbolic installations to the exploration of the body by Miles Greenberg and Hermann Nitsch, the exhibition delves into universal themes such as peace, identity, and the relationship between humans and new technologies. More than two hundred artists from fifty countries navigate the complex contemporary global landscape, offering insights that go beyond the conventional and opening pathways to new conversations that flow into a rich schedule of events.

Personal Structures. Beyond Boundaries Fino 24 novembre

Palazzo Mora, Strada Nova, Cannaregio 3659

Palazzo Bembo, Riva del Carbon San Marco 4793

Giardini della Marinaressa Riva dei Sette Martiri, Castello www.personalstructures.com | www.ecc-italy.eu

Oltre
Miles Greenberg e Hermann Nitsch, Palazzo Mora
Photo Federico Vespignani
Katerina Kovaleva, Palazzo Bembo
Yoko Ono, Giardini della Marinaressa - Photo Matteo Losurdo

arte

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Natura e Artificio

Nato nel 1969 a Milano, con la sua opera Loris Cecchini esplora il confine tra natura, artificio e tecnologia, immergendo lo spettatore in un universo di forme organiche e modulari che paiono sfidare le leggi della fisica, creando un senso di instabilità e di movimento perpetuo. Proprio questa tensione tra natura e artificio fu snodo cruciale nella produzione artistica del Settecento, in cui all’esasperata esaltazione del mondo naturale si accostò una nuova fiducia verso l’intervento umano su di essa, da un lato, con le vezzose sublimazioni del Rococò, dall’altro, con il vedutismo urbano di Canaletto e del Guardi. Non poteva dunque che essere Ca’ Rezzonico, il cuore del Settecento veneziano, ad accogliere la sua mostra Leaps, gaps and overlapping diagrams, curata da Luca Berta e Francesca Giubilei, in collaborazione con Galleria Continua e VeniceArtFactory, composta da dieci sculture site-specific distribuite tra il piano terra, il salone da ballo, la sala Tiepolo e il portego del Museo, poste in strettissimo dialogo con la collezione permanente e con la maestosa architettura. Qui, compiendo un’operazione inversa alla sfrenata addizione di elementi tipica del Rococò, Cecchini attua uno scardinamento della scatola euclidea lavorando per sottrazione e riducendo l’elemento organico alla sua essenza molecolare, rimandando tanto a organismi viventi quanto ad architetture futuristiche. Se, dunque, il Rococò cattura l’epidermide carnosa delle forme naturali, Cecchini ne rivela l’intimo scheletro: così alle nuvole ariose del Tiepolo si frappongono a quelle metalliche dello scultore milanese, che, incastonate tra noi e i dipinti, non costituiscono una scomoda intromissione ma fungono, semmai, da lente d’ingrandimento sui capolavori del passato. Adele Spinelli

ENG Artist Loris Cecchini explores the borders between nature, artifact, and technology. He immerses the viewer into a universe of organic, modular shapes that seem to defy the law of physics that generate a sense of instability and perpetual motion. The tension between nature and artifact has been a crucial point of exploration in art since the eighteenth century, when humanity grew more confident in its ability to intervene on natural phenomena. Exhibition Leaps, gaps, and overlapping diagrams comprises ten site-specific sculptures that deconstruct Euclidean geometry by way of subtraction, reducing the organic element to its molecular essence.

Loris Cecchini. Leaps, gaps and overlapping diagrams

Fino 31 marzo 2025 Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento Veneziano carezzonico.visitmuve.it

«Quest’era Venezia; beltà lusingatrice e ambigua – racconto di fate e insieme trappola per i forestieri, città nella cui atmosfera corrotta l’arte ebbe in passato un esuberante rigoglio, e i musici composero suadenti melodie che addormentano voluttuosamente». Linee, ombre, scorci, e un altoparlante soffocato in lontananza: la città lagunare descritta da Thomas Mann, imperniata di un simbolismo dai tratti surrealisti, è il soggetto protagonista della mostra Eduard Angeli. Silentium, a cura di Philip Rylands, presentata dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova. Tra le 14 opere esposte nello spazio del Magazzino del Sale alle Zattere, tutto sembra congelato in una realtà senza tempo e urla tremendamente il silenzio. L’eco del silenzio è talmente insistente che l’osservatore deve lottare tra il senso di vuoto e smarrimento amplificato dall’assenza di qualsiasi figura umana e il desiderio di perdersi ancor più nel sogno poetico, davanti a dipinti quali L’isola della peste (2015), Nebbia (2018), o La lanterna (2023), confortato oppure infastidito dalla comparsa di un ombrellone o di una lucerna tra le finestre chiuse. Eduard Angeli (Vienna, 1942) conosce bene l’incanto eterno e la spietatezza straniante di una città che lo ha accolto e, dopo 15 anni, nel 2019, lo ha travolto con la sua acqua, lasciando solo il silenzio delle sue opere distrutte. Il pittore austriaco non riesce però a separarsi da un’isola che grida solitudine e magia. La personale è un’occasione per vivere Venezia nello specchio dell’invisibile e nel suono dell’inaudibile. Giada Zuecco ENG Lines, shadows, views… and the sound of a loudspeaker in the distance. Venice, in the words of Thomas Mann, lives in a symbolism of surrealist features. The city is the protagonist of exhibition Eduard Angeli. Silentium, curated by Philip Rylands and presented at Fondazione Emilio and Annabianca Vedova. Included in the exhibit are fourteen pieces immersed in a timeless, silent reality. The echo of silence is so prevalent that observers must fight between the sense of vacuum and alienation and their wish to lose themselves into the poetry of a dreamlike scenario. Eduard Angeli (Vienna, 1942) knows very well the eternal enchantment of the city that he now calls home, no matter what it did to his art as recently as 2019.

Eduard Angeli. Silentium Fino 24 novembre Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Magazzino del Sale, Dorsoduro 266 www.fondazionevedova.org

Vuoto a rendere
Photo OKNOstudio
Il bar, 2006 (detail) - Courtesy The ALBERTINA Museum, Vienna - Photo Lothar Bienenstein

arte

NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

Domani e per sempre

Un ponte tra l’immaginario contemporaneo e la storia dell’arte, tra l’immediatezza della cultura pop, in una mescolanza giocosa di linguaggi, tecniche e riferimenti, e l’arte antica e le sue espressioni più solenni e sacralizzate. Francesco Vezzoli irrompe nella Quadreria del Museo Correr e sono lacrime... di gioia! Come una protesta pacifica, l’artista sembra dissacrare il tempio dell’arte trasformandolo in materia viva e attuale: modelli immutabili diventano terreno fertile per la creazione di una nuova narrativa. Una ricerca artistica che Vezzoli conduce da vent’anni e che trova nell’ibridazione con temi e iconografie di altre epoche lo spunto per la riflessione artistica su argomenti come il culto dell’identità, l’autorialità, l’emotività, e su come vivere il passato senza rinnegarlo o cancellarlo. E non a caso il suo intervento di sovrapposizione di codici estetici e semantici si sovrappone a sua volta all’allestimento di Carlo Scarpa e al suo lavoro sull’identità storico-artistica di Venezia realizzata negli anni ‘60 al Museo Correr. Un omaggio concettuale con l’intento di creare una serie di sovrapposizioni estetico-linguistiche che possano esaltare le forme della tradizione, celebrando il loro potere assolutamente dialettico con il presente. Le lucenti lacrime diventano, poste in primo piano, elemento esse stesse di indagine, per citare l’artista: «un’indagine sulle lacrime perdute nella storia dell’arte». Il progetto è curato da Donatien Grau in collaborazione e grazie al sostegno di Venice International Foundation.

ENG A bridge between modern art and art history, between the immediacy of pop culture and ancient art, with its solemn, sacralized depictions. Francesco Vezzoli stages a peaceful protest, playfully desecrating a temple of art and turning it into living, present material. Once-immutable models grow into fertile soil for the creation of new stories. Vezzoli has been working on his research programme for twenty years, a programme of hybridization of themes and iconographies of distant times to reflect on identity cult, authoriality, emotion, and ways of living the past without erasing it or denying it. It is no wonder that he built his work of stratified aesthetical codices atop Carlo Scarpa’s 1960 renovation of Museo Correr, a conceptual homage that exalt tradition and celebrate their dialogical power.

Francesco Vezzoli. Musei delle Lacrime

Fino 24 novembre Museo Correr, Piazza San Marco correr.visitmuve.it

Nel segno dei Maestri

Che cosa accade quando l’estasi di un occhio incontra la libertà di una mano, quando la fotografia si insedia nei meandri dell’arte, quando l’anima di un fotografo si armonizza con le anime di tre Artisti Maestri del secondo Novecento? Fondazione Emilio e Annabianca Vedova presenta presso lo Spazio Vedova alle Zattere la mostra Amendola. Burri, Vedova, Nitsch: Azioni e gesti, a cura di Bruno Corà. Un viaggio di esplorazione tra i mezzi di espressione e i metodi d’indagine artistica di tre personalità a loro modo travolgenti, attraverso gli scatti ingenui e istintivi di Aurelio Amendola (Pistoia, 1938). Grazie alla sensibilità unica, unita all’affetto sincero e mai violato, il fotografo pistoiese ha saputo raccontare lo stupore di Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995) per la semplicità sperimentale, la crescente tensione gestuale nell’informale di Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006) e la catarsi solenne della body art di Hermann Nitsch (Vienna, 1938 – Mistelbach, 2022). Più di tutto, ha trovato il modo di conciliare tre forme di con-fusione, connessioni in divenire tra il contorno umano e l’incommensurabilità artistica: se la fiamma ossidrica con cui Burri manipola la plastica finisce per avvolgergli interamente il volto, Emilio Vedova si sfuma, inerme, come il suo getto sulla tela, al lavoro proprio nello spazio espositivo che ospita la mostra, mentre Hermann Nitsch siede e cammina, contempla e aggredisce la tela con le mani assorbite dalla vernice rossa. L’esposizione, integrata da tre opere degli artisti, invita l’osservatore a confondersi con gli artisti, usando l’occhio singolare di Amendola. Giada Zuecco

ENG

What happens when an ecstatic eye meets a free hand, when photography finds its way into the meanders of art, when the soul of a photographer tunes in with those of master artists of the past century? Fondazione Emilio e Annabianca Vedova presents Amendola. Burri, Vedova, Nitsch: Azioni e gesti, an expedition into the world of art and expression of three personalities seen through the lens of Aurelio Amendola. Thanks to Amendola’s eye, and to his affection for art maestros, we will be put in touch with Alberto Burri’s amazement, Emilio Vedova’s gestural tension, and Hermann Nitsch’s solemn catharsis. The exhibition also includes art by the three maestros, whom you’ll feel are standing right next to you.

Amendola. Burri, Vedova, Nitsch: Azioni e gesti

Fino 24 novembre Spazio Vedova, Zattere, Dorsoduro 50 www.fondazionevedova.org

Attraverso il buco della serratura Il

voyeurismo glamour e squisitamente decadente

Eserciti di gambe sinuose velate di nylon, zigomi taglienti, labbra scarlatte e seni nudi puntati alla camera come pistole fumanti. Fascinosi salotti, opulente camere d’Hotel, poi, i boulevard parigini, le spiagge di Monte Carlo, ma anche il glamour patinato di una Hollywood irrorata di segreti e champagne. Queste le visioni che compongono l’immaginario erotico e squisitamente decadente di Helmut Newton (1920-2004), pietra miliare della fotografia di moda, che ha fatto del corpo femminile una personale tela in cui riversare desideri, fantasie e perversioni tanto sfrenati da valergli il titolo di “King of Kink”.

«Bisogna essere sempre all’altezza della propria cattiva reputazione», affermava. In effetti, durante mezzo secolo di brillante carriera, numerose furono le critiche alla sua opera, osteggiata dal movimento femminista con l’accusa di promuovere l’immagine di una donna sessualmente oggettificata, al limite della pornografia. Nonostante il successo planetario, ancora oggi tali giudizi aleggiano sulla figura dell’artista, mistificandone il proverbiale talento nel catturare, scatto dopo scatto, lo zeitgeist di intere generazioni. Ed è proprio a salvaguardia di questa immensa eredità visiva che si pone la mostra Helmut Newton. Legacy, approdata in acque veneziane per tingere Le Stanze della Fotografia con l’iconico black and white che ha reso celebre il fotografo berlinese mancato nel 2004. Curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation, e Denis Curti, direttore artistico de Le Stanze della Fotografia, l’esposizione suddivide in sei sezioni cronologiche il percorso artistico di Newton, dagli esordi come apprendista della fotografa di moda Yva al trasferimento a Parigi nel 1961, dove realizza i primi editoriali per Vogue France, già traboccanti dello spirito provocatorio e voyeurista che contraddistingue la sua intera opera: qui, per la prima volta, le modelle distolgono lo sguardo dalla macchina e cominciano

di Helmut Newton

a recitare, abbandonando la dimensione puramente descrittiva che fino ad allora aveva dominato la fotografia pubblicitaria, per virare a quella aspirazionale dello storytelling. Ma è nel corso degli anni ‘70 e ‘80 che il fotografo tedesco raggiunge il massimo grado di irriverenza, iniziando a giocare liberamente con il tema del ritratto e del nudo femminile, filtrati attraverso un peculiare gusto per il noir e per la citazione dei grandi della storia dell’arte come Goya e Velazquez, nonché di registi cult quali Hitchcock, Fellini e Lynch.

Con beffarda ironia, sino agli ultimi anni Newton testerà i limiti della società e della morale, immortalando l’universo attraverso quel buco della serratura oltre cui carne e sogno svelano il loro mistero e da cui, in mostra, ci è concesso sbirciare. Del resto, come sosterrà lui stesso «qualsiasi fotografo affermi di non essere un voyeur o è stupido, o è un bugiardo». Adele Spinelli

ENG An army of nylon-veiled legs, chiselled cheekbones, scarlet-red lips, and naked breasts pointed at the room like smoking guns. Sombre boudoirs, luxurious hotel rooms, the Parisian boulevards, the beaches at Monte-Carlo, the glamour of Hollywood. This is the erotic imagery that earned Helmut Newton (1920– 2004) the moniker of King of Kink. In fact, over half a century of an amazing career, Newton attracted a number of critics. Feminists accused him of objectifying women to the point of pornography. Newton’s art, though, needs to be treasured, and in this spirit, exhibition Helmut Newton. Legacy has been installed at Stanze della Fotografia in Venice.

Curated by Matthias Harder and Denis Curti, the exhibition comprises six chronological sections, from Newton’s first job as an apprentice of fashion photographer Yva to his work in Paris in the 1960s: his features for Vogue France already showed all the provocative, voyeuristic style that made him famous.

Helmut Newton kept testing the limits of society and moral, memorializing the universe as seen through the keyhole – after all, “Any photographer who says he’s not a voyeur is either stupid or a liar”.

Newton. Legacy
Photo Matteo De Fina

arte

NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

A piedi nudi nel parco Isola di San Servolo, una collezione di scultura contemporanea da non perdere

Se siete a Venezia per gli ultimi scampoli di Biennale, non perdete l’occasione di programmare una visita al Parco delle Sculture dell’Isola di San Servolo, un vero e proprio museo permanente open air, che di anno in anno si è arricchito di sculture di artisti contemporanei perfettamente inserite nel contesto naturale di un’isola nel passato ospedale psichiatrico e ora aperta al mondo. Arnaldo Pomodoro, Pietro Consagra, Han Meilin, Oliviero Rainaldi, Borˇek Šipek, Sandro Chia, Fabrizio Plessi, Gianni Aricò e Marco Lodola, e ultima in ordine di tempo Flavia Bigi, che è entrata a far parte della collezione con una nuova significativa opera, una scultura particolare che trova nel Parco dell’Isola la sua collocazione perfetta, in bilico tra rovina antica e monumento futuro.

Nove sono le Muse, a cura di Ilaria Caravaglio, è infatti un’opera site-specific ideata appositamente per il campus della VIU – Venice International University, che disegna un cerchio ancestrale, come un santuario, dedicato alla cultura, alle arti, al pensiero. Nove dadi in marmo, disposti circolarmente, tracciano una costellazione aperta che, armonizzando cielo e terra, il mondo delle idee e della vita mondana, invitano ad un dialogo libero e tollerante. Le Muse, il cui nome significa “coloro che meditano e creano con la fantasia”, nate dall’unione di Zeus e Mnemosine, dea della Memoria, hanno per nascita il dono di percepire passato, presente e futuro. Questa loro virtù di conoscenza risuona qui come un’eco alle varie culture che si incontrano alla Venice International University, e che contribuiscono, grazie alla loro diversità, ad una riflessione composita sulle fragilità del mondo contemporaneo e sui presupposti per un futuro sostenibile. E così, sebbene le Muse ci appaiano come pietrificate nel travertino, esse non restano affatto silenti o inerti, ma, anzi, è possibile sentirle bisbigliare carezzevolmente, nel vento della laguna e dal profondo della pietra, nelle tante lingue del globo che su di esse sono incise. I dadi recano infatti incisi i pronomi “io”, “tu”, “noi” nelle diverse lingue degli studenti che frequentano la VIU, invitando a una riflessione accurata sui contenuti del linguaggio e sulla relazione con il non-io. Il pensiero artistico di Flavia Bigi (1965) si esprime grazie a linguaggi polimorfi ma rigorosamente connessi tra di loro come il disegno che diventa incisione su vetro e su marmo, la pittura che si interseca con la fotografia e il video, la scultura che si trasforma in installazione, come in questa specifica nuova opera. M.M.

Barefoot ENG in the park

If you are in Venice for the last chance to see the 2024 Biennale, you’ll want to hop on to San Servolo Island and its open-air museum. Over the years, the collection acquired sculptures by Arnaldo Pomodoro, Pietro Consagra, Han Meilin, Oliviero Rainaldi, Borˇek Šipek, Sandro Chia, Fabrizio Plessi, Gianni Aricò, Marco Lodola, and, recently, Flavia Bigi, whose art stands beautifully in the park. Nove sono le Muse (‘nine is the number of muses’) is a piece of site-specific art that contours an ideal circle, like a sanctuary, dedicated to culture, to art, to thinking. Nine marble dice for a constellation that harmonizes earth and skies, the world of ideas and the world of mundanity. The Muses invite us to think about the fragility of the modern world and on the tenets of the sustainable future to come. The words for I, you, we are engraved on each die in the several languages of the students who attend the Venice International University, headquartered on the island. A reflection on the content of language and on our relationship with the Other.

Flavia Bigi. Nove sono le Muse

Parco dell’Isola di San Servolo www.univiu.org

Courtesy of the artist

Expanded Cinemas

Amplified Voices

19.04 / 24.11

Produced by Qatar Museums Co-organized by the Doha Film Institute, Mathaf and the Art Mill Museum In collaboration with ACP Art Capital Partners

Exhibition curated by Matthieu Orlean Assistant curators: Majid al Remaihi, Virgile Alexandre
Palazzo Cavalli-Franchetti

Puro incanto

Il Polittico di Santa Chiara di Paolo Veneziano alle Gallerie dell’Accademia

Dell’antico complesso monastico delle clarisse di Santa Chiara, il più antico cenobio francescano femminile insediatosi in laguna negli anni Trenta del XIII secolo, oggi rimane solamente la toponomastica nell’area di Piazzale Roma. Tuttavia la sua antica conformazione appare evidente nella preziosa testimonianza fornita dalla veduta prospettica di Venezia di Jacopo de Barbari, datata 1500. Un’isola situata in una posizione marginale, all’imboccatura del Canal Grande, con una chiesa e un monastero medievali, mura claustrali e un piccolo ponte di legno che collegava l’insula alla città. Nonostante l’isolata posizione tra acque e paludi, in Santa Chiara si monacarono donne appartenenti alle più nobili e influenti famiglie veneziane come i Dandolo, i Corner, i Soranzo.

La chiesa e parte del monastero furono colpiti da un violento incendio nel 1574, ma fu soltanto con i decreti napoleonici del 1806 che vennero soppressi con la conseguente confisca dei beni da parte del demanio. Tra le “gemme” artistiche del monastero non vi è dubbio che un posto d’onore sia occupato dal polittico di Paolo Veneziano – documentato dal 1333 al 1358 –, che ritorna in esposizione alle Gallerie dell’Accademia dopo un lungo e complesso

restauro durato oltre quattro anni. Un’opera di straordinaria qualità esecutiva, un esempio eccezionalmente integro di ancona veneziana trecentesca a più registri con scene narrative disposte attorno a un episodio centrale e una fastosa cornice lignea intagliata e dorata che inquadra venticinque parti dipinte in uno splendido connubio tra oro e colore. Un programma iconografico adatto alla sensibilità di una comunità femminile di elevata erudizione, con la splendida Incoronazione della Vergine al centro, dove Gesù e Maria si stagliano su un cielo stellato, seduti su un ampio trono, ammantati in raffinati drappi di seta e circonfusi da preziosi nimbi punzonati, accompagnati da un coro di angeli musicanti. Negli scomparti laterali otto scenette narrative ricche di particolari con episodi della vita di Cristo. Nel registro superiore scene della vita di San Francesco e Santa Chiara. Completano il complesso programma iconografico nella parte alta le figure di re Davide e del profeta Isaia, i quattro evangelisti, oltre alla Pentecoste e al Giudizio Universale.

Il sontuoso manufatto – sono stati impiegati materiali e pigmenti preziosi dall’oro al blu di lapislazzulo – è testimonianza di un’importante committenza, che si rivolse a una delle botteghe più di spicco dell’epoca, quella appunto di Paolo Veneziano.

L’intervento conservativo, iniziato nel 2019, svoltosi nei laboratori scientifici della Misericordia, sostenuto finanziariamente da SAVE

Venice, ha restituito la raffinatissima gamma cromatica e il calore delle superfici dorate della complessa cornice intagliata. Il polittico di Santa Chiara, che accoglieva il visitatore nell’allestimento scarpiano della sala superiore della ex Scuola della Carità, è ora presentato, accompagnato da un ricco apparato esplicativo, in una delle salette del corridoio palladiano delle Gallerie. Un touch screen consultabile restituisce lo straordinario lavoro di studio e ricerca svolto con le più avanzate tecnologie. Grazie a foto ad altissima risoluzione, dettagli, testi, focus storicoartistici, video, è possibile navigare dentro il polittico, approfondire le vicende storiche, indagare le fasi del restauro e le diverse tecniche diagnostiche. Emozionanti sono le inedite immagini con schizzi, disegni preparatori, prove di colore nelle aree normalmente non visibili perché coperte dalla cornice. Un capolavoro assoluto che conferma la statura di Paolo Veneziano tra i giganti della pittura gotica veneziana. Grazie a questo grande lavoro di ricerca viene anticipata anche la datazione dell’opera al 1335-1340, tema che sarà discusso con la comunità scientifica nel prossimo convegno di studi in preparazione. Franca Lugato

Enchantment ENG

Of the former Monastery of Saint Claire, the oldest female convent established in Venice back in the 1330s, what is left today is but the name of the quay near the bus terminal. Its ancient footprint, though, is apparent after we look at a 1500 painting by Jacopo de Barbari, itself a view on what used to be an island by the end of the Grand Canal. The medieval monastery stood on that island, only a wooden bridge tethering it to the rest of the city. Women from the most prominent Venetian families took their vows and lived there.

The church and part of the monastery were ravished by fire in 1574, though the end of their history came with Napoleon’s administration, who in 1806 suppressed all monastic orders and seized their possessions. One of the gems once belonging to the nuns is a polyptych by Paolo Veneziano dating back to the 1333–1358 period. The painting underwent a four-yearlong restoration and will now be displayed at the Gallerie dell’Accademia. The artwork is of extraordinary quality, an exceptional example of fourteenth-century Venetian art, a collection of narrations arranged around a central episode with a wooden frame composing an array of twenty-five scenes. Its iconography befits the culture of a community of highly educated women, with the Coronation of the Virgin at the centre – Jesus and Mary enthroned – surrounded by scenes of the life of Jesus. On the upper row, scenes from the life of Saint Francis and Saint Claire. Completing the set are icons of King David, Isaiah, the Evangelists, Pentecost, and the Final Judgment.

The artwork is the testimony of an important commission, given the abundance of precious pigments – gold and lapis lazuli – and the fact that it was given to one of the most important art bottegas of the time, that of Paolo Veneziano. The restoration began in 2019 and has been carried out by the Misericordia shop in Venice with financing provided by SAVE Venice. The outstanding piece of art has been installed together with educational material. An interactive digital guide will add high-resolution photographs, details, essays, videos to your visit. The story of the painting’s making includes sketches and colour tests. Thanks to the restoration, researchers have also been able to move up the dating of the painting to ca. 1335–1340, a theory that will be discussed at an upcoming symposium.

arte COLLEZIONI

Eredità viva La raffinatissima Collezione

di disegni dell’ambasciatore Paolo Galli

Una Collezione che racconta secoli di storia e di storie attraverso una grande diversità di tecniche – matite, gessetti, inchiostri di ogni tonalità, acquerelli – e una moltitudine di soggetti in cui predomina la figura umana, studi anatomici o di panneggi, affollate composizioni, ritratti, caricature; una Collezione “colorata”, a sfatare i più tradizionali luoghi comuni sulla grafica; una Collezione dal fascino sottile che regala la scoperta di un mondo segreto celato dietro il momento creativo di ogni artista, dove è più facile e intrigante scorgere nel foglio singolo o nei taccuini il più impercettibile segno, ripensamento, guizzo che rende umane queste creazioni sublimi. Una Collezione raffinatissima che l’ambasciatore Paolo Galli ha raccolto negli anni con “una passione discreta”, come cita l’appropriato titolo della mostra in corso a Ca’ Rezzonico, e che ha ora donato alla Fondazione Musei Civici, entrando a far parte del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe del Museo Correr. Una vera e propria dedizione o meglio un «virus benevolo che ha innescato la passione per il disegno» ha colpito l’ambasciatore Galli, che negli anni ha riunito decine e decine di esemplari, in moltissimi casi individuando personalmente l’autore, assecondando il proprio gusto e riunendo un personale pantheon di artisti, dai grandi nomi agli autori meno noti. Parte della potenza attrattiva di queste opere risiede infatti anche nella sfida all’identificazione dell’autore, sotto lo sguardo sapiente di conoscitori, studiosi, mercanti, collezionisti. Ogni foglio è una sfida, un rebus da risolvere e rappresenta un patrimonio inestimabile per musei, ricercatori, studiosi. Alberto Craievich, direttore del Museo del Settecento Veneziano, ha voluto rendere omaggio a questa importante donazione riunendo oltre 200 fogli di maestri italiani dal Cinquecento al Novecento, un patrimonio inestimabile per ricchezza e varietà. Accanto e insieme ai celebri maestri veneziani del Settecento, già ampiamente presenti nella Collezione di Ca’ Rezzonico, come Tiepolo padre e figlio, Piazzetta, Guardi, Diziani, Fontebasso, ci sono pittori italiani di scuola bolognese, romana e fiorentina, Carracci, il Cavalier d’Arpino, il Figino, Vasari. Fino alle inquietudini del secolo breve, con Zoran Music, Giò Pomodoro, Cadorin, Cagli, Mafai, Severini, Sironi, Vedova. Per qualità degli esemplari, varietà di tecniche e tipologie, numero di artisti documentati, per il Museo del Settecento veneziano si tratta della più importante acquisizione nel campo della grafica dal lascito di Nuccia e Riccardo Musatti nel 1967. M.M.

Living ENG heritage

A collection that embodies centuries of stories and histories in a diverse mix of techniques: pencil, chalk, ink, watercolour, and an array of subjects where the human figure takes the lion’s share: anatomies, drapery, compositions, portraits, caricatures. This collection is colourful and subtly charming. It will accompany us as we discover the creative moments that inspired each artist, showing up on paper as barely perceivable marks, erasures, ideas that makes these beautiful creations all the more human. Former ambassador Paolo Galli discreetly collected dozens of drawings, in many cases by approaching the artist directly, which adds a history of research and challenge to the story of his collection, which Galli donated to the Ca’ Rezzonico Museum. The art will be exhibited together with 200 drawings from the 1500s to the 1900s, already part of the Museum’s endowment. The Galli donation is one of the largest acquisitions at Ca’ Rezzonico since the Musatti donation of 1967.

Una passione discreta. La Collezione Paolo Galli Fino 20 gennaio 2025 Ca’ Rezzonico – Museo del Settecento Veneziano carezzonico.visitmuve.it

Paolo Farinati, Soldati a cavallo (particolare)
Mario Sironi, Il motociclista

arte

IN THE CITY GALLERIES

A PLUS A NOUTOUPATOU

Mondes caribéens en mouvement

18 novembre November-21 dicembre December Noutoupatou, è una parola, un suono, un invito a guardare con attenzione alle opere di tre giovani artisti appartenenti alla scena caraibica, provenienti dalle isole di Haiti, della Guadalupa e di Saint Martin, laureati del Campus Caraïbéen des Arts di Fort-de-France in Martinica: Flavio Delice, Shamika Germain, Samuel Gelas. La mostra, atto finale della residenza degli artisti a Venezia, è curata da Paola Lavra. Flavio Delice, haitiano-guyanese, segue il percorso e la cartografia tracciate dalla comunità haïtiana in costante migrazione “verso altre rive”. Haiti è fondatrice di tutto un immaginario poetico e artistico che si costruisce sul filo delle testimonianze e dei racconti degli haitiani in fuga. Una reale “etnografia dei passaggi” prende forma nelle sue tele e nelle sue sculture realizzate a partire da materiali di recupero. Shamika Germain, artista saint-martinese e giamaicana, racconta un’altra migrazione: la Sua, quella dei “Barrel Children” giamaicani, degli “Enfants de la Ddass” in Francia, bambini affidati a istituti pubblici o cresciuti presso famiglie affidatarie e strutture di accoglienza. Raccogliere le voci e i silenzi dei corpi e delle anime separati dal seno materno si traduce in una ricca produzione che spazia dalla fotografia al disegno e alla pittura, dalla scultura al dispositivo filmico, dall’installazione alla performance di testi manoscritti. L’universo dei bambini, metafora della società antillana, è presente ed operante nelle imponenti tele dell’artista guadalupéense Samuel Gelas, vasti ritratti di gruppo che rinviano all’esperienza di ogni essere umano costitutivo di un gruppo sociale ma anche di un’umanità di cui l’infanzia è comune denominatore.

ENG A word, a sound, an invitation to look closely at the work of three young artists from Haiti, Guadelupe, and Saint Martin, all of whom studied in Martinica. Flavio Delice works on Haiti’s art heritage built upon its people’s mass migration experiences to build an ‘ethnography of landscapes’. Shamika Germain tells the story of a different migration: her own and that of Jamaican ‘barrel children’, their voices, their silence after they had been separated from their parents. Samuel Gelas’s group portraits of children speak of our human experience as part of a social group as well as of the universal experience of childhood. San Marco 3073 www.aplusa.it

LUCIA VALLEJO GARAY

Sinfonia Barocca

Fino Until 23 novembre November Il termine “Sinfonia” nel periodo barocco indicava un pezzo orchestrale introduttivo in tre movimenti, che apriva opere o cantate. L’artista Lucia Vallejo Garay porta questo concetto in vita, fondendo elementi visivi, tattili e uditivi per creare un percorso sinestetico originale: le sue creazioni non si mostrano ma provocano i sensi offrendo forti sensazioni e andando oltre la pura estetica. Immersa nel contesto perfetto delle atmosfere musicali di Palazzo Pisani, sede del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, la mostra Sinfonia Barocca, curata da Hervé Mikaeloff, è un’esplorazione immersiva che parte dall’opulenza del Barocco veneziano, con un’installazione dove domina l’oro, per giungere in uno spazio contrastante buio, dove compare l’opera El Alma de África, un vetro di Murano fuso con tessuti bruciati provenienti dagli indumenti di adolescenti imprigionati in Liberia. L’opera è accompagnata da due fragranze create appositamente dal noto profumiere francese Yann Vasnier (Givaudan), una ispirata al Barocco e l’altra all’Africa, che si fondono a simboleggiare l’unione delle razze umane in un’unica anima.

«Non voglio che la mia opera sia solo esteticamente piacevole; –spiega l’artista – voglio che sia forte e faccia provare emozioni.

La mostra è una sorta di allegoria del risveglio dei sensi».

Vallejo, artista multidisciplinare originaria di Bilbao, dopo essersi specializzata nella pittura veneziana e ispirata ai grandi maestri del Barocco italiano, esplora attraverso le sue opere emozioni profonde e la sofferenza, esprimendo sentimenti con un linguaggio artistico unico.

ENG Lucia Vallejo Garay breathes new life into the Baroque concept of ‘symphony’ for her original multi-media projects: her art, rather than just showing up, stimulates the different senses beyond the purely aesthetical. In her installations: gold dominates first. We are then taken to a contrasting dark room housing El Alma de África, a murano glass piece fused with singed clothes once belonging to imprisoned Liberian youths. French perfumer Yann Vasnier created two fragrances to accompany the exhibition: one inspired by Baroque, and the other by Africa, blending together to show the union of human races under one soul.

Palazzo Pisani, Campo Santo Stefano, San Marco 2810

CONSERVATORIO BENEDETTO MARCELLO
Samuel Gelas

a CONTRASTO TRA CONTRASTI

Con la mia musica cerco di raccogliere l’ossigeno anticipatamente, per immergerci in situazioni che spesso non ci aspettiamo e per le quali pensiamo di non essere pronti. L’importante

è saper gestire lo stare sottosopra e trovare il modo di risalire

Non c’è io senza noi, non c’è yin senza yang, non c’è bianco senza nero, non c’è qui senza là. Persone, emozioni, spazi: il mondo è un vortice di vedo-non-vedo, di chiaroscuri con-fusi, di contrasti che collimano ma si intrecciano, e proprio su questi gioca e si diverte la voce ridente ma delicata, determinata ma premurosa di Malika Ayane. Nata nella periferia di una città fuori grande e dentro minuscola come Milano da padre marocchino e madre italiana, l’artista classe 1984 reca dentro di sé la forza della diversità e lo splendore dell’umiltà. Il sogno della piccola Malika di diventare una cantante si avvera e persiste: a soli 11 anni inizia a studiare al Conservatorio Giuseppe Verdi del capoluogo lombardo e, nello stesso momento, entra a far parte dell’ensemble del Coro di voci bianche dell’Accademia Teatro alla Scala, dove viene selezionata anche come solista da personalità prestigiose come Riccardo Muti, che la sceglie all’interno del Macbeth. L’ambiente del teatro, «uno spazio libero, un foglio bianco», insomma, osa confessare, «il posto più bello del mondo», diventa lo sfondo protagonista del suo tour autunnale, che prende il via ufficialmente il 10 novembre dall’Auditorium Santa Caterina a Trento. In particolare, il 16 novembre si illumina il palco del Toniolo di Mestre, pronto ad accogliere nel gioco di luci umane le sfumature più lampanti e insieme quelle più

Malika Ayane

16 novembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

intime delle realizzazioni dell’artista, che concepisce ogni tappa del tour teatrale come un’apertura esplorativa, un momento per scuotere insieme il sipario di più di 15 anni di carriera e tendere la mano verso la scoperta dell’interiorità timida e dell’umanità ardente gridata dai suoi brani. La musica dal vivo, il suono più tradizionale, la voce di sempre con le persone di sempre: pochi ingredienti per una connessione che vuole essere autentica, tra brani di successo e altri mai cantati in live. E di successi la cantante milanese non smette di collezionarne: nel 2008 esce il suo primo album dal titolo eloquente, Malika Ayane, in cui compare il primo singolo Sospesa; l’anno successivo scende già le scale del Teatro Ariston, in occasione del Festival di Sanremo, presentandosi con il brano pluripremiato Come foglie, un’occasione che si riproporrà l’anno dopo con Ricomincio da qui, brano anch’esso oggetto di riconoscimento dalla critica e dal pubblico. Nel frattempo esce il secondo album Grovigli, a cui seguono Ricreazione nel 2012 e Naif, album di Senza fare sul serio, nel 2015, anni in cui si riconferma a Sanremo, con brani come E se poi e Adesso e qui (nostalgico presente). Tra gli album Domino (2018) e Malifesto (2021), e altri due impegni a Sanremo, non mancano collaborazioni importanti, nomination internazionali e continui progetti di sperimentazione musicale. Tra i due piani sotto e sopra del Toniolo echeggerà anche l’ultimo singolo Sottosopra, uno stato di confusione e di risveglio, una vita di contrasti che, nel gioco della definizione, trovano armonia.

di Giada Zuecco

There’s no me without us , no yin without yang, no white without black, no here without there. The cheerful, delicate, determined voice of Malika Ayane plays on this web of oppositions. Ayane, born in Milan in 1984, holds in herself the power of diversity and the splendour of humility. Malika had wanted to be a singer for a long time: she was accepted at the Music Conservatory in Milan at the young age of eleven, and sang in the Scala Theatre children’s choir. She found the theatre environment to be “the most beautiful place in the world”. In fact, her upcoming tour will start in a theatre, the Auditorium Santa Caterina in Trento, November 10. On November 16, Malika Ayane will be in

Mestre-Venice, at the Toniolo Theatre, to share with us the repertoire of her fifteen-year career. Live music, traditional sound, her amazing voice, and trusted performers: that’s all it takes to establish an authentic connection with her audience.

Malika Ayane’s first, self-titled album came out in 2008, which we remember for debut single Sospesa. In 2009, she was on stage at Teatro Ariston for the Sanremo Festival, where she performed Come foglie. In the following year, she participated again with Ricomincio da qui. Both tracks earned critical acclaim and commercial success. Ayane released album after album in the following years, worked on beautiful collaboration, and made a name for herself internationally.

musica

Il mondo che vorrei

La geografia sonora riscritta da Veneto Jazz

Venezia Jazz Festival Fall edition si conferma uno degli appuntamenti più interessanti della stagione, con un calendario di 17 concerti firmato da Veneto Jazz che dopo le date di ottobre prosegue fino al 29 novembre.

In scena nei più iconici luoghi veneziani artisti da diversi angoli della Terra, l’avanguardia jazzistica italiana e un’attenzione al jazz di domani, con il Premio e la Tomorrow’s Jazz Night dedicata alla nuova generazione di musicisti. «Edizione straordinariamente ricca, – commenta Giuseppe Mormile, direttore artistico del festival – dal Medio Oriente di Canberk Ulas ‚ al Brasile di Vanessa Moreno e di Salomão Soares, senza dimenticare un’Italia assolutamente florida di talenti, tra cui Eleonora Strino e Daniele di Bonaventura, e il jazz internazionale interpretato da grandi maestri come Rachel Z e Michael Rosen. Non mancano un’appendice elettronica, con i nuovi progetti di Francesca Guccione, e un faro sui giovani talenti del jazz italiano».

La chitarrista e cantante Eleonora Strino sarà all’Auditorium Lo Squero il 2 novembre, con Giulio Corini al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria per poi spostarsi al Laguna Libre per una World Jazz Jam. Riconosciuta dalla critica come uno dei più interessanti giovani talenti della scena jazz internazionale, la rivista americana Jazz Guitar Today le ha tributato la copertina di febbraio 2020, dopo averla dedicata a musicisti del calibro di Peter Bernstein, Kurt Rosenwinkel, John Scofield ed altri grandi chitarristi della scena attuale. Ancora al Laguna Libre arriva il modern jazz del sassofonista statunitense Michael Rosen (8 novembre), accompagnato da Nico Menci al pianoforte, Marco Marzola al basso e Alfonso Vitale alla batteria, in una combinazione di talento ed energia capitanata da un artista chiamato negli anni a collaborare con personalità del calibro di Mina, Celentano e Renato Zero. Un palcoscenico per le nuove generazioni è la Tomorrow’s Jazz Night, con il doppio concerto di Guglielmo Santimone Trio e dei Treetops, tutti passati finalisti del Premio firmato

da Veneto Jazz dedicato ai giovani talenti del jazz italiano (Sale Apollinee, 12 novembre). Nuove terre sonore sono esplorate da Canberk Ulas ‚ , suonatore di duduk che fonde tradizione turca ed eredità anatoliche, armene e ottomane con una prospettiva contemporanea (Auditorium Lo Squero, 23 novembre). Nel suo ultimo album da solista, Echoes of Becoming del febbraio 2024, Ulas ‚ ha collaborato con musicisti norvegesi di spicco come Arve Henriksen, Eivind Aarset, Bugge Wesseltoft e Jan Bang ottenendo recensioni positive dalle principali riviste musicali in Europa. Nell’intricato equilibrio tra tradizione e sperimentazione, la musica di Ulas ‚ è un viaggio contemplativo di introspezione e connessione. Il suo virtuosismo tecnico di stampo armeno espande i confini del duduk esplorando paesaggi elettronici, in un approccio artistico unico che enfatizza l’eleganza dello spazio e rallenta lo scorrere del tempo.

ENG Venezia Jazz Festival Fall edition is one of the most interesting programmes in the season, with 17 concerts making it into late November. “This edition is particularly reach – says art director Giuseppe Mormile – with performers coming from the Middle East, Brazil, as well as from Italy, of course. We will have electronic music, too, thanks to Francesca Guccione’s latest projects”. Guitarist and singer Eleonora Strino will perform at Auditorium Lo Squero on November 2 with bassist Giulio Corini and drummer Zeno De Rossi. She will also be at Laguna Libre for the World Jazz Jam concert. Again at Laguna Libre, American sax player Michael Rosen will perform with Nico Menci, Marco Marzola, and Alfondo Vitale on November 8. Canberk Ulas ‚ , from Turkey, will play his duduk in a traditional Turkish-Anatolian-Armenian-Ottoman blend of music at Lo Squero on November 23.

7. Venezia Jazz Festival Fall Edition 2, 3, 8, 9, 12, 19, 23, 28 novembre

Teatro La Fenice, Laguna Libre, Auditorium Lo Squero, Fondaco dei Tedeschi www.venetojazz.com

L’autunno musicale a Venezia parla le diverse lingue del mondo, esplorando tradizioni antiche e visioni contemporanee Giuseppe Mormile

RACHEL Z. & OMAR HAKIM TRIO

La pianista Rachel Z è stata stretta collaboratrice di Peter Gabriel, Wayne Shorter, Stanley Clarke, Marcus Miller, Al Di Meola e vanta ben 13 apprezzati album come bandleader. Omar Hakim si è affermato come batterista della leggendaria Weather Report, lavorando poi con Miles Davis, George Benson e John Scofield e avviando parallelamente una carriera iperbolica di turnista al servizio di star del calibro di Sting, David Bowie e i Dire Straits di Mark Knopfler.

ENG Pianist Rachel Z worked with Peter Gabriel, Wayne Shorter, Stanley Clarke, Marcus Miller, Al Di Meola, and has thirteen successful albums as bandleader under her belt. Omar Hakim grew as a drummer in legendary jazz band Weather Report and later worked with Miles Davis, George Benson, and John Scofield. As a session man, he played with Sting, David Bowie, and the Dire Straits. 3 novembre h. 19 | Sale Apollinee, Teatro La Fenice

DANIELE DI BONAVENTURA

Originario delle Marche, è considerato uno dei più originali e creativi bandoneonisti al mondo. La sua musica è una mescolanza meravigliosamente seria e al contempo straordinariamente giocosa di musica classica (composizione, struttura) e di jazz (improvvisazione e libertà) e fa riferimento in particolar modo alle tradizioni melodiche mediterranee e al genere musicale sudamericano. Nelle sue esibizioni da solista improvvisa pezzi la cui ispirazione spazia dai compositori del barocco ai classici della canzone popolare.

ENG Daniele Di Bonaventura is considered one of the most original, creative bandoneists around. His music is a beautiful blend of the serious and the playful, with classical features in composition and structure as well as jazz influences. The artist takes inspiration from Mediterranean tradition and South American music. In his concerts, there will be space for solo improvisation, Baroque, and folk music. 19 novembre h. 19.30 | Sale Apollinee, Teatro La Fenice

VANESSA MORENO & SALOMÃO SOARES

La cantante di San Paolo Vanessa Moreno e il pianista paraíba Salomão Soares avevano già suonato insieme in gruppi più grandi, ma è stato dopo essersi incontrati per una sessione di registrazione che è nata l’idea di un progetto in duo. Il loro primo album, Chão de Flutuar (2019), è stato definito dalla critica “prezioso”. Il loro repertorio spazia da artisti come Joyce Moreno, Luiz Gonzaga, Djavan, Hermeto Pascoal e Tania Maria.

ENG Sao Paulo-based singer Vanessa Moreno and paraiba pianist Salomão Soares had played together before in larger formations. They later decided that a duo project together was the way to go. Their first album, Chão de Flutuar (2019) has been dubbed ‘precious’ by critics. Their repertoire ranges from authors such as Joyce Moreno, Luiz Gonzaga, Djavan, Hermeto Pascoal, and Tania Maria. 9 novembre h. 19.30 | Sale Apollinee, Teatro La Fenice

FRANCESCA GUCCIONE

Compositrice, violinista e artista Moog, affascinata da sempre dal rapporto tra il suono e le immagini, affianca agli studi di violino quelli in Composizione per la Musica Applicata alle Immagini, conseguendo il Diploma Accademico di II Livello con il massimo dei voti. Nel 2021 pubblica, con l’etichetta francese Whales Records, il suo primo album di musica neoclassica, Muqataea, che vede la partecipazione del famoso violoncellista e compositore Giovanni Sollima.

ENG A composer, violinist, and Moog producer, Guccione has long been working with the relationship between sound and images. In 2021, she released her first album of neoclassical music, Muqataea, with French label Whales Record. Cellist and composer Giovanni Sollima participated in the production. 28 novembre h. 18 | Fondaco dei Tedeschi

musica

Anche nell’hotellerie ormai è tutta una gara a smarcarsi dal codice unico ed eterno del deluxe fine a sé stesso, con tutti gli hotel 5 stelle impegnati a costruirsi una nuova immagine che fa dell’arte, della cultura, declinate alla miglior bellezza nelle loro più svariate direzioni naturalmente, il suo tratto qualitativamente attrattivo e distintivo. Quindi eventi, incontri, mostre, in cui il food, l’accoglienza, il lusso costruiscono una trama di relazioni talvolta intrigante, talora meno, con quello che il territorio offre sul terreno artistico e più estesamente culturale. Figuriamoci nella città capitale mondiale delle arti contemporanee, e non solo, quale è Venezia! Però c’è chi dà del tu vocativamente a questa affascinante quanto complessa forma di relazione, chi invece vi si cimenta di rincorsa, talvolta forzosamente, con esiti non di rado improbabili. Capofila indiscusso della prima disposizione qui in città da un po’ di anni è The Venice Venice Hotel. Che non si tratti di un hotel ‘convenzionale’ lo si può capire fin da subito: in un irresistibile contesto storico-architettonico la visione aperta e decisamente urban della proprietà ha costruito uno spazio davvero altro qui in città, capace di inserirsi con consumata naturalezza, dialogandoci in maniera più che convincente. Stiamo parlando di Venice M’Art, al piano terra dell’antico palazzo, un luogo che è insieme caffetteria, ristorante e concept store e che si propone come un emporio postveneziano. Uno spazio sul serio aperto alla città, capace al contempo di selezionare un proprio pubblico attraverso prodotti, immagine, accoglienza che parlano la lingua delle più fertili esperienze ludiche urbane del nostro presente. In questo vitale, innovativo hotel-non solo hotel, non può mancare nel corso dell’anno una ricca ma calibrata teoria di eventi sempre in linea con questa immagine-ponte tra storia e contemporaneità. Nella linea curatoriale di questi momenti di alto intrattenimento, ben si inserisce SELECTA, una serie di eventi gastronomici bisettimanali che combinano sushi e selezioni di vinili nell’iconica galleria del sotoportego che si affaccia sul Canal Grande, con prossime date da segnare in calendario il 6 e 20 novembre. Ogni serata prevede la cucina dello chef di sushi Clayton Kawamura accompagnata da selezioni musicali di ospiti audiofili appositamente invitati che condividono brani scelti a mano, facendosi trasportare dalle vibrazioni del momento per improvvisazioni ad alto tasso qualitativo. Non esiste scaletta, ma solo la voglia di condividere buona musica in un luogo unico al mondo.

C’è chi prenota un viaggio esotico per scappare dal tran tran quotidiano, pieno di valigie alleggerite, ma non svuotate, e chi trova finalmente rifugio nella dimensione del sogno, viaggiando alla scoperta di universi segreti, ingarbugliati, ma non meno incantevoli. Lontana anni luce, la destinazione di Camilla Sparksss, nome d’arte e alter ego della canadese Barbara Lehnhoff, musicista dalle sonorità electro noise-pop e artista visiva, si chiama Lullabies, un album di otto tracce che, come suggerisce il titolo, diventano ninna nanne, racconti dolci come baci della buonanotte per adulti, favole che scuotono dal torpore dell’incanto tecnologico contemporaneo, affascinante ma monotono. Si tratta di otto storie minimal che prendono vita grazie alla fusione tra spoken word e il mellotron, attraverso i groove morbidi, immergendosi così in un’atmosfera ambient-pop, ma soprattutto grazie alla progettazione insieme al designer Giulio Parini di uno specchio sul vinile 33 giri animato, a simulare il fenachistoscopio inventato da Joseph Plateau che consentiva di animare le immagini. Esperimento ambizioso – mesi e mesi e una ventina di prototipi – quello della cantante che ha fondato insieme al visual artist ticinese Aris Bassetti il duo post-punk Peter Kernel, che mira a risvegliare, attraverso il motivo del gioco di immagini, quell’Io bambino che, con la sua creatività e immaginazione, viene calpestato sempre più nella vita da adulti. Cullata fin dalla nascita dalla voce di Bonnie Tyler o degli Eurythmics, l’artista svizzero-canadese presenta il suo progetto il 29 novembre al Teatrino di Palazzo Grassi, in occasione di New Echo System, promosso dalla Fondazione Pro Helvetia. Da vivere con il cuore libero e sognante, un po’ come nelle favole. Giada Zuecco

ENG

There are some who book exotic travels to escape the daily routine, and those who find solace in dreams as they travel to secret universes – tangled up, maybe, though no less enchanting. Camilla Sparksss, the art alias of Canadian musician and visual artist Barbara Lehnhoff, creates electro-noise-pop sound art. Her latest eight-track album, Lullabies, is a collection of tender stories, goodnight kisses for adults, fairy tales that shatter the modern technological spell, charming in its own right, but dull and monotonous, too. Eight minimalistic stories come to life in voice and mellotron sound: soft grooves and an ambient-pop atmosphere accompanied by a sort of phenakistiscope that Giulio Parini designed for her 33-rpm vinyl disc.

Muri del suono
© The Venice Venice

musica

Il mestiere del contemporaneo

«L’idea che il percorso musicale del Collettivo di Lagunaria si traducesse metaforicamente in un viaggio per le rotte del Mediterraneo è sempre stata la migliore sintesi per esprimere il nostro lavoro. Venetikorebetiko è dunque un viaggio fatto di parole e musica che ci riporta idealmente alle tratte delle Mude da Mar, percorse sin dal Medioevo dai mercanti veneziani». Così Giovanni Dell’Olivo descriveva la sua ultima fatica discografica al nostro direttore Massimo Bran, nel solco di un’intervista dell’agosto scorso che trasportò noi e i nostri lettori nelle pieghe più recondite della musica rebetika. Venetikorebetiko è al centro del concerto che Candiani Groove ha in programma il 10 novembre, prima delle tra date che a novembre caratterizza il cartellone curato da Veneto Jazz. Lo spettacolo contiene una miscellanea di canzoni originali di Giovanni Dell’Olivo con un unico tema conduttore legato al Mare, alle Città d’Acqua, e al rapporto fra Venezia e le culture del Mediterraneo ed alcuni brani del Canzoniere Popolare Veneto. Altro concerto da non perdere domenica 17 novembre con i GarciaFons & Turkan che presentano Silk Moon, un album frutto della collaborazione dello straordinario contrabbassista Renaud GarciaFons, uno dei più grandi interpreti contemporanei del suo strumento, con Derya Turkan, maestro del Kemenche turco, strumento ad arco della tradizione classica ottomana. Nella loro musica risuona l’amore e la profonda conoscenza della tradizione lirica mediorientale e mediterranea.

Ultimo appuntamento di Candiani Groove 2024 il 29 novembre con un progetto speciale di Seckou Keita & Moussa Ngom. Il virtuoso della kora Seckou Keita è uno dei luminari fra i musicisti tradizionali africani. Definito “l’Hendrix della Kora’’, con un approccio innovativo e un’eccezionale abilità spinge continuamente sui confini di ciò che questo strumento può ottenere. In questo concerto sarà affiancato dal produttore, compositore e tastierista di Dakar, Moussa Ngom.

Acustico in purezza

Era il 13 settembre 2020, il mondo stava timidamente uscendo con le ossa rotte da una delle più catastrofiche emergenze sanitarie della propria storia recente e la cronaca parlava di chiusure, isolamento, contatti personali tagliati drasticamente, incertezza totale verso il domani, individuale e collettivo. In quella data il Teatro del Parco Bissuola a Mestre riapriva i propri spazi, caricando questo gesto dei più ampi significati si potessero anche solo immaginare all’epoca.

Uno spazio che in questi anni ha saputo guadagnarsi un posto legittimo all’interno del panorama musicale, con proposte che mai si sono piegate alle leggi del pop più in voga per preferire un approccio fortemente autoriale, intimo, a contatto diretto con il pubblico.

É Sergio Cammariere in Piano Solo il protagonista l’11 novembre del terzo appuntamento della rassegna autunnale dopo Marjan Farsad e Dente&Mirkoeilcane a ottobre. Fra i musicisti e compositori più eclettici e raffinati del panorama musicale italiano, Cammariere è stato da sempre capace di fondere nelle sue composizioni diversi generi musicali: jazz, ritmi latini e sudamericani, musica classica e cantautoriale italiana.

La performance, che vede come special guest la violoncellista Giovanna Famulari, spazierà tra i classici del cantante e il repertorio tratto dal suo ultimo progetto discografico, Una sola giornata. Un disco prezioso e ispirato che contiene tracce inedite nate dal felice sodalizio tra il pianoforte del cantautore e la penna di Roberto Kunstler.

La chiusura della sessione autunnale è al femminile, con Nada, una delle voci più iconiche della musica italiana: in concerto al Teatro del Parco il 30 novembre in duo con Andrea Mucciarelli, l’artista ripropone una rivisitazione dei suoi principali lavori musicali.

A Bissuola Live Nada riprende quello che era il concerto del Nada Trio, progetto nato nel 1994 con la collaborazione di Fausto Mesolella (scomparso nel 2017) e Ferruccio Spinetti, rispettivamente chitarra e contrabbasso degli Avion Travel. Lo spettacolo comprende brani come Il porto di Livorno di Piero Ciampi, la popolare Ma che freddo fa, grandi successi come Amore disperato, Ti stringerò e classici della tradizione popolare come Maremma, fino alle canzoni di oggi ( Luna in piena e Senza un perché ). D.C. Candiani Groove 10, 17, 29 novembre Centro Culturale Candiani-Mestre www.culturavenezia.it

Bissuola Live 11, 30 novembre Teatro del Parco-Mestre www.culturavenezia.it

Dritta all’anima

Quasi vent’anni ci separano dal giorno in cui le radio gridavano per la prima volta «Sei nell’anima», omonimo singolo ormai inciso nella memoria del Bel Paese divenuto colonna sonora di innumerevoli, struggenti storie d’amore. Settanta, invece, sono gli anni trascorsi da quel giugno del 1954 dove, tra i palazzi senesi, nasceva Gianna Nannini, regina indiscussa del rock italiano che ha conquistato intere generazioni di fan non solo con l’immensa forza di una voce selvaggia e incontenibile ma soprattutto grazie a un repertorio capace di far vibrare le corde più intime e disparate dell’esistenza. Dall’erotismo sfrenato di America – dissacrante inno alla masturbazione – alle delicate tenerezze di Meravigliosa creatura, fino alla bruciante attualità di Morta per autoprocurato aborto, il sound sfrontato eppure visceralmente tricolore della Nannini ancora trattiene le redini musicali di un Paese in cui, si sa, il rock femminile non ha mai avuto vita facile. A darne prova, la recente presentazione di Silenzio, il singolo preludio all’uscita del nuovo album nella scorsa primavera, disponibile dal 5 gennaio su tutte le piattaforme digitali, la mini-serie che grosso successo ha riscosso su Netflix e soprattutto un tour internazionale, organizzato da Friends & Partners e co-prodotto da 3Monkeys, che condurrà Gianna Nannini a riabbracciare il suo pubblico partendo da Jesolo. Il 22 novembre, al Palazzo del Turismo, arriva infatti la data zero dell’attesissimo Sei nell’anima tour - European Leg, che proseguirà, tra novembre e dicembre, con undici tappe europee e otto italiane: un’occasione unica per cantare a squarciagola i successi degli ultimi 35 anni e sognare, ancora una volta, l’America. Adele Spinelli

Gianna Nannini

22 novembre Palazzo del Turismo-Jesolo www.azalea.it

PRESA DIRETTA

In coppia con Jim O’Rourke nell’aprile 2023 si era resa coprotagonista di un concerto ad altissimo tasso qualitativo, confermandosi pioniera della sperimentazione assieme più ardita e rigorosa, quella che scaturisce solo da chi possiede una totale padronanza di mezzi e un’arguta sensibilità artistica.

Eiko Ishibashi, polistrumentista, vocalist e compositrice giapponese, il 13 novembre torna ospite della rassegna curata dal Centro d’Arte di Padova con un progetto speciale che la vede collaborare con il regista premio Oscar Ryusuke Hamaguchi, di cui aveva curato con grande successo la colonna sonora del film Drive My Car, miglior film straniero secondo la Academy nel 2022.

Nel 2022 Hamaguchi inizia a girare GIFT, un nuovo lungometraggio senza dialoghi, pensato esplicitamente per essere musicato dal vivo da Ishibashi. In seguito lo stesso film verrà ampliato e completato dai dialoghi, ancora una volta con la colonna sonora di Ishibashi, e diventerà Evil Does Not Exist, presentato con grande successo di pubblico e critica al Festival del Cinema di Venezia nel 2023, dove si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria. Il 13 novembre torniamo alla versione originale del film, che viene sonorizzato live da Ishibashi per la prima volta al di fuori di festival specializzati, in forma-concerto.

Eiko Ishibashi

13 novembre Sala Fronte del Porto/Porto Astra-Padova www.centrodarte.it

BACCHETTE MAGICHE

Un vasto affresco di stili musicali e generazioni a confronto: nel programma del Padova Jazz Festival 2024 trovano spazio glorie intramontabili (Billy Cobham), artisti che stanno emergendo con slancio nella scena internazionale (Lakecia Benjamin, Pablo Held con Nelson Veras), musicisti nel pieno della loro maturità espressiva (Richard Bona, Anat Cohen, Donald Harrison, Jonathan Kreisberg, Mauro Ottolini), talenti incredibili in proporzione alla giovanissima età (Hakan Başar). Altrettanto variegato è il panorama stilistico, dalla fusion storica alla più solida tradizione post-bop (Rosario Giuliani con Pietro Lussu), dalle sonorità brasiliane (As Madalenas) a innumerevoli e fertili combinazioni che mettono in contatto mondi sonori anche distanti tra loro (Alien Dee, Daniele di Bonaventura, Enrico Morello, Duo Hana). I numerosi palcoscenici del festival si distinguono per le loro peculiarità architettoniche, come il Teatro Verdi e la sua Sala del Ridotto, la Sala dei Giganti al Liviano, il Caffè Pedrocchi, il Centro Culturale Altinate/San Gaetano fino alle aule dell’Università di Padova. Una data da cerchiare in rosso? Senza dubbio il 16 novembre, quando al Verdi arriva la leggenda vivente della batteria Billy Cobham.

Padova Jazz Festival Fino 17 novembre www.padovajazz.com

LIMPIDA CONSAPEVOLEZZA

Nono si fa

centro mobile

di confluenza di musica, teatro, poesia, ricerca creativa,

impegno politico

Negli stessi giorni di novembre in cui si tiene a Venezia il festival organizzato dalla Fondazione Luigi Nono, che celebra il centenario della sua nascita, a Roma inizia Politikè, il festival di Nuova Consonanza, in cui la serata del 10 dicembre, Apparizioni invisibili per Luigi Nono, sarà dedicata alla visione dei video originali per la musica acusmatica di Nono. L’annotazione è per significare che, a pochi giorni dalla conclusione dell’edizione 2024 di Biennale Musica, che ha mantenuto le grandi attese della vigilia, altre due istituzioni musicali si sforzano di organizzare festival musicali di alto livello dedicati alla musica creativa contemporanea e del secondo dopoguerra: sono ottimi segnali di una nuova vivacità culturale del settore, che sembrano andare ben oltre la politica mera della resilienza. Il Festival Luigi Nono 2024 ha un titolo, Risonanze erranti, che riecheggia una delle ultime composizioni del musicista veneziano, quel Liederzyklus del 1986 dedicato a Massimo Cacciari, amico e collaboratore di Nono e che due anni prima aveva scritto i testi per il Prometeo. È la felice conclusione di quello che Massimo Mila, in un famoso saggio ( Nono, la svolta ) avrebbe definito come il quarto stadio della musica di Nono. La prima fase è quella dell’apprendistato formativo delle opere strumentali degli anni Cinquanta; la seconda fase è quella che Mila definisce come “la poesia dell’amore, della giovinezza, della felicità” e comprende le opere di Nono sui testi poetici di García Lorca, Pavese, Ungaretti, Neruda, Machado; la terza fase, che inizia con Il canto sospeso del 1956, è quella del rifiuto di accettare l’egemonia della tecnica e la conseguente apertura della sua musica all’idea poetica, alla storia, all’impegno politico ( Intolleranza 1960, La fabbrica illuminata, e si conclude con Al gran sole carico d’amore del 1974). Ed arriva la quarta fase, con sofferte onde serene... del 1974, dove Nono approda al superamento dell’impegno politico direttamente collegato alla creazione musicale (quello personale lo manterrà sempre, fino alla fine). E questa fase è caratterizzata da due eventi fondamentali: la scoperta dell’elettronica e

Festival Luigi Nono 2024 | Risonanze erranti 5-29 novembre www.luiginono.it

delle potenzialità tecniche offerte dallo studio di fonologia di Friburgo, e l’adozione del suono come elemento fondamentale della ricerca creativa di Nono. È questa la fase in cui Nono conosce e frequenta Massimo Cacciari, «una testa pensante bella e naturalmente provocante», come scrive in una lettera a Mila del febbraio 1981. Il programma del Festival Nono è decisamente promettente, mettendo insieme concerti, proiezioni, lezioni e tavole rotonde. Ci preme segnalare qui la serata inaugurale del 7 novembre con l’esecuzione di Risonanze erranti Liederzyklus a Massimo Cacciari, preceduta da un intervento del filosofo veneziano. Il 21 novembre alla Fondazione Prada di Ca’ Corner della Regina ci sarà l’ascolto della versione acusmatica di A floresta è jovem e cheja de vida, opera del 1966 che secondo Enzo Restagno è la sua prima in cui Nono adotta una strategia in cui il trattamento tecnologico ed acustico del suono va di pari passo con l’impegno ideologico. Imperdibile il concerto del 29 novembre al Conservatorio Marcello, ove il pianista Jan Michiels eseguirà quella .....sofferte onde serene..., che non solo è l’opera che apre la fase ultima della carriera di Nono, ma segna l’inizio della collaborazione tra Nono e Maurizio Pollini. È questa l’opera in cui Nono si presenta come ultimo testimone della straordinaria specificità della musica veneziana (dopo i grandi maestri della Cappella Marciana del Seicento, Nono esalta il suono delle campane delle chiese veneziane trasportate dalle onde dei canali). Trentun’anni fa, tre anni dopo la morte del musicista, nasceva la Fondazione Nono dall’impegno della moglie di Nono, Nuria Schoenberg, e delle figlie Serena e Silvia, coadiuvate e supportate da un gruppo di amici, collaboratori e studiosi (tra cui Cacciari, Vedova, Messinis, Alvise Vidolin, Veniero Rizzardi) con l’impegno di preservare e sviluppare la conoscenza della musica di Nono come centro mobile di confluenza di musica, teatro, poesia, ricerca creativa, impegno politico. Come cioè una delle testimonianze più limpide dell’arte del XX secolo, a Venezia, in Italia, nel mondo. Il risultato di questo cammino trentennale è una istituzione culturale che è diventata sempre più autorevole pur mantenendo un approccio non accademico e paludato, un patrimonio irrinunciabile della cultura della nostra città.

As Venice gathers to celebrate modern composer Luigi Nono, Rome hosts Politikè, whose programmes includes a night, December 10, dedicated to Nono and his acousmatic music. A way for two further cultural institutions, after the successful latest Biennale Musica, to produce beautiful festivals of creative contemporary music. It is apparent that this specific cultural sector is alive and well, and growing, too. The one in Venice, Festival Luigi Nono 2024, is dubbed Risonanze erranti, literally ‘errant resonance’, a phrase that echoes one of the latest compositions by Nono, the Liederzyklus of 1986. It is the happy ending of what essayist Massimo Mila defined as Nono’s fourth period. The first would have been Nono’s apprenticeship in instrumental music in the 1950s, the second what Mila calls “the poetry of love, youth, happiness” and that includes Nono’s work on poetry by García Lorca, Pavese, Ungaretti, Neruda, Machado, the third began with Il canto sospeso of 1956 and is Nono’s refusal of technical hegemony and his openness to poetry, history, and political commitment. The latter phase is marked by two essential moments: the discovery of electronics and technological potential and the adoption of sound as essential element of creative research.

The festival’s programme is promising: concerts, screenings, lectures, round tables. We are looking forward to the opening night, November 7, with the performance of Risonanze erranti. Liederzyklus a Massimo Cacciari. Cacciari, an author and philosopher, worked extensively with Luigi Nono and will speak at the event. On November 21, at Fondazione Prada, the acousmatic version of A floresta è jovem e cheja de vida will be performed. According to Enzo Restagno, this is the first of Nono’s works where the technological and acoustic treatment of the music is parallel to the composer’s ideological commitment. A concert we won’t want to miss is that of November 29, at the Venice Music Conservatory: pianist Jan Michiels will play .....sofferte onde serene... which is the piece that opened Nono’s latest period as a composer and his cooperation with Maurizio Pollini.

Luigi Nono, Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono

classical

FESTIVAL LUIGI NONO RISONANZE ERRANTI

5 novembre h. 17 | Fondazione Archivio Luigi Nono

OPENING

Daniele Abbado, Nuria Schoenberg Nono, Presidente della Fondazione Archivio Luigi Nono, Serena Nono, direttrice artistica del Festival e Sara Gaino, che si occupa della produzione e del coordinamento della rassegna, presentano al pubblico le tematiche e gli appuntamenti di un calendario che restituisce al pubblico la figura di un intellettuale a tutto tondo, capace attraverso la musica di mettere in risalto una coscienza civile, culturale e politica fuori dal comune, attuale oggi più che mai.

ENG

A presentation of the topics and appointments of a season dedicated to an allaround intellectual. Using music, Luigi Nono was able to ennoble social, cultural, and political conscience in amazing ways, and it is relevant today as it ever was.

7 novembre h. 17.30 | Conservatorio Benedetto Marcello

INAUGURAZIONE

In programma Risonanze erranti. Liederzyklus a Massimo Cacciari diretto da Marco Angius, che ebbe la sua prima esecuzione nel marzo 1986 a Colonia, prima tappa di un ciclo di Lieder che doveva svilupparsi in parallelo ai post-prae ludi, composizioni ideate “prima” di Prometeo. Tragedia dell’ascolto, ma realizzate “dopo” e strettamente legate al virtuosismo dei suoi solisti-collaboratori. Il lavoro è dedicato a Massimo Cacciari, che ha curato i testi di Prometeo e di molti altri lavori di questo periodo, oltre ad aver condiviso con Nono lo sviluppo di una nuova fase creativa a cavallo degli anni ’80 del secolo scorso. ENG First shown in Cologne, Germany, in 1986, this Lieder collections would have been developed parallel to post/prae ludi, ideally before the Prometheus, but only came to light after, specifically for Nono’s virtuoso colleagues.

8 novembre h. 17.30 | Fondazione Archivio Luigi Nono FAR SUONARE IL SILENZIO.

L’UTOPIA MUSICALE DI LUIGI NONO

Presentazione del libro di Luigi Finarelli edito da LIM, con appunti e schizzi autografi, testi inediti di Italo Calvino e di Massimo Cacciari, con l’autore in dialogo con Nuria Schoenberg Nono. Luigi Finarelli, fisico e musicista, dottore di ricerca in Studi Umanistici Transculturali presso l’Università di Bergamo, si interessa di tematiche ai confini tra campo scientifico e umanistico, con particolare attenzione per gli aspetti storici dell’interazione tra pensiero musicale e pensiero scientifico.

ENG Presentation of a book by Luigi Finarelli that includes original notes and sketches and original copy by Italo Calvino and Massimo Cacciari. Finarelli is a physicist and a musician who works on fields of study common to science and the humanities, especially the historical aspects of the interaction between music and science.

12 novembre h. 19 | Cinema Rossini

LUIGI NONO. INFINITI POSSIBILI

Proiezione del documentario di Manuela Pellarin, in collaborazione con Circuito Cinema Venezia e Kublai Film, presentato in anteprima assoluta nel settembre scorso in Sala Laguna, parte del programma di Isola Edipo | Le Giornate degli Autori. Le interviste ad amicisodali approfondiscono i vari aspetti della personalità del compositore al fine di restituire la figura di Nono e il contesto del suo tempo. E poi c’è l’amata Venezia, la sua città e fonte di ispirazione: i campanili, i riverberi sonori delle campane, le chiese, le calli e i canali, la laguna e il suono dell’acqua, luce e colori. Il paesaggio di Luigi Nono.

ENG A documentary by Manuela Pellarin previews last September at the Venice Film Festival. Interviews to Luigi Nono’s friends and fellows to understand the composer’s personality and a poignant portrait of his beloved Venice, the landscape and source of inspiration of his beautiful music.

© Teatro alla Scala - Photo Lelli e Masotti

15 novembre h. 17.30 | Conservatorio Benedetto Marcello

CONCERTO

Un concerto con in repertorio pezzi di Roberto Gottipavero come la Sonata per pianoforte (1984); Luigi Nono, Canti di vita e d’amore: Sul ponte di Hiroshima. Djamila Boupacha per soprano solo (1962); Nicola Sani, Voices beyond the edge, alla prima assoluta in Italia (1999) e con la presenza del compositore stesso. Sul palco il soprano Chiara Ramello ed il pianista Olaf John Laneri, con regia del suono curata da Alvise Vidolin e Paolo Zavagna e partecipazione degli allievi delle Scuole di Musica elettronica e Composizione (indirizzo Nuove tecnologie) del Conservatorio Benedetto Marcello.

ENG A concert of music by Roberto Gottipavero, Luigi Nono, Nicola Sani performed by soprano Chiara Ramello and pianist Olaf John Laneri. Sound direction by Alvise Vidolin and Paolo Zavagna. The concert will see the participation of students at the Venice Music Conservatory in the Electronic Music and Composition majors.

16 novembre h. 17.30 | Conservatorio Benedetto Marcello CONCERTO

Jacopo Cenni (1995) è un new media artist, compositore e live performer di Siena. La sua poetica si concentra sull’indagine del rapporto tra gesto teatrale e sound art, con l’adozione di un approccio ecosistemico alla composizione sonora e musicale. Le sue opere e performance dal vivo sono state presentate in diverse istituzioni e festival, come La Biennale di Venezia e il Glasgow Science Center, per una produzione artistica che spazia tra teatro sonoro, composizione elettroacustica e improvvisazione. In programma tra gli altri brani di questo concerto il suo PREY, per percussioni e live electronics, alla prima assoluta. ENG Cenni investigates the relationship between theatre and sound art adopting an ecosystemic approach to musical composition. His art and live performances made it into festivals everywhere, from the Venice Biennale to the Glasgow Science Centre, and ranges from sound theatre to electro-acoustic composition, to improvisation.

17 novembre h. 17.30 | Fondazione Archivio Luigi Nono

TAVOLA ROTONDA

Mario Piatti e Gualtiero Bertelli, storici collaboratori del comitato di redazione di Laboratorio musica, dialogano con il musicologo Veniero Rizzardi e il regista del suono Alvise Vidolin in occasione della donazione della collezione di Laboratorio Musica alla Fondazione Archivio Luigi Nono. Seguirà un secondo appuntamento in programma a Milano, promosso dal Conservatorio meneghino Giuseppe Verdi il prossimo 6 dicembre, dal titolo Luigi Nono e gli anni di Laboratorio musica (1979-1982).

ENG A round table on the occasion of the donation of the Laboratorio Musica collection to Fondazione Archivio Luigi Nono held by Mario Piatti, Gualtiero Bertelli, musicologist Veniero Rizzardi, and sound director Alvise Vidolin.

18 novembre h. 18 | Conservatorio Benedetto Marcello MINGUET QUARTETT

Il rinomato Minguet Quartett celebra il centenario della nascita di Luigi Nono con un’interpretazione di Fragmente-Stille, an Diotima. Ispirato alle poesie di Hölderlin dedicate alla sua amata, questo quartetto d’archi tratteggia un paesaggio sonoro dell’anima umana. Il compositore italiano ha trovato la chiave del nuovo nel vecchio. Per esempio, ha basato Fragmente-Stille sulla scala enigmatica dell’Ave Maria di Verdi e si è ispirato a un quartetto d’archi di Beethoven. Poco prima della fine, Nono cita una chanson di Ockeghem, richiamando così le radici della storia della musica.

ENG The famous Minguet Quartett celebrate Luigi Nono’s hundredth birthday with a performance of Fragmente-Stille, an Diotima. Inspired by Hölderlin’s poetry, the piece paints a sound landscape of the human soul. Nono found the key to make new music in older music: for example, he based Fragmente-Stille on Verdi’s Ave Maria’s enigmatic scale and took inspiration on one of Beethoven’s string quartet.

Nicola Sani © Hogues Russel
Miguet Quartett © Irène Zandel

classical

FESTIVAL LUIGI NONO RISONANZE ERRANTI

21 novembre h. 18.30 | Fondazione Prada

A FLORESTA É JOVEM E CHEJA DE VIDA

Massimo Cacciari, Veniero Rizzardi e Laura Zattra presentano il componimento di Nono eseguito in prima assoluta alla Fenice il 7 settembre del 1966, in occasione della XXIX Biennale Musica, con proiezioni di materiali video curati da Veniero Rizzardi e Alvise Vidolin. Prima opera di Nono a partire dalla quale si possa scorgere una continuità poetica con la produzione degli anni Ottanta caratterizzata dall’impiego del live electronics. Ingresso solo su prenotazione, registrandosi su fondazioneprada.org dal 12 novembre.

ENG A composition by Luigi Nono that premiered at Fenice Theatre in Venice on September 7, 1966, for the 29th Venice Music Biennale. This is the first piece of Nono’s music from where we can trace a continuous style with his later production featuring live electronics. Book your seat on fondazioneprada.org starting November 12.

22 novembre h. 18 | Teatrino di Palazzo Grassi

VIDEO-CONCERTO

Serata dedicata al corpus delle opere di Luigi Nono per “nastro magnetico solo” che rappresenta un punto cardine nell’opera del compositore come un’investigazione delle proprietà acustiche degli elementi che hanno visto la genesi della musica elettronica. A cura di Paolo Pachini, compositore, videoartista, docente di Composizione Elettroacustica e Audiovisiva, l’evento è organizzato dalla Fondazione Archivio Luigi Nono in collaborazione con la Scuola di Musica e Nuove Tecnologie del Conservatorio Tartini di Trieste, con la partecipazione del Maestro Alvise Vidolin alla regia del suono, a conclusione di un progetto che vede allievi e docenti creare opere video su musiche per solo nastro

ENG A night dedicated to Nono’s composition for ‘magnetic tape solo’, a cornerstone of his oeuvre and and an investigation into the acoustic properties of the elements that saw the genesis of electronic music. The event is curated by Paolo Pachini with the participation of the School of Music and New Technologies at the Trieste Music Conservatory.

28 novembre h. 17 | Centro Tedesco di Studi Veneziani INCONTRO E CONCERTO

Incontro con introduzione di Richard Erkens e Nuria Schoenberg Nono e lettura di Noemi Schneider, scrittrice di Monaco di Baviera. A seguire conferenza di Matteo Nanni dell’Università di Amburgo, sul tema La politica dell’ascolto in Luigi Nono, con la traduzione in lingua tedesca. Concerto con opere di Orlando Gibbons, Federico Perotti, Luigi Nono e Thomas Morley, eseguito dalle violiniste Juditha Haeberlin dell’Ensemble Resonanz e Hannah Weirich dell’Ensemble Musikfabrik.

ENG A meeting with Richard Erkens, Nuria Schoenberg Nono, and Noemi Schneider and a conference on politics in Luigi Nono’s music in Italian and German followed by a concert of music by Orlando Gibons, Federico Perotti, Luigi Nono, and Thomas Morley performed by violinists Juditha Haeberlin and Hannah Weirich.

29 novembre h. 18 | Conservatorio Benedetto Marcello

JAN MICHIELS

Recital di Jan Michiels al pianoforte in omaggio a Maurizio Pollini, storico pianista e direttore d’orchestra scomparso nel marzo di quest’anno, in collaborazione con il Programma Erasmus+. .....sofferte onde serene..., compreso nel repertorio della serata, venne composto nel 1976 e dedicato “A Maurizio e Marilisa Pollini” ed eseguito in prima assoluta al Conservatorio di Milano, in Sala Verdi, 17 aprile 1977 proprio da Maurizio Pollini al pianoforte e con la regia del suono curata dallo stesso Luigi Nono.

ENG A piano recital by Jan Michiels to homage pianist and conductor Maurizio Pollini, who died last March, in cooperation with the Erasmus+ programme. .....sofferte onde serene..., composed in 1976 and dedicated to Maurizio and Marilisa Pollini, premiered in Milan in 1977, played on the piano by Pollini under sound direction by Luigi Nono himself.

www.luiginono.it

Juditha Haeberlin © Gerhard Kuehne
© Teatro alla Scala - Photo Erio Piccagliani

classical

OPERA

© Victor Santiago
Evviva il Leon di San Marco
Verdi e il suo Otello per la nuova Stagione lirica della Fenice

I versi trionfali del coro dell’atto terzo dell’Otello verdiano tornano a risuonare nel contesto a loro più proprio, a inaugurazione della Stagione operistica veneziana 2024-25. L’azione drammatica dell’Otello, musicato da Giuseppe Verdi tra il 1884 e il 1886 su libretto di Arrigo Boito, ispirato all’omonima tragedia shakespeariana, non si svolge a Venezia, ma nella Cipro governata dalla Serenissima, eppure l’atmosfera veneziana, con le sue liturgie patriottiche, ma anche con complicati intrighi di palazzo e scenografici duelli in cui gli eroi si battono per difendere il proprio onore, la pervade pienamente. Essa vede compiersi le perfide trame di Jago, l’alfiere invidioso. Questi, per vendicarsi del vittorioso comandante delle truppe veneziane Otello, reo di avergli preferito Cassio nel ruolo di luogotenente, ordisce un’intricata tela d’inganni, spingendolo alfine a uccidere la sposa Desdemona, creduta infedele, e a togliersi la vita egli stesso una volta disvelati i piani di Jago. L’Otello rappresenta tuttavia anche una tappa importante della maturità stilistica di Verdi, che con quest’opera torna a dedicarsi alla lirica tredici anni dopo Aida, e che risente ormai decisamente dell’influsso di Wagner. Essa si presenta difatti come un flusso pressoché ininterrotto di musica e canto di chiara ispirazione wagneriana, senza cesure nette tra le varie scene, con impeccabili transizioni orchestrali capaci di riprendere il tema dell’aria testé eseguita, e di collegarla armonicamente alla successiva, unendo episodi apparentemente tra loro inconciliabili come il fiero duello tra Cassio e Montano e le dolci note d’amore tra il protagonista e Desdemona, in chiusura del primo atto. A interpretare tale complessa partitura ecco l’Orchestra del Teatro La Fenice, diretta per l’occasione dal coreano Myung-Whun Chung, mentre l’allestimento e la regia, del tutto nuove, saranno affidate alle esperte cure di Fabio Ceresa. Tra le voci spicca quella di Francesco Meli, giovane tenore in forza al teatro veneziano che in questa occasione debutterà nel ruolo di Otello. «Arrivato qui come conte d’Almaviva nel Barbiere, ora ha l’età e la maturità giuste per sostenere tale ruolo» ha commentato il Sovrintendente e direttore artistico Fortunato Ortombina, all’ultima direzione della Fenice, che lascerà a fine gennaio 2025 per trasferirsi alla Scala di Milano. A giudicare dagli applausi ricevuti in sede di presentazione del nuovo cartellone, saluterà Venezia con l’ennesimo successo. Nicolò Ghigi

Long live ENG Saint Mark

The triumphant third act of the Otello and its powerful drama may rightfully call the Fenice Theatre, and Venice by extension, home, even though the scene is not set in Venice, but in Cyprus, which at the time was in Venice’s possession. A typical venetian atmosphere, though, permeates the opera: the machination, the duels, the honour. Vicious Iago is consumed by envy since commander Otello (sic, in its Italian adaptation) choose Cassio as lieutenant instead of him. Iago vengeance by making Otello believe his wife, Desdemona, is unfaithful. The man will end up killing her, and then himself, once Iago’s perfidy is revealed.

As a work of art, the Otello exemplifies Verdi’s maturity and his going back to opera thirteen years after the Aida. In Otello, Wagner’s influence is obvious. The opera is an almost-uninterrupted stream of music and song, with no clear cut between scenes, and impeccable orchestral transitions beautifully piecing the story together. In the Fenice all-new staging by director Fabio Ceresa, he and conductor MyungWhun Chung will join forces with tenor Francesco Meli, in his debut as Otello.

Otello

20, 23, 26, 29 novembre; 1 dicembre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

L’altro classico

Vent’anni dopo, La traviata di Robert Carsen

Un profondo, viscerale legame unisce La Fenice e La traviata, uno dei capolavori di Giuseppe Verdi che contiene alcune delle pagine più celebri della lirica italiana. Proprio a Venezia, infatti, l’opera debutta il 6 marzo 1853; la stessa partitura, filologicamente ricostruita (la versione a tutti più nota è invece un rimaneggiamento, elaborato in occasione della seconda rappresentazione, svoltasi l’anno successivo al teatro di San Beneto, sempre a Venezia) fu poi eseguita in apertura della Stagione 2004-2005, a inaugurare il teatro ricostruito dopo il terribile incendio del 1996 che l’aveva completamente devastato. Per l’occasione, la regia fu affidata a Robert Carsen, il quale propose una lettura decisamente ardita: seguire il proposito verdiano di realizzare un’opera che fosse “segno dei tempi”, adattandola però ai nostri tempi, ma soprattutto cancellando quell’aura di idealizzazione e romanticizzazione che i personaggi avevano subito nel corso del Novecento.

La traviata, musicata da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave e ispirata al romanzo La dama delle camelie di Alexandre Dumas figlio, rappresenta un quadro della società borghese dell’epoca, le cui consuetudini sociali costituiscono lo sfondo delle tormentate vicende d’amore del giovane Alfredo e dell’amante Violetta. Carsen restituisce ai personaggi le loro più ruvide caratterizzazioni, non mancando di sottolineare la vera natura di Violetta, sostanzialmente una prostituta, pur rispettando il clima borghese dell’opera ed evitando ogni manifestazione di volgarità. Accanto al sesso, l’altro motore dell’esistenza corrotta della società tratteggiata da Carsen è il denaro, forza distruttrice e immorale che compra i corpi e distrugge le anime. Così, tutti i passaggi centrali della tragedia sono caratterizzati dall’ostentata presenza di gran copia di banconote: passano tra le mani di tutti, cadono addirittura dall’alto come foglie morte a formare un prato nel quadro boschivo del secondo atto. Tale allestimento, nonostante qualche critica arrivata soprattutto dal mondo anglofono a causa di alcune forzature del libretto, riscosse uno straordinario successo di pubblico e di critica, quasi diametralmente opposto al fiasco che aveva caratterizzato la prima del 1853, ed è stato così più volte ripreso nel corso degli anni successivi, e non solo a Venezia. Nel ventennale di quella fortunata “prima”, torna ora a essere riproposto alla Fenice, con interpreti di alta levatura, a consolidare ancor più quell’indissolubile legame che il teatro veneziano coltiva con quella che è universalmente riconosciuta come una delle più grandi opere scritte da Verdi. Nicolò Ghigi

The other ENG classic

The Fenice Theatre and Giuseppe Verdi’s Traviata have history. The opera debuted in Venice in 1853 in a seldom-performed first version (the one most commonly performed is, in fact, a second version). The former is also what we saw in 2004, inaugurating the newly-rebuilt Fenice Theatre after a fire destroyed it in 1996.

In that occasion, director Robert Carsen followed Verdi’s resolution of making a piece of opera that would be ‘the sign of the times’ and adapted it to our modern times, doing away with that idealism and romanticization that its characters were subject to over the course of the twentieth century. The Traviata’s story takes after Alexandre Dumas’ The Lady of the Camellias and is a depiction of bourgeois society of the time, the background of the love story between Alfredo and Violetta. Carsen renders the characters more vividly than ever, not shying away from making it clear that Violetta is, in essence, a prostitute, all the while respecting bourgeois customs, and never giving in to vulgarity. This staging was met with extraordinary success: both audiences and critics loved it, and we can’t wait to see it again in a few short days.

La traviata 22, 24, 27, 30 novembre Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

Immerse

classical

CONCERTI

Quante voci ha un arco?

Con la direzione artistica di Federico Pupo, la Stagione 2024 dello Squero si avvia alla conclusione dopo l’inaugurazione di marzo e un cartellone di undici concerti che fino al 7 dicembre saturano di note la raccolta atmosfera della sala affacciata sul Bacino di San Marco. Concerti solistici e di musica da camera che, con suggestivi intrecci strumentali, hanno tracciato lungo la primavera e l’estate un intenso percorso di ascolto dedicato a diversi repertori della storia musicale.

«Giovani interpreti, celebri solisti, importanti ricorrenze e nuove scoperte, compositori barocchi, classici e del secolo appena passato. Ecco, in sintesi, i contenuti della nuova stagione dei concerti – dichiara Maurizio Jacobi, Presidente di Asolo Musica – che Asolo Musica ha programmato in uno degli Auditorium più belli del mondo».

Il 9 novembre spazio ad un impaginato che varia da Johann Sebastian Bach e Marin Marais a Sofia Gubaidulina e Astor Piazzolla: protagonista dell’appuntamento, realizzato in collaborazione con Antiruggine, è il duo formato da Mario Brunello, violoncello, e Ivano Battiston alla fisarmonica.

Il concerto successivo, sabato 16 novembre, vede in scena un’altra grande stella del panorama concertistico internazionale: Shlomo Mintz, considerato da critici, colleghi e pubblico uno dei maggiori violinisti del nostro tempo, stimato per la sua impeccabile musicalità, versatilità stilistica e padronanza tecnica. Nato a Mosca nel 1957, due anni dopo è emigrato con la famiglia in Israele dove ha iniziato a studiare con Ilona Feher. A undici anni ha esordito con la Israel Philharmonic Orchestra e a sedici ha debuttato alla Carnegie Hall di New York con la Pittsburgh Symphony Orchestra, suo mentore fu il grande violinista Isaac Stern. L’illustre violinista presenta quattro dei ventiquattro Capricci per violino solo, op. 1 di Niccolò Paganini e i 6 Études à Plusieurs

Parties del violinista e compositore ceco Heinrich Wilhelm Ernst, trascinando il pubblico in un emozionante mondo di elegante virtuosismo.

Il penultimo appuntamento della stagione, il 30 novembre, vede il Quartetto di Venezia con Massimo Mercelli al flauto in un originale programma che mette sul leggio brani di Paul Hindemith, Krzysztof Penderecki e Claude Debussy.

La macchina del tempo

Il 12 novembre al Palazzetto Bru Zane prende il via la nuova rassegna di cine-concerti 2024-2025, dove il cinema delle origini si intreccia con la musica francese del grande Ottocento, al centro delle ricerche del Centre de musique romantique française. Protagonista dell’appuntamento è Il figliol prodigo (1916), un film dalla genesi affascinante, realizzato da Edmond Benoît-Levy e tratto dalla pantomima di Michel Carré fils (1890).

Nel 1907 Manuel de Falla si trasferisce nella Parigi delle avanguardie per ampliare i propri orizzonti musicali. Sopraffatto dalle difficoltà economiche, quell’estate entra a far parte come pianista di una compagnia teatrale in tournée per l’Europa, per interpretare la musica composta da André Wormser per la pantomima in tre atti L’Enfant prodigue, rappresentata nel 1890 al Théâtre des Bouffes-Parisiens, un grande successo a Parigi e l’anno successivo a Londra. Nel 1907 viene girato un film tratto da questa pantomima, presentato a Parigi il 20 giugno dello stesso anno. Per promuovere questo film – che rappresenta un unicum importante nella storia del cinema essendo uno dei primi lungometraggi (90’) – viene organizzata anche una grande tournée europea della pantomima originale. Partecipa un giovane e allora sconosciuto Manuel de Falla, che tuttavia viene presentato dalla stampa francese dell’epoca come: “pianista, compositore, laureato dell’Académie royale di Madrid”.

I film e la musica di questa pantomima furono uno dei grandi successi nella storia della nuova forma di spettacolo che iniziava a muovere i primi passi: il cinema. Primi passi che videro in un giovane Manuel de Falla un testimone che, a sua volta, tornato a Madrid, rielaborerà questo genere misto di pantomima, con la prima versione di El amor brujo (1915), con El corregidor y la molinera (1917) e forse in una nuova forma di spettacolo audiovisivo con la sua incompiuta Atlántida

Il cine-concerto del 12 novembre verrà introdotto da Paolo Pinamonti, musicologo e direttore artistico, noto per il suo impegno nella valorizzazione di opere poco conosciute. Juan Carlos Garvayo, pianista spagnolo e fondatore dell’ensemble Proyecto Guerrero, interpreterà dal vivo le musiche di André Wormser durante la proiezione. L’evento, proposto in collaborazione con la Fundación Juan March di Madrid, la Fundación Archivo Manuel de Falla di Granada e il Centre national du cinéma et de l’image animée (CNC) di Parigi – che ha cortesemente messo a disposizione il film – verrà replicato il 20 novembre all’Archivo Manuel de Falla di Granada, e il 30 novembre nella Fundación Juan March di Madrid. Stagione 2024 9, 16, 30 novembre Auditorium Lo Squero, Isola di San Giorgio www.asolomusica.com Il figliol prodigo 12 novembre Palazzetto Bru Zane bru-zane.com

© Andrei Birjukov

classical

Piano, forte Seconda edizione del Premio Alma Dal Co

«Se non sono in laboratorio, sono al pianoforte». Basterebbe questa frase di Alma Dal Co per rendere l’idea del rapporto che legava la giovane accademica alla musica.

Diplomata in pianoforte al Conservatorio Benedetto Marcello nel 2012, era appassionata anche al canto, in particolare a quello corale.

È stato un proseguimento doloroso ma carico di molteplici significati, il pensiero e subito la messa in atto di un Premio musicale a suo nome. Un percorso necessario che non interrompe, dove la vita interviene, anzi prosegue linearmente una strada che mostra ancora una volta la forza e il potere della musica, capace di abbattere le barriere del silenzio e del vuoto, riempiendole di speranze e di energia creativa.

La Fondazione Alma Dal Co, infatti, il 30 novembre, con la collaborazione della Fondazione Ugo e Olga Levi, ritorna al Conservatorio Benedetto Marcello per la seconda edizione del Premio Alma Dal Co, riservato ai migliori diplomati di secondo livello del Conservatorio stesso. Cinque borse di studio annuali di 1.000 euro lordi cadauna sono messe a disposizione dei vincitori, selezionati da una giuria composta dal direttore del Conservatorio, M° Roberto Gottipavero o da persona da lui delegata tra i docenti del Conservatorio, dal M° Diana D’Alessio in rappresentanza della Famiglia e della Fondazione Alma Dal Co, e dal Prof. Roberto Calabretto, delegato dal Direttore Giorgio Busetto in rappresentanza della Fondazione Ugo e Olga Levi. Il criterio di selezione si basa sul voto conseguito al diploma di II livello ottenuto nel corso dell’anno accademico 2023-24. Emblematica e carica di significati anche la borsa di studio assegnata alla migliore Composizione corale per voci femminili, composta sulla poesia Incendio, scritta da Alma Dal Co a Zurigo nel 2016 in occasione della notizia del grande incendio che devastò l’isola di Pantelleria, isola a cui fin da bambina è stata legata. Era il 28 maggio del 2016 quando a Pantelleria divampava un incendio alimentato dai forti venti di scirocco, che si protrasse per giorni, bruciando centinaia di ettari di bosco. Allo sgomento generale per la devastazione, seguì la risposta corale di istituzioni, associazioni e cittadini: a luglio dello stesso anno, a pochi mesi dall’incendio, Pantelleria divenne Parco Nazionale, il primo in Sicilia, e poco dopo il Comitato Parchi per Kyoto lanciò una raccolta fondi per il rimboschimento. Alma Dal Co non potè che essere colpita da una catastrofe naturale come questa per la propria forma mentis di fisico esperto in ecologia, dagli “interessi trasversali”, come si definiva e come tutti quelli che l’hanno conosciuta hanno avuto modo di sperimentare di persona.

The notes of a ENG beautiful soul

“If I’m not at the lab, I’m at the piano, or diving.” Her words are all it takes to know Alma Dal Co, a piano graduate at the Venice Music Conservatory whose life was cut tragically short by a diving accident. Alma loved song, too, especially chorus. Today, an award and scholarship in her honour will be awarded to local students, the best graduates at the Conservatory. Also meaningful is the scholarship endowment, which will be assigned to the best composition for female chorus on a poem that Dal Co wrote in 2016 after the fire that devastated the island of Pantelleria, in the far south of Italy. Dal Co loved to dive there, and that is where she met her untimely death. Institutions all around the world worked to alleviate Pantelleria’s predicament, the island was made a National Park, and the Kyoto Park Committee launched a fundraising campaign for reforestation. As a lover of nature, art, and as a researcher on the physics of ecology by profession, Alma Dal Co was deeply touched by the tragedy, as testified by everyone who knew her.

30

Premio Alma Dal Co
novembre Conservatorio Benedetto Marcello www.conservatoriovenezia.eu
Alma Dal Co

Incendio

La nostalgia arriva di colpo ora che sono lontana.

Qui la campagna profuma di terra bagnata di pioggia e di vita, e penso a ogni goccia che ti è stata negata.

Alla tua sete che dura da mesi, ai tetti bianchi che guardano il cielo, agli olivi riarsi, alle viti spente, al coro di tutte le piante, nel grande abbraccio dell’incendio che ora in un attimo se le piglia.

Ho pioggia e pianto sulle ciglia.

Eri nera di roccia, verde di vite. Adesso sei rossa di fuoco assetato, che l’uomo ha acceso e non ha domato.

Non basta il mare che ti versano addosso, stanotte sarai un punto rosso, solo e rovente nel mezzo del mare.

Piccola perla, senza aiuto, mentre qui piove sul bagnato, Le piante chine in riverenza, Chiedono al vento un po’ di clemenza.

Perla nera, altare sul mare, con le terrazze che salgono al cielo, sempre sarai nelle mani del vento, che per te decide la pioggia, e per te decide l’incendio.

Per ricordare Alma

Alma Dal Co consegue la maturità al Liceo Marco Polo di Venezia con il massimo dei voti nel 2007, mentre frequenta il Conservatorio e il coro femminile Látomás. La passione per la musica accompagna la sua formazione accademica: Laurea triennale in Fisica a Padova, Specialistica in Fisica della Complessità a Torino, Dottorato al Politecnico di Zurigo in Microbiologia e post doc. alla School of Engineering and Applied Sciences di Harvard a Cambridge (Mass.). Nel settembre 2021 Alma ottiene, giovanissima, il posto di assistant professor a Losanna al Dipartimento di Computational Biology, con un suo gruppo di ricerca, il dalcolab Nella sua pagina personale del sito di Harvard, durate il postdottorato con il professor Michael Brenner, Alma scrive: «Sono affascinata da come si presentano e si sviluppano funzionalità complesse nei sistemi biologici. Ora studio una varietà di sistemi multicellulari, dalle comunità batteriche agli organi in via di sviluppo. Se non sono in laboratorio, sono al pianoforte. Se non sono al pianoforte, sono sott’acqua a pescare in apnea». Alma ci ha lasciato il 14 novembre 2022, a 33 anni.

Alma Dal Co tratto da Incendio Zurigo, maggio 2016 dopo l’incendio di Pantelleria

La Fondazione Alma Dal Co ETS è stata costituita dai genitori, Margherita Emma Turvani e Mario Dal Co, per ricordarla. La missione della Fondazione è la promozione dei giovani nella scienza e nella musica, con l’attenzione rivolta alla parità di genere. La Fondazione compie un anno, un anno intenso iniziato il 2 dicembre 2023 con la prima edizione del Premio Alma Dal Co A marzo 2024, Alma Dal Co Lecture ad Harvard ha offerto a giovani ricercatori di assistere alla lezione e di incontrare, nella settimana di permanenza a Boston, i gruppi di ricerca di Harvard e MIT; ad agosto, il primo ISME - Alma Dal Co Early Career Award è stato consegnato a Città del Capo con la partecipazione di 1500 scienziati internazionali; il 15 novembre, il secondo Alma Dal Co Memorial Symposium all’Università di Losanna sarà promosso dal Dipartimento di Biologia Computazionale, dove Alma era docente; il 30 novembre alle 17.30, al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, avrà luogo la seconda edizione del Premio Alma Dal Co e il Concerto dei Vincitori. La premiazione del concorso sarà l’occasione per presentare il nuovo programma della Fondazione per il 2025, un anno di impegni significativi, a livello internazionale oltre che naturalmente a Venezia. Il Computational Biology Symposium l’8-9 settembre 2025 a Losanna sarà organizzato dal Dipartimento di Biologia Computazionale dove Alma lavorava. La conferenza avrà una sessione dedicata a una delle sue aree di ricerca: Modeling complex biological systems ; in autunno si terrà la seconda Harvard Alma Dal Co Lecture ; la Alma Dal Co School on Complex Behaviours, della durata di una settimana, sarà promossa in collaborazione con l’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti e i Dipartimenti di Fisica e Astronomia di Padova e di Biologia Computazionale di Losanna. La Scuola ospiterà 35 giovani scienziati che parteciperanno ad incontri con 17 speaker nella settimana dal 29 settembre al 4 ottobre 2025 a Venezia; la Conversazione su Scienza e Musica all’Istituto Veneto aperta al pubblico farà da ponte tra i due rami di interesse della Fondazione; infine il terzo Premio Alma Dal Co per la Musica, che si terrà successivamente alla conclusione della settimana della Scuola. almadalcofondazione.org/donate

classical

CONSERVATORIO BENEDETTO MARCELLO

Suoni e silenzi

Palazzo Pisani, una domus dell’ermetismo illuminato come Conservatorio

di Francesco Amendolagine e Stefano Noale

Il Palazzo

La famiglia Pisani fu protagonista di una esaltante avventura economica e culturale, snodatasi per secoli all’interno della storia della città lagunare. La sua repentina decadenza, politica prima che economica, è simile a quella di molte altre famiglie aristocratiche veneziane, che subirono l’impatto del ridimensionamento politico della Repubblica come causa prima della perdita di potere economico.

La storia di Palazzo Pisani di Santo Stefano, come dichiara la sua tipologia frammentata, è una storia di incastri e sovrapposizioni che rimanda alla tradizione gotica del costruire per parti. Fino al XVII secolo il Palazzo non ha le caratteristiche per proporsi come avvio di una grande architettura.

La presenza a Santo Stefano dei Pisani è certificata dalla proprietà di case di Nicolò detto Beltrame già nel 1328. Dall’erede di Nicolò, Almorò, non vi è più un’espansione della proprietà fino a che Alvise Pisani (1554-1622) detto Marco Antonio inizia ad ampliare la fabbrica del palazzo ex Priuli. Nel 1614 egli costruisce un edificio senza un progetto architettonico. A causa di un terremoto, nel 1634 il palazzo viene danneggiato e ricostruito. Tra il 1715 e il 1722 appare la figura documentata dell’architetto: il conte padovano Girolamo Frigimelica (1653-1732), il quale elabora finalmente un progetto di ristrutturazione e sopraelevazione utilizzando comunque il linguaggio dell’edificio precedente. Seguendo questa linea genealogica si giunge ad Alvise (16631741). che nel 1735 sale al soglio dogale. Il figlio, Almorò III, detto Alvise (1701-1767), avrà una progenie destinata a trasformare in una reggia l’antico Palazzo Priuli. Andrea, il figlio di Almorò I, detto Girolamo Francesco (n. 1690), nel 1751 acquisterà l’ex palazzo Poleni permettendo così alle proprietà Pisani di affacciarsi sul Canal Grande.

La Sala Egizia

La famiglia Pisani di Santo Stefano e il conte padovano Frigimelica, che «dilettossi… di scienze divinatorie» come testimonia il memorialista Francesco Torri, condividono la cultura massonica, già coltivata dal doge Alvise. Il progetto della Sala Egizia matura dall’incontro tra gli interessi formali dell’architetto e le scelte culturali e politiche di alcuni membri della famiglia. Destinata alla nuova ala del Palazzo, questa “gran sala eretta di mia invenzione alla similitudine delle sale egizie antiche” è attestata in una sua lettera del 6 giugno 1732 al duca Rinaldo d’Este (1655-1737). Il Frigimelica si riferisce alla famosa sala egizia di Vitruvio, riportata dal Palladio nel capitolo X del Libro II nel 1570 e ripresa dall’architetto francese Claude Perrault (1613-1688) nella traduzione del De Architectura, pubblicata dopo il 1676 e che ebbe una grande fortuna editoriale anche in Italia. I fermenti massonici presenti nell’ambito culturale e politico Frigimelica-Pisani fanno pensare ad una ripresa del tema egizio nell’ambito della cultura latomista, come è anche definita quella massonica. Nell’ambito veneto, il Palladio era punto di riferimento della “vera” architettura secondo la visione massonica.

La Massoneria

L’attività diplomatica di Alvise Pisani, futuro Doge, si accompagna all’impegno del fratello Almorò (n.1660) nell’incaricare nel 1720 l’architetto padovano ad ampliare la biblioteca di Palazzo di Santo Stefano, iniziata dal fratello Lorenzo. Alvise rivestì incarichi diplomatici sia a Parigi (1699-1703), sia a Londra (1706-1707), dove può essere stato influenzato dalla nascente cultura massonica, soprattutto di area anglosassone, dove la figura del Palladio venne considerata come modello di riferimento dell’architettura illuminista. La strada era stata aperta da Inigo Jones (1573-1652), affiliato alla Massoneria seicentesca nella sua espressione cattolica, definita dagli storici col termine di ‘operativa’. I rapporti tra la famiglia Pisani e la Massoneria veneziana e internazionale proseguirono per tutto il XVIII secolo, per giungere al culmine nel 1784 con la visita del re Gustavo III di Svezia (1746-1792), che ebbe nel Palazzo di Santo Stefano il suo fulcro. La figura legata alla più importante Loggia veneziana, quella di rio Marin, nella seconda metà del secolo fu Almorò Pisani detto Alvise (1754-1808), Cavaliere e Procuratore. Attraverso i suoi impegni diplomatici divenne amico del suddetto re di Svezia, anch’egli massone.

Un regale Palazzo Il sovrano giunse a Venezia in incognito e il Pisani lo ospitò nel palazzo di famiglia, scaricando la Repubblica da ogni spesa di rappresentanza. Lo stanzino decorato a stucco, con simboli massonici, tuttora esistente, potrebbe essere stato allestito in quell’occasione. Ironicamente, il sovrano ammise che a Stoccolma non avrebbe potuto ricambiare l’accoglienza ricevuta con altrettanta sontuosa architettura. Questa dichiarazione coram populo può essere giustificata, data la nota adesione del Re alla Massoneria, come captatio benevolentiae rivolta alle forze filomassoniche della società svedese. Il monarca si era recato, prima di soggiornare a Venezia, a Firenze per incontrare Carlo Edoardo Stuart (1720-1788), che, secondo il Papa, era pretendente legittimo al trono d’Inghilterra e come tale detentore delle onorificenze di discendenza cattolica e della Massoneria operativa. Il pretendente cedette alle insistenze del sovrano svedese e rilasciò una patente di Gran Maestro dell’Ordine Templare per mille Luigi d’oro, pur essendo tutti e due consci dell’inconsistenza del titolo.

È probabile che il salotto massonico di Ca’ Pisani sia stato modello per i molti e documentati salotti massonici approntati a Venezia e nel Veneto, come ad esempio il ben conservato e restaurato salotto massonico di Palazzo Marcello in rio Terà degli Assassini. La moda dei salotti massonici dilagò in Europa fino alla conclusione dell’avventura napoleonica e furono elaborate ti varie tipologie e forme, comunque sempre caratterizzate dalla presenza di decorazioni con la simbologia della Massoneria: il compasso, la livella, la squadra e la cazzuola, come nei due salotti di palazzo Della Torre a Pordenone. Gli stuccatori presenti a palazzo Pisani rappresentano l’eccellenza nel secolo XVIII a partire da Abbondio Stazio (1663-1757), per giungere poi a Giuseppe Ferrari e Francesco Re, tutti facenti parte degli artisti dei laghi o maestri comacini, come venivano anche chiamati.

Palazzo Pisani è da quasi 150 anni (li celebrerà nel 2026) sede del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia.

Corte interna di Palazzo Pisani su progetto del conte Gerolamo Frigimelica (1653-1732)
Sala Egizia, Palazzo Pisani
Statua di donna velata presente nella corte dI Palazzo Pisani con le teste di sacerdoti egizi

Intervista Filippo Dini | Direttore Artistico Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale

ATTO COLLETTIVO

Il teatro si rivolge al nostro “Io” bambino: la messa in scena, la finzione, sono modi per rappresentare i nostri sogni, i nostri incubi e le nostre speranze

La guida dei poeti, la centralità degli attori e l’idea di un lavoro collettivo sono i punti cardine della visione artistica di Filippo Dini, neodirettore artistico del Teatro Stabile del Veneto –Teatro Nazionale, chiamato a firmare un progetto per il prossimo triennio che prende il via con la Stagione 2024-25. Dini è uno dei nomi emergenti del palcoscenico italiano, regista pluripremiato per la sua ingegnosa creatività, attore poliedrico che è maturato nella storica Scuola dello Stabile di Genova. Il palcoscenico, nella sua visione, rappresenta il luogo dove si genera bellezza capace di trasformare l’ordinario in straordinario. Di svelare, attraverso un gioco di strappi, un mondo meraviglioso, di suscitare stupore e curiosità, come un “colpo di scena”, titolo scelto per la stessa stagione. Teatro Goldoni di Venezia, Teatro Del Monaco di Treviso e Teatro Verdi di Padova, tre realtà molto diverse ma che nella visione di Dini concorrono tutte ugualmente per la crescita di una squadra unita e determinata. In cartellone oltre 80 spettacoli, di cui 38 titoli in abbonamento (13 in programma a Venezia, 13 a Padova e 12 a Treviso), numerosi progetti per il territorio, 4 proposte dedicate alle scuole superiori e 15 titoli di produzioni e co-produzioni per oltre 350 giornate di spettacolo dal vivo.

A poche ore dal debutto della stagione, con Il Milione di Marco Paolini, abbiamo incontrato il nuovo direttore per farci accompagnare nel cuore di una programmazione sfaccettata sia in termini di contenuti, che di potenziali, diversi pubblici a cui intende rivolgersi.

Quali gli ingredienti fondamentali per costruire una stagione di successo?

Innanzitutto va detto che questa è la mia prima stagione da direttore e ne vado particolarmente orgoglioso, come lo sarò sicuramente anche delle successive.

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Gli ingredienti fondamentali per costruire una stagione sono molteplici. Innanzitutto la drammaturgia: parto sempre dalla scelta degli autori. Sono convinto, infatti, che le parole dei grandi autori abbiano il potere della rinascita e possano esserci d’aiuto quotidianamente, come una specie di fede o religione, migliorando la cultura e la percezione della sua essenza.

In secondo luogo i grandi interpreti: essendo un attore, credo nel valore dell’interprete, dell’attore italiano come punto di riferimento del teatro di prosa, in quanto la nostra tradizione, la nostra storia, il nostro passato rappresentano un’eccellenza assoluta nell’arte drammatica. Altro ingrediente fondamentale lo sguardo al territorio: il Veneto è ricchissimo di talenti emergenti e non, una terra di grande ispirazione per moltissimi progetti. Ci sono artisti veneti che sono delle vere eccellenze a livello nazionale.

Infine la nuova drammaturgia, un elemento cui tengo molto. In Italia e anche in Veneto non è semplicissimo riuscire a conciliare la novità con un grande successo, con la sala piena. Si dice che il pubblico sia molto diffidente verso la nuova drammaturgia e perciò, sebbene io creda che questo sia vero solo a metà, si incontra sempre un po’ di difficoltà nel proporre nuovi testi e nuovi autori. Tuttavia non solo abbiamo estremamente bisogno di nuove voci e nuovi punti di vista, ma come Teatro Nazionale abbiamo il dovere culturale e intellettuale di proporre e promuovere la nuova drammaturgia. Tutto ciò detto e premesso, mi riservo anche una quota di libertà, lasciandomi influenzare dalla vitalità delle proposte che ricevo, dalla moltitudine di progetti che vengono presentati con grande entusiasmo, laddove colga una necessità, un’autentica e intrigante urgenza espressiva da parte di chi li propone. Facendo il regista da tanti anni so bene cosa significa promuoversi e ‘vendere’ i propri sogni, per cui quando intravedo questa necessità da parte di un artista mi parrebbe un delitto non assecondarla.

di Mariachiara Marzari e Chiara Sciascia
Filippo Dini - Photo MarcoZambon
Marco Paolini, Il Milione
Andrea Pennacchi, Arlecchino?
Lodo Guenzi, Molto rumore per nulla
Re Chicchinella, regia di Emma Dante - Photo Masiar Pasquali
I parenti terribili, regia di Filippo Dini - Photo Serena Pea

theatro

TEATRO STABILE DEL VENETO – TEATRO NAZIONALE FILIPPO DINI

Come si inserisce un Teatro Nazionale così radicato nel proprio territorio regionale nel panorama italiano, per molti in crisi?

“Il teatro è in crisi” è una frase che sento dire da quando sono nato. L’ho sentita dire e l’ho vista scritta anche nei secoli precedenti. Sembra che il teatro sia sempre in crisi. Ovviamente il teatro ha subito delle mutazioni, alcune radicali: una volta si facevano molte più giornate di spettacolo, le tournée erano più lunghe, ma poi sono cambiate le leggi e molte altre cose ancora.

Ciò che non è cambiata è la sua unicità rispetto al cinema o ad altre forme d’arte, forse con l’unica eccezione della lirica. Il teatro è un’arte che si fruisce esclusivamente dal vivo. È un atto collettivo, non solo per chi lo realizza sul palco, ma anche per chi lo vive in platea. Non può essere solitario o individualista e nei rarissimi casi in cui lo diventa fallisce. Il teatro si può apprezzare singolarmente in maniera intima e autonoma, nel silenzio e nel buio di una sala, ma sempre insieme ad altre persone. Questo aspetto lo rende estremamente particolare e unico: non può essere vissuto in altro modo. In questo senso credo che il teatro sarà sempre più o meno in crisi, tuttavia sarà anche sempre destinato ad essere un’arte fortunata. Le persone ne hanno una necessità intrinseca, perché tocca corde profonde dell’animo umano; è un qualcosa di arcaico, ma anche di profondamente infantile. Il teatro si rivolge al nostro “Io” bambino: la messa in scena, la finzione, sono modi per rappresentare i nostri sogni, i nostri incubi e le nostre speranze.

La cosiddetta “crisi del teatro”, secondo me, non è altro che una ormai canonica forma di espressione attraverso la quale noi teatranti ci lamentiamo. Perciò non ritengo che corrisponda davvero a un dato reale. Anzi, dopo il Covid il teatro è stato il genere di spettacolo che si è ripreso più velocemente, perché le persone avevano bisogno di tornarvici: è proprio nei momenti di difficoltà che abbiamo bisogno dell’arte e quindi del teatro.

Un esempio eloquente a riguardo è lo spettacolo che sto provando ora, I parenti terribili, che fu messo in scena per la prima volta nel 1945 al Teatro Eliseo di Roma. In quel momento la Capitale era sotto coprifuoco. Possiamo solo immaginare le difficoltà di lavorare in quelle condizioni, quando a una certa ora tutti dovevano correre a casa. Roma era stata liberata, ma non c’era ancora l’elettricità. Fuori dal Teatro Eliseo un trattore alimentava i riflettori per illuminare il palcoscenico. La regia era di Luchino Visconti e il testo, scritto pochi anni prima da Jean Cocteau, era una novità assoluta, quello che oggi chiameremmo “drammaturgia contemporanea”. Eppure, proprio in quel momento, la gente sentiva il bisogno di andare a teatro, di perdersi, sognare e immaginare.

Quali sono le linee programmatiche che ha iniziato ad elaborare e che vorrebbe sviluppare nel corso del suo triennio di lavoro e ricerca?

Prima ho dimenticato di menzionare un altro ingrediente fondamentale che ritengo necessario nella costruzione di una stagione, ovvero il dialogo, lo scambio. Ogni anno proporremo i nostri contenuti seguendo filoni, correnti e temi diversi. Uno di questi sarà certamente il focus su un autore vivente. Nel 2025 protagonista sarà Peter Handke, Premio Nobel per la Letteratura nel 2019, grandissimo intellettuale, uomo di lettere e di teatro, autore di testi straordinari, personaggio molto scomodo politicamente per alcune sue scelte e

dichiarazioni. Anche nel 2026 e nel 2027 l’attenzione verso un autore contemporaneo sarà una costante, ma al momento non posso svelare ancora nulla a riguardo. Un altro filone che svilupperemo sarà quello rappresentato dallo scambio internazionale con teatri di altri Paesi, proponendo delle vere e proprie co-produzioni. Questa iniziativa mi riempie di gioia: è un dovere per un Teatro Nazionale mostrare anche prospettive sovranazionali, ma soprattutto è anche un piacere, perché tutte le realtà con cui sono entrato in contatto in questi mesi per preparare il triennio hanno sempre accolto le nostre proposte con grande entusiasmo.

Che si tratti di un teatro francese, spagnolo o di Dublino, ogni incontro è stato felice, come se aspettassero soltanto una chiamata dal Teatro Stabile del Veneto.

Nel 2025 il primo scambio produttivo sarà con il Teatro di Rijeka (Fiume), una co-produzione con la regia di Giorgio Sangati su testo di Carlo Goldoni.

Insomma, spazio libero e aperto a grandi incontri, grandi scambi, a volte complessi da gestire, ma sempre animati da una forte volontà di dialogo e di collaborazione.

E poi c’è il territorio, il Veneto appunto. Quale percorso di conoscenza ha intrapreso in questa direzione?

Il Veneto è una grande regione. Sto cercando di conoscerla con tutte le mie forze e la mia passione; fa parte del mio mandato conoscere il pubblico e il territorio con il quale si ha un rapporto così diretto. È una terra bellissima, estremamente complessa e ricca, abitata da un popolo fiero e orgoglioso, connotato da una decisa disposizione a migliorarsi. Tuttavia ho anche percepito un forte desiderio di autoaffermazione. So che queste parole possono sembrare superficiali o generalizzanti, ma sono solo impressioni a caldo, dopo qualche mese passato qui. Vi è una forte e sacrosanta necessità di preservare orgogliosamente ciò che è unico e speciale, anche se questo talvolta può rappresentare un ostacolo, perché rende più difficile il confronto con altre realtà, anche quelle più vicine. Mi auguro invece che proprio l’orgoglio e la bellezza di Venezia, Treviso e Padova possano essere motore per uno scambio reciproco costante. Sono tre città straordinarie, ognuna con le proprie caratteristiche. Per ciascuna è stato necessario ideare un cartellone differente che tenesse conto delle rispettive specificità, ma che allo stesso tempo presentasse delle affinità. Il nostro scopo è infatti quello di essere e di presentarci come una realtà compatta, una squadra con un obiettivo comune: siamo il Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale. L’intera struttura, dal CdA con il presidente Beltotto, il direttore generale Claudia Marcolin e tutto lo staff del TSV hanno lavorato duramente assieme ai miei predecessori per ottenere questa qualifica, per cui oggi non possiamo che vivere con legittimo orgoglio e altrettanta serietà il fatto di essere uno dei sette Teatri Nazionali in Italia.

La cosa molto interessante del suo approccio, che ci appare assai diverso da quello dei suoi predecessori, è l’apertura all’esterno, al panorama nazionale e internazionale. Sono molto interessanti sia i focus sugli autori che le collaborazioni a livello europeo, il che potrebbe rappresentare una carta vincente per uscire dalla “venetudine”... Non voglio essere frainteso: tengo moltissimo alla “venetudine”, ma non dobbiamo assolutamente fermarci lì. Le radici vanno rispettate

e valorizzate, tuttavia, proprio grazie alla forza di queste radici, dobbiamo aprirci all’esterno. Prendiamo ad esempio quanto successo quest’estate con lo spettacolo Titizé della compagnia Finzi Pasca: abbiamo avuto ben 14.000 spettatori! Non è un mio merito personale, non me ne prendo il vanto, dato che è un progetto che ho ereditato felicemente. È stata una vittoria assoluta, considerando che non c’era tradizione di una permanenza estiva così lunga al Teatro Goldoni. Una scommessa completamente vinta. Uno spettacolo che parla di Venezia, ma da una prospettiva diversa, nato dall’innamoramento del regista per la città, un autore svizzero con una visione raffinata dal punto di vista formale e una fantasia misteriosa, capaci nel loro insieme di restituire un profilo magico della città andando ben oltre le solite immagini da cartolina. È stata un’esperienza straordinaria che dimostra come sia possibile creare progetti che si riferiscono anche solo a un segmento specifico del territorio mantenendo però una visione aperta e internazionale.

A Venezia c’è un’altra istituzione importantissima che si occupa di teatro, La Biennale. Ha già considerato nel suo percorso futuro di costruire una collaborazione?

Non vedo l’ora di incontrare il direttore artistico della Biennale Teatro, di cui sono un grande fan. Sono stato felicissimo della sua nomina, un’ottima scelta che considero il classico “colpo di genio”. Willem Dafoe è prima di tutto un uomo di teatro, anche se è conosciuto meno in questo ruolo. La nomina da parte di Pietrangelo Buttafuoco è stata una lezione importante, un esempio contro le ricorrenti pratiche poco trasparenti nelle nomine italiane. Non nel mio caso però; ci tengo infatti a sottolineare che sono stato votato dal CDA, che ho dovuto sostenere due audizioni per diventare direttore e che quindi non ho avuto supporto alcuno dai cosiddetti “santi in Paradiso”, che non ho, anche se una volta qualcuno ha insinuato che io vincessi premi solo perché sono il figlio di Lamberto Dini... In realtà mio papà era un maestro elementare, non ha mai fatto né il Ministro, né il Presidente del Consiglio.

Per quanto riguarda La Biennale, c’è già stato un primo contatto e sicuramente desidero collaborare con questa straordinaria istituzione del contemporaneo, ma in realtà voglio collaborare con tutti! Con Arteven abbiamo già avviato un dialogo e con il Teatro Olimpico di Vicenza stiamo concordando uno spettacolo da realizzare insieme ogni anno. Stiamo lavorando anche con l’Estate Veronese e con altri teatri veneti. Non è questo solo un impegno legato all’obbligo di sviluppare ed articolare il più possibile le attività del Teatro Stabile del Veneto, ma una più vissuta ed ampia disposizione espressione di un autentico desiderio di dialogo e scambio non solo con le varie città del territorio, ma anche con i soggetti più vitali con cui fatalmente ci incrociamo nel nostro lavoro, in primis naturalmente con istituzioni del livello della Biennale.

Sono convinto che quando ci si siede a tavolino per immaginare qualcosa insieme il risultato che ne esce alla fine è sempre migliore. Questo è il mio lavoro insomma: faccio l’attore e il regista e sono abituato a dialogare.

Al Teatro Verdi di Padova la stagione debutta con lei protagonista della scena come attore e regista ne I Parenti

Terribili. Cosa significa per lei letteralmente calcare la scena, esserne parte attiva oltre che dirigerla?

Faccio sia l’attore che il regista dei miei spettacoli da anni. Questa combinazione è la forma migliore per esprimermi. Innanzitutto ci metto la faccia: se qualcuno ha qualcosa da dire o da fischiare, mi trova lì presente. Sono partito da una formazione attoriale, poi ho aggiunto la regia e ora il ruolo di direttore di teatro. Provengo per

simpatia e affinità dalla stagione che, dopo la Commedia dell’Arte, considero la più fortunata del teatro italiano, ovvero quella dei grandi capocomici, che va dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento, periodo in cui sono nati i teatri stabili. Un’epoca che ha offerto la possibilità di vedere il grande teatro italiano, con la straordinaria fortuna di poter apprezzare attori magnifici, primi fra tutti Eleonora Duse, Eduardo De Filippo, Tommaso Salvini, Gustavo Modena e tanti altri ancora. In Italia il teatro di prosa si fonda sugli attori: dalla Commedia dell’Arte in poi l’attore italiano ha influenzato l’arte drammatica in tutto il mondo. Basti pensare che il maestro di Molière era un attore italiano e che il metodo di Stanislavskij è stato ispirato da un attore italiano. I grandi maestri della regia in Italia non hanno fatto scuola, non hanno lasciato discepoli, sono stati i grandi attori a fare sempre scuola. Gian Maria Volonté ha lasciato dei discepoli ad esempio; io stesso mi ritengo in qualche modo tale, anche se non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo personalmente. Credo profondamente nel teatro capocomicale capace di valorizzare il lavoro degli interpreti. Il regista non deve imporre la propria visione, deve condividere il processo creativo con gli attori. Questo mi ha portato, in modo piuttosto naturale, a essere un attore che dirige i suoi spettacoli. Durante le prove mi muovo tra l’essere dentro e fuori dal lavoro, il che mi permette di cogliere le dinamiche sia dello spettacolo sia degli interpreti, le loro necessità, le eventuali difficoltà che incontrano.

Dopo il successo dello spettacolo estivo in permanenza Titizé, entriamo ora nel vivo di questa nuova stagione del Teatro Goldoni di Venezia che debutta con Il Milione di Marco Paolini, per proseguire poi con Lodo Guenzi e Veronica Cruciani alle prese con Shakespeare, Emma Dante, Andrea Pennacchi, solo per citare i primi, attesissimi appuntamenti. Quale intreccio di storie vedremo rappresentate e quale idea teatrale verrà offerta al pubblico?

La risposta è già contenuta nei titoli che ha citato, a partire da Marco Paolini, il ‘prodotto’ più luminoso di questa terra. Di lui si possono dire solo meraviglie per quanto è stato capace di reinventarsi continuamente sempre cimentandosi su temi estremamente affascinanti e ‘ombrosi’, almeno finché non li ha portati alla luce lui. E poi, certo, Lodo Guenzi, Emma Dante, Andrea Pennacchi, che insieme a Baliani riscrive il classico Arlecchino servitore di due padroni, Silvio Orlando, Arturo Cirillo, Stivalaccio Teatro… Tante possibilità, una straordinaria pluralità di visioni. Questi artisti non solo radicano il loro lavoro nella tradizione, ma lo ampliano, portando freschezza e innovazione. La pluralità di voci in questo programma è un elemento chiave: ogni artista ha una visione unica, irriducibilmente propria, e questo è ciò che trovo entusiasmante.

Il lavoro di reinterpretazione di una commedia shakespeariana di Lodo Guenzi, teatrante prestato alla musica, anziché il contrario come pensano tutti, è molto interessante e a tratti molto divertente. Emma Dante è la punta più luminosa di un certo tipo di teatro che ha sempre fatto fatica in Italia. In un contesto in cui le donne oggi si trovano ancora ad affrontare significative sfide, Emma Dante è riuscita con una personalità potentissima a rendere il teatro di ricerca un prodotto amato da moltissime persone. La carriera di Pennacchi la conosciamo tutti; ora si mette a disposizione di Baliani per reinventare un Arlecchino contemporaneo. Ecco, questa è la mia idea di teatro: ogni volta che mi viene proposto un progetto che non comprendo appieno inizio ad appassionarmi e a incuriosirmi, perché si tratta di uno stile o di un gusto della fantasia che non conosco e rappresenta dunque l’inizio di uno scambio di ricchezza, di un qualcosa che mi potrà soltanto migliorare.

Le verità nascoste

Veronica Cruciani dirige Lodo Guenzi in un classico shakespeariano

Dal 15 al 17 novembre al Teatro Goldoni, Veronica Cruciani dirige Lodo Guenzi e Sara Putignano in Molto rumore per nulla, uno dei testi più conosciuti di William Shakespeare. Come in molte delle commedie del Bardo, si tratta di una storia giocata su scambi di persona, intrighi, duelli e giochi di parole. E proprio i giochi di parole vengono ad assumere in questa vicenda un significato fondamentale: l’intera opera si articola infatti su equivoci originati da ciò che i protagonisti dicono. Tutti i personaggi vengono ingannati, truffati dalle parole che loro stessi pronunciano o ascoltano. Quello che Shakespeare mette in evidenza, scrivendo quest’opera, è il potere delle parole e della loro interpretazione, la forza del racconto, in una vicenda in cui vero e falso non sono altro che le diverse versioni di una stessa realtà.

Gran parte di questa tragicommedia ruota attorno alla scrittura di messaggi segreti, allo spiare e origliare conversazioni riservate. Le persone fingono costantemente di essere altro da quello che sono, vengono scambiate per altre persone o sono raggirate continuamente. I due protagonisti dell’opera sono Beatrice, interpretata da Sara Putignano e Benedetto, impersonato da Lodo Guenzi: entrambi hanno tendenze linguistiche che li definiscono. Beatrice è vista (nel pregiudizio dell’epoca) come “bisbetica” a causa della sua “lingua tagliente”. Mentre lo stile di conversazione metaforico di Benedetto è ciò che porta Don Pedro a definirlo “dalla sommità della testa alla pianta del piede tutta allegria”. A completare il cast un gruppo di giovani attori che contribuisce a rendere al meglio il clima scanzonato dell’opera: Paolo Mazzarelli, Francesco Migliaccio, Marco Quaglia e Romina Colbasso, Lorenzo Parrotto, Davide Falbo, Marta Malvestiti, Andrea Monno e Gianluca Pantaleo. Da segnalare le scenografie di Anna Varaldo, che alternano la semplicità delle linee nelle strutture mobili alla vivacità delle decorazioni floreali, e il disegno luci di Gianni Staropoli. L’ambientazione ricorda infatti un pop altolocato e creativo con colori sgargianti e costumi di epoche svariate: dall’antica Roma agli anni Cinquanta, dalla Spagna agli anni Settanta, fino a t-shirt e scarpe All Star. Fondendo antichità, tradizione e modernità il messaggio della regista diventa universale. Con una compagnia di attori dinamica e un’ambientazione fresca, l’interpretazione della commedia del Cinquecento diventa parte dell’attualità e del quotidiano. Ingiustizie e pregiudizi ancora forti nei confronti delle donne, l’incomunicabilità tra mondo maschile e mondo femminile, la mancanza di serietà nel gestire i sentimenti altrui e i propri, sono temi e spunti più che attuali. Katia Amoroso

Molto rumore per nulla 15-17 novembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

Toni Servillo presenta il suo spettacolo Il fuoco sapiente al Teatro Goldoni il 12 novembre inaugurando la nuova rassegna collaterale Fuoriserie, che porta sui palchi dello Stabile del Veneto gli artisti più amati dal pubblico più amati dal pubblico, con narrazioni a sfondo sociale su tematiche di bruciante attualità. Il testo è scritto da Giuseppe Montesano, romanziere, filosofo e drammaturgo di fiducia del carismatico attore napoletano. Servillo è stato recentemente inserito dal New York Times tra i 25 più grandi del XXI secolo. Protagonista di questo nuovo spettacolo è la Grecia antica, la terra tra Oriente e Occidente in cui vissero Omero e Socrate, Saffo e Platone, Sofocle e Epicuro. Con parole e concetti mai banali, intervallato da note di brani jazz a partire da Summertime, Servillo riporta lo spettatore davanti alla grandezza dei Greci, quella »civiltà che pretendiamo di chiamare nostra. Ma il loro era un sentire, non solo un modo di pensare, di cui oggi siamo indegni». Servillo invita il pubblico a riaccendere quel “fuoco sapiente” che ha creato un’intera civiltà. Ma è necessario bruciare, ardere di bellezza, passione, conoscenza, eros. È questa la lezione eterna dei greci che il testo di Montesano sottolinea quanto l’umanità oggi abbia purtroppo dimenticato. Lo spettacolo coinvolge lo spettatore in un realistico bilancio con una cultura straordinaria, quella greca, della quale si è convinti di essere gli eredi, ma che in realtà è molto lontana da noi. Citando e rileggendo i classici, Servillo invita ad abbandonare gli “avatar digitali”, a non sacrificare tutto al “totem elettronico”, a non essere narcisisti, ad aprirsi agli altri, a non chiudersi nei confini dell’Io e del possesso, ad amare l’altro furiosamente, come se fosse un Dio o una Dea. Oggi, se non ci si vuole spegnere lentamente nella decadenza che è chiamata modernità, si deve ritrovare quel fuoco sapiente che accende il cuore e la mente. “Un viaggio che vuole essere un antidoto alla paralisi del nostro pensiero” lo definisce Servillo. E uno dei sapienti greci citati nello spettacolo dice «Il sole è nuovo ogni giorno». Katia Amoroso

Toni Servillo - Il fuoco sapiente 12 novembre Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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STAGIONI

Labirinti kafkiani

Gassmann porta in scena l’universo inquieto dell’autore boemo nel centenario della morte

Uno scimpanzé evoluto e un uomo-talpa. Il primo si rivolge al pubblico con voce roca e baritonale mentre con l’andatura animalesca tipica del primate si arrampica su e giù da un trespolo, epperò vestito con frac e gilet. Il secondo, con una parlantina veloce e sincopata dall’accento vagamente nordico, si muove schizofrenico dentro e fuori dai buchi di una scenografia che sembra un gigantesco sacco di Burri. In scena, solo dall’inizio alla fine, c’è Giorgio Pasotti. Alla regia, Alessandro Gassmann. Lo spettacolo è Racconti disumani, che Gassmann ha costruito scegliendo di mettere in scena due racconti di Franz Kafka, Una relazione accademica e La tana. Il primo, pubblicato nel 1917, racconta di una scimmia che, nell’arco di cinque anni, si integra alla società umana per uscire dalla gabbia nella quale è stata rinchiusa, guadagnandosi una sorta di lasciapassare di libertà. «La prima cosa che ho imparato è stata la stretta di mano», così inizia il suo racconto, quando con un tono tra il divertito e il distaccato la scimmia ripercorre lo studio delle abitudini degli esseri umani, che con sorprendente facilità possono essere imitate. La tana è uno degli ultimi racconti di Kafka, scritto durante la permanenza a Berlino nel 1923 e pubblicato postumo nel 1931. Qui il protagonista, metà roditore e metà architetto, cerca disperatamente di costruirsi un’abitazione perfetta, un elaborato sistema di cunicoli e piazzette sotterranee che lo protegga da nemici invisibili, in una ossessiva ricerca di sicurezza che invece genera solo ansia e terrore. La messa in scena di queste due umanità “dis-umanizzate” – una che mette a nudo la superficialità di un modo di essere attraverso comportamenti stereotipati, l’altra che racconta il bisogno di costruirsi il riparo perfetto che ci metta al sicuro da ogni interferenza esterna – filtrata dalla visione di Gassmann si traduce in un

unico spettacolo dal ritmo sostenuto, mai noioso né verboso, che è vero intrattenimento di alto livello, sorretto dalla maestria attoriale di Giorgio Pasotti. Era tempo che i due attori, entrambi direttori di Stabili, cercavano qualcosa a cui collaborare, e questa coproduzione tra Teatro Stabile d’Abruzzo e Stefano Francioni Produzioni è stata l’occasione perfetta. Scegliendo Una relazione accademica, oltretutto, Gassmann riporta alla ribalta un cavallo di battaglia del padre Vittorio, che in un certo senso portò il Kafka teatrale in Italia: un (potenziale) scoglio, superato dall’interpretazione di Pasotti dove la gestualità bestiale rimane – forte di un formidabile controllo del corpo figlio di un passato nelle arti marziali – laddove il Mattatore era un’ex-scimmia dalle movenze eleganti e di classe. A condurre con perizia tutti gli elementi della scena c’è il gruppo di lavoro che Alessandro Gassmann ci ha abituato a vedere nei suoi spettacoli, già quando più di dieci anni fa era alla guida dello Stabile del Veneto ed era arrivato a Venezia e Padova con spettacoli come Roman e il suo cucciolo e Riccardo III : Pivio e Aldo De Scalzi per le musiche, Mariano Tufano per i costumi, Marco Palmieri per il lavoro di light design, e Marco Schiavoni per le realizzazioni video. Due racconti che narrano di quanto sia importante la libertà, di come inseguirla, conquistarla e tutelarla, per non dimenticarla – un tema particolarmente significativo e contemporaneo per uno spettacolo che ha debuttato due anni fa, in un momento in cui l’argomento era particolarmente sentito. «Penso sia il momento giusto per ridare la parola a questo gigante del teatro e della letteratura – commentava infatti Alessandro Gassmann alla prima di Racconti disumani ancora segnata dagli strascichi della pandemia –, proprio oggi, quando molte delle paure da lui raccontate, trovano posto nella realtà che viviamo». «Franz Kafka, – proseguiva – […] sorprende, lavora sulla parte profonda di noi stessi, sempre con una visione personale, riconoscibile, inimitabile». Livia Sartori di Borgoricco

Cronache da un futuro distopico

1984, il capolavoro di George Orwell che ha elaborato e diffuso il concetto di Grande Fratello arriva per due serate al Teatro Toniolo, il 27 e 28 novembre. Una produzione Goldenart diretta da Giancarlo Nicoletti (Premio Franco Enriquez 2023), con l’adattamento firmato nel 2013 da Robert Icke e Duncan Macmillan che grande successo ha riscosso a Londra e Broadway, una rilettura originale e contemporanea costruita per coinvolgere intensamente il pubblico in sala. Sotto la guida di Nicoletti, una compagnia di talenti provenienti da cinema e teatro, che ha tra i suoi protagonisti Violante Placido (Julia), Ninni Bruschetta (O’ Brien, uno dei leader più spietati del Partito molto somigliante a Steve Jobs) e Woody Neri (Smith).

La storia che Orwell scrive subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1948, è nota: in un distopico futuro il mondo è diviso in tre superstati in guerra fra loro – Oceania, Eurasia ed Estasia. L’Oceania, la cui capitale è Londra, è governata dal Grande Fratello, che tutto vede e tutto sa. I suoi occhi sono le telecamere che spiano di continuo nelle case, il suo braccio la psicopolizia che interviene al minimo sospetto. Niente, apparentemente, è proibito. Di fatto, tutto lo è. In questo scenario si muove il compagno Winston Smith, rivoluzionario nel momento in cui decide di scrivere un diario, quando si lega alla compagna Julia, quando entrambi mettono in discussione la verità del loro tempo. La rilettura di Icke e Macmillan prende invece le mosse dall’appendice di 1984, quasi sempre trascurata, dove, leggendo tra le righe, si scopre che il partito del Grande Fratello è caduto prima dell’anno 2050, aprendo così uno spiraglio di speranza che incrina la portata pessimista di libro e spettacolo: in questa versione troviamo quindi un gruppo di storici che, nel 2050, scopre il diario del compagno 6709, Winston Smith, scritto appunto nel 1984. Il lavoro di regia e dello staff creativo parte dalla dirompente contemporaneità del testo e dalla potente forza profetica del messaggio. Ecco, quindi, che nel tentativo di riportare questi caratteri direttamente sulla scena, quello a cui assiste lo spettatore è un live show, impattante, dall’estetica futuristica, dove Intelligenza Artificiale, social e onnipresenti cellulari la fanno da padroni, grazie anche all’uso di videoproiezioni, telecamere a circuito chiuso ed effetti speciali. Il passaggio dalla dittatura novecentesca del Partito alla tecnocrazia moderna sposta la scena dall’Oceania alla Silicon Valley, agli Apple Store, a Guantanamo o in Iraq, in un’epoca governata dalla deriva dell’hi-tech e dell’individualismo sociale – chi ci dice che il Grande Fratello stesso non sia un algoritmo? Un tour de force teatrale a metà fra thriller, storia romantica, noir e spettacolarità, un progetto trasversale, di ampio respiro e fortemente ambizioso. Come una puntata di Black Mirror lunga 101 minuti, uno spettacolo da cui non si esce leggeri, un pugno allo stomaco che, in questo senso, è profondamente orwelliano: «non è tanto restare vivi, quanto restare umani, che è importante». (Spettacolo sconsigliato sotto i 14 anni). Livia Sartori di Borgoricco

1984 27, 28 novembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

Caso umano

Nell’era social in cui i cosiddetti “casi umani” diventano trend topic su TikTok, o in cui il disagio di vivere può – e deve! – essere combattuto con corsi e guide digitali “diventa la migliore versione di te” in soli 10 step al modico costo di… lo Zeno Cosini di Italo Svevo avrebbe senza meno buon pane per i suoi denti. La Coscienza di Zeno rivive sul palco con un allestimento diretto da Paolo Valerio, prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e Goldenart Production in occasione del centenario dalla sua pubblicazione, ricorso nel 2023. Capolavoro della letteratura del Novecento, il romanzo continua a parlare al pubblico contemporaneo, esplorando con ironia e profondità le nevrosi del protagonista attraverso il filtro della psicoanalisi. Zeno Cosini, simbolo di inettitudine e disagio esistenziale, racconta i suoi tentativi di guarigione sotto la guida del Dottor S, intrecciando quotidianità e surreale in un racconto carico di humour e introspezione. A dare vita a Zeno, l’interpretazione carismatica di Alessandro Haber, capace di fondere ironia e dramma con grande naturalezza. La regia di Valerio sdoppia il personaggio di Zeno, rendendo palpabile il suo dialogo interiore e offrendo al pubblico uno sguardo avvincente sulla complessità psicologica di uno dei più grandi personaggi della letteratura europea, precursore di molte delle teorie psicoanalitiche che si sarebbero affermate nel XX secolo. Lo spettacolo, in scena al Teatro Toniolo dal 5 al 10 novembre, è un invito a confrontarsi con il genio di Svevo e a riflettere sui temi come la ricerca di autenticità e il confronto con il fallimento in una società che, oggi come un secolo fa, è in costante, vorticosa, trasformazione. C.S.

La coscienza di Zeno 5-10 novembre Teatro Toniolo-Mestre www.comune.venezia.it

theatro

SPETTACOLI

L’orrore della normalità

Uno spettacolo creato nel 2016, vincitore del Premio To-Fringe Festival e semifinalista al Premio In Box blu 2018. Lo stronzo, scritto e diretto da Andrea Lupo, prodotto dal Teatro delle Temperie con il sostegno della Regione Emilia Romagna e il patrocinio di Amnesty International Italia, rimane poco meno di dieci anni dopo la sua ideazione, di un’attualità bruciante, dolorosa, mentre proprio in questi giorni a Venezia si svolge il processo a Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin. Attraverso l’arte del teatro Andrea Lupo riecheggia infatti le grida di una società ferita dalla violenza che essa stessa è capace di generare. In scena al Teatro del Parco il 29 novembre, nell’ambito delle iniziative del Comune di Venezia per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Lo stronzo racconta una storia in realtà piuttosto semplice, che come fulcro e cardine – ed unico elemento che troneggia in scena – ha una volutamente anonima porta chiusa, che simboleggia ogni barriera mentale, sociale, culturale che separa uomo e donna. Luca e Lilli sono sposati da dieci anni, è la sera del loro anniversario e sono pronti a festeggiare, ma come spesso accade, le cose non vanno come previsto. Quella che dovrebbe essere una serata di festa si trasforma in tragedia quando, dopo un gesto violento di Luca, Lilli fugge dietro quella porta e se la chiude alle spalle, lasciandolo fuori, solo. Quello di Luca è un viaggio che lo porta a confrontarsi con sé stesso e con un bagaglio di convinzioni ormai logore. L’uomo attraversa ogni sfumatura emotiva, dalla supplica alla rabbia, fino a rimanere schiacciato dalla propria impotenza, dalla propria inadeguatezza. Lupo, con grande intensità, mette in scena “l’orrore della normalità”: la violenza latente che si insinua nei gesti e nelle parole quotidiane, apparentemente innocue, ma devastanti. Lo stronzo ci obbliga a guardare il male in faccia, a cercarlo intorno a noi, in noi, per imparare a riconoscerne i segnali e, se possibile, in qualche modo a combatterlo.

Chiara Sciascia

Lo stronzo

29 novembre Teatro del Parco-Mestre www.comune.venezia.it

In cerca di luce

Nuova produzione del Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, la creazione del duo riminese Motus, composto da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, I Saw Light è presentata in prima assoluta al Teatro Goldoni dal 29 novembre al primo dicembre, nell’ambito della rassegna collaterale Fuoriserie. Protagonisti in scena dieci Allievi neodiplomati dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni, che hanno lavorato con Motus a partire dall’opera di Kae Tempest, straordinario poeta, artista, performer e musicista queer londinese (useremo il pronome maschile, anche se in inglese usa il they/them), già premiato a Venezia nel 2021 con il Leone d’Argento alla Biennale Teatro di ricci/forte. Il titolo richiama un brano musicale di Tempest tratto dall’album The Line Is a Curve, ma il cuore del progetto pulsa attorno alla raccolta Let Them Eat Chaos (2016), considerata una delle opere più potenti dell’artista britannico. Nelle tredici tracce dell’album omonimo, così come nelle pagine del libro, emerge uno spaccato di vite urbane solitarie, sfilacciate da ansie e paure, alla ricerca disperata di un contatto autentico in un mondo sempre più alienante. Tempest rappresenta sette personaggi svegli nelle loro case alle 4.48 del mattino, colti in un momento di buio interiore e collettivo, dovuto a un malessere globale che si riversa in ogni aspetto della loro quotidianità. Partendo da questo scenario di solitudine e conflitti interiori, Motus ha invitato i giovani interpreti dell’Accademia a esplorare e incarnare l’essenza della poetica di Tempest. In I Saw Light, i ragazzi mettono in gioco le proprie energie per rappresentare una collettività unita, dove le identità individuali si fondono in una “connessione” più ampia e necessaria. Una connessione che Tempest teorizza anche nel saggio On Connection (E/O, 2022), dove riflette sul bisogno di tornare a contatti reali, oltre le barriere imposte da una società sempre più digitale e competitiva. I Saw Light è un lavoro corale, in cui le parole di Tempest ci guidano ad affrontare la crisi dei rapporti umani e a riaccendere una scintilla di empatia. Non emerge il singolo, ma l’insieme, un coro che diventa voce dirompente di una generazione in cerca di un significato, che sente il peso di un futuro incerto e trova, nella fisicità e nell’energia della condivisione della scena, una possibilità di riscatto.

In un’epoca di solitudini illuminate da finestre nel buio, attraverso i versi di Tempest «Screaming at my loved ones to wake up and love more…», I Saw Light ci ricorda l’importanza di amare e vedere oltre le ombre. C.S.

Su la maschera Vecchi e Giovani, il nuovo progetto di Mattia Berto ispirato a Pirandello

Dopo l’incursione estiva in Cadore, Mattia Berto torna ad animare la scena veneziana con il suo Teatro di Cittadinanza, nato come esperimento e diventato negli anni parte integrante del tessuto culturale della città. Ideato per il Teatro Stabile del Veneto e ispirato alle opere di Luigi Pirandello, il nuovo progetto dal titolo Vecchi e Giovani mette in scena un dialogo tra generazioni attraverso la lente della complessità e della contraddizione che tanto ha caratterizzato la visione pirandelliana dell’essere umano. Il performer e regista veneziano, noto per il suo approccio partecipativo e innovativo, ha costruito la sua nuova avventura teatrale come uno spazio di incontro e scambio, dove persone di ogni età possono raccontarsi e confrontarsi. L’obiettivo è superare le barriere, creando un contesto in cui sia possibile vedere, attraverso l’arte e la rappresentazione, ciò che unisce e ciò che differenzia le generazioni. Il riferimento a Pirandello è stringente: nelle opere del drammaturgo siciliano i personaggi sono spesso divisi tra un’immagine esterna imposta dalle aspettative sociali e una dimensione interiore complessa, spesso irrisolta. Berto porta così in scena le “maschere” e i “volti”, ispirandosi all’idea pirandelliana che la verità sia sempre frammentata e che l’identità, personale e collettiva, sia un processo di costruzione e decostruzione continua. Il progetto si sviluppa attorno a una serie di laboratori teatrali, discussioni e momenti di scambio creativo. Giovani e meno giovani partecipano attivamente alla costruzione del racconto scenico, non solo come attori ma anche come autori dei propri pezzi. In questo contesto, le storie personali si intrecciano portando alla luce desideri, sogni e difficoltà di entrambe le generazioni. Tra esercizi di scrittura creativa, improvvisazione e costruzione scenica, gli incontri diventano occasioni per riflettere sui temi della memoria, dell’appartenenza e della trasformazione, tutti elementi ricorrenti nell’opera pirandelliana. Uno degli aspetti più affascinanti dell’attività di Mattia Berto è il processo che porta alla creazione dello spettacolo. Non ci sono copioni prestabiliti o ruoli rigidi, ma un lavoro di co-creazione in cui le storie emergono dalla vita stessa dei partecipanti. La scelta di mettere insieme giovani e anziani riflette il desiderio di esplorare un teatro che non si limiti alla rappresentazione, ma che diventi anche un’esperienza educativa e trasformativa per chi vi partecipa. L’incontro tra diverse generazioni permette infatti di rielaborare i temi cari a Pirandello come la percezione di sé, il conflitto interiore e il senso di appartenenza, in una chiave che sia rilevante per il nostro tempo. In una società ossessionata dalla perpetua giovinezza, la partecipazione degli anziani è un omaggio alla saggezza dell’esperienza, alla memoria storica e ai ricordi, elementi che arricchiscono la narrazione con un senso di profondità e continuità. I giovani, d’altra parte, portano la loro visione del futuro e un desiderio di cambiamento che anima il progetto, trasformandolo in una vera esperienza collettiva. Gli incontri laboratoriali, iniziati in ottobre e ospitati all’interno di Istituti di istruzione di vario ordine e grado, confluiranno in due performance site-specific e in uno spettacolo finale il 23 marzo 2025 al Teatro Goldoni. Marisa Santin

LA RIVINCITA DI DESDEMONA

«Di precise parole si vive, e di grande teatro». Un verso di Ivano Fossati ben ritrae lo spirito di Otello, di precise parole si vive, spettacolo di Lella Costa e Gabriele Vacis, in scena il 7 novembre al Teatro di Mirano. Una rivisitazione del dramma shakespeariano che, a 24 anni dalla prima, rievoca la grandezza dei classici, rinnovandola con un deciso piglio contemporaneo.

Costa e Vacis riprendono l’opera del Bardo inserendovi fatti di cronaca degni di un Tg della sera: un lavoratore straniero vittima di pregiudizi, un amore misto che sfida la società, una manipolazione linguistica che conduce alla tragedia.

Come osserva Lella Costa nelle note di regia, «il potere di questi testi risiede nella loro capacità di parlarci ancora oggi, aiutandoci a riflettere su chi siamo e su ciò che ancora non comprendiamo del nostro tempo».

Se Otello «amasse Desdemona, non arriverebbe a distruggerla» aggiunge Vacis, ponendo l’accento sulla visione patriarcale che legge nella violenza un gesto d’amore. Oggi sappiamo che la violenza non è mai amore, e il patriarcato, a differenza del maschilismo, non è un comportamento da cui si può guarire; è un sistema culturale antico, intrinseco nella nostra storia e società, che questo Otello invita a riconoscere e interrogare. In scena, Costa recita, balla, canta, rappa offrendo una Desdemona che finalmente prende spazio, emblema di quelle donne che, per secoli, sono state vittime silenziose e inascoltate. Desdemona, “sorella di tutte noi”, incarna una figura di ribellione e dignità che oggi più che mai esige rispetto, non pietà. Nonostante i suoi quattro secoli di storia, raccontare Otello oggi significa per Costa e Vacis continuare a riproporre una storia perfetta, che non ha bisogno di essere inventata da zero, ma solo attualizzata per risuonare nel presente. C.S.

Otello, di precise parole si vive 7 novembre Teatro di Mirano www.piccionaia.org/teatrodimirano

theatro

Passi sublimi Si rinnova l’appuntamento con VeneziainDanza al Malibran

In una città curiosamente avara di proposte di danza – al netto della Biennale di McGregor –, brilla VeneziainDanza, rassegna giunta alla sua sedicesima edizione. Sul prestigioso palcoscenico del Teatro Malibran dal 17 al 30 novembre vengono presentate diverse proposte di grande richiamo. Michela Barasciutti, danzatrice, coreografa veneziana, fondatrice nel 1991 della compagnia Tocˇnadanza, direttrice artistica della rassegna, appare emozionata nel presentarne il programma. Sottolinea le tre caratteristiche principali: la panoramica sui vari linguaggi artistici, dal classico al contemporaneo, l’esclusività degli spettacoli, non presenti su altre rassegne italiane, e il focus dedicato ai talenti italiani all’estero. Si parte con Soirée con i solisti del Gaertnerplatztheater di Monaco, da dieci anni diretto da Karl Alfred Schreiner, che molti di noi hanno sicuramente conosciuto a Venezia nelle Biennali dal 2008 al 2011 a fianco di Ismael Ivo. Tre i brani, ognuno dei quali di un diverso coreografo, Minutemade del portoghese Marco da Silva Ferreira, urban dance coniugata alla danza folkloristica portoghese, Troia del greco Andonis Foniadakis, dove al centro sta il virtuosismo estremo dei danzatori, e infine Peer Gynt dello stesso Schreiner, con una particolare rilettura del testo ibseniano accompagnato dalle incalzanti note di Grieg.

Il 23, una prima assoluta di Tocˇnadanza: Stabat Passio. «Tutti penseranno subito a Stabat Mater, preghiera o musiche, da Scarlatti a Vivaldi a Pergolesi o opere pittoriche che siano. Io voglio invece parlare di noi, del nostro contemporaneo, di come la passione possa diventare compassione, comprensione, empatia. Come se nella poesia di Jacopone si possa leggere un “dove sei? Diventa te stesso, così posso vederti», commenta Michela Barasciutti. «Un percorso che maturava dentro di me da almeno due anni, prima in solitudine, poi con la ricerca delle musiche adatte, poi con il mio corpo. Solo parecchi mesi dopo ho iniziato a lavorare con i miei danzatori. Penso resterà sempre un work in progress», conclude la coreografa.

Il 30 novembre una produzione MM Contemporary Dance Company, due brani, il primo Bolero, coreografo Michele Merola, tra i grandi della scena italiana. Le ansie, paure, desideri dell’esistenza sono delineate con variegati ritmi musicali e Bolero (1928) di Ravel sembra esserne ancora il prototipo. Poi Ballade, di Mauro Bigonzetti, un tributo danzato alle musiche iconiche degli anni ‘80, da Prince a Frank Zappa e dedicato a Pier Vittorio Tondelli, che quegli anni incarnò nelle sue opere. Rendiamo dunque omaggio a questa arte e a questa passione: veneziani, giovani e meno giovani, a prezzo speciale tutti al Malibran! Loris Casadei

Gaertnerplatztheater (Monaco) - Courtesy VeneziainDanza

Come nasce un amore

Le visioni poetiche di Carolyn Carlson continuano ad incantare

11 ottobre 1983. A Venezia tempo da lupi. Pioggia e un forte vento che rendeva impossibile non bagnarsi nonostante un presto inutilizzabile ombrello. Mi salta un appuntamento per cena e mi dirigo verso casa. Di fronte alla Fenice vedo una locandina giallastra un poco triste – allora erano rigorosamente così – con un titolo non invitante: Solo. Ma il nome dell’interprete coreografa mi era noto, a Venezia aveva preso in mano, sull’esempio dell’Opéra di Parigi, un Gruppo di Ricerca Teatrale, che l’anno prima aveva presentato due nuove coreografie Undici Onde e Underwood. Pioveva, forse tra un poco avrebbe smesso, così nonostante le 10.000 lire per un posto in palco (il mio introito giornaliero da impiegato) entrai per vedere Carolyn Carlson. Fu una rivelazione. Mi innamorai della danza e quell’amore non l’ho più perso. Una scena disadorna, un unico tronco d’albero a lato, le luci, musiche molto belle, più tardi diventò famosa l Saw You di René Aubry. Personaggi femminili, ogni donna un vestito e i movimenti per lei pensati, talvolta compassati, talvolta frizzanti e pieni di desiderio, talvolta, spesso, timidi ed impacciati con continue esitazioni. Mi venne in mente Dante con le virtù teologali del Purgatorio «Tre donne in giro da la destra rota/venian danzando». Cito Dante anche per la sua pièce del 1993, Commedia. Quella coreografia alla Fenice in seguito cambiò nome e con la rappresentazione a Parigi all’Hotel de la Ville nel 1984 divenne celebre come Blue Lady. Considero Carolyn Carlson l’ultima erede della Modern Dance. Dal suo maestro Alwin Nikolais, a sua volta della scuola di Hanya Holm, ha appreso, oggi nozione banale, ma non allora, a integrare il corpo con lo spazio, i movimenti che partono dalle estremità e non necessariamente dal centro, ad esplorare lo spazio senza nessuna tecnica prestabilita. Lunga la lista delle sue coreografie, quanto lunga è la serie delle sue attività didattiche. Quest’anno insegna al

Teatro Biondo di Palermo con una resa il 12 ottobre, Motion, Time, Space. Numerosi gli episodi che può raccontare: a Udine in una Teaching Session alla Nico Pepe Civica Accademia d’Arte Drammatica ha scelto di rappresentare una commedia dell’arte, ma senza parole perché «in un’epoca in cui siamo invasi dai media, penso sia importante interrogarsi sul silenzio». Il suo ruolo oggi la vede come una messaggera della danza: «la mia missione è trasmettere conoscenze ai giovani, il Buddismo mi ha insegnato a tacitare l’Ego», così anche quest’anno, su invito di Wayne McGregor è tornata a Venezia per una Masterclass. Tornata, perchè a Venezia è stata presenza assidua, la ricordo nel ‘99 con il difficile tentativo di rivitalizzare il Teatro Verde all’Isola di San Giorgio, poi Direttrice del Settore Danza della Biennale nel triennio 1999-2002 (suoi J. Beuys Song e Writing on Water ), Leone d’Oro nel 2006 e nel 2017 con il trittico di soli femminili Short Stories. Chiedo venia per eventuali amnesie. Carolyn non ama per i suoi lavori la definizione di coreografia, preferisce quella di “poésie visuelle”. Non a caso. Pochi sanno infatti della sua intensa attività poetica e di appassionata calligrafa. Ne sono nati una decina di libretti meravigliosi. Ho in mano Le soi et le rien edito in Francia nel 2001. Incantevoli ed espressivi tratti di pennello, tecnica shodo, veri movimenti di danza, accompagnati da Koan vicini alla tradizione Zen. Ogni poesia ha un significato profondo, qualcosa che va meditato. Prendiamo l’elemento acqua, che Carolyn, da buona finlandese, ha sempre amato e riconosciuto come proprio elemento: «Oceans pull apart their song/boats run away/return to silence». Ma senza il segno, che rende il movimento danzato e la musica, le parole sole sono orfane. Questa completezza di espressioni ci possiamo aspettare al Teatro del Parco il 22 novembre: un unico compatto Poetry Event dove danza, improvvisazioni, poesie, musica dal vivo, luci e suoni ci faranno entrare, se saremo buoni ascoltatori, nel mondo magico di Carolyn Carlson. L’indomani per gli instancabili e i ricercatori di senso una Masterclass. Cinque ore di vita con Lei. Loris Casadei

© Yutaka Nakata

theatro

Dolce ritorno

Intervista Gabriella Furlan Malvezzi

di Loris Casadei

Il Festival internazionale La Sfera Danza ha preso il via a Padova lo scorso ottobre, inaugurando due mesi di eventi e spettacoli che celebrano l’arte della danza in tutte le sue forme, con artisti provenienti da tutto il mondo. La 21. edizione porta con sé esperienze uniche: dagli atelier per ragazzi di origami e danza contemporanea all’esibizione della Banda dell’Esercito, che eseguirà celebri colonne sonore insieme alle voci di Vittorio Matteucci e Barbara Lorenzato e al ritmo corporeo del solista della Scala Gioacchino Starace (27 novembre, Teatro Verdi). Da non perdere anche la Vetrina per giovani artisti emergenti, il 17 novembre al Teatro Quirino De Giorgio di Vigonza. Dal 2019 la direzione artistica de La Sfera Danza è affidata a Gabriella Furlan Malvezzi, coreografa, insegnante e danzatrice diplomata alla Royal Academy of Dancing di Londra sotto la guida di Margot Fonteyn. Sempre presente e instancabile, l’abbiamo incontrata nel cuore delle attività del Festival.

Il Festival Internazionale La Sfera Danza è giunto alla sua XXI edizione. Come si è evoluto nel corso degli anni e qual è stata la sua origine?

Il Festival è nato nel territorio termale, a Montegrotto Terme, dove per molti anni si è svolto come rassegna, coinvolgendo diverse compagnie nazionali. Nel 2013 si è trasferito a Padova, dove ha iniziato a crescere e a diventare un punto di riferimento per la danza a livello nazionale. Nel 2019, dopo il percorso di coordinamento portato avanti da altri direttori, me ne è stata affidata la direzione artistica.

Da allora ho voluto portare una nuova visione, promuovendo un modo innovativo di presentare la danza e di fare cultura. Oggi, grazie a questa evoluzione, il Festival diventa anche importante occasione lavorativa per artisti emergenti, con prime regionali e nazionali che arricchiscono il programma.

Per l’edizione 2024 ha scelto di citare Omero: «Nulla è tanto dolce quanto la propria patria e famiglia, per quanto uno abbia in terre strane e lontane la magione più opulenta». Come questo riferimento poetico si intreccia con le tematiche del Festival?

Grazie alla mia formazione classica ho sempre sentito una forte fascinazione per la poetica di Omero, un autore sempre attento ai grandi valori collettivi quali la famiglia, la patria, l’amicizia; valori che sembrano oggi molto sfocati. Proprio perché avverto questa urgenza di trasmettere ai giovani una educazione a questi ideali ho scelto quindi di ispirarmi, per la programmazione del triennio 2022-24, all’epico poeta greco.

Ho inoltre voluto omaggiare l’eccellenza italiana, riflettendo sul ruolo del nostro Paese quale culla dell’arte, con il desiderio di richiamare i nostri talenti in territorio nazionale. Sostenendo la mobilità e l’internazionalizzazione della danza, desidero innanzitutto valorizzare l’identità italiana attraverso sinergie nazionali e internazionali.

Sfogliando il programma, notiamo che è un Festival alquanto anomalo ed eclettico: spettacoli, laboratori, incontri, workshop, concorsi, perfino la Banda dell’Esercito…

Il programma vuole essere di proposito anomalo, particolare, unico! Un fil rouge con infinite tonalità. Ho pensato infatti ad un Festival dinamico e ricco di eventi collaterali oltre agli spettacoli dal vivo, con l’obiettivo preciso di attrarre e stimolare l’attenzione dell’intera comunità. Un momento di arte e formazione che deve arrivare a tutti, anche attraverso diverse iniziative tra cui concorsi, performance site-specific, incontri, workshop. Questa è la bellezza e il valore del Festival.

Parliamo della Direttrice artistica del Festival. Chi è Gabriella Furlan Malvezzi?

È una domanda a cui per me è difficile rispondere, ma mi permetto di dire che sono una persona che ama la bellezza e riconosce i valori della vita. Nel mio lavoro opero certamente con un pizzico di follia, mettendoci sempre tanto cuore e passione. Questo è quanto desidero e spero di trasmettere a chi ci segue.

Festival Internazionale La Sfera Danza Fino 27 novembre Padova www.lasferadanzafestival.it

Inner, ARB Dance Company

PRENDERSI LA SCENA

Un film ‘fuori asse’ rispetto al mainstream, un tentativo riuscito di filmare un’emozione, più che una storia

di F.D.S.

IMasbedo sono un duo di artisti, Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni, formatosi nel 1999 e che, attraverso gli strumenti delle tecnologie video e della performance analizzano i grandi temi del Novecento e di questo pezzo di terzo millennio: lo statuto dell’immagine, la vertigine attuale della comunicazione, il principio del piacere, la trasformazione del soggetto, la frantumazione delle relazioni sociali, la condizione dell’artista.

A distanza di oltre sessant’anni dagli esperimenti di Nam June Paik, che distorceva il segnale televisivo con una calamita, la videoarte è diventata un elemento imprescindibile dell’arte contemporanea, all’interno della quale opera con una consapevolezza estrema della volatilità dei confini dell’arte, come formidabile punto di intersezione di sguardi e pratiche molteplici. È per questo che alla recente edizione della Festa del Cinema svoltasi a Roma in ottobre, i Masbedo hanno presentato un film. Arsa – questo il titolo – non è certo un film di finzione: la trama agisce come leggerissimo strato che orienta verso direzioni definite il comportamento dei personaggi. Arsa è il nome di una ragazza che, come una ninfa dei boschi, vive nell’isola di Stromboli in una solitudine pressoché totale, dalla quale esce solo per osservare con un vecchio binocolo gli umani interagire nelle nere spiagge dell’isola oppure per immergersi nel mare dal quale estrae oggetti e pezzi di cose che in parte utilizza per realizzare le sue piccole sculture oniriche ed emozionali, in parte per

Arsa di Masbedo masbedo.org

rivenderle ad un rigattiere del mare in una economia del baratto che le garantisce la sopravvivenza. Vive nel ricordo del padre, scultore, che cercava di introdurre libertà e creazione nelle statue da giardino che doveva realizzare per i clienti di un imprenditore che, ad un certo punto, lo costringe ad interrompere la sua ricerca e a tornare al becero stralunato conformismo di questo specifico settore dell’arte commerciale. Nell’isola arrivano dei ragazzi per passarvi una vacanza, uno di questi si innamora di Arsa e cerca di farla uscire dalla sua solitudine forte e ribelle per riportarla nei luoghi e nelle relazioni tipiche degli umani. Non avrà successo, ma seguire Arsa nei fondali del mare (lui con muta e respiratore, Arsa senza niente) lo porterà ad una scoperta che toglierà ad Arsa, quando sarà tornata nella sua solitudine da ninfa, l’oggetto della sua dimensione amorosa ( no spoiler! ). In una fase in cui è nostra sensazione che il cinema, italiano e mondiale, sia completamente in mano agli sceneggiatori, Arsa spicca per un totale disinteresse alla componente finzionale, per esplorare invece la dimensione emozionale del mondo di immagini sospese tra sogno e realtà di cui il film è ricchissimo. La natura di Stromboli, i sogni continui che Arsa fa del padre, le opere da lei create, le sue immersioni nei fondali del mare: sono tutti luoghi del film che i Masbedo esprimono con un cinema di bellezza sensoriale, emotiva, fatta di luminosità naturale e di simboli in cui il mostruoso si confonde con il naturale. Un film insomma ‘fuori asse’ rispetto al mainstream filmico visto a Roma quest’anno, e che, al di là del pubblico che potrà avere a livello di distribuzione, rappresenta un tentativo riuscito di filmare un’emozione, più che una storia.

CHIUSO IN ME STESSO

La terza edizione di Alone Among Others, rassegna ideata e promossa da Palazzo Grassi – Pinault Collection e curata da Dominique Paini, comprende un ciclo di proiezioni dedicate ai temi della migrazione e della solitudine. Partita ad ottobre, la rassegna in cinque serate attraversa la storia del cinema con una selezione di opere iconiche e gioielli recentemente riscoperti.

Il corpo trasformato è il tema della quarta serata in programma mercoledì 6 novembre con la visione di una serie di titoli accomunati da un’atmosfera gotica e firmati da Émile Cohl, Tim Burton con il suo Edward mani di forbice (1990), cult degli anni Novanta che racconta il mito di Frankenstein in versione pop, e poi Roméo Bosetti e David Lynch con l’iconico The Elephant Man (1980).

Conclude la rassegna mercoledì 13 novembre una selezione ispirata al tema Normale e differente, che presenta altri film di Durand e Bosetti, accanto ai lungometraggi di Agnès Varda e Joseph Losey. In occasione della rassegna Palazzo Grassi ha invitato il giornalista Mattia Carzaniga, inviato per la Rai dal Festival del Cinema di Venezia e penna di Rolling Stone, a immaginare un progetto video inedito per scoprire i film in programma, secondo la sua personale chiave di lettura. Attraverso cinque video (visibili sui social della Fondazione Pinault il lunedì precedente all’appuntamento) che riprendono i cinque appuntamenti della rassegna, Carzaniga offre al pubblico la possibilità di scoprire il cartellone di ciascuna serata e le tematiche al centro della rassegna a partire da cinque oggetti: una bombetta, un telefono, un elefante, un paio di forbici e una manciata di piume.

Alone Among Others 6, 13 novembre Teatrino Grassi www.pinaultcollection.com

L’ARTE È REALE

Il Teatrino di Palazzo Grassi ospita una serata di proiezioni organizzata da TBD Ultramagazine, con una selezione di corti e mediometraggi che indagano, attraverso l’immagine in movimento, la dimensione produttiva, politica e narrativa della luce naturale e artificiale, i suoi usi e le modalità in cui viene sfruttata dalla tecnica contemporanea. La serata è introdotta dalla redazione di TBD Ultramagazine con alcuni ospiti tra cui Pedro Torres, Valentina Furian, Chris Howlett, Diego Marcon, Agnieszka Polska e altri. TBD, acronimo di “To Be Defined”, è un progetto editoriale che dal 2019 pubblica volumi tematici e collabora con artisti e artiste per la realizzazione di eventi a essi collegati. Il percorso critico di ogni numero si sviluppa a partire da fatti d’attualità definiti zeitgeist, ogni fatto è sintomo e/o coadiuvante di tematiche più ampie, trattate sotto forma di saggi scritti e contenuti visivi.

Cattiva luce

7 novembre Teatrino Grassi www.pinaultcollection.com

cinema

FESTIVAL&MORE

VIVO IL MIO TEMPO

Prosegue la rassegna Alliance Française incontra Circuito Cinema, ciclo di proiezioni dedicate alla cinematografia francese.

L’evento è realizzato in collaborazione con Alliance Française de Venise e con il sostegno di IF Cinéma/Institut Français de Paris. Venerdì 15 novembre è in programma Magnetic Beats (Les Magnétiques) di Vincent Cardona (Francia, 2021): inizio degli anni ‘80, Bretagna. Un gruppo di amici apre una radio libera, Radio Warsaw, nella provincia. La programmazione è condotta da due fratelli, Jérôme e Philippe. I due lavorano nel garage paterno ma hanno caratteri molto diversi: Jérôme è trasgressivo e si scontra spesso con il padre, mentre Philippe è più serio e introverso. L’arrivo di Marianne, una giovane ragazza madre, attira l’attenzione di entrambi ma ben presto Philippe dovrà partire per il servizio militare lasciando il Paese per la grande Berlino divisa ancora in settori. È determinato a continuare a trasmettere, ma allo stesso tempo si rende conto che ha appena vissuto gli ultimi momenti gloriosi di un mondo sull’orlo di una radicale trasformazione.

Alliance Française incontra Circuito Cinema 15 novembre Casa del Cinema, Videoteca Pasinetti www.culturavenezia.it

UN POSTO NEL MONDO

Ha preso avvio alla Giudecca, nel Centro Zitelle, lo scorso 17 ottobre l’ottava edizione di Cinema Senza Diritti, preziosa iniziativa che da anni presenta la ricchissima filmografia palestinese, testimonianza, non meno della letteratura e della poesia, della straordinaria vitalità culturale e capacità di resistenza di un popolo dalla storia travagliata e costantemente sotto minaccia, curata come sempre da Pina Fioretti e Maria Grazia Gagliardi. Il 7 novembre è proiettato Lyd, documentario di Rami Younis e Sarah Ema Friedland che tra fantascienza, animazione e foto d’archivio prova a immaginare un destino diverso per la città palestinese di Lyd, oggi in territorio israeliano e chiamata Lod.

Spazio il 14 a Beyond the frontline di Alexandra Dols: la psichiatra e scrittrice palestinese Dott.ssa Samah Jabr, seguace di Frantz Fanon, descrive le strategie psicologiche dell’occupazione israeliana e i suoi effetti sulla psiche dei palestinesi.

Appuntamento conclusivo il 28 novembre con 200 meters di Ameen Nayfeh, presentato alla Mostra del Cinema nel 2020, in cui un padre palestinese vive separato dalla sua famiglia a causa del Muro e delle leggi di apartheid.

Cinema Senza Diritti 7, 14, 28 novembre CZ95 - Centro Civico Zitelle www.comune.venezia.it

Progetti di

vita

Il Venice Architecture Film Festival arriva al Multisala Rossini dal 13 al 15 novembre, ideato e curato dall’Associazione Culturale ArchiTuned. Il proposito da cui nasce e si è sviluppato negli anni rimane immutato: investigare questioni rilevanti per l’architettura e esplorarne le implicazioni antropologiche e sociali sulla nostra società. Adaptations il titolo scelto per l’edizione 2024, che raccoglie e racconta al grande pubblico e agli esperti nel campo dell’architettura e della pianificazione urbana le esperienze di realtà diverse, offrendo un’ampia panoramica e uno spaccato di vita reale dei più diversi contesti culturali, sviluppi sociali e dinamiche negli ambienti abitati. I cambiamenti climatici, i mutamenti geopolitici, le nuove tecnologie dell’informazione e dell’edilizia rendono cruciale l’adattamento dei nostri stili di vita, delle nostre città, dei nostri sistemi logistici, dei nostri edifici per darci la possibilità di vivere come comunità oggi e in futuro.

La carenza di energia, la scarsità d’acqua, l’esaurimento delle risorse naturali, l’aumento della popolazione globale e il continuo incremento delle persone che vivono nelle aree urbane sono tutti fenomeni che richiederanno ai nostri luoghi di adattarsi alle nuove esigenze, sia naturali che sociali.

L’adattamento a tutti questi cambiamenti richiede la collaborazione tra governi, comunità e individui. Richiede investimenti in ricerca e sviluppo, insieme a politiche lungimiranti in grado di creare luoghi sostenibili oggi e adattabili alle nuove esigenze domani.

Si sfidano tra loro 20 cortometraggi e fino a 5 lungometraggi, sottoposti all’esame della giuria composta dal produttore di Kublai Film Marco Caberlotto, dagli accademici di architettura Andrew Leach, Laura Negrini e Luka Skansi e dalla videoartista Silvia Pellizzeri.

Al centro delle storie, tanti presenti poco conosciuti e tantissimi futuri possibili, passando da 414 di Serena Wen e Zhen Yu Hue a Beyond the White Cube di Giulia Magno, End of Season di Leonor Martín o Les Matérialistes di Jonathan Lapalme & Meggan Collins.

L’umanità, che ha sempre avuto la capacità di reinventarsi, rivoluzionando i modelli precedenti e plasmando la natura a nuove esigneze, sarà capace di ridisegnare nuovi modelli di vita sostenibile?

100 anni di gratitudine

Marcello Mastroianni, o del magnetismo quotidiano

100 anni e sembra ieri, oggi, domani. Ci si perdoni il trito giochino di parole, ma davvero nessun altro titolo tra il centinaio e passa di film, tra cui una teoria corposa di assoluti capolavori, che il più grande attore di tutti i tempi del cinema italiano, ma verrebbe da dire non solo, ha interpretato può meglio restituire la sua essenza di gentiluomo della porta accanto. Sì, perché Marcello, e non è un caso che a molti venga facile ricordarlo per nome prima ancora che per il suo bel cognome, tra tutti i grandi interpreti del grande schermo del Ventesimo secolo è quello che più di ogni altro ha comunicato prossimità, semplicità, una sorta di autentica accessibilità, una disposizione che davvero ha permesso a tutti, ma proprio a tutti, oltre ogni barriera sociale e culturale, di sentirlo proprio. A differenza degli altri grandi del periodo aureo del nostro cinema, non ha mai avuto bisogno, ma credo di non esagerare dicendo che ciò non era proprio costitutivamente nelle sue corde, di fare dell’eccezionalità, dell’extra-ordinario la cifra della propria arte interpretativa. Non era un mattatore alla Gassman, non era l’immagine e il corpo dell’italiano cialtrone e scaltro, ed irresistibilmente comico, alla Sordi, non era naturalmente una maschera comica inarrivabile alla Totò, ma non era neanche quel volto dalla comicità triste e dolente di un Nino Manfredi, e tantomeno un Tognazzi gaudente e al contempo sarcastico, dallo sguardo un po’ gigione e un po’ sardonico. No, niente di tutto questo, o per meglio dire, tutto questo, restituito con una naturalezza e un’intensità in sottrazione. Disincanto puro, sottigliezza sublime, come se qualsiasi parte, qualsiasi momento di un film, qualsiasi dialogo, sguardo, espressione fossero la cosa più naturale della quotidianità, della normalità di tutti noi. Questa cifra inarrivabile di Marcello Mastroianni hanno fatto di lui l’attore più amato, desiderato, conteso da registi comici, drammatici, esistenzialisti, liricamente visionari, così come da pubblici popolari, leggeri, sofisticati, elitari. Senza concedere nulla a ciascuno di essi strizzando l’occhio alle rispettive aspettative, ma semplicemente essendo sé stesso, naturalmente con consumato mestiere.

E quindi sì, avrebbe avuto cent’anni in questo 2024 il nostro, eppure il suo volto è quanto di più autenticamente presente ci possa essere

oggi tra i trilioni di immagini che ci vengono rovesciate addosso senza soluzione di continuità dal moltiplicarsi bulimico dei media che intasano i nostri giorni. Basta un’istantanea, un frame, uno schizzo del suo fascinoso profilo, o dell’incidere di quel suo corpo meravigliosamente normale, per sentirselo matericamente vicino. Sì, Marcello ogni volta che lo incroci a pelle non puoi contemplarne l’assenza, la dipartita da questo nostro mondo. La sua aurea è tutta concretezza, pane quotidiano, paesaggi, strade, vite vissute attorno a noi. È questo tratto, questa essenza del suo recitare vivendo che ti rimane impressa ancora una volta grazie alla bellissima mostra fotografica, e non solo, che il Centro Sperimentale di Cinematografia ha inaugurato in coincidenza con l’81. Mostra del Cinema, e che si protrarrà fino al 9 gennaio 2025, nella sua nuova sede veneziana all’Isola di San Servolo, sede che ospita il CSC – Immersive & Performing Arts, il primo polo dedicato alle arti immersive e performative in Italia. La mostra, curata mirabilmente da Laura Delli Colli, ospita oltre cento immagini dell’Archivio fotografico della Cineteca Nazionale, tutte in grande formato, alle quali si aggiungono testimonianze, alcuni preziosi inediti e molti estratti da una lunga masterclass che Mastroianni stesso tenne proprio davanti alla platea degli allievi del CSC – Scuola Nazionale di Cinema, nonché altri estratti video – anche questi d’archivio – in cui il grande attore parla di sé e del suo rapporto con i registi – primo tra tutti, naturalmente, quello con Federico Fellini –, le compagne e i compagni di lavoro sul set, ma anche delle sue passioni e del suo modo di vivere il cinema. E non solo. Uno dice, va bene, la solita mostra facile dall’appeal immediato, glam o realista che sia, che solo una galleria di istantanee del grande cinema dell’età aurea sa esercitare così trasversalmente. Certo, come negare ciò. Eppure, a parte il fatto non certo trascurabile da considerare che ci sono modi e modi di curare come si deve anche le cosiddette mostre “facili”, che in quanto tali alla fine risultano essere da un punto di vista curatoriale esattamente il contrario, ancora una volta con Marcello Mastroianni, per le ragioni sopra espresse e per la misura e la perizia con le quali la Delli Colli ha saputo trattare questo prezioso e scivoloso materiale restituito in una galleria emozionante e commovente di immagini storiche, il tutto assume la dimensione di un incedere in tenero, vivo, intelligente divenire, dove ieri è davvero qui, oggi. E domani. Massimo Bran

SHOWCASE MODELLO — DESIGN DARIO SIMPLICIO VILLA

Conservative showcase made for the architectural model of Teatro La Fenice, by Giannantonio Selva, 1792 La Fenice Opera House Foundation - Venice
From the short film “IL MODELLINO RESTAURATO” © Kinonauts / La Fenice Opera House Foundation - Venice

cinema

RASSEGNE

Giganti distesi

Prosegue alla Tipoteca Italiana di Cornuda, curata dalla Fondazione Benetton, la rassegna di film documentari pensata per far conoscere, attraverso il linguaggio cinematografico, alcuni dei luoghi al centro delle ricerche e dei libri del Premio Carlo Scarpa, con due film diretti dal regista Davide Gambino introdotti al pubblico da Patrizia Boschiero, curatrice con Luigi Latini delle attività del Premio. Martedì 12 novembre viene proposto il documentario Güllüdere e Kızılçukur: la Valle delle Rose e la Valle Rossa in Cappadocia (Premio 2020–2021), con un intervento di Luigi Latini, direttore della Fondazione Benetton. Nelle pieghe del vasto e arido altopiano al centro della Cappadocia emergono Güllüdere e Kızılçukur: la Valle delle Rose e la Valle Rossa. Nel documentario il racconto viene affidato alle voci dei protagonisti che gravitano e vivono immersi in questo straordinario paesaggio. Martedì 26 novembre è la volta del film Céide Fields (Premio 2018) con un intervento di Massimo Rossi, geografo della Fondazione Benetton. Céide Fields è un luogo nel nord-ovest dell’Irlanda che racconta delle origini del paesaggio coltivato in Europa e di un passato remoto che si è a lungo negato allo sguardo. Nell’ambito delle serate sarà possibile acquistare i libri della Fondazione Benetton, pubblicati in coedizione con Antiga Edizioni. Il 20 novembre ci si sposta invece negli Spazi Bomben a Treviso, per la rassegna cinematografica

Paesaggi che cambiano: L’Orto del Mondo è un film sperimentale collettivo, composto in capitoli e all’apparenza frammentato, si rivela un percorso graduale alla scoperta della campagna mugellese, dei suoi abitanti e del cineasta contadino Giovanni Cioni. Un po’ come un organismo, vive grazie alle sue parti, che si sostengono e svelano a vicenda. Immagini aperte a nuovi innesti e nuovi orti, alla ricerca di un modo sincero per stare al mondo e nel mondo. Intervengono i registi Giovanni Cioni, Marco Schiavon e Marco Zuin.

SUPERVISIONI

Merita una riflessione il lavoro svolto durante l’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia sulle pagine del Daily, dedicato all’adattamento della letteratura al cinema.

La prima affermazione è che non si tratta di due mondi distinti: anche il cinema si occupa di costruire una storia, seppure tramite immagini. Un fatto poco conosciuto è che spesso i film hanno dato lo spunto per creare romanzi o modificare una serie esistente. È il caso di Harry Potter, dove l’autrice J.K. Rowling, giunta al quinto racconto, alla luce del successo dei film, ne venne influenzata nella scrittura dei sequels (attori, atmosfere e, a leggere bene, anche struttura narrativa). In Italia Andrea Camilleri ha collaborato con la RAI per la trasposizione dei romanzi sul Commissario Montalbano, gli scritti successivi alla serie televisiva sono stati pensati già con l’occhio alla TV.

Un caso molto interessante è quello dello scrittore Graham Greene, studioso attento del mondo cinematografico. The Third Man nacque dapprima come sceneggiatura del film di Carol Reed (1949) e solo l’anno dopo venne elaborato come romanzo. Una analisi della diversità di linguaggio è offerta da The End of the Affair, prima pubblicazione Verdant del 1951, dal quale vennero tratti due successivi film The End of the Affair di E. Dmytryk nel 1955 e Fine di una storia di Neil Jordan, del 1999. Stimolante anche il confronto tra i due film. Il primo è girato con grande povertà di mezzi, ma incide sicuramente la moda di allora dei cine o fotoromanzi, incroci fantasiosi tra cinema e letture di massa. Sequenze brevi, semplici, fatte di abbracci, sfioramenti, sguardi, uscite o entrate in casa, dove l’azione è narrata dalle voci fuori campo. Una unica sequenza cinematografica. Il detective incaricato delle indagini nel romanzo è descritto più volte come minuzioso e pedante, Dmytryk lo fa sedere lentamente, piano piano allargare l’impermeabile bottone dopo bottone, rialzare sollevando i lembi del pantalone e poi stirare la piega con la mano. Molto più ricco il film di Jordan, inevitabilmente con alcuni scostamenti e incongruenze anche importanti. Il bacio iniziale con uno sconosciuto rimane insoluto nel film, nel romanzo tuttavia poche pagine dopo l’avvenimento viene chiarito che si trattava di un collega del marito, in rapporto di grande amicizia.

Vi è poi la velocità di fruizione: per un normale spettatore il film scorre senza possibilità di rivedere le sequenze. Così alcune emozioni non sono trattenute nella coscienza. Così un panorama, presente nella pellicola, si, ma per pochi secondi, non può affascinare come la poesia dello scritto: “Il sole calava dritto sul Common e l’erba sbiadiva. In lontananza le case parevano quelle di una stampa vittoriana, piccole, ben disegnate, silenziose: solo il pianto di un bambino, chissà dove. La chiesa del Settecento stava ritta come un giocattolo in un’isola di erba, un giocattolo da poter lasciare all’aperto in quella infrangibile aria asciutta. Era l’ora in cui si fanno confidenze agli estranei”. All’opposto il cinema è insuperabile nel descrivere con poche immagini una fase storica o un tempo iconico. Jordan introduce il periodo bellico britannico, forse un poco retoricamente, con atmosfere sempre nebbiose, inchiostro, caraffe di whisky, matite appuntite, macchine da scrivere forse Royal Arrow e l’immancabile cappello a lobbia. Difficile da rendere nella pagina scritta. Approfondiremo. Loris Casadei

Oltre il giardino | Paesaggi che cambiano Tipoteca Italiana-Cornuda | Spazi Bomben-Treviso www.fbsr.it
Fine di una storia (1999)

cinema

CINEFACTS

a cura di Marisa Santin

UN’EREDITÀ DI LEGGEREZZA

In un articolo pubblicato nell’agosto del 1955 per la morte di Thomas Mann, intitolato La noia a Venezia, Italo Calvino scriveva: «Aschenbach è preso da un senso d’inferiorità, lui con le sue pagine così avare ed esangui, e gli viene un terribile desiderio di tutte le cose che il cinema è e dà […]: tecnica e baraccone, volgarità e sapienza raffinata, avventura per chi lo fa e per chi lo vede». Uno dei più grandi autori del Novecento, fra i più amati e citati, aveva – si sa – un rapporto contrastato con il cinema e il cinema ha ricambiato attingendo purtroppo solo raramente alle sue opere.

L’avventura di un soldato

di Nino Manfredi (episodio di L’amore difficile, 1962)

Scritto nel 1949, L’avventura di un soldato è il primo dei racconti che confluiranno nella racconta Gli amori difficili del 1970. Come spiega lo scrittore nella nota introduttiva, «ciò che sta alla base di molte di queste storie è una difficoltà di comunicazione, una zona di silenzio al fondo dei rapporti umani». Da questo racconto è tratto uno dei quattro episodi che compongono il film del ‘62, nato da un’idea del produttore Piazzi, che voleva far esordire come registi alcuni attori, fra cui Nino Manfredi.

Il cavaliere inesistente

di Pino Zac (1969)

Fumettista, regista e animatore, nonché co-fondatore assieme a Vauro de Il Male, una delle più importanti riviste satiriche italiane, Pino Zac ottenne i diritti del libro direttamente da Italo Calvino, che tuttavia non collaborò in nessun modo alla trasposizione. Pop, ultramoderno e volutamente ‘anti-Disney’, il film fu realizzato in tecnica mista, alternando riprese reali e animazione stop-motion.

Avventura di un fotografo

di Francesco Maselli (1983)

Su soggetto di Calvino, la storia segue Antonio, un fotografo ossessionato dall’idea di catturare l’essenza delle persone e delle cose attraverso l’obiettivo. L’ossessione lo spinge a isolarsi progressivamente dalla realtà, portandolo a una crisi esistenziale in cui il desiderio di possedere l’immagine si scontra con l’impossibilità di catturare la vera essenza della vita.

Italo Calvino. Lo scrittore sugli alberi

di Duccio Chiarini (2023)

Il documentario rilegge una delle opere più note di Calvino, Il Barone Rampante, creando un parallelo tra le avventure del protagonista Cosimo e l’opera. Chiarini cerca i punti in comune tra l’autore e il personaggio, «fuggito sugli alberi per trovare una giusta distanza da cui guardare le cose e non per questo meno empatico o partecipe verso le questioni sociali e politiche dei suoi contemporanei». Disponibile su RaiPlay.

Italo Calvino nelle città

di Davide Ferrario e Marco Belpoliti (2024)

Presentato all’ultima Festa del Cinema di Roma e appena passato nelle sale italiane, il film dà vita a una mappa delle città di Calvino: quelle “visibili” in cui ha vissuto (Sanremo, Torino, Parigi, Roma, New York) e quelle “invisibili” frutto della sua immaginazione. A materiali di archivio si alternano le voci-guida di Filippo Scotti, Valerio Mastandrea e Alessio Vassallo, che interpretano il grande scrittore in momenti differenti della sua vita.

ARTS BAR

Opening hours: Daily | 6.30 pm-12.30 am at The St. Regis Venice

Discover an artistic mixology experience where art turns into cocktails. Drinks inspired by the city's artistic a nd cultural legacy, all served in a stunning experiential space, along with an impressive terrace overlooking the Grand Canal.

The St. Regis Venice Hotel

San Marco 2159 - 30124, Venice

+39 041 240 0001

artsbarvenice.com

SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE

Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere Italo Calvino

Un’opportunità preziosa per esplorare l’affascinante legame tra letteratura e viaggio: torna la seconda edizione di Invito al Viaggio, rassegna letteraria ospitata a Palazzo Vendramin Grimani, promossa da Fondazione dell’Albero d’Oro in collaborazione con Università Ca’ Foscari e Alliance Française, con il sostegno di Fondation Etrillard. Dal 22 al 24 novembre, in occasione degli ultimi giorni di apertura della mostra Per non perdere il filo, Evento Collaterale alla 60. Biennale Arte, autori e viaggiatori condivideranno le loro esperienze, riflettendo su temi che spaziano dalla traduzione alla denuncia sociale, dalla solitudine alla ricerca della bellezza nascosta nei luoghi più remoti del mondo.

Intervistare questi scrittori, abituati a spostarsi continuamente, è un’impresa difficile, per non dire impossibile: è come tentare di fermare, anche solo per un istante, qualcuno che ha trasformato il viaggio nella sua ragione di vita. Non è stato possibile infatti parlare con nessuno di loro, ma i loro racconti offrono un’immersione totale in avventure affascinanti e permettono di riflettere su ciò che li spinge a partire.

Perché viaggiano? Ogni scrittore ha una motivazione diversa. Loïc Finaz, ad esempio, racconta come il desiderio di essere testimone della storia e degli eventi che plasmano il mondo lo porti a intraprendere viaggi estremi, dove il pericolo è sempre presente. Viaggiare in paesi in guerra o in situazioni di conflitto non è solo una sfida fisica, ma richiede anche una grande forza morale e psicologica. Le sue esperienze spingono a riflettere sul valore del rischio e sul senso profondo del viaggiare in situazioni limite.

Per altri, come Olivier Frébourg, Sylvain Tesson e Ingrid Thobois, il viaggio diventa una fuga dalla frenesia della vita moderna. In un mondo sempre più affollato e dominato dalla tecnologia, la solitudine è una risorsa preziosa, un modo per riscoprire la bellezza e l’armonia che la natura può offrire. Questi autori esplorano il potere rigenerante della solitudine, raccontando come essa possa trasformarsi in una fonte di ispirazione lontano dal caos cittadino.

Il viaggio, però, non è solo una fuga o un’avventura personale. Per alcuni, come Elena Dak ed Erika Fatland, rappresenta un incontro con l’alterità, un modo per mettere in discussione le proprie certezze e sviluppare una maggiore empatia verso gli altri. L’esplorazione antropologica diventa mezzo per comprendere non solo chi incontriamo lungo il cammino, ma anche per riflettere su noi stessi. In questo modo, il viaggio si trasforma in un’esperienza di crescita interiore, un processo che porta a scoprire come l’incontro con l’altro possa cambiarci profondamente.

Le scrittrici Emilienne Malfatto e Karina Sainz Borgo trasportano i lettori in territori segnati da regimi totalitari e violenze. Le loro opere denunciano la condizione dei popoli sfollati, in particolare delle donne e dei bambini, costretti a fuggire dalle loro terre per sopravvivere. Le storie che raccontano sono un potente atto di resistenza contro le ingiustizie e dimostrano come la letteratura possa diventare una voce per chi non ha voce, una denuncia dei soprusi che molti subiscono in silenzio.

Il viaggio, infine, assume una dimensione più personale e intima nell’incontro dedicato al racconto di viaggio come frammento autobiografico. Olivier Weber e Matthias Zschokke, insieme a Patrick Vallélian, analizzano come la scrittura di viaggio, da Erodoto fino ai giorni nostri, sia spesso più rivelatrice del viaggiare stesso. In un mondo globalizzato, dove quasi ogni angolo del Pianeta è stato esplorato, è ancora possibile mantenere lo spirito pionieristico dei grandi avventurieri? O è necessario ripensare il significato dell’avventura?

Negli incontri della Fondazione dell’Albero d’Oro attraverso le parole di grandi autori contemporanei il pubblico è invitato a rivedere il proprio modo di vivere e di guardare il mondo e a riconoscere il potere trasformativo della letteratura. Per partecipare agli incontri e agli aperitivi con gli autori è sufficiente diventare “Amici d’Oro” e prenotare un posto.

Invito al viaggio - Seconda edizione 22-24 novembre

Fondazione dell’Albero d’Oro, Palazzo Vendramin Grimani www.fondazionealberodoro.org

22 venerdì Friday

LA TRADUZIONE. SULLE TRACCE DI PATRICK LEIGH FERMOR

Guillaume Villeneuve in conversazione con Béatrice de Reyniès h. 11-12.30

DONNE IMPEGNATE NELLA DIFESA DEI POPOLI SFOLLATI

Emilienne Malfatto e Karina Sainz Borgo in conversazione con Adrián J. Sáez h. 15-16.30

QUALI SONO I RISCHI DI UN VIAGGIO NEI PAESI IN GUERRA?

Katell Faria e Loïc Finaz in conversazione con Marie-Christine Jamet h. 18-19.30

23 sabato Saturday

BISOGNO DI SOLITUDINE PER TROVARE LA BELLEZZA DEL MONDO

Olivier Frébourg, Sylvain Tesson e Ingrid Thobois in conversazione con Patrick Vallélian h. 11-12.30

ESPLORAZIONE ANTROPOLOGICA, UN VIAGGIO VERSO L’ALTERITÀ

Elena Dak e Erika Fatland in conversazione con Julien Zanetta h. 15-16.30

SCRITTURA DI VIAGGIO COME FRAMMENTO AUTOBIOGRAFICO

Olivier Weber e Matthias Zschokke in conversazione con Patrick Vallélian h. 18-19.30

24 domenica Sunday

DESTINAZIONE VENEZIA

Guido Fuga e Lele Vianello in conversazione con Luisa Ballin h. 11-12.30

NAVIGARE NELL’INCERTEZZA. LA PHRONESIS DEI GRECI CONTRO IL PRECAUZIONISMO MODERNO

Catherine Van Offelen in conversazione con Béatrice de Reyniès h. 16-16.45

LA RICERCA DELL’IGNOTO

Sylvain Tesson e Olivier Weber in conversazione con Patrick Vallélian h. 17-18.30

BOOKS

La Storia maestra Nel delta semantico del Ghetto

Quando ci si accinge ad affrontare, a parlare o a scrivere di temi inerenti l’identità ebraica viene ormai automatico inaugurare un ragionamento, un discorso, con una qualche premessa, con un qualche preambolo introduttivo necessario in qualche modo a dare legittimità all’enunciato che ci si muove ad articolare, quasi ci si sentisse in dovere di giustificarsi del fatto di discorrere, come se niente fosse, attorno a una cultura, a dei valori sempre più identificati come espressione di un popolo aggressore e sopraffattore. Ebbene sì, a tanto siamo arrivati oggi, nessuno escluso, me compreso qui a dilungarmi sin troppo in tal senso nell’attacco di questo pezzo che affronta la riedizione del preziosissimo e coinvolgente volume storico, che ha il pregio di essere uno strumento anche altamente divulgativo, di Donatella Calabi Venezia e il Ghetto. Cinquecento anni del recinto degli ebrei, libro uscito nella sua prima edizione nel 2016 in occasione della ricorrenza, per l’appunto, della fondazione del Ghetto nel 1516, a cui tra le altre cose abbiamo avuto la fortuna e l’orgoglio di partecipare noi stessi di VeNews attraverso la progettazione e la realizzazione editoriale di una riuscita e utile mappa tematica. A tanto, sì, si è desolantemente arrivati, come se una tragedia di così immani proporzioni come quella che si sta verificando a Gaza e ora progressivamente anche in Libano fosse l’occasione, oltre a quella di esprimere una legittima, disperata indignazione per la carneficina inaudita di migliaia di civili inermi scatenata dal governo di centro-estrema destra israeliano guidato dall’ormai sempre più impresentabile Nethanyahu, di rimettere al loro posto gli ebrei, che insomma, va bene, nessuno nega siano stati oggetto di persecuzione millenaria con il vertice apicale raggiunto nel nostro evoluto occidente con la Shoah, ci mancherebbe…(sic), ma che proprio per questo avrebbero tutti gli strumenti esperienziali iscritti dalla storia sulla loro carne viva per essere in grado di non commettere verso gli altri gli stessi errori che il mondo intero, ma questo viene detto più che sottovoce, ha commesso nei loro confronti. E naturalmente sottovoce si ricorda, ma una marea montante di giorno in giorno neanche più lo fa o la fa con malcelato, crescente fastidio, che questa immane tragedia contemporanea è esplosa in conseguenza del più devastante pogrom subito dal popolo ebraico dopo la Seconda Guerra Mondiale, vale a dire l’attacco efferato, da vera macelleria seriale, sferrato dalle bande criminali di Hamas ai kibbutz ai confini di Gaza, nonché a un rave in cui si erano radunati a ballare migliaia di giovani, oltre trecento dei quali finiti trucidati barbaramente. Eppure tali premesse hanno una loro plausibile urgenza soprattutto quando suonano da controcanto agli indigeribili “sì ma…” che da frange non così minoritarie di tutte le compagini politiche, intellettuali, sociali vengono rapidamente post-posti alla frettolosa denuncia di questo criminale attacco alla libertà stessa di esistere dello Stato di Israele. Diciamo le cose come stanno, dando loro il giusto

nome senza troppo girarci intorno: qui ci troviamo di fronte, al netto di pelosi e irritanti distinguo, a un’onda carsica di antisemitismo ora sempre più esondante in superficie. Un’onda che era lì quasi, quasi…, silente, in attesa della prima, violenta perturbazione mediorientale a gonfiarne la forza e a farla prorompere libera in ogni dove. In ragione di ciò, di questo deprimente, angosciante rigurgito di un qualche cosa di così nero, oscuro, che mai avremmo immaginato poter riemergere in queste dimensioni, al netto del monito come sempre lucido e diretto espresso decenni orsono da Primo Levi ne I sommersi e i salvati (“È accaduto quindi può accadere di nuovo”), oggi, a soli 80 anni dalla più grande catastrofe genocida di sempre compiuta dall’uomo sul pianeta terra, è ancora più importante, doveroso, direi cruciale sostenere ogni sforzo politico e culturale inteso a contestualizzare storicamente una vicenda umana, antropologica unica come quella del popolo ebraico. Dispiace da un lato, quindi, caricare di cupa angoscia contemporanea l’approccio a un testo così ben documentato, aperto, scritto senza la minima ombra pregiudiziale, come quello della Calabi sul Ghetto veneziano, il primo al mondo, come è noto, a cui ha dato il nome stesso per il fatto che lì dove sorse, per disposizione della Serenissima nel 1516, vi era il sito dove venivano “gettati” gli scarti di rame delle fonderie che nella zona di San Girolamo operavano. Un libro su cui ritorneremo a fondo concentrandoci sui suoi concreti ed articolati contenuti nei prossimi numeri, incontrando come ci auguriamo l’autrice stessa, con cui ci scusiamo per ora di aver caricato di eccesso presente questo breve pezzo che voleva essere innanzitutto una recensione del testo e che invece questo non è come

Venezia e il Ghetto. Cinquecento anni del recinto degli ebrei

avrebbe dovuto essere. Eppure ci è sembrato non proprio inopportuno, come primo approccio a questo fondamentale lavoro storico, mettere un paio di puntini belli grossi sulle i contro ogni riduzione semplificatoria, parziale, ottusa di una storia millenaria così incredibilmente complessa come quella che ha caratterizzato l’evoluzione nel tempo dell’identità ebraica. Il “recinto degli ebrei”, recita il sottotitolo, quindi reclusione, esclusione dalla comunità libera, privazione di pari diritti. Tutto questo è stata anche Venezia, così come del resto tutte le città e i villaggi europei, e non solo europei naturalmente, nei secoli. Eppure il dato intrigante, affascinante di questa specifica e cruciale storia, dato che di una delle indiscusse capitali cosmopolite del mondo per lunghi secoli stiamo parlando, sta in questa cornice platealmente escludente nel cui alveo però germoglia una zona grigia vitalissima, fatta di liberi scambi, di osmosi più o meno tollerate, di flussi vitali circolari, con portoni che si chiudono di notte per poi ineluttabilmente riaprirsi di giorno, non solo fisicamente, per reciproco interesse di veneziani ed ebrei, capaci di conoscersi, di confrontarsi, solcando permeabilmente i confini che li separano, che pur sempre confini rimangono ad ogni modo. Una storia che dice della straordinaria capacità di adattamento di questo popolo costretto da sempre a vivere ai margini, visto con sospetto, vissuto dagli altri come fonte di pericolo incombente. Una capacità di adattamento che inevitabilmente ha acuito l’ingegno di questo popolo, che facendo leva sulle condizioni costitutivamente precarie del proprio esistere ha saputo disegnare con intensità unica i suoi percorsi di sopravvivenza, che man mano si sono fatti percorsi di pura eccellenza, nei mestieri, nei commerci, nelle arti, nel pensiero. Ma ci torneremo più nello specifico su questo importante lavoro che parla della storia tutta della nostra città, non solo in senso stretto di una sua comunità. Una città-mondo, che ha sempre saputo farsi attraversare dal mondo, certo governandolo, ma sempre in modalità concretamente dialettiche. Una disposizione all’alta e utilissima diplomazia che mai come oggi dovrebbe informare chi avrebbe il dovere di ricucire i sempre più molteplici strappi di questo mondo isterico, e che invece ci tocca rimpiangere sconsolati, immersi come siamo in questa enorme pochezza che caratterizza il nostro tempo su questo terreno. Massimo Bran

Una Casa, tanti libri

Storie per sorridere e per riflettere, storie che arrivano dal passato per trasportarci in un mondo “altro” dove regna la poesia. Storie veneziane e al contempo universali, sono al centro della nuova rassegna Values in Letters, presentata dal Bookstore di The Human Safety Net by La Toletta, che propone una serie di incontri, fino a dicembre, nell’Auditorium della Casa alle 18.30, introdotti e moderati da Giovanni Pelizzato della Libreria Toletta, per lasciarsi trasportare dal potere eterno della narrazione. Una rassegna dedicata a chi ama i libri, la lettura, ma anche a chi desidera conoscere più a fondo sé stesso e il prossimo attraverso storie di umanità, resilienza e inclusione. Una riflessione sul senso di comunità e su come unendo le forze sia possibile moltiplicare il proprio potenziale e i propri talenti, che riecheggia i temi della Casa di The Human Safety Net e della mostra interattiva A World of Potential. Dopo il primo appuntamento di ottobre con Luca Scarlini e la sua Nuova guida sentimentale di Venezia con illustrazioni di Alvise Bittente, la rassegna prosegue venerdì 15 novembre con A Venezia si giuoca e si balla, ovvero il racconto di Giuseppe Ghigi, corredato da preziose foto d’epoca, di come anche negli anni della Seconda Guerra mondiale, la resilienza e l’audacia dei veneziani permisero alla città di preservare la propria identità di centro mondiale dell’arte, alimentando una intensa vita culturale. La Biennale con le sue mostre d’arte e di cinema, il Teatro La Fenice con la stagione operistica, i Teatri Goldoni e Malibran, le gallerie d’arte e poi ancora convegni, incontri e spettacoli all’aperto. L’autore, insieme a Giandomenico Romanelli, condurrà il pubblico tra le storie di coraggio e perseveranza che compongono il libro, mostrando come anche coltivando l’apprezzamento della bellezza si possa far fronte alla brutalità di un conflitto mondiale

Mercoledì 20 novembre, il terzo incontro vede protagonista alla Casa di The Human Safety Net Tiziano Scarpa con il Catalogo delle onde (Wetlands, 2024), un libro che nasce dalla contaminazione tra la scrittura dell’autore e la fotografia di Anna Zemella. Immergendosi nelle pagine di questo volume si scoprirà come esistano tanti tipi diversi di onde – laminare, meccanica, specchiante, sgretolatrice, ma anche isterica e relazionale – e come ognuna di esse, in questa grande varietà, rifletta le inquietudini di questo tempo incerto.

Values in Letters 15, 20 novembre La Casa di The Human Safety Net www.thehumansafetynet.org

Guido Costante Sullam, Piano dei tre ghetti: Ghetto Nuovo (1516), Ghetto Vecchio (1541), Ghetto Nuovissimo (1633)
Courtesy Bollati Boringhieri

Gioielli Nascosti di Venezia aperti per il Contemporaneo

COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO NATIONAL PARTICIPATION

at 60th International Venice Biennale MONTENEGRO

Bajagić Darja. It Takes an Island to Feel This Good 20 April – 24 November

Barbaria de le Tole, Castello 6691

COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO NEBULA

Giorgio Andreotta Calò, Basel Abbas and Ruanne Abou-Rahme, Saodat Ismailova, Cinthia Marcelle and Tiago Mata Machado, Diego Marcon, Basir Mahmood, Ari Benjamin Meyers, Christian Nyampeta produced by Fondazione In Between Art Film 17 April - 24 November

Barbaria de le Tole, Castello 6691

SCALA DEL BOVOLO SHANE GUFFOGG

At the Still Point of the Turning World. Strangers of Time produced by Patrick Carpentier Gallery 20 April - 24 November

San Marco 4303

CHIESA DELLE PENITENTI NATIONAL PARTICIPATION at 60th International Venice Biennale ESTONIA

Edith Karlson. Hora Lupi 20 April - 24 November

Fondamenta Cannaregio 890

PAROLE a cura di Renato Jona

SUGGESTIONE

Nella nostra vita quotidiana incontriamo con molta frequenza situazioni di fronte alle quali in modo più o meno cosciente, proviamo un approccio istintivamente favorevole o contrario, oppure critico, o intollerante, di disapprovazione, insofferente, piacevole, accondiscendente, di interesse, di curiosità, a seconda dei casi.

E questa nostra reazione immediata, direi istintiva prima che ragionata, deriva da una nutrita serie di fattori dei quali, per lo più, non ci curiamo di valutare l’origine: educazione familiare e scolastica, ambiente frequentato, letture formative che spaziano dai quotidiani ai libri classici, storici, romanzati o tecnici, di pensiero, artistici, ma anche le esperienze soggettive accumulate nel corso di ogni singola esistenza. Ci siamo formati, con il tempo, in modo “sedimentario”, più o meno cosciente, a seconda del momento, del carattere, delle inclinazioni, delle aspirazioni, delle compagnie frequentate. E di ciò, in genere, siamo poco consapevoli. In ogni caso, tuttavia, siamo in grado di dare giudizi, esprimere preferenze, esternare critiche, abbandonarci persino talvolta a pettegolezzi, appassionarci ad eventi, interessarci alle novità. Caratteristica costante di ogni nostro giudizio comunque è il fatto che le nostre prime valutazioni sono comunque immediate, istintive e forse consequenziali al nostro vissuto. Inoltre, spesso, se riflettiamo in merito alle stesse, dobbiamo prendere atto che queste nostre prime impressioni, per lo più sono influenzate inconsciamente anche da fattori esterni, spesso impercettibili (un lieve sorriso, il timbro di una voce, una attenzione ricevuta, l’ammirazione per qualche qualità dell’interlocutore, l’affinità di orientamenti politici, la somiglianza di gusti, la semplicità dei ragionamenti).

Al di là di questa “normalità”, di questi elementi che potremmo chiamare naturali, esiste un fattore assai più sottile, delicato, quasi impalpabile, un po’ misterioso che tuttavia ci accompagna nel nostro vivere quotidiano e che, a ben pensarci, tanta parte ha nella formazione dei nostri giudizi e quindi del nostro modo di pensare, di sentire e anche di agire: la suggestione. Si tratta di un elemento spesso presente nella nostra vita e che magicamente possiede la facoltà di indirizzarla, di orientare, modificare, addirittura correggere il nostro modo di sentire, di pensare e agire “naturale”, inducendoci verso scelte differenti da quelle originarie e strettamente prevedibili. Si tratta quasi di una forza esterna, piacevole, suadente, impalpabile, di cui per lo più non siamo coscienti, che ci spinge dolcemente verso mete di pensiero, preferenze o addirittura azioni, differenti da quelle che avremmo originariamente immaginato, considerata la nostra formazione, i nostri gusti, il nostro carattere. E l’accettazione passiva, accondiscendente, inconscia del suggerimento, la nostra adesione involontaria ad esso, costituisce proprio il “centro” della suggestione. A questo punto, riflettendo sul fenomeno, abbiamo la sensazione che la suggestione, essendo un fenomeno esterno a noi, di origine complessa, irresistibile, cui spesso siamo soggetti nei nostri giudizi, che addirittura modifica le nostre sensazioni, e che talvolta è all’origine delle nostre scelte, possa, in fin dei conti, essere da considerare come

un fattore negativo, perché dominante dall’esterno.

Per fortuna, però, le cose non stanno proprio così. Il fenomeno della suggestione presenta anche aspetti positivi.

Un esempio, tra i tanti? Quando l’avvocato difensore richiama l’attenzione dei giudici verso importanti elementi che, nella complessità del processo, avrebbero potuto sfuggire al giudizio dei magistrati giudicanti, e per far ciò si aiuta anche modulando eventualmente la sua voce nei passaggi salienti, favorevoli alla persona affidata alle sue cure, utilizza evidentemente anche elementi di suggestione che sono di notevole ausilio per la sua arringa.

Un altro esempio, in altro campo assai più comune e ben noto?

Durante i comizi elettorali, la presenza di un gruppo di persone posizionato ad arte tra gli ascoltatori, con l’incarico di battere le mani per trascinare l’uditorio, lodando i pensieri dell’oratore e intervenire tempestivamente per soffocare le espressioni di dissenso, costituiscono una “suggestione programmata” che si dimostra molto utile, di grande aiuto all’oratore, proprio perché l’esperienza insegna che le folle sono molto spesso suggestionabili.

Ma il fenomeno della suggestione è multiforme, vivace e trova luogo in tante occasioni, assai differenti. In questa sede sarebbe colpevole non ricordare che anche l’attribuzione collettiva ad un oggetto o a fenomeni naturali della capacità di poteri favorevoli. Pensate al ferro di cavallo, al quadrifoglio, all’arcobaleno: qualcuno chiama superstizione, ma spesso è frutto di suggestione condivisa.

La suggestione è presente in campi differenti e ci stupisce incontrarla anche in campo medico. Pensate che la sua efficacia non di rado è stata utilizzata addirittura a scopo curativo, ottenendo effetti positivi, incredibili. Il famoso “placebo”, classico medicinale inesistente, quanti malati ha guarito, quante volte ha dimostrato la sua effettiva utilità! Il paziente, convinto di seguire la cura finalmente corretta, è guarito con la semplice assunzione di… acqua!

Persino l’ottimismo, una via di mezzo tra suggestione e speranza, consente di prevedere che talune cose favorevoli, intensamente desiderate, possano avverarsi con “ quasi” certezza, trasformando comunque il presente in piacevole attesa e tante volte in una felice, trionfante constatazione della realizzazione del desiderio.

Oggi, consci degli effetti pratici e tangibili del fenomeno esaminato, sono comparsi anche gli “industriali” del consenso, più che della suggestione: mi riferisco a tanti fenomeni paralleli che riscontriamo accanto a noi, nella nostra vita. Mi riferisco agli influencer, agli opinion leader, ai guru, ai trend setter e potrei continuare. Ma si tratta, in questo caso, però, di fenomeni differenti, non naturali, meno raffinati e originali, anche se comunque molto interessanti, sui quali sarà bene soffermarci in altra occasione.

Per questa volta riteniamo giusto fermarci alle semplici considerazioni sulla suggestione.

A proposito: siete proprio sicuri di non esservi lasciati suggestionare dalle considerazioni fin qui avanzate?

Alla prossima parola!

making space for art

BIENNALE ARTE 2024 20.04 – 24. 11

National Participation AZERBAIJAN PAVILION

From Caspian To Pink Planet: I Am Here Campo della Tana, Castello 2126/A

Collateral Event Above ZobeideExhibition from Macao China

Istituto Santa Maria della Pietà, Castello 3701

Global Painting. La Nuova pittura cinese

From an idea of Vittorio Sgarbi and Silvio Cattani

Curated by Lü Peng and Paolo De Grandis with Carlotta Scarpa and Li Guohua

07.12.2023 – 05.05.2024

Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto

SINCE 1984 Curatorship Consultancy Management

136 EXHIBITIONS IN THE VENICE BIENNALE

40th Anniversary 1984 -2024

QUARTETTO

This is where it all started in Scuola Grande di San Giovanni Evangelista with artists Joseph Beuys, Bruce Nauman, Enzo Cucchi, Luciano Fabro and curators Paolo De Grandis, Achille Bonito Oliva, Alanna Heiss, Kaspar Koenig

Collateral Event Trevor Yeung: Courtyard of AttachmentsHong Kong in Venice Campo della Tana, Castello 2126

LI CHEVALIER

I Hear the Water Dreaming

Curated by Paolo De Grandis and Carlotta Scarpa Scientif direction of Marta Boscolo Marchi 11.05 – 15.09 2024 Museo d’Arte Orientale di Venezia

artecommunications.com

november2024

agenda

MUSICA , CLASSICA , TEATRO, CINEMA

01

venerdì Friday

PABLO HELD TRIO MEETS

NELSON VERAS

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Centro Culturale San GaetanoPadova h. 21

02

sabato Saturday

ELEONORA STRINO TRIO

Jazz

“Venezia Jazz Festival Fall Edition“ Auditorium Lo Squero h. 18

ELEONORA STRINO TRIO

Jazz

“Venezia Jazz Festival Fall Edition“ Laguna Libre h. 20.30

TANANAI

Pop

Palazzo del Turismo-Jesolo h. 21

STEVE HACKETT

Rock

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

HAKAN BASAR TRIO

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Centro Culturale San GaetanoPadova h. 21

03

domenica Sunday

DANIELE DI BONAVENTURA

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Caffè Pedrocchi-Padova h. 11.30

RACHEL Z FEAT. OMAR

HAKIM

Jazz

“Venezia Jazz Festival Fall Edition“ Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19

07 giovedìThursday

BIG CHIEF DONALD HARRISON QUARTET

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Sala dei Giganti al Liviano-Padova h. 21

08

venerdì Friday

LAURA AGNUSDEI

GABRIELE MITELLI

Musica elettronica

Teatrino Grassi h. 18.30

MICHAEL ROSEN 4TET

Jazz

“Venezia Jazz Festival Fall Edition“

Laguna Libre h. 18.30

JAMES JONATHAN CLANCY + BONO BURATTINI

Folk elettronico

“youTHeater“

Teatro del Parco-Mestre h. 21

ANAT COHEN QUARTETINHO FEATURING VITOR GONÇALVES, TAL

MASHIACH & JAMES SHIPP

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Sala dei Giganti al Liviano-Padova h. 21

09

sabato Saturday

VANESSA MORENO & SALOMÃO SOARES

Jazz

“Venezia Jazz Festival Fall Edition“

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19.30

MAURO OTTOLINI TRIO

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Università degli Studi di Padova h. 21

TANANAI

Pop

Kioene Arena-Padova h. 21

THE MUSIC OF HANS ZIMMER

Hans Zimmer tribute

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

10

domenica Sunday

VENETIKOREBETIKO

Folk

“Candiani Groove“ Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18.30

ENRICO MORELLO

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Caffè Pedrocchi-Padova h. 11.30

11

lunedì Monday

SERGIO CAMMARIERE

Musica d’autore

“Bissuola Live“

Teatro del Parco-Mestre h. 21

12

martedìTuesday

GUGLIELMO SANTIMONE

TRIO

TREETOPS

Jazz

“Venezia Jazz Festival Fall Edition“

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19.30

13

mercoledìWednesday

EIKO ISHIBASHI

Musica elettronica

“Centrodarte24“

Sala Fronte del Porto-Padova h. 21

14

giovedìThursday

ROSARIO GIULIANI & PIETRO LUSSU

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Ridotto del Teatro Verdi-Padova h. 18.30

RICHARD BONA TRIO

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Teatro Verdi-Padova h. 21

15

venerdì Friday

MICHELE ZARRILLO

Musica d’autore

Teatro Corso-Mestre h. 21

AS MADALENAS

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Ridotto del Teatro Verdi-Padova h. 18.30

LAKECIA BENJAMIN

Jazz

“Padova Jazz Festival“

Teatro Verdi-Padova h. 21

MR. RAIN

Pop Kioene Arena-Padova h. 21

16 sabato Saturday

ALIENDEE BEATBOX

GROOVY TRIO FEATURING ALESSANDRO

SCALA & MECCO GUIDI

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Ridotto del Teatro Verdi-Padova h. 18.30

BILLY COBHAM TIME MACHINE BAND

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Teatro Verdi-Padova h. 21

MALIKA AYANE

Pop Teatro Toniolo-Mestre h. 21

17 domenica Sunday

DUO HANA

Jazz

“Padova Jazz Festival“ Caffè Pedrocchi-Padova h. 11.30

GARCIA-FONS & TURKAN

Folk

“Candiani Groove“ Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18.30

19 martedìTuesday

FRANÇOIS BONNET

Musica elettronica Teatrino Grassi h. 18

DANIELE DI BONAVENTURA

Jazz

“Venezia Jazz Festival Fall Edition“ Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19.30

22 venerdì Friday

GIANNA NANNINI

Rock

Palazzo del Turismo-Jesolo h. 21

23 sabato Saturday

CANBERK ULAS

Jazz

“Venezia Jazz Festival Fall Edition“ Auditorium Lo Squero h. 18

BLUE

Pop

Kioene Arena-Padova h. 21

SANTI FRANCESI

Hard pop

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

28

giovedìThursday

FRANCESCA GUCCIONE

Jazz

“Venezia Jazz Festival Fall Edition“ Fondaco dei Tedeschi h. 18

ROBBEN FORD

Blues

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

29

venerdì Friday

SECKOU KEITA & MOUSSA NGOM

Folk

“Candiani Groove“ Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18.30

CAMILLA SPARKSSS

Elettro-noise-pop

“New Echo System“ Teatrino Grassi h. 21

INDIRIZZI

AUDITORIUM LO SQUERO

Isola di San Giorgio Maggiore www.venetojazz.com

CAFFÈ PEDROCCHI

Via VIII Febbraio-Padova www.padovajazz.com

CENTRO CULTURALE CANDIANI

Piazzale Candiani 7-Mestre www.venetojazz.com

CENTRO CULTURALE

SAN GAETANO

Via Altinate 71-Padova www.padovajazz.com

FONDACO DEI TEDESCHI

Calle del Fontego www.venetojazz.com

GRAN TEATRO GEOX

Via Tassinari 1-Padova www.zedlive.com

IL MURETTO

Via Roma Destra 120-Jesolo www.ilmuretto.org

KIOENE ARENA

Via San Marco 53-Padova www.zedlive.com

LAGUNA LIBRE

Cannaregio 969 www.venetojazz.com

PALAZZO DEL TURISMO

Piazza Brescia 11-Jesolo www.azalea.it

30

NADA

sabato Saturday

Musica d’autore

“Bissuola Live“

Teatro del Parco-Mestre h. 21

RAF

Pop

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

02

sabato Saturday

JANINE JANSEN violino

SUNWOOK KIM pianoforte

Musiche di Brahms, Schumann “Musikàmera”

Ingresso/Ticket € 70/45

Teatro La Fenice h. 21

03

domenica Sunday

LA VITA È SOGNO

Opera in tre atti e quattro quadri

Musiche di Malipiero

Direttore Francesco Lanzillotta

Regia Valentino Villa “Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 110/45

Teatro Malibran h. 15.30

05

martedìTuesday

LA VITA È SOGNO

(vedi domenica 3 novembre)

“Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 110/45

SALA DEI GIGANTI AL LIVIANO

Piazza Capitaniato-Padova www.padovajazz.com

SALA FRONTE DEL PORTO

Via S. Maria Assunta 20-Padova www.centrodarte.it

TEATRINO GRASSI

Campo San Samuele 3231 www.pinaultcollection.com

TEATRO CORSO

Corso del Popolo 30-Mestre www.amceventi.it

TEATRO DEL PARCO

Parco Albanese-Mestre www.comune.venezia.it

TEATRO LA FENICE

Campo San Fantin 1965 www.venetojazz.com

TEATRO TONIOLO

Piazzetta Malipiero 1-Mestre www.comune.venezia.it

TEATRO VERDI

Via dei Livello 32-Padova www.padovajazz.com

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI

DI PADOVA

Via F. Marzolo 8-Padova www.padovajazz.com

Teatro Malibran h. 19

07

giovedìThursday

CONCERTO PER MASSIMO CACCIARI

Direttore Marco Angius

Musiche di Nono “Festival Luigi Nono-Risonanze Erranti”

Ingresso libero/Free entry Conservatorio Benedetto Marcello h. 17.30

LA VITA È SOGNO

(vedi domenica 3 novembre) “Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 110/45

Teatro Malibran h. 19

09

sabato Saturday

MASSIMO BRUNELLO violoncello

IVANO BATTISTON fisarmonica

Musiche di Gubaidulina, Bach “Stagione 2024”

Ingresso/Ticket € 33/11

Auditorium Lo Squero h. 16.30

10

domenica Sunday

LA VITA È SOGNO

(vedi domenica 3 novembre) “Stagione Lirica e Balletto 20232024”

Ingresso/Ticket € 110/45

Teatro Malibran h. 15.30

EX NOVO ENSEMBLE

Musiche di Busoni, Jarnach, Wogel “Ex Novo Musica 2024”

Ingresso/Ticket € 50/20

Teatro La Fenice, Sale Apollinee h. 20

12

martedìTuesday

JUAN CARLOS GARVAYO pianoforte

Cine-concerto presentato in italiano“Stagione 2024”

Ingresso/Ticket € 6,50

Palazzetto Bru Zane h. 19.30

15

venerdì Friday

CHIARA RAMELLO soprano OLAF JOHN LANERI pianoforte

Regia del suono Alvise Vidolin, Paolo Zavagna

Musiche di Nono

“Festival Luigi Nono-Risonanze Erranti”

Ingresso libero/Free entry Conservatorio Benedetto Marcello h. 17.30

EX NOVO ENSEMBLE

Musiche di Bach, Donatoni, Nono “Ex Novo Musica 2024”

Ingresso/Ticket € 50/20

Teatro La Fenice, Sale Apollinee h. 20

16 sabato Saturday

SHLOMO MINTZ violino

Musiche di Ernst, Paganini “Stagione 2024”

Ingresso/Ticket € 33/11

Auditorium Lo Squero h. 16.30

JACOPO CENNI live electronics

FEDERICO TRAMONTANA percussioni

Regia del suono Alvise Vidolin, Paolo Zavagna

Musiche di Nono

“Festival Luigi Nono-Risonanze Erranti”

Ingresso libero/Free entry

Conservatorio Benedetto Marcello h. 17.30

agenda

MUSICA, CLASSICA , TEATRO , CINEMA

17

domenica Sunday

ENSEMBLE DI FLAUTI

I SILENI

Musiche di Janulyté, Pärt, Mazulis

“Ex Novo Musica 2024”

Ingresso/Ticket € 50/20

M9 - Museo del ‘900- Mestre h. 18

18

lunedì Monday

MINGUET QUARTETT

Ulrich Isfort violino

Annette Reisinger violino

Aida Carmen Soanea viola

Matthias Diener violoncello

Musiche di Nono

“Festival Luigi Nono-Risonanze Erranti”

Ingresso libero/Free entry

Conservatorio Benedetto Marcello h. 18

20

mercoledìWednesday

OTELLO

Dramma lirico in quattro atti

Musiche di Verdi

Direttore Myung-Whun Chung

Regia Fabio Ceresa

“Stagione Lirica e Balletto 20242025”

Ingresso/Ticket € 380/20 Teatro La Fenice h. 19

21

giovedìThursday

A FLORESTA É JOVEM E CHEJA DE VIDA

Musiche di Nono

Regia del suono Alvise Vidolin

“Festival Luigi Nono-Risonanze Erranti”

Ingresso libero/Free entry Fondazione Prada h. 18.30

22

venerdì Friday

A FLORESTA É JOVEM E CHEJA DE VIDA

Musiche di Nono

Regia del suono Alvise Vidolin

“Festival Luigi Nono-Risonanze Erranti”

Ingresso libero/Free entry Teatrino di Palazzo Grassi h. 18

23 sabato Saturday

OTELLO

(vedi mercoledì 20 novembre)

“Stagione Lirica e Balletto 20242025”

Ingresso/Ticket € 380/20

Teatro La Fenice h. 15.30

26

martedìTuesday

OTELLO

(vedi mercoledì 20 novembre)

“Stagione Lirica e Balletto 20242025”

Ingresso/Ticket € 380/20

Teatro La Fenice h. 19

28

giovedìThursday

JUDITHA HAEBERLIN

ENSEMBLE RESONANZ

HANNAH WEIRICH

ENSEMBLE MUSIKFABRIK

Musiche di Nono, Morley, Gibbons

“Festival Luigi Nono-Risonanze Erranti”

Ingresso libero/Free entry

Centro Tedesco di Studi Veneziani h. 17

29

venerdì Friday

EMMA BRUNAT pianoforte

Musiche di Beethoven, Brahms, Boulez

“Ex Novo Musica 2024”

Ingresso/Ticket € 50/20

Ateneo Veneto h. 17.30

JAN MICHIELS pianoforte

Concerto in omaggio a Maurizio

Pollini

Musiche di Nono

“Festival Luigi Nono-Risonanze Erranti”

Ingresso libero/Free entry Conservatorio Benedetto Marcello h. 18

OTELLO

(vedi mercoledì 20 novembre)

“Stagione Lirica e Balletto 20242025”

Ingresso/Ticket € 380/20

Teatro La Fenice h. 19

30

sabato Saturday

MASSIMO MERCELLI violino

QUARTETTO DI VENEZIA

Musiche di Hindemith, Debussy

“Stagione 2024”

Ingresso/Ticket € 33/11

Auditorium Lo Squero h. 16.30

INDIRIZZI

ATENEO VENETO

Campo San Fantin 1897 www.exnovoensemble.it

AUDITORIUM

LO SQUERO

Isola di San Giorgio Maggiore www.cini.it

CENTRO TEDESCO DI STUDI VENEZIANI

Palazzo Barbarigo della Terrazza www.luiginono.it

CONSERVATORIO

BENEDETTO MARCELLO San Marco 2810 www.luiginono.it

FONDAZIONE ARCHIVIO

LUIGI NONO

C.S. Cosmo 619 www.luiginono.it

FONDAZIONE PRADA

Calle Corner 2215 www.luiginono.it

M9 - MUSEO DEL ‘900

Via G. Pascoli 11-Mestre www.exnovoensemble.it

PALAZZETTO BRU ZANE

San Polo 2368 bru-zane.com

TEATRINO GRASSI

Campo San Samuele 3231 www.teatrolafenice.it

TEATRO LA FENICE

Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it

TEATRO MALIBRAN

Campiello del Teatro 5873 www.teatrolafenice.it

05

martedìTuesday

LA COSCIENZA DI ZENO di Italo Svevo Con Alessandro Haber Regia di Paolo Valerio “Stagione di Prosa 2024-25”

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

06

mercoledìWednesday

LA COSCIENZA DI ZENO (vedi martedì 5 novembre)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

I PARENTI TERRIBILI di Jean Cocteau

Traduzione Monica Capuani

Regia Filippo Dini

Con Milvia Marigliano, Mariangela Granelli, Filippo Dini, Giulia Briata, Cosimo Grilli “Colpo di Scena 2024/25” Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

07 giovedìThursday

LA COSCIENZA DI ZENO (vedi martedì 5 novembre) Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

OTELLO

Di precise parole si vive Drammaturgia di Lella Costa e Gabriele Vacis

Con Lella Cosa

Regia di Gabriele Vacis “La Città a Teatro 2024-25” Ingresso/Ticket € 18/15

Teatro di Mirano h. 21

I PARENTI TERRIBILI (vedi mercoledì 7 novembre) Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Verdi-Padova h. 19

MOLTO RUMORE PER NULLA

di William Shakespeare Adattamento e regia di Veronica Cruciani

Con Lodo Guenzi e Sara Putignano “Colpo di Scena 2024/25” Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

08

venerdì Friday

LETTERE A MILENA

Epistolario d’amore tra Franz Kafka e Milena Jesenká

Voci di Mauro Gozzato e Patrizia

Marcato

Musicisti Davide Furlanetto e Mauro Martello

Solista Alice Sabbadin

“Labirinti dell’Anima: il Centenario di Franz Kafka”

Ingresso/Ticket € 5

Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18

LA COSCIENZA DI ZENO

(vedi martedì 5 novembre)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

I PARENTI TERRIBILI

(vedi mercoledì 7 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

MOLTO RUMORE PER NULLA

(vedi giovedì 7 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

09

sabato Saturday

LA COSCIENZA DI ZENO

(vedi martedì 5 novembre)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

I PARENTI TERRIBILI

(vedi mercoledì 7 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

MOLTO RUMORE PER NULLA

(vedi giovedì 7 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

10

domenica Sunday

BRUM

Drammatico Vegetale di Pietro Fenati

con Pietro Fenati, Elvira Mascanzoni

(consigliato dai 2 ai 6 anni)

“Spettacoli per famiglie”

Ingresso/Ticket € 4

Teatrino Groggia h. 11/16.30

LA COSCIENZA DI ZENO

(vedi martedì 5 novembre)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

I PARENTI TERRIBILI

(vedi mercoledì 7 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Verdi-Padova h. 16

MOLTO RUMORE PER NULLA

(vedi giovedì 7 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

TI VEDO. LA LEGGENDA

DEL BASILISCO

di Emanuela Dall’Aglio

Teatro del Buratto

“Millemondi 2024-25”

Ingresso/Ticket € 6,5

Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 16

NON TUTTI SANNO CHE…

Coreografia Elisa Barucchieri

ResExtensa Dance Company

EAT ME

Coreografia Giorgia Lolli

“La Sfera Danza Festival”

Ingresso/Ticket € 10/7

Teatro ai Colli-Padova h. 19

12

martedìTuesday

IL FUOCO SAPIENTE

con Toni Servillo

Drammaturgia Giuseppe

Montesano

“FuoriSerie 2024-25”

Ingresso/Ticket € 39/8

Teatro Goldoni h. 19

14

giovedìThursday

I LEGNANESI

Ricordati il bonsai

“I Comici 2024-25”

Ingresso/Ticket € 40/32

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

15

venerdì Friday

MOLTO RUMORE PER NULLA

di William Shakespeare

Adattamento e regia

di Veronica Cruciani

Con Lodo Guenzi e Sara Putignano

“Colpo di Scena 2024/25”

Ingresso/Ticket € 39/8

Teatro Goldoni h. 20.30

AIOI NO MATSU

dall’opera di Noh Takasago

Con Lena Gradkovskaya, Riku

Bouz

Produzione Awaji Art Circus

“youTHeater 2024 - INéOUT”

Ingresso/Ticket € 10/5

Teatro del Parco-Mestre h. 19

QUALCOSA

di Chiara Gamberale

adattamento di Annagaia

Marchioro

con Annagaia Marchioro e Federico Zanandrea

“Mira, il Teatro fa Centro 2024-25”

Ingresso/Ticket € 22/18

Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

16

sabato Saturday

MOLTO RUMORE PER NULLA

(vedi venerdì 15 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/8

Teatro Goldoni h. 19

NUZZO E DI BIASE

Delirio a due di e con Corrado Nuzzo e Maria Di Biase

Ingresso/Ticket € 38/28

Teatro Corso-Mestre h. 21.15

LOADING

Coreografia Hektor Budlla Hektor Budlla e Veronica Marangon

MDMA

Coreografia Gennaro Maione

Körper – Centro Nazionale di Produzione della Danza “La Sfera Danza Festival” Ingresso/Ticket € 10/7

Teatro Quirino De Giorgio-Vigonza h. 19

17

domenica Sunday

MOLTO RUMORE PER NULLA

(vedi venerdì 15 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/8

Teatro Goldoni h. 16

SOIRÉE CON I SOLISTI DEL GAERTNERPLATZTHEATER

diretti da Karl Alfred Schreiner

MINUTEMADE (estratto)

Coreografia:Marco da Silva Ferreira

TROIA (estratto)

Coreografia: Andonis Foniadakis

PEER GYNT (estratto)

Coreografia: Karl Alfred Schreiner “VeneziainDanza 2024”

Ingresso/Ticket € 30/24

Teatro Malibran h. 17

KAFKA MORTO

Ideazione, drammaturgia e regia

Antonio “Tony” Baladam interpreti Eleonora Panizzo, Antonio “Tony” Baladam

“Labirinti dell’Anima: il Centenario di Franz Kafka”

Ingresso/Ticket € 10/7

Teatrino Groggia h. 19

SHOWCASE15 | VETRINA DI GIOVANE DANZA

D’AUTORE

Ideazione Nicolò Fornasiero Keeping Warm

Ritmi Sotterranei Contemporary Dance Company

Surreale

Milano Contemporary Ballet

Che cosa sono le nuvole

Balletto di Parma

Droop Down – Associazione Arti’s “La Sfera Danza Festival”

Ingresso/Ticket € 10/7

Teatro Quirino De Giorgio-Vigonza h. 19

20

mercoledìWednesday

ASPETTANDO RE LEAR da William Shakespeare di Tommaso Mattei

Con Alessandro Preziosi, Nando Paone, Roberto Manzi, Arianna Primavera, Valerio Ameli

Opere in scena Michelangelo Pistoletto

Regia Alessandro Preziosi

“Colpo di Scena 2024/25”

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

21

giovedìThursday

ASPETTANDO RE LEAR

(vedi mercoledì 20 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Verdi-Padova h. 19

22 venerdì Friday

RACCONTI DISUMANI da Franz Kafka di Alessandro Gassmann Con Giorgio Pasotti Musiche di Pivio e Aldo De Scalzi “Labirinti dell’Anima: il Centenario di Franz Kafka”

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

CAROLYN CARLSON Poetry Event

Direzione artistica, improvvisazioni, poesie Carolyn Carlson

Danza Sara Simeoni

Live music Paki Zennaro

“youTHeater 2024 - INéOUT”

Ingresso/Ticket € 10/5

Teatro del Parco-Mestre h. 21

ASPETTANDO RE LEAR

(vedi mercoledì 20 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO , CINEMA

sabato Saturday

STABAT PASSIO

Compagnia Tocnadanza Venezia

Coreografia e regia di Michela Barasciutti

Musiche di Pergolesi, Mozart, Part, Bach e altri

“VeneziainDanza 2024”

Ingresso/Ticket € 25

Teatro Malibran h. 20

RACCONTI DISUMANI

(vedi venerdì 22 novembre)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

ASPETTANDO RE LEAR

(vedi mercoledì 20 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

24

domenica Sunday

RACCONTI DISUMANI

(vedi venerdì 22 novembre)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

ASPETTANDO RE LEAR

(vedi mercoledì 20 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Verdi-Padova h. 16

INNER

Coreografia Francesco Annarumma

Arb Dance Company

FINGER FOOD

Coreografia Marco Laudani e Claudio Scalia

Ocram Dance Movement

“La Sfera Danza Festival”

Ingresso/Ticket € 10/7

Teatro ai Colli-Padova h. 19

26

martedìTuesday

NUREEV, UNA VITA PER LA DANZA

Conferenza con proiezioni video

Presenta Franco Bolletta

“Percorsi della danza”

Ingresso libero/Free entry

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 18

27

mercoledìWednesday

1984 di George Orwell

adattamento di Robert Icke e Duncan Macmillan

Traduzione e regia di Giancarlo Nicoletti

Con Ninni Bruschetta, Violante Placido, Woody Neri

“Stagione di Prosa 2024-25”

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

LA VITA È BELLA

Banda dell’Esercito Italiano –Direttore Maestro Maggiore Filippo

Cangiamila

Regia Gabriella Furlan Malvezzi

Le più famose colonne sonore di film eseguite dal vivo

Canto Barbara Lorenzato e Vittorio

Matteucci

Danza: Gioacchino Starace, The Bridge Pigato Contemporary e Padova Danza Project

“La Sfera Danza Festival”

Ingresso/Ticket € 10/7

Teatro Verdi-Padova h.20.45

28 giovedìThursday

1984

(vedi mercoledì 27 novembres)

Ingresso/Ticket € 30/27

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

I PARENTI TERRIBILI di Jean Cocteau

Traduzione Monica Capuani

Regia Filippo Dini

Con Milvia Marigliano, Mariangela

Granelli, Filippo Dini, Giulia Briata, Cosimo Grilli

“Colpo di Scena 2024/25”

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

29 venerdì Friday

I SAW LIGHT

Un progetto di Motus Enrico

Casagrande, Daniela Nicolò

Omaggio a Kae Tempest con le neo diplomate e i neo diplomati dell’Accademia Teatrale

Carlo Goldoni

“Colpo di Scena 2024/25”

Ingresso/Ticket € 21/11

Teatro Goldoni h. 20.30

LO STRONZO di e con Andrea Lupo

Teatro delle Temperie

“youTHeater 2024 - INéOUT”

Ingresso/Ticket € 10/5

Teatro del Parco-Mestre h. 21

I PARENTI TERRIBILI

(vedi giovedì 28 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

30

sabato Saturday

I SAW LIGHT

(vedo venerdì 30 novembre)

Ingresso/Ticket € 21/11

Teatro Goldoni h. 19

CIRCO KAFKA

dal Processo di Franz Kafka

Con Roberto Abbiati e Johannes Schlosser

Regia di Claudio Morganti

“Labirinti dell’Anima: il Centenario di Franz Kafka”

Ingresso/Ticket € 10/7

Teatrino Groggia h. 19

BOLERO/BALLAD

MM Contemporary Dance Company

BOLERO

Coreografia di Michele Merola BALLAD

Coreografia e regia di Mauro Bigonzetti “VeneziainDanza 2024”

Ingresso/Ticket € 25

Teatro Malibran h. 20

I PARENTI TERRIBILI

(vedi giovedì 28 novembre)

Ingresso/Ticket € 39/5

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

INDIRIZZI

CENTRO CULTURALE CANDIANI

Piazzale Candiani-Mestre www.culturavenezia.it/candiani

TEATRINO GROGGIA

Sant’Alvise, Cannaregio 3150 www.comune.venezia.it

TEATRO AI COLLI

Via Monte Lozzo 16-Padova www.lasferadanzafestival.it

TEATRO CORSO

Corso del Popolo 30-Mestre ww.dalvivoeventi.it

TEATRO GOLDONI San Marco 4650/B www.teatrostabileveneto.it

TEATRO MARIO DEL MONACO Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it

TEATRO DI MIRANO Via della Vittoria 75-Mirano www.piccionaia.org

TEATRO DEL PARCO Parco Albanese-Mestre www.culturavenezia.it

TEATRO QUIRINO DE GIORGIO

Piazza Enrico Zanella-Vigonza www.lasferadanzafestival.it

TEATRO TONIOLO

Piazzetta Cesare BattistiMestre www.culturavenezia.it/toniolo

TEATRO VILLA DEI LEONI

Riviera S. Trentin-Mira www.piccionaia.org

TEATRO VERDI Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it

04

lunedì Monday

ART AND SPACE:

PORTRAIT OF AN ART JOURNEY

Regia di Gabriella Cardazzo e Duncan Ward (1997) “Lo spazio dell’arte. Omaggio a Gabriella Cardazzo”

Casa del Cinema h. 19.30

05

martedìTuesday

FRANKENSTEIN

Regia di James Whale (1931)

“Etica e Scienza viste dallo schermo”

Casa del Cinema h. 17.30/20.30

06

mercoledìWednesday

MANICOMI DA IMPAZZIRE

Regia di di Enrico Mengotti (1984)

“100 anni dalla nascita di Franco Basaglia”

Casa del Cinema h. 17.30

IL PITTORE NEOIMPRESSIONISTA

Regia di Emile Cohl (1910) EDWARD MANI DI FORBICE

Regia di Tim Burton (1990) IL TIC

Regia di Étienne Arnaud (1911) THE ELEPHANT MAN

Regia di David Lynch (1980) “Alone Among Others” Teatrino Grassi h. 18/20

07

giovedìThursday ARISTOCRATS

Regia di Sode Yukiko (2021) “Identità in transito. Rassegna di cinema giapponese contemporaneo”

12

martedìTuesday

L’UOMO CHE VISSE NEL

FUTURO

Regia di George Pal (1960)

“Etica e Scienza viste dallo schermo”

Casa del Cinema h. 17.30/20.30

LUIGI NONO. INFINITI

POSSIBILI

Regia di Manuela Pellarin (2024)

“Festival Nono. Risonanze Erranti”

Cinema Rossini h. 21

GÜLLÜDERE E KIZILÇUKUR

Regia di Davide Gambino (2020)

“Oltre il giardino”

Tipoteca Italiana-Cornuda h. 20.30

13

mercoledìWednesday

FANTASMA D’AMORE

Regia di Dino Risi (1981)

“Omaggio a Mino Milani”

Casa del Cinema h. 17.30/20.30

OXFORD CONTRO

MARTIGUES

Regia di Jean Durand (1912)

CLEO DALLE 5 ALLE 7

Regia di Agnès Varda (1962)

CALINO BUROCRATE

Regia di Romeo Bosetti (1908)

MR. KLEIN

Regia di Joseph Losey (1976)

“Alone Among Others”

Teatrino Grassi h. 18/20

VENICE ARCHITECTURAL

FILM FESTIVAL

Rassegna di corto e mediometraggi di argomento climatico

“Adaptations” Cinema Rossini h. 21

15

venerdì Friday

MAGNETIC BEATS

Regia di Vincent Cardona (2021)

“Alliance Française incontra Circuito Cinema”

Casa del Cinema h. 17.30/20.30

VENICE ARCHITECTURAL

FILM FESTIVAL

Rassegna di corto e mediometraggi di argomento climatico

“Adaptations”

Cinema Rossini h. 21

20

mercoledìWednesday

L’ORTO DEL MONDO

Regia di Davide Gambino (2020) “Paesaggi che cambiano”

Spazi Bomben-Treviso h. 20.30

26

martedìTuesday

GATTACA - LA PORTA DELL’UNIVERSO

Regia di Andrew Niccol (1997)

“Etica e Scienza viste dallo schermo”

Casa del Cinema h. 17.30/20.30

CÉIDE FIELDS

Regia di Davide Gambino (2018) “Oltre il giardino”

Tipoteca Italiana-Cornuda h. 20.30

28

giovedìThursday

OSHIN

Regia di Togashi Shin (2013)

“Identità in transito. Rassegna di cinema giapponese contemporaneo”

Casa del Cinema h. 17.30/20.30 : c

Casa del Cinema h. 17.30/20.30

CENTAURO

Regia di Valentina Furian (2024) “Cattiva luce”

Teatrino Grassi h. 18/20

08

venerdì Friday TAXI TEHERAN

Regia di Jafar Panahi (2015) “Con Marco Polo sulla Via della Seta”

Casa del Cinema h. 17.30/20.30

14

giovedìThursday

MOCHI

Regia di Komatsu Mayumi (2018)

“Identità in transito. Rassegna di cinema giapponese contemporaneo”

Casa del Cinema h. 17.30/20.30

VENICE ARCHITECTURAL

FILM FESTIVAL

Rassegna di corto e mediometraggi di argomento climatico

“Adaptations”

Cinema Rossini h. 21

INDIRIZZI

CASA DEL CINEMA San Stae 1990 www.culturavenezia.it/cinema

CINEMA ROSSINI Salizzada della Chiesa 3997 venicearchitecturefilmfestival. com

SPAZI BOMBEN Via Cornarotta 7-Treviso www.fbsr.it

TEATRINO GRASSI Campo San Samuele 3231 www.pinaultcollection.com

TIPOTECA ITALIANA Via Canapificio 3-Cornuda www.fbsr.it

biennalearte

NATIONAL PARTICIPATIONS / COLLATERAL EVENTS / NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

NATIONAL PARTICIPATIONS

Repubblica di ARMENIA

Magazzino del Sale 3, Dorsoduro 264 IG @khemchyan_nina

Repubblica dell’AZERBAIGIAN

Campo della Tana, Castello 2126/A www.azerbaijanvenicebiennale.com

Repubblica Popolare del BANGLADESH

Spazio Espositivo STAERT, Santa Croce 1979/A BOSNIA-ERZEGOVINA

Palazzo Zorzi (UNESCO Venice Office), Castello 4930

BULGARIA

Sala Tiziano-Centro Culturale Don Orione Artigianelli Dorsoduro 919 www.bulgarianpavilionvenice.art

Repubblica del CAMERUN

Palazzo Donà delle Rose, Fondamenta Nove Cannaregio 5038

CILE

Magazzino n. 42, Marina Militare, Castello 2738/C IG @cosmonacion | www.cultura.gob.cl

Repubblica di CIPRO

Associazione Culturale Spiazzi, Castello 3865

Repubblica Democratica del CONGO

Ex Cappella Buon Pastore, Castello 77 COSTA D’AVORIO

Centro Culturale Don Orione Artigianelli, Dorsoduro 947

CROAZIA

Fàbrica 33, Calle Larga dei Boteri, Cannaregio 5063 www.croatianpavilion2024.com

CUBA

Teatro Fondamenta Nove, Cannaregio 5013 www.wilfredoprieto.com

ESTONIA

Chiesa delle Penitenti, Fondamenta Cannaregio 890 www.cca.ee

ETIOPIA

Palazzo Bollani, Castello 3647 www.ethiopiapavilion.org

GEORGIA

Palazzo Palumbo Fossati, San Marco 2597 IG @georgian_pavillon_2024

GERMANIA/2

Isola della Certosa e Giardini IG @deutscherpavillon

GRENADA

Palazzo Albrizzi-Capello, Cannaregio 4118 www.grenadavenice.org

Repubblica Islamica dell’IRAN

Palazzo Malipiero, San Marco 3198 Repubblica del KAZAKHSTAN

Museo Storico Navale, Riva San Biasio, Castello 2148

Repubblica del KOSOVO

Museo Storico Navale, Riva San Biasio, Castello 2148 www.pavilionofkosovo.com

LITUANIA

Chiesa di Sant'Antonin, Salizada Sant’Antonin Castello 3477 www.lndm.lt/inflammation

Repubblica di MACEDONIA DEL NORD

Scuola dei Laneri, Santa Croce 131/A IG @macedonianpavilion

MONGOLIA

Campo della Tana, Castello 2127/A (near the Arsenale entrance) www.2024mongolian-pavilion.org

MONTENEGRO

Complesso dell’Ospedaletto Barbaria de le Tole, Castello 6691 IG @slavadar

NIGERIA

Palazzo Canal, Rio Terà Canal, Dorsoduro 3121 www.nigeriaimaginary.com

Sultanato dell’OMAN

Palazzo Navagero, Castello 4147 IG @omanpavilion

Repubblica di PANAMA

Spazio Castello 2131 www.panamapavilion.org

PORTOGALLO

Palazzo Franchetti, San Marco 2842 www.greenhouse2024.com

ROMANIA/2

Palazzo Correr, Campo Santa Fosca, Cannaregio 2214 IG @romanianpavilion2024

Repubblica di SAN MARINO

Fucina del Futuro, Calle e Campo San Lorenzo Castello 5063/B www.biennaleveneziasanmarino.com

SANTA SEDE

Casa di Reclusione Femminile Venezia Sant’Eufemia, Giudecca 712 www.vatican.va

Repubblica di SLOVENIA

Serra dei Giardini, Via Garibaldi, Castello 1254 www.mg-lj.si

Repubblica Unita della TANZANIA

La Fabbrica del Vedere, Calle del Forno Cannaregio 3857 www.tanzaniapavilion2024.com

Repubblica Democratica di TIMOR-LESTE

Spazio Ravà, San Polo 1100 IG @natalieking_curator

UGANDA

Bragora Gallery, Castello 3496

Repubblica dello ZIMBABWE

Santa Maria della Pietà, Castello 3701

COLLATERAL EVENTS

FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/1

A Journey to the Infinite. Yoo Youngkuk

Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.yooyoungkuk.org

FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA/2

A World of Many Worlds

Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.asia-forum.international www.bagrifoundation.org

ISTITUTO SANTA MARIA DELLA PIETÀ/1

A bove Zobeide

Exhibition from Macao, China

Calle della Pietà, Castello 3701 www.MAM.gov.mo

CASTELLO GALLERY

A ll African Peoples’ Consulate Castello 1636/A www.theafricacenter.org

PROCURATIE VECCHIE/1

A ndrzej Wróblewski (1927-1957)

In the First Person

Piazza San Marco 139-153/A www.starakfoundation.org

ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE Berlinde De Bruyckere.

City ofRefuge III

Abbazia di San Giorgio Maggiore www.abbaziasangiorgio.it

DOCKS CANTIERI CUCCHINI Catalonia in Venice

Bestiari | Carlos Casas

San Pietro di Castello 40/A www.bestiari.llull.cat

SALONE VERDE - ART & SOCIAL CLUB

C osmic Garden

Calle Regina, Santa Croce 2258 IG @chanakya.school

PALAZZO CONTARINI POLIGNAC

Daring to Dream in a World of Constant Fear

Dorsoduro 874

BRUCHIUM FERMENTUM

D esde San Juan Bautista…

Calle del Forno, Castello 2092 www.consolatorem.org | IG @remproject.gallery

CAMPO DELLA TANA/1 E lias Sime

Dichotomy jerba

Tanarte, Ramo de la Tana, Castello 2125 (near the Arsenale entrance) www.simevenice.org

ESPACE LOUIS VUITTON E rnest Pignon-Ernest

Je Est Un Autre

Calle del Ridotto, San Marco 1353 www.pignon-ernest.com

PALAZZO CAVANIS

E wa Juszkiewicz. Locks withLeaves and Swelling Buds

Fondamenta Zattere ai Gesuati, Dorsoduro 920 www.fabarte.org

PALAZZO ROCCA CONTARINI CORFÙ

Jim Dine. Dog on the Forge Dorsoduro 1057/D www.dogontheforge.com

ACCADEMIA DI BELLE ARTI

PALAZZINA CANONICA CNR-ISMAR

Josèfa Ntjam

swell of spæc(i)es

Accademia di Belle Arti di Venezia, Dorsoduro 423 CNR-ISMAR, Riva dei Sette Martiri, Castello1364/A www.las-art.foundation | IG @josefantjam

FONDATION WILMOTTE

L ee Bae

La Maison de la Lune Brûlée

Corte Nuova, Fondamenta dell'Abbazia Cannaregio 3560 www.leebaestudio.com | www.wilmotte.com

IL GIARDINO BIANCO ART SPACE

M adang: Where We Become Us

Via Garibaldi, Castello 1814 www.biennialfoundation.org

EX FARMACIA SOLVENI

Passengers in Transit Dorsoduro 993-994 www.193gallery.com

FONDAZIONE DELL’ALBERO D’ORO Per non perdere il filo.

Karine N’guyen Van Tham

Parul Thacker

Palazzo Vendramin Grimani, San Polo 2033 www.fondazionealberodoro.org

ISTITUTO SANTA MARIA DELLA PIETÀ/2

Peter Hujar

Portraits in Life and Death

Calle della Pietà, Castello 3703 IG @peterhujararchive

FONDACO MARCELLO

R ebecca Ackroyd Mirror Stage

Calle del Traghetto, San Marco 3415 IG @rebeccaackroyd

PROCURATIE VECCHIE/2 R obert Indiana

The Sweet Mystery

Corte Maruzzi, Piazza San Marco 105 (second floor) www.ysp.org.uk

ARTENOVA

S eundja Rhee

Towards the Antipodes

Campo San Lorenzo, Castello 5063 www.korica.org | www.seundjarhee.com

PALAZZO SORANZO VAN AXEL

S hahzia Sikander

Collective Behavior

Fondamenta Van Axel o de le Erbe Cannaregio 6099, 6071, 6072 www.cincinnatiartmuseum.org | www.clevelandart.org

PALAZZO CONTARINI POLIGNAC

MAGAZZINO GALLERY

S outh West Bank. Landworks, Collective Action and Sound Dorsoduro 874 www.adambroomberg.com

FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA T he Endless Spiral Betsabeé Romero

Galleria di Piazza San Marco, San Marco 71/C www.betsabeeromero.com

PALAZZO SMITH MANGILLI VALMARANA T he Spirits of Maritime Crossing Cannaregio 4392 www.bkkartbiennale.com

CAMPO DELLA TANA/2 T revor Yeung

Courtyard of Attachments, Hong Kong in Venice Ramo de la Tana, Castello 2126 (opposite the Arsenale entrance) 2024.vbexhibitions.hk | IG @plantertrevor

SPAZIO BERLENDIS

Ydessa Hendeles. Grand Hotel Calle Berlendis, Cannaregio 6301 www.artmuseum.utoronto.ca

PALAZZO DELLE PRIGIONI Yuan Goang-Ming Everyday War Castello 4209 (next to Palazzo Ducale) www.taiwaninvenice.org

NOT ONLY BIENNALE

ARSENALE INSTITUTE FOR POLITICS OF REPRESENTATION

William Kentridge

Self-Portrait as a Coffee-Pot Riva dei Sette Martiri, Castello 1430/A | www.arsenale.com

BEL-AIR FINE ART

Carole Feuerman. Patrick Hughes Calle del Spezier, San Marco 2765 | Dorsoduro 728 www.belairfineart.com

BIBLIOTECA MARCIANA

At Home Abroad

Piazzetta San Marco 7 bibliotecanazionalemarciana.cultura.gov.it

CA’ PESARO/1

Roberto Matta 1911-2002

Fino Until 23 marzo March, 2025

Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 www.capesaro.visitmuve.it

CA’ PESARO/2

Giorgio Andreotta Calò

15 novembre November -4 marzo March, 2025

Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Sala Dom Pérignon Santa Croce 2076 www.capesaro.visitmuve.it

CA’ REZZONICO

Loris Cecchini

Leaps, gaps and overlapping diagrams

Fino Until 31 marzo March, 2025

Museo del Settecento Veneziano | carezzonico.visitmuve.it

CENTRO CULTURALE CANDIANI

Matisse e la luce del Mediterraneo

Fino Until 4 marzo March, 2025

Centro Culturale Candiani-Mestre | muvemestre.visitmuve.it

CHIESA DI SANTA MARIA DELLA VISITAZIONE Memo Akten. Boundaries

Fondamenta Zattere ai Gesuati, Dorsoduro 919/A www.vanhaerentsartcollection.com

COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM Marina Apollonio. Oltre il cerchio

Fino Until 3 marzo March, 2025

Dorsoduro 701 | guggenheim-venice.it

COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO NEBULA

Barbaria de le Tole, Castello 6691 | inbetweenartfilm.com

DOCKS CANTIERI CUCCHINI

Paolo della Corte. Flooded Souls

Fino Until 30 novembre November Castello 40/A | www.paolodellacorte.eu

EUROPEAN CULTURAL CENTRE (ECC) PALAZZO MORA | PALAZZO BEMBO GIARDINI MARINARESSA

PERSONAL STRUCTURES

Beyond Boundaries

Palazzo Mora, Strada Nova, Cannaregio 3659

Palazzo Bembo, Riva del Carbon, San Marco 4793

Giardini della Marinaressa, Riva dei Sette Martiri, Castello www.personalstructures.com | www.ecc-italy.eu

biennalearte

NOT ONLY BIENNALE IN THE CITY

FONDACO DEI TEDESCHI Best Regards

The Anonymous Project by Lee Shulman

Fino Until 17 novembre November Rialto | www.dfs.com/venice

FONDAMENTA SANT’ANNA Milena ZeVu. Silent Supper Venice Art Projects, Castello 994 | www.silentsupper.com

FONDATION VALMONT

Ulysses. We Are All Heroes

Fino Until 23 febbraio February, 2025 Palazzo Bonvicini, Santa Croce 2161/A www.fondationvalmont.com

FONDAZIONE BERENGO ART SPACE

GLASSTRESS 8½

Campiello della Pescheria 4, Murano www.glasstress.org | www.fondazioneberengo.org

FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA

Andrey Esionov. Strangers

Fino Until 30 novembre November Galleria di Piazza San Marco | www.bevilacqualamasa.it

FONDAZIONE EMILIO E ANNABIANCA VEDOVA/1 Eduard Angeli. Silentium

Magazzino del Sale, Zattere, Dorsoduro 266 www.fondazionevedova.org

FONDAZIONE EMILIO E ANNABIANCA VEDOVA/2 Amendola

Burri Vedova Nitsch Spazio Vedova, Zattere, Dorsoduro 50 www.fondazionevedova.org

FONDAZIONE PRADA

Christoph Büchel

Monte di Pietà

Ca’ Corner della Regina, Santa Croce 2215 www.fondazioneprada.org

GALLERIE DELL’ACCADEMIA Il polittico di Santa Chiara di Paolo Veneziano restaurato Dorsoduro 1050 www.gallerieaccademia.it

GARIBALDI GALLERY

Mongol Zurag

The Art of Resistance

Via Giuseppe Garibaldi, Castello 1815

HOTEL METROPOLE

Rob e Nick Carter

Beyond the Frame

Riva degli Schiavoni, Castello 4149 www.hotelmetropole.com

ISOLA DI SAN SERVOLO

Flavia Bigi

Nove sono le Muse Parco dell'Isola www.univiu.org

ISOLA DI SAN GIORGIO MAGGIORE LE STANZE DEL VETRO 1912-1930. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia Isola di San Giorgio Maggiore | www.lestanzedelvetro.org

LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA/1

Helmut Newton. Legacy

Isola di San Giorgio Maggiore www.lestanzedellafotografia.it

LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA/2

Whispers – A Julian Lennon

Retrospective

Isola di San Giorgio | www.lestanzedellafotografia.it

LA GALLERIA DOROTHEA VAN DER KOELEN

Visions of Beauty

Calle Calegheri, San Marco 2566 www.galerie.vanderkoelen.de

M9 – MUSEO DEL ‘900 Burtynsky

Extraction/Abstraction

Fino Until 12 gennaio January, 2025

Via G. Pascoli 11, Venezia Mestre | www.m9museum.it

MAGAZZINI DEL SALE 5

Kiran Nadar Museum of Art

The Rooted Nomad Dorsoduro 262 | www.knma.in

MAGAZZINO MARINA MILITARE N. 41

Tomokazu Matsuyama

Mythologiques

Campo della Celestia, Arsenale

MUSEO CORRER

Francesco Vezzoli

Musei delle Lacrime

Piazza San Marco | correr.visitmuve.it

MUSEO DEL VETRO

Federica Marangoni

On The Road 1970-2024. Non solo vetro

Fino Until 3 novembre November

Fondamenta Giustinian 8, Murano www.museovetro.visitmuve.it

MUSEO FORTUNY

Eva Jospin. Selva

Palazzo Pesaro degli Orfei, San Marco 3958 www.fortuny.visitmuve.it

PALAZZO BEMBO/1 Journey of Labels

European Cultural Centre

Riva del Carbon, San Marco 4793-4785 www.artsconnectionfoundation.org | www.foodofwar.org

PALAZZO BEMBO/2

R r OMA LEPANTO

European Cultural Centre

Riva del Carbon, San Marco 4793–4785 www.eriac.org | www.dokuzentrum.sintiundroma.de

PALAZZO DIEDO Berggruen Arts & Culture

Janus

Fondamenta Diedo, Cannaregio 2386 www.berggruenarts.org

PALAZZO FERRO FINI

Grand Hotel Venezia

Fino Until 30 novembre November

Consiglio regionale del Veneto, San Marco 2322 www.consiglioveneto.it

PALAZZO FRANCHETTI/1

Your Ghosts Are Mine Expanded cinema, amplified voices

ACP- Palazzo Franchetti (piano nobile), San Marco 2847 www.dohafilminstitute.com

PALAZZO FRANCHETTI/2

Breasts

ACP- Palazzo Franchetti (mezzanino), San Marco 2847

PALAZZO GRASSI

Julie mehretu. Ensemble

Fino Until 6 gennaio January, 2025 Campo San Samuele, San Marco 3231 www.pinaultcollection.com

PALAZZO GRIMANI

Rick Lowe

The Arch Within the Arc

Castello Ramo Grimani, Castello 4858 www.polomusealeveneto.beniculturali.it

PALAZZO PISANI SANTA MARINA

Henri Beaufour

Portraits imaginaires / sculptures-tableaux-gravures

Fino Until 23 novembre November Cannaregio 6104 | www.henri-beaufour.com

PROCURATIE VECCHIE/1

The Human Safety Net

A World of Potential

Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 128 www.thehumansafetynet.org

PROCURATIE VECCHIE/2

About Us

Tracey Snelling for The Human Safety Net

Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 128 www.thehumansafetynet.org

PUNTA DELLA DOGANA

Pierre Huyghe. Liminal Dorsoduro 2 | www.pinaultcollection.com

SAN CLEMENTE PALACE KEMPINSKI VENICE

Seung-Hwan Kim. Organism

Isola di San Clemente | www.kempinski.com/venice

SPARC* SPAZIO ARTE CONTEMPORANEA

Jacques Martinez. Domani

Campo Santo Stefano, San Marco 2828/A www.veniceartfactory.org

SPAZIO SV

Sobin Park. Enter the Dragon

Campo San Zaccaria, Castello 4693 | www.spaziosv.com

TANA ART SPACE

Daniel Pešta

Something is Wrong

Fondamenta de la Tana, Castello 2109/A www.museummontanelli.com

Arts in Venice is your go-to agency to bring your exhibitions and events to life in the most beautiful city in the world, Venice. Our mission is to create unforgettable experiences that celebrate the arts in every field, ranging from contemporary arts to cinema, from architecture to design.

Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 293 - Anno XXVIII Venezia, 1 novembre 2024

Con il Patrocinio del Comune di Venezia

Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996

Direzione editoriale Massimo Bran

Direzione organizzativa Paola Marchetti

Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari

Redazione Chiara Sciascia, Davide Carbone

Speciali Fabio Marzari

Coordinamento Newsletter e progetti digitali Marisa Santin

Grafica Luca Zanatta

Hanno collaborato a questo numero

Katia Amoroso, Maria Laura Bidorini, Loris Casadei, Luigi Crea, Federico Jonathan Cusin, Fabio Di Spirito, Elisabetta Gardin, Nicolò Ghigi, Renato Jona, Michela Luce, Franca Lugato, Irene Machetti, Lucio Salvatore, Livia Sartori di Borgoricco, Adele Spinelli, Giovanna Tissi, Camillo Tonini, Riccardo Triolo, Delphine Trouillard, Luisa Turchi, Giada Zuecco

Si ringraziano

Adele Re Rebaudengo, Maria Luisa Frisa, Marina Apollonio, Ibrahim Mahama, Filippo Dini, Gabriella Furlan Malvezzi, Mario Dal Co, Francesco Amendolagine, Stefano Noale

Traduzioni

Andrea Falco, Patrizia Bran, Richard McKenna lo trovi qui:

Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città.

Direttore responsabile Massimo Bran

Guide spirituali

“Il più grande”, Muhammad Alì Il nostro “Ministro della Fantasia”, Fabio Marzari

Recapito redazionale

Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041.2377739 redazione@venezianews.it www.venezianews.it

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Stampa

Chinchio Industria Grafica Srl Via Pacinotti, 10/12 - 35030 Rubano (PD) - www.chinchio.it

La redazione non è responsabile di eventuali variazioni delle programmazioni annunciate

A MOSAIC OF STYLES & ARTS E

ACH OF THE TEN ROOMS IS CHARACTERIZED BY A PRECISE IDENTITY. DURING THE RESTORATION, THE HISTORY AND TRADITIONS OF VENICE WERE CAREFULLY PRESERVED, AND ARE NOW ENHANCED

BY THE MODERN DESIGN OF THE SELECTED FURNISHINGS AND FABRICS. A MAGICAL PLACE FOR HOLIDAYS, PRIVATE FUNCTIONS, WEDDINGS, EXCLUSIVE EVENTS OR FAMILY CELEBRATIONS.

HOTELHEUREKA. COM

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